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A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno IX N° 95 giugno 2016 Mensile d’informazione d’arte n in mostra: Caravaggio experience … unmissable n architettura: Arte Metropolitana www.artemediterranea.org n in mostra: Capolavori della scultura buddista giapponese n dedicato a: Addio Zaha Hadid Zaha Hadid, MAXXI

Occhio all'Arte (giugno 2016)

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rivista culturale

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A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno IX N° 95 giugno 2016

Mensile d’informazione d’arte

nin mostra: Caravaggio experience … unmissable

narchitettura: Arte Metropolitana

www.artemediterranea.org

nin mostra: Capolavori della scultura buddista giapponese

ndedicato a:Addio Zaha Hadid

Zaha Hadid, MAXXI

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Mensile culturale edito dallaAssociazione Arte Mediterranea

via Dei Peri, 45 ApriliaTel.347/1748542

[email protected]. del Tribunale di Latina N.1056/06, del 13/02/2007

FondatoriAntonio De Waure, Maria Chiara

LorentiCristina Simoncini

AmministratoreAntonio De Waure

Direttore responsabileRossana Gabrieli

Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti

RedazioneMaria Chiara Lorenti, Cristina

Simoncini, Giuseppe Di Pasquale, Eleonora Spataro, Stefania Servillo

CollaboratoriLuigia Piacentini,Patrizia Vaccaro,

Laura Siconolfi, Maurizio Montuschi, Greta Marchese, Giulia Gabiati,

Valerio Lucantonio, Martina Tedeschi, Marilena Parrino, Nicola Fasciano,

Maria Centamore, Giuseppe ChitarriniTiziano Anderlini

Responsabile MarketingCristina Simoncini

Composizione e Desktop Publishing

Giuseppe Di Pasquale

Stampa Associazione Arte Mediterranea

via Dei Peri, 45 Aprilia

Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche

parziale senza il consenso dell’editore

Sommario

Siviglia e il complesso Real AlcázarCaravaggio experience … unmissable

WALL•E Grazie Zaha Jean Renoir

Arte MetropolitanaCapolavori della scultura buddista giapponese

La misericordia nell’arteIl vino diventa arte

Radio Clandestina al Teatro VittoriaLe conseguenze del pericoloso aumento

del livello del maresul filo di china

Katsuyoshi Nakahara, “Floral Fantasy”

n

Per sponsorizzare “Occhio all’Arte” Telefona al 347.1748542

Sono in distribuzione la 1a e 2a lezione del DVD sulla

pittura ad olio

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architetturanSiviglia e il complesso Real AlcázarUna commistione di stili in un complesso unico nel suo genere di Giulia Gabiati

Siviglia è una città spagnola, capoluogo della comunità autonoma dell’Andalusia, che vede l’interessante e curioso puzzle di stili e influenze, che rispecchiano

temporalmente le varie fasi della città, fondersi in ogni suo angolo, ricordandoci così la sua importanza storica in quanto crocevia di innumerevoli culture.Il Real Alcazàr di Siviglia è uno dei complessi architettonici più antichi al mondo. Situato nel cuore della città ci racconta come nel corso degli anni si siano succedute culture e dominazioni differenti, e come queste abbiano modificato nel tempo la fisionomia della struttura a partire dal suo anno di costruzione, risalente alla conquista spagnola da parte dei Mori. La storia del palazzo è infatti quella della città stessa. Lo stile prevalente è quello islamico, ma non mancano differenti sovrapposizioni coerenti con la Reconquista spagnola da parte dei sovrani cristiani, che terminerà nel 1492, anno della scoperta dell’America e in cui l’ultimo governante musulmano sarà espulso. A partire dal califfato Almohadi, che governò la Spagna musulmana dal 1147 al 1269 e che contribuì alla realizzazione degli altri simboli della città, come la torre Giralda della grande cattedrale, arriviamo a Ferdinando terzo “il

