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POLITECNICO DI MILANO Facoltà di ingegneria industriale e dell’informazione Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale ANALISI TRAMITE SIMULAZIONE DEL SISTEMA KANBAN IN UNA SUPPLY CHAIN MULTIPRODOTTO Relatore: Prof. Alberto Portioli Staudacher Tesi di Laurea di: Monti Luca Matr. n. 820664 Pedraglio Paolo Matr. n. 820618 Anno Accademico 2015-2016

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POLITECNICO DI MILANO

Facoltà di ingegneria industriale e dell’informazione

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale

ANALISI TRAMITE SIMULAZIONE DEL SISTEMA KANBAN

IN UNA SUPPLY CHAIN MULTIPRODOTTO

Relatore: Prof. Alberto Portioli Staudacher

Tesi di Laurea di:

Monti Luca Matr. n. 820664

Pedraglio Paolo Matr. n. 820618

Anno Accademico 2015-2016

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Indice

1. Introduzione ................................................................................................... 13

2. Abstract ..................................................................................................... 14

3. Analisi della letteratura e background teorico ............................................ 15

3.1 Supply chain management .................................................................... 15

3.1.1 Il modello GSCF ...................................................................... 18

3.1.2 Il modello SCOR ........................................................................... 26

3.2 Visibility…………………………………............................................... 30

3.2.1 Soluzioni organizzative................................................................. 32

3.2.2Tecnologie abilitanti......................................................................34

3.2.3 Effetto bullwhip…………………………………………………..…….36

3.2.4 Approfondimenti e modelli ………………………………….……..37

3.3 lean management ……………………………………………………..…….41

3.3.1 Le origini del lean managment ……………………………..…….42

3.3.2 I prencipi lean …………………………………………………..……...47

3.4 Il sistema kanban …………………………………………………………60

3.4.1 Le varianti del sistema kanban ……………………………………….62

3.4.2 Numero e dimensionamento dei kanban …………………..…....68

3.4.3 Approcci alternativi di PPC ………………………………………...…71

3.5 Lean supplì chain …………………………………………………………75

3.5.1 LSCM frame work …………………………………………………..…75

3.5.2 Strategie di supplì chain …………………………………………...78

4. La simulazione …………………………………………………………………...….82

4.1 Modellazione di una SC tramite il software Arena …………………91

5. Tesi e domande di ricerca ………………………………………………………93

6. Metodo di ricerca …………………………………………………………..……94

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7. Modello di ricerca …………………………………………………………………95

7.1 Il modello multi prodotto …………………………………………………95

7.2 Varianti del modello …………………………………………………………..97

7.2.1 il lotto economico (EOQ) ……………………………………………….97

7.2.2 Il modello visibilità …………………………………………………………99

7.2.3 il modello kanban ……………………………………………………..100

7.3 Il modello monoprodotto di riferimento …………………………………103

7.4 descrizione dell’esperimento …………………………………………..106

8.Descrizione dei risultati ………………………………………………………….110

8.1 Il modello multi prodotto ………………………………………………..110

8.1.1 I livelli di inventory ………………………………………………..110

8.1.2 I trasporti …………………………………………………………119

8.1.3 Costo totale …………………….………………………………128

8.2 Confronto tra i modelli multi prodotto e monoprodotto ……………….136

8.2.1 Il modello EOQ ………………………………………………….137

8.2.2 Il modello visibilità…………………………………………………138

8.2.3 Il modello kanban ……………………………………………….140

8.2.4 Approfondomento sulla logica di visibilità ………………….148

8.2.5 Approfondimento sulla definizione del tempo di set up …….150

9. Conclusioni ……………………………………………………………………..158

10. Sviluppi futuri ……………………………………………………………………170

11. Bibliografia …………………………………………………………………….171

APPENDICE ………………………………………………………………………….182

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Indice delle Figure

Figura 1: Integrare e gestire i processi di business lungo la supplì chain…..…19

Figura 2: I quattro livelli del modello SCOR……………………….......................... 28

Figura 3: Livello due del modello SCOR…………………………………….... ……29

Figura 4: La “lean house”………………………………………………………........53

Figura 5: Rappresentazione di un sistema kanban a due cartellini……………. 61

Figura 6: Framework concettuale…………………………………………………..77

Figura 7: Struttura della supply chain………………………………………………95

Grafico 1: Modello utilizzato………………………………………………………...191

Figura 9: Particolare, distributor………………………………………………….192

Figura 10: Particolare secondary manufacturer………………………………..193

Figura 11: Particolare, blocchi di gestione, Tabelliere………………………..194

Indice dei Grafici

Grafico 1: Distribuzione normale di un generico prodotto nel caso di CV=0.8. 106

Grafico 2: Andamento delle scorte al variare del livello di servizio…………….110

Grafico 3: Beneficio della logica lean rispetto a EOQ in termini assoluti……..111

Grafico 4: Benefici della logica lean rispetto a EOQ in termini percentuali…111

Grafico 5: Benefici della logica lean rispetto a VIS in termini assoluti……...112

Grafico 6: Benefici della logica lean rispetto a VIS in termini assoluti………112

Grafico 7: Benefici della logica lean rispetto a VIS in termini assoluti……….112

Grafico 8: Andamento delle scorte nella politica lean per i diversi CV al variare del

LS……………………………………………………………………………………...113

Grafico 9: Andamento delle scorte nella politica EOQ per i diversi CV al variare del

LS……………………………………………………………………………………...114

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Grafico 10: Livelli di inventory al variare del coefficiente di variazione per bassi

LS……………………………………………………………………………………..115

Grafico 11: Livelli di inventory al variare del coefficiente di variazione per alti

LS……………………………………………………………………………………..115

Grafico 12: Beneficio della logica lean rispetto a eoq in termini assoluti al variare

di CV per bassi LS…………………………………………………………………..116

Grafico 13: Beneficio della logica lean rispetto a eoq in termini percentuali al

variare di CV per bassi LS………………………………………………………….116

Grafico 14: Beneficio della logica lean rispetto a eoq in termini assoluti al variare

di CV per alti LS ………….………………………………………………………..117

Grafico 15: Beneficio della logica lean rispetto a eoq in termini percentuali al

variare di CV per alti LS ………….……………………………………………….117

Grafico 16: Numero di trasporti totali al variare del livello di servizio………..119

Grafico 17: Numero di trasporti totali tra SM e distributor al variare del livello di

servizio………………………………………………………………………………..119

Grafico 18: Numero di trasporti totali tra PM e Sm al variare del livello di

servizio………………………………………………………………………………....120

Grafico 19: Numero di trasporti totali FTL al variare del

LS…………………………………………….………………………………………....120

Grafico 20: Numero di trasporti totali LTL al variare del

LS…………………………………………….………………………………………....121

Grafico 21: Beneficio in termine di numero di trasporti di EOQ agg rispetto a lean

al variare dell’LS………………………….………………………………………....123

Grafico 22: Beneficio di EOQ con trasporto aggregato rispetto a lean al variare del

cv per bassi LS………………………….……………………………………….......126

Grafico 23: Beneficio di EOQ con trasporto aggregato rispetto a lean al variare del

cv per alti LS…………………..………….………………………………………....126

Grafico 24: Andamento del costo totale all’aumentare del livello di

servizio…………….………………………….………………………………………....128

Grafico 25: Beneficio di lean rispetto a EOQagg al variare dl livello di servizio129

Grafico 26: Beneficio percentuale di lean rispetto a EOQ agg al variare di

p(politica di costo dei trasporti in funzione del costo unitario dei pezzi………131

Grafico 27: Curve di break even del beneficio tra lean e EOQ agg al variare del

livello di servizio………………………………………………………………….…131

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Grafico 28: Beneficio percentuale di lean rispetto a EOQ agg al variare di

p(politica di costo logistico in funzione del numero di

trasporti…….…..………………………………………………………………….…132

Grafico 29: Beneficio assoluto in termini di costo della lean rispetto a EOQ agg al

variare del cv per bassi LS(politica di costo dei trasporti in funzione del costo

unitario dei pezzi ………………………………………………………………….…133

Grafico 30: Beneficio assoluto in termini di costo della lean rispetto a EOQ agg al

variare del cv per alti LS(politica di costo dei trasporti in funzione del costo unitario

dei pezzi ……….………………………………………………………………….…133

Grafico 31: Beneficio assoluto in termini di costo della lean rispetto a EOQ agg al

variare del cv per bassi LS(politica di costo logistico in funzione del numero di

trasporti……………………………………………………………………………….…134

Grafico 32: Beneficio assoluto in termini di costo della lean rispetto a EOQ agg al

variare del cv per alti LS(politica di costo logistico in funzione del numero di

trasporti……………………………………………………………………………….…134

Grafico 33: Andamento delle scorte di EOQ all’aumentare di LS nel caso mono e

multi……………………………………………………………………………….…136

Grafico 34: Andamento delle scorte di VIS all’aumentare di LS nel caso mono e

multi……………………………………………………………………………….…137

Grafico 35: Andamento delle scorte di VIS e EOQ all’aumentare di LS nel caso

mono e multi………………………………………………………………………….…138

Grafico 36:Andamento del beneficio percentuale della riduzione del lotto per mono

e multi……………………………………………………………………………….…139

Grafico 37:Andamento delle scorte per le diverse politiche nel caso multi-

prodotto….………………………………………………………………………….…142

Grafico 38:Andamento delle scorte per lean medio nel caso multi-prodotto per tutti

i CV….……………………………………………………………………………….…143

Grafico 39:Andamento delle scorte per lean medio nel caso mono-prodotto per

tutti i CV….………………………………………………………………,,……….…143

Grafico 40:Andamento delle scorte per lean medio e EOQ nel caso mono-

prodotto per tutti i CV….………………………………………………………….…144

Grafico 41a):Andamento delle scorte per lean medio e EOQ nel caso multi-

prodotto per tutti i CV.……………………………………………………………..…145

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Grafico 41b):Andamento delle scorte per lean 0.2 nel caso mono e multi-prodotto

per tutti i CV….……………………………………………………………………..…146

Grafico 42:Andamento delle scorte di EOQ e VIS multi (con regola di visibility del

monoprodotto)..…………………………………………………………………..…148

Grafico 43:Andamento delle scorte nella casistica A con cv 04…………..…152

Grafico 44:Andamento delle scorte nella casistica B con cv 04…………..…152

Grafico 45:Andamento delle scorte nella casistica A per ogni cv…………..…153

Grafico 46:Andamento delle scorte nella casistica B per ogni cv…………..…153

Grafico 47:Andamento della media delle curve lean multiprodotto per i cv 08 06

04……………………………………………………………………….…………..…165

Grafico 48:Andamento della media delle curve lean monoprodotto per i cv 08 06

04……………………………………………………………………….…………..…165

Grafico 49:Andamento delle curve EOQ multiprodotto per i cv 08 06

04……………………………………………………………………….…………..…166

Grafico 50:Andamento delle curve EOQ monoprodotto per i cv 08 06

04……………………………………………………………………….…………..…166

Grafico 51:Incrementi percentuali delle sciorte, rispetto al livello base

92%.................………………………………………………………….…………..…167

Grafico 52:Incrementi percentuali delle sciorte delle politiche lean 1 e 02, rispetto

al livello base 92%.................……………………………………………………..…168

Grafico 53:Andamento delle scorte al variare dell’LS nel caso

cv06.................……………………………………………………………………….…182

Grafico 54:Andamento delle scorte al variare dell’LS nel caso

cv04………....……………………………………………………………………….…183

Grafico 55:Beneficio assoluto di lean rispetto a EOQ al variare dell’LS in caso di

cv 06………………………………………………………………………………….…183

Grafico 56:Beneficio percentuale di lean rispetto a EOQ al variare dell’LS in caso

di cv 06…………………………………………………………………………….…184

Grafico 57: Beneficio assoluto di lean rispetto a EOQ al variare dell’LS in caso di

cv 04…..…………………………………………………………………………….…184

Grafico 58: Beneficio percentuale di lean rispetto a EOQ al variare dell’LS in caso

di cv 04……………………………………………………………………………….…185

Grafico 59:Andamento dei trasporti all’aumentare dell’LS in caso di cv

06…………………………………………………………………………………….…185

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Grafico 60:Andamento dei trasporti tra PM e SM all’aumentare dell’LS in caso di

cv 06………………………………………………………,……………………….…186

Grafico 61:Andamento dei trasporti tra SM e D all’aumentare dell’LS in caso di cv

06………………………………………………………,………………………….…186

Grafico 62:Andamento dei trasporti FTL all’aumentare dell’LS in caso di cv

06………………………………………………………,………………………….…187

Grafico 63:Andamento dei trasporti LTL all’aumentare dell’LS in caso di cv

06………………………………………………………,………………………….…187

Grafico 64:Trasporti beneficio lean agg vs lean…,………………………….…188

Grafico 65:Benefici delle politiche lean multi rispetto a EOQ passando da cv 08 a

cv 04……………………………………………………,………………………….…188

Grafico 66:Benefici delle politiche lean mono rispetto a EOQ passando da cv 08 a

cv 04……………………………………………………,………………………….…189

Indice delle tabelle

Tabella 1: Classificazione dei sistemi kanban…………………………………….…64

Tabella 2: Pilastri del LSCM frame work e relativi elementi………………….…77

Tabella 3: Pilastri del LSCM frame work e relativi elementi………………….…77

Tabella 4: Beneficio percentuale della riduzione dei lotti in termini di

scorte…………..………………………………………………..………………….…111

Tabella 5: Valore di saturazione dei veicoli trasportati in LTL tra PM e SM al

variare di livello di servizio(EOQ, VIS)………………….…..………………….…122

Tabella 6: Valore di saturazione dei veicoli trasportati in LTL tra SM e D al variare

di livello di servizio(LEAN)……………………….…..………………….…123

Tabella 7: Valore di saturazione dei veicoli trasportati in LTL tra SM e D al variare

di livello di servizio(EOQ, VIS)………..………………….…..………………….…123

Tabella 8: Valore di saturazione dei veicoli trasportati in LTL tra PM e SMal variare

di livello di servizio(LEAN)….………..………………….…..………………….…123

Tabella 9: Valore del rapporto p al variare del costo logistico……………….…131

Tabella 10: Valore dei trasporti tra SM e D al variare del LS con cv 08…..…136

Tabella 11: beneficio in termini assoluti di lean rispetto a EOQ al variare di cv e

LS…………………………………………………………………………………...…142

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Tabella 12: beneficio in termini percentuali di lean rispetto a EOQ al variare di cv e

LS…………………………………………………………………………………...…142

Tabella 13: Differenza di scorte tra EOQ e VIS (con regola di visibilità del

monoprodotto)………………………………………………………………………...…149

Tabella 14: Confronti tra casistiche A e B……………………………………...…155

Tabella 15: Confronti tra casistiche A e B riguardanti la riduzione del lotto in

lean…………………………………………………………………………………...…156

Tabella 16: Confronti tra casistiche A e B in termini percentuali (EOQ)..…...…157

Tabella 17: Confronti tra casistiche A e B in termini percentuali (VIS)..…...…157

Tabella 18: Differenza tra scorte EOQ e lean al variare di LS………...…...…158

Tabella 19: Differenza tra trasporti EOQ e lean al variare di LS………...…...…159

Tabella 20: Differenza tra trasporti EOQ e lean al variare di LS………...…...…159

Tabella 21:Guadagno di scorte assoluto della politica lean rispetto a EOQ...…161

Tabella 22:Guadagno di scorte percentuale della politica lean rispetto a EOQ…161

Tabella 23:Guadagno di scorte assoluto della politica lean rispetto a VIS…162

Tabella 24:Guadagno di scorte percentuale della politica lean rispetto a VIS…162

Tabella 25:Guadagno di scorte assoluto della politica lean rispetto a EOQ…163

Tabella 26:Guadagno di scorte percentuale della politica lean rispetto a EOQ…163

Tabella 27:Guadagno di scorte assoluto della politica lean rispetto a VIS…164

Tabella 28:Guadagno di scorte percentuale della politica lean rispetto a VIS…164

Tabella 29:Guadagno di scorte assoluto della politica lean rispetto a EOQ al

diminuire del lotto…………………………………………………………………..…164

Tabella 30:Guadagno di scorte percentuale della politica lean rispetto a EOQ al

diminuire del lotto…………………………………………………………………..…165

Tabella 31:Incrementi percentuali delle scorte delle politiche lean1 e lean medio

rispetto al livello base 92%.………………………………………………………..…168

Tabella 32:Incrementi percentuali delle scorte delle politiche lean1 e lean2 rispetto

al livello base 92%.……………………………………………………………….…169

Tabella 33:Livelli di inventory per le varianti del modello in caso di cv 08

………………………………………………………………………………………….…182

Tabella 34:Livelli di inventory per le varianti del modello in caso di cv 06

………………………………………………………………………………………….…182

Tabella 35:Livelli di inventory per le varianti del modello in caso di cv 04

………………………………………………………………………………………….…183

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Tabella 36:Dati monoprodotto cv 08……………………..…………………….…190

Tabella 37:Dati monoprodotto cv 06……………………..…………………….…191

Tabella 38:Dati monoprodotto cv 04……………………..…………………….…191

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1. Introduzione

L’attuale arena di business in cui le imprese si trovano oggi a competere è

caratterizzata da forte turbolenza, instabilità della domanda e della fornitura,

decremento del ciclo di vita dei prodotti, globalizzazione spinta. In tale contesto

riuscire a soddisfare pienamente i propri clienti e al contempo ridurre i costi è

fondamentale per competere con successo sul mercato..

L’approccio lean, nato negli anni ’50 del secolo scorso, con i suoi principi, i suoi

strumenti e la sua filosofia, è ancora adesso in grado di migliorare drasticamente le

performance delle odierne imprese e delle loro filiere produttive, garantendo

proprio quel vantaggio competitivo tanto ricercato.

Questo elaborato ha innanzitutto lo scopo di valutare se l’applicazione della politica

lean, implementata attraverso il sistema kanban, in una supply chain multi-prodotto

porti benefici rispetto alla logica di produzione basata sul lotto economico e alla

politica basata sulla condivisione di informazioni (visibility). A tale scopo è stato

costruito e simulato, tramite il software di simulazione Arena, un modello che

rispecchiasse una supply chain multi-prodotto gestita sotto queste tre diverse

logiche produttive.

Vengono inoltre valutati gli impatti, sulle performance della filiera, dell’aumento

della variabilità della domanda e della politica di riduzione di lotto nel sistema

kanban.

L’elaborato dimostrerà che attraverso l’introduzione del sistema kanban si può

garantire un risparmio finanziario lungo tutta la supply chain.

I risultati ottenuti dalla simulazione verranno poi confrontati con quelli relativi a una

supply chain mono-prodotto operante sotto le medesime logiche. Tale analisi

dimostrerà che la politica lean in una filiera multiprodotto, confrontata con un

contesto mono-prodotto, ottiene risparmi maggiori, rispetto a una logica basata sul

lotto economico o sulla visibility.

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2. Abstract

Nowadays the firms are competing in a very turbolent landscape characterized by

unsteady demand and supply, product lifecycle decrease and hard globalization. In such

a business background the focus of a firm must be about the total customer satisfation

and the cost reduction in order to compete succesfully in the market.

Lean approach, born in 50's, with its principles, tools and philosophy could help actual

firms to improve not only their own business performances, but also the supply chain's

performances, aiming to reach this competitive advantages.

This thesis aims to assess the benefits of the lean approach, implemented through the

kanban system, towards the economic order quantity (EOQ) and the information sharing

(visibility) policies, in a multi-product supply chain.

In order to reach this goal, we builded and simulated, through Arena software, a model

that represent a multi-product supply chain managed by these three different

production and control policies.

In addiction we investigated the effects, on the supply chain performance, of the final

demand variability enhancement and the reduction of the batch size in the kanban

system. This study proved that the introduction of lean approach could lower the costs

throughout the supply chain.

The simulation results are compared with the ones concerning a mono-product model

dealing with the same three production and control policies. This analysis proved that

kanban system in a multi-product environment, compared with a mono-product

context, could reach better performances towards a EOQ or visibility policy.

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3. Analisi della letteratura e background teorico

3.1 Supply chain management

Una supply chain (SC) è costituita da un network di imprese che producono materie

prime, le trasformano in beni intermedi e poi in prodotti finiti che vengono consegnati al

cliente finale attraverso un sistema di distribuzione.

Negli anni ’50 e ’60 il paradigma produttivo dominante era quello della produzione di

massa, caratterizzato da basse varietà e flessibilità, da un processo di sviluppo prodotto

molto lento e affidato esclusivamente a tecnologie e capacità interne all’impresa,

dall’utilizzo di scorte per sopperire alle operazioni “collo di bottiglia” e quindi per

garantire un flusso produttivo bilanciato: in questo contesto la condivisione di

informazioni, tecnologie e competenze con fornitori e clienti era considerata poco utile

e troppo rischiosa e quindi poca importanza veniva data alla costruzione di relazioni di

lungo termine con i propri partner.

Negli anni ’80 l’intensa competizione globale ha portato le grandi imprese a concentrarsi

maggiormente su fattori quali flessibilità, qualità, varietà, costo e affidabilità. Molte

organizzazioni hanno cominciato a utilizzare l’approccio just in time che, avendo come

obiettivi principali la riduzione delle scorte, la disponibilità e la tempestività, ha forzato

le imprese stesse a impegnarsi per costruire relazioni buyer-supplier cooperative,

strategiche e di lungo periodo.

