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Nel mondo degli affetti. Della creatività. Del benessere. Anno XXVIII - n° 2 - novembre 2011 Sped. Abb. Post. 70% - Filiale di Milano - TAXE PERCUE (Tassa Riscossa) Uff. CMP Roserio - MI

Nel mondo degli affetti. Della creatività. Del benessere. · 2017. 6. 29. · Pubblicazioni Getty images - Laura Ronchi Anno XXVIII - n° 1 - maggio 2011 Nel mondo degli affetti

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Nel mondo degli affetti. Della creatività. Del benessere.

Anno XXVIII - n° 2 - novembre 2011 Sped. Abb. Post. 70% - Filiale di Milano - TAXE PERCUE (Tassa Riscossa) Uff. CMP Roserio - MI

“Primo incontro” riservato alle persone che si rivolgono per la prima volta all’AssociazioneLunedì ore 15Felicita Bellomi (fiduciaria) e una psicologa

Ascolto telefonico, accoglienza, orientamento e aiuto praticodal lunedì al giovedì ore 9/17,30

Consulenze telefoniche di psicologi, medici ed altri esperti dal lunedì al giovedì ore 10/16

Supporto psicologico individuale per pazienti e famigliarisu appuntamento

Gruppi di sostegno psicologico rivolti ai pazienti:“Riprogettiamo l’esistenza”, “Decido di vivere”, “La terapia degli affetti”martedì ore 14,30/16 e giovedì 10,30/12 - 14/15,30Paola Bertolotti, Stefano Gastaldi (psicologi psico-terapeuti), Elena Bertolina (recorder)

Gruppi di sostegno psicologico per caregiver (partner, famigliari e persone vicine al paziente)lunedì ore 13/14,30 - cadenza quindicinaleManuela Provantini (psicologa clinica), Oscar Manfrin (recorder)

Supporto di medicina generale durante le terapie oncologichemartedì e giovedì - su appuntamento Alberto Ricciuti (medico)

“Dottore si spogli” i medici rispondono alle domande su malattia e cure: incontri di gruppo e individualilunedì e/o martedì ore 15/17 - su prenotazioneMassimo Callegari (chirurgo plastico), Salvo Catania (chirurgo oncologo), Giorgio Secreto (endocrinologo)

La prevenzione a tavola: corso teorico e pratico di alimentazione mercoledì ore 10,30/14,30esperti della Ricerca Diana (Istituto Tumori Milano)

Armonizzazione mente corpo attraverso la danza Martedì ore 16/17,30Nicoletta Buchal (medico/psicoterapeuta)

Somatic experiencing“Ciò che la natura insegna per guarire il trauma”Martedì ore 14,30/16Marina Negri (fisioterapista), Chiara Caldi (psicologa)

Tecniche di Hatha Yoga Lunedì ore 10/11, Mercoledì ore 15/16 - 16,15/17,15Maria Grazia Unito (insegnante)

La mente intuitiva Giovedì ore 14/17,30 Vittorio Prina (docente di processi intuitivi)

Arte TerapiaMercoledì ore 14,30/16 - cadenza quindicinaleMimma Della Cagnoletta (psicoterapeuta)

Dipinto su ceramica Laboratorio di pittura su ceramicaMercoledì ore 14,30/16 - cadenza quindicinaleOrnella Bolzoni (insegnante)

Teatro del benessereGiovedì ore 14,30/16,30Giulia Marchiora (psicologa), Marco Calindri (commediografo), Caterina Ammassari (esperta di comunicazione)

“La forza e il sorriso” per migliorare la valorizzazione di sé attraverso il truccolunedì ore 14,30/17,30esperte di estetica del viso del Progetto Unipro

“Il tesoro nascosto” incontro riservato alle donne che hanno partecipato ai gruppi di sostegno psicologicoil primo mercoledì del mese ore 15/17Ada Burrone e una psicologa

Attività formativa e progettuale:• Mini-Master per oncologi e altri medici

che lavorano in ambito oncologico (accr. ECM).• Corsi per medici di medicina generale

con ASL di Milano (accr. ECM).• Corso settimanale per specializzandi

in oncologia medica.• Formazione per psicologi e psicoterapeuti.

Progetti, studi e ricerche con Università, Fondazioni, Aziende Ospedaliere e Istituti di Ricerca.

Per informazioni rivolgersi alla segreteria dell’Associazione: [email protected] - 026889647

2012

Consiglio Direttivo:

Ada Burrone, Alberto Ricciuti, Arianna Leccese, Anna Dal Castagné, Giovannacarla Rolando.

Collegio dei Sindaci:

Mauro Bracco, Flavio Brenna, Luciana Dolci, Giusi Lamicela, Carlo Vitali.

Comitato Scientifico:

Stefano Gastaldi, Paola Bertolotti, Fabio Baticci, Franco Berrino, Nicoletta Buchal, Massimo Callegari, Salvo Catania, Alberto Costa, Francesco Della Beffa, Maurizio Nava, Marina Negri, Willy Pasini, Manuela Provantini, Alberto Ricciuti, Giorgio Secreto, Paolo Veronesi, Umberto Veronesi, Claudio Verusio, Eugenio Villa.

Per tradizione, il Sindaco di Milano è Presidente Onorario di ATTIVEcomeprima.

Editoriale

Ringraziamo i nostri collaboratori e fornitori per il contributo alla realizzazione e alla qualità di questa rivista. Un grazie particolare alla Fotolito ABC per l’omaggio degli impianti di stampa.

Per ricevere questa rivista basta inviare una libera offerta ad Attivecomeprima Onlus.

Tra le nostre rubriche abbiamo raccolto, questa volta, le esperienze di chi, dopo la malattia, ha avuto la forza di riconoscere, affrontare e gestire la paura dell’incognita. Abbiamo visto che questo è il presupposto per riconsiderare il senso della vita e vivere il presente da protagonista.

Lo confermano un oncologo con la sua testimonianza di paziente, una psicologa attraverso la conoscenza diretta di persone che hanno vissuto l’esperienza di pre-morte e un neurochirurgo che afferma: “la paura della morte fa morire di paura”.

Da sempre trattiamo apertamente questo argomento perché la paura della morte non imbrigli la vita e affinché il dolore morale non si aggiunga a quello fisico in chi è già provato dalla malattia.

Farà sicuramente bene a tutti, anche alle persone che godono di buona salute fisica.

Non abbiate paura della paura: buona lettura!

Dal 1973 a sostegno globale delle persone colpite dal cancro

Attivecomeprima Onlus

Via Livigno 3,

20158 Milano

Tel 026889647

Fax 026887898

[email protected]

www.attive.org

Pubblicazioni

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Anno XXVIII - n° 1 - maggio 2011

Nel mondo degli affetti. Della creatività. Del benessere.

Sped. Abb. Post. 70% - Filiale di Milano - TAXE PERCUE (Tassa Riscossa) Uff. CMP Roserio - MI

Per informazioni sulle pubblicazioni tel. 026889647

* Riservati agli psicologi e alle fiduciarie che partecipano ai nostri incontri formativi

La Forza di ViVere

Cofanetto di 10 opuscoli

a cura di Attivecomeprima

...e poi cambia La Vita

Parlano i medici le donne gli psicologi

a cura di Attivecomeprima

Edizione FrancoAngeli/Self-help

m’amo, non m’amo

di Ada Burrone

(in italiano e in inglese)

Edizione ATTIVEcomeprima

riVista attiVe

Viene offerta a tutti coloro che sostengono l’Associazione

iL gusto di ViVere

di Ada Burrone e Gianni Maccarini

Edizione Oscar guide Mondadori

riprogettiamo L’esistenza, decido di ViVere, La cura degLi aFFetti

Testi utilizzati per la conduzione dei gruppi di sostegno psicologico*

aLimentare iL benessere,Franco Berrino

La Forza di cambiare,Paola Bertolotti

La trapia degLi aFFettiStefano Gastaldi

Edizione FrancoAngeli Self-help

Lettera ai medici di domani

La paura è contagiosa, ma lo è anche la speranza

di Ada Burrone

(in italiano e in inglese)

a una donna come me

Messaggio di Ada Burrone alle donne operate

La danza deLLa Vita

Le esperienze più straordinarie della mia esistenza

di Ada Burrone

(in italiano e in inglese)

Edizione FrancoAngeli

Lo spazio umano tra maLato e medico

Parlano medici, pazienti, psicologi

a cura di attiVecomeprima

Il Pensiero Scientifico Editore

La terapia di supporto di medicina generaLe in chemioterapia oncoLogica

di Alberto Ricciuti

Edizione FrancoAngeli

La Forza di ViVere per aFFrontare con armonia iL cambiamento

di Ada Burrone

(in italiano e in inglese)

Edizione ATTIVEcomeprima

Quando iL medico diVenta paziente

La prima indagine in Italia sui medici che vivono o hanno vissuto l’esperienza del cancro

a cura di Attivecomeprima e Fondazione Aiom

Edizione FrancoAngeli

scaricabile dal sito

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Editoriale pag. 03

AVVENTURA Vivere per rinascere / Fulvia Bianchi Cariglia pag. 06

VIVERE IL CAMBIAMENTO pag. 08Dalla malattia alla vita / Paola Bertolotti

IL LINGUAGGIO DEGLI AFFETTI pag. 10Cosa c’entra il Kers? / Stefano Gastaldi

CAREGIVER pag. 12Un amore... tante mani! / Manuela Provantini

LE VOSTRE LETTERE pag. 14Cara Ada / Ada Burrone

TRA MEDICO E PAZIENTE pag. 16Il giusto peso / Alberto Ricciuti

LA MEDICINA CHE CI ASPETTIAMO pag. 19Malattia senza sensi di colpa? / Sandro Spinsanti

NUTRIRE IL BENESSERE pag. 21 Nel labirinto del supermercato / Anna VillariniLe ricette di Angela / Angela Angarano

MINI MASTER 2012 pag. 24

PROFILI pag. 26Mauro Porta / Cristina Ferrario

Sapevate che... / Benedetta Giovannini pag. 29

Letti e piaciuti / Paola Malinverni pag. 31

Noi con gli Altri pag. 32

SommarioPeriodico trimestrale

Anno XXVIII - N° 2 Novembre 2011

Sped. abb. post. 70% Filiale di Milano

La rivista è posta sotto la tutela delle leggi della stampa. Gli articoli pubblicati impegnano esclusivamente la responsabilità degli autori. La riproduzione scritta dei lavori pubblicati è permessa solo dietro autorizzazione scritta della Direzione.

Direttore responsabile: Ada Burrone

Vice Direttore: Paola Bertolotti

Redazione: Caterina Ammassari, Cristina Ferrario, Francesca Guatteri.

Hanno collaborato: Angela Angarano, Paola Bertolotti, Ada Burrone, Fulvia Bianchi Cariglia, Cristina Ferrario, Stefano Gastaldi, Benedetta Giovannini, Paola Malinverni, Cristina Nava, Manuela Provantini, Sandro Spinsanti, Alberto Ricciuti, Anna Villarini.

Proprietà della testata: © Ass. ATTIVEcomeprima Onlus

Direzione, Redazione, Amministrazione: ATTIVEcomeprima ONLUS 20158 Milano Via Livigno, 3 Tel. 026889647 Fax 026887898 e-mail [email protected] www.attive.org

Progetto grafico e impaginazione: Alessandro Petrini 0258118270

Fotolito: ABC, Milano Tel. 025253921

Stampa: Tecnografica, Lomazzo (Co) Tel. 0296779218

ATTIVEcomeprima ONLUS

Autorizzazione del Tribunale di Milano n° 39 del 28/1/1984

L’Associazione è iscritta:

- All’Albo delle Associazioni, Movimenti e Organizzazioni delle donne della Regione Lombardia

- Al Registro dell’Associazionismo della Provincia di Milano

- Al Registro Anagrafico delle Associazioni del Comune di Milano

- All’Albo delle Associazioni della Zona 9 del Comune di Milano

- Alla Società Italiana di Psiconcologia (S.I.P.O.)

- Alla F.A.V.O. (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia)

ATTIVEcomeprima aderisce al movimento di opinione “Europa Donna Italia”

Vivere per rinascereLa prima volta che qualcuno si rivolse a me per raccon-tami la sua “incredibile storia vera” di un’esperienza ai confini della vita risale a moltissimi anni fa e non fu per ragioni professionali. Allora neppure sapevo dell’esistenza del fenomeno NDE (Near Death Experience = esperienze di premorte), oggi tanto divulgato - se pur approssimativamente - dalla cronaca e oggetto di attenzione da parte della scienza, e davvero non avrei potuto sospettare che il mio futuro impegno di lavoro mi avrebbe portato ad occuparmene, e così approfonditamente. Conservo di quell’episodio una memoria dolce, quasi romantica, tuttavia adombrata dal rammarico di non essermi posta in maniera psicologicamente adeguata di fronte a quella singolare confidenza, ignorante com’ero sull’eventualità che una persona, rimasta vittima di una crisi fisica così grave da far pensare all’imminenza della morte e poi provvidenzialmente rianimata, potesse riferire di percezioni uditive e visive provate al di là e al di fuori di ogni regola biologica.L’impressione di essere sgusciata dal proprio corpo e averlo visto dall’alto, l’ingresso nell’oscuro tunnel e l’incontro con esseri disincarnati, lo spettacolo di tutte le memorie del passato cui aveva assistito come in un film e, infine, la visione di quella Luce bellissima e beatifi-cante che nulla faceva più temere... come in un sogno, insomma, o nel baratro di un’allucinazione. Stare a sentire tutto questo era per me uno spontaneo gesto di rispetto, una dovuta concessione a chi lottava contro il male per non lasciarsene sopraffare fino in fon-do, non l’attuale certezza che storie simili sono possibili,

per quanto soggettiva ne sia la rielaborazione.Ma, per questa come per altre circostanze del mio percorso personale, sono giunta ormai ad accettare che ogni evento della nostra esistenza ha un suo tempo naturale per esprimersi, non sempre corrispondente a quello richiesto dal nostro tornaconto; e, d’altra parte, è stata proprio questa un’occasione, più significativa di altre, a farmi considerare quanto il “caso” - se mai esiste il caso - spesso ci dimostri solo successivamente una propria insospettata ragione d’essere.Da quella testimonianza, ascoltata solo per affetto, ad altre raccolte in seguito nel corso della mia attivi-tà giornalistica e che me la richiamavano alla mente, dall’inevitabile curiosità di saperne qualcosa di più solo per scrupolo di buon mestiere, alla coinvolgente passione di approfondire la letteratura aneddotica e scientifica in argomento, dal paziente collezionismo di una casistica difficile da reperire, alla determinazione di individuarne dettagli e significati per tradurli in dati interessanti per un’informazione sempre più precisa: la mia avventura era cominciata, senza che io lo sapessi, di fronte al letto di una persona morente che amavo e che all’occorren-za non avevo saputo mettere a suo agio, ma è anche continuata responsabilmente per tanti che, sulle prime, mi sono estranei e per i quali mi sembra di fare qualcosa che li aiuti a stare meglio.Se infatti, dopo decenni di ricerca e l’organizzazione di quindici Congressi internazionali sul tema specifico, nonché dopo aver scritto articoli a decine e diversi libri su quelle straordinarie narrazioni di pauroso buio e Luce promettente, mi domando quale è stato il risultato mi-

Avventura

Esperienze di premorte: un fenomeno ancora avvolto nel mistero, trasversale a tutte le culture, indipendente dal credo religioso, che appartiene alla dimensione antropologica dell’essere umano che tutti noi siamo. La sua interpretazione divide da secoli filosofi e scienziati, gente comune e letterati, psicologi e medici. È un prodotto del cervello sottoposto a particolari condizioni o è la prova che la mente è qualcosa di più di un semplice epifenomeno dell’atti-vità cerebrale? La questione è aperta ma, in chi ha vissuto l’esperienza, rimane una sorta di indelebile e serena nostalgia di infinito che accompagna per il resto della vita.