santo” e a Pietro I “il giusto”, passando per la trasformazione castigliana con Isabella di Castiglia fino a Carlo V, che arricchì l’ architettura cittadina con elementi gotici. Ciò che ne derivò fu uno stile tutto originale, prosecuzione di quello Mozarabo, comunemente chiamato Mudéjar. Divenuto patrimonio dell’Unesco nel 1987, il palazzo vede il suo atrio di ingresso sulla piazza del Trionfo, dominata dalla grande cattedrale di Siviglia. Ai colori chiari, come la sabbia tipicamente orientale, che caratterizzano le facciate esterne e i cortili, si sovrappone il blu, il verde, il rosso e il giallo ocra dei mosaici, realizzati con coloratissimi pezzetti di ceramica lavorati uno alla volta. Ai soffitti circolari di alcune stanze, che richiamano cieli stellati, si sovrappongono invece i cassettoni tipici dell età imperiale nelle altre. All’esterno i verdi giardini profumati di arancio e mirto concludono la visita piacevolmente riportandoci indietro nel tempo. Curiosità: il Giardino, con il suo meraviglioso porticato dai toni orientali e i suoi vivaci colori è stato utilizzato per girare delle scene della quinta stagione della nota serie televisiva “Game Thrones”.

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Caravaggio experience … unmissableAl Palazzo delle Esposizioni fino al 3 luglio 2016 di Laura Siconolfi e Maurizio Montuschi

Spesso le mostre temporanee, soprattutto quelle romane, deludono le aspettative del fruitore. Le opere esposte risultano poco significative

del processo creativo di artisti d’indiscussa fama internazionale; abbondano opere giovanili o di minor impatto emotivo, disegni preparatori, cui si affianca, di tanto in tanto, qualche capolavoro, consolatorio, ma che non giustifica affatto il costo esoso del biglietto d’ingresso. Altre volte è il lavoro dei curatori a essere deludente, illuminazione inadeguata, pannelli esplicativi scarsi o ostici, dialoghi tra opere di autori diversi, misteriosi, e via dicendo. Fortunatamente ci sono le eccezioni, e bisogna riconoscerlo alcuni percorsi espositivi sono indimenticabili, per la sinergia tra ciò che si offre al visitatore e il modo, cioè il lavoro encomiabile dei curatori. Basti pensare alla mostra su Michelangelo Merisi da Caravaggio, che le Scuderie del Quirinale hanno organizzato qualche anno fa. Bellissima, completa, appunto indimenticabile. Del grande artista seicentesco si poteva percepire la genialità, la modernità, la piacevolezza cromatica e pensare che emozioni così forti forse sarebbero state irripetibili, che il meglio di Caravaggio era lì. Il top in realtà

doveva ancora arrivare, il top è l’imponente, originale, e inedita installazione, Caravaggio Experience, con cui il Palazzo delle Esposizioni omaggia di nuovo, ma in una maniera più moderna, l’opera del grande lombardo. Un sofisticato sistema di multi - proiezione a grandissime dimensioni, musiche originali dai toni ora duri, spigolosi, ora morbidi “cromatici”, come se venissero fuori dai dipinti; profumi intensi e penetranti, coinvolgono e immergono lo spettatore in un’esperienza emozionale molto forte. Si ha la netta sensazione che la palese volontà del Caravaggio di voler annullare le barriere tra lo spazio dipinto e lo spazio reale, per ottenere il coinvolgimento dello spettatore, sia stata resa finalmente possibile da una modernissima videoinstallazione. Mentre le immagini scorrono, nelle ampie sale del Palazzo, l’astante è letteralmente dentro lo spazio creato dall’artista, osserva e si sente osservato, partecipa al banchetto, si lascia avvolgere da sguardi vivi, languidi, pacati, celesti, terreni, crudeli. Le immagini vengono continuamente scomposte e ricomposte, ingrandite e rese parte dell’ambiente in cui ci si muove. I personaggi che prendono vita in modo

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Caravaggio experience … unmissableAl Palazzo delle Esposizioni fino al 3 luglio 2016

in mostran

teatrale e avvincente, ci ricordano l’esistenza ardita e tragica dell’artista. L’affascinante esperienza multimediale, della durata di cinquanta minuti, ripercorre i grandi temi della produzione del Caravaggio: la luce, il naturalismo, la teatralità, la violenza e termina con un viaggio ideale, ma cronologicamente esatto, nei luoghi in cui l’artista ha vissuto e creato, da Milano a Roma, a Malta, a Napoli. Mentre i cinquantasette capolavori in mostra scorrono, riprodotti attraverso l’uso di trentatré proiettori, emergono e s’imprimono nella mente, le scelte rivoluzionarie che hanno consegnato l’artista all’eternità. In primis la funzione compositiva e simbolica della luce che è l’emblema che svela il reale, lo rende evidente, vivo ai nostri occhi. Permette di svelare i

