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INDICE Prefazione (di Ubiratan D’Ambrosio) Premessa 0.1. A casa ed a scuola 0.2. I segni numerali 0.3. Sistemi di numerali 0.4. Astrattezza 0.5. Gli studenti 0.6. Matematiche e culture 0.7. Didattica interculturale della matematica 0.8. Diversità 0.9. L’immigrazione 0.10. Questo libro 0.11. Ringraziamenti 0.12. Contatti Capitolo 1 Il sistema di numerali in uso in Italia 1.1. Numeri: quali e perché 1.2. Numerali 1.3. Notazione posizionale in base 10 1.4. Altre parole ed altri simboli 1.5. Oltre N 1.6. Limiti di questa notazione 1.7. Altri sistemi 1.7.1. Basi generiche 1.7.2. Sistemi misti 1.7.3. Simboli per la musica 11 15 29

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IndIce

Prefazione (di Ubiratan D’Ambrosio)

Premessa0.1. A casa ed a scuola0.2. I segni numerali0.3. Sistemi di numerali0.4. Astrattezza0.5. Gli studenti0.6. Matematiche e culture0.7. Didattica interculturale della matematica0.8. Diversità0.9. L’immigrazione0.10. Questo libro0.11. Ringraziamenti0.12. Contatti

Capitolo 1 Il sistema di numerali in uso in Italia1.1. Numeri: quali e perché1.2. Numerali1.3. Notazione posizionale in base 101.4. Altre parole ed altri simboli1.5. Oltre N1.6. Limiti di questa notazione1.7. Altri sistemi 1.7.1. Basi generiche 1.7.2. Sistemi misti 1.7.3. Simboli per la musica

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Capitolo 2Numerali dei Paesi arabi

2.1. Paesi arabi2.2. Debiti impagabili2.3. Cifre arabe2.4. Numerali arabi2.5. Frazioni2.6. Un sistema più antico

Capitolo 3Numerali delle culture dell’Europa Orientale

3.1. Paesi, società e scienze avanzate3.2. Slavi, romeni, albanesi e molti altri3.3. Numerali albanesi3.4. Numerali romeni3.5. Numerali ungheresi3.6. Numerali russi3.7. Numerali ucraini3.8. Numerali bielorussi3.9. Numerali bulgari3.10. Numerali polacchi3.11. Numerali sloveni3.12. Numerali croati3.13. Numerali serbi3.14. Numerali macedoni

Capitolo 4Numerali della cultura cinese

4.1. I cinesi4.2. La matematica come ponte4.3. Aspettative e tradizioni4.4. Numerali cinesi

4.4.1. Sistemi diversi per usi diversi4.4.2 Sistema testuale4.4.3 Sistema huama o dei numeri floreali (花碼)

Lucia Baldazzi151

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87 Capitolo 5Numerali delle culture filippine5.1. Un arcipelago di culture5.2. Numerali in uso nelle Filippine

5.2.1 Lingue ufficiali, lingue di casa e lingue del mercato

5.2.2 Altre lingue

Capitolo 6Numerali del subcontinente indiano6.1. Complessità6.2. Molteplicità di numerali

6.2.1 Liste di cifre6.2.2 Numerali hindi, urdu e bengali6.2.3 Numerali sinhala6.2.4 Numerali tamil e di lingue dravidiche

6.3. Cenni storici6.4. Matematica indiana

Capitolo 7Numerali eritrei7.1. Legami e debiti storici7.2. Multiculturalismo eritreo7.3. Numerali tigrini e cifre ge’ez

Capitolo 8Numerali di alcune culture africane8.1. A sud del Sahara8.2. Multiculturalismo e multilinguismo8.3. Società composite8.4. Oralità e gestualità8.5. Istituzioni culturali8.6. Basi e principi8.7. Numerali wolof8.8. Numerali manden

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8.9. Numerali ibo8.10. Numerali yoruba8.11. Numerali edo–bini8.12. Numerali hausa-fulani8.13. Alcuni numerali del Camerun8.14. Alcuni numerali ugandesi8.15. Numerali swahili

Capitolo 9Per concludere9.1. Un esempio9.2. Ostacolo9.3. Contratto didattico9.4. Interpretazione e rappresentazione 9.5. Aspettative sociali9.5. Oltre l’integrazione9.6. La scuola interculturale

Bibliografia

Sitografia

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0.1 A casa ed a scuola

Immaginiamo un allievo delle scuole elementari. Durante le ore di matematica, partecipando alle attività didattiche organizzate dagli insegnanti, il nostro ragazzo elabora diverse competenze, acquisisce il concetto di numero (o meglio, sistematizza in forme codificate alcune abilità di con-teggio, ordinamento e modellizzazione che ha già dalla vita familiare), impara i nomi dei numeri in italiano, comincia a scrivere cifre ed a comporle secondo le regole della notazione posizionale col sistema decimale ed acquisisce competenze aritmetiche nella forma culturalmente codificata nella scuola italiana.

Poniamo ora che questo studente abiti in un rione come la Bolognina (di Bologna) od a Prato od in qualche altro centro abitato in cui la percentuale di sinofoni sia superiore al 10% e dove ci sono negozi con insegne e cartelli in cinese, avvisi bilingui nell’ufficio postale locale, locali frequentati soprattutto da immigrati cinesi e dai loro familiari, scuole guida che erogano corsi per la patente B in lingua cinese ed aziende di servizi specializzate in utenza e clientela di lingua cinese. Poniamo

Premessa

Tri åur un gâl, quâter un cavâl, zénc un viandànt, sî un cavalcànt, sèt un côrp, òt un pôrz.

Tre ore un gallo, quattro un cavallo, cinque un viandante, sei un cavalcante, sette un corpo, otto un porco.

Filastrocca popolare bolognese

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Numeri e culture

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Premessa

che i familiari di questo ragazzo siano nati in Cina ed immigrati in Italia da qualche anno.1 È chiaro che nel corso della sua giornata il nostro studente vivrà relazioni ed esperienze legate ad una cultura ed una lingua diverse da quelle in cui è avvenuto l’incontro con la matematica scolastica. Va a comprare qualche cosa in un negozio per la mamma, o fa la spesa con la famiglia, consulta un calendario (cinese oppure europeo ma scritto appositamente per sinofoni), aiuta in qualche lavoretto domestico che richieda ordinamenti, misure e calcoli (riordina la sua stanza, aiuta il padre in qualche riparazione, va a prendere puntualmente un fratellino), oppure lavora effettivamente in una qualche attività produttiva. In ogni caso vive e pratica molta matematica nel suo ambiente familiare e sociale. I numeri che usa in quel contesto sono esattamente quelli che ha studiato a scuola? Probabilmente no.