La prima volta che qualcuno si rivolse a me per raccon-tami la sua “incredibile storia vera” di un’esperienza ai confini della vita risale a moltissimi anni fa e non fu per ragioni professionali. Allora neppure sapevo dell’esistenza del fenomeno NDE (Near Death Experience = esperienze di premorte), oggi tanto divulgato - se pur approssimativamente - dalla cronaca e oggetto di attenzione da parte della scienza, e davvero non avrei potuto sospettare che il mio futuro impegno di lavoro mi avrebbe portato ad occuparmene, e così approfonditamente. Conservo di quell’episodio una memoria dolce, quasi romantica, tuttavia adombrata dal rammarico di non essermi posta in maniera psicologicamente adeguata di fronte a quella singolare confidenza, ignorante com’ero sull’eventualità che una persona, rimasta vittima di una crisi fisica così grave da far pensare all’imminenza della morte e poi provvidenzialmente rianimata, potesse riferire di percezioni uditive e visive provate al di là e al di fuori di ogni regola biologica.L’impressione di essere sgusciata dal proprio corpo e averlo visto dall’alto, l’ingresso nell’oscuro tunnel e l’incontro con esseri disincarnati, lo spettacolo di tutte le memorie del passato cui aveva assistito come in un film e, infine, la visione di quella Luce bellissima e beatifi-cante che nulla faceva più temere... come in un sogno, insomma, o nel baratro di un’allucinazione. Stare a sentire tutto questo era per me uno spontaneo gesto di rispetto, una dovuta concessione a chi lottava contro il male per non lasciarsene sopraffare fino in fon-do, non l’attuale certezza che storie simili sono possibili,

per quanto soggettiva ne sia la rielaborazione.Ma, per questa come per altre circostanze del mio percorso personale, sono giunta ormai ad accettare che ogni evento della nostra esistenza ha un suo tempo naturale per esprimersi, non sempre corrispondente a quello richiesto dal nostro tornaconto; e, d’altra parte, è stata proprio questa un’occasione, più significativa di altre, a farmi considerare quanto il “caso” - se mai esiste il caso - spesso ci dimostri solo successivamente una propria insospettata ragione d’essere.Da quella testimonianza, ascoltata solo per affetto, ad altre raccolte in seguito nel corso della mia attivi-tà giornalistica e che me la richiamavano alla mente, dall’inevitabile curiosità di saperne qualcosa di più solo per scrupolo di buon mestiere, alla coinvolgente passione di approfondire la letteratura aneddotica e scientifica in argomento, dal paziente collezionismo di una casistica difficile da reperire, alla determinazione di individuarne dettagli e significati per tradurli in dati interessanti per un’informazione sempre più precisa: la mia avventura era cominciata, senza che io lo sapessi, di fronte al letto di una persona morente che amavo e che all’occorren-za non avevo saputo mettere a suo agio, ma è anche continuata responsabilmente per tanti che, sulle prime, mi sono estranei e per i quali mi sembra di fare qualcosa che li aiuti a stare meglio.Se infatti, dopo decenni di ricerca e l’organizzazione di quindici Congressi internazionali sul tema specifico, nonché dopo aver scritto articoli a decine e diversi libri su quelle straordinarie narrazioni di pauroso buio e Luce promettente, mi domando quale è stato il risultato mi-

Esperienze di premorte: un fenomeno ancora avvolto nel mistero, trasversale a tutte le culture, indipendente dal credo religioso, che appartiene alla dimensione antropologica dell’essere umano che tutti noi siamo. La sua interpretazione divide da secoli filosofi e scienziati, gente comune e letterati, psicologi e medici. È un prodotto del cervello sottoposto a particolari condizioni o è la prova che la mente è qualcosa di più di un semplice epifenomeno dell’atti-vità cerebrale? La questione è aperta ma, in chi ha vissuto l’esperienza, rimane una sorta di indelebile e serena nostalgia di infinito che accompagna per il resto della vita.

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gliore che abbia finora ottenuto, mi devo rispondere che d’altro non si tratta se non della consapevolezza di dover sempre meglio imparare ad ascoltare le apparentemente assurde vicende di chi ha sfiorato il limite della “dimen-sione nota” e non semplicemente limitarmi ad udirle o registrarle freddamente come se una “dimensione non nota” non mi dovesse appartenere mai. Perché chi ci racconta una vicenda del genere ha bisogno di farlo nella serenità di essere capito, nella convinzione di esporre un avvenimento qualunque dei suoi giorni, soltanto un po’ più strano, da annoverarsi se mai come il più eclatante fra i tanti, stranissimi, che l’imprevedibilità del quotidiano ci riserva.A me, invece, l’imprevedibilità del quotidiano ha riservato lo strano destino di lasciarmi affascinare da una partico-lare “stranezza” della coscienza fino al punto di dedicarvi gran parte della mia professione, ma anche e soprattutto di concedervi una partecipazione intima che non sono stata capace di eludere e che mi ha imposto di riflettere su questioni volentieri tralasciate nella fretta della pratica giornaliera. Non me ne stupisco affatto: tale è la grandezza interiore che dimostrano e insegnano coloro i quali, giunti ad un passo dalla morte, ritornano alla vita con una grati-tudine del tutto sconosciuta prima di aver sfiorato il rischio di perderla; tale è che non se ne può rimanere insensibili. La loro è una condizione che conferisce un talento in più all’umano sentire: non semplicemente vivere ma rinascere ad un’esistenza nuova e più apprez-zata. Il loro futuro è libero dalla comune esigenza

di progetti: il presente è, giustamente, il vero valore ed è lì che va cercata la gratificazione. La loro idea di morte non contempla nulla di tenebroso: adesso il morire non è che l’ultima espressione della vita, da abbracciare quando verrà il momento. Conoscerli, intervistarli e talora frequentarli ai fini di un arricchimento individuale, vale mille volte la lettura dei maggiori tomi di filosofia.Certamente sono in buona fede quando dico di comprenderli. Eppure, alla fin fine, so che mi è precluso afferrare totalmente il senso profondo della forza che ha do-nato loro un’esperienza di dolore, né tutti i miei studi sul fenomeno potrebbero mai darmene la corretta dimensione. Ci provo, forse ci vado molto vicino, ma mai abbastanza per percepire appieno un vissuto che travolge il cuore e la mente in un vortice di emozioni e sentimenti cui nessuna penna, fosse anche la più abile, può rendere vera giustizia.E così, sebbene non si faccia mai bella figura con l’uso di frasi fatte, sono comunque costretta a concludere con me stessa e con chi legge che è molto più quel che rice-vo di quello che offro: il mio impegno nel redigere crona-che e tutte le osservazioni teoriche che ne posso trarre,

i miei libri e i miei Congressi, obiettivamente non sono nulla in confronto alla preziosa opportunità di carpire - o almeno tentare di farlo - i segreti di una sofferenza divenuta costruttiva.

gliore che abbia finora ottenuto, mi devo rispondere che d’altro non si tratta se non della consapevolezza di dover sempre meglio imparare ad ascoltare le apparentemente assurde vicende di chi ha sfiorato il limite della “dimen-sione nota” e non semplicemente limitarmi ad udirle o registrarle freddamente come se una “dimensione non nota” non mi dovesse appartenere mai. Perché chi ci racconta una vicenda del genere ha bisogno di farlo nella serenità di essere capito, nella convinzione di esporre un avvenimento qualunque dei suoi giorni, soltanto un po’ più strano, da annoverarsi se mai come il più eclatante fra i tanti, stranissimi, che l’imprevedibilità del quotidiano ci riserva.A me, invece, l’imprevedibilità del quotidiano ha riservato lo strano destino di lasciarmi affascinare da una partico-lare “stranezza” della coscienza fino al punto di dedicarvi gran parte della mia professione, ma anche e soprattutto di concedervi una partecipazione intima che non sono stata capace di eludere e che mi ha imposto di riflettere su questioni volentieri tralasciate nella fretta della pratica giornaliera. Non me ne stupisco affatto: tale è la grandezza interiore che dimostrano e insegnano coloro i quali, giunti ad un passo dalla morte, ritornano alla vita con una grati-tudine del tutto sconosciuta prima di aver sfiorato il rischio di perderla; tale è che non se ne può rimanere insensibili. La loro è una condizione che conferisce un talento in più all’umano sentire: non semplicemente vivere ma rinascere ad un’esistenza nuova e più apprez-zata. Il loro futuro è libero dalla comune esigenza

di progetti: il presente è, giustamente, il vero valore ed è lì che va cercata la gratificazione. La loro idea di morte non contempla nulla di tenebroso: adesso il morire non è che l’ultima espressione della vita, da abbracciare quando verrà il momento. Conoscerli, intervistarli e talora frequentarli ai fini di un arricchimento individuale, vale mille volte la lettura dei maggiori tomi di filosofia.Certamente sono in buona fede quando dico di comprenderli. Eppure, alla fin fine, so che mi è precluso afferrare totalmente il senso profondo della forza che ha do-nato loro un’esperienza di dolore, né tutti i miei studi sul fenomeno potrebbero mai darmene la corretta dimensione. Ci provo, forse ci vado molto vicino, ma mai abbastanza per percepire appieno un vissuto che travolge il cuore e la mente in un vortice di emozioni e sentimenti cui nessuna penna, fosse anche la più abile, può rendere vera giustizia.E così, sebbene non si faccia mai bella figura con l’uso di frasi fatte, sono comunque costretta a concludere con me stessa e con chi legge che è molto più quel che rice-vo di quello che offro: il mio impegno nel redigere crona-che e tutte le osservazioni teoriche che ne posso trarre,

i miei libri e i miei Congressi, obiettivamente non sono nulla in confronto alla preziosa opportunità di carpire - o almeno tentare di farlo - i segreti di una sofferenza divenuta costruttiva.

Fulvia Bianchi Cariglia Sociologa, giornalista e psicologa

Vivere il cambiamento

Dalla malattia alla vita

Credo che non ci siano dubbi, guardando la tua “linea” e vedendo il tuo sorriso... tu aspetti qualcosa!Si è avverato un sogno e mi trovo a sorridere alla vita, al cie-lo, al sole e il mondo ha assunto colori rassicuranti e gioiosi.È più forte di me, non riesco a fermare le mani, qua-lunque cosa io faccia, in qualunque modo io cerchi di renderle impegnate, loro finiscono lì, sulla mia pancia.Perché è proprio tra le mie mani che posso finalmente sentire che una favola, la mia favola, è giunta finalmente al suo tanto atteso lieto fine.Tra le mie mani pulsano 600 grammi d’amore, l’amore che si preannuncia essere il più grande della mia vita e che, con le sue capriole e calcetti, sembra dirmi: “hey mamma! Io sono davvero qui!”È già così pieno di energie il mio Cristian!Ed è tutto lì tra le mie mani, le stesse mani che tre anni fa, sentendo nel profondo che qualcosa nella mia gravi-danza non stava andando per il verso giusto, cercando la vita hanno trovato un mostro da sconfiggere, hanno trovato un intruso, un cancro al seno, che è stato capace di annientare, in un solo attimo, tutte le speranze, i sogni, i sorrisi e la gioia di due aspiranti genitori.

Ricordi qualcosa di quei momenti?In un mio scritto di quel periodo, raccontavo: “Finalmente tutto era perfetto e, ciliegina sulla torta, nell’aria c’era in programma un bambino e la casa era già invasa del suo profumo... Sentivo però che quella serenità faceva parte di un equilibrio delicato e di una felicità effimera; in fondo al mio cuore c’era la paura che tutto potesse frantumarsi in pochi attimi. In fin dei conti questi mo-menti non possono durare un’eternità e, se la felicità non avesse mai fine, chi potrebbe ancora apprezzarla ed assaporarla quando arriva?”.Più il tempo passava e più sentivo che c’era qualcosa che non andava, fino a quando dentro di me si accese un cam-

panello d’allarme, come se il mio corpo sapesse già tutto.Purtroppo gli accertamenti me lo confermarono e mi die-dero quell’assurda sentenza con la quale nessuna donna vorrebbe fare i conti: cancro al seno.Purtroppo non era finita, un altro esito imprevisto ci aspettava al varco e ci lasciò senza fiato: quello del test di gravidanza... positivo.Inutile ricordare in quale modo dovetti impegnare il mio successivo anno: non ci furono pannolini e biberon per me!