Essenzialmente il rapporto cliente-fornitore negli ultimi decenni è cambiato

drasticamente. Il modello di impresa fortemente integrata verticalmente, che presidia

tutte le attività necessarie alla realizzazione e vendita dei propri prodotti, si rivela di

successo in contesti competitivi stabili che permettono alle imprese di sfruttare le

economie di scala per giustificare gli investimenti elevati caratterizzanti questo tipo di

configurazione. L’attuale ambiente competitivo è però molto diverso: l’instabilità dei

mercati e il conseguente aumento della variabilità della domanda non permettono più di

pianificare investimenti in capacità produttiva che si ripaghino con una saturazione

garantita nel lungo periodo (Spina,2012); la riduzione del ciclo di vita dei prodotti

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scoraggia le imprese ad effettuare investimenti elevati; l’aumento della varietà e della

gamma dei prodotti, se gestita tradizionalmente, porterebbe alla proliferazione di grandi

stabilimenti mono-prodotto destinati alla sottoutilizzazione; la globalizzazione induce le

imprese a ricercare fattori produttivi a basso costo, delocalizzando la produzione o

rivolgendosi a fornitori in grado di offrire prezzi competitivi; la complessità tecnologica e

la conseguente difficoltà di presidio di tutte le competenze necessarie impedisce alle

imprese di effettuare tutte le attività in-house; le imprese hanno compreso che una

maggiore efficienza delle relazioni e delle pratiche operative tra membri della supply

chain dia un ritorno maggiore rispetto a miglioramenti interni.

Questi cambiamenti hanno decretato la fine del modello integrato tipico della

produzione di massa e hanno fatto emergere l’importanza della gestione delle relazioni

con i propri partner: è nato così il concetto di supply chain management (SCM). Il

termine è stato coniato da un gruppo di consulenti nei primi anni del 1980 e ora è

diventato un gergo comune nel mondo del business.

È pratica comune sostenere che il SCM non è nato da nulla nel 1980,ma rappresenta un

ulteriore step nel processo evolutivo che è iniziato negli anni ’60 e ’70 con il concetto di

distribuzione fisica. L’obiettivo era cercare di integrare certi aspetti della logistica

esterna che fino a quel momento erano stati trattati separatamente. Infatti fino a poco

tempo fa ricercatori e accademici consideravano il SCM non troppo differente rispetto al

logistics management, mentre adesso lo stesso Council of Logistics definisce la logistica

come “quella parte del processo di supply chain che pianifica, implementa e controlla

l’efficiente e l’efficace flusso e stoccaggio di beni, servizi e relative informazioni dal

punto di origine al punto di consumo”.

Esistono moltissime definizioni di supply chain management. Scott e Westbrook

(Scott,Westbrook,1991) e New e Payne (New, Payne ,1995) descrivono il SCM come la

catena che collega ogni elemento del processo di produzione e fornitura dalle materie

prime al cliente finale, comprendendo diversi confini organizzativi. Baatz (Baatz,1995)

espande il conceto includendo il recycling e il re-use. Il SCM si focalizza su come le

imprese utilizzano processi, tecnologie e capacità dei fornitori per accrescere il

vantaggio competitivo (Farley,1997).

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In accordo con Christopher (Christopher, 2011), con il termine supply chain

management si indica la gestione delle relazioni a valle e a monte con i clienti ed i

fornitori al fine di distribuire un valore al cliente superiore al costo dell'intera catena di

supporto.

L’Institute for Supply Management lo definisce come il disegno e la gestione dei processi

a valore aggiunto e senza interruzioni attraverso i confini organizzativi per incontrare i

reali bisogni del cliente finale.

Per il Supply Chain Council significa gestire la fornitura e la domanda, le fonti di materie

prime e i prodotti, la produzione e l’assemblaggio, l’immagazzinamento e le scorte, gli

ordini, la distribuzione e la consegna al cliente.

Secondo il Global Supply Chain Forum, il SCM è l’integrazione dei processi di business

chiave dal cliente finale attraverso tutti i fornitori che forniscono prodotti, servizi e

informazioni che aggiungono valore al cliente e agli altri stakeholders.

Correa (Correa,2014) lo definisce più compiutamente come la gestione integrata dei

processi di business associati al flusso di beni fisici, asset finanziari e informazioni dal

produttore dei primi input all’acquisto del consumatore finale ; ottimizzando la

creazione di valore per tutti i clienti -intermediari e finale- e per gli altri rilevanti e

legittimi stakeholders della catena (shareholders, impiegati, managers, comunità e

governo).

In tutte queste definizioni emerge il concetto di integrazione e coordinamento dei

processi lungo la catena: lo scopo del SCM è di consegnare il giusto prodotto e al giusto

momento e nel giusto luogo, migliorando il livello si servizio per il cliente finale

riducendo al contempo i costi della catena.

Molti autori asseriscono che la competizione nel mercato odierno non è più tra impresa

ed impresa ma tra supply chain e supply chain , anche quando le supply chain

concorrenti condividono alcuni elementi (ad esempio un fornitore).

Qualsiasi prodotto o servizio consegnato a un cliente, esterno o interno

all’organizzazione, è sempre il risultato di un processo di business. Con processo di

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business si intende un insieme di attività che lavorano in maniera coordinata per creare

e aggiungere valore al cliente.

La gestione della supply chain richiede un approccio per processi che aiuti a focalizzarsi

sui reali bisogni del cliente piuttosto che su interessi funzionali o locali.

I due framework principali che si basano sui processi coinvolti nella supply chain sono il

modello GSCF e il modello SCOR.

3.1.1 Il modello GSCF

Il modello GSCF o modello Ohio State University è un framework sviluppato da Douglas

Lambert e dal Global Supply Chain Forum (GSCF), un gruppo costituito da imprese non

concorrenti e da ricercatori accademici che si incontra periodicamente per discutere di

tematiche relative al SCM.

Il concetto si supply chain management da loro proposto è sintetizzato in Figura 1, la

quale rappresenta una struttura di supply chain semplificata, il flusso materiale e

informativo e i processi chiave di business che penetrano e attraversano

trasversalmente i silos funzionali a livello intra- e inter-organizzativo.

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Figura 1: Integrare e gestire i processi di business lungo la supply chain (Lambert,1998)

Il framework consiste di tre elementi:

1. La struttura del network.

Tutte le imprese fanno parte di una supply chain. Quanto di questa supply chain

necessita di essere gestita dipende da molti fattori tra cui la complessità del prodotto, il

numero di supplier disponibili e la disponibilità di materie prime. Dimensioni da

considerare sono la lunghezza della supply chain e il numero di organizzazioni per

ciascun livello.

Per molte imprese la supply chain non appare tanto come una catena ma più come un

albero sradicato, dove la radici e i rami sono il network di clienti e fornitori: il punto è

capire quanti di questi rami e radici devono essere gestiti. Non tutti i collegamenti

devono essere fortemente integrati e coordinati: la relazione più appropriata dipende

dalle circostanze. È necessario comprendere la configurazione della supply chain, in

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particolare identificando i membri della supply chain, la dimensione strutturale del

network e i diversi tipi di collegamenti lungo la catena.

Riguardo al primo elemento, includere tutti i tipi di membri può generare eccessive

complessità e risultare controproducente: il suggerimento è di identificare quali sono i

membri critici per il successo della catena, a cui allocare maggiori risorse e attenzione.

I membri della SC includono tutte le organizzazioni con le quali l’impresa focale

interagisce attraverso i suoi clienti e fornitori. Tuttavia, per rendere un network molto

complesso più gestibile, è opportuno distinguere tra attori primari e di supporto. Si

definiscono membri principali di una catena di approvvigionamento tutte quelle aziende

autonome o unità di business

strategiche che svolgono attività a valore aggiunto (operativa e/o manageriale) nei loro

processi aziendali al fine di produrre un output specifico per un particolare cliente o

mercato. Al contrario, i membri di supporto sono aziende che semplicemente forniscono

risorse, conoscenze, utilities o beni per i membri principali della catena di

approvvigionamento.

Non è sempre facile distinguere tra membri primari e secondari, in quanto un’impresa

può svolgere un ruolo primario per un processo e uno secondario per un altro.

Comunque questa definizione permette di definire il punto di origine e il punto di

consumo della catena: il punto di origine è quello per cui non esiste nessun precedente

fornitore primario

mentre il punto di consumo è quello oltre il quale non viene più aggiunto valore e il

prodotto/servizio viene consumato.

Per quanto riguarda le dimensioni strutturali del network, bisogna considerare la

struttura orizzontale, quella verticale e la posizione dell’impresa focale all’interno della

catena. La struttura orizzontale si riferisce al numero di livelli mentre la struttura

verticale al numero di clienti/fornitori per ogni livello. La posizione dell’impresa focale

può essere vicina al cliente finale o alle primarie fonti di sourcing. Ovviamente ogni

società ha una prospettiva diversa e vede se stessa come impresa focale, perciò è

necessario comprendere realmente il proprio ruolo anche in funzione delle diverse

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catene in cui è presente. Una modifica nel numero di clienti/fornitori può modificare la

struttura del network, ad esempio passare da una strategia multiple-sourcing a una

single-sourcing può restringere la catena e delegare in outsourcing alcune attività può

incrementarne la lunghezza e ampiezza e cambiare la posizione dell’impresa focale.

2. I processi di business.

Per costruire supply chain di successo è necessario passare dalla gestione di funzioni

individuali all’integrazione di attività tramite alcuni processi chiave:

Processo di customer relationship management.

Il primo passo verso una SCM integrata è quello di individuare i clienti o gruppi di

clienti chiave, cioè ritenuti particolarmente importanti dall’impresa per i

raggiungimento dei propri obiettivi di business. Gli accordi che specificano i livelli

di prestazione per i prodotti e i servizi sono stabiliti con questi gruppi di clienti

chiave. Il team di customer service lavora con i clienti per cercare di identificare e

eliminare le fonti di variabilità della domanda. La valutazione delle performances

vengono effettuate per analizzare i livelli di servizio fornite ai clienti e la

redditività dei clienti;

Processo di customer dervice management.

Il customer service identifica la fonte di informazioni sui clienti. Essa diventa il

punto di contatto per l'amministrazione degli accordi di prodotto/servizio.

L'assistenza clienti fornisce al cliente informazioni in tempo reale sul processo di

spedizione e sulla disponibilità del prodotto tramite interfacce con i processi di

produzione e distribuzione. Infine, il servizio clienti del gruppo deve essere in

grado di assistere il cliente con le

applicazioni del prodotto;

Processo di gestione della domanda.

Le scorte lungo la filiera possono essere considerate” essenziali” o in alternativa

variability-driven. Gli stock essenziali includono work-in-process nelle fabbriche e

i prodotti in transito da stabilimento ad un altro della supply chain. La variabilità

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degli stock è presente a causa della varianza nei processi di fornitura, produzione

e nella domanda. La domanda dei

clienti è di gran lunga la principale fonte di variabilità e deriva dall'irregolarità

nell'emissione degli ordini da parte dei clienti. Tenuto conto di questa variabilità

nell'emissione ordini dei clienti, la gestione della domanda diventa un elemento

chiave per un SCM efficace. Il processo di gestione della domanda deve

bilanciare le esigenze del cliente con le capacità di approvvigionamento

dell'impresa. Una parte della gestione

della domanda comporta il tentativo di prevedere le quantità e il timing con cui i

clienti acquisteranno. Un buon sistema di gestione della domanda utilizza punti

di vendita e dati provenienti dai clienti chiave per ridurre l'incertezza e fornire

flussi efficienti in tutta la catena di fornitura. Vi è anche la possibilità, in

applicazioni avanzate, che la domanda dei clienti e la produzione siano

sincronizzati per ottimizzare la gestione del magazzino a livello globale;

Processo di evasione dell’ordine del cliente.

La chiave per un efficace SCM consiste nell'adempiere ai bisogni dei clienti. Una

corretta esecuzione del processo di evasione degli ordini richiede una efficace

integrazione tra i piani aziendali di produzione, di distribuzione e di trasporto. E'

necessario stipulare alleanze con i membri chiave della catena di

approvvigionamento e i carrier per soddisfare le esigenze dei clienti e ridurre il

costo totale di consegna al cliente. L'obiettivo è di sviluppare un processo senza

interuzioni dal fornitore all'impresa e poi da lì ai diversi segmenti della sua

clientela;

Processo di gestione del flusso produttivo.

Il processo di produzione, nelle aziende make-to-stock, tradizionalmente

prevedeva una politica di gestione della produzione basata sulla previsione

della domanda. Gli articoli erano quindi prodotti con una logica push. Spesso la

produzione

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operava con un mix sbagliato di prodotti, con conseguente eccedenza di scorte

non necessarie e conseguenti eccessivi costi di mantenimento. Con il SCM, il

prodotto viene tirato sulla base delle esigenze del cliente. Iprocessi di

manufacturing devono essere flessibili per rispondere ai cambiamenti del

mercato. Questa flessibilità deve garantire dei bassi tempi di changeover al fine

di raggiungere una politica di mass customization.

Gli ordini vengono elaborati su una base di lotti minimi. Le priorità di produzione

sono guidate dalle date di consegna richieste. In alcuni casi la pianificazione della

produzione può essere gestita dall'azienda insieme ai clienti con l'obiettivo di

sviluppare strategie adatte per ogni segmento di clienti. I cambiamenti nel

processo manifatturiero

portano all'accorciamento dei tempi di ciclo, questo permette di essere più

reattivi nei confronti dei clienti;

Processo di procurement.

I piani strategici sono sviluppati con i fornitori con l'obiettivo di supportare il

processo di gestione del flusso produttivo e lo sviluppo di nuovi prodotti. I

fornitori sono classificati sulla base di varie dimensioni, come ad esempio il loro

contributo e criticità per l'organizzazione. Le alleanze strategiche a lungo termine

possono essere sviluppate con una quota parte ridotta e selezionata di fornitori

chiave. Il risultato desiderato è un rapporto win-win, in cui entrambe le parti

traggano vantaggio da questa relazione. In questo modo si passa dalla logica

tradizionale del sistema bid-and-buy, al coinvolgimento di un fornitore chiave già

nelle prime fasi del ciclo di progettazione. Ciò può portare ad una drastica

riduzione nei tempi di ciclo di sviluppo di un nuovo prodotto. La funzione acquisti

hanno sviluppato tools sempre più rapidi ed efficienti per lo scambio rapido dei

dati (EDI e tecnologie Internet based). Questi strumenti di comunicazione rapidi

forniscono un mezzo per ridurre i tempi e i costi di transazione del processo di

acquisto. In questo modo i buyer

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possono concentrare i loro sforzi su attività a maggiore valore aggiunto, come la

gestione dei fornitori anziché sulla gestione del ciclo dell'ordine;

Processo di sviluppo prodotto e commercializzazione.

I nuovi prodotti sono la linfa vitale di una società, per questo motivo il processo

di sviluppo del prodotto assume un'importanza vitale all'interno delle aziende.

Clienti e fornitori devono essere integrati nel processo di sviluppo del prodotto al

fine di ridurre il time to market. Ai nostri giorni si assiste ad una riduzione

sempre più spinta del ciclo di vita dei prodotti. Per questo motivo si rende

necessario l'accorciamento dei tempi di sviluppo e

lancio in produzione dei nuovi articoli, al fine di rimanere competitivi. I manager

responsabili del processo di sviluppo nuovo prodotto e della

commercializzazione devono coordinarsi con il customer relationship

management per identificare i bisogni del cliente,

selezionare i materiali e i fornitori in collaborazione con il procurement e

sviluppare tecnologie di produzione adatte alla particolare combinazione

prodotto-mercato al fine di produrre e integrare il flusso produttivo della SC nel

miglior modo possibile;

Processo di gestione dei resi.

Gestire i resi e la reverse logistics come un processo di business offre la

possibilità di ottenere un vantaggio competitivo sostenibile. Un’efficace gestione

dei processi di reso consente inoltre l'identificazione di opportunità di

miglioramento della produttività e di progetti innovativi.

3. Le componenti del management.

I livelli di integrazione e gestione di un collegamento sono in funzione del numero e del

livello delle componenti associate al collegamento stesso. Sono state identificate nove

componenti del management che impattano maggiormente sul successo di una supply

chain:

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La pianificazione e il controllo delle operations sono la chiave per muovere

un’organizzazione o una supply chain in una determinata direzione;

La struttura di lavoro indica come l’impresa svolge i suoi compiti e le sue attività

per raggiungere i propri obiettivi;

La struttura organizzativa può fare riferimento sia all'impresa, sia alla filiera. Lo

sviluppo di team cross-funzionali caratterizza una supply chain con un alto grado

di integrazione;

La struttura del flusso di prodotto fa riferimento alla struttura del network che

comprende sourcing, manufacturing e distributing lungo la SC. Essendo un

minimo livello di scorte indispensabile lungo una filiera, è spesso conveniente

che la maggior parte dello stock sia presente nei nodi più amonte, considerando

il fatto che è meno costoso mantenere a scorta WIP e semilavorati piuttosto che

prodotti finiti;

La struttura del flusso informativo è una delle componenti chiave. Questo

perché il tipo di informazioni e la frequenza con le quali esse passano all'interno

dei canali di comunicazione e raggiungono i nodi della SC ha un impatto molto

rilevante sull'efficienza e quindi sul successo della catena di fornitura;

I metodi di management comprendono la filosofia aziendale e le tecniche di

management. E' molto difficile integrare una struttura di tipo top-down con una

organizzazione di tipo bottom-up. Il livello di coinvolgimento nella gestione

quotidiana delle operazioni può differire considerando i diversi membri;

La struttura di potere e di leadership lungo la filiera influenzerà la sua forma.

Un'azienda leader all'interno della SC sceglierà la direzione da seguire per l'intero

canale. L'esercizio del potere, o la sua assenza, può nfluenzare il livello di

commitment degli altri membri del canale;

L'anticipazione della condivisione di rischi e benefici lungo tutta la catena

favorisce il commitment a lungo termine tra i diversi membri della filiera.

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La cultura aziendale è un aspetto molto importante. La compatibilità tra le

diverse culture aziendali tra i membri del canale non può essere sottovalutato.

Gestire e allineare le diverse culture e atteggiamenti individuali richiede tempo,

ma è necessario per fare in modo che il canale operi come una catena.

3.1.2 Il modello SCOR

Il modello SCOR (Supply Chain Operation Reference Model) è stato concepito e

mantenuto aggiornato da un’associazione no-profit chiamata Supply Chain Council

(SCC), fondata nel 1996 attraverso una collaborazione tra 69 imprese. La missione del

SCC è di disseminare, migliorare e perpetrare l’uso del modello SCOR attraverso

ricerche, istruzione e conferenze.

Le imprese utilizzano il modello per determinare quali processi della propria supply

chain migliorare e quanto migliorarli, per consolidare iniziative legate alla supply chain,

per creare un metodo standard di valutazione delle performance e per implementare

processi standard e sisitemi informativi comuni tra i membri della catena (Correa,2014).

Il modello SCOR ha innanzitutto lo scopo di descrivere e analizzare i flussi logistici, i flussi

informativi e le relazioni di mercato che intercorrono tra un’azienda e i suoi clienti e

fornitori (Sianesi,2011).

Esso incorpora elementi di BPR (Business Process Reengineering), strumenti di misura

delle prestazioni e di benchmarking, affinché, una volta definita la situazione as is, si

possa ragionare su quella to be.

Il modello ha una struttura gerarchica che si articola in 4 livelli (Figura 2): passando dal

livello 1 ai successivi si approfondisce il livello di dettaglio, arrivando a descrivere

puntualmente le attività di business; al livello più alto lo SCOR propone cinque macro-

processi gestionali, utilizzati come building block allo scopo di descrivere supply chain

con diferente livello di complessità:

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Plan.

Il processo di plan ha come obiettivo il bilanciamento della domanda con le risorse

disponibili, perciò sviluppa le linee d’azione volte all’acquisizione delle risorse necessarie

e allo svolgimento delle attività di approvvigionamento, produzione, distribuzione;

Source.

Il processo di source include tutti i processi volti all’acquisizione dei beni e dei servizi

necessari per soddisfare la domanda: identificazione e selezione dei fornitori,

negoziazione, approvvigionamento, ricezione dei materiali

Make.

Il processo di make contempla la trasformazione di materiali e componenti in prodotti

finiti; comprende anche le attività di controllo avanzamento, immagazzinamento,

controllo qualità, packaging;

Deliver.

Il processo di deliver riguarda la consegna di prodotti finiti in modo d soddisfare la

domanda; tipicamente include la gestione ordini, dei trasporti e della distribuzione;

Return.

Il processo di return descrive le attività legate ai flussi di resi commerciali o dovuti a

guasti.

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Figura 2: I 4 livelli del modello SCOR (Correa,2014)

Al secondo livello (Figura 3), ciascuno dei cinque macro-processi può essere

ulteriormente descritto attraverso tre categorie:

Processi di tipo planning (decisionali): sono processi di pianificazione delle attività

che mirano ad allineare tutte le risorse disponibili con la domanda attesa. In questo

ambito si prendono decisioni relative agli obiettivi di prestazione, alle informazioni

da gestire, agli obiettivi di scorte e magazzini, agli investimenti eventuali e alla

gestione del rischio lungo la catena;

Processi di tipo execution: sono processi operativi che includono attività di

trasformazione, movimentazione e scheduling;

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Processi di tipo enable: sono processi che abilitano quelli di planning ed execution;

hanno lo scopo di preparare, mantenere o gestire informazioni e relazioni su cui i

primi due processi si appoggiano.