personaggi, facendoli emergere dall’oscurità, dalle tenebre cui sono destinati; è divina e terrena allo stesso tempo. Nel corso degli anni il suo stile muta nelle forme e nei colori, ma la luce rivelatrice rimane l’elemento compositivo costante. Altro segno distintivo, il naturalismo; Caravaggio dipinge la realtà in cui vive alternando quadri con nature morte, scene di vita vissuta, giovani personaggi che incontra nelle botteghe, tra i palazzi e le strade di Roma, spesso rissosi e violenti. La violenza è uno dei tanti ingredienti della società in cui il nostro vive e si dibatte; le esecuzioni pubbliche, le zuffe tra i vicoli, nelle osterie, le vendette, i gesti estremi sono entrati nelle sue opere cosi come gli zoom sui particolari evidenziano in maniera impressionante.

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occhio al cinemanWALL•E La massima espressione dei Pixar Animation Studios

di Valerio Lucantonio

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Nono film della casa di produzione che più di tutte ha lasciato un profondo segno nella storia dell’animazione, “WALL•E” è anche il secondo Oscar per Andrew Stanton, già

vittorioso con “Alla ricerca di Nemo” nel 2004. Se nel precedente lungometraggio la novità (e la sfida tecnica) era la simulazione verosimile del mondo sottomarino e delle sue dinamiche fisiche, qui ci troviamo davanti a un esperimento per certi versi più estremo: la prima parte del film, omaggio spassionato al cinema muto (che ha portato gli studiosi ad accostare il robottino protagonista allo Charlot di Charlie Chaplin), presenta al pubblico una qualità dell’immagine ormai totalmente fotorealistica, rendendo davvero difficile capire se si tratti di una simulazione digitale inserita in un ambiente reale (pratica ormai all’ordine del giorno in qualsiasi blockbuster) o se le caratteristiche del cinema live action siano state ormai completamente assorbite dall’animazione 3D. A dire il vero è il film stesso che esplicita questo nuovo rapporto di convivenza e dipendenza tra le due modalità visive, essendo la prima pellicola Pixar a mostrarci (seppur mediati sempre da uno schermo) dei veri esseri umani, mentre nella seconda parte, ambientata nell’astronave, troviamo delle vere e proprie caricature, trasfigurate dalla tecnologia sia a livello narrativo che tecnico.Oltre a questi elementi di novità, “WALL•E” è in grado di riproporre in maniera più adulta (tanto da essere stato inquadrato anche nei termini del film politico/di sensibilizzazione) tematiche fondamentali e ricorrenti dello studio di Emeryville: la necessaria sintesi tra vecchio e nuovo (incarnata palesemente dai due robot protagonisti), la ricerca e la creazione dell’identità personale, un personaggio a suo modo creativo ed innovatore. Quest’ultimo elemento è particolarmente interessante e merita un approfondimento: il personaggio di WALL•E è un aggregatore tanto di rifiuti quanto di riflessioni, e sembra essere davvero il protagonista più complesso della filmografia Pixar. Da una parte realizza materialmente il sogno e lo scopo di ogni animatore, il poter dotare di vita un oggetto inanimato, cosa che in verità il robottino compie autonomamente dopo centinaia di anni a contatto con i resti della civiltà umana (non è di certo un caso che ciò che lo smuove e gli fa sviluppare il senso

dell’amore sia un film, simbolo dell’epoca d’oro di Hollywood: “Hello, Dolly!”, musical ambientato a fine ‘800, che porta a confronto il periodo reale della fine della frontiera americana, primo passo verso la nuova frontiera spaziale, con il presente fantascientifico in cui di quella mira espansionistica rimangono solo le conseguenze); dall’altro lato abbiamo invece in lui una perfetta rappresentazione di quella che Lev Manovich, studioso seminale nel campo dei media, definisce la logica culturale dominante nella contemporaneità, e quindi anche del cinema postmoderno: quella del database. WALL•E infatti sopravvive grazie all’accumulo di gadget, cianfrusaglie e componenti di ricambio con i quali ripararsi, tanto che la sua “casa” pare più un archivio fisico da cui attingere che una dimora familiare e protettiva (della quale d’altronde un robot non ha bisogno).Tornando al precedente accenno al modo di rappresentazione postmoderno, è innegabile e lampante che il film di Stanton costituisca un perfetto compendium dell’eredità dei capolavori del cinema sci-fi: a partire da “2001: Odissea nello spazio” (al quale può essere paragonato senza paura, sia per la struttura narrativa circolare, che inizia e si conclude “sulla Terra”, sia per l’importanza degli effetti speciali rispetto al periodo d’uscita), citato esplicitamente più di una volta, per proseguire con la scenografia interna dell’astronave che sembra una fusione tra Blade Runner e l’estetica Apple, e per concludere con film meno noti come l’ecologista “Silent Running” (dal fuorviante titolo italiano “2002: la seconda odissea”) o l’esordio cinematografico di George Lucas “THX 1138” dal quale riprende una fotografia fredda, asettica, e la problematizzazione dei sentimenti.In conclusione, nonostante l’enorme successo del recente “Inside Out”, “WALL•E” detiene ancora oggi il titolo di migliore film Pixar, probabilmente anche grazie alla rischiosissima scommessa di Stanton di adottare nella prima parte toni ostici per quello che dovrebbe essere il pubblico di maggior riferimento (quello infantile); scommessa più che riuscita, visti il risultato comunque soddisfacente al box office e soprattutto l’eccelso livello estetico e tecnico, che ha posto un nuovo punto di riferimento sia per l’animazione digitale sia per i film di fanta-scienza tout court.