I tuoi pensieri...? Le tue paure...?Credo che non sia stata solo la voglia di vivere a darmi l’energia necessaria per affrontare la malattia, ma la voglia di dare la vita!Non è stata la paura di morire ad aleggiare sulla mia vita, ma la paura di non poter diventare mamma!Sentivo che non sarei morta, ne avevo la certezza, ed io e mio marito sapevamo che dovevamo solo ascol-tare i nostri cuori ed andare avanti per la nostra strada, una strada - inutile nasconderlo - lastricata di incertezze. Ci sentivamo impotenti di fronte al tempo necessario per le cure, ai due anni d’attesa consigliati dai medici ed, ahimè, alla possibilità che nel frattempo una recidiva potesse prolungare i tempi o addirittura cancellare il nostro sogno.Il mio stato d’animo non era dei più felici. Vedevo intorno a me solo donne incinte e pensavo che per la maggior parte di esse fosse stato facile come bere un bicchier d’acqua, che mai avrebbero realizzato quanto erano state fortunate e che il diventar mamma potesse non essere una cosa così semplice e scontata.

Cosa ti è stato di aiuto in quel momento?Prima di tutto il nostro obiettivo, perché niente poteva fermarci e questo è stato la mia salvezza.Poi devo ammettere, con immensa gratitudine, che

Silvia forse la conoscete già... l’abbiamo intervistata nel numero scorso della nostra rivista. Ci parlò di cosa avesse significato partecipare ai gruppi di sostegno psicologico e della sua esperienza come figlia di una mamma che, contemporaneamente, aveva frequentato il gruppo di sostegno per care-giver. Sono trascorsi tre anni dalla scoperta della malattia e nella vita di Silvia i cambiamenti sono stati tanti, ma l’esperienza che sta vivendo ora può considerarsi una vera e propria rivoluzione!

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sono arrivata a tutto questo grazie anche al supporto di Attivecomeprima, così prezioso nella fase delicata del mio percorso sia fisico che emotivo di quel periodo. Gibran, il profeta, non me ne voglia, ma Attivecomeprima è stata per me come l’arco teso pronto a scoccare la mia freccia, lontano dalle mie paure, che altrimenti mi avrebbero tolto la voglia di perseguire i miei progetti.Così, in volo verso il mio domani e verso i miei desideri, con un bagaglio carico di speranza e determinazione, ho “chiesto” al mio corpo di non deludermi e lui ha risposto all’appello: pregavo di non dovermi sottoporre a cure ormonali dopo la chemioterapia e così è stato.Le mie ovaie hanno continuato a funzionare nonostante la chemioterapia, lasciando a bocca aperta tutti i medici e persino la ginecologa oncologa che mi aveva in cura.Ho sperato di non avere recidive e il dubbio sorto durante uno dei miei esami di follow-up si è risolto - dopo tre lunghi mesi - in un falso positivo: una macchia di 7 mm. che inspiegabilmente è retrocessa da sola.Io non so quanto conti davvero per la medicina, ma sono certa che la mia ca-parbietà abbia avuto la meglio sulla mia mente ed il mio corpo, più di qualunque altra cosa.

Hai trovato appoggio in questa tua decisione?Nessun medico, tra tutti quelli consultati e conosciuti, ha mai sconsigliato apertamente una gravidanza dopo il mio cancro; tutti sembravano avere opinioni contrastanti fra di loro ed ognuno seguiva una determinata scuola di pensiero. Solo uno specialista ci ha supportato al 100% elencandoci i benefici di una gravidanza dopo un cancro mammario, ma, nella maggioranza dei casi, nessuno si è mai sbilanciato o ci ha dato informazioni certe, né tantomeno rassicurazioni alle nostre domande.Quanto era pericoloso per me? C’era la possibilità di aver perso la mia fertilità a causa della chemioterapia? Avrei avuto le stesse possibilità di un’altra donna di avere un figlio sano? Sarebbero bastati i due anni di attesa? Perché sono poche le donne che decidono di diventare mamme dopo il cancro?Tutto era preceduto da tanti MA e SE e altrettanti FORSE e POTREBBE.Mi chiedo come possano tante donne prendere una decisione del genere se non esistono certezze e supporti concreti per loro.Alla fine di ogni colloquio il chiaro messaggio era sempre lo stesso: STA A VOI LA SCELTA.Ma noi la scelta l’avevamo già fatta. Non avevamo intenzione di permettere alla paura di controllare la nostra vita.

Domanda scontata... i tuoi desideri per il futuro ?Ovviamente una vita serena per la mia famiglia e soprattutto per il mio bambino, ma mi piacerebbe anche poter scrivere un libro e usare la mia storia per dare speranza ad altre donne.In questi tre anni io non ho mai avuto la fortuna di confrontarmi, prima di affron-tare la gravidanza, con chi ha avuto figli dopo un cancro.Ad oggi esistono tanti siti web che trattano l’argomento, ma fino a tre anni fa le mie ricerche non avevano ottenuto molti risultati. Se avessi una bacchetta magica vorrei tornare indietro nel tempo e permettere alla Silvia di oggi, quella felice ed orgogliosa del suo pancione, di rassicurare la Silvia di tre anni fa, così impotente e dubbiosa riguardo al suo futuro di mamma e di donna, felice e realizzata.Come dice Ada Burrone: “la speranza è contagiosa!”

Quindi mi piacerebbe... contagiare di speranza!Ma un desiderio ancora più grande è far sapere a mio figlio quanto la sua mamma ed il suo papà l’abbiano desiderato e cosa c’è di meglio che raccontargli la nostra storia e la lunga attesa prima di poterlo avere con noi?

Paola Bertolotti. Psicologa e psicoterapeuta. Conduce in Associazione i gruppi di sostegno psicologico “Riprogettiamo l’Esistenza” e “Decido di vivere”.

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Cosa c’entra il Kers?

Il linguaggio degli affetti

A volte fermarci ci permette di ripartire con più energia.

Il Kers è un dispositivo utilizzato in campo automobi-listico (è famoso quello delle auto di Formula 1) che funziona pressappoco così: in frenata l’energia viene immagazzinata in un volano che ruota ad altissima

velocità e poi, quando serve, viene rilasciata e ag-giunta a quella fornita dal motore, per dare maggiore potenza alle ruote. Il Kers è un’invenzione recente ma corrisponde anche, secondo me, a un tipo di possibile

Info autoreStefano Gastaldi. Psicologo e psicoterapeuta. Conduce in Associazione il gruppo “La terapia degli affetti”.

funzionamento del nostro sistema mentale e affettivo. Faccio un esempio. Ci sono studenti, talvolta anche molto brillanti che hanno un modo particolare di studiare: stanno seduti al tavolo per un po’, poi si alzano e fanno altro, per tornare in seguito a studiare; dopo un po’ si allontanano di nuovo... sembra che si distraggano, che siano discontinui e dispersivi.In realtà ciò che fanno è collegato all’enorme energia emotiva che essi investono nei tempi di studio diretto, un’energia che non può essere mantenuta a lungo. Così, come sulle Formula 1, essi frenano e riposano, immagazzinando questa forza per renderla disponibile allo sprint successivo. Molti insegnanti, educatori, genitori, disapprovano questo metodo perché non lo capiscono: vedono in esso una incapacità di concentrazione, una dissipazione di energie, un allontanamento dal compito. Nei momenti di “ricarica” tendono quindi a fare osserva-zioni critiche quali: “insomma, non riesci proprio a stare concentrato per più di mezz’ora?”, “come puoi studiare se ti distrai continuamente?” e sbagliano tutto, perché inter-feriscono in un processo delicato, generano nervosismo e polemiche, impediscono la ricarica e, con essa, il buon svolgimento dello studio.Nell’organizzazione della vita quotidiana, la maggior parte delle persone somma compiti lavorativi e famigliari, preoc-cupazioni economiche e professionali, impegno importante

di tempo ed energie per gli spostamenti. La spesa energetica è elevata e i tempi dedicati al riposo e al piacere sono spesso marginali.Possiamo imparare tutti da quegli studenti, che stac-cano, frenano, recuperano energia e ripartono.In termini sociologici, potremmo anche definire ciò come saper valorizzare i tempi interstiziali, quelli tra una cosa e l’altra, oppure quelli che ricaviamo “all’in-terno” di qualcosa che stiamo facendo.Sono del tutto favorevole alla pausa caffè e a ogni al-tra pausa che allontani la mente dal compito in corso, per un tempo anche molto breve, e consenta così di ripulire i circuiti, un po’ come succede se si soffia su un disegno che si sta facendo a matita: riappare più nitido e chiaro.La concentrazione e l’attenzione non sono fatti psichici continui, ma intermittenti, pieni di interstizi, di discon-nessioni. Se ciò non fosse utile, perché dovrebbero funzionare così?Calo di tensione stressante, recupero di energie, aumento della nitidezza di visione, migliore capacità di cogliere il contesto e il nocciolo delle questioni... tutto depone in favore dell’utilizzo del nostro “Kers interiore”. Forse esagero, ma anche Leonardo da Vinci si conce-deva micro-sonnellini nel corso delle sue lunghissime giornate di lavoro!

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Caregiver

Certamente non saranno sufficienti queste parole per ringraziarvi di quanto avete fatto per Lorella e per me in questi anni ma accettatele come un gesto di ricono-scenza dovuto.L’incontro con voi è nato sei anni fa, casualmente,

quando in fondo al corridoio di un ospedale ho visto un vostro manifesto con il volto di una donna e un semplice messaggio di forza e speranza.Ho pensato che un incontro con voi avrebbe potuto essere un’occasione e un’importate opportunità per Lorella. Non mi ero sbagliato.È da quando abbiamo avuto il primo colloquio con una vostra fiduciaria che mi sono reso conto della serietà e della profonda dedizione che il vostro gruppo offriva.Dopo il tremendo shock della malattia che aveva colpito una giovane donna e mamma, lo spirito e l’aiuto della vostra associazione hanno mostrato a Lorella la possibi-lità di reagire di fronte a quanto successo e alimentato in lei una voglia di riscatto e di rivincita ben più forti della rabbia e della prostrazione seguite alla malattia.Per due anni le era sembrato che tutto avrebbe potuto

Un amore... tante mani!

Abbiamo deciso di pubblicare in questo spazio la lettera di Fabrizio, marito di Lorella, perché rende visibile ciò che di solito avviene nel segreto della vita di coppia: un intero mondo di storie, slanci, speranze, paure, pensieri e fragilità.

tornare come prima e la vita riprendere con la stessa normalità; ma alla prima ricaduta, per lei e per noi, è diventato tutto più difficile e incomprensibile.All’immediato rifiuto di una situazione che mai ci sarem-mo aspettati potesse accadere, si è lentamente sostituita una presa di coscienza dell’inizio di un nuovo cammino dove la lotta tra la vita di una persona e la sua malattia delineava prospettive incerte, dubbi, paure e angosce.Ed è in quel momento e grazie a voi che Lorella si è resa conto della necessità di scindere la propria esistenza in due percorsi: quello della malattia e della lotta contro di essa e quello della vita.Certo, tutto questo è diventato più difficile e faticoso per lei e per la nostra famiglia. E ancora una volta ci siete stati d’aiuto fornendo anche a me un supporto, ma non solo, uno spazio per parlare, per riporre i miei pensieri, i miei dubbi, le mie ansie e paure.La vostra sede, la vostra associazione sono via via diven-tate per Lorella una seconda casa, una seconda famiglia dove poter trovare momenti per sfogarsi, discutere e instaurare nuove relazioni ma anche per avere momen-ti per attività piacevoli e ricreative.Quando tutto sembrava volgersi al meglio mai ci saremmo aspettati di veder ricomparire la malattia in una forma che “poco” avrebbe lasciato spazio alla speranza. Ma anche a quel poco, ancora una volta, Lorella si era aggrappata e, nonostante la presa di coscienza della sua grave situazione, la sua tenacia e la sua forza d’animo le permettevano di continuare a lottare, a sperare, a “vivere”. Ricordo ancora quando nei giorni più difficili riusciva

a prendere un treno per venire da voi.Il suo ritorno era sempre carico di stanchezza fisica, ma la sua mente era sempre più lucida e forte.Ed è stato così fino alla fine, con una copresenza di speranza e serena rassegnazione che solo in una donna forte come lei potevano convivere e darle ancora un momento di serenità.Dal letto di ospedale mi invitava a venirvi a trovare per-ché sapeva che anch’io, qualsiasi cosa sarebbe potuta accadere, dovevo essere più forte e preparato.Ma io non volevo lasciarla sola e preferivo rimanere con lei. Sapevo che poi avrei trovato ancora la vostra dispo-nibilità per riprendere un cammino interrotto qualche anno fa.La vostra presenza non è mancata nemmeno negli ultimi momenti e immagino quanto possa averle fatto piacere e averle dato conforto la telefonata di Ada pochi giorni prima del suo passaggio ad altra vita.Perché, al di là delle diverse convinzioni e delle diverse fedi, noi tutti siamo convinti che Lorella un’altra vita, su un altro “luogo” la stia vivendo ancora profondamente in noi, in Francesco, nella nostra casa, nei nostri pensieri.Credo dobbiamo ritenerci fortunati tutti noi che l’abbiamo incontrata, come del resto, devo ritenermi privilegiato io per averla conosciuta ed amata per tanti anni.Vi ringrazio di nuovo per quello che avete fatto per lei e per noi e sono certo che, da dove vive adesso, ve ne sarà per sempre riconoscente.

Un abbraccio,Fabrizio

Manuela Provantini.Psicologa, assistente alle ricerche e alla progettazione delle attività.

Conduce in Associazione il gruppo dedicato ai caregiver:

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Susy ci ha mandato questo suo scritto che riportiamo integral-mente nello spazio delle lettere.Uno scritto così lucido e allo stesso tempo così emotivamente intenso che testimonia quanto sia possibile stare consape-volmente nella vita, anche in condizioni fisiche difficili.