I processi di livello 1 vengono quindi approfonditi in dettaglio attraverso queste

categorie; ad esempio il processo di plan può essere decomposto in 5 categorie: plan

supply chain, plan source, plan make, plan deliver e plan return. Per ognuno dei processi

citati sono definite metriche e best practice specifiche.

Figura 3: Livello 2 del modello SCOR (Correa,2014)

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I due modelli presentati sono utili come approccio iniziale per definire i processi

principali della supply chain di un’impresa interessata nello studiare e migliorare i propri

processi. Tuttavia questi framework rappresentano solo un punto di inizio: ogni impresa

ha le sue peculiarità e potrebbe considerare importanti alcuni processi non considerati

in questi

modelli così come potrebbe trovare superflui alcuni elementi che qui sono dettagliati

profondamente.

In ogni caso è importante che l’impresa definisca i macro-processi in accordo con gli altri

membri della supply chain, e sia consapevole del tempo necesario per raggiungere il

consenso.

3.2 Visibility

Negli ultimi anni quasi tutte le imprese hanno assistito all’aumento della pressione

competitiva, al decremento del ciclo di vita dei prodotti ,alla crescente variabilità e

instabilità della domanda, a una sempre più spinta globalizzazione e a un ambiente di

business in continuo mutamento. Questi fattori hanno portato le imprese a focalizzarsi

sulle proprie core competencies, ricorrendo all’outsourcing per molte attività.

in questo scenario competitivo, la profittabilità dell’impresa focale (quella identificata

dal cliente come responsabile dello specifico prodotto/servizio e della coordinazione dei

flussi materiali e informativi), dipende fortemente dalla sua abilità nel gestire complesse

relazioni con i propri partner (Caridi et al.,2010).

Il concetto di visibility è quindi diventato nell’ultimo periodo una questione chiave nella

ricerca, in quanto influenza le performance dell’intera filiera. Avere accesso a

informazioni accurate e tempestive è una sfida continua, nella quale un ruolo chiave è

giocato dalle tecnologie ICT (Information and Comunication Technologies) come i

recenti RFID (Radio Frequency Identification), gli ERP (Enterprise Resource Planning) e gli

EDI (Electronic Data Interchange), che garantiscono un incremento di visibilità lungo la

catena.

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Enslow (Enslow,2006) ha riportato che la mancanza di SC visibility è la principale

preoccupazione del 79% di 150 grandi compagnie che sono state intervistate.

Molti autori hanno riportato i vantaggi derivanti da un incremento di visibility nella SC:

un miglioramento nel tempo di risposta (Armistead and Mapes,1993; Berry et al.,1994;

Patterson et al.,2004), un miglioramento nelle capacità di pianificazione e

approvvigionamento (Karkkainen,2003; Mentzer et al.,2004), un miglioramento nel

processo decisionale (Kent and Mentzer,2003), un miglioramento nella qualità dei

prodotti (Armistead and Mapes,1993).

È stato anche più volte dimostrato che la condivisione di informazioni nella SC riduca

drasticamente l’effetto bullwhip.

Per supply chain visibility si intende in generale la capacità dell’impresa focale di

accedere a informazioni e di condividerle con i propri partner. In letteratura esistono

però svariate definizioni di SC visibility.

Per Schoenthaler (Schoenthaler, 2003), visibility significa che le informazioni importanti

sono prontamente disponibili a chi ne ha bisogno, dentro e fuori l’organizzazione, per

monitorare, controllare e cambiare la SC strategy e le operations. Barratt and Oke

(Barratt and Oke,2007) vedono la visibility come il grado con cui gli attori all’interno

della SC hanno accesso/condividono informazioni che considerano utili alle proprie

operations e che pensano saranno di reciproco beneficio. Per McCrea (McCrea,2005) è

l’abilità di individuare eccezioni nell’esecuzione dei processi relativi alla SC e di

intraprendere azioni basandosi sulle informazioni recepite. Tohamy (Tohamy,2003)

considera la visibility come la capacità di catturare e analizzare dati relativi alla SC che

informino i decision-makers, mitighino il rischio e migliorino i processi.

Hickey (Hickey,2005) considera la visibility da una prospettiva logistica, definendola

come la visione trasparente di tempo, luogo,stato e contenuto. Cristopher e Lee

(Cristopher , Lee,2003) vedono la visibility dal punto di vista dell’inventory management,

mentre Hsiao-Lan e Wang (Hsiao-Lan , Wang,2007) da quello del planning and control

management.

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L’analisi più completa sulle definizioni esistenti in letteratura è stata probabilmente

compiuta da Goh et al.(Goh, De Souza, Zhang, Tan,2009), i quali hanno riscontrato che

nessuna definizione esistente fosse completa. Gli autori, convinti che questa

proliferazione di significati, ognuno basato su una diversa prospettiva, portasse a

confusione, hanno deciso di proporre una propria definizione, che racchiudesse tutte le

precedenti e si basasse sul compito per loro più importante del SCM, ossia il decision

making.

“SCV è la capacità di un membro della SC di avere accesso/fornire tempestivamente le

informazioni richieste riguardanti le entità coinvolte nella SC da/a i SC partner per un

miglior supporto decisionale” (Goh, De Souza, Zhang, Tan,2009).

Questa definizione copre tutte le caratteristiche chiave della SCV, specifica la sua

funzione ( i.e. decision making), chi ne usufruisce e sottoline l’importanza della

tempestività.

3.2.1 Soluzioni organizzative

Dal momento in cui è stata compreso l’effetto benefico della visibility tra i partner della

supply chain in termini di miglioramento delle performance, sono nate numerose

soluzioni organizzative basate sulla condivisione di informazioni. La tendenza è quella di

eliminare le barriere esistenti tra i diversi nodi della catena in favore di processi

orizzontali e integrati.

La prima forte iniziativa pensata per garantire l’integrazione nella SC è datata 1992,

quando 14 associazioni di categoria crearono un gruppo chiamato “Efficient Consumer

Response Movement”, con lo scopo di guidare una trasformazione nelle pratiche del

SCM, sottolineando l’importanza e il bisogno di creare relazioni di fiducia tra

manufacturer e retailer, basate sulla condivisione di informazioni strategiche per

ottimizzare i risultati dell’intera catena.

Per sono state create diverse tecniche nel mondo industriale:

Vendor managed inventory (VMI): con il VMI le scorte del cliente vengono gestite

direttamente dal fornitore, che ha visibilità sul livello di giacenza e sui piani di

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produzione del cliente, se non addirittura sulla domanda a valle e sulle attività

promozionali, e in base a queste informazioni provvede autonomamente a

riapprovvigionare la merce (Spina,2012).

Il fornitore si prende quindi carico di una decisione tradizionalmente presa dal cliente,

con gli obiettivi di aumentare la disponibilità della merce e ridurre il buffer di scorte di

ambo le parti.

Waller (Waller,1999) ha identificato, tramite simulazione, che tramite VMI i fornitori

possono migliorare il servizio e contemporaneamente ridurre i costi.

L’introduzione del VMI permette al supplier di livellare la domanda e di avere più tempo

per reagire, portando benefici nella pianificazione della produzione e nella gestione

delle scorte.

Nonostante i riconosciuti vantaggi, il VMI ha inizialmente avuto problemi ad imporsi a

causa di mancanza di fiducia nella controparte e quindi di volontà di condividere

informazioni; per questo motivo Kaipia (Kaipia,Holmstrom,Tanskanen,2002) ha costruito

un modello che misurasse quantitativamente i benefici dell’implementazione del VMI:

attraverso indicatori come il response time, il reorder point e il mean absolute deviation

of demand applicati a casi reali, ha dimostrato l’efficacia del VMI rispetto alla soluzione

tradizionale, soprattutto nel caso di bassi volumi e alta varietà di prodotti.

Quando il movimento ECR è stato lanciato, si pensava che il VMI (nato

precedentemente) sarebbe diventato uno standard comune nel mondo industriale;

tuttavia molte imprese sono migrate verso altre tecniche di collaborazione, in quanto il

VMI aveva la debolezza di non provvedere un adeguato livello di visibility della supply

chain totale;

Continuous replenisment (CR): il CR fa un passo avanti rispetto al VMI. Per la prima

volta i dati relativi ai punti vendita (POS) sono usati per generare previsioni di vendita: la

politica di gestione delle scorte è quindi basata sulle previsioni create dalle domande

storiche, e non più solamente sulla variazione dei livelli di scorte nel magazzino del

cliente.

il cliente condivide informazioni su giacenze, vendite e promozioni; il supplier rifornisce

frequentemente (anche quotidianamente) in modo da mantenere le scorte all’interno di

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un range stabilito. Il prerequisito fondamentale è la possibilità di consegnare

rapidamente e a costi contenuti. In questo modo vengono ridotte le scorte aumentando

la disponibilità dei prodotti;

Collaborative planning, forecasting and replenishment (CPFR): la caratteristica

distintiva del CPFR è che le decisioni non sono delegate al fornitore ma prese

congiuntamente con il cliente. Le due parti condividono le informazioni e formulano

entrambe previsioni di domanda. Alla base del CPFR c’è la volontà di colmare i gap

lasciati dalle precedenti metodologie; ora vengono affrontate in maniera nuova e

completa le questioni relative all’influenza delle promozioni e dei cambiamenti del

pattern di domanda nella creazione di previsioni, alla pratica di mantenere alti i livelli di

scorta per una migliore disponibilità on the shelf, e alla mancanza di coordinamento tra

il processi di acquisto e la pianificazione logistica.

Alcuni dei benefici del CPFR sono: cicli di ordine più prevedibili, riduzione costi,riduzione

danneggiamenti,consegne più piccole e frequenti, informazioni accurate e

tempestive,miglioramento del servizio al cliente finale, produzione dilazionata, riduzione

stock-out, alto turnover delle scorte e riduzione over-stock (Barratt,Oliveira,2001).

3.2.2 Tecnologie abilitanti

Le tecnologie per l’informazione e la comunicazione (ICT) sono una risorsa

fondamentale per aiutare le impresa a collaborare e a raggiungere alti livelli di visibility.

Oltre agli strumenti tradizionali come telefono e fax, ai sistemi propriatari sviluppati

internamente e agli EDI (Electronic Data Interchange), cioè tecnologie di scambio

asincrono dei dati in formato elettronico, esistono altre soluzioni di recente sviluppo che

sono e saranno importanti per migliorare la SC visibility: tecnologie di localizzazione e

comunicazione (XML, ebXML, Bluetooth, WiFi, WiMax, Wibro, Zigbee, Ultra-Wide Band,

RuBee, infrared), gli RFID (Radio Frequency Identification), la digitalizzazione delle

infrastruture pubbliche nell’era dell’IOT (Internet of Thinghs) e i sensori MEMS-based.

Il focus di queste ultime tecnologie è sulla cosiddetta “product visibility”, cioè la capacità

di tenere traccia del prodotto lungo tutto il suo ciclo di vita, dalla sua concezione,

fabbricazione, distribuzione all’utilizzo presso il cliente. Si usa il termine tracking per

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definire l’ablità di seguire il prodotto downstream verso il cliente finale, mentre tracing

per indicare la capacità di ripercorrere il cammino e la storia del prodotto upstream

verso i fornitori: tracking e tracing sono attività complementari con lo scopo di

accrescere la sicurezza e la certificazione del prodotto, ottimizzare la pianificazione dei

sistemi di produzione e distribuzione, individuare le fonti di problemi di qualità e gestire

efficientemente la logistica inversa (Musa et al.,2013).

La prima tecnologia nata per tenere traccia dei prodotti è il codice a barre che, applicato

su un prodotto, riporta dati e informazioni in base alla lunghezza delle barre e alla

spaziatura tra esse. È molto utile soprattutto per la gestione del magazzino e per

raccogliere informazioni sulle vendite. I lati negativi sono relativi al fatto che, una volta

stampati, i dati non possono essere più cambiati e al fatto che i dati possono essere letti

solo in prossimità del codice tramite uno scanner.

Gli RFID superano questi limiti e apportano numerosi vantaggi, motivi per cui sono negli

ultimi anni hanno acquisito notevole popolarità tra gli studiosi e professionisti.

Si tratta di tecnologie per l’identificazione automatica di informazioni, basata sulla

capacità di memorizzazione di dati da parte di particolari etichette (tag o trasponder)

poste sul prodotto, che rispondono all’interrogazione a distanza da parte di appositi

strumenti (reader). Questa comunicazione avviene tramite radiofrequenza, per cui il

reader è in grado di leggere e modificare le informazioni contenute nel tag. Quest’ultimo

è costituito essenzialmente da un microchip che contiene i dati e da un’antenna, mentre

solo alcuni sono dotati di batteria interna.

Il Lettore emette un campo elettromagnetico/elettrico che tramite il processo della

induzione genera nell'antenna del tag una corrente che alimenta il chip. Il chip così

attivato trasmette i dati in esso contenuti tramite l'antenna al reader.

Rispetto al codice a barre, i chip degli RFID non necessitano di essere visibili per essere

decifrati e le informazioni possono essere aggiornate continuamente.

I benefici attuali e le potenzialità degli RFID sono notevoli e spaziano in ogni campo,

ovviamente anche in quello del SCM, grazie allo loro capacità di tracciare i prodoti e

migliorare la visibilità della catena, con tutti i vantaggi che ne conseguono.

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3.2.3 Effetto bullwhip

L’applicazione di tecniche volte a migliorare la visibility e la condivisione di informazioni

lunga la SC porta a ridurre il famoso effetto bullwhip, cioè l’amplificazione della

variabilità della domanda che si riscontra risalendo la filiera da valle a monte, fenomeno

che fu notato per la prima volta da Forrester nel 1958.

Per lungo tempo l’effetto bullwhip fu accettato come una normale ed inevitabile

conseguenza del sistema order-to-deliver, ma in realtà è dovuto a determinate politiche

di gestione della supply chain.

Le cause del bullwhip sono essenzialmente quattro:

“Filtri” lungo la filiera Ogni stadio della SC costituisce un filtro che osserva i propri dati di domanda, elabora

previsioni ed emette ordini in funzione di specifiche politiche. Tutto ciò perturba

l’informazione originaria e genera dati di domanda allo stadio a monte che non

dipendono esclusivamente dalla domanda a valle. Ad esempio un aumento nella

domanda finale potrebbe indurre il retailer ad emettere un ordine a monte superiore in

funzione della volontà di aggiustare le proprie scorte di sicurezza; se ogni attore si

comportasse in questo modo, i fornitori più a monte riceverebbero una domanda

decisamente maggiore rispetto a quella reale, che calerebbe profondamente al di sotto

di quella originale nel periodo successivo nel caso in cui la domanda finale si

stabilizzasse.

Inoltre la presenza di tempi di emissione ed elaborazione ordini amplifica il fenomeno.

Politiche di lottizzazione

Lotti minimi di riordino, di produzione e di trasporto necessari per ridurre costi di

emissioni ordini, per facilitare il processo di approvvigionamento, per ridurre tempi di

set-up e per ottimizzare le consegne, generano inevitabili perturbazioni nella domanda.

Fluttuazione dei prezzi

Azioni commerciali e di marketing, modifiche del listino prezzi e attività promozionali

sono metodi per aumentare la domanda nel breve periodo, con la inevitabile

conseguenza di deprimerla nei periodi successivi innescando l’effetto bullwhip.

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Allocazione della capacità

Un’ultima causa è l’allocazione di capacità produttiva da parte degli stadi a monte della

catena. Un’impresa, di fronte alla possibilità che il fornitore non abbia sufficiente

capacità per soddisfare tutte le richieste dei clienti, può decidere di “gonfiare” il proprio

ordine nella speranza di ricevere quantomeno la quantità di merce necessaria per

soddisfare la propria domanda evitando di andare in stock-out.

Oltre alla necessaria riduzione dei lead times, la soluzione per evitare la perturbazione

della domanda e le inefficienze ad essa connessa è quella di aumentare la visibilità,

condividendo le informazioni, permettendo a tutti i partner di vedere i reali dati di

domanda e di scorte in ogni stadio, monitorando lo stato di avanzamento degli ordini e

dei materiali, pianificando congiuntamente le azioni.

In letteratura esistono svariati studi che dimostrano analiticamente come la

condivisione di informazioni possa ridurre il bullwhip effect. Lee (Lee et al.,2000) ha

studiato l’impatto benefico della condivisione di informazioni in una supply chain a due

livelli; Cachon e Fisher (Cachon, Fisher, 2000) hanno dimostrato lo stesso tramite un

modello che comprendeva più retailer; Aviv (Aviv,2001) ha quantificato il beneficio

dell’applicazione di tecniche CPFR nella riduzione dell’effetto bullwhip; Ouyang

(Ouyang,2006) ha identificato analiticamente la riduzione dell’amplificazione della

domanda in caso di condivisione di informazioni in una supply chain multi-stadio.

3.2.4 Approfondimenti e modelli

In letteratura sono stati proposti svariati modelli e framework più o meno quantitativi

con l’obiettivo di estendere o analizzare più profondamente il concetto di visibility.

In questa sezione sono stati analizzati gli articoli risulatati maggiormente citati in

letteratura.

Barratt e Oke (Barratt,Oke,2007) sottolineano che in tutti gli studi esistenti sulla

tematica manca il collegamento tra la condivisione di informazioni e la visibility: gli

autori che solo una “distinctive visibility” porti a un vantaggio competitivo sostenibile, e

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per ottenere tale grado di visibilità è necessario che l’informazione condivisa sia

tempestiva, utile, basasta sulla fiducia,accurata e utilizzabile prontamente.

Lo scopo principale del suo studio è fornire un modo di valutare, basandosi sulla

resource-based-theory, se una risorsa che aumenti la condivisione di informazioni lungo

la catena, abbia i requisiti per creare vantaggio sostenibile, ciòè che sia: valuable (nel

senso che migliori l’effficienza o l’efficacia); rare (in modo da svantaggiare i concorrenti

che non la possiedono); imperfectly imitable; imperfectly mobile (in modo da evitare

competizione nell’ottenerla); non substituable.

Solo se una risorsa ha queste caratteristiche, ossia è VRINN (usando l’acronimo dei citati

requisiti) può creare un tale livello di visibilità che crei vantaggio sostenibile.

Caridi et al. (Caridi,Crippa,Perego,Sianesi,Tumino,2010) studiano l’impatto della

configurazione della SC sulla livello necessario di visibility per l’impresa focale. In

particolare vengono considerati due dimensioni: la virtuality (il grado con cui un’impresa

si basa sulla SC per fornire il proprio prodotto/servizio) e la complexity (dipendente dal

numero di nodi e livelli della SC). Viene costruito un modello analitico per misurare

quantitativamente il grado di questi due fattori e il livello di visibility attuale (in funzione

di quattro flussi informativi ritenuti più importanti nell’influenzare le performance

dell’impresa) per evidenziare la relazione che intercorre tra essi. Il modello proposto è

utile per le imprese che vogliono valuatare il proprio livello di visibility in funzione della

configurazione della SC e identificare le aree in cui apportare miglioramenti.

Riprendendo il lavoro precedente, Caridi et al. (Caridi, Perego,Moretto,Tumino,2014)

sviluppano un modello di value assesment, con lo scopo di valuatare l’impatto di un

aumento di visibility sulle performance dell’impresa focale.

Vengono identific ati, sulla scia del lavoro precedente, quattro tipi di flussi informativi,

sui quali un impresa può essere maggiormente interessata nel guadagnarer visibilità:

transactions (informazioni comunicate quando avviene un evento); status information

(informazioni descriventi lo stato di risorse/processi); master data (informazionin

relative a caratteristiche dei prodotti); operational plans (informazioni realtive ai piani

futuri dell’impresa). Da queste quattro tipologie sono stati elencati dieci principali flussi

informativi, mentra dalla letteratura sono stati identificati i kpi (key performance

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indicator) che vengono maggiormenti influenzati da un aumento di visibility nei suddetti

flussi. A questo punto tramite la creazioni di mappe causali e seguendo il modello

proposto consistente in un’analisi a nove step, ogni impresa può valutare

qualitativamente il beneficio ottenibile da un investimento in visibility.

Zhang et al. (Zhang,Goh,Meng,2011) esplorano il concetto di visibility dalla prospettiva

della gestione delle scorte. L’inventory visibility è un aspetto importante della SCV, in

quanto fornisce alle imprese informazioni sulle scorte a magazzino e in transito in modo

da rendere la supply chain più efficace ed efficiente.

Gli autori credono che che per ottenerre un alto livello di visibility sia necessario

quantificare oggettivamente l’inventory visibility (IV), cioè la capacità di

accedere/fornire informazioni tempestive riguardo le scorte coinvolte nella SC; per

questo propongono un modello matematico per individuare l’IV per ogni nodo della

catena e per la SC in totale. Il modello può essere utilizzato per una migliore

comprensione della tematica, per favorire la collaborazione e per supportare il processo

decisionale dal punto di vista tattico e strategico.