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Grazie Zaha Addio “Dame” Hadid di Maria Chiara Lorenti

Camminava per il mondo e ovunque ha lasciato la sua impronta.

Zaha Hadid era l’archistar più famosa nel pianeta. Riconoscimenti, premi, (non per niente le hanno assegnato il Pritzker Prize), osannata o osteggiata, nessuno può negare che sia stata il pilastro dell’architettura mondiale, una rivoluzionaria decostruttivista, che ha trasformato le rette in onde, ha afferrato le linee e le ha stirate, arricciate, le ha avvolte per poi svolgerle, dando forma a costruzioni fiabesche, a strutture

avveniristiche, dove lo spazio

sembra dilatarsi all’infinito. Iraniana di nascita, apolide per scelta, Hadid (ferro nella lingua madre, come dimostra il suo carattere indomito) nacque a Bagdad, per poi laurearsi dapprima in matematica a Beirut, eppoi in architettura a Londra, dove ebbe inizio la sua sfolgorante carriera. La sua creatività le ha

attirato numerose

critiche, per i suoi progetti arditi,

irrealizzabili per alcuni addetti ai lavori, più attinenti

a quadri astratti che ad edifici abitabili. Ma Zaha Hadid aveva dei sogni, ambiziosi certo, e molti li ha ben radicati sulle terre di tutto il globo, da est ad ovest, da nord a sud , nonostante la limitazione convenzionale alla gravità ed alla prospettiva. La sua concezione era che: “... entrando in uno spazio

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dedicato an

architettonico le persone

dovrebbero provare una sensazione di armonia,

come se stessero in un paesaggio naturale”. E così si è ispirata per i suoi progetti, molti rimasti sulla carta, purtroppo. Ha combattuto contro i mulini a vento di una certa elite di architetti, quel gotha che voleva imbrigliarla in una rete di rigidità di angoli retti e linee dritte, ma lei ha resistito ad ogni pressione, ha rispettato i propri

ideali, ha portato avanti le sue visioni, e dopo anni di progetti abortiti, è finalmente riuscita ad imporsi, creando strutture entusiasmanti, sia a Londra, sua patria adottiva, con il London Aquatics Centre, e il padiglione della Serpentine Gallery, per non parlare del Bridge Pavillon a Saragozza, o il Riverside Museum of Transport a Glasgow ed altri fino al MAXXI a Roma.

Sir Peter

Cook, tra i maggiori

architetti in Inghilterra, in occasione

del riconoscimento “Riba Royal Gold Medal”,

ottenuto dalla Hadid nel 2016, ha ribadito che: “...sicuramente il suo lavoro è speciale. Se Paul Klee ha passeggiato lungo una linea, Zaha Hadid ha trascinato le superfici scaturite da quella linea in una danza virtuale, poi le ha abilmente ripiegate su sé stesse, portandole in viaggio nello spazio”.