0.2 i segni numerali

Certamente una prima differenza riguarderà i numerali, ossia i segni e le parole che si usano per indicare i numeri. Il ragazzo dell’esempio scrive «2» sul quaderno di scuola e legge «due» ma poi va al mercatino a comprare «liang» (scritto «兩») uova. Secondo la terminologia della semiotica si includono nel concetto di segno non solo le scritture ma anche i gesti, le parole e tutti gli altri metodi di rappresentazione che usiamo normalmente per parlare, scrivere ed in generale comuni-care (D’Amore, 2006). Tutto il giorno noi decodifichiamo (interpretiamo secondo certe regole) e produciamo (sempre secondo quelle stesse regole) segni di vario tipo. I segni, in particolare simboli e nomi, fanno riferimento a determinati universi linguistici ed attivano associazioni semantiche ed emozionali diverse. Ogni nome rimanda, attraverso la sua etimologia e le assonanze con le altre parole della lingua, ad un insieme di significati carico di richiami all’esperienza dell’indivi-duo. Ciò vale anche per i numerali. In certe culture un numero e quindi anche il suo numerale vengono inoltre esplicitamente caricati di valori simbolici cui una persona di cultura italiana non penserebbe.

1 Si noti che non poniamo che il ragazzo stesso sia nato in Cina. Quanto segue vale anche se si tratta di un cittadino della Bolognina o di Prato a tutti gli effetti, di famiglia cinese, che magari è stato in Cina solo una volta o due, dati i prezzi elevati dei biglietti aerei. Leggi grottesche impongono a molte persone nate alla maternità dell’ospedale S. Orsola o del Maggiore come la maggior parte dei Bolognesi e da allora residenti in Bolognina, di giustificare buro-craticamente la loro presenza, minacciando in caso contrario il «rimpatrio» coatto. C’è chi è stato «rimpatriato» in un Paese in cui non aveva più parenti ed in cui non conosceva nessuno.

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Numeri e culture

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Premessa

0.3 Sistemi di numerali

Nella loro forma e nelle leggi con cui si combinano, i segni comportano anche una struttura formale che, nel caso di segni matematici, ha grande influenza nell’elaborazione dei concetti. Per questo si parla di sistema di numerali, come di un insieme di segni, regole interpretative e di composizione che consentono all’individuo di decodificare e di produrre numerali. Il sistema dei numerali in uso in una certa cultura è caratterizzato da aspetti linguistici (fatti etimologici, analogie formali…) e pesantemente influenzato dallo sviluppo storico della società di riferimento, ossia dal ruolo che i numeri hanno avuto nella sua storia e dai modelli di vita che in essa sono contemplati: commercio di stoffe, misura di campi, calcolo di interessi sui prestiti…

Le strutture formali dei numerali possono differire molto, ad esempio se i numeri cui si riferisco-no sono concepiti in notazione posizionale o meno, oppure se c’è una base fissa o variabile. Anche in questo senso la storia culturale caratterizza i sistemi di rappresentazione e le basi numeriche di cui si servono.

Una rappresentazione può essere ad esempio più adatta alle operazioni di addizione e sot-trazione rendendole formalmente assai semplici, mentre può essere di ostacolo all’acquisizione della moltiplicazione, rendendo necessari dei passaggi complicati. È il caso della maggior parte delle notazioni additive. Probabilmente nella fase storica in cui una tale rappresentazione è stata elaborata, le esigenze della società di riferimento erano legate all’accumulo di beni ed alla loro registrazione.

Per tornare all’esempio dello studente sinofono in cerca di uova, il 2 che scrive a scuola fa parte del sistema numerico della cultura italiana, che è l’unico in uso in Italia, ha struttura posizionale in base 10 e raggruppa gli ordini di grandezza a tre a tre (il puntino si mette a separare le miglia-ia). Nella cultura cinese invece ci sono diversi sistemi numerali, alcuni dei quali non hanno una struttura posizionale e raggruppano preferibilmente gli ordini di grandezza a quattro a quattro (il puntino si mette a separare le decine di migliaia).

Diverso è inoltre il grado di sistematicità con cui in queste due culture si seguono le regole espressive a fondamento dei sistemi di numerali.

Nella lingua italiana ed in molte altre lingue europee abbondano eccezioni, nomi disorganici rispetto agli altri, inversioni di logica. Ad esempio dopo sedici c’è diciassette e non settedici; le parole dieci e venti non sembrerebbero indicare due oggetti di natura uguale eccetera. In inglese le cose vanno un po’ meglio (nonostante eleven e twelve), in francese molto peggio: dopo seize, dix-sept, dix-huit, dix-neuf e poi con le decine: quarante, cinquante, soixante, soixante-dix, quatre-vingt, quatre-vingt-dix. La regolarità dei numerali usati nella cultura cinese è invece massima ed

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Numeri e culture

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Premessa

0.9 l’immigrazione

L’immigrazione accelera alcuni di questi processi, dando origine a comunità che possono sentirsi od essere di fatto separate all’interno della società, entrando in rapporto (collaborazione, conflitto, competizione…) con altre componenti. Sullo sfondo c’è una società in via di disgregazione, sempre meno coesa.

Ogni comunità, ed in special modo quelle nate in seguito ai fenomeni migratorii, elabora una sua cultura identitaria con cui i suoi membri interpretano la realtà. Ogni individuo si rapporta inevitabilmente con una cultura di riferimento, talora entrando in conflitto con essa. Nel caso dell’immigrazione, questa costruzione sociale comporta anche notevoli elementi linguistici ed è determinante nella costruzione dell’identità personale.

Il nostro Paese, che aveva in passato preso atto solo di pochissimi tra i molti casi di bilinguismo regionale presenti nella realtà ed anzi aveva marginalizzato la diversità culturale, anche con la forza della produzione di massa e della televisione, deve fare i conti con nuove forme di bilinguismo e di multiculturalità in grande crescita, che si avvalgono sia della coesione sociale dei gruppi umani, sia di tecnologie e strutture che facilitano in misura del tutto nuova la produzione, la diffusione e lo scambio di prodotti culturali.

Molti degli studenti che nella vita familiare non parlano in lingua italiana e la cui cultura di riferimento è diversa da quella in cui sono stati formati a loro tempo i loro insegnan-ti, possono ogni giorno vedere film, ascoltare radio, guar-dare programmi trasmessi da televisioni satellitari, leggere pagine telematiche nella lingua della loro famiglia. Prodotti culturali a volte assai raffinati provenienti da lontano o da vicinissimo rimescolano i tradizionali meccanismi di forma-zione dell’identità. Questo è un fatto sostanzialmente nuovo nel nostro Paese. Ecco dunque la necessità di approfondire delle conoscenze che costituiscano strumenti utili al dialo-go interculturale ed alla costruzione di istanze transculturali (D’Ambrosio, 2006).

Proprio in ragione del suo carattere intrinsecamente in-terculturale, la matematica si presta particolarmente a costi-tuire un campo di confronto e dialogo tra diversità, anche

Fig. 0.3 Uno dei tanti negozi di cosmetici ed alimen-ti gestiti da immigrati africani, in maggio-ranza senegalesi e nigeriani, in Bolognina a Bologna.

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Premessa

nel percorso umano di soggetti che, per età e condizione, non sono pienamente formati agli elementi scientifici della stessa cultura d’origine.