Williams et al. (Williams,Roh,Tokar,Swink,2013) si focalizzano sull’impatto che la

visibility può avere sulle capacità di reattività e flessibilità dell’impresa, virtù

fondamentali nell’attuale ambiente competitivo in costante mutamento. Gli autori

dimostrano attraverso una un’ampia nalisi di dati su 206 imprese che la condivisone di

informazioni e la visibilità che ne risulta non sono da sole sufficienti per migliorare la

responsiveness dell’impresa: l’anello di giunzione è l’integrazione interna, cioè la

capacità dell’impresa di strutturare procedure, pratiche e comportamenti in un processo

collaborativo e sincronizzato che superi le barriere all’interno dell’organizzazione e

faccia fluire l’informazione in modo cross-funzionale, in modo da miglioare il processo

decisionale.

Lee e Christopher. (Lee,Cheistopher,2004) studiano i benefici della visibility sulla

gestione del rischio in una supply chain. Essi affermano che nell’attuale contesto di

business, volatile e instabile, le supply chain sono esposte maggiormante a rischi di

“disruption” dai punti di vista finanziario (obsolescenza, stock-out, markdowns), di caos

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(distorsione della domanda, interventi non necessari, sfiducia) e di mercato (opportunità

mancate, trend non individuati).

Gli autori individuano l’esistenza di un circolo vizioso, una “spirale di rischio”. La

mancanza di informazioni e quindi di visibilità sulla “pipeline”(cioè il flusso di

informazioni e materiali) della supply chain porta a mancanza di fiducia da parte dei

manager, alla quale essi reagiscono ad esempio creando buffer di scorte: il risultato di

questo comportamento è l’aumento di lunghezza della catena, il che provoca tempi di

percorrenza maggiore e, in ultima istanza, una minore visibilità sulla situazione. I rischi

della SC derivano proprio dalle cattive performance generate da questo circolo. L’unico

modo per uscire dalla spirale è investire fin da subito in visibilità e controllo, in modo da

migliorare le performance necessarie epr mitigare il SC risk.

Tra i numerosi studi di simulazione con l’obiettivo di valutare l’effetto dell’information

sharing sulle performance della supply chain, di particolare interesse sono quelli di

Srinagesh Gavirneni .

Gavirneni et al. (Gavirneni, Kapuscinski, Tayur,1999) studiano le prestazioni di una

supply chain a due stadi (supplier-retailer) confrontando 3 modelli: uno tradizionale in

cui non c’è scambio informativo tra i due livelli eccetto la conoscenza della domanda

storica da parte del supplier (modello 0); un modello in cui il supplier conosce la politica

di inventory (s,S) del retailer, in particolare i paramentri “s” e “S”, rispettivamente il

livello minimo di scorte sotto il quale il retailer effettua l’ordine e il livello che vuole

raggiungere dopo la consegna del supplier (modello 1); un modello analogo al

precedente, in cui però il supplier è a conoscenza periodicamente dell’atuale domanda

del retailer (modello 2).

I risultati a cui giungono gli autori sono che il costo della SC per tutti i modelli aumenta

con l’incremento dei costi di mantenimento e della variabilità e con il decremento della

capacità del supplier. Il modello 2 risulta migliore degli altri, a dimostrazione del

beneficio della visibility. L’aumento di information sharing è particolarmente benefico in

casi di capacità del supplier alta, coefficiente di variazione della domanda moderato e

differenza tra “s” e “S” moderata.

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In un lavoro successivo, Gavirneni (Gavirneni,2002) mette a confronto due modelli, il

modello 1 è analogo a quello dello studio precedente, mentre nel modello 2 il supplier è

a conoscenza della domanda cumulata ricevuta dal retailer dall’ultimo ordine e quindi è

sicuro che il periodo successivo quest’ultimo effettuerà l’ordine. Questo aumento di

information sharing migliora le performance del sistema soprattutto per alti livelli di

capacità del supplier, per alti costi di penalty del supplier, per bassi costi di penalty del

retailer, per bassi livelli di costi fissi (set-up) e per bassi livelli di variabilità.

Infine Gavirneni e Kwak (Gavirneni,Kwak,2011) confrontano un modello di inventory

(s,S) con uno a intervallo fisso di riordino e con uno a quantità fissa di riordino, con e

senza condivisione di informazioni. Il beneficio globale di passare da un modello

ottimale per il retailer, quello (s,S), ai due modelli sub-ottimali è amplificato nel caso di

infomation sharing, soprattutto per alti valori di costi fissi e per bassi valori di variabilità

e del rapporto tra costi di penalty e costi di mantenimento.

3.3 Lean management

La produzione snella (lean management o lean production) è una filosofia produttiva e

gestionale nata negli anni ‘50 in Giappone nel settore automobilistico, in particolare alla

Toyota (per questo definita anche Toyota production system); estesa inizialmente nelle

altre industrie automobilistiche nipponiche, si è poi affermata anche in occidente e in

svariati settori industriali.

Il termine ‘produzione snella’ è stato coniato da Womack e Jones nel libro “La macchina

che ha cambiato il mondo”, in cui i due studiosi hanno confrontato le prestazioni e le

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modalità di gestione dei principali costruttori occidentali a produzione di massa con

quelli giapponesi, identificando le cause della superiorità di quest’ultimi.

Prima di addentrarsi nei principi, nelle metodologie e nelle tecniche lean, è interessante

rivivere storicamente la nascita di questa rivoluzionaria filosofia produttiva, basandosi

proprio sul lavoro di Womack e Jones.

3.3.1 Le origine del lean management

Fino al 1950 l’industria automobilistica mondiale era trainata da 3 grandi colossi

americani (Ford, General Motors e Chrysler) e da alcune crecenti imprese europee (Fiat,

Wolkswagen, Renault), il cui paradigma produttivo era la produzione di massa. Questa

modalità di fabbricazione e gestione del lavoro, nata nei primi anni del’900, aveva

superato i limiti della produzione artigianale, che garantiva ovviamente grande varietà di

gamma ma al contempo comportava costi elevati, tempi di consegna lunghi e una

capacità produttiva limitata; soddisfaceva un mercato di nicchia composto da pochi

ricchi clienti che desideravano un’auto su misura ma non era adatto a un mercato ‘di

massa’ in costante espansione.

Si può affermare che la produzione di massa in campo automobilistico sia stata

inventata da Henry Ford nel 1908 e perfezionata negli anni ‘20 da Alfred Sloan della

General Motors.

Ford ideò un sistema di produzione a costi bassissimi e ad alti volumi, progettò una

vettura in funzione dell’assemblaggio e facile da usare e da mantenere, permettendo

quindi a chiunque di possedere un’automobile.

Il concetto chiave della produzione di massa era l’intercambiabilità dei pezzi e la

semplicità di incastro; gli sforzi per standardizzare i pezzi, l’idea di avvicinare le parti al

banco di lavoro e di ridurre il numero di operazioni per addetto comportarono risparmi

in termini di costi, migliorarono la specializzazione e l’esperienza degli operatori e

ridussero il tempo di ciclo (aumentando quindi la produttività). Questi vantaggi furono

sublimati dalla rivoluzionaria introduzione in ambito automobilistico , sempre da parte

di Ford, della catena di montaggio in movimento. In definitiva le scoperte di Ford

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riducevano la quantità di lavoro necessaria e dimostravano che maggiore era la quantità

prodotta e minore era il costo unitario.

Ford perfezionò il sistema in modo da arrivare anche all’intercambiabilità dell’operaio

grazie a una estrema divisione del lavoro, che permetteva a chiunque di lavorare

efficientemente dopo un training di solo qualche minuto; accanto all’operatore

nascevano nuove figure professionali: il tecnico di lavoro che si occupava del modo in

cui i pezzi dovevano essere assemblati, il caporeparto, gli addetti alle riparazioni e al

controllo qualità.

Per quanto riguarda l’organizzazione dell’impresa, Ford perseguì l’idea della totale

integrazione verticale (esemplare lo stabilimento di Rouge), in modo da ottenere tempi

di consegna ridotti, tolleranze dei pezzi ridotte e le economie di scala necessarie alla

riduzione dei costi.

Anche se la varietà di gamma era bassa, il prezzo del prodotto, la facilità d’uso e le

innovazioni tecniche decretarono un successo schiacciante per Ford.

Sloan, direttore della General Motors, perfezionò le idee di Ford in un ambiente diverso

rispetto a quello in cui lavorava l’ideatore della produzione di massa: la GM controllava

decine di imprese automobilistiche, gestite separatamente e con alto livello di

sovrapproduzione. Sloan decise di creare delle unità decentralizzate amministrare dalla

sede centrale e gestite quindi come centri di profitto; razionalizzò la gamma risolvendo il

trade-off tra standardizzazione e soddisfacimento di una domanda di mercato sempre

più variegata.

Unendo tutti i concetti finora espressi si ottiene la forma compiuta della produzione di

massa, un paradigma di successo che non tardò ad affermarsi anche in Europa.

Nel 1950 Eiji Toyoda (membro della famiglia Toyoda e della Toyota Motor Company)

visitò lo strabiliante stabilimento di Rouge di Ford. Capì che in Giappone la produzione di

massa occidentale non avrebbe funzionato ma al contempo intuì che quel sistema di

produzione potesse essere migliorato. Tornato in Giappone, Toyoda e Taiichi Ohno

diedero vita a quello che sarebbe stato chiamato Toyota production system e, in ultima

istanza, alla lean production.

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La situazione politica e sociale giapponese nel dopoguerra era sensibilmente diversa da

quella americana dei primi anni del ‘900: il mercato interno era limitato ma la domanda

abbracciava un’ampia gamma di veicoli; i lavoratori non tolleravano di essere trattati

come pezzi intercambiabili e le organizzazioni sindacali difendevano strenuamente i loro

diritti, per di più in Giappone non c’erano molti immigrati disposti ad accettare

condizioni di lavoro inadeguate in cambio di alti salari; l’economia giapponese devastata

dalla guerra impediva grossi investimenti; i grandi colossi automobilistici erano ansiosi di

operare in Giappone ed erano pronti a difendere arduamente i propri mercati. Il

governo pensò che il modo migliore per far crescere l’industria dell’auto interna fosse

forzare la concentrazione delle imprese in pochi enormi gruppi: la Toyota, la Nissan e

altre fabbriche, invece, sfidarono il governo e si misero a produrre gamme complete di

vetture. Per fare ciò, e in generale per conquistare il settore automobilistico mondiale,

tuttavia, serviva un diverso tipo di approccio rispetto alla produzione di massa.

Il primo problema che risolse Ohno fu quello relativo al set up degli stampi: il metodo

dei grandi produttori occidentali non poteva essere replicato in Toyota perché era

necessaria una scala minima di produzione troppo elevata per l’economicità

dell’operazione; si poteva pensare di alternare gli stampi sulla linea di montaggio per

fabbricare pezzi diversi ma, data la criticità e le problematiche dell’attività di

sostituzione, questo non era possibile. All’aumentare della domanda, imprese

occidentali decisero di dedicare una serie di stampi a un unico modello, in modo che

questi non venissero cambiati per mesi, ma per il budget della Toyota ciò era

impraticabile.

La soluzione di Ohno fu quella di trovare tecniche innovative per ridurre il tempo

necessario al set up, che passò da giorni a minuti. Scoprì inoltre che stampare piccoli

lotti diminuiva il costo in quanto eliminava lo stock (e quindi le spese di immobilizzo) e

facilitava l’individuazione di difetti (e quindi riduceva gli sprechi).

Per fare in modo che questo sistema sistema funzionasse, l’impresa aveva bisogno di

lavoratori qualificati e altamente motivati. Questo caratteristica era stata raggiunta

negli anni ’40 quando, a causa di avverse condizioni macroeconomiche del paese, la

Toyota decise di licenziare metà dell’organico; il sindacato si oppose e la soluzione che

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accontentò tutti fu quella di trattenerne il 75% della forza lavoro con contratto a vita,

con salari legati all’anzianità e con numerosi benefits, a patto che la forza lavoro si

impegnasse ad essere flessibile nei compiti e propositiva: nacque la comunità Toyota, un

modo del tutto nuovo di gestire i dipendenti, che si estese nelle altre aziende

giapponesi.

Il modo innovativo con cui la Toyota gestiva i dipendenti comportò importanti

cambiamenti nelle operazioni di assemblaggio. Nelle imprese occidentali la

parcellizzazione del lavoro era portata agli estremi, gli operatori eseguivano sempre le

stesse poche attività e non avevano autorità, volontà e competenze per poter proporre

miglioramenti; inoltre, data l’importanza della produttività, la linea di montaggio non

veniva mai fermata neanche se un pezzo fosse stato montato in maniera errata perché i

difetti venivano ispezionati e riparati nel reparto qualità a valle della linea, con la

spiacevole conseguenza che un difetto veniva ampliato per tutta la linea, veniva

individuato solo alla fine e ciò portava a grande spreco di tempo, materiali e fatica.

Ohno riteneva che questo sistema fosse impregnato di muda (spreco) ed era convinto

che bisognasse dare più importanza agli operatori: diede la possibilità ad ogni lavoratore

di fermare la linea in qualsiasi momento nel caso avesse individuato un difetto, dopo di

che tutto il team avrebbe partecipato per risolverlo e per evitare di farlo capitare

nuovamente agendo sulle cause. Ovviamente all’inizio la linea si interrompeva

continuamente ma dopo poco tempo il rendimento e la qualità superarono quello delle

imprese a produzione di massa.

Un’altra importante differenza riguarda la catena di approvvigionamento. L’idea iniziale

delle imprese a produzione di massa, come detto, era quella della totale integrazione

verticale; in seguito ai cambiamenti del mercato, della domanda e della complessità

tecnologica, iniziarono a basarsi su fornitori di componenti. Il disegno del progetto era

tuttavia creato totalmente dallo staff tecnico dei produttori e imposto ai fornitori, che

venivano scelti di volta in volta in base a parametri come prezzo, qualità e tempi di

consegna; i fornitori non avevano opportunità di proporre miglioramenti anche perché

non ottenevano nessuna informazione sul progetto del resto della vettura, non

potevano comunicare orizzontalmente con gli altri fornitori, erano costretti a tenere un

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grande stock di prodotti finiti in magazzino per sopperire ai cambiamenti improvvisi

degli ordini dei costruttori e non avevano alcun interesse nel comunicare al cliente un’

eventuale innovazioni che riduceva i propri costi. Questo conflittuale tipo di relazione

quindi causava diverse inefficienze.

La Toyota invece organizzò i fornitori in fasce funzionali, in base al componente

fabbricato e ogni fornitore interagiva a sua volta con produttori dei singoli pezzi; i

fornitori della stessa fascia potevano comunicare tra loro in quanto non erano

concorrenti e ottenevano tutte le informazioni per effettuare migliorie sul progetto, che

era disegnato in concomitanza con Toyota stessa e non imposto da quest’ultimo. Molto

spesso tra cliente e fornitore avvenivano scambi di personale, di partecipazioni azionarie

e aiuti finanziari. Il flusso di componenti era strutturato secondo la logica del just in time

attraverso l’utilizzo di kanban, per cui solo nel momento in cui il cliente inviava un

container vuoto, il fornitori iniziava la produzione per riempirlo nuovamente, in modo

da evitare sovrapproduzione.

Questo tipo di relazione portò ovviamente diversi vantaggi.

Il sistema produttivo Toyota si dimostrò più adatto rispetto alla produzione di massa

quando il settore automobilistico dovette rispondere al cambiamento nella domanda

del consumatore in termini di ampiezza di gamma. L’industria giapponese, grazie alla

sua organizzazione, era in grado di avere una varietà di veicoli maggiore rispetto ai

colossi occidentali, e riusciva a farlo con un modesto incremento dei costi; per di più, dal

momento che la vita media del prodotto è di pochi anni, la capacità delle imprese

nipponiche di evitare la sovrapproduzione garantiva un notevole vantaggio economico.

L’ultimo punto su cui concentrare l’attenzione è quello relativo alla differenza nel

rapporto con la clientela. Le imprese a produzione di massa instauravano con i

concessionari un rapporto freddo e conflittuale (simile a quello visto con i fornitori): i

produttori vedevano i concessionari come degli ammortizzatori contro la ciclicità della

domanda, imponevano loro l’acquisto di un certo numero di vetture, scaricando quindi

l’onere del magazzino e assicurandosi al contempo una produzione regolare; nessuna

delle due parti aveva interesse nel condividere informazioni sul mercato e questo

portava a sfiducia ed inefficienze. La natura della relazione giapponese era totalmente

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differente in quanto il concessionario veniva visto come parte integrante della comunità

Toyota: poteva essere di proprietà dell’azienda o avere una partecipazione azionaria ma

in ogni caso aveva un destino comune con il produttore. Essendo lo stadio più vicino al

cliente, era visto come la prima fase nel sistema kanban, e quindi il trigger che fa partire

tutta la catena a monte. Una variabilità troppo alta della domanda in termini di mix e

volume avrebbe creato dei problemi al sistema, allora i concessionari cominciarono a

contattare direttamente il cliente (anche porta a porta), a registrare i dati per anticipare

i suoi acquisti al variare del reddito, del nucleo familiare, dei gusti di guida. Per Toyota la

fedeltà al marchio del cliente finale era un obiettivo fondamentale perciò il

consumatore, il quale partecipava anche al processo di progettazione dei nuovi prodotti,

veniva inserito a tutti gli effetti nella famiglia Toyota.

Quelle descritte sono solo alcune delle innovazioni che la Toyota (Ohno in particolare) e

altri produttori giapponesi introdussero nell’industria mondiale, creando una

rivoluzionaria filosofia e decretando una nuova era sia nel campo della produzione di

beni che di servizi.

3.3.2 I principi lean

Nel momento in cui il mondo industriale occidentale si convinse dei vantaggi della

produzione snella e comprese che essi non derivavano semplicemente da differenze

culturali o di salario rispetto al Giappone, si è cercato di verbalizzare le metodologie, le

tecniche e i principi snelli in modo da permettere facilmente a tutti i manager del

mondo di applicarli nelle loro imprese.

Anche in questo caso ci vengono incontro Womack e Jones, che dopo il saggio “The

machine that changed the world”, hanno deciso di esplicare i principi base della

produzione snella nel libro “Lean Thinking”. Gli autori individuarono 5 principi

fondamentali:

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La definizione del valore

Il punto di partenza è il concetto di valore, che può essere definito esclusivamente dal

cliente finale e assume un significato solo nel momento in cui lo si esprime in termini di

uno specifico prodotto in grado di soddisfare un’esigenza a un dato prezzo e in un

preciso momento. Fare questo è molto difficile. Molto spesso i manager si focalizzano su

profitti di breve termine, cercando modi per tagliare i costi e sottratte profitti a clienti e

fornitori oppure si impegnano per creare prodotti sofisticati utilizzando processi

produttivi complessi e avanzati tecnologicamente, senza soffermarsi su ciò che

veramente il cliente necessita.

Fornire il prodotto sbagliato, anche se nel modo giusto, è muda.

Le difficoltà nel definire correttamente il valore derivano innanzitutto dal fatto che i

produttori desiderano continuare a fare quello che hanno sempre fatto e che i clienti

sanno solo chiedere varianti del prodotto in termini di costo, consegna e

personalizzazione, mentre dovrebbero analizzare insieme il valore, metterne in

discussione la definizione tradizionale e capire di cosa ci sia veramente bisogno; inoltre

molto spesso la creazione di valore avviene attraverso più imprese e ciascuna tende a

definirlo diversamente, a focalizzarsi sulle proprie esigenze e sulla propria “efficienza”

senza guardare al prodotto nel complesso con gli occhi del cliente.

Per ridefinire i prodotti le imprese devono cominciare a rivolgersi in modo nuovo ai

clienti e parlare in modo nuovo con le altre aziende che si trovano lungo lo stesso flusso.

L’obiettivo più importante nel definire il valore, una volta definito il prodotto, è quello di

determinare un target cost. Questo concetto è diametralmente opposto a quello

tradizionale, in cui una volta individuato il costo di produzione, si aggiunge un mark-up e

si definisce il prezzo come somma dei due termini; il metodo nipponico porta a

individuare il prezzo che il cliente è disposto a spendere e da questo si procede a ritroso

fissando un target di costo massimo.

Una volta definito, il target cost diventa la lente tramite cui analizzare e controllare tutto

il flusso di valore del prodotto.

L’identificazione del flusso di valore

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Il flusso di valore è costituito dall’insieme delle azioni richieste per condurre un dato

prodotto i 3 compiti critici del management di qualsiasi business: la trasformazione fisica

delle materie prime in prodotto finito per il cliente; la risoluzione di problemi

dall’ideazione al lancio in produzione, la gestione delle informazioni dal ricevimento

ordine alla consegna.

L’analisi del flusso per ciascun prodotto rivela sempre quantità enormi di muda, in

particolare porta ad identificare tre tipi di attività:

1. Attività che creano valore (i.e. attività per cui il cliente è disposto a pagare).

2. Attività che non creano valore ma, stanti le attuali tecnologie e processi

organizzativi, sono inevitabili ( e.g. un’attività di controllo qualità a fine linea non

crea valore per il cliente, ma è ineliminabile a meno che non si trovi una

tecnologia o un metodo organizzativo che permetta di produrre qualsiasi pezzo

con la sicurezza che non ci siano difetti).

3. Attività che non creano valore e possono essere eliminate immediatamente.

Una volta rimosse le attività della terza categoria bisogna concentrarsi su quelle della

seconda, attraverso l’uso di tecniche e metodologie che garantiscano al sistema di

funzionare senza di esse.