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di Stefano Cagnazzo

occhio alla regian

C inema e teatro: due forme d’arte diverse, eppure con tanti momenti di contatto, al punto che esistono studi interessanti sulle cosiddette

“contaminazioni”, ovvero tutte quelle opere in cui il palcoscenico ed il grande schermo si sono incrociati, dando vita ad esiti soprendenti.Primo fra tutti, il grande Melies che, avendo assistito ai primi lavori dei fratelli Lumieres, aveva avuto – in assoluto anticipi sui tempi – la grande intuizione di attuare modalità per mettere in contatto le due forme d’arte. Fu il primo geniale cineasta di una lunga serie di brillanti “sperimentatori”. Il maestro assoluto, però, in questa particolare forma di sperimentazione è sicuramente Jean Renoir, figlio del celebre pittore impressionista Pierre-Auguste.Appassionato artista e, agli esordi, fotografo, realizzò, nel 1952, “La carrozza d’oro”, affidando il personaggio femminile principale, Colombina-Camilla,

all’ interpretazione di Anna Magnani, superba nel dotare il suo personaggio del suo stesso carattere passionale.Sul grande schermo venne ricreato un vero e proprio palcoscenico, su cui recitava una compagnia di attori italiani, ospiti del vicerè di una colonia spagnola in Sudamerica. Le vicende si spostano all’ interno ed all’esterno del teatro e lo spettatore si trova ad assistere a due spettacoli contemporaneamente: quello teatrale e quello cinematografico, in una sorta di gioco degli specchi in cui una vicenda si riflette nell’altra, creando sensazioni di spaesamento, ma anche di meraviglia e piacere.Una modalità che verrà ripresa, in tempi pù recenti – e sempre con successo – anche da Joe Wright, in “Anna Karenina” (2012) e dai fratelli Taviani in “Cesare deve morire” (2012), opere che, sia pure in modi diversi, hanno lasciato un segno.

Jean Renoir

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Arte MetropolitanaL’esibizione d’arte più estesa del mondo sotto le strade di Stoccolma.

Per chi è del posto forse non sarà più una sorpresa, ma per turisti e visitatori assidui, innamorati della città, rimane senza dubbio uno dei più bei piaceri per gli occhi. Di cosa si parla?

Della galleria d’arte più lunga del mondo. Dove? A Stoccolma, precisamente, sotto i vostri piedi mentre passeggiate per il parco di Kungsträdgården, tra i vicoli storici di Gamla Stan, o lungo il porto di Slussen. Se non l’avete ancora capito, per visitare il posto in questione vi basterà prendere la metro e troverete tutto lì, davanti ai vostri occhi, perché ben 90 delle 100 stazioni totali della metropolitana di Stoccolma sono un vero e proprio tripudio d’arte: oltre 150 artisti si sono cimentati nell’arricchimento di tali siti con maestosi mosaici, dipinti, bassorilievi realizzati su piastrelle e sculture ispirate all’arte greco-romana. L’idea di base, che ha spinto la promozione dell’iniziativa, negli anni Cinquanta, è stato il pensiero comune di “rendere l’arte accessibile a tutti”; in onore di ciò la famosa artista svedese Vera Nilsson giocò un ruolo fondamentale nella realizzazione di questo lungo museo sotterraneo, sostenendo l’importanza della presenza artistica nella quotidianità di ognuno e affermando, in una lettera al sindaco, che ad ogni fermata sarebbe stato come entrare in un castello delle fiabe. Fu così che dopo il completamento della prima linea, le mozioni che richiedevano l’installazione di opere d’arte nelle stazioni metropolitane furono finalmente approvate. Ogni tappa ha la sua caratteristica, di seguito un piccolo elenco delle più visitate e suggestive: T-Centralen, la prima stazione a subire l’intervento degli artisti, dove si possono ammirare intere pareti ricoperte da piastrelle e rilievi degli anni ’50; Stadion, la stazione definita “a grotta”, dove è stata realizzata una vera e propria grotta azzurra attraversata da un arcobaleno; Tekniska Högskolan, la fermata dell’università KTH, dove

sono esposti dipinti, figure tecniche e sculture dell’artista Lennart Mörk che rappresentano i quattro elementi, l’universo e lo sviluppo tecnico; Fridhemsplan, la più visitata, dove si possono osservare delle decorazioni in ceramica e sculture di terracotta lungo tutte le pareti, opere date in donazione dal Museo Metropolitano di Lisbona; Solna Centrum, realizzata da Karl-Olov Björk e Anders Åberg, caratterizzata da un soffitto a grotta rosso acceso che sembra infuocare tutta la pensilina. Insomma, che siate o no amanti dell’arte, non resterete di certo impassibili al tocco atemporale degli artisti che hanno contribuito a rendere le vie sotterranee di Stoccolma le più suggestive e le più originali d’Europa. Se sul vostro piccolo mappamondo personale non avete ancora spuntato la Svezia, consiglio Stoccolma come vostra prossima tappa.