0.10 Questo libro

In questo libro vengono esaminati i sistemi di numerali in uso in alcune delle comunità socio-culturali nate in Italia in seguito ai fenomeni migratorii, con cenni sulle loro culture matematiche di riferimento allo scopo di fornire agli insegnanti strumenti utili ad analizzare le difficoltà incontrate dai loro allievi di cultura non italiana di fronte ai numeri naturali ed al sistema di rappresentazione usuale, a ricostruire le immagini mentali evocate nell’elaborazione dei concetti numerici, a compren-dere quali processi di rappresentazione o di calcolo possono apparire loro più o meno complicati. Si danno anche indicazioni generali sul ruolo della matematica in queste culture e sulle aspettative di cui le famiglie che ne partecipano possono investire la scuola.

Particolare attenzione è rivolta all’espressione dei numeri naturali della prima decina e della seconda (che spesso si serve di meccanismi complessi ed è fonte di conflitti cognitivi), ed alla de-terminazione delle regole con cui si compongono segni e simboli per i naturali sino alle migliaia.

Per la ricerca dei materiali, oltre alla consultazione dei testi citati in bibliografia, tesi soprattutto a comprendere il contesto generale (linguistico e storico) dei diversi sistemi espressivi, si è preferito dare direttamente voce ad esponenti delle comunità, chiedendo loro sostanzialmente… di contare e di riflettere poi insieme su quanto avevano detto o scritto.

La prima reazione di queste persone è stata generalmente di stupore, probabilmente perché ra-ramente una persona riflette sulle particolarità del suo modo di rappresentare per iscritto od a voce i numeri con cui ha che fare da sempre senza farci caso. Poi la collaborazione è stata entusiastica.

Si sono scelte le comunità più numerose, quelle di cui erano raggiungibili alcuni esponenti ed infine quelle i cui sistemi rappresentativi apparivano presentare particolarità matematicamente o didatticamente interessanti.

Per le traslitterazioni da alfabeti diversi da quello latino, si sono seguite le convenzioni più comunemente accettate, salvo ove si sia ritenuta più semplice per il lettore una traslitterazione intuitiva. In questi casi lo si è espressamente segnalato.

In questo libro si fa largo uso di una terminologia ormai tipica della letteratura della didattica della matematica per la quale si fa riferimento a D’Amore (1999) ove non espressamente segnalato diversamente.

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Numeri e culture

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Numerali dei Paesi arabi

il Nord Africa (in special modo dalla Tunisia) e da diversi altri Paesi arabi. Si tratta in maggior parte di persone integrate in vari ruoli nel mondo del lavoro (in agricoltura, nell’industria, in edilizia e nei servizi) dalle cui famiglie provengono molti studenti.

2.2 Debiti impagabili

La cultura di riferimento dei Paesi arabi è ricchissima e contiene elementi elaborati autonoma-mente, altri trasmessi da altre civiltà in occasione di traffici culturali e commerciali, altri ancora acquisiti da popolazioni sottomesse in una fase di espansione imperiale (in un periodo grosso modo coincidente col nostro Alto Medio Evo) ed infine altri assimilati da potenze occidentali (in partico-lare Francia ed Inghilterra) in una più recente epoca di subordinazione coloniale. Su tutto agiscono oggi i noti fenomeni di globalizzazione, occidentalizzazione, omologazione e meticciamento.

La letteratura storiografica tradizionale riconosce alla cultura araba due grandi meriti scientifici. Primo: di aver ereditato e conservato molti risultati dall’ultima fase della civiltà greca (Ellenismo)

ed in generale dal mondo antico, grazie alla sovrapposizione diretta sui territori che di tale civiltà erano imbevuti e ad un’intelligente opera di mecenatismo che portò le autorità politiche a commissionare il recupero e la traduzione in arabo classico di fonti originali scritte in gre-co od in altre lingue. Le corti degli emiri e dei califfi di epoca imperiale costituirono centri di aggregazione di intellettuali della più diversa origine e credo religioso, il cui lavoro ci ha con-segnato opere classiche che altrimenti sarebbero andate perse e che ebbero grande influenza sulla costruzione dell’identità europea. Tra gli autori «salvati» dal disastro del mondo antico citiamo solo Aristotele ed Euclide, le cui opere originali sono state recuperate e conosciute nell’Euro-pa latina solo nel XIV secolo: per almeno otto secoli si è fatto ricorso a traduzioni latine di

Fig. 2.1 Un antico manoscritto arabo di argomento astronomico in cui è evidente l’uso di raffinati concetti geometrici.

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Numeri e culture

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Numerali dei Paesi arabi

traduzioni arabe. Basterebbe questo a rendere sospetta quella tradizione che addossa agli Arabi la colpa della distruzione della Biblioteca di Alessandria, la biblioteca per antonomasia, modello di tutte le altre. Furono invece i Bizantini (cristiani) a commettere uno dei più gravi misfatti della storia umana (Canfora, 1986).

Secondo merito: la diffusione dello zero e del sistema posizionale assimilati dall’area indiana. Secondo la tradizione, nel 771 una delegazione di studiosi indiani li importò a Baghdad alla corte del califfo Al Mansur (celebre condottiero) in un trattato di astronomia in cui si usava lo zero come numero, non solo come segnaposto. I matematici arabi se ne impossessarono e ne studiarono le potenzialità espressive ed algebriche. La successiva produzione di trattati contenenti algoritmi per il calcolo delle operazioni senza abaco e metodi risolutivi per equazioni algebriche è imponente. Il sistema si diffuse poi nell’Africa settentrionale e nella Spagna musulmana. La sua diffusione nell’Europa cristiana e pagana incontrò notevoli resistenze. Una prima occasione fu perduta poco prima dell’anno 1000, quando esso venne studiato nelle meravigliose città di Cordoba e Siviglia da un intellettuale cristiano infiltrato sotto mentite spoglie: quel Gerbert de Aurillac che poi fu fatto papa (per ben altri meriti) come Silvestro II. Costui però non riuscì a fare apprezzare il

Fig. 2.2 Uno schema degli scambi culturali di contenuti matematici tra diverse civiltà e culture (rielaborazione da Frankenstein e Powell, 1997).

Toledo

Cordoba (Spagna)

Il Cairo(Egitto)

Baghdad(Iraq)

Jund-i-Shapur(Persia)

India

Cina

Europa occidentale Sicilia Mondo

Ellenico

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Numerali delle culture dell’europa orieNtale

con la letteratura. Parliamo dunque di genitori molto esigenti e di studenti solitamente assai bravi, che spesso dimostrano forti competenze algebriche e buona propensione al pensiero logico.

3.2 Slavi, romeni, albanesi e molti altri

È necessario chiarire bene la terminologia, purtroppo confusa da usi giornalistici imperanti e da pregiudizi tristemente diffusi nel nostro Paese. I «popoli slavi» costituiscono una grandissima e variegata famiglia linguistico-culturale diffusa prevalentemente in una vasta area che si estende ad est di Italia, Austria e Germania, sino alle grandi pianure dell’Asia settentrionale e dall’estremo nord, al confine delle Repubbliche Baltiche e della Finlandia, fino ad Albania, Grecia e Turchia. Le culture di questa famiglia presentano molte caratteristiche comuni, ma anche cospicue differenze. Una delle più notevoli è nelle confessioni religiose stori-camente prevalenti: alcuni Paesi hanno grandis-sime maggioranze di cristiani cattolici, altri di cristiani ortodossi, con legami tradizionalmen-te assai forti tra organizzazioni ecclesiastiche e strutture statali. Ma ci sono anche all’interno di ciascun Paese grandi masse minoritarie di di-versa confessione, cosa che non ha mancato di generare nel passato enormi conflitti. Nelle zone meridionali dell’area sino all’Albania, ha poi grande diffusione storica la religione islamica. In tutta l’Europa orientale, nonostante durissimi momenti di persecuzione, hanno avuto grande diffusione anche gli ebrei, che addirittura hanno costituito un gruppo distinto all’interno del po-polo ebraico che si richiama ad una tradizione speciale, la Ashkenazita.