L’analisi non va effettuata solo all’interno di un’impresa, ma lungo tutta la supply chain e

considerare tutte le attività implicate nel prodotto, dall’ideazione all’effettiva

disponibilità,

dalla vendita alla consegna attraverso la programmazione della produzione e dalle

materie prime fino alle mani del cliente finale.

Molto spesso un’analisi del flusso rivela che dal momento in cui vengono reperite le

materie prime al momento in cui il prodotto finito è stato consegnato al cliente,

trascorre un’enorme quantità di tempo di cui sono una esigua frazione è a valore

aggiunto. Questo spreco di tempo è riconducibile a diverse cause. Ad esempio capita

che i pezzi, anche se pronti per la fase successiva, rimangono in attesa perché per

effettuare grossi spostamenti (magari per sfruttare costi del lavoro o dell’energia più

bassi) l’efficienza richiede che il mezzo di trasporto sia saturo; oppure si generano ritardi

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perché, se in produzione si utilizzano grossi impianti molto automatizzati, la tendenza è

produrre ingenti lotti di ogni tipo di prodotto altrimenti l’elevato numero di set-up

inficerebbe sull’economicità del sistema; spesso poi il prodotto trascorre molto tempo

nei magazzini in attesa di essere prelevato, in quanto la domanda non è nota ma solo

prevista.

Ciò che sembra essere efficiente per ogni impresa presa singolarmente lungo il flusso, in

realtà nasconde grandi sprechi ed inefficienze se si analizzano le attività in modo

globale.

Far scorrere il flusso

Una volta che il valore è stato definito e il relativo flusso identificato, bisogna fare in

modo che le attività realmente creatrici di valore fluiscano naturalmente senza

interruzioni.

Questo punto richiede un’importante cambiamento di forma mentis in quanto la logica

tradizionale porta a ragionare in termini di uffici e dipartimenti, dove le attività sono

raggruppate per tipologia in nome dell’efficienza e della facilità di gestione.

La lean production ribalta questa concezione di batch and queue; in accordo con essa

tutto funziona meglio se ci si focalizza sul prodotto piuttosto che sull’azienda o sulle

attrezzature, in modo che tutte le attività relative a un prodotto avvengano in un flusso

continuo.

Un esempio è relativo la progettazione di un prodotto, per cui l’idea è quella di creare

team dedicati con rappresentanti di tutte le funzioni coinvolte (marketing, attrezzeria,

ingegneria,acquisti) nello stesso ufficio, invece di spostare il progetto da ufficio a ufficio,

mettendolo in coda agli altri.

La maggior parte delle tecniche nate per aiutare lo scorrimento del flusso sono da

attribuirsi

al già citato Taiichi Ohno della Toyota che introdusse il concetto di just in time, per cui

ogni pezzo doveva essere disponibile nella giusta quantità, al momento giusto e nel

posto giusto, tutto per facilitare lo scorrimento dei flussi. Per raggiungere questo

ambizioso obiettivo era necessario livellare la produzione giornaliera (heijunka in

giapponese) per evitare colli di bottiglia e conseguente creazione di scorte.

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Inoltre era fondamentale ridurre drasticamente i tempi di set-up per permettere alle

macchine di produrre lotti piccoli di una tipologia di prodotto e passare velocemente a

quella successiva non appena le parti già prodotte venivano raccolte dalla fase a valle.

La fabbrica viene ora divisa in aree produttive per linea di prodotto, dove tutte le attività

sono organizzate in sequenza, solitamente all’interno di un’unica cella in cui il prodotto

scorre senza interruzioni e scorte intermedie ( concetto espresso tramite l’espressione

“one piece flow”); rispetto ai grossi impiantii tradizionali, le macchine utilizzate nelle

celle sono spesso più piccole, più lente e meno automatizzate, ma più precise e

disponibili (grazie alle tecniche di Total Productive Maintenance); il personale deve

essere “esperto”, il lavoro standardizzato e il sistema a prova di errori (poka-yoke); è

importante il controllo visivo (tramite display e indicatori) in modo che chiunque sia

coinvolto nel processo possa comprendere lo stato di ogni attività; il lavoro è bilanciato

perché all’interno delle cella e in tutta la fabbrica c’è un ritmo da seguire, il takt-time,

che indica (tramite il rapporto tra tempo disponibile e domanda giornaliera) ogni quanto

bisogna completare un’operazione per soddisfare il cliente.

Ovviamente queste tecniche e metodologie per far scorrere il flusso possono essere

adattate a qualsiasi processo e a qualsiasi settore industriale, compreso quello dei

servizi.

Legare tutto al cliente

Il primo effetto visibile della conversione da reparti e lotti a team di prodotto e flussi è

che il tempo richiesto dall’ideazione al lancio del prodotto, dalla vendita alla consegna,

dalla materia prima al cliente, si riduce drasticamente. Il sistema snello permette di

realizzare qualsiasi prodotto in tempi brevissimi, in modo da soddisfare

immediatamente qualunque cambiamento nella domanda.

Questa straordinaria capacità permette all’impresa di fare a meno delle tradizionali

previsioni di vendita (che sono per definizioni sbagliate) per fare semplicemente ciò che

richiede il cliente: ora è il cliente che “tira” il prodotto da valle e non più l’azienda che lo

spinge da monte (anche se indesiderato). Bisogna quindi ragionare in ottica pull.

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Pull significa che nessuno stadio a monte deve lavorare fino al momento in cui lo stadio

a valle effettua una richiesta (in caso contrario ci sarebbe muda di sovrapproduzione),

perciò una richiesta da parte del cliente finale rappresenta il trigger che metto in azione,

a ritroso, tutto il sistema.

Un modo pratico per lavorare in ottica pull è utilizzare la tecnica kanban: il kanban è un

cartellino (fisico o elettronico) associato a un prodotto o più spesso a un numero

definito di prodotti all’interno di un contenitore; nel momento in cui il contenitore viene

svuotato, in un qualsiasi stadio, il contenitore stesso e il relativo kanban vengono

consegnati alla fase a monte: questo è il segnale che fa partire la produzione.

Ragionare in logica pull ha anche il vantaggio di poter ridurre la variabilità della

domanda finale; infatti spesso essa è autoindotta dai produttori o distributori che

lanciano campagne di sconti promozionali per liberarsi delle scorte in eccesso ed è

amplificata a causa dei lunghi lead time:

l’applicazione dei principi lean elimina queste problematiche.

Inseguire la perfezione

I primi quattro principi interagiscono tra loro in un circolo virtuoso che porta a

identificare sempre dei possibili miglioramenti, in un processo costante di riduzione

degli sforzi, del tempo, degli spazi, dei costi e degli errori.

Il quinto principio sprona i manager a tendere verso la perfezione: non è sufficiente

ridurre il gap con i competitors, ma puntare al massimo risultato possibile. Questo

concetto può sembrare ambizioso e spavaldo ma la volontà di provarci dà l’ispirazione e

le linee guida essenziali per compiere progressi lungo il cammino.

Le imprese devono utilizzare in modo complementare due approcci: il kaikaku, ossia

miglioramento drastico e il kaizen, ossia miglioramento incrementale continuo.

È importante, inoltre, stabilire una visione , seguire una direzione alla volta in modo

chiaro, enunciare le politiche e fissare delle scadenze temporali per l’ottenimento dei

risultati.

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Soprattutto per l’introduzione di questo principio, è spesso necessaria l’introduzione

nell’impresa di un agente del cambiamento, che vinca l’inerzia organizzativa e cambi i

valori aziendali.

In sintesi il Toyota Production System , e in generale la filosofia lean, si può sintetizzare

graficamente tramite la raffigurazione di una “casa (Figura 4).

Figura 4: la “lean house”

Il tetto simboleggia il macro-obiettivo, cioè ottenere la più alta qualità al più basso

costo e e tramite il più corto lead time possibile. I due pilastri su cui esso si basa sono il

principio del just in time e dello jidoka (built in quality). Le fondamentamenta sono

costituite dal miglioramento continuo (kaizen), dalla standardizzazione del lavoro e dal

livellamento del carico di lavoro (heijunka).

Nel 2004, Jeffrey K. Liker, dopo aver toccato con mano il rivoluzionario Toyota

Production System, (avendo lavorato alla NUMMI, la joint venture tra Toyota e GM),

decide di scrivere un libro intitolato “The Toyota Way: 14 Management Principles From

the World’s Greatest Manufacturer”, in cui approfondisce in maniera sistematica la

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filosofia produttiva Toyota, individuando 14 principi a cui ciascun manager dovrebbe

ispirarsi per migliorare il proprio business:

1. Basa le tue decisioni manageriali su una filosofia di lungo termine, anche a scapito

degli obiettivi finanziari di breve termine

Toyota ribalta la capitalistica concezione per cui se ogni entità nel sistema economico

insegue i propri interessi economici di breve termine, naturalmente l’economia cresce,

la società migliora e l’innovazione prosegue.

Toyota ha una mission che va oltre la profittabilità immediata, e si pone come obiettivo

quello di fare la cosa giusta per l’impresa, per i dipendenti, per i clienti e per la società in

generale.

2. Crea un flusso di processo continuo per portare problemi in superficie

Toyota è convinta che ragionare per flussi migliori la qualità, abbassi i costi e diminuisca

il tempo di consegna; inoltre favorisce l’applicazione di molti strumenti e tecniche lean.

Esiste una metafora che spiega bene la filosofia della produzione snella: “se si abbassa il

livello dell’acqua, una barca che sta navigando incontra gli scogli che sono sul fondale e

a questo punto deve affrontarli e distruggerli se non vuole affondare. L’acqua

rappresenta il livello di scorte e gli scogli i problemi nascosti. Solo abbassando le scorte

si possono individuare i problemi ed eliminarli”. Creare flussi (produttivi o informativi)

abbassa il livello delle scorte ed espone le inefficienze che prima erano coperte.

L’idea è quella di fare in modo che i prodotti fluiscano senza mai fermarsi

(contrariamente ala logica dipartimentale della produzione di massa), in logica “one

piece flow”, eliminando gli sprechi e tutte le attività che non danno valore aggiunto.

Grazie alla logica per flussi migliorano la qualità (un errore viene subito identificato e

corretto al contrario della produzione a lotti), la flessibilità (la messa in produzione di un

nuovo ordine non deve attendere il completamento di un grande lotto di un’altra

tipologia) e la produttività (tutte le attività sono a valore aggiunto), oltre a liberare

spazio, ad abbassare le scorte e a diminuire i tempi di consegna.

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3. Usa sistemi “pull” per evitare la sovrapproduzione

Lavorare in ottica pull significa che nessuno stadio deve produrre fino a quando lo stadio

successivo a valle effettua una richiesta. Nel tradizionale metodo push, invece, ogni

stadio produce in base a uno scheduling derivante da previsioni della domanda e spinge

a valle il proprio output: la conseguenza è la creazione di molte scorte tra le varie fasi e

l’aumento del tempo di attraversamento nel sistema.

Permettendo invece al cliente di “tirare”, la sovrapproduzione viene eliminata.

L’obiettivo a cui tendere è il cosiddetto “one piece flow”, una situazione ideale a “zero

inventory”; se ciò risulta impossibile, la soluzione temporanea è creare dei supermarket

tra gli stadi, con una grandezza degli “scaffali” fissata in modo da tenere al minimo le

scorte e lavorare in ottica di replenisment

ogni qual volta un pezzo viene prelevato, attraverso il sistema kanban.

4. Livella il carico di lavoro

Costruire un puro sistema “built-to-order” causa problemi in quanto la domanda del

cliente finale può variare significativamente da un giorno all’altro, portando il sistema ad

essere sovrautilizzato per un certo periodo e sottoutilizzato per un altro, quindi ad

essere inefficiente.

La soluzione per poter utilizzare un sistema pull è quella di livellare il carico di lavoro

(Heijunka in giapponese), considerando la domanda aggregata dei clienti in un dato

periodo e il suo pattern, cosicché ogni giorno la produzione sia bilanciata in termini di

mix e di volume.

In questo modo non si riduce solo il muda, ma anche le altre due “m”, il muri

(sovraccarico) e il mura (variabilità). La metafora utilizzata da Ohno è la seguente:” è più

desiderabile la lenta ma costante tartaruga rispetto alla lepre che corre velocissima e poi

si ferma occasionalmente per sonnecchiare” (Ohno,1988).

5. Costruisci una cultura che porti a fermare il processo per risolvere problemi, in modo

da ottenere la qualità al primo tentativo

La filosofia Toyota impone di fermare la linea ogni qual volta si riscontra un problema

(ogni operatore ha un pulsante nella sua postazione che gli permette di farlo): in questo

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modo l’errore non si propaga a valle e perciò diventano inutili le fasi di controllo qualità

e di rilavorazione; inoltre, appena la linea viene fermata, il problema viene risolto in

team, identificando le sue cause (famoso il metodo dei 5 perché), in modo che non si

presenti più e che gli operatori imparino e crescano. Nel processo sono poi inseriti

sistemi, tecnologie, strumenti a prova di errore (poka-yoke). In questo modo si

costituisce un vero sistema “built in quality”.

Tutto questo approccio è chiamato Jidoka e può essere tradotto come “automazione

con tocco umano”.

6. I compiti standardizzati sono la base per il miglioramento continuo e l’empowerment

dei dipendenti

In Toyota la standardizzazione dei compiti è fondamentale, ma non viene rigidamente

imposta dall’alto come quella teorizzata da Taylor e applicata da Ford nella produzione

di massa: non limita né ingabbia gli operatori perché è condivisa tra essi e il managent e

può essere modificata dal basso.

Standardizzare è la base del miglioramento continuo, perché solo quando le procedure

sono ripetute e assorbite completamente si possono apportare cambiamenti, altrimenti

si creerebbe solo un modo occasionalmente diverso e spesso ignorato di eseguire

un’attività; standardizzare aiuta anche la creazione di un sistema “built in quality”

perché se le procedura è seguita sempre correttamente e un errore compare, allora lo

standard va modificato perché imperfetto.

Conseguenza positiva di questo approccio è la crescita dei dipendenti.

7. Utilizza il “controllo visivo” cosicché nessun problema rimanga nascosto

Per Toyota è fondamentale che chiunque entri in fabbrica in un qualsiasi momento,

capisca immediatamente lo stato del sistema e individui subito eventuali problemi.

Per ottenere questo tipo di controllo visivo, è nata la metodologia delle “5s”:

Seiri - separare: separa ciò che ti serve da ciò che non è funzionale all'attività e quindi

crea disturbo e disordine, quindi spreco di tempo o di risorse

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Seiton - riordinare: metti a posto tutto quello che è utile, il vecchio motto "ogni cosa al

suo posto e un posto per ogni cosa".

Seiso - pulire: tieni tale ordine costante e pulisci, un ambiente pulito ed ordinato è un

ambiente che "non nasconde" le inefficienze.

Seiketsu - sistematizzare o standardizzare: definisci delle metodologie ripetitive e

canonizzate da utilizzare per continuare queste attività di razionalizzazione delle risorse

e degli spazi lavorativi;

Shitsuke - diffondere o sostenere: fai che questo modo di pensare ed agire sia pervasivo

per tutte le attività aziendali.

Questa metodologia crea un atteggiamento aziendale di miglioramento continuo, in

modo che ogni giorno sia un giorno per il miglioramento e per scoprire altri muda ed

eliminarli.

8. Usa solo tecnologie affidabili e perfettamente testate che supportino il personale e i

processi

Prima di adottare entusiasticamente e incondizionatamente una nuova tecnologia,

Toyota si assicura che crei effettivamente valore aggiunto, che supporti le persone e i

processi e che sia coerente con la filosofia e i principi lean; se dopo aver sperimentato,

la tecnologia non rispetta queste condizioni, viene scartata o accantonata fino a quando

il problema non è risolto.

9. Cresci leader che capiscano perfettamente il lavoro, mettano in pratica la filosofia e la

insegnino agli altri

I leader dell’azienda non vanno ricercati esternamente, ma creati all’interno, in modo

che il top management abbia la cultura e i valori aziendali insiti dentro di sé, abbia

vissuto giorno per giorno la filosofia dell’impresa, conosca il modo di lavorare fino al

livello più operativo.

I leader devono a loro volta trasmettere questi valori ai propri dipendenti con un

approccio partecipativo e “bottom-up”.

10. Sviluppa persone e team eccezionali che seguano la filosofia della tua azienda

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La persona è al centro della filosofia Toyota e pertanto deve essere rispettata e istruita,

è l’individuo che crea valore aggiunto. Per sviluppare team eccezionali servono non solo

persone di valore, ma anche tempo e sforzi sul campo da parte dei team leader per

diffondere all’interno del gruppo la filosofia aziendale.

11. Rispetta il tuo network di partner e fornitori, sfidandoli e aiutandoli a migliorare

Una volta che si è trovato un partner affidabile, il suggerimento è di instaurare con

quest’ultimo una relazione di lungo termine basata su rispetto e fiducia reciproche, con

l’obiettivo di crescere e migliorare insieme. Toyota rifiuta il tradizionale rapporto

conflittuale tra partner, fondata sul breve periodo e sulla volontà di strappare utili alla

controparte.

Al contrario, Toyota crea con i propri fornitori e clienti una comunità, aiutandoli

finanziariamente (attraverso partecipazioni azionarie), operativamente (attraverso

prestiti di risorse e capacità produttiva) e insegnando loro i principi del TPS (consapevole

che è necessario che tutta la supply chain adotti tale tecniche). Ovviamente Toyota si

aspetta che i suoi partner la ripaghino con prestazioni eccellenti e li sfida continuamente

affinché migliorino.

12. Vai e osserva personalmente per comprendere completamente la situazione

L’idea alla base di questo principio è che, per comprendere a pieno un problema o in

generale la natura di una situazione, è necessario recarsi personalmente sul campo e

osservare con i propri occhi: un concetto che in giapponese è conosciuto come genchi

genbutsu.

Dati, tabelle, statistiche sono solo degli indicatori che, senza l’osservazione diretta, non

permettono di capire a fondo la situazione.

È importante che anche i dirigenti di alto livello si “sporchino le mani”.

13. Prendi decisioni lentamente con consenso e valutando tutte le opzioni; poi

implementa rapidamente

In Toyota i processi di pianificazione e decision making vengono affrontati lentamente e

pazientemente, con una grande attenzione ai dettagli. Vengono coinvolte fin da subito

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tutte le parti interessate (non solo dipendenti e funzioni interne ma anche partner

esterni), alle quali viene chiesto di fornire idee, input e considerazioni; vengono valutate

tutte le opzioni alternative e la decisione viene presa nel momento in cui c’è il consenso

di tutte le persone coinvolte. A questo punto l’implementazione deve essere veloce. Il

metodo decisionale appena descritto è chiamato nemawashi.

Si potrebbe pensare che questo impiego di tempo e sforzi in fase di pianificazione porti a

un ritardo complessivo del processo ma in realtà evita l’incorrere di problemi inaspettati

nel momento dell’implementazione. Inoltre in questo modo si favoriscono la

comunicazione e l’apprendimento in tutta l’azienda e risulta più facile superare le

resistenze al cambiamento.

14. Diventa una learning organization attraverso la riflessione e il miglioramento continuo

Il focus di questo principio è l’apprendimento, un processo che deve pervadere tutta

l’organizzazione e garantire la condivisione della conoscenza a tutti i livelli.

Per diventare una learning organization è necessario il miglioramento continuo (kaizen),

a sua volta alimentato dal concetto di auto-riflessione (hansei). Per hansei si intende un

‘attitudine mentale che porta ogni dipendente a fare autocritica, identificare i propri

errori e le proprie debolezze, cercare le cause e trovare soluzioni per migliorare: gli

errori sono visti come opportunità per apprendere e per perfezionare i processi.

In un tipico processo di “problem solving” in Toyota, una volta che è stata analizzata la

situazione, sono state identificate le cause prime dei problemi (famoso il metodo dei “5

perché”), sono state prese le giuste contromisure e il processo è stato standardizzato, si

può pensare di migliorarlo. Questo va fatto continuamente, con l’obiettivo di

raggiungere la perfezione.

3.4 Il sistema kanban

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Kanban è un termine giapponese che significa “cartellino” o “segnale”. Il sistema kanban

è una delle tecniche più importanti e più famose del TPS e della lean production in

generale.

L’idea alla base del sistema è che i processi a monte producano solo i pezzi per

rimpiazzare quelli che i processi a valle hanno richiesto, secondo l’approccio just in time

(la giusta parte nel giusto posto e nel giusto momento) e la logica pull, per la quale il

flusso deve essere “tirato” dal cliente a valle.

Il segnale informativo che mette in moto il processo e collega armonicamente tutte le

fasi è proprio il kanban, che può presentarsi sotto diverse forme, dal tradizionale

cartellino fisico al segnale informatizzato. Esso riporta informazioni quali il codice del

componente utilizzato, il fornitore di quel componente, il cliente che lo richiede, il

tempo a disposizione per il ripristino, la quantità da ripristinare e altre informazioni

personalizzate.

Nell’applicazione originale esistono due tipologie di kanban: quello di movimentazione

che serve a spostare il materiale verso il processo produttivo successivo e quello di

produzione che autorizza il processo a monte a produrre un componente necessario per

una fase a valle (Figura 5). Esistono anche sistemi che utilizzano un solo cartellino,

soprattutto nel caso in cui la distanza tra due stadi consecutivi è ridotta.