di Martina Tedeschi

architetturan

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di Stefania Servillo

in mostran

I Musei Capitol in i propongono un percorso art ist ico-rel ig ioso attraverso l ’esposiz ione “La Miser icordia nel l ’arte. It inerar io giubi lare tra i Capolavor i dei grandi

Art ist i Ita l iani”. Un progetto che presenta i l concetto di Miser icordia attraverso due dist inte sezioni: la pr ima “ la Madonna del la Miser icordia” ha come soggetto la Madonna che accogl ie i l popolo cr ist iano; la seconda “ le Sette Opere di Miser icordia Corporal i” s i r i fà al le opere che enuncia Cr isto come comportamenti che un buon cr ist iano deve mettere in prat ica.L’esposiz ione presenta opere di autor i come: Niccolò Alunno, Jacopo Zanguidi detto I l Bertoja, Pietro Bernini e Guido Reni; mentre i capolavor i di P iero del la Francesca e di Caravaggio, per la del icatezza e l ’ importanza del le opere, saranno documentat i attraverso pannel l i d idatt ic i .La mostra è vis i tabi le s ino al 27 novembre .

La cultura asiatica è stata sempre percepita dagli occidentali come affascinante e misteriosa, questa concezione deriva principalmente dal fatto che per lungo tempo le due

culture si sono evolute in totale autonomia e prendendo strade molto diverse tra loro, anche da un punto di vista religioso, estetico e quindi artistico. In entrambe le realtà la religione ha avuto molto peso e, insieme coi tempi, è cambiata come pure la sua rappresentazione. Le Scuderie del Quirinale propongono

una mostra che sia propedeutica per coloro che fino ad ora non hanno mai familiarizzato con l’arte asiatica ed in particolare con quella giapponese. Sebbene sia stati scelti pezzi di vari periodi storici, per poterne vedere materialmente i cambiamenti, si è preferito optare per opere “universalmente belle” escludendo quei pezzi troppo lontani dai nostri gusti o troppo legati ad una religione che ci è estranea.L’esposizione sarà visitabile a partire da luglio e fino a settembre.

Capolavori della scultura buddista giapponese

La misericordia nell’arte

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di Cristina Simoncini

curiosARTn

Insegnante di scuola superiore d’arte di giorno, artista del sughero di notte, e papà a tempo pieno, Scott Gundersen è un uomo impegnato. Diplomato nel corso di arte e di educazione

alla Western Michigan University a Kalamazoo, Gundersen ha iniziato a creare mosaici di sughero nel 2009. Il suo primo lavoro è stato un mosaico murale rappresentante sua moglie, Jeanne, nel 2009, e rimane il suo preferito. Ha avuto l’idea di creare mosaici di sughero due anni prima, mentre era in viaggio in Africa. “Mi sono ispirato all’intraprendenza delle persone che ho incontrato”, dice. “Hanno fatto uso di tutto quello che avevano, riutilizzando gli oggetti che la maggior parte della gente considererebbero spazzatura; da questi hanno riciclato e creato

strumenti, abbigliamento ed arte. In America chiameremmo questo ‘up-cycling’, ma per loro è solo buon senso, usare queste cose di nuovo. Il loro ingegno era stimolante e mi ha fatto chiedere cosa di ciò che butto via potrebbe essere messo a buon uso nella mia arte “.La creazione di un mosaico è un processo intenso e meticoloso. I ritratti iniziano con grandi fotografie utilizzate come riferimento, per creare un grande ritratto a matita in scala. “Costruisco un supporto di legno per i tappi. Sopra a questo pannello creo una traccia della mia immagine”, spiega Gunderson. “Dopo che la traccia è stata effettuata, sparo migliaia di piccoli chiodi attraverso il retro del pezzo con una pistola. Posso quindi spingere i tappi sui chiodi che coprono la traccia del disegno per creare il ritratto. I tappi da vino rosso scuro funzionano bene in aree scure, quelli di rosato e bianco sono buoni per le aree più chiare, quindi mi diverto a miscelare ombre e le luci insieme per ricreare l’immagine“.Gran parte del suo lavoro è in collezioni private, ma alcuni possono essere trovati in mostre pubbliche: Il mosaico “Cougar Town” nella sede Turner Broadcasting di Atlanta; “Jeanne” è nella Ripley Believe It or Not Museum di San Francisco; “Grazia” da Ripley, a Londra. Altri pezzi sono al Kennedy Center di Washington così come un ritratto del Re e della Regina di Spagna, commissionato dall’ente del turismo portoghese per la famiglia reale spagnola.Fonti: www.pastemagazine.com

Il vino diventa arteLa “Cork Art” di Scott Gundersen

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Radio Clandestina al Teatro VittoriaOcchio al palcoscenicon

di Rossana Gabrieli

Testaccio, cuore di Roma: è qui che sorge il Teatro Vittoria. Ed è qui che Ascanio Celestini è venuto a chiudere una stagione che ha offerto un cartellone di forte attrattiva.