Un’altra differenza notevole è negli alfabeti in uso: in alcune culture si scrive con l’alfabeto latino (quello che usiamo in Italia), mentre in altre si usa l’alfabeto cirillico, un repertorio di Fig. 3.2 Cirillo e Metodio in una icona bulgara del XVIII secolo.

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Numerali delle culture dell’europa orieNtale

lettere che la tradizione attribuisce ai due intellettuali Cirillo e Metodio venerati come santi nella cristianità che, avendo il compito di evangelizzare i popoli di quest’area, lo elaborarono sulla base dell’alfabeto greco per tradurvi temi biblici. I due alfabeti compaiono in una vasta gamma di varianti e la loro adozione per ciascuna lingua ufficiale si collega con la confessione religiosa prevalente nei diversi Paesi durante il Medio Evo, nella lunga fase storica in cui maturò lo scisma tra Chiesa Cattolica e Chiesa Ortodossa (culminato nel 1054). In Serbia hanno raggiunto il compromesso di usare entrambi gli alfabeti.

Ci sono poi tradizioni nazionali assai forti (specialmente in Polonia, Ungheria, Bulgaria, Bosnia, Serbia, Croazia e Russia) che, in frequenti degenerazioni nazionalistiche, hanno cagionato ed in qualche caso continuano a cagionare discriminazioni di minoranze, conflitti e guerre. La situazione è complicata da grandi spostamenti di popolazioni avvenuti in diverse fasi storiche, per cui oggi molte città sono miscugli di gente dagli usi e dai linguaggi diversissimi. Su alcuni di questi territori si è esteso nel passato il potere di organizzazioni statali come l’Impero Austro-Ungarico, l’Unione Sovietica, la Federazione Jugoslava che hanno talora basato il loro dominio su di un ideale mul-ticulturalità, che spesso era più che altro la copertura ideologica di un imperialismo di fatto assai poco rispettoso delle minoranze.

In generale la storia di queste regioni ha visto invasioni, persecuzioni e scontri militari, ma anche occasioni di dialogo, di convivenza e addirittura di meticciamento. La mobilità delle persone di questa regione è assai più antica della globalizzazione contemporanea ed è stata limitata solo par-zialmente dalle chiusure tra frontiere del secolo scorso. La Romania ha una grandissima minoranza di cultura ungherese, mentre la cultura romena è diffusa in tutta l’area limitrofa, specialmente in Moldavia. Gruppi consistenti di russi sono sparsi un po’ dappertutto, particolarmente in Ucraina, Georgia e Moldavia. Troviamo albanesi di insediamento antichissimo o recente in Serbia, Mon-tenegro, Grecia, Turchia, Italia ed in molti altri Paesi. La Jugoslavia, Paese multiculturale dissolto dalla fine del regime socialista alla fine del secolo scorso, era un crogiuolo di diversità ed in tutte le sue regioni si contavano enormi minoranze di serbi, croati, sloveni, bosniaci, macedoni e monte-negrini. Anche oggi, sebbene la convivenza sia stata sconvolta da sanguinosi risvegli nazionalistici, persecuzioni di ogni tipo, vere e proprie stragi e persino guerre giustificate su base etnica, l’esi-stenza di minoranze diffuse nei diversi stati nati nella zona è assai consistente. La multiculturalità, vista come fonte di conflitti, come riconoscimento di legittime diversità, o come opportunità di arricchimento e cambiamento è per i cittadini di questi Paesi una cosa normale, con cui hanno convissuto da sempre. Ne sia di esempio il fatto che in alcuni (come la Bosnia Erzegovina, la Serbia od il Montenegro) ci sia più di una lingua ufficiale (nazionale o regionale) ed addirittura più di un alfabeto.

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Numeri e culture

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Numerali delle culture dell’europa orieNtale

(come dire «venti elefante»), il che può generare qualche confusione al madrelingua che debba operare in italiano.

3.6 Numerali russi

Il russo è una lingua ricchissima di vocaboli e costrutti, parlata in Russia e da grandi minoranze in molti Paesi asiatici e dell’Europa orientale, tra cui Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Bie-lorussia, Ucraina, Moldavia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Georgia, Armenia, Azerbaigian, Kazaki-stan, Kirghizistan. Comunità di lingua russa sono in rapida crescita anche ben oltre i confini della dissolta Unione Sovietica, ad esempio in Israele, in Cina ed in India. Tra le lingue slave il russo ha un ruolo importante perché è la più diffusa e quella parlata dal maggior numero di persone. Inoltre questa lingua ha molto in comune con le altre della famiglia slava e della sottofamiglia orientale (l’alfabeto cirillico, diverse strutture sintattiche e morfologiche, gran parte del lessico…) e quindi esaminandone il sistema di numerali possiamo avere un’idea di come funzionino anche altri sistemi di aree limitrofe (ucraino, bielorusso, bulgaro eccetera). Come il latino, il russo ha tre generi (maschile, femminile e neutro) e raggruppa sostantivi ed aggettivi in due declinazioni di sei casi. La sua grammatica prevede che anche i numerali vengano concordati con i sostantivi cui si

0 nulla o zéró 10 tíz 10 tíz

1 egy 11 tizenegy 20 húsz

2 kettő o két 12 tizenkettő 30 harminc

3 három eccetera 40 negyven

4 négy 19 tizenkilenc 50 ötven

5 öt 20 húsz 60 hatvan

6 hat 21 huszonegy 70 hetven

7 hét 22 huszonkettő 80 nyolcvan

8 nyolc eccetera 90 kilencven

9 kilenc 30 harminc 100 száz

10 tíz 31 harmincegy

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Numeri e culture

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Numerali delle culture dell’europa orieNtale

riferiscono ed impone dunque a queste parole variazioni notevoli. Qui per semplicità li si riporta solo al nominativo. La traslitterazione dal cirillico all’alfabeto latino usata nelle seguenti tabelle è «ad orecchio», più semplice ed intuitiva di quella raccomandata dagli specialisti.

cirillico traslitterazione cirillico traslitterazione

0 ноль nol 5 пять pyat1 один adin 6 шесть shyest2 два dva 7 семь syem3 три tri 8 восемь vosyem4 четыре cyetirye 9 девять dyevyat