Cara Ada,incontrare persone come voi lungo il cammino della vita è veramente un grande dono. La luce e la traspa-renza dei vostri occhi, l’abbraccio valgono più di mille parole. Grazie ad Attive, che da due anni è parte integrante della mia vita.

La storia del mondo è divisa in due ere: a.C. - d.C. Anche nella mia vita, come in quella di tutte le Attive, c’è questo prima e questo dopo, che il caso vuole siano indicati proprio con le stesse lettere a.c. - d.c. avanti cancro - dopo cancro. Il mio “avanti” è finito il 3 Ottobre 2005. Poi è cominciato il “dopo”.

Da quella data sono passati sei anni, trascorsi quasi tutti facendo chemioterapia. Pochi mesi di inter-vallo fra un ciclo e l’altro. I capelli che cadono, che ricrescono, che ricadono... Non riconoscersi più nel proprio corpo, con quattordici chili in più e soprattutto cambiare dentro, cambiare la scala dei valori e delle priorità mentre quella del mondo che ti gira intorno è rimasta uguale. Un grande senso di solitudine che svanisce quando ci si trova con le Attive. Solo loro sanno come ti senti, solo loro possono capire che cos’è la paura che ti attanaglia, cos’è l’angoscia al pensiero di lasciare solo tuo figlio, che ancora ha biso-gno di te. Loro sanno bene come ci

si sente sole dentro il tunnel della TAC o PET o RM. Solo loro sanno com’è la vita sul “pianeta cancro”.

Questo pianeta nel quale ti trovi catapultata da un giorno all’altro, del quale non conoscevi nulla o quasi, questo pianeta fatto di senti-menti nuovi, persino di odori nuovi, di attese, di speranze, di delusioni, di rabbia, di impotenza...Per me ini-zialmente anche di una grande dose di incoscienza.

Pensavo che tutto si sarebbe risolto con l’intervento e con un ciclo di chemio. Veramente incosciente! Non volevo sapere. Non chiedevo nulla. Volevo credere che sarebbe stata una corsa di 100 metri.

È in una centrometrista che io, per impostazione mentale e caratteriale, mi sono sempre identificata. Con la malattia invece mi sono trovata a dover affrontare una maratona. Una maratona che durerà tutta la mia vita. Non è la morte a farmi paura.

Per citare Seneca “se c’è lei non ci sono io e se ci sono io non c’è lei”. Io ho paura dell’attesa della morte, ho paura della paura e, soprattutto, ho paura che la morte mi trovi già morta dentro. Vorrei riuscire a con-cludere la mia vita terrena mante-nendo la mia capacità di amare, di emozionarmi, di indignarmi, la mia generosità, lo stupore che provo ad ogni primavera quando guardo una gemma inturgidirsi, il calore di amicizie coltivate da decenni, il piacere di intingere i cantuccini nel passito di Pantelleria, davanti al camino acceso. Godere il pro-fumo di pace che invade la cucina quando sforno la crostata, sentire le vibrazioni del mio corpo che segue la musica di Arsen, estrani-armi immergendomi nella lettura di un libro, andare da sola al cinema

gustando tutti i dettagli di un buon film, una passeggiata sui colli pia-centini e fermarsi in un bar a bere un bicchiere di porto. E ancora quel-le belle sane risate fatte al corso di cucina impastando la farina per fare il pane. Vorrei arrivare alla fine essendo ancora capace di emozio-narmi ascoltando la voce struggente di Violeta Parra che canta “Gracias a la vida”. Con questo e tanto altro ancora vorrei che la morte mi tro-vasse. Vorrei che mi trovasse VIVA. Vorrei che la malattia mi temprasse ma non mi indurisse. Qualche volta invece sento dentro di me una durezza che a.c. non conoscevo. Come a.c. non conoscevo il senti-mento dell’invidia.

Ora lo provo nei confronti di chiun-que sia arrivato a concludere il suo ciclo vitale: che sia arrivato a crescere i propri figli, che sia stato al loro fianco fino alla loro indipen-denza e (perché no?) che abbia visto nascere i nipotini. È nell’ordine delle cose andarsene nell’inverno della vita... non lo è in primavera o in estate...

Nel libro “Città invisibili” l’autore, Italo Calvino, fa dire ad uno dei pro-tagonisti: “Due modi ci sono per non soffrire. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è infer-no e farlo durare e dargli spazio”.

Che grande messaggio! Sembra essere indirizzato proprio a noi Attive! In questa direzione io voglio usare le mie energie.

Ci sono due frasi sentite da due Attive che mi hanno illuminata. Nella loro semplicità sono state capaci di

a cura di Ada BurroneLe vostre lettere

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spalancarmi delle finestre su una visione della vita e della malattia che non mi apparteneva. La prima, durante un incontro della Terapia degli Affetti, tutte noi, o quasi, ci stavamo chiedendo i come e i per-ché, il senso della malattia, della nostra vita, del nostro passato.Una parte di noi aveva rimpianti, o si chiedeva il classico: “ma per-ché proprio a me?”. Questa Attiva con la sua vocina sottile ha detto: “che senso ha guardarsi indietro, continuare a porsi domande e fare raffronti?” OGNUNO DI NOI HA LA SUA STORIA. Quella bisogna accet-tare e con quella fare i conti. È un concetto che mi è proprio entrato dentro. Così semplice da risultare persino banale ma così profondo! Non l’ho mai dimenticato. E da allora non c’è giorno che io non pensi: QUESTA È LA MIA STORIA. Qualcuno l’ha scritta per me. Non la posso cambiare. Quello che invece posso fare è il viverla nel migliore dei modi.L’altra frase, che ancora di più mi ha colpita e credo aiutata molto nel cambiare il mio atteggiamento riguardo alla malattia, è stata scrit-ta in una mail. Questa Attiva che scriveva aveva appena terminato tutti gli esami di controllo e voleva condividere con noi del gruppo il sollievo degli esiti abbastanza buoni. Diceva testualmente: “la massa che ospito nel mio pancino si è leggermente ridotta”.

Ha detto OSPITO!!! E la tenerezza verso se stessa nel chiamare il suo addome occupato da un tale ospite PANCINO!!! Ho capito che c’è un altro modo di rapportarsi alla malattia, dalla quale non si può prescindere e pertanto la si può, in un certo senso, accettare come parte di noi. Parte della nostra sto-ria. Grazie Attive. Vi sono debitrice. Vorrei tanto che la mia testimo-nianza riuscisse ad aiutare qualche Attiva, come voi avete fatto con me.

A questo punto della mia storia, quando ormai nessun medico mi parla più di guarigione, quando ho provato praticamente tutti i farmaci

a disposizione senza alcun miglio-ramento, per caso (?) mi è capitato di sentire parlare di un libro dal titolo “Guarigioni straordinarie. Quando il corpo guarisce se stesso”. (Caryle Hirshberg - Marcian Ian Barasch ed. Mondadori). È tra l’altro introvabile in tutte le librerie a cui mi sono rivolta e ho dovuto ordinarlo via internet. È un libro che, a mio avviso, dovrebbe essere usato in tutte le facoltà di medicina. È un testo che documenta un fenomeno che la medicina ignora completamente. I casi descritti sono sconcertanti quanto inspiegabili dalla scienza. Qual era stata la cura miracolosa? La risposta che danno questi due medici è: “in loro stessi, il medico che aveva fatto il miracolo era... il loro corpo. [...] Con un potere che, coinvolgendo il nostro sistema corpo-mente-spirito, è in grado di rispondere all’attacco della malattia”. Io credo in questo e avrei voglia di gridare a tutti i medici del mondo: “perché ignorate questi casi? Perché? Perché non studiare quella PERSONA nella sua interezza e non solo la malattia di quella persona?”. “Questi casi di remissione spontanea costituiscono un tesoro inestimabile, fonte di indizi vitali per una possibile cura del male. Ignorare le guarigioni straordinarie è un peccato di man-canza di immaginazione. La natura grida: ‘qui giace un tesoro. Scava e lo troverai!’”. Perché non potrebbe essere questa la strada da percorrere, la vera rivoluzione? Tu stessa, Ada, fai parte di questa casistica. Dovresti essere inserita in questo libro!Quanto tempo dovrà passare perché la medicina, la scienza in generale, arrivi a tale rivoluzione? Mah! Intanto io continuo a leggere “Guarigioni straordinarie” e poi si vedrà... domani è un altro giorno...

Ti abbraccio Ada. Con tanto affetto.

Susy.

Sant’Angelo Lodigiano.

Per i vostri quesiti vi ricordiamo i nostri recapiti: ATTIVEcomeprima via Livigno, 3 - 20158 Milano Tel 026889647 mail: [email protected] Per parlare con Ada potete telefonare il lunedì e il mercoledì dalle h. 14,00 alle h. 17,00.

Informazioni utili:Cara Ada, è con grande orgoglio e soddisfazione che desidero condividere un nuovo, importante risultato normativo che abbiamo ottenuto per la tutela dei diritti del malati di cancro in ambito lavorativo ai quali sia stata riconosciuta un’invalidità superiore al 50%. ElisabettaIl Consiglio dei Ministri lo scorso 9 giugno 2011 ha approvato in via definitiva il decreto legislativo delegato in attuazione dell’articolo 23 del collegato lavoro (legge 4 Novembre 2010, n.183) di  “delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi”, sollecitato per lungo tempo dall’AIMaC (Associazione Italiana Malati di Cancro). La novità più rilevante è il richiamo e la riconferma del diritto al Congedo per cure per gli invalidi. A sancire il diritto del malato di cancro a curarsi mantenendo la retribuzione e la possibilità di affrontare con serenità le fasi critiche della malattia è l’Art. 7 del decreto: i lavoratori mutilati e invalidi civili, cui sia stata riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa superiore al 50 per cento, potranno fruire ogni anno, anche in maniera frazionata, di un con-gedo per cure per un periodo non superiore a trenta giorni. La disposizione di legge, inoltre, chiarisce che durante il periodo di congedo, il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. In più, il decreto sancisce che la necessità della cura in relazione all’infermità invalidante riconosciuta, risulti espressamente dalla domanda del dipendente interessato, accompagnata dalla richiesta del medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica. Si riconosce, inoltre, che tale congedo non rientra nel periodo di comporto. E questo vuol dire in sostanza che il posto di lavoro è tutelato per un lasso di tempo più lungo. Un risultato, ottenuto grazie all’impegno di AIMaC, che rappresenta il cambiamento epocale in quanto incide sulla qualità della vita del malato, migliorando le condizioni di tutela per i 2 milioni di cittadini che ogni giorno combattono il cancro e che convivono con questa malattia assistiti con amore e dedizione dai loro cari”.

Avv. Elisabetta IannelliSegretario Generale FAVOFederazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia www.favo.it V. Presidente AIMaC Tel. +39 06 4825107 www.aimac.it

Tra medico e paziente

Il giusto pesoIn una ancor fredda mattina di fine febbraio, Paola Bertolotti ed io, ci siamo recati di buon’ora alla sede dell’AISLA per incontrare il suo Presidente, Mario Melazzini. Non si può non notare il sorriso, la calma, i modi gentili e accoglienti delle persone che lavorano con lui. D’altra parte queste sono qualità umane dello stesso Presidente che conosciamo da tempo e abbiamo subito pensato che le persone intorno a lui non potessero essere diverse. Ci attendeva nel suo studio, dove era già al lavoro seduto alla scrivania; una stanza luminosa, computer, documenti, tutto in perfetto ordine.“Accomodatevi...”, un sorriso, uno scambio di parole, i saluti da parte di Ada e degli amici di Attive e via... accendiamo il registratore...

Prof. Melazzini cosa le ha fatto pensare che il metodo di lavoro di Attivecomeprima potesse essere utilizzato anche per i suoi pazienti malati di SLA?Quello che mi ha colpito, prima di tutto, è stato il clima che ho trovato entrando ad Attivecomeprima, un clima estrema-mente aperto all’altro e disponibile. Ma ho trovato anche molta competenza riguardo ai temi dell’oncologia e particolare attenzione nel mettere al centro i bisogni della persona.Ha stimolato la mia curiosità come medico, ma anche come persona malata, portatore di un bisogno, vedere quanto sia forte la volontà di far partecipe la persona, di renderla protagonista, insieme ai suoi famigliari, nel percorso di elaborazione del suo vissuto. Nella SLA, una delle grandi criticità che si sta cercando di superare è proprio la posizione del paziente, che subisce passivamente non solo la malattia, ma anche tutte le problematiche che ne conseguono e che ricadono a cascata sui famigliari.Quindi, un lavoro che aiuti a vivere in modo diverso e a riprogrammarsi la vita indipendentemente dalla malattia, ad essere protagonista della propria quotidianità, mi ha incuriosito e stimolato.Noi medici parliamo spesso della presa in carico totale del malato, però devi avere anche gli strumenti di cura per poterlo

fare e quello che ho visto nel vostro gruppo è un vero e pro-prio strumento di cura, un ulteriore strumento per far sì che il paziente si senta realmente preso in carico, mai abbandonato. Condividere non solo con professionisti ma anche con altri malati, altri famigliari, il percorso di una malattia che a prima vista ti toglie tutto e che sembra impossibile coniugare ad un poter continuare a vivere, ti porta a sperare invece che tutto ciò sia possibile. Diciamo che fino a non molto tempo fa, ci si faceva carico della malattia piuttosto che tenere in conto la persona. Non dico che si debba vivere dalla mattina alla sera le problemati-che del paziente, però sarebbe bene ricordarsi che quest’ulti-mo è prima di tutto una persona e non solo una malattia.Intendo il prendersi carico di una persona nel senso che, verso di lei, ho delle responsabilità da condividere, quindi significa iniziare insieme quel percorso che ti può far ritornare o a un recupero totale della tua normalità o a una riprogram-mazione di una nuova normalità, anche con la malattia.

Come dire che è necessaria una presa in carico reale della persona e non un atto solamente burocratico e che il prendersi “cura”, l’ascolto, dovrebbero diventare parte integrante della terapia della malattia.Assolutamente si, quando si parla di umanizzare la cura ci si riferisce proprio a questo: prendersi cura nel senso di avere il tempo per parlare, ma soprattutto per ascoltare e avere l’opportunità di fare quel percorso che a volte non è solo fatto di tecnicismi, ma anche di empatia e condivisione. Questo darebbe la possibilità di “tagliare su misura” della persona anche le prescrizioni.