Considerando una situazione con due processi sequenziali, il funzionamento tipico di un

sistema kanban a due cartellini è il seguente: quando lo stadio a valle necessita di

produrre per soddisfare una richiesta, preleva dal buffer (supermarket) in entrata un

contenitore di materiale e, uno volta esaurito, lo spedisce vuoto al fornitore , inviando al

contempo nell’apposita rastrelliera il kanban di movimentazione precedentemente

staccato dal contenitore. Questo è il segnale che ordina allo stadio a monte di inviare a

valle un contenitore pieno, il cui kanban di produzione viene staccato e inserito nelle

rastrelliera di produzione. A questo punto la presenza del kanban di produzione ordina

allo stadio a monte di prelevare un contenitore di materiale dal proprio supermarket in

ingresso e avviarne la produzione. Una volta prodotti, i pezzi vengono inseriti in un

contenitore contrassegnato tramite un kanban di produzione prelevato dalla relativa

rastrelliera e inviati all’area in uscita, in attesa di essere prelevati.

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Il kanban può riferirsi non solo a un contenitore, ma anche al singolo componente e il

trigger del processo di rispristino può essere la presenza sulla rastrelliera di un solo

kanban, di un numero superiore a una certa soglia o può dipendere da un intervallo di

tempo fissato.

Figura 5: Rappresentazione di un sistema kanban a due cartellini

In ogni caso tramite l’adozione di questa modalità produttiva si elimina la

sovrapproduzione, il livello di wip viene fissato e limitato, i processi sono coordinati e

integrati, diminuiscono i lead times, aumenta la flessibilità e si evita il ricorso a costosi,

sofisticati e comunque imperfetti sistemi di programmazione della produzione (ad

esempio MRP).

È doveroso sottolineare che il sistema kanban presuppone la presenza dei supermarket,

cioè di buffer di sorte, che rappresentano uno spreco per la filosofia lean: la situazione

ideale è quella in cui il sistema riesce a funzionare con un solo kanban, quindi a flusso

continuo (one piece flow).

L’applicazione del meccanismo kanban viene utilizzato non solo tra fasi produttive della

stessa impresa, ma anche per coordinare e controllare il flusso di materiali tra

organizzazioni diverse facenti parte della stessa supply chain

3.4.1 Le varianti del sistema kanban

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Il sistema kanban è stato sviluppato in Toyota negli anni ’60, coerentemente con le

caratteristiche e i bisogni dell’impresa specifica e dell’ambiente competitivo del tempo.

Tali condizioni non sono le stesse di tutte le organizzazioni e soprattutto dell’attuale

scenario di business. In particolare il sistema così come è stato pensato è inadeguato in

casi di domande volatile, instabilità nei tempi di processo, operazioni non

standardizzate, lunghi tempi di set-up e alta varietà di prodotti. Per questo motivo sono

state pensate da ricercatori e professionisti diverse varianti della metodologia originale.

Muris e Moacir (Muris, Moacir,2010) hanno effettuato un’analisi della letteratura

individuando 32 varianti del sistema kanban, classificate in base al numero e al tipo di

caratteristiche del sistema originale mantenute nei sistemi adattati, in particolare:

Utilizzo di due tipologie di kanban, quello di movimentazione e quello di produzione; a

questa caratteristica è associato il codice “US”;

Logica pull; a questa caratteristica è associata il codice “PP”;

Controllo decentralizzato, cioè controllo visivo effettuato dagli operatori di ogni stadio; a

questa caratteristica è associato il codice “DC”;

WIP limitato in ogni stazione, quindi buffer di capacità finita, in base al numero di

segnali; a questa caratteristica è associato il codice “LI”.

Questo criterio porta a identificare i sistemi kanban adattati in base a quante

caratteristiche mantengono rispetto all’originale (da 0 a 3), specificandole ( US,

PP,DC,LI). La tabella1 riporta la suddetta classificazione.

Anno Nome variante Caratteristiche

- E-kanban 3(PP, DC,LI)

- Simultaneous kanban Control System (SKCS) 3(PP, DC,LI)

- Independent kanban Control System (IKCS) 3(PP, DC,LI)

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1985 Periodic Pull System (PPS) 3(DC, LI,US)

1987 Dynamically Adjusting kanban 3(PP, DC,LI)

1988 Regenerative Pull Control System (RPCS) 3(PP, LI,US)

1988 Job-Shop kanban 3(PP, DC,LI)

1988 Minimal Blocking 3(DC, LI,US)

1989 Generalized kanban Control System (GKCS) 3(PP, DC,LI)

1989 Modified kanban System (MKS) 3(DC, LI,US)

1990 Auto-Adaptive kanban 3(PP, DC,LI)

1993 Concurrent Ordering System 3(DC, LI,US)

1996 Modified Concurrent Ordering System 3(DC, LI,US)

1994 Generic kanban System (GKS) 3(PP, DC,LI)

1997 Flexible kanban System (FKS) 3(PP, DC,US)

1998 Push-Pull Approach (PPA) 3(DC, LI,US)

1998 Decentralized Reactive kanban (DRK) 3(PP, DC,US)

2000 Extended kanban Control System (EKCS) 3(PP, DC,LI)

2000

Simultaneous Extended kanban Control System

(SEKCS)

3(PP, DC,LI)

2000

Independent Extended kanban Control System

(IEKCS)

3(PP, DC,LI)

2001 Adaptive kanban 3(PP, DC,LI)

2003 Reconfigurable kanban System (RKS) 3(PP, DC,US)

2003 Inventory Based System

3(DC, LI,US)

1988 Fake Pull Control System (FPCS) 0

1991 Hybrid Push/Pull 2(PP, LI)

1997 Bar-Coding kanban 1(LI)

1998 CPM kanban System 1(PP)

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1999 MRP/ sfx-Shop Floor Extension 1(LI)

2000 Virtual kanban (VK) 2(LI, US)

2001 Customized Type 5 2(DC, LI)

2001 Customized Type 10 2(DC, LI)

2002 Gated Max WIP 1(LI)

Tabella 1:Classificazione dei sistemi Kanban (Adatt. da Muris L., Moacir G. 2010)

Gli autori classificano le varianti identificate anche secondo altri criteri come vantaggi,

svantaggi e differenze operative rispetto al sistema kanban tradizionale, che in questo

contesto non riportiamo.

È invece utile fare una breve panoramica sui vari adattamenti individuati da Muris e

Moacir. Gli autori identificano quali sono le varianti che seguono più fedelmente il

sistema originale, descritte brevemente di seguito:

Adaptive kanban, proposto da Tardif e Maaseidvaag (2001) è stato sviluppato come

lieve alternativa al sistema originale in ambienti con domanda instabile; questo sistema

determina quando e come i segnali dovrebbero essere rilasciati in funzione del livello di

scorte e degli ordini in arrivo.

Auto-adaptive kanban, proposto da Chaudhury e Whinston (1990), ha una struttura

simile al sistema kanban tradizionale ma è auto-aggiustabile in base alle condizioni dei

prodotti e della domanda, grazie a tecnologie come il Computer Aided Manufacturing

(CAM) e il Computer Integrated Manufac turing (CIM).

Concurrent ordering system è stato sviluppato da Izumi e Takahashi (1993); la sua

peculiarità è che il rilascio degli ordini di produzione e movimentazione in ogni stadio

avviene simultaneamente una volta che è stata soddisfatta la domanda finale con le

scorte di prodotto finito. In questo modo si evitano interruzioni di trasferimento ordini

in caso di mancanza di scorte tra gli stadi.

Decentralized Reactive kanban (DRK), sviluppato da Takahashi and Nakamura (1999),

punta a controllare le scorte di ogni stadio indipendentemente, con lo scopo di

abbassare il livello di wip e il tempo necessario a completare un ordine.

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Dynamically adjusting kanban, proposto da Rees et al. (1987), adotta un adattamento

dinamico nel numero di segnali, fattore importante in ambienti poco stabili.

E-kanban sostituisce sempicemente il segnale fisico con uno elettronico, utile

soprattutto quando il flusso produttivo da controllare e coordinare comprende più

organizzazioni.

Extended kanban Control System (EKCS), proposto da Dallery e Liberopoulos (2000),

cerca di bilanciare basso livello di wip e reattività, dividendo la domanda di prodotti finiti

in tutti gli stadi e trasferendola immediatamente ai rispettivi processi.

Flexible kanban System (FKS), sviluppato da Gupta e Al-Turki (1997), usa un algoritmo

per manipulare dinamicamente i numeri di segnali per compensare il bloccaggio dovuto

a incertezza di domanda e di tempo di processo.

Generalized kanban Control System (GKCS) è stato proposto da Buzacott (1989) e

Zipkin (1989). La differenza maggiore è che i segnali e gli ordini sono gestiti

separatamente.

Generic kanban System (GKS) creato nel 1994 da Chang e Yih (1994a) per utilizzare

isstemi JIT in ambienti produttivi non-ripetitivi. I segnali sono appunto generici, non

riferiti a un particolare componente.

Inventory based system, proposto da Takahashi (2003), è un’alternativa per ambienti

instabili in cui il livello di scorte è monitorato per individuare fluttuazioni e quindi

cambiare il numero di segnali.

Job-shop kanban adatta il sistema kanban a un contesto job-shop (bassi volumi e alta

varietà): i segnali non sono associati a un prodotto ma a un’operazione che può essere

svolta con diverse macchine.

Minimal blocking, proposto da So and Pinault (1988), punta a stimare una quantità

massima di buffer per compensare le variazioni di tempo di processo, i fermi macchina e

le fluttuazioni della domanda per garantire un adeguato livello di servizio

Modified concurrent ordering system, è stato sviluppato in 1996 da Takahashi,

Nakamura and Ohashi. Rispetto al concurrent ordering system esplicato

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precedentemente, i rilasci degli ordini non dipendono dalla scorte presenti allo stadio

finale, ma solo dalla domanda finale.

Modified kanban System (MKS) divide le operations in gruppi e crea un limite di wip per

ognuno di essi grazie all’uso di segnali.

Periodic Pull System (PPS) è stato sviluppato come modello teorico da Kim (1985) e,

nonostante il nome, ha delle caratteristiche di un sistema push. Inoltre propone l’uso di

sistemi computerizzati per ridurre il tempo di processamento dell’informazione.

Push–Pull Approach (PPA), proposto da Huang e Kusiak (1998), è il risultato dello sforzo

di inserire il sistema kanban in sistemi produttivi molto diversi. Può avere configurazioni

molto diverse e risulta efficace in ambienti complessi e variabili.

Reconfigurable kanban System (RKS), sviluppato da Mohanty et al. (2003), punta ad

abbassare il livello di scorte aumentando la reattività, riconfigurando il numero totale di

kanban in base alla differenza tra la domanda e il ritmo produttivo per ogni item.

Regenerative Pull Control System (RPCS), proposta da Seidmann (1988), è un

sistema automatizzato che controlla il livello di wip in un’ambiente produttivo a celle.

Simultaneous Extended kanban Control System (SEKCS) e Independent Extended

kanban Control System (IEKCS), sviluppati da Chaouiya et al. (2000), sono una

generalizzazione del sistema EKCS. La differenza tra i due sta nell’istante in cui le parti

sono trasferite all’assemblaggio: nel primo il trasferimento avviene quando l’operazione

può iniziare, nel secondo ogni qual volta il segnale è disponibile.

Le varianti che, a parere di Muris e Moacir, non seguono la logica del sistema kanban

originale sono velocemente riportate di seguito:

Bar-coding kanban è stato proposto da Landry et al. (1997). Questo sistema utilizza

contemporaneamente il sistema MRP (material requirement planning) e cartellini basati

sulla tecnologiabarcode. L’unica caratteristica mantenuta rispetto al sistema kanban è il

livello limitato di WIP durante ogni periodo.

CPM kanban System, presentato da Abdul-Nour et al. (1998), è un approccio volto a

implementare il JIT in piccole organizzazioni produttive. CPM sta per Critical Path

Method, il sistema kanban è usato tra lo stadio produttivo e l’assemblaggio finale.

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Customized Type 5 and Customized Type 10 systems sono un importante contributo di

Gaury, Kleijnen, and Pierreva (Gaury et al.,2001) volto a customizzare i sistemi pull

attraverso un metodo che riprende alcune delle caratteristiche dei sistemi kanban.

Fake Pull Control System (FPCS) è un sistema kanban che permette l’adozione della

logica push quando le classiche condizioni per l’utilizzo dei kanban non sono

appropriate.

Gated MaxWIP è una variazione del sistema kanban che blocca il flusso di materiali una

volta che il WIP raggiunge un certo livello. Tutti gli stadi sono gestiti push a parte il primo

(Gate) che lavorando in ottica pull può bloccare l’entrata di materiale nel sistema

produttivo.

Hybrid push/pull è stato sviluppato da Hodgson and Wang (1991a, b). Questo sistema

è basato sull’integrazione di strategie pull e push.

MRP/sfx-Shop Floor Extension, proposto da Nagendra and Das (1999), integra il

sistema kanban per l’esecuzione nello shop floor e il sistema MRP per la pianificazione

delle attività.

Virtual kanban (VK) è un adattameno proposto da Takeda et al. (2000) che può essere

applicato a un sistema multi-stage con prodotti molto personalizzati. La caratteristica

peculiare è il trasferimento di segnali nei processi a monte che rappresentano il collo di

bottiglia del processo. Quando avviene un fermo macchina o mancanza di materiali,

nessun segnale viene inviato.

Tra i 32 adattamenti analizzati, il 72% segue la logica del sistema originale, di cui solo il

26% è stato implementato in un reale sistema produttivo mentre la rimanente parte è

stata sviluppata tramite modelli matematici e simulazioni; le varianti che non seguono la

logica originale sono in minor numero, ma di questi una percentuale maggiore ha

implicazioni pratiche: questo significa che mantenere fedelmente le caratteristiche del

sistema kanban in sistemi complessi è molto difficoltoso.

I sistemi PPS, RPCS, job-shop kanban, MKS, auto-adaptive kanban, MRP/sfx, and VK sono

quelli che hanno dimostrato essere maggiormente efficaci negli maggior parte degli

attuali ambienti competitivi, caratterizzati da domanda instabile, variabilità dei tempi di

processo, complesso flusso di materiali e grande varietà di prodotti.

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3.4.2 Numero e dimensionamento dei kanban

I ricercatori hanno svolto numerosi studi con l’obiettivo di valutare le performance

dell’impresa o della supply chain in seguito all’introduzione del sistema kanban, in

relazione a diversi fattori influenti o in comparazione con altre metodologie di controllo

e pianificazione.

La maggior parte degli studi sono relativi al numero di kanban da utilizzare. Molti autori

concordano con la formula proposta da Toyota:

dove è il numero di kanban, è la domanda media giornaliera, è il

tempo di attesa, è il tempo di processo per contenitore, è il fattore di sicurezza e

è la dimensione del contenitore.

Altri invece hanno sviluppato modelli matematici e di simulazione con lo scopo di

individuare il numero e il dimensionamento ottimali dei kanban o l’impatto di una loro

variazione sulle performance del sistema.

Berkley (Berkley,1996) ha sviluppato un modello di simulazione per identificare il

numero minimo di kanban in un sistema che lavora a due cartellini: il valore ottimo è in

funzione del trade-off tra il costo di movimentazione del materiale e il beneficio della

riduzione del WIP.

Yavuz e Satir (Yavuz, Satir,1995) hanno dimostrato che, al diminuire del

dimensionamento dei kanban (cioè il numero di pezzi per contenitore) le performance

migliorano in termini di livello di scorte e di tempo di attraversamento ma peggiorano in

termini di fill rate (percentuale di domanda soddisfatta).

Ohno et al. (Ohno, Nakashima, Kojima,1995) hanno mostrato il valore di kanban che

permettono diraggiungere il costo medio più basso bilanciando i costi di ordine e i

backlogg.

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Wang e Sarker (Wang , Sarker,2004) hanno creato, per una supply chain multi-stadio, un

modello di programmazione non lineare mista-intera, la cui funzione obiettivo è la

somma dei costi di materie prime, work in process e prodotti finiti, e le cui variabili

decisionali sono il numero di kanban, la loro dimensione e la quantità prodotta in un

periodo. La soluzione è ottenuta attraverso l’algoritmo Branch and Bound (B&B).

Rabbani et al. (Rabbani, Layegh, Ebrahim,2008) riprendono il modello creato da Wang e

Sarker e lo risolvono grazie a un algoritmo euristico, l’algoritmo memetico, che ha il

vantaggio di impiegare molto meno tempo computazionale rispetto al B&B garantendo

una soluzione molto vicina a quella ottima.

Chan (Chan,1999) ha effettuato uno studio di simulazione per valutare l’impatto del

dimensionamento dei kanban, cioè il numero di pezzi nel contenitore a cui è associato

un kanban, in tre diverse situazioni: sistema pull mono-prodotto, sistema ibrido mono-

prodotto e sistema ibrido multi prodotto. Nel sistema ibrido la domanda allo stadio

finale attiva la produzione di quello iniziale, ma da questo punto il flusso di materiali è

gestito in ottica push. Le misure di performance analizzate sono il manufacturing lead

time (tempo intercorrente tra l’ordine del cliente e il suo completamento), il fill rate

(percentuale di domanda soddisfatta) e l’in-process inventory (numero totale di WIP).

Per quanto riguarda la situazione pull mono-prodotto, l’autore scopre che all’aumentare

della dimensione dei kanban, il fill rate diminuisce (il tempo di processo aumenta nel

produrre un lotto più grande e quindi è più probabile che non venga completato),

aumenta l’inventory (un lotto più grande porta ad avere più WIP nel sistema) ed

aumenta di conseguenza il lead time.

Nella situazione ibrida mono-prodotto si ottengono andamenti uguali al caso pull, anche

se le performance sono peggiori.

Nell’ultimo caso entrano in gioco i tempi di set-up; all’aumentare della dimensione dei

kanban il fill rate aumenta con un andamento a saturazione (all’aumentare del lotto il

tempo di set-up diventa sempre meno influente e aumenta il tempo attivo di

produzione), l’inventory aumenta e il lead time diminuisce (meno tempo è sprecato per

effetture set-up).

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Da queste considerazioni si può individuare, via simulazione, il dimensionamento

ottimale dei kanban.

Hou e Hu (Hou,Hu,2010) identificano il numero e la dimensione ottimali di kanban in un

sistema JIT. Gli autori partono del presupposto che il numero di kanban, cioè il livello di

WIP, e la dimensione degli stessi, cioè il numero di pezzi per contenitore, sono due

parametri che influenzano fortemente le performance del sistema. Inoltre, essendoci un

trade-off tra i due (all’aumentare del primo diminuisce il secondo), essi vanno

identificati simultaneamente.

Innanzitutto gli autori trovano, tramite simulazione, la relazione lineare tra il numero (k)

e la dimensione dei kanban (B) e due misure di performance: il throughput rate (TR) ,

cioè il rapporto tra i pezzi finiti e il tempo totale di produzione, e il work in process

(WIP).

Ognuna di queste due misure è quindi in funzione di k e B.

La soluzione identificata è quella di utilizzare un algoritmo genetico multi-obiettivo

(MOGA) in quanto quello proposto è un problema multi-obiettivo in cui il TR va

massimizzato e il WIP minimizzato.

I “cromosomi” iniziali dell’algoritmo sono creati generando casualmente valori di k e B,

che producono a loro volta diversi valori di performance TR e WIP. Sulle soluzioni che

danno risultati migliori (in particolare sfruttando l’equazione di Pareto per trovare le

soluzioni non-dominate) vengono effettuate operazioni di “mutazione” e “cross-over”,

modificando i valori iniziali di k e B e generando “cromosomi” figli ancora più

performanti. Iterando l’algoritmo per un numero di volte sufficiente si trovano i valori di

k e B ottimali.

3.4.3 Approcci alternativi di PPC

il sistema kanban è solo uno dei tanti approcci di controllo e pianificazione della

produzione (PPC) esistenti. Le principali funzioni di un sistema PPC includono la

pianificazione della richiesta di materiali, la gestione della domanda, la pianificazione

della capacità e l’identificazione della sequenza produttiva. Gli obiettivi di questi sistemi

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sono la riduzione del WIP, la minimizzazione del throughput time (tempo di

attraversamento), l’aumento di flessibilità e reattività ai cambiamenti nella domanda e

l’accorciamento dei tempi di consegna.

Molti studi sono stati effettuati per valutare le performance del sistema comparando i

diversi approcci di PPC, i principali dei quali sono descritti di seguito:

Material requirement planning (MRP). I sistemi MRP e la loro evoluzione MRP 2

(manufacturing resource planning) sono approcci opposti al sistema kanban in quanto

lavorano in ottica push e non pull. La pianificazione della produzione è effettuata

tramite previsioni di domanda e la conseguente esplosione della BOL (bill of materials),

con lo scopo di diminuire le scorte e migliorare il livello di servizio per il cliente. Tuttavia

il sistema MRP non è esente da forti problematiche: i piani di produzione non sono

sempre fattibili; la forzata ipotesi di lead times fissi porta alla produzione anticipata di

molti prodotti, con conseguente creazione di WIP; errori nella previsione della domanda

rende molto inefficiente il sistema.

Il metodo kanban, d’altro canto, ha dimostrato di portare notevoli benefici ma non è

applicabile in situazioni di forte instabilità della domanda, alta varietà di prodotti e

gamma particolarmente customizzata: in questi casi comporta aumento di WIP e

inefficienze generali.