I numerali fondamentali hanno radici comuni con la maggior parte delle lingue indoeuropee, salvo восемь (vosyem, 8), che è composto dal prefisso во- e da семь (syem, 7), nel senso di «succes-sivo di sette», e девять (dyeviat, 9) che, data la somiglianza con десять (dyesiat, 10) probabilmente significa «quasi dieci». Zero è ноль (nol), imparentato col latino nihil, da cui derivano l’italiano «nulla» ed il tedesco «null», che significa proprio zero.

cirillico traslitterazione cirillico traslitterazione

10 десять dyesyat 20 двадцать dvadtsat

11 одиннадцать odinnadtsat 21 двадцать один dvadtsat adin

12 двенадцать dvyenadtsat 22 двадцать два dvadtsat dva

13 тринадцать trinadtsat eccetera

14 четырнадцать cyetirnadtsat 30 тридцать tridtsat

15 пятнадцать pyatnadtsat 31 тридцать один tridtsat adin

16 шестнадцать shyestnadtsat eccetera

17 семнадцать syemnadtsat 98 девяносто восемь dyevyanosto vosyem18 восемнадцать vocyemnadtsat 99 девяносто девять dyevyanosto dyevyat19 девятнадцать dyevyatnadtsat 100 сто sto

Одиннадцать (adinnadtsat, 11) è один-на-дцать ossia «uno più dieci», con piccole trasfor-mazioni eufoniche che rendono più dure alcune lettere (десять diviene дцать). Analogamente si

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Numerali della cultura ciNese

partecipa da tempo ai circuiti dell’economia industriale globale, la Repubblica Popolare Cinese, formalmente Paese socialista ed in realtà regime autoritario di difficile classificazione, è oggi in una fase di aggressione dei mercati internazionali con prodotti sostanzialmente identici a quelli provenienti dai distretti industriali tradizionali a prezzi assai competitivi. Per questo, in parte dei ceti dirigenti d’Europa e degli Stati Uniti la Cina è percepita come una minaccia. C’è poi una terza grande massa di cinesi che ha scelto di emigrare, sfuggendo sia l’arretratezza dei centri agricoli, sia le difficoltà imposte dalle grandi trasformazioni delle città industriali. In quasi tutti i Paesi d’Europa e d’America si sono costituite da tempo comunità cinesi numericamente non trascurabili, spesso poco inclini alla comunicazione col contesto, normalmente dedite al lavoro con una capacità produttiva ed imprenditoriale che supera nettamente quella dei lavoratori locali, spesso ottenuta al prezzo di sacrifici personali che pochi individui di cultura europea vorrebbero oggi sopportare. A queste fonti di conflitti (concorrenza tra potenze industriali e tra lavoratori) si contrappone la grande capacità delle comunità cinesi di inserirsi nel tessuto sociale e produttivo dei Paesi di emigrazione e la monumentale ricchezza di una cultura antica e ricca di imponenti realizzazioni in moltissimi ambiti (medicina, cucina, poesia, arti…), che oggi possiamo in qualche modo apprezzare grazie alla crisi del pregiudizio eurocentrico, alla globalizzazione (che ci porta in casa merci e prodotti culturali) ed alla stessa emigrazione.

4.2 la matematica come ponte

La citata ritrosia delle comunità cinesi alla comunicazione con l’esterno rende particolarmente delicato il compito della scuola perché spesso questa è uno dei pochi luoghi in cui i loro membri hanno occasioni di incontro e frequentazione prolungata con gruppi sociali diversi. Se è vero per tutte le comunità nate dall’immigrazione (interna od internazionale) che la scuola deve costituire un luogo di scambio e di dialogo, ciò è particolarmente necessario in questo caso. È interesse di tutta la società italiana che gli individui di cultura cinese, immigrati o nati in Italia, non costitui­scano un corpo estraneo, un gruppo isolato o peggio una lobby, con ambienti e servizi dedicati esclusivamente, e che risponda prevalentemente a logiche interne.

Perché l’azione della scuola sia efficace in questo senso, il dialogo interculturale non può essere confinato in attività specifiche, peraltro utilissime: tutte le attività didattiche debbono prevedere occasioni in cui si possano affrontare insieme problemi legati alle più diverse tradizioni culturali, acquisendo le relative competenze. La matematica, se liberata dalle pastoie ideologiche dell’euro­

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Numeri e culture

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Numerali della cultura ciNese

centrismo, è in questo senso un ambito partico­larmente fertile. Si possono facilmente includere nei curricoli temi e metodi che esulano da quelli tipici della tradizione greca.

La matematica ha avuto un ruolo partico­larmente importante nella cultura cinese. Molti sono i teoremi che la ricerca cinese ha ritrovato indipendentemente dal filone greco­arabo, in particolar modo in algebra. Si suole pensare alla matematica cinese come frutto di uno svi­luppo separato. Alcune testimonianze storiche e nuove teorie degli scambi culturali sembre­rebbero mettere in discussione questa idea, ma certamente l’isolamento politico deve aver avu­to effetti anche in quest’ambito, almeno fino alla metà del XVI secolo. Poi, durante il regno della dinastia Míng (明), si ebbe una prima fase di espansione culturale europea in quelle zone, nella quale il missionario gesuita Matteo Ricci riuscì a farsi ricevere negli ambienti in­tellettuali cinesi e cominciò un’impressionante opera di traduzione ed adattamento tra le due culture. A lui si debbono sia la diffusione in Europa di molte informazioni sulla Cina (in particolare sul Confucianesimo, forma di pen­siero allora ivi dominante) sia l’introduzione in Cina di molti risultati scientifici, specialmente euclidei e di meccanica. Anche il sistema di scrittura indo­arabo fu introdotto in questa occasione ma ebbe diffusione massiccia solo qualche secolo più tardi. La successiva storia dei contatti culturali tra Cina ed Europa si snoda in un altalenarsi di aperture e chiusure, tentativi di infiltrazione commerciale e militare, rare occasioni di dialogo, sino ai conflitti coloniali del XIX secolo, al risveglio nazionale cinese (con una rivoluzione nazionalista e una socialista) ed alla globalizzazione.

Fig. 4.1 Una pagina dei Nove capitoli dell’Arte Matematica (九章算木 Jiuzhāng Suànshù), uno dei testi scienti­fici cinesi più antichi composto nel corso di diverse generazioni di studiosi tra il II secolo p.e.v. ed il I secolo e.v.

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Numerali delle culture filippiNe

I Mestizos sono discendenti filippini dei colonizzatori spagnoli e, a fronte dell’esiguità numerica, hanno preservato in genere ruoli sociali di privilegio. Questi migrano un po’ meno. Ci sono poi, nelle Filippine Cinesi, nordamericani (e loro discendenti) ed immigrati più recenti dalla Spagna e un po’ da tutta l’Asia limitrofa.

Una tale diversità culturale lascia intendere come ci sia in questo Paese una «questione della lingua» paragonabile a quella italiana, ma assai più complessa. Semplificando un po’, si può dire che la lunga dominazione spagnola, che ha inizialmente unificato il Paese pur lasciandolo frammentato («las Islas Filipinas»: le isole di re Filippo, al plurale, fu il primo nome unitario), se da un lato ha lasciato grandi testimonianze, tra cui il grande seguito della religione cattolica, i nomi dei luoghi ed i cognomi delle persone, d’altra parte non ha inciso molto nell’unificazione linguistica per una precisa scelta politica di gestione coloniale. Caso anomalo in tutto l’impero, gli spagnoli non allevarono qui una classe locale da coinvolgere nell’amministrazione e non imposero la loro lingua alla popolazione. Lo spagnolo fu così la prima lingua ufficiale di tutta la nazione, parlata però da un numero assai esiguo di persone.