Quali sono i principali bisogni che raccoglie dai suoi pazienti?Fondamentalmente sono due: chi è malato di SLA si chie-de, di primo impatto, se ci sarà una terapia e a che punto è la ricerca, perché il suo pensiero è quello di guarire.Parallelamente c’è l’altro bisogno che nasce dalla non conoscenza dell’ostacolo, di quel muro che si è parato davanti: “dove andrò a finire, cosa mi succederà?”. C’è un profondo bisogno di informazioni, di sentirsi dire dal medico non tanto quello che ogni malato vorrebbe sentirsi dire, cioè “stai tranquillo, vedrai che guarirai, vai avanti lo stesso”, ma piuttosto che se ci sarà un problema ci sarà anche il rimedio, che lo si troverà insieme.Non è che io, neurologo, ti dico: “tu hai questa malattia,

Star bene non vuol dire non avere malattia e questo, culturalmente, porta ad una visione della vita come un processo in continua evoluzione.

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tu hai la SLA e punto”.Perché questa persona va a casa, cerca di sapere qualcosa sul motoneurone e scopre che arriverà a un punto dove non respirerà, non mangerà, non berrà. Va in paranoia totale. Il bisogno fondamentale è questo: conoscere, essere informato, ma con informa-zioni più personalizzate.Nel senso che può darsi che la tua malattia non ti faccia più parlare, deglutire, respira-re, ma non possiamo sapere

quando accadrà, se tra 5 mesi o 5 anni.Quello che io medico posso dirti è che, se ti dovesse succede-re, ci sono gli strumenti per poter intervenire, se lo vorrai e se decidi di partecipare attivamente al tuo percorso di malattia, valutando insieme quelle offerte, a te più congeniali, che la scienza potrà mettere a disposizione. Questi sono i due bisogni fondamentali che raccolgo: uno che riguarda gli aspetti puramente tecnici e scientifici della malattia, l’altro che esprime la necessità di essere rassicurato che, qualsiasi cosa potrà succedere, il medico non lo lascerà a sé stesso, ma sarà al suo fianco.Noi vediamo delle assurdità, dei malati che arrivano al Nemo ai quali è stato detto: “lei ha la SLA, ci vedremo trimestral-mente. Per valutare la funzione respiratoria vada dal pneu-mologo, se ha disturbi di deglutizione o di digestione vada a sentire il nutrizionista”. Vada, faccia.... Paradossalmente abbiamo pazienti bulbari, quindi quelli che camminano ancora bene ma che hanno una disfagia importante e che rischiano di andare incontro a una polmonite ab ingestis [polmonite causata dal passaggio di cibo o di succhi gastrici nelle vie respiratorie, dovuto a una disfunzione della deglutizione (ndr)], una condizione che porta a far precipitare il quadro della funzione respiratoria. Si trovano così in pronto soccorso, intubati. Il problema è che poi è difficile svezzare il paziente bulbare dal tubo, perché il bulbo non accetta più le informazioni per far funzionare il diaframma. Succede così che al paziente viene proposta la tracheostomia e, dalla sera alla mattina, il paziente si trova in una situazione della quale non era stato informato e che non aveva potuto elaborare precedentemente. Sono i malati e i famigliari i più arrabbiati, contro tutto e tutti. Invece ci sono pazienti bulbari che col timing giusto vanno incontro alla PEG [Gastrostomia Percutanea Endoscopica: consiste nel posizionamento, attraverso la parete anteriore dell’addome, di una sonda nello stomaco, attraverso la quale la persona potrà alimentarsi (ndr)] e vanno avanti anni prima di avere bisogno di un supporto meccanico ventilatorio. Quindi quando ci troviamo di fronte ad atteggiamenti molto

negativi del paziente o del famigliare, nel 90% dei casi la colpa è di noi medici, perché devi pensare prima al bene del paziente e poi a quello del medico. Se fai solo il tecnocrate incappi in questi sbagli.

Si può pensare che questo atteggiamento da tecnocrate sia una difesa dalla paura e dal senso di impotenza di fronte a una situazione clinica che, molto probabilmente, è destinata a peggiorare.È così, l’ho vissuto su di me e non mi ero mai fermato a riflet-tere su questo, ma è proprio vero: il medico si scontra con il senso di impotenza e c’è un atteggiamento ambivalente. Ci sono quelli che, è brutto dirlo, si compiacciono di poter curare queste persone che purtroppo non hanno terapia, ma allo stesso tempo hanno paura di non poter dare di più quan-do viene chiesto loro, sia dal punto di vista tecnico, ma anche emotivo e così si nascondono dietro al ruolo.Anche nel mio caso, quando mi diagnosticarono la malattia, un clinico molto importante, che io stimo tantissimo, mi disse “Melazzini lei ha la SLA e io mi fermo qui”. Certo forse ha pensato: “è un medico, quindi sa”, ma in quel momento aveva davanti a sé una persona che magari conosceva la malattia, ma non propriamente quello che significava. Quindi si pensi cosa può scatenare in una persona sentirsi dare una diagnosi di una malattia così ... e vedere il medico che “si ferma lì”.

In un’ intervista lei parlava della dignità come di un carattere ontologico dell’essere, un po’ come lo è la speranza per Franco Fornari.In una situazione come quella di cui parlava, nella quale il medico ha poco da offrire in termini di terapia risolu-tiva, rispetto ad altre situazioni in cui c’è tantissimo da offrire come nell’oncologia, quali sono i contenuti della speranza nel quotidiano? Da cosa è alimentata?Grazie a questo confrontarmi nel quotidiano con persone che hanno questa condizione di malattia inguaribile e poco curabi-le, ho rimodulato un po’ la definizione di speranza. Noi medici, nella veste di ricercatori, nell’attivare la nostra progettualità diamo alla speranza una dimensione concreta. Vediamo e crediamo che facendo una determinata cosa si arrivi ad un obiettivo. In questo senso, la speranza la posso anche misurare attraverso gli indicatori che ho a disposizio-ne e in base ai risultati raggiunti. Noi ricercatori dovremmo riuscire a traslare questa nostra motivazione, che è anche entusiasmo, nella nostra quotidianità. Perché, se la ricerca per i nostri malati è speranza, per noi malati diventa vita. E quindi la speranza diventa, essa stessa, uno strumento di cura. Da tempo ho fatto mia la definizione di un collega americano, l’ematoncologo Jerome Groopman che ha scritto il libro “Anatomia della speranza” [Ed. Vita e Pensiero, Milano, 2006 (ndr)], in cui la definisce così: “quel sentimento confortante che provo quando vedo con l’occhio della mente quel cammino che mi può condurre alla condi-zione migliore”. Ecco perché la speranza ha un carattere

A Mario Melazzini, 52 anni, oncologo medico, nel 2002 è stata diagnosticata la SLA.Direttore dell’Unità operativa di Day Hospital Oncologico della Fon-dazione Maugeri IRCCS di Pavia, Presidente nazionale dell’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi La-terale Amiotrofica), Direttore scien-tifico del Centro clinico NEMO per la ricerca e la cura delle malattie neuromuscolari (Azienda Ospeda-liera Niguarda, Milano), ha avviato, con Attivecomeprima, un progetto di supporto per pazienti colpiti da SLA e per i loro famigliari.

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ontologico, perché ce l’abbiamo dentro. Però, se da un lato deve essere motivata dallo stesso individuo, dall’altro deve essere alimentata gettando legna secca su quel fuoco; e la legna secca rappresenta chi ti è vicino, chi ti cura, chi si fa carico di te. E questa non è illusione...

Quindi ai suoi pazienti dà speranza comunicando la sua presenza, il suo esserci per loro, oltre ovviamente facendo sentire che sono curati al meglio.Si, poi soprattutto sono convinto che la speranza e la dignità siano due cose che vanno a braccetto. Noi operatori, quando visitiamo i nostri pazienti, quando parliamo con loro e con i famigliari dovremmo avere il coraggio di guardarli negli occhi perché, come dice quel libro di Groopman: “la dignità la dà l’occhio del curante ed è uno sguardo bidirezionale che dà dignità anche all’operatore che così si arricchisce di un dare e di un avere”. Queste sono tutte, secondo me, quelle piccole cose alle quali noi non diamo attenzione, o meglio, che non valorizziamo. E non è un atteggiamento paternalistico, è veramente quella “compassione”, nel senso di una condivisione, che diventa quell’elemento in più che dà speranza e dignità. Poi, per carità, vorremmo avere la ricetta, la formula magica per salvare tutti, ma bisogna stare con i piedi per terra. Oggi la nostra scienza medica fa e farà delle cose incredibili, ne sono certissimo, però non dimentichiamoci che tutto è rivolto a una persona e non solamente a una soddisfazione personale finalizzata a trovare il rimedio che ti farà vincere il Nobel. Nel frattempo le persone devono essere seguite e curate; oggi noi parliamo di nano-tecnologia e perdiamo di vista quelle che sono le cose talmente macroscopiche, pur nella loro piccolezza, alle quali non si dà più attenzione. E tra queste c’è l’attenzione alla persona.

Certamente, perché si dice sempre che l’obiettivo della medicina è quello di guarire, ma la guarigione è solo uno dei possibili risultati del suo operato perché il suo operare è molto più ampio. Lei si sente diverso come medico, oggi?Si, e non è una risposta dovuta.Ci sono tre aspetti, il primo è che ora, a 52 anni, mi rendo conto della fortuna che ho avuto ad approcciarmi alla professione del medico, una fortuna forse dettata dalla gran passione che avevo e che continuo ad avere. Dal punto di vista medico, ho capito che si può fare una buona medicina anche da medici del 2000, in modo diverso, cioè con l’attenzione alla persona; e non è “me-dicina alternativa”... Quando il paziente viene da noi, il compito è quello di risolvere i problemi che porta, perché sicuramente viene per quello; ma nel contempo devi avere quell’attenzione che va al di là della condizione patologica per la quale il paziente è venuto da te.E infine l’altra cosa è che con i miei colleghi al NEMO discutiamo degli eventuali approcci cercando sempre

di personalizzarli, chiedendoci se a questa persona può andare bene questa cosa, non perché lo dicono le linee guida. Bisogna cercare sempre di tenere conto, indipen-dentemente dalle competenze scientifiche, di una perso-nalizzazione del percorso, della necessità che venga calato nella realtà del singolo.

C’è un altro aspetto che in questa patologia è ancora più acuto che in altre: il problema del tempo. Il tempo della malattia vissuto dalla parte del paziente e il tempo della cura vissuto dalla parte del medico, non coincidono sempre...Ho riflettuto su questo, per esempio quando la mattina parto per il giro visite con tutta la squadra. Noi non sappiamo quanto vogliono o non vogliono sapere quelle persone che sono nel letto e che però sono in attesa che tu dica qualcosa. Passi del tempo con loro, spesso dimenticandoti di quella grande vulnerabilità e dipendenza che il paziente ha nei confronti del medico o anche dell’infermiere, perché in quel momento è molto più fragile.Quando fai il giro vai in stanza, chiedi come va o come non va; poi ti giri e parli con i colleghi, con la caposala per dire cosa deve fare; poi dici “buongiorno” ed esci perché devi passare alla stanza successiva. Quello è il tempo concesso. Non dico di passarci un’ora, ci puoi stare se è necessario, ma non è possibile valutare l’efficienza in base ai numeri che produci. Ormai si lavora sulla produttività e sul numero di pazienti che vedi. Non è possibile, perché questo va a scapito prima di tutto della qualità tecnica e, secondo, a svantaggio del paziente, al quale non dai nulla e sfido chiunque a dimostrare il contrario. Come medico puoi dire che gli hai dato il ciclo di terapia perfetto, ma non è solo quello. È lo sguardo che passa, l’atten-zione che gli comunichi. Certo, noi medici siamo uomini, con i nostri limiti, ma in quel momento non è che stiamo facendo altro, è questa la nostra missione.

Quando la persona viene messa al centro delle attenzioni della medicina cambia il significato che si da al “vincere la malattia”?Vincere la malattia assume un significato, in questo modo, più ampio. Vuol dire riuscire a vivere con la malattia dandole il giusto peso, né sottovalutandola, né sopravvalutandola. Non è convivere con la malattia, né sopravvivere alla malattia, ma è condividere con la malattia un percorso di vita che va ri-programmato in base ai limiti che la malattia stessa ti propone.Credo che questo esprima una definizione nuova di medicina e di uomo-malato. Star bene non vuol dire non avere malattia e questo, culturalmente, porta ad una visione della vita come un processo in continua evoluzione e che si può adattare

anche intorno a una condizione di malattia.Per questa intervista, nelle quale ha parlato sia la voce di un medico attento e sensibile sia quella di un malato che testimonia ogni giorno il piacere di vivere, grazie Dottor Melazzini!

Alberto Ricciuti. Medico di medicina generale.Responsabile in Associazione del Supporto di Medicina Generale durante la chemioterapia.