Krishnamurthy et al.( Krishnamurthy, Suri, Vernon,2004) hanno dimostrato la

superiorità del metodo MRP rispetto al kanban in un sistema multi-stadio e multi-

prodotto sotto alcune condizioni di product mix;

Theory of constraints (TOC). La teoria dei vincoli è stata proposta da Eliyau Goldratt nei

suoi famosi libri “The goal”, “The theory of constraints” e “Critical Chain”. Si tratta

essenzialmente di una filosofia e di un insieme di tecniche che partono dal presupposto

che in qualsiasi sistema/organizzazione esistono pochi fattori significanti che ostacolano

il raggiungimento dell’obiettivo, cioè dei vincoli. Sui vincoli va posta particolare

attenzione.

Nel mondo della produzione il vincolo molto spesso è costituito da un macchinario che

rappresenta il collo di bottiglia del sistema. Le performance del sistema complessivo

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dipendono dalle performance del collo di bottiglia, così come la resistenza di una catena

è dettata dalla resistenza dell’anello più debole. Il focus va quindi posto sull’anello

debole perché migliorare gli anelli forti non porta alcun vantaggio al sistema, anzi lo

deteriora: accrescere la produttività di una macchina che non rappresenta un vincolo

non migliora il sistema.

La teoria dei vincoli propone 5 punti:

1. Identificare il vincolo del sistema;

2. Decidere come sfruttare il vincolo: fare in modo che il vincolo sia sempre

occupato, minimizzare i tempi di attesa per il vincolo, eliminare gli sprechi,

assicurarsi che il vincolo lavori sempre sulle massime priorità;

3. Subordinare tutte le decisioni al vincolo: la fase a monte deve lavorare per

garantirgli sempre lavoro creando un piccolo buffer in ingresso ma senza

aumentare troppo il WIP , quella a valle non deve sprecare nulla di ciò che il

vincolo produce, le due fasi non devono lavorare troppo velocemente o troppo

lentamente, ma al ritmo del vincolo;

4. “Elevare” il vincolo: migliorare il vincolo, ad esempio accrescendone la capacità

produttiva

5. Ripetere il procedimento: se il vincolo è stato eliminato, trovarne un altro, in un

ottica di miglioramento continuo.

La tecnica di PPC utilizzata dalla TOC in ambito produttivo è chiamata drum-buffer-rope,

dove il drum è il vincolo in quanto decide il ritmo del sistema, il buffer è il corretto livello

di WIP in entrata al vincolo per saturarne la capacità e i ropes sono le corde a monte e a

valle del vincolo che decidono rispettivamente quando ordinare le materie prime e

quando far lavorare il vincolo per soddisfare la richiesta di mercato.

La TOC è vista da molti studiosi come complementare alla lean production e

particolarmente applicabile in sistemi produttivi job-shop;

Constant work in process (CONWIP). Il CONWIP è essenzialmente una forma

generalizzata del sistema kanban in quanto si basa sul rilascio di segnali per autorizzare

la produzione. Ma mentre nel sistema kanban ogni cartellino è associato a una specifica

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parte, nel CONWIP è associato a un qualunque job da lavorare, di quantità fissata. I

cartellini vengono associati a un job specifico all’inizio della linea; quando il lotto esce

dal sistema, il relativo cartellino viene staccato e successivamente associato al job più

urgente presente in una coda di backlog. In pratica il rilascio del cartellino assicura che la

capacità del sistema è disponibile. A questo punto il lotto viene gestito in ottica push

fino al termine della linea. La gestione della sequenza di backlog è responsabilità del

processo di pianificazione della produzione, non è automatizzata come nel sistema

kanban.

Il numero di cartellini identifica il massimo livello di WIP nel sistema, in ottica di

bilanciamento del flusso e riduzione dei lead times.

Spearman et al. (Spearman, Woodruff, Hopp,1990) asseriscono che il CONWIP offre

prestazioni migliori rispetto al sistema kanban, in quanto è applicabile a un maggior

numero di ambienti produttivi: nel caso in cui la gamma sia molto alta, il sistema kanban

necessita di cartellini specifici per ogni parte, con conseguente aumento del WIP; in

impianti con tempi di set-up ingenti, il sistema kanban non può funzionare, mentre il

CONWIP gestisce i set-up tramite la pianificazione della sequenza di backlog; infine il

CONWIP garantisce un throughput maggiore perché satura maggiormente il collo di

bottiglia del sistema.

Anche Pettersen (Pettersen, Segerstedt,2008) dimostrano tramite simulazione un

miglioramento di performance rispetto al sistema kanban, in termini di livello di WIP e di

throughput rate, ma individuano anche la difficoltà di settare i parametri per il sistema

CONWIP.

Takahashi et al. (Takahashi, Myreshka, Hirotani,2005) effettuano una comparazione tra

kanban e due sistemi CONWIP (quello originale e quello sincronizzato) mostrando la

generale superiorità del CONWIP, dipendente tuttavia dalle caratteristiche della supply

chain;

Paired-cell overlapping loops of cards with authorization (POLCA). Questo sistema di

controllo è stato creato per sopperire alle già citate difficoltà del sistema di kanban

nell’essere applicabile in contesti non ripetitivi e caratterizzati da alta variabilità.

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Esso regola il rilascio degli ordini nel floor shop e il loro progesso produttivo all’interno

di sistemi manufatturieri a cella. Gli obiettivi del POLCA sono accelerare il trasferimento

dei job tra le celle e bilanciare il flusso produttivo per evitare congestione e migliorare il

tempo di attraversamento del sistema. Il progresso degli ordini nel sistema è autorizzato

da segnali visuali, essenzialmente cartellini (chiamati anch’essi POLCA) che non sono

associati a un prodotto (come i kanban) o a un job (come il CONWIP) ma al percorso di

ogni ordine all’interno del sistema.

Ad esempio se un prodotto deve visitare le celle A,B e C, per essere ammesso nella

prima cella deve avere attaccato un POLCA relativo al percorso tra le celle A e B,

garantendo così che la capacità è disponibile; se il cartellino non è disponibile, il

prodotto rimane in attesa in coda. Una volta completata l’operazione nella cella A, per

entrare nella cella B deve essere disponibile il POLCA relativo al percorso B e C.

Le appropriate decisioni di routing, di rilascio, del numero di cartellini e di loops sono

fondamentali per rendere l’approccio POLCA efficace.

3.5 Lean supply chain

3.5.1 LSCM framework

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L’impatto benefico dell’introduzione della filosofia lean ha indotto le organizzazioni ad

applicare tali tecniche e metodologie al di fuori dei propri confini, coinvolgendo tutta la

supply chain.

Secondo Anand e Kodali (Anand,Kodali,2008) l’adattamento dei principi lean dal

manufacturing al supply chain management non è un processo semplice: i processi

manifatturieri si focalizzano sul flusso di materiali più che di informazioni (elemento

chiave nel SCM) ed è più semplice individuare ed eliminare gli sprechi materiali rispetto

a quelli informativi; in una singola organizzazione i processi sono controllati dai

dipendenti e dal top management dell’impresa stessa, mentre in una supply chain è

necessaria l’attenzione e il commitment di tutti i partner.

Jasti e Kodali (Jasti, Kodali,2015) hanno effettuato una literature review su 30

framework riguardanti il lean supply chain management (LSCM). Una volta compreso

che ogni framework esistente fosse focalizzato su un particolare caso di studio e quindi

che nessuno fosse generalizzabile, gli autori hanno deciso di colmare il gap creando un

nuovo framework ,tramite un team di professionisti, consulenti e accademici, che

racchiudesse gli elementi più citati in letteratura, fosse completo e descrivesse la

metodologia di applicazione dei principi.

Il framework da loro proposto è costituito da 87 elementi racchiusi in 8 pilastri, riportati

nella tabella sottostente (Tabella 3). Il framework concettuale è proposto in Figura 6.

PILASTRI ELEMENTI

Information Technology Management

Use of EDI to communicate between departments Centralised database for documentation Enterprise resource planning system Information technology employed at customer base Effective and transparency information flow throughout supply chain Use of bar coding and scanner in logistics systems Electronic commerce Modelling analysis and simulation tools Computer-aided decision-making supporting systems

Supplier Management Strategic supplier development Supplier evaluation and certification Long-term supplier partnership Supplier involvement in design Supplier feedback Supplier proximity Single source and reliable suppliers or few suppliers Cost-based negotiation with suppliers

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Manage suppliers with commodity teams Joint decisions towards cost savings

Elimination of waste Standard products and processes Standard containers Focused factory production Design for manufacturing Flexible manufacturing cells or U-shape manufacturing cells Visual control Single minute exchange of die Andon 5S Point of use tool system Seven wastes throughout supply chain

JIT production JIT deliveries throughout supply chain Single piece flow Pull production Kanban Production levelling and scheduling Synchronised operational flow Plant layout Point of usage storage system Pacemaker Small lot size

Customer relationship management

Specification of value in terms customer point view Post sales service to customer Customer involvement in design Continuous evaluation of customers feedback Customer enrichment Concurrent engineering Group Technology Delivery performance improvement Takt time Quality function deployment Failure mode and effect analysis

Logistics management Time windows delivery requirements or tight time windows Effective logistics network design Consultants as logistics managers Consignment inventory or vendor managed inventory Advance material requirement planning and scheduling structure Use of third party logistics for transportation system Milk run or circuit delivery Master the demand forecasting process Postponement A, B, C material handling Elimination of buffer stocks

Top management commitment

Create vision and objective to lean supply chain Employee training and education in LSCM Organisation structure and associated relationships Cross-enterprise collaborative relationships and trust Joint planning of processes and products with suppliers Resources allocation Develop learning culture specific organisation

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Holistic strategy for integrating system or organisational policy deployment Employee empowerment Stable and long-term employment Leadership development

Continuous Improvement Multi-skilled workforce Built in quality system Value stream mapping through supply chain New product development Statistical process control Quality improvement teams or quality circles Cross functional teams within the organisation Use of flat hierarchy Value engineering

Tabella 2: Pilastri del LSCM framework e relativi elementi (Jasti, Kodali,2015)

Figura 6: Framework concettuale (Jasti, Kodali,2015)

3.5.2 Strategie di supply chain

Le supply chain evidenziano diverse modalità di gestione, in funzione non solo delle

prestazioni chiave su cui le imprese intendono costruire un vantaggio competitivo, ma

anche delle caratteristiche del mercato in cui operano. Le strategie di configurazione e

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gestione della supply chain si riferiscono proprio a quest’ultima dimensione ed è

soprattutto in tale contesto che si fa riferimento al concetto di lean supply chain.

Secondo il modello di Fisher (Fisher,1997) il punto di partenza per scegliere la giusta

strategia di supply chain è la natura della domanda. In base alla natura della domanda è

possibile classificare i prodotti in due categorie: i prodotti funzionali, che soddisfano

esigenze di base che non mutano nel tempo, hanno un ciclo di vita relativamente lungo

(tipicamente maggiore di 2 anni), sono realizzati in alti volumi e bassa varietà, la

domanda è stabile e prevedibile; prodotti innovativi, che hanno un ciclo di vita breve

(tipicamente da 3 a 12 mesi), hanno un maggior rischio di obsolescenza, la domanda è

variabile e imprevedibile, presentano un margine di contribuzione ma anche un costo di

mantenimento a scorta elevati.

I primi, per i quali è relativamente facile pianificare la produzione, si sposano bene con

una supply chain efficiente (lean supply chain), il cui scopo principale è la riduzione dei

costi fisici del sistema a partire dalla minimizzazione delle scorte. Per i secondi invece la

configurazione migliore è quella di una supply chain reattiva (responsive supply chain)

che ha l’obiettivo di aumentare l’efficacia più che l’efficienza, abbassando i lead time ed

evitando gli stok-out.

Lee (Lee,2002) approfondisce le riflessioni di Fisher e, accanto alle caratteristiche della

domanda, prende in considerazione l’incertezza anche sul fronte del sistema di

fornitura.

Egli identifica da un lato processi di fornitura stabili caratterizzati da maturità del

sistema produttivo e della tecnologia su cui esso si basa, un parco di potenziali fornitori

tendenzialmente ampio e non molto problematico, con contratti solitamente a lungo

termine. È raro che si presentino interruzioni di fornitura o vincoli di capacità in quanto i

fornitori sono generalmente affidabili.

Dall’altro lato ci sono i processi di fornitura in evoluzione, dove il processo produttivo e

la tecnologia sono in fase di sviluppo, l’affidabilità è bassa, il numero di potenziali

fornitori è basso. Sono frequenti problemi di interruzione di fornitura, vincoli di capacità

e imprevisti.

Combinando queste due dimensioni, Lee identifica quattro scenari con le corrispondenti

strategie di supply chain, riportate nella tabella.

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Lean supply chain. La domanda è prevedibile e la fornitura stabile; le imprese cercano

di eliminare tutte le attività non a valore aggiunto, soprattutto minimizzando le scorte

lungo la filiera, centralizzano la pianificazione e automatizzano gli scambi informativi

con fornitori e clienti;

Responsive supply chain. La domanda è variabile ma la fornitura stabile; diventa

fondamentale la riduzione dei lead time per rispondere prontamente alle esigenze del

cliente;

Risk hedging supply chain.la domanda è prevedibile ma la fornitura è problematica;

l’attenzione si rivolge alla gestione dei rischi, che possono essere strutturali (vincoli di

capacità, problemi di qualità) o anomali ( area geografica a rischio terrorismo o

cataclismi) ai quali si risponde tramite scorte di sicurezza e fornitori di riserva;

Agile supply chain. Sia domanda che fornitura sono instabili; è necessario combinare

diversi approcci anche a costo di modificare continuamente la propria supply chain.

Recentemente, stante l’attuale ambiente competitivo, caratterizzato da forte instabilità

e volatilità, l’attenzione dei ricercatori è rivolta non solo al paradigma lean, ma anche e

soprattutto al concetto di agile supply chain. La tendenza in letteratura è quella di

integrare questi due concetti per ottenere i vantaggi dell’una e dell’altra configurazione:

è così nato il termine leagility.

Bassa variabilità di domanda (prodotti

standard)

Alta variabilità di domanda (prodotti

innovativi)

Alta stabilità di

processo

Lean supply chain Responsive supply chain

Bassa stabilità di

processo

Risk hedging supply chain Agile supply chain

Tabella 3: Modello di Hau Lee (2002)

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Secondo Naylor et al. (Naylor,Naim,Berry,1999) gestire una lean supply chain significa

sviluppare un flusso di valore per eliminare tutti gli sprechi, incluso il tempo, e garantire

una schedulazione livellata; creare una agile supply chain invece significa utilizzare la

conoscenza del mercato e l’organizzazione “virtuale” per sfruttare profittabili

opportunità in un mercato volatile.

Per gli autori la scelta delle due strategie è in funzione di due dimensioni: la varietà di

prodotti richiesta e la varietà in produzione. La configurazione lean è applicata

efficacemente nel caso di bassa variabilità.

Infatti analizzando i requisiti più importanti per l’una e l’altra soluzione, emerge che la

differenza più importante sta nella necessità per la lean di avere una domanda livellata e

per l’agility di essere robusta alle variazioni dell’ambiente.

Considerando il punto di disaccoppiamento come ciò che separa la parte di supply chain

gestita tramite pianificazione e schedulazione (a monte) e quella direttamente legata

alle richieste del cliente (a valle), la configurazione leagile consiste nell’utilizzare la

strategia lean a monte del punto di disaccoppiamento e la strategia agile a valle.

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4. La simulazione

Con il termine simulazione si intende la riproduzione del comportamento di un sistema

attraverso l’uso di un modello. Essa gioca un ruolo molto importante soprattutto nel

progettare un sistema stocastico e nel definirne le procedure operative: il

funzionamento di un sistema è “simulato” utilizzando distribuzioni di probabilità per

generare casualmente eventi del sistema, dal quale si ottengono osservazioni statistiche

sulle prestazioni dello stesso. Naturalmente affinché ciò possa essere realizzato è

necessario costruire un

modello di simulazione, che permetta di descrivere le operazioni di un sistema e come

esse devono essere simulate. Gli aspetti rilevanti che fanno della simulazione uno

strumento largamente utilizzato sono legati al fatto che essa permette di:

• rappresentare sistemi reali anche complessi tenendo conto anche delle sorgenti

di incertezza;

• riprodurre il comportamento di un sistema in riferimento a situazioni che non

sono sperimentabili direttamente.

D’altra parte deve essere sempre tenuto sempre ben presente il fatto che

• la simulazione fornisce indicazioni sul comportamento del sistema, ma non

“risposte” esatte;

• l’analisi dell’output di una simulazione potrebbe essere complessa e potrebbe

essere difficile individuare quale può essere la configurazione migliore;

• l’implementazione di un modello di simulazione potrebbe essere laboriosa ed

inoltre potrebbero essere necessari elevati tempi di calcolo per effettuare una

simulazione significativa.

Gli elementi che costituiscono un modello di simulazione sono i seguenti:

• Variabili di stato: un sistema è descritto in ogni istante di tempo da un insieme di

variabili che prendono il nome di variabili di stato. Quindi, ad esempio, in

riferimento ad un sistema a coda, è una variabile di stato il numero degli utenti

presenti nel sistema in un certo istante di tempo. Esistono sistemi discreti in cui

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le variabili cambiano istantaneamente in corrispondenza di precisi istanti di

tempo e sistemi continui in cui le variabili variano con continuità rispetto al

tempo.

• Eventi: si definisce evento un qualsiasi accadimento istantaneo che fa cambiare il

valore di almeno una delle variabili di stato. L’arrivo di un utente ad un sistema a

coda è un evento, così come il completamento di un servizio. Esistono eventi

esterni al sistema (eventi esogeni) ed eventi interni (eventi endogeni). Ad

esempio, l’inizio del servizio ad un utente che è in coda in un sistema `e un

evento endogeno, perché interno al sistema; l’arrivo di un utente ad un sistema

a coda è un evento esogeno.

• Entità e attributi: le entità sono singoli elementi del sistema che devono essere

definiti. Un esempio di entità è un utente presso un sistema a coda, oppure può

essere un servente. Nel primo caso l’entità fluisce all’interno del sistema e si

parla di entità dinamica, nel secondo caso si parla di entità statica. Le entità

possono essere caratterizzate da attributi che forniscono un valore a un dato

assegnato all’entità stessa. Ad esempio, in un sistema a coda, un attributo di

un’entità utente potrebbe essere il suo tempo di arrivo al sistema, mentre il

servente `e caratterizzato dall’attributo “status” che può assumere valore di

“libero” o “occupato”.

• Risorse: le risorse sono elementi del sistema che forniscono un servizio alle

entità. Un’entità può richiedere una o più risorse e se questa non `e disponibile

l’entità dovrà mettersi, ad esempio, in una coda in attesa che si renda

disponibile, oppure intraprendere un’altra azione. Se invece la risorsa è

disponibile, essa viene “catturata” dall’entità, “trattenuta” per il tempo

necessario e poi “rilasciata”.

• Attività e ritardi: un’attività è un’operazione la cui durata `e nota a priori all’inizio

dell’esecuzione dell’attività stessa. Tale durata può essere una costante, un

valore aleatorio generato da una distribuzione di probabilità, oppure data in

input o calcolata in base ad altri eventi che accadono nel sistema. Un esempio `e

dato dal tempo di servizio in un sistema a coda. Un ritardo `e un periodo di

tempo di durata indefinita che `e determinata dalle condizioni stesse del sistema.

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Il tempo che un’entità trascorre presso una coda prima che si liberi una risorsa

della quale necessita è un ritardo.

Esistono diverse tipologie di simulazioni:

• Simulazioni fisiche: fanno riferimento alle simulazioni nelle quali oggetti reali

sono simulati tramite modelli in scala su cui effettuare i test richiesti. Un

esempio sono i modelli di auto/aerei/ponti/strutture per verificarne la resistenza

aerodinamica;

• Simulazioni interattive: sono un particolare tipo di simulazioni fisiche in cui è

incluso l’operatore umano, ad esempio un simulatore di volo, ma anche

simulazioni di role playing;

• Simulazioni computer based: sono una modellazione di situazioni su un

computer al fine di studiare come funziona il sistema e fare analisi sul come esso

risponde a variazioni di alcuni parametri.

A loro volta le simulazioni computer based possono essere classificate secondo tre

categorie:

• Statico – Dinamico: un modello statico rappresenta un sistema in un determinato

istante di tempo o, in generale, un sistema in cui la variabile temporale non ha

influenza. Un modello dinamico permette di rappresentare un sistema nella sua

evoluzione nel tempo;

• Deterministico – Stocastico: è definito deterministico un modello di

simulazione che non contiene nessun “elemento probabilistico”. In questo tipo

di modello, assegnati i valori degli input, l’output è univocamente determinato. I

modelli di simulazione in cui i valori degli input o le probabilità di accadimento

degli eventi non sono univocamente determinati, ma sono variabili secondo

distribuzioni statistiche, sono definiti stocastici;

• Continuo – Discreto: nei modelli di simulazione di tipo continuo viene

rappresentata l’evoluzione di sistemi in cui la variazione di stato avviene con

continuità rispetto alla variabile tempo. Un esempio di questa casistica è il

passaggio di un corpo da una temperatura calda ad una temperatura fredda. Nei

modelli discreti viene rappresentata l’evoluzione di sistemi in cui la variazione di

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stato si suppone avvenga istantaneamente in particolari istanti di tempo. Un

esempio di questa casistica è l'apertura/chiusura di un interruttore in un circuito

elettrico.