Successivamente, durante il predominio nordamericano, quando una fittizia autonomia na-scondeva una nuova forma di colonizzazione, cominciò a diffondersi l’inglese. Negli anni ’40 del secolo passato, alla vigilia dell’indipendenza anche dagli Stati Uniti, un risveglio nazionale portò al recupero della lingua tradizionale della regione di Manila, il tagalog, che venne dichiarato lingua ufficiale, anche se non era molto parlato nelle altre province, ove venne sostanzialmente imposto negli usi pubblici, ma in cui resistono tuttora con orgogliosa ostinazione le altre lingue locali nella vita pratica e nella produzione culturale.

Da esso evolse il pilipino in cui sono inclusi termini e costrutti propri di altre lingue filippine e dell’inglese. Oggi le lingue ufficiali delle Filippine sono due: l’inglese ed il filippino, ulteriore evoluzione del pilipino.

5.2 Numerali in uso nelle Filippine

5.2.1 Lingue ufficiali, lingue di casa e lingue del mercato

I simboli numerici in uso sono dunque quelli indo-arabi. I loro nomi variano a seconda della lingua.

Nelle scuole delle Filippine si studiano bene l’inglese ed il filippino. La maggior parte degli studenti filippini che un insegnante può incontrare in classe è nata od ha cominciato a studiare in Italia. I loro genitori in patria probabilmente avranno studiato i numerali dell’inglese e quelli del

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Numeri e culture

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Numerali delle culture filippiNe

filippino e li avranno usati in scritture ufficiali e in usi pubblici, legati all’attività amministrativa. Anche a scuola, in cui del filippino si studia più che altro la grammatica mentre tutte le altre materie si studiano in inglese, i loro numerali di riferimento saranno stati quelli inglesi e così i nomi dei segni algebrici («plus», «minus», «times», «divided», «square root»…). Se non sono della regione di Manila, però, in casa e nella vita pratica avranno usato numerali di un’altra lingua filippina.

Oltre a questo sostanziale trilinguismo di base, a complicare le cose interviene anche l’uso as-sai curioso di cambiare numerali al di sopra del numero 10: in quasi tutti i mercati del Paese per comprare da 1 a 10 uova si usano le parole offerte dalla lingua locale, magari in qualche forma dialettale; ma se il numero delle uova cresce ecco che l’esercente ed il cliente resuscitano la memoria del periodo coloniale ed usano i numerali dello spagnolo, frammisti talora a qualche forma inglese, probabilmente in ragione del fatto che furono gli spagnoli ad imporre l’economia monetaria sul baratto su cui doveva basarsi l’economia dei principati insulari precoloniali.

Anche per indicare somme di denaro si usano numerali spagnoli, seguiti dalla parola pesos che indica la moneta in corso di validità. L’unica eccezione è per l’unità: se un oggetto costa un peso l’esercente dirà semplicemente piso, con la «i» e senza «un».

In generale il numerale 1 tende a sparire, ma questo non dovrebbe sorprenderci.Anche lo zero è stato introdotto dalla colonizzazione e, mentre il filippino ne è stato dotato, esso

manca nella maggior parte delle lingue tradizionali. In effetti oralmente non è necessario ed in ge-nerale al mercato si usa poco, anche perché oltre il 10 si usa un altro sistema che lo comprende.

10 è comunque la base fondamentale di tutti i sistemi usati in questa area.I numerali del filippino sono più o meno quelli del tagalog:

filippino

0 zero o wala 8 walo

1 isa 9 siyam

2 dalawa

3 tatlo 10 sampu

4 apat 100 isang daan

5 lima 1.000 sanlibo

6 anim 10.000 sampung libo

7 pito 1.000.000 isang milyon

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7.1 Legami e debiti storici

Una delle migrazioni in Italia storicamente più antiche è quella di cittadini dell’ Eritrea (ሃግሬ ኤርትራ Hagere Ertra). Dal secondo dopoguerra ad oggi il flusso è stato sostanzialmente ininterrotto portando alla formazione delle prime comunità organizzate di immigrati nelle città italiane. Si può pensare che il motivo di questa predilezione degli eritrei per il nostro Paese sia quel legame particolare che lega un Paese colonizzato al Paese colonizzatore. Dopo aver fatto parte per quasi 300 anni dell’Impero Ottomano ed in seguito dell’Egitto, l’Eritrea è stata dagli anni ’80 del XIX secolo uno dei principali territori scelti per l’avventura coloniale italiana, sotto la spinta, prima, di interessi capitalistici (soprattutto gli imprenditori Rubattino) che imposero al nostro Paese la ricerca di basi portuali in posizioni strategiche per il commercio navale (Gayim, 1992; Cerasi, 1991), poi in nome di una politica nettamente imperialista e razzista tesa allo sfruttamento di forza lavoro semi schiavile a bassissimo costo, al furto di risorse naturali (terre, fiumi, vegetazio-ne…) ed in ultimo alla ricerca di peso politico internazionale tra le grandi potenze mondiali. È doveroso ricordare che in queste vergognose vicende che coinvolsero sanguinosamente tutto il Corno d’Africa i soldati, i coloni ed i governi italiani (di sinistra, di destra, fascisti: poche furono le differenze) si distinsero per prepotenza, violenza (rappresaglie indiscriminate sui civili, repres-

Capitolo 7

Numerali eritrei

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Numeri e cuLture

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Numerali eritrei

sioni di massa…), crudeltà (villaggi di capanne con donne e bambini gasati con l’iprite), bassezza (stipula di patti truffaldini e successiva interpretazione di essi con malafede onde avere pretesti per l’uso della forza) e razzismo (che venne addirittura teorizzato sistematicamente ed insegnato anche prima del Fascismo). Per quanto possa essere doloroso, bisogna anche dire che nel frattempo il resto dell’opinione pubblica italiana mostrava quantomeno indifferenza e disinteresse, con le uniche eccezioni di piccole frange isolate di guerriglieri e cospiratori facenti capo all’Internazio-nale comunista (si pensi all’epopea di Barontini, Rolla ed Ukmar, oggi ricordati principalmente come eroi della resistenza europea) che alla fine degli anni ’30 del XX secolo si impegnarono per contrastare la penetrazione italiana soprattutto in Abissinia (attuale Etiopia; Amendola, 1967). È triste notare come oggi anche presso settori più scolasticamente avanzati della società italiana su queste vicende regni un oblio simile a ciò che gli psicologi chiamano rimozione nonostante i notevoli sforzi di alcuni storici e di diversi intellettuali che hanno accertato e debitamente do-cumentato le nefandezze di cinquant’anni di colonialismo (Del Boca, 1976-1984; 1991; 1992). L’Italia ha un grande debito storico con tutti i Paesi che ha colonizzato in quest’area, così come con la Libia, essa pure colpita dalle ambizioni imperialiste di qualche governo italiano. D’altra parte l’Italia non è stata l’ultima potenza ad ingerirsi nella vita eritrea, avendole fatto seguito l’Inghilterra e poi la Repubblica Federale Democratica di Etiopia (የኢትዮጵያ ፌዴራላዊ ዲሞክራሲያዊ ሪፐብሊክ, ye-Ītyōp’yā Fēdēralāwī Dīmōkrāsīyāwī Rīpeblīk), cui venne regalata dall’Organiz-zazione delle Nazioni Unite e da cui si è resa indipendente nel 1991 dopo trent’anni di guerra di liberazione (Gayim, 1992).