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Tra le parole che intercorrono tra chi è malato e chi offre la cura nessuna è più pesante di quella che addossa la colpa al malato stesso. “Malato? Sei colpevole!”. Sembrerebbe una storia vecchia, da relegare nelle fasi più arcaiche della cultura. Sappiamo con quanto vigore nella tradizione ebraico-cristiana si è cercato di distan-ziarsi dalla rappresentazione semplicistica secondo cui il malato è punito nel corpo per le sue colpe: era la tesi degli “amici teologi” di Giobbe e anche quella dei rabbini che, ponendo il cieco nato di fronte a Gesù, gli chiedono se avesse peccato lui o si suoi genitori per essere nato cieco (Giov. 9,2). Se nella visione religiosa la malattia è “segno”, lo è di qualche cosa d’altro, non della colpa di chi ne è colpito. Ma non è così semplice liberarsi della terribile associazione tra male fisico e senso di colpa. Talvolta è evocata dal malato stesso con la domanda: “Che cosa ho fatto per meritarmi questo?”. Le agenzie colpevolizzanti nella nostra cultura non sono primariamente quelle religiose, ma laiche. Per esempio il pensiero psico-somatico. È lucidissima l’analisi che la scrittrice Susan Sontag ha dedicato alle spiegazioni psicologiche del cancro: “Le teorie psicologiche della malattia sono un mezzo poderoso di gettare la colpa sul malato. Spiegare ai pazienti che sono loro stessi la causa, involontaria, della propria ma-lattia significa anche convincerli che se la sono meritata” (S. Sontag: “Malattia come metafora”). Silvia Bonino, una docente di psicologia che ha

scritto un libro sulla malattia che l’ha colpita, considera non concluso il compito culturale di contrastare le colpe-volizzazioni del malato che si ammantano di psicologia. Ricorda una donna che combatteva faticosamente contro un cancro, assalita da un’angoscia profondissima quando un’assistente sociale la sollecitava a interrogarsi per capire “perché se l’era fatto venire” (S. Bonino, “Mille fili mi legano qui. Vivere la malattia”).La colpevolizzazione si presenta come una seducente scorciatoia per rispondere alle domande che ci poniamo sulla malattia. Può darsi che dia le risposte che amiamo ascoltare. Ma le domande non sono quelle giuste. Dal piano delle cause “perché?” dobbiamo spostarci verso quello dei fini “per che cosa?”; allora anche la malattia può dischiudere un orizzonte di crescita umana. La vita con la malattia sarà diversa dalla vita senza ma sarà ancora vita; la sfida consiste nel far sì che sia anche migliore. Siamo riluttanti ad accettare il cambiamento che ci viene richiesto. La strategia più diffusa per aggrapparci al passato è proprio quella di continuarci a chiederci “perché?”. Dobbiamo resistere ai tanti colpevolizzatori volontari, di-sposti a darci una mano quando ci mettiamo alla ricerca

delle nostre presunte colpe che avrebbero provo-cato la malattia. Il vero salto di qualità comincia quando cambiamo registro voltando le spalle al passato, ci rivolgiamo al futuro: “così è”. Ora, che aspetto potrà assumere la mia vita?

La medicina che ci aspettiamo

Sandro SpinsantiDirettore Istituto Giano - Roma

Malattia senza sensi di colpa?

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Nel labirinto del supermercato

Nutrire il benessere

Per prima cosa andiamo a fare la spesa a stomaco ben pieno, perché altrimenti acquisteremo troppo e male.Poi usciamo dalle accattivanti offerte e dagli slogan pub-blicitari e vediamo di acquistare qualcosa che soddisfi per primo il nostro cervello e poi la nostra gola.Quindi, prima di mettere qualcosa nel carrello, leggiamo attentamente le etichette che avvolgono i vari alimenti, perché ci forniscono molte le informazioni su un prodotto. È l’insieme delle indicazioni, dei marchi di fabbrica, delle immagini e dei simboli che si riferiscono al prodotto ali-mentare. Una specie di carta di identità che ci permette di scoprire cosa stiamo per acquistare e di capire se chi vende un certo prodotto ce la sta raccontando giusta. Ma dobbiamo leggerla tutta e molto attentamente. Infatti, se ci fermiamo a quanto c’è scritto in grande vici-no al nome del prodotto, potremmo acquistare qualcosa

di molto diverso da quello che crediamo.Ad esempio, da poco è arrivata alla mia attenzione l’etichetta di una insalata di pesce... gli ingredienti sono: imitazione di code di gambero, acqua, amido di fru-mento, zucchero, sale, olio di palma, amido si soia e di tapioca, carbonato di calcio, E170, aroma di gambero e aroma di aragosta, insalata mista.Ma davvero voi comprereste una cosa così?!? O la acquistiamo solo perché la scritta “insalata di pesce” ci evoca qualcosa di sano?Allora inforchiamo gli occhiali e leggiamo almeno gli ingredienti, sapendo che il primo riportato è quello presente in maggiore quantità e poi via via a ridurre man mano che si scorre la lista.Leggiamo allora cosa c’è, ad esempio, nei cibi “senza zucchero”. Comunemente per zucchero si intende il sac-

Entrando in un supermercato la scelta dei prodotti è davvero impressionante. Cosa si può scegliere in questo mondo di odori, sapori e colori così variegato?

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carosio (cioè quello utilizzato in cucina) che è sicuramen-te assente... ma allora con cosa danno il sapore dolce a questi cibi? Forse con cose naturali?Ed ecco che capovolgendo la scatola tra gli ingredienti compare la scritta: “sciroppo di glucosio” o “maltosio” o “destrosio”: tutti ingredienti che fanno ingrassare, quasi più dello zucchero, nel caso foste tentati di acquistarli per perdere un po’di peso, ma, quello che è peggio, è che sono tutti ingredienti che alzano velocemente la glicemia (perché contengono glucosio), quindi assoluta-mente non consigliati a chi soffre di diabete o ai pazienti oncologici... ci avevate mai pensato? Ma se il dolcificante fosse lo “sciroppo di fruttosio” sappiate che, se anche nell’immediato non alza la glicemia, alla lunga fa pro-durre trigliceridi in eccesso e fa ingrassare. Cerchiamo invece, attraverso l’etichetta, un cibo realmente senza zucchero dove la parte dolce viene dalla natura stessa (come ad esempio dal succo di mela o succo d’uva).Per quanto riguarda i grassi, ormai tutti sanno che i gras-si idrogenati sono composti industriali di sintesi derivati da grassi insaturi (che proteggono le arterie), che per modifiche chimiche si trasformano in grassi saturi (che aumentano il rischio di patologie cardiovascolari e non solo) e grassi in configurazione trans, che sono tra i nu-trienti più correlati al rischio di malattie cardiovascolari. Il loro consumo riduce i livelli di colesterolo HDL (buono) e alza quelli di LDL (cattivo), altera la permeabilità e la fluidità delle membrane cellulari ed è causa di insulino-resistenza e, inoltre, favorisce la produzione di radicali liberi. Tutti effetti negativi per l’organismo. Per evitare questi grassi bisogna controllare che, tra gli ingredienti scritti sulle etichette, non compaiano: olii vegetali idroge-nati e parzialmente idrogenati, grassi vegetali idrogenati

e parzialmente idrogenati, margarina (che è la stessa cosa). Per educare l’industria alla trasparenza evitiamo anche i prodotti su cui è scritto “grassi non-idrogenati” perché non sappiamo cosa ci stanno facendo mangiare. È meglio acquistare quei prodotti in cui è scritto in modo chiaro ogni ingrediente. Così è possibile scegliere di non mangiare olio di colza (che è composto, tra gli altri, di un grasso che forma placche alle coronarie, l’acido erucico) o di palma (che contiene molti grassi saturi del tutto simili a quelli del burro) o olii di semi vari (che non saprei effettivamente cosa contengono). Certo, se un produttore utilizza olio extravergine di oliva, ha tutto l’interesse di scriverlo in etichetta e allora acquistiamo quel prodotto! Poi diamo un’occhiata agli “additivi”, sostanze che ven-gono aggiunte al cibo per prolungarne la conservazione (conservanti), per prevenire i fenomeni di irrancidimento (antiossidanti), per migliorarne l’aspetto, il colore e il sapore (coloranti, addensanti, emulsionanti, dolcificanti, esaltatori di sapidità e adiuvanti), che comprendono tutti quei nomi strani che solitamente non si sa cosa siano o dei numeri preceduti dalla lettera E. Più ce ne sono e di peggior qualità è la materia prima utilizzata perché hanno dovuto modificarla molto per ren-derla buona da mangiare. Inoltre, alcuni additivi possono causare problemi alla salute specialmente se mangiati per lungo tempo. Pensate solo che in commercio ci sono bevande o sciroppi dove l’unico ingrediente naturale è l’acqua tutto il resto sono aromi ed additivi... il cibo artificiale cerchiamo di rifiutarlo...E ora rileggete gli ingredienti dell’insalata di pesce scritti sopra...secondo me vi sembrerà più immangiabile di quanto non vi sia sembrata ad una prima lettura... io vi consiglio invece di provare le ricette di Angela.

Anna VillariniBiologa specializzata in scienze dell’alimentazione

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Le ricette di Angela(Foto 1) Fare bollire 1/2 litro d’acqua con un po’ di sale. Raggiunto il bollore togliere dal gas e aggiungere il cuscus con 2 cucchiai di olio d’oliva e lasciare riposare per 20 minuti circa - coperto. Scoperchiare e sgranare con una forchetta o con le mani il cuscus.Togliere le verdure a dadini e le zucchine a mezzaluna.

(Foto 2) Soffriggere ogni verdura in padella con un cucchiaio di olio e aggiungere al cuscus.In una padella, con un cucchiaio di olio, fare appassire lo scalogno, aggiungete il pesce tutto

(Foto 3) tagliare a tocchetti e cuocere per un paio di minuti. Incorporare del timo e il finocchietto tritati, una maci-nata di pepe e aggiungere del sale.Fare delle tortine di cuscus e servire con il pesce sopra.Spolverare con del prezzemolo tritato.

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Pasta di farro alle verdure

Ingredienti: 250 gr. pasta di farro 1 cipolla a tocchetti 1 carota a dadini 1 gambo di sedano

a dadini 1 zucchina a dadini

o a rondelle olive nere snocciolate

e tagliate a rondelle olio extravergine

d’oliva 1/2 limone 1 pizzico di sale

Cuscus con verdure e pesce

Ingredienti:1/2 kg. cuscus

semi-integrale1 carota1 cipolla bianca2 zucchine1/2 Kg misto pesce

(gamberetti, seppioli-ne, calamari, salmone, coda di rospo e altro)

olio extravergine d’oliva

1 manciata prezzemolo tritato

4 scalognisale q.b.timo e finocchietto

Angela Angarano Assistente cuoca nella ricerca Diana

Foto GiòArt

(Foto 1) Far saltare le verdure in padella con poco olio.

(Foto 1) Setacciare la farina di castagne.Mettere a bagno l’uvetta.In un recipiente mettere la farina setacciata, 2 C. di olio extravergine, il 1/2 litro di acqua,1 pizzico di sale e mescolare fino ad avere un impasto morbido ed omogeneo.Aggiungere l’uvetta ammollata e i pinoli.

(Foto 2) Cuocere la pasta al dente, scolarla e unirla alle verdure. Aggiungere le olive a rondelle, un po’ d’olio e il limone spremuto.

(Foto 2) Ungere una teglia di 24 cm. di diametro con un po’ d’olio ed irrorare il composto della farina di castagne. Decorare con degli aghi di rosmarino e un po’ d’olio.

(Foto 3) Variante. Aggiungere delle altre verdure a seconda della stagione (cavolfiore, zucca, broccolo romano, ecc...)

(Foto 3) Riscaldare il forno a 180° e infornare la teglia per 45 minuti.Poi tagliare a spicchi e servire.

Castagnaccio Torta di farina di castagne

Ingredienti: 350 gr. farina

di castagne 1/2 litro di acqua 50 gr. di pinoli 50 gr. di uvette 1 rametto

di rosmarino 3 C. olio extravergine

d’oliva (q.b.) 1 pizzico di sale

Le ricette di Angela

Ho conosciuto Attivecomeprima circa un anno fa, quando ho trovato un cofanetto di opuscoli intitolato “La forza di vivere” sulla scrivania di una delle psicologhe che lavorano al Servizio di Psicologia dell’Istituto Tumori di Genova insieme a me. Presa dall’entusiasmo di parole così belle, ho cominciato ad informarmi sull’associazione es-plorando il suo sito. Quando ho visto qual era l’approccio, il modo di lavorare e i servizi offerti, dentro di me mi sono detta: “Ecco! Questo è proprio il modo in cui io intendo il concetto di “prendersi cura di una persona”: a 360°”. Mi chiedevo (e mi chiedo ancora) perché sia così difficile riproporre un modello di questo tipo in tutti gli istituti, ospedali e in qualunque posto ci si prenda cura di un paziente oncologico, perché sia così difficile far passare un’idea che in realtà dovrebbe essere così scontata.Da un anno a questa parte, a contatto con la realtà dei servizi sanitari, con quel loro essere spenti e senza vita, ho visto lentamente, ma inesorabilmente, decrescere il mio entusiasmo, cominciando a riconsiderarlo sot-to un’ottica diversa da quella iniziale: forse era stato semplicemente il frutto delle mie manie di grandezza e di onnipotenza. Non è facile cambiare le cose, non è facile cambiare il modo in cui funziona un sistema, e chi sono io, alle prime armi, senza esperienza, senza molte

competenze e senza alcun tipo di potere, per pensare di poter fare qualcosa in quella direzione?E così nell’ultimo periodo di lavoro ero molto demotivata e forse anche un po’ rassegnata; non credevo più di poter dare davvero qualcosa ai pazienti che incontravo.Beh, devo dire, con mia sorpresa e piacere, che mi è bastata una mezza mattinata di corso per cambiare idea e ricaricarmi di voglia di fare! Era da tempo che non vedevo delle persone parlare con tanta passione ed en-tusiasmo, persone capaci poi di trasmettere e infondere tali sentimenti agli altri.Io non so che cosa ci sia in questo posto, cosa abbia di diverso l’aria che si respira, fatto sta che entrare dentro la sede dell’associazione mi ha dato la sensazione di entrare in un’oasi di tranquillità e di calma, in mezzo al traffico di Milano e alla frenesia del quotidiano. Quello che trasmettono le mura di quel posto non è descrivibile a parole, ma appena entrata ho sentito “quel qualcosa” che non saprei definire.L’intervento introduttivo di Ada ci ha messo tutti nello spirito giusto per cominciare e, successivamente, i relatori sono stati in grado di coinvolgermi non solo a livello cognitivo, ma anche a livello emotivo. La capacità di far provare delle emozioni non è assolutamente comune tra i medici quando parlano di pazienti oncologici, o almeno queste sono state le mie esperienze fino ad ora. Questo messaggio è passato forte e chiaro: parlando del paziente, si parla del suo organismo fisico, delle terapie che deve fare, ma anche delle sue emozioni, dei suoi pensieri, della sua alimentazione, della sua vita nel quotidiano e pure della sua spiritualità. E tutte queste cose sono strettamente interrelate: per com-

Mini MasterMentre stiamo organizzando la terza edizione del Mini-Master rivolto agli oncologi, che si terrà nel 2012, ci perviene un commento “a caldo” di una partecipante. Ne vogliamo condividere una parte con voi.