Tre gli spettacoli che l’attore ha portato in scena: Laika, Discorsi alla nazione e Radio Clandestina.Tutto esaurito e forti emozioni per un teatro che si potrebbe definire “povero” se ci si basasse soltanto sulla scenografia, che si avvale di una sedia e di poche lampadine, che Ascanio Celestini muove tra le sue mani per sottolineare le voci e le storie dei protagonisti che non sono fisicamente presenti, ma che lui riesce quasi miracolosamente a rendere palpitanti sulla scena.La storia che Celestini racconta in “Radio clandestina” è la nostra storia appena trascorsa: l’8 settembre, il bombardamento di San Lorenzo, Roma città aperta, via Rasella, le Fosse Ardeatine, la banda Koch.Ma non è la storia dei libri di scuola. La voce, che lui dà vita alle molte voci, racconta di squarci di storie più piccole all’interno della storia più grande, che non conosceremmo mai se l’attore sul palcoscenico non ce le raccontasse.E quel suo modo di raccontare, così semplice, così vero, così come noi stessi parliamo e raccontiamo, si porta appresso, come bambini all’ora della buonanotte che chiedono un’altra favola e non vogliono più andare a dormite, tutti gli spettatori-fanciulli che ricordano, si commuovono e sperano che Ascanio racconti ancora un po’, ancora un po’.Alla fine, quando l’attore spegne la luce per mandarci a dormire, qualcuno dal pubblico grida: “Grazie!”, a nome di tutti.“Grazie a te!”. Risponde l’attore. La magia è compiuta.

Tutti noi per allontanare i nostri pensieri dalle situazioni poco piacevoli, le immaginiamo lontane dalla nostra realtà quotidiana. Così facendo rischiamo solo di trovarci impreparati

quando gli avvenimenti inevitabili si verificano. E l’innalzamento del livello del mare è uno di quelli che già si sta presentando come effetto del cambiamento del clima, con una accelerazione imprevista e pericolosa anche se non uniforme su tutto il globo. Infatti, come riportato in due diversi studi pubblicati sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” e ripresi da Le Scienze, il tasso d’innalzamento del livello degli oceani degli ultimi anni è stato il più veloce dei 27 secoli precedenti. E alla fine di questo secolo, il livello

degli oceani sarà compreso tra 28 e 131 centimetri, a seconda dei diversi scenari di riduzione delle emissioni di gas serra e di incremento della temperatura globale. Quali siano le conseguenze, lo si può osservare già da subito nel Pacifico meridionale, dove cinque isole abitate dell’arcipelago delle Salomone sono state sommerse con il relativo spostamento delle popolazioni in zone più sicure. Quello che questi abitanti hanno già sperimentato sulla propria pelle, con l’avanzare dell’Oceano verso la terraferma ad un tasso di 3 millimetri l’anno, potrebbe capitare già entro la fine di questo secolo a milioni di persone che vivono lungo la costa degli Stati Uniti. Infatti, come dimostra lo studio pubblicato su Nature Climate Change, la Florida, lo Stato più a rischio, potrebbe coinvolgere da un minimo di 500 mila a un massimo di 4 milioni di persone (a seconda dello scenario considerato) a rischio migrazione. E questo a seconda della rapidità con cui i grandi ghiacciai dell’Antartide e della Groenlandia si scioglieranno in mare. Uno studio del Potsdam Institute for Climate Impact Research, in Germania, ha anche rivelato che i gas serra rilasciati fino ad oggi in atmosfera sono già sufficienti a garantire una sicura crescita dei livelli marini, a prescindere da qualsiasi impegno o strategia che verrà applicata nel futuro a breve termine. “Con tutti i serra-gas che abbiamo già emesso, non possiamo fermare completamente l’aumento dei mari – spiega Anders Levermann, co-autore dello studio – tuttavia siamo ancora in grado di limitare sensibilmente il tasso di crescita”. E per Levermann non ci sono altre alternative: mai più combustibili fossili. Sempre che i 175 paesi che hanno ratificato, proprio in questi giorni, il COP21 concordato a Parigi a fine 2015, mantengano fede ai loro molto stringenti impegni definiti dall’accordo.