7.2 multiculturalismo eritreo

La popolazione dell’Eritrea (circa quattro milioni di abitanti) è composta da almeno nove gruppi culturali, professa in larga maggioranza l’Islam Sunnita ed il Cristianesimo di confessione Ortodossa Orientale e parla prevalentemente il tigrino (ትግርኛ leggasi tigrignà) e l’arabo. Hanno grandissima diffusione anche l’italiano e l’inglese, tanto che si possono trovare cartelli e documenti in tutte e quattro le lingue.

Occorre fare attenzione a non confondere alcuni nomi: metà della popolazione è di cultura tigrina, mentre un buon 40% è di cultura tigré. I Tigré sono un popolazione originaria della regione del Tigray, nel nord dell’Etiopia. Ci sono poi le altre sette culture minoritarie (Nara, Kumana, Afar, Bilen, Rashaida, Hidareb e Saho) e su alcune isole è stata recentemente scoperta la lingua dahlik.

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Numeri e cuLture

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Numerali eritrei

Di grande entità, nonostante le vicende politiche, sono anche gli scambi culturali con l’Etiopia, cui l’Eritrea venne accorpata durante alcune delle dominazioni e dunque sono diffuse la cultura e la lingua amariche. La maggioranza degli eritrei immigrati in Italia è di cultura e lingua tigrina.

7.3 Numerali tigrini e cifre ge’ez

Il tigrino e l’amarico appartengono alla famiglia semitica e si scrivono con un alfabeto sillabico assai complesso, nato per il ge’ez, una lingua oggi morta che si parlava nella regione. In questo alfabeto sono incluse cifre specifiche derivate dall’al-fabeto greco per rappresentare alcuni numeri con un sistema simile a quello degli antichi romani, che però si va perdendo.

Nella tabella che segue compaiono in seconda colonna le cifre ge’ez, nella terza il numerale tigrino in alfabeto ge’ez e nella quarta la traslitterazione in alfabeto latino, che oggi va soppiantando tutte le altre.

ge’ez latino

0 ባደ bade1 ፩ ሐደ hade2 ፪ ከልተ kilte3 ፫ ሠለሰተ seleste4 ፬ አርባዕተ arba’ete5 ፭ ኀሙሸተ hamushte6 ፮ ሸድሸተ shidishte7 ፯ ሾብዓተ shob’ate8 ፰ ሾሞንተ shomonte9 ፱ ትሸዓተ tishi’ate10 ፲ ዓሠርተ asserte

Fig. 7.1 Un francobollo che riunisce i nove gruppi linguistico-culturali principali dell’Eritrea in un simbolo di concordia ed unità. Il nome del Paese è scritto negli alfabeti latino ed arabo.

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Numeri e culture

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Numerali di alcuNe culture africaNe

8.2 multiculturalismo e multilinguismo

In generale le società di questi Paesi sono decisamente multiculturali: comunità ed individui che condividono luoghi, strumenti ed istituzioni possono avere usi e gusti molto vari, parlare molte lingue e professare diverse religioni. Inoltre le popolazioni sono molto mobili e migrano sia all’in-terno degli stati, sia tra stati diversi quindi la composizione sociale e culturale di una regione può subire variazioni. A causare questi spostamenti sono prevalentemente fenomeni tipici dell’epoca industriale quali la ricerca di condizioni economicamente favorevoli, di posti di lavoro, di centri di formazione o di studio (il cui numero è in genere gravemente insufficiente rispetto al bisogno) e via dicendo. Accanto a questi fattori hanno un’influenza notevole, seppur via via decrescente, anche elementi tipici di contesti ed economie molto diversi come gravissime crisi economiche generali o di settori specifici, persecuzioni politiche, religiose o culturali scatenate di tanto in tanto da parte delle molte dittature o multiformi oligarchie autoritarie che abbondano nell’area, impoverimenti improvvisi causati dalle politiche di potenti aziende multinazionali che si appropriano di beni fondamentali, discriminazioni ed espulsioni operate da potentati economici o politici di vario tipo, gravi calamità come inondazioni, siccità, epidemie… In un passato non troppo lontano ed in misura minima ancora oggi, a spostare masse di persone tra territori talora lontani contribuivano

anche sistemi di allevamento che implicavano transumanze di massa con poco riguardo per confini artificiali stabiliti da amministrazioni statali comunque lontane dalla vita dei singoli. Molti sono gli aspetti simbolici legati al mondo pastorale ed a varie forme di nomadismo che possiamo rintracciare in gran parte di queste culture. Pur se nella storia di queste regioni non sono mancati grandi imperi territoriali, l’ordi-namento prevalente per millenni è stato quello feudale; quindi l’idea di stato-nazione, col lega-me forte tra cultura e territorio, è penetrata più che altro per effetto del colonialismo europeo ed ha avuto una certa vitalità prevalentemente in alcuni ceti e solo dall’epoca assai recente del-le liberazioni, durante la quale alcune identità nazionali sono state ricostruite sulla base di pre-

Fig. 8.1 Una veduta di Dakar, popolosa e moderna capitale del Se-negal.

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Numeri e culture

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Numerali di alcuNe culture africaNe

cisi progetti politici e culturali. Le lingue ufficiali che unificano questi Paesi e di cui si servono le amministrazioni pubbliche sono in genere quelle delle potenze europee colonizzatrici. Accanto ad esse ci possono essere altre lingue nazionali talora parlate in più di un Paese e poi tante altre lingue minoritarie, talora solo artificiosamente subordinate e ridotte al rango di dialetti. Lingue e dialetti possono essere transnazionali e può accadere che un cittadino di uno stato trovi più difficoltà a comunicare con un compatriota che con un cittadino di un altro stato.

La seguente tabella riporta la composizione linguistica di alcuni Paesi africani, riferita a dati del 1990. Nella terza colonna, che riporta il numero di lingue parlate, dove non compaiono dati è perché non c’è consenso tra gli studiosi (da Kembo-Sure e Webb, 2000).