Cultura e formazioneAttività formativa e progettuale 2012:• Mini-Master per oncologi

e altri medici che lavorano in ambito oncologico (accr. ECM).

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prendere il paziente non si può affrontare un aspetto senza affrontare gli altri.Sono stati illustrati inoltre concetti di base per costruire un’équipe terapeutica che sia veramente funzionante. Troppo spesso è proprio il concetto di équipe ad essere frainteso. Infatti, se per équipe si intende semplicemente il mettere in una stanza diversi professionisti che lavora-no con un paziente, ognuno focalizzato esclusivamente sulla sua parte specifica di competenza, scambiandosi informazioni, ma senza comunicare veramente, in realtà non si sta facendo nulla di diverso dal lavorare singolar-mente. Il paziente resta comunque suddiviso “a pezzetti”. Perché ci sia un’équipe che funzioni davvero è necessa-rio fare un salto di qualità, acquisire una consapevolezza diversa del paziente e del lavoro in gruppo, cambiare ottica, cambiare visione.Bisogna fare in modo che tutti i professionisti lavorino insieme in modo integrato. Lo psicologo all’interno di un’équipe multiprofessionale può fare molte cose: aiutare i medici a riflettere sul bisogno di mettersi in rela-zione con il paziente, sensibilizzarli circa gli aspetti psico-logici, emotivi e cognitivi che necessitano di essere presi in considerazione, lavorare con loro sul miglioramento delle strategie comunicative e molto altro. Ciò che lo psicologo non può assolutamente fare è sostituirsi al me-dico per quei compiti che il medico (alcuni medici) non ritiene importanti o strettamente necessari. Lo psicologo infatti non può sostituirsi al medico nella comunicazione e nella relazione con il paziente. Queste due componenti non possono essere vissute dal medico come una za-vorra, un peso di cui eventualmente liberarsi, affidandole a qualche altro professionista, ma piuttosto come parte fondamentale e integrante della cura.Per dirla attraverso una metafora, l’équipe dovrebbe essere come una squadra di calciatori: ogni giocatore ha

il suo ruolo e ogni giocatore conosce qual è il ruolo degli altri. Tutti seguono lo stesso schema condiviso e le stes-se strategie di gioco per arrivare ad un obiettivo comune: fare goal. Allo stesso modo, all’interno dell’équipe, ogni professionista, consapevole del proprio ruolo e di quello altrui, deve lavorare insieme agli altri verso un unico obiettivo: far star bene il paziente.È stata un’ottima mossa permettere a persone con diversi tipi di professionalità di partecipare a questo Mini-Master, perché, in questo modo, è stato possibile un confronto più ampio e completo di diversi punti di vista.Altro punto importante, secondo me, è quello della comunicazione del paziente al medico rispetto all’eventuale ricorso a terapie non convenzionali. Durante il corso sono state esplicitate le possibili moti-vazioni che il paziente potrebbe avere nel non comunicare questo al proprio medico, tra cui la paura di essere deriso, biasimato, criticato e non capito. Ritengo che biasimare il paziente per il fatto che stia facendo delle terapie non convenzionali, esprimendo il nostro dissenso, equivalga a fargli una violenza. Il paziente a cui diremo che non siamo d’accordo con quello che fa potrebbe cominciare ad essere dubbioso, perdere la speranza, smettere di crederci.È importantissimo, secondo me, mantenere un atteggia-mento non solo di apertura nei confronti di ciò che il paziente fa, ma anche, e soprattutto, di RISPETTO, per quello che il paziente ha deciso di fare. Concludo ringraziandovi ancora tantissimo per i meravi-gliosi giorni di formazione VERA che ci avete regalato.Aspetto con gioia il prossimo incontro!Saluti tutti calorosamente,a presto.Marzena F.IST Genova

• Corsi per medici di medicina generale con ASL di Milano (accr. ECM).

• Corso settimanale per specializzandi in oncologia medica.

• Formazione per psicologi e psicoterapeuti.

i programmi e i calendari saranno pubblicati sul sito www.attive.orgPer informazioni 02 6889647

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a cura di Cristina NavaProfili

Devo ammettere che prima di incontrarlo ero un po’ preoccupata: mi aspet-tavo uno di quei professoroni che ti parlano “da lontano”, dall’alto della loro lunga esperienza e, perché no, anche della loro fama. E invece no. Ada Burrone, cara amica e fondatrice di Attivecomeprima, mi aveva parlato di lui come di una persona molto interessante, un uomo con un grande cuore e davvero in gamba, che aveva dedicato la propria vita ad aiutare gli altri attraverso la medicina e in effetti questa descrizione corrisponde perfettamente al Mauro Porta che ho avuto il piacere di conoscere e intervistare.

Mauro Porta Uno sguardo nuovo

che viene dal cuore

‘Na tazzulella ‘e cafeCi diamo appuntamento in una clinica del centro di Milano. Arrivo con un po’ di anticipo e comincio a guardarmi intorno curiosa, come spesso faccio, poi la mente torna al lavoro con un breve ripasso degli argomenti che avrei voluto trattare con questo impor-tante neurochirurgo. Finalmente ci incontriamo: niente intervista in uno studio medico, niente scrivania che separa intervistatore da intervistato, ma una piacevole chiacchierata di fronte a una tazzina di caffè al bar. E la frase di apertura di questa chiacchierata già ci mette di fronte all’atteggiamento che guida Mauro Porta nel suo lavoro di neurochirurgo - è anche direttore del Centro per le malattie extrapiramidali e sindrome di Tourette dell’IRCCS Galeazzi di Milano. “Oggi i miei obiettivi come medico sono profonda-mente cambiati” dice “perché è cambiato il panorama che ci circonda. Quando ero un giovane medico ero piuttosto interessato a una malattia e ai suoi sintomi, poi, andando avanti con gli anni, mi sono accorto che questa malattia non aveva senso se non era correlata alla persona che aveva tale malattia. Quindi c’era la polmonite quando ero giovane, poi è arrivata la polmonite del signor Rossi che fa il portiere d’albergo ed è esposto al freddo e ora, a fine carriera, c’è il signor Rossi con la polmonite. La situazione si è invertita”.

La persona al centroIn perfetta sintonia con lo spirito che anima Attive- comeprima, Mauro Porta è convinto che non sia pos-sibile curare una persona senza “prendersene cura” a 360 gradi. “Oggi gli ospedali sono vere e proprie aziende, che collocano la malattia in un ambito di spesa sanitaria: la malattia produce dei costi per essere trattata e chi è malato non lavora più, quindi, di fatto, è un costo. Si misura la malattia in base anche a quale impatto ha, a livello sociale, sulla persona. Tutto questo ora che sono arrivato ai 65 anni, mi fa riflettere non poco”. Secondo Porta, nessun uomo ha una sola malat-tia ben definita, ma ne ha tante che si trascinano l’una con l’altra. “E così” spiega “mi trovo spesso di fronte a situazioni intermedie: c’è, per esempio, la patologia che produce un dolore fisico che a sua volta ne produce uno morale e viceversa”. Ecco perché non ha senso separare la malattia dal malato, la mente dal corpo. “Il medico deve essere aperto nel capire l’uomo che ha di fronte e non solo la malattia che lo affligge”. E per capire fino in fondo gli altri è indispensa-bile mettere in luce le differenze tra le persone, differenze che devono essere viste come una

grande ricchezza e non certo come un ostacolo alla cura. “Se riusciremo a fare nostro questo modo di pensare” dice Mauro Porta “saremo finalmente pronti ad accogliere la malattia con un atteggiamento nuovo e ad accettare senza grossi problemi anche chi non è ‘perfetto’, come lo vuole la nostra società, ma magari deve camminare con una gamba sola, non ci vede bene o ha un braccio paralizzato”.

Occhi nuovi per guardare lontano“Oggi la medicina dà troppa importanza all’aspetto tecnologico” afferma Porta “e guarda con sguardo ebete, senza riuscire a vedere ciò che nasconde una malattia”. Per esempio, il dolore - del quale Mauro Porta si occupa da anni - non può essere curato solo con un potente farmaco anti-dolorifico. “Anche quello serve” afferma “ma c’è una grande parte di dolore che non può essere lenita con un farmaco, per quanto potente ed efficace esso sia. In questi casi bisogna andare oltre la tecnologia e la medicina intesa solo nei suoi aspetti tecnici e arrivare alla persona nella sua totalità”. Il medico ha un ruolo molto importante, perché può guidare chi è malato attraverso un percorso di guarigione fatto non solo di medicine e interventi chirurgici che curano il corpo, ma anche di un sostegno per assicurare il benessere della mente e dello spirito. Il primo passo è sicuramente la comunicazione. “Parlare con il paziente è molto importante” sostiene Porta “Oggi la gente è male informata e questa cattiva informazione crea una serie di fraintendimenti che pos-sono essere anche molto pericolosi”. “Per esempio vediamo che la paura della morte fa morire di paura” dice. E per superare questa paura, per accettarla e ritrovare la forza di vivere bisogna parlare di morte e di dolore, tenendo sempre presente che il dolore morale può essere anche più devastante di quello fisico e molto più difficile da curare. “Ma come raggiungere obiettivi tanto ambiziosi?” gli chiedo. “Serve un grande lavoro di equipe, come in un’orchestra dove ciascuno suona il proprio strumento ma alla fine si raggiunge l’armonia” risponde.

Squilla un cellulare che ricorda al dottor Porta i suoi impegni con i pazienti che lo stanno aspettando.Ci salutiamo, dopo una chiacchierata davvero interes-sante nella quale ho avuto l’opportunità e il piacere di constatare come i valori e i principi che hanno ispirato

il metodo di lavoro di Attivecomeprima trovino spazio anche nella mente e nel cuore di medici disposti a prendersi davvero cura di chi hanno di fronte.

Cristina Ferrario.Giornalista.

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Sappiamo tutti che il cancro porta con sé un’altra malattia, seppur invisibile: la paura.Chi ne è colpito teme la ripetizione della malattia e la sofferenza fisica e vive la sensazione di provvisorietà legata all’incognita del futuro che impedisce di attivare preziose risorse personali, fondamentali nel processo di cura.Diventa quindi necessario affrontare le emozioni e le paure che il cancro ha sollevato per armonizzarsi con il cambiamento e trovare l’energia per non vivere paralizzati dagli aspetti negativi di questa esperienza. Attivecomeprima ha creato in quasi quarant’anni di lavoro un proprio me-todo di sostegno psicologico di gruppo articolato in tre tappe consequenziali: riprogettiamo l’esistenza, decido di vivere, La terapia degli affetti.I pazienti vengono aiutati ad esprimere pensieri e sentimenti legati alla malattia e alla vita che il cancro ha fatto emergere.L’obiettivo è quello di trovare il corag-gio di guardare in faccia la paura per

non rafforzarla nello strenuo tentativo di evitarla.Il cambiamento dell’atteggiamento men-tale può così trasformare il sentimento di impotenza e fragilità in una nuova consapevolezza di poter essere parte attiva della propria realtà, comunque essa sia. • La paura del pericolo può

diventare più pericolosa del pericolo stesso.

• La paura può diventare una seconda malattia che, a differenza del cancro, è contagiosa.

• Tentando di respingere la paura, disperdiamo l’energia che potrebbe invece essere incanalata e utiliz-zata per vivere una vita più piena e autentica.

• L’accettazione della paura funziona da “vaccino psicologico” che immunizza liberando i sentimenti repressi e lasciando scorrere l’energia congelata dalla paura stessa.

Sarà questo un grande contributo che la persona potrà dare a se stessa per vivere meglio e di più.

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Sapevate che...a cura di Benedetta Giovanniniconsulente enogastronoma

Se i sedili della macchina si sono macchiati con l’omoge-neizzato del vostro piccolino, diluite poche gocce di ammo-niaca in acqua fredda e sfregate con una pezzuola di cotone. Pulite ancora con acqua.

Basta con le formiche! Combattere l’invasione di formiche senza gli insetticidi è la soluzione più rispettosa per l’am-biente. Un rimedio naturale è fornito ancora una volta dai fondi di caffè che, dopo averli posati sui luoghi di prove-nienza di questi piccoli insetti o direttamente sopra i loro nascondigli, diventeranno una barriera inviolabile.

Mani morbide: mettete qualche goccia di olio di mandorle dolci sulle mani e strofinate come fosse una crema. Vi assicuro che il risultato è garantito. Per non parlare del profumo che emanano le mani per tutta la giornata…

Un ultimo segreto per conservare morbide le mani: lavatele con l’acqua in cui sono state cotte delle patate, asciugatele e strofinatele con una fetta di limone.

L’aloe è un’ottima pianta antizanzare. Tenetela sul terrazzo, in vaso e al sole (non diretto). Basta staccare un pezzo di foglia ed inciderla lungo le spine per far uscire la sostanza miracolosa che va applicata sopra la puntura di zanzara. Il succo che scorre all’interno delle foglie è un ottimo antin-fiammatorio e lenitivo. In sollievo è immediato e la pianta non soffre per questa mutilazione.

Velluto come nuovo. Se notate dei punti in cui il pelo del tessuto vi appare rovinato, per ravvivarlo spazzolatelo con-tropelo aiutandovi con un asciugacapelli.

I cibi fritti rilasciano cattivi odori nell’aria. Per evitare questo inconveniente, ad inizio cottura basta mettere a bollire una padella con acqua e aceto accanto a quella dell’olio. La sua evaporazione mantiene pura l’aria.

La vostra giacca di pelle scamosciata si è macchiata di cibo? Prima tamponate con del bicarbonato che assorbirà l’unto, quindi spazzolatela con una spazzola con setole di ferro per rimuovere il tutto.