Occhio all’ambienten

di Nicola Fasciano

Le conseguenze del pericoloso aumento del livello del mare

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sul filo di china

nAprilia Prima Infiorata Città di Aprilia dal 24 al 26 giugno

nRoma“Marisa e Mario Merz” MACRO, fino al 12 giugno“Patagonica. Paesaggi dalla fine del mondo” FotografiaMuseo di Trastevere, fino al 12 giugno“Campidoglio. Mito, memoria, archeologia”Musei Capitolini, fino al 19 giugno“I colori profondi del Mediterraneo” Fotografia Museo Civico di Zoologia, fino al 19 giugno“Yan Pei-Ming Roma” Accademia di Francia a Roma- Villa Medici, fino al 19 giugno“Correggio e Parmigianino. Arte a Parma nel Cinquecento” Scuderie del Quirinale, fino al 30 giugno“Giuseppe Salvatori. I ritorni”Villa Torlonia, fino al 30 giugno“Sense Sound/Sound Sense” Auditorium Parco della Musica, fino al 2 luglio“Caravaggio experience”Palazzo delle Esposizioni, fino al 5 luglio“I macchiaioli. Le collezioni svelate” Chiostro del Bramante, fino al 4 settembre“Antoine Jean Baptiste Thomas e il popolo di Roma (1817-1818)”Museo di Roma, fino all’11 settembre “Alphonse Mucha”Complesso del Vittoriano, fino al 11 settembre“Santa Maria Antiqua. Tra Roma e Bisanzio” Santa Maria Antiqua, fino all’11 settembre“William Kentridge-Triumphs and Laments: a project for Rome”MACRO, fino al 2 ottobre“Pier Luigi Nervi. Architetture per lo sport” MAXXI, fino al 2 ottobreForo di Augusto e foro di CesareFori Imperiali, fino al 30 ottobre“Barbie. The icon”Complesso del Vittoriano, fino al 30 ottobre“Roma anni trenta. La Galleria d’Arte Moderna e la Quadriennale d’Arte 1931-1935-1939” Galleria d’Arte Moderna, fino al 30 ottobre“Il castello segreto”Museo di Castel Sant’Angelo, fino al 20 novembre“Bizhan Bassiri-Specchio solare”Museo Carlo Bilotti, fino al 31 dicembre

nFirenze“Da Kandinsky a Pollock. La grande arte del Guggenheim”Palazzo Strozzi, fino al 24 luglio“Buffoni, villani e giocatori alla corte dei Medici”Palazzo Pitti, fino al 4 settembre“Jan Fabre. Spiritual Guards”Palazzo vecchio, fino al 2 ottobre“Lotto, Artemisia, Guercino: le stanze segrete di Vittorio Sgarbi”Palazzo Campana, fino al 30 ottobre“I tesori della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia e il Caravaggismo nelle collezioni di Perugia”Palazzo Lippi Alessandri, fino al 20 novembre

nForlì“Piero della Francesca, indagine su un mito” Musei San Domenico, fino al 26 giugno

nMilano“Goshka Macuga. To the Son of Man Who Ate the Scroll”Fondazione Prada, fino al 19 giugnoUmberto Boccioni (1882 - 1916). Genio e MemoriaPalzzo Reale, fino al 10 luglio“La bellezza ritrovata, Caravaggio, Rubens, Perugino, Lotto e altri 140 capolavori ritrovati”Gallerie d’Italia , fino al 17 luglio“Restituzioni”Gallerie d’Italia, fino al 17 luglio“Joan Mirò. La forza della materia”MUDEC, fino all’11 settembre

nOsimo“Lotto, Artemisia, Guercino: le stanze segrete di Vittorio Sgarbi”Palazzo Campana, fino al 30 ottobre

nPerugia“I tesori della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia e il Caravaggismo nelle collezioni di Perugia”Palazzo Lippi Alessandri, fino al 20 novembre

nTorino“Da Toussin agli impressionisti”Palazzo Madama, fino al 4 luglio

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Page 16: Occhio all'Arte (giugno 2016)

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Katsuyoshi Nakahara, “Floral Fantasy” National Geographic 2016 Travel Photographer Of The Year Contest