Paese popolazione(milioni)

numero di lingue

lingue più parlate(sottolineate le ufficiali)

Angola 11,5 42 portoghese, umbundu, kimbundu, congo, cokwe

Benin 5,5fon, yoruba, bariba, adjia, fulani, francese

Burkina Faso 10,4 moore, mandino, fulani, francese

Camerun 13,5 257edwondo, fang, bamileke, eton, fulani, imboa, baraguillé, inglese, francese

Capo Verde 0,5 creolo portoghese, portoghese

Repubblica Centraficana

3,5 sango, banda, baye, zande, francese

Chad 6,5 sara, francese, arabo

Congo Brazzaville 2,7 57 congo, lingala, tituba, francese

Congo 43,5 220lingala, kongo, luba, mongo, kiswahili, francese

Costa d’Avorio 14,5anyi, baule, bete, mandino, senufo, francese

Etiopia 57amarico, afar, oromo, sidamo, somalo, tigrino

Guinea Equatoriale 0,5 bubi, fang, inglese, spagnolo

Gabon 1,5 42 fang-mbeti, shira-punu, francese

Ghana 17,5 asante, fante, ewe, ga, dagombe, inglese

Guinea 6,5 fulani, malinke, susu, francese

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9.1 Un esempio

In una scuola di una città italiana, un insegnante scrive alla lavagna: «9 + 7 = 16». Nella classe che gli sta di fronte c’è un allievo, chiamiamolo A, che è figlio di cittadini immigrati e normalmente a casa non parla in italiano. Nella sua cultura matematica 9 si dice «dieci meno uno». Inoltre, dato che il suo sistema numerico si basa sul 5, il numero 7 si dice «cinque più due» ed il numero 16 si dice «quindici più uno». Probabilmente agli studenti di cultura italiana di quella classe, per cui invece 9 e 7 non sono che semplici numerali fondamentali e 16 è «sei più dieci», viene in mente un’espressione del tipo:

9 + 7 = 6 + 10

Per A la cosa è ben diversa e ben più complicata perché i suoi processi mentali di interpretazione lo portano all’espressione:

(10 – 1) + (5 + 2) = 15 + 1

A va piuttosto male in aritmetica. È sempre l’ultimo a finire i compiti e fa molti errori di cal-colo.

Capitolo 9

Per concludere

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NUmeri e cUltUre

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Per concludere

9.2 Ostacolo

Per analizzare questa situazione con gli strumenti teorici offerti della letteratura della didattica della matematica, possiamo rifarci a due concetti che hanno incontrato un grandissimo succes-so: l’ostacolo ed il contratto didattico. Entrambi sono stati introdotti dallo studioso francese Guy Brousseau e sono illustrati con dovizia di particolari ed esempi in D’Amore (1999).

Si parla di ostacolo per indicare una difficoltà dell’allievo nell’adattamento delle rappresenta-zioni mentali necessarie alla formulazione dei concetti e dei comportamenti utili alla risoluzione di problemi di fronte a situazioni nuove. Nel tentativo di interpretare un oggetto nuovo od una situazione mai frequentata, l’allievo tende ad usare gli schematismi teorici che già conosce e di cui si fida. Se si rende conto che questi non sono adatti è portato a crearne di nuovi, solitamente adattando i vecchi e trasformandoli. È però un processo non facile, in qualche misura doloroso, per cui è possibile che non riesca a staccarsi dai modelli noti e preferisca non badare alle inevitabili contraddizioni che sorgono nella situazione presente. In questa visione la difficoltà è frutto della forza di una conoscenza pregressa che ha avuto successo in altri casi ma che non è adatta alla situa-zione in cui l’allievo si trova al momento.

Nell’esempio del paragrafo precedente, l’allievo A ha interpretato i numerali secondo un siste-ma linguistico che è in sé corretto e che sente come suo. Esso però lo mette in una situazione più difficoltosa rispetto agli altri allievi di fronte ad una operazione che è stata pensata, scritta e gestita con le caratteristiche linguistiche del sistema decimale e della lingua italiana. Probabilmente nelle somme di multipli di 15 è più bravo di tanti suoi compagni di cultura italiana perché si serve di rappresentazioni più comode, ma nell’attività proposta dall’insegnante si trova in svantaggio.

La difficoltà di A non è di natura aritmetica. In un contesto sociale e linguistico diverso proba-bilmente i suoi problemi sarebbero assai più lievi. L’ostacolo incontrato da A è quindi di origine sociale e culturale (D’Amore, Radford e Bagni, 2006). Le difficoltà nella comunicazione, la mancata condivisione di regole linguistiche comuni alla classe ed infine una scelta didattica dell’insegnante contribuiscono a limitare le capacità di A.

9.3 contratto didattico

Da dove deriva tale ostacolo? Perché ha tale forza debilitante? Una risposta ragionevole ci viene dall’idea di contratto didattico. Si tratta di quell’insieme di convenzioni, aspettative e com-

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NUmeri e cUltUre

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Per concludere

portamenti attesi che regola i rapporti reciproci tra allievi ed insegnante. La sua caratteristica fondamentale è che è quasi totalmente implicito ed in buona parte persino inconscio. Esso vige con una miriade di clausole in tutta la vita relazionale ed epistemologica della classe, orientandone le rappresentazioni mentali, imponendo comportamenti e richiedendo conoscenze, competenze e semplici abitudini con la forza della necessità e dell’ovvietà.

Tra queste regole implicite ed in buona parte inconsce ci sono anche regole linguistiche. Il contratto didattico governa la comunicazione, la produzione di segni e la loro interpretazione. Quando l’insegnante scrive alla lavagna un’operazione aritmetica, produce alcuni segni numerali che rappresentano gli addendi, un segno operazionale, un segno di eguaglianza ed un numerale che rappresenta il risultato, il tutto in un determinato ordine e secondo alcune regole sintattiche. Se poi legge questa scrittura, pronuncia delle parole che sono collegate ai simboli scritti secondo precise regole linguistiche. Gli allievi, dal canto loro, interpretano tutto questo, ossia attribuiscono ai segni dei significati, dopo averli analizzati e scomposti nella loro struttura sintattica. Il processo di interpretazione è solitamente assai rapido ed in buona parte inconsapevole, basandosi su dei meccanismi che con la pratica divengono automatici e non richiedono l’attenzione della coscienza. Proprio in questo affidarsi della mente ad inconsci automatismi risiede probabilmente una fonte di equivoci e misconcezioni. In che misura è lecito aspettarsi che questi automatismi funzionino allo stesso modo nella testa di tutti gli allievi? Quanto le regole implicite della comunicazione sono effettivamente condivise in una classe?

9.4 interpretazione e rappresentazione

La matematica è stata a lungo considerata il dominio della chiarezza e dell’inequivocabilità. Il suo linguaggio è stato spesso descritto come del tutto privo di incertezze o di sfumature e l’interpretazione dei suoi segni come una applicazione meccanica di regole semplici. Oggi il contributo degli studi psicologici e sociologici porta ad ammettere che le cose sono più com-plicate. Primo perché interviene sempre qualche aspetto contestuale (sociale e culturale) ed emozionale a colorire la nostra lettura. Poi perché gli oggetti della matematica accademica non sono oggetti sensibili. Non hanno una parte fenomenica, ma solo una noumenica: ce li possia-mo solo immaginare. Anzi, già il verbo immaginare è troppo concreto, si rifà all’immagine, alla vista. Possiamo solo concepirne le definizioni, ricordarne le proprietà. Nessuno ha mai «visto» un triangolo, né il numero 2.