Quando è tempo di cambio stagione io non sopporto l’odore della naftalina, perciò, per evitare i cattivi odori, mi faccio

dei sacchettini profumati. Prendo una bustina di tè, due foglie di alloro, cinque o sei chiodi di garofa-

no, una o due spighe di lavanda, un pez-zettino di legno di cedro e un cucchiaio di bicarbonato, metto tutto dentro un sacchetto da confetti o in un fazzoletto

di cotone e chiudo con uno spago.

Contro il calcare nel box doccia preparate una soluzione “fai da te” riempiendo uno spruz-zino metà con acqua e metà con aceto bianco. Dopo aver fatto la

doccia spruzzatelo sul box. Ripetete questa ope-

razione abbastanza spesso. Sarebbe buona norma asciugare con una normale spatola da vetri in gomma.

Attivecomeprima Onlus è la prima associazione italiana fondata nel 1973

da una ex paziente, Ada Burrone, per migliorare la qualità della vita

del malato oncologico e dei suoi famigliari.

Si avvale di un proprio metodo di lavoro sistematico e trasmissibile che riduce

la sofferenza psicologica e fisica attraverso il sostegno psicologico di gruppo

e individuale, il supporto di medicina generale durante le terapie oncologiche,

attività psicocorporee e creative.

Nata inizialmente per le donne colpite dal cancro al seno, ha, negli anni,

esteso le sue attività di sostegno globale a tutti i pazienti oncologici.

il suo obiettivo fondamentale è quello di aiutare le persone colpite dal cancro ad affrontare le sfide che esso propone e a sentire la vita anche nella malattia,

contribuendo così al buon esito delle terapie.

conoscePer chi

cinon

iL tuo contributo ci darà più Forza per aiutarebonifico bancario IBAN IT64 X030 6909 5180 0000 6409 190 SWIFT: BCITIT33128 (Paesi Extraeuropei)

bollettino di c/c postale n. 11705209Intestato a: ATTIVEcomeprima Onlus Via Livigno 3 - 20158 Milano

assegno intestato a:ATTIVEcomeprima Onlus

pay pal attraverso il sito www.attive.org

5 per milleNella dichiarazione dei redditi firma nel riquadro: “a sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale” e inserisci il codice fiscale di Attivecomeprima Onlus:

10801070151L’8 per mille e il 5 per mille non sono in alternativa: puoi sceglierli entrambi.

“Le erogazioni liberali a favore di ATTIVEcomeprima Onlus sono deducibili/detraibili ai sensi di legge”.

i nostri maggiori sostenitori 2010Comune di MilanoFondazione Fondiaria SAIFondazione Johnson & JohnsonFondazione CariploBanca Popolare di MilanoCredit Suisse ItalyDompé FarmaceuticiGe Capital ServicesGruppo ReJPMorgan Chase BankPodravska BankaNet Present ValueRocheSusan G. Komen ItaliaBesozzi Elettromeccanica

ringraziamo i finanziatori istituzionali, le aziende e le persone che, con liberi contributi, sostengono attivecomeprima onlus e la sua “mission”.

Virgilio Sacchini, tra i 100 Best Doctors degli Stati Uniti, muove i suoi primi passi come oncologo in Italia accanto ad Umberto Veronesi, decidendo in seguito di proseguire la propria brillante carriera presso il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York dove ha potuto raccogliere e magistralmente descrivere, in questo libro, i casi più sentiti, quelli che hanno dato vita a differenti

riflessioni ed interrogativi. Da Oriana Fallaci, scrittrice di fama mondiale, a James, piccolo boss di Harlem, a Shena, musulmana che dopo gli attentati alle Torri Gemelle non vuole farsi operare al Memorial perché teme discrimina-zioni. Un percorso, un’avventura umana e professionale, che Virgilio Sacchini intraprende come uomo e insieme come medico capace di “dare sempre speranza”.

Una storia vera, di coraggio e speranza, di rinascita dopo l’esperienza del cancro. Il libro, la cui postfazione è stata scritta da Maria Rita Parsi, ha la forma di una lunga lettera rivolta al medico che ha operato la protagonista, Giulia, colpita da un tumore al cervello. Un medico che, accet-

tando di operarla, riuscirà a salvarle la vita, quella stessa che viene ripercorsa passo passo per rimarginare ferite lontane. Maria Grazia Ciuferri è una psicologa, un’amica di Attivecomeprima che ha deciso di donare i proventi derivanti dalla vendita del suo scritto all’Associazione.

Attraverso personaggi storici, passando per citazioni mitologiche, sino a giungere ai giorni nostri con una “carrel lata di seduttori serial i” del cinema e della televisione, si delineano una seduzione “buona”, volta ad istituire un legame paritario ed una “cattiva”, fine

a se stessa, che cattura la preda senza preoccuparsi dei suoi sentimenti. La seduzione come fenomeno di massa, come movimento sociale il cui valore viene spesso negato o sminuito, ma che continua ad ispirare il comportamento della maggior parte degli esseri umani.

virgilio Sacchini con Sergio PeregoDAi SeMPRe SPeRANzAI pazienti che hanno cambiato la mia vitaedizioni Mondadori€ 18,50

Maria Grazia CiuferriNASCeRe Due vOlteedizioni lampi di Stampa€ 13,00

Willy PasinilA SeDuziONe è uN’ARMA DiviNAL’arte di piacere e di piacersiedizioni Mondadori€ 18,50

Letti e piaciutia cura di Paola Malinverni

Felicita bellomiÈ la prima fiduciaria sin da quando Attivecomeprima aveva sede all’Istituto dei Tumori di Milano. È nel contempo diventata mamma e nonna e si occupa di accogliere, ascoltare e informare le persone che si rivolgono per la prima volta a noi. Questa attività richiede una profonda capacità di ascolto e una grande sensibilità per entrare in empatia con le persone e orientarle alle attività.marina negriCi ha conosciuti negli anni ‘70 quando lei lavorava come fisioterapista all’Istituto dei Tumori. Affianca una nostra psicologa nella conduzione dei due primi gruppi di sostegno psicologico “Riprogettiamo l’Esistenza” e “Decido di Vivere”, della durata di quattro mesi, e nel contempo mette a disposizione la sua com-petenza nell’attività di Feldenkrais. elena bertolina e Lucia totaro Sono le fiduciarie che affiancano lo psicologo nel terzo lavoro di gruppo “La Terapia degli Affetti”. Ad entrambe è stato da sempre assegnato il delicato compito di conclu-dere il percorso del gruppo, della durata di sei mesi, presentando un documento da loro interamente redatto, che tematizza e testimonia gli elementi più significativi del lavoro. silvana LovatiOffre la sua sentita e sempre pronta collaborazione nei diversi spazi organizzativi e di supporto logistico. Collabora inoltre alla realizzazione dei corsi di cucina, tenuti in Associazione, sulla base della ricerca DIANA promossa da Franco Berrino per la preven-zione alimentare dei tumori. maria di ottavioHa portato il “cuore” dell’attività di Attivecomeprima a contatti internazionali durante la sua residenza a Santo Domingo. Rappresenta l’Associazione in diverse occasioni pubbliche in Italia. mario abram Fin dalla nascita dell’Associazione ha garantito la sua presenza competente e discreta. A lui dobbiamo la gestione informatica, l’archiviazione dei dati e l’organizzazione delle procedure della privacy. angela angaranoDalla prima ricerca DIANA sulla prevenzione alimentare dei tumori, che ha avuto inizio nella sede di Attivecomeprima, è stata l’anima e il capo chef dei corsi di cucina realiz-zati in Associazione. Si è distinta per la grande capacità di amare il gusto, pur restando rigorosa nelle scelte degli alimenti. ornella bolzoni puricelliGià dalla nascita di Attivecomeprima, si è resa disponibile insieme al marito Ezio per ogni necessità pratica dell’Associazione e ha insegnato alle donne l’arte del dipinto su ceramica con la genuinità che la contraddistingue. angelo cominardiDobbiamo a lui la quasi totalità delle testimonianze fotografiche della storia e della vita dell’Associazione. È un professionista che sa far rispecchiare la qualità umana e l’atmosfera affettiva che sono elementi fondamentali del lavoro. La sua dote innata di grande umorista allieta lo spirito anche nei momenti più impegnativi. Francesco della beffaPer il suo contributo appassionato e illuminato nell’area scientifica e alla metodologia di studio e ricerca come matematico statistico. In ogni momento, in cui i progetti lo richiedono, lui arriva col cuore e con la mente. mario galantucci (ritira per lui la figlia Silvia)Di lui si potrebbe parlare molto a lungo. Marito affettuoso di Anna Keller, preziosa amica

e fiduciaria che ha lasciato una singolare testimonianza di amore e di coraggio. Mario si rende disponibile per ogni necessità pratica e organizzativa, sia in Associazione sia in occasione di iniziative esterne. A lui si deve soprattutto l’appassionata cura e la bellezza del giardino che fa da cornice alla sede. giovannacarla rolandoInstancabile presenza nella crescita e nello sviluppo di Attivecomeprima sin da quando l’Associazione ha mosso i suoi primi passi. Allora studentessa di medicina, ha continua-to ad offrire il suo sapere e la sua vasta cultura in diversi ambiti, contribuendo anche all’arricchimento della rivista “ATTIVE”. maria grazia unitoAl di là della sua professione di insegnante di yoga, mette a disposizione di Attivecomeprima il suo tempo, la sua sensibilità e la sua cultura al servizio delle attività di comunicazione. Franco berrino (ritira per lui la Dottoressa Anna Villarini)Per essersi reso disponibile nel gruppo di lavoro “Dottore si spogli” a rispondere alle tante domande delle persone, promuovendo una cultura alimentare attenta alla prevenzione dei tumori così come è emerso fin dal primo studio DIANA, realizzato nella sede di Attivecomeprima. massimo callegariPer la disponibilità in tutti questi anni ad incontrare le donne presso la sede di Attivecomeprima chiarendo ogni dubbio sugli interrogativi riguardanti la chirurgia ricostruttiva nel gruppo “Dottore si spogli”. salvo cataniaÈ stato l’ideatore dell’attività di gruppo “Dottore si spogli”. Ha coraggiosamente accettato un confronto del tutto aperto con le persone colpite dal cancro. Questo avveniva in tempi in cui la consuetudine medica era ancorata ad uno schema di relazione rigido e paternalistico. giorgio secreto Per la sua disponibilità nell’attività di gruppo “Dottore si spogli” a dare informazioni scientifiche e pratiche per la gestione della menopausa, in particolare per quella indotta dalle terapie oncologiche e per la sua grande umanità. claudio Verusio Per l’appassionato impegno umano e scientifico nei confronti di moltissime fra le persone che negli anni hanno chiesto aiuto ad Attivecomeprima e per i significativi contributi dati alle attività di studio e formazione dell’Associazione, in particolare al Progetto Chirone, prima ricerca al mondo sui medici colpiti dal cancro e alle edizioni annuali del Mini-Master rivolto agli oncologi. silvia VillaPer aver messo a disposizione di Attivecomeprima, in occasioni pubbliche e formative, la sua esperienza di oncologo medico che ha vissuto in prima persona l’esperienza della malattia e per il generoso contributo alle attività di studio e ricerca, in particolare al Progetto Chirone.

conNoigli altri

24 Maggio 2011. Milano, Palazzo Visconti.

attestati di benemerenza ai volontari di attivecomeprima onlusAttivecomeprima e Vivisalute hanno organizzato la serata, moderata da Dea D’Aprile (direttore di Vivisalute “Magazine”), che ha visto una calorosa partecipazione.Ospiti d’Onore: Paolo Veronesi, Willy Pasini. Hanno consegnato gli attestati alle fiduciarie (ex pazienti): Ada Burrone (Presidente Attivecomeprima), ai collaboratori: Maurizio Dallocchio (Università Bocconi), ai medici: Elio Borgonovi (Cergas Bocconi).

Fin dalla nascita dell’Associazione ha garantito la sua presenza

competente e discreta. A lui dobbiamo la gestione informatica, l’archiviazione

dei dati e l’organizzazione delle procedure della privacy.

Mario Abram

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conNoigli altri

7 Giugno 2011. Milano, Teatro Manzoni

spettacolo teatrale “scherzi del destino” scritto e diretto da Marco Calindri. Una parte dell’incasso della serata è stata devoluta alla nostra Associazione.

Nella foto: Marco Calindri insieme agli attori protagonisti.

Maggio 2011. Milano, rete metropolitana

affissione pubblicitaria in metròLa campagna pubblicitaria offertaci da IGP, ha avuto una ottima visibilità nelle principali stazioni del Metrò milanese.

14 Giugno 2011. Milano, Società del Giardino

service del club inner Wheel di mi-sempione a favore di Attivecomeprima

Da sinistra: Rossana Leccese (Presidente), Augusta Micheli (Past President), Lilli Lagonigro (Immediate Past President), Arianna Leccese (Segretario del nostro C.D.).

29 Marzo 2011. Milano, Palazzo Marino

milano premia, tra altre associazioni, l’impegno di attivecomeprima.

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22 Giugno 2011. Roma, Libreria Melbook store

presentazione del libro di maria grazia ciuferri “nascere due volte” edizione Lampi di Stampa. L’autrice dona ad Attivecomeprima il ricavato della vendita di questa sua opera.

Da sinistra: Maria Diottavio (fiduciaria di Attivecomeprima), Maria Grazia Ciuferri (autrice del libro), Mariano Settembri (editore).

5 novembre 2011. Milano, Auditorium Don Alberione Periodici San Paolo - Via Giotto, 36

La prevenzione e la cura della fatigue, parte integrante delle cure oncologicheConvegno organizzato in collaborazione con l’OmCEO (Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri), e accreditato ECM.

24 settembre e 1 ottobre 2011. Milano, sede di Attivecomeprima

La prevenzione e la cura della fatigue nel malato oncologico con un approccio sistemicoAttivecomeprima e il Dipartimento di Cure Primarie ASL di Milano hanno organizzato due giornate formative, accreditate ECM, rivolte ai medici di medicina generale e medici di continuità assistenziale, sul tema della prevenzione e della cura della fatigue.

“Ciò che per il bruco è la fine del mondo, in realtà è una bellissima farfalla”

Lao Tzu