Un' altra importante classificazione inerente alle simulazioni è la scelta

dell'avanzamento del tempo. In particolare si può distinguere tra:

• Intervalli fissi (unit‐time) : Si incrementa il clock di una quantità fissa ∆ e si

esamina il sistema per determinare gli eventi che devono aver luogo per i quali si

effettuano le necessarie trasformazioni. Questa tipologia tratta tutti gli eventi

con tempo di occorrenza t Є [t1, t1 + ∆]. Un problema caratteristico di questa

modellazione è la scelta dell’incremento ∆. In questa categoria eventi con

diversi tempi di occorrenza possono essere trattati come eventi simultanei.

• Per eventi (event‐driven): si incrementa il clock fino al tempo di occorrenza del

prossimo (primo) evento. In questo modo si hanno incrementi irregolari; gli

eventi sono simultanei solo se hanno lo stesso tempo di occorrenza. Si evitano

tempi di inattività;

• Discrete‐event simulation (DES): questa categoria di modelli di simulazione è

caratterizzata da modelli che “simulano” la vita del sistema reale in termini

“discreti”, simulando la vita delle sue entità “dinamiche” e “statiche” ed i loro

cambiamenti di stato nel tempo, con avanzamento ad eventi (next event time

advance). Il sistema è rappresentato come una sequenza cronologica di eventi.

Le variabili di stato cambiano solo in corrispondenza di eventi discreti,

determinati a loro volta da attività e ritardi.

Uno studio basato sulla simulazione comprende 8 fasi:

1. Analisi del problema: consiste nel comprendere il problema cercando di capire

quali sono gli scopi dello studio e di identificare quali sono le componenti

essenziali e quali sono le misure di prestazione che interessano.;

2. Formulazione del modello di simulazione: nel caso di sistemi stocastici, per

formulare un modello di simulazione è necessario conoscere le distribuzioni di

probabilità delle quantità di interesse.

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Infatti, per generare vari scenari rappresentativi di come un sistema funziona, è

essenziale che una simulazione generi osservazioni casuali da queste

distribuzioni. Ad esempio, nei sistemi a coda è necessaria la distribuzione dei

tempi di inter-arrivo e i tempi di servizio; nella gestione delle scorte `e necessaria

la distribuzione della richiesta dei prodotti e la distribuzione del tempo tra un

ordine e il ricevimento della merce; nella gestione dei sistemi di produzione con

macchine che occasionalmente possono guastarsi, sarà necessario conoscere la

distribuzione del tempo che trascorre tra due guasti e la distribuzione dei tempi

di riparazione. Generalmente è possibile solo stimare queste distribuzioni

derivandole, ad esempio, dall’osservazione di sistemi simili già esistenti. Se

dall’analisi dei dati si vede che la forma di questa distribuzione approssima una

distribuzione tipo standard, si può utilizzare la distribuzione teorica standard

effettuando un test statistico per verificare se i dati possono essere rappresentati

bene mediante quella distribuzione di probabilità. Se non esistono sistemi simili

dai quali ottenere dati osservabili si deve far ricorso ad altre fonti di

informazioni: specifiche delle macchine, manuali di istruzioni delle stesse, studi

sperimentali, etc. La costruzione di un modello di simulazione `e un

procedimento complesso. In particolare, facendo riferimento alla simulazione ad

eventi discreti, la costruzione di un modello prevede le seguenti fasi:

Definizione delle variabili di stato;

Identificazione dei valori che possono essere assunti dalle variabili di

stato;

Identificazione dei possibili eventi che fanno cambiare lo stato del

sistema;

Realizzazione di una misura del tempo simulato, “simulation clock”, che

registra lo scorrimento del tempo simulato;

Realizzazione di un metodo per generare casualmente gli eventi;

Identificazione delle transizioni di stato generate dagli eventi;

3. Analisi del modello di simulazione: nella fase di analisi del modello deve essere

verificata l’accuratezza del modello realizzato con diverse modalità. Di solito ciò

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viene fatto attraverso un’analisi concettuale del modello che può essere

effettuata insieme agli esperti del settore applicativo in modo da evidenziare

eventuali errori e/o omissioni;

4. Scelta del software e costruzione di un programma: dopo aver costruito il

modello, esso deve essere tradotto in un programma. A tale scopo è possibile

utilizzare diversi strumenti:

Linguaggi “general purpose”: linguaggi come C++, FORTRAN, etc. erano

molto utilizzati alla nascita della simulazione ma richiedono molto tempo

di programmazione e quindi si preferisce, in genere, utilizzare linguaggi

specifici per la simulazione;

Linguaggi di simulazione generali: forniscono molte caratteristiche

necessarie per realizzare un modello di simulazione riducendo cos`ı il

tempo di realizzazione; esempi sono MODSIM, GPSS, SIMSCRIPT, etc.

Anche se meno flessibili dei linguaggi “general purpose” sono il modo più

naturale per realizzare un modello di simulazione;

Simulatori: sono packages per la simulazione orientati alle applicazioni.

Esistono numerosi pacchetti software di tipo interattivo per la

simulazione come ARENA, WITNESS, EXTEND, MICRO SAINT. Alcuni sono

abbastanza generali anche se dedicati a specifici tipi di sistemi come

impianti industriali, sistemi di comunicazione, altri invece sono molto

specifici come, ad esempio, nel caso di simulatori di centrali nucleari o di

simulatori della fisiologia cardiovascolare. I simulatori permettono di

costruire un programma di simulazione utilizzando menù grafici senza

bisogno di programmare. Sono abbastanza facili da imparare ma un

inconveniente che molti di essi hanno è di essere limitati a modellare quei

sistemi previsti dalle loro caratteristiche standard. In ogni caso alcuni

simulatori prevedono la possibilità di incorporare routines scritte in un

linguaggio general purpose per trattare elementi non standard. Spesso

hanno anche capacità di animazione per mostrare la simulazione in

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azione e questo permette di illustrare facilmente la simulazione anche a

persone non esperte;

Fogli elettronici (spreadsheets): quando si hanno problemi di piccole

dimensioni si possono anche utilizzare fogli elettronici, come ad esempio

Excel, per avere un’idea del funzionamento di un sistema;

5. Validazione del modello di simulazione: nella fase successiva è necessario

verificare se il modello che è stato realizzato fornisce risultati validi per il sistema

in esame. Più in particolare si deve verificare se le misure di prestazione del

sistema reale sono bene approssimate dalle misure generate dal modello di

simulazione;

6. Progettazione della simulazione: prima di passare all’esecuzione della

simulazione è necessario decidere come condurre la simulazione. Spesso una

simulazione `e un processo che evolve durante la sua realizzazione e dove i

risultati iniziali aiutano a condurre la simulazione verso configurazioni più

complesse. Ci sono inoltre problematiche di tipo statistico:

La determinazione della lunghezza del transitorio del sistema prima di

raggiungere condizioni di stazionarietà, momento dal quale si inizia a

raccogliere dati se si vogliono misure di prestazione del sistema a regime;

la determinazione della lunghezza della simulazione (durata) dopo che il

sistema ha raggiunto l’equilibrio. Infatti, si deve sempre tener presente

che la simulazione non produce valori esatti delle misure di prestazione di

un sistema in quanto ogni singola simulazione può essere vista come un

“esperimento statistico” che genera osservazioni statistiche sulle

prestazioni del sistema. Queste osservazioni sono poi utilizzate per

produrre stime delle misure di prestazione e naturalmente aumentando

la durata della simulazione può aumentare la precisione di queste stime;

7. Esecuzione della simulazione e analisi dei risultati: l’output della simulazione

fornisce stime statistiche delle misure di prestazione di un sistema. Un punto

fondamentale `e che ogni misura sia accompagnata dall’“intervallo di

confidenza” all’interno del quale essa può variare. Questi risultati potrebbero

evidenziare subito una configurazione del sistema migliore delle altre, ma più

spesso verranno identificate più di una configurazione candidata ad essere la

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migliore. In questo caso potrebbero essere necessarie ulteriori indagini per

confrontare queste configurazioni;

8. Presentazione delle conclusioni: in conclusione, `e necessario redigere una

relazione ed una presentazione che riassuma lo studio effettuato, come `e stato

condotto e includendo la documentazione necessaria.

La simulazione `e uno strumento molto flessibile: può essere utilizzata per studiare la

maggior parte dei sistemi esistenti. Sono elencate di seguito tra cui le principali

categorie di applicazione:

• Analisi di sistemi naturali (es. meteorologia);

• Analisi meccanica, calcolo e verifica di sforzi, dinamica, etc;

• Modellazione, progettazione e analisi di sistemi produttivi;

• Dimensionamento e valutazione di sistemi di trasporto;

• Training (es. simulatori di volo);

• Valutazione di dispositivi militari;

• Progettazione di sistemi di telecomunicazione;

• Progettazione e organizzazione di servizi (ospedali, banche, ecc.);

• Progettazione e definizione delle procedure operative di un sistema di servizio;

• Gestione di sistemi di scorte;

• Progetto e definizione delle procedure operative di sistemi di produzione;

• Progetto e funzionamento del sistemi di distribuzione;

• Analisi dei rischi finanziari;

• Gestione dei progetti.

Le imprese si trovano oggi ad affrontare un ambiente fortemente competitivo,

complesso e in costante mutamento, nel quale il successo non dipende solamente dalle

proprie risorse e capacità, ma anche e soprattutto dalla coordinazione e collaborazione

con clienti e fornitori: adottare una strategia di supply chain management (SCM)

significa integrare più nodi della catena, condividere informazioni e perseguire obiettivi

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comuni. Dal punto di vista dell’IT (Information Technology) esistono molte soluzioni per

superare gli ostacoli fisici, informativi e organizzativi che possono minare allo sforzo di

coordinazione. I sistemi APS (Advanced Planning System) hanno lo scopo di creare una

piattaforma comune di SCM che supporti la catena per tutto il ciclo di vita del prodotto,

dal forecast iniziale allo scheduling e infine alla distribuzione, grazie all’utilizzo di metodi

quantitativi come la programmazione lineare mista-intera e gli algoritmi genetici.

Tuttavia, tra questi metodi, la soluzione più utile per supportare la gestione delle

moderne e complesse supply chain è la simulazione, grazie soprattutto alla sua capacità

di analizzare diversi scenari “what-if” con diverse variabili operative, in modo da

valutare in anticipo la fattibilità, robustezza e ottimalità di una strategia, in tempi brevi e

con costi ridotti.

Le difficoltà nell’evitare conflitti tra interessi locali e globali e nel trovare la volontà tra i

partner di condividere informazioni preziose, hanno determinato un cambiamento nel

tradizionale paradigma della simulazione: da una modalità di simulazione locale, in cui

un solo modello totalmente integrato viene eseguito su un solo computer, a una

modalità parallela e distribuita, in cui diversi modelli, ognuno rappresentativo di un

nodo della supply chain, vengono eseguiti parallelamente su computer sparsi

geograficamente e co-partecipano alla simulazione globale. Quest’ultimo paradigma ha i

vantaggi di ridurre il tempo necessario alla simulazione, di riprodurre un sistema

distribuito geograficamente, di integrare diversi modelli già esistenti, linguaggi e tools e

di aumentare l’affidabilità in caso di guasto di un processore.

Al di là del paradigma utilizzato, le simulazioni nel campo del supply chain management

possono avere obiettivi di design (design di una rete logistica o di un nodo produttivo, o

collocamento geografico di un sito produttivo) o di supporto a decisioni strategiche

(valutazione di diverse alternative, come soluzioni collaborative planning and

forecasting o soluzioni di outsourcing) e possono riguardare diversi processi, come la

pianificazione della domanda e delle vendite, la pianificazione delle scorte, la

pianificazione della distribuzione e del traporto, la pianificazione della produzione e lo

scheduling.

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4.1 Modellazione di una SC tramite il software Arena

La modellazione di una supply chain richiede la possibilità di utilizzare dei parametri

globali quali il tempo di processamento per ogni stadio della SC e per ogni prodotto,

tempi di set-up, tempi di apertura degli impianti, informazioni sulla gestione dei

materiali e dei trasporti, ma anche caratteristiche tecniche della simulazione quali

lunghezza dell'eventuale warm-up period, numero di repliche per ogni simulazione,

lunghezza di ogni replica del processo di simulazione. Questi requisiti servono come

linee guida per la selezione di un appropriato strumento di modellazione. Considerando

la flessibilità di modellazione, la velocità di esecuzione e i bassi costi di

programmazione, questi sono alcuni dei vantaggi dei linguaggi generici di codifica;

tuttavia il loro uso è limitato nella modellazione a causa della difficile applicazione

a specifici casi di simulazione. Inoltre, molti dei pacchetti software generici disponibili

per la simulazione consentono la modellazione di soli processi di business semplici e

poco articolati, limitando in tal modo la loro applicabilità (Law e Kelton, 2003). Sulla

base di queste considerazioni, è stato selezionato come piattaforma di modellazione il

software Arena.

Arena è un software di simulazione a eventi discreti svuluppato da System Modeling e

acquistato da Rockwell Automation nel 2000. È un potente e flessibile strumento che

permette di creare modelli di simulazione animati che possono in modo accurato

replicare virtualmente qualsiasi sistema.

Tramite il software Arena è possibile:

Modellare i processi per definire, documentare e comunicare;

Simulare le prestazioni future del sistema per capire relazioni complesse e

individuare le opportunità di miglioramento;

Visualizzare le proprie operazioni con animazione grafica dinamica;

Analizzare come il sistema si esibirà nella sua configurazione "as-is" e in molte

altre possibili alternative "to-be";

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Le dinamiche del sistema di simulazione vengono rappresentate mediante la

disposizione in sequenza di blocchi opportuni.

Arena utilizza un proprio linguaggio incorporato chiamato SIMAN (Simulation Modeling

Analysis); grazie a questo non è necessario scrivere le righe di codice perché l’intero

processo di creazione del modello di simulazione è grafico, visivo e integrato. In questo

modo Arena permette di usufruire di vantaggi come un linguaggio ad hoc e costrutti

specifici per particolari sistemi. Si deve comunque far fronte ad una conoscenza

specifica e a possibili tempi di realizzazione e debugging prolungati.

Il linguaggio Arena si basa su alcuni elementi base:

- ENTITA’: oggetti che fluiscono attraverso il sistema, ad esempio clienti, pezzi, parti,

lotti, veicoli, ecc. oppure informazioni, elementi logici, ecc;

- CODE: aree di attesa dove il movimento delle entità è temporaneamente sospeso;

- RISORSE: componenti del sistema che devono essere allocate alle entità, ad esempio

macchine, operatori, robot, centralini, ecc;

- ATTRIBUTI:rappresentano dei valori associati alle singole entità, come il tipo di

lavorazione, il tempo di arrivo, ecc;

- VARIABILI: rappresentano valori che descrivono lo stato del sistema o del processo,

come il numero di macchine disponibili, il numero di setup, ecc;

La flessibilità di Modellazione in Arena è garanitita e supportata anche dalla presenza

all'interno del main program di Visual Basic for Application (VBA). Questo modulo

permette di codificare logiche complesse non riscontrabili nei moduli standard di

Arena. I processi di supply chain come l'evasione degli ordini dai nodi, i flussi di

materiali, il replenishment degli inventory, la produzione e il processo di assemblaggio

vengono

raffigurati in Arena generando delle entità. I parametri associati a queste entità, i

processi e le risorse come ad esempio i tempi di lavorazione e le politiche di gestione

della produzione (come MTO, ATO), i costi della SC, ecc, vengono assegnati attraverso

fogli Excel. Modificando i parametri della SC nel foglio di calcolo, possono essere

facilmente generati diversi scenari all'interno della piattaforma di simulazione.

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5. Tesi e domande di ricerca

L’obiettivo della tesi è analizzare e studiare il comportamento di una supply chain

multi-prodotto al variare delle politiche che governano la pianificazione e il controllo

della produzione. In particolare si vogliono analizzare i benefici dell’introduzione del

sistema kanban nella gestione logistica e produttiva della filiera.

Le domande a cui questo elaborato vuole dare risposta sono:

1. L’introduzione della logica lean in una supply chain multi-prodotto genera

benefici rispetto alla logica basata sul lotto economico (EOQ) e a quella basata

sulla condivisione di informazioni (visibility), in termini di costo della supply

chain relativo a scorte e trasporti? Sotto quali condizioni?

2. Quale impatto hanno su tali risultati l’aumento della variabilità della domanda,

la riduzione dei lotti nel sistema kanban e la modifica della logica con la quale

sono gestiti i trasporti?

3. Con riferimento a una supply chain mono-prodotto, qual è il beneficio relativo

dell’introduzione della logica lean rispetto rispetto alla logica basata sul lotto

economico (EOQ) e a quella basata sulla condivisione di informazioni (visibility),

in termini di livello medio di scorte della supply chain?

4. Quale impatto hanno su tali risultati l’aumento della variabilità della domanda

e la riduzione dei lotti nel sistema kanban?

5. Quali aspetti relativi a un modello di supply chain multi-prodotto non possono

essere colti in un modello di supply chain mono-prodotto?

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6. Metodo di ricerca

Per rispondere ai quesiti sopracitati è stata effettuata una ricerca tramite simulazione.

Attraverso l’utilizzo del software di simulazione Arena è stato costruito un modello che

rispecchiasse una supply chain multi-prodotto. La base del modello è stata fornita da

uno studio precedente che considerava una supply chain mono-prodotto operante sotto

le medesime logiche produttive, effettuato da Carbò (Carbò, 2015). Le ipotesi alla base

del modello presentato in questo elaborato, così come in quello di Carbò, sono le stesse

presenti nei lavori di Staudacher e Bush (Staudacher, Bush, 2014) e di Franzosi e Rossini

(Franzosi, Rossini,2014).

Il modello proposto in questo elaborato presenta tre varianti; in particolare vengono

studiate le performance di una supply chain multi-prodotto simulando tre diverse

politiche di pianificazione e controllo della produzione:

La tradizionale politica a lotto economico (EOQ)

La politica visibility basata sulla condivisione di informazioni

Il sistema kanban tipico della lean production

Sono state lanciate campagne di simulazione per ogni variante di interesse, settando

diversi parametri tra cui il coefficiente di variazione della domanda, la dimensione dei

lotti nella politica kanban e la logica dei trasporti nelle varianti visibility e lotto

economico. Per ogni variante del modello si è ricercata la run che rispettasse le

condizioni dei livelli di servizio utili alla raccolta dei dati, tramite il settaggio e la modifica

di parametri leva, cioè i livelli di reorder point per le varianti EOQ e visibility e il numero

sistemico di kanban per l’altra variante (capitolo successivo).

Per gli scopi di ricerca dell’elaborato sono state effettuate alcune campagne di

simulazione anche per il modello mono-prodotto originale, in quanto non erano

disponibili tutti i dati necessari a un esaustivo confronto tra i modelli mono-prodotto e

multi-prodotto.

7. Modello di ricerca

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7.1 Il modello multi-prodotto

Il modello considerato replica una supply chain composta da tre stadi: partendo da

monte si possono individuare quattro primary manufacturer (PM), un secondary

manufacturer (SM) e un distribution center (D), cioè lo stadio più a valle che si

interfaccia direttamente con il mercato (Figura 7).

La gamma di prodotti gestita dalla supply chain comprende 24 diverse tipologie di

merce, suddivisibili in 4 famiglie (ognuna delle quali è costituita da 6 tipi di prodotti).

Ogni item ha la propria connotazione già al primo stadio della filiera.

Ciascun primary manufacturer è responsabile della fornitura di una sola famiglia di

prodotti. I PM non sono però completamenti dedicati a questa catena di fornitura: solo

il 65% del loro tempo disponibile viene utilizzato per rifornire la supply chain in

considerazione.

Il SM invece è completamente dedicato alla fabbricazione dei 24 prodotti della gamma.

Il centro di distribuzione è lo stadio più a valle che riceve direttamente la domanda del

mercato finale.

Ogni stadio della supply chain ad eccezione del distribution center ha una coppia di

buffer, un input buffer che tiene a stock i pezzi ricevuti da monte e un output buffer che

immagazzina i prodotti usciti dal processo produttivo. L’inbut buffer dei PM sono

supposti di capacità infinita. Il centro distributivo ha un solo buffer in ingresso, tramite il

quale soddisfa la domanda del mercato, la quale ha una media giornaliera pari a 16

unità per ogni prodotto.

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Figura 7: Struttura della supply chain

I tempi di lavorazione sono uguali per tutti e 24 i prodotti, mentre i tempi di set-up

differiscono da un prodotto all’altro ma sono indipendenti dalla sequenza (quindi

produrre i pezzi 1, 2 e 3 nella sequenza 1-2-3 o nella sequenza 3-1-2 non influisce sul

tempo totale di set-up necessario).

Questo vale sia per i PM che per il SM, ma i tempi necessari per il set-up e per la

produzione di un prodotto sono diversi per i due nodi della filiera. Sia i PM che i SM

hanno una saturazione media del proprio processo di produzione pari a 80%, distribuito

in 70% di tempo di lavorazione e in 10% di tempo di set-up.

I prodotti vengono trasferiti da un nodo all’altro della filiera tramite automezzi di

capacità limitata, pari a 450 pezzi per il tratto secondary manufacturer – distribution

center, e pari a 150 pezzi per il tratto primary manufacturer – secondary manufacturer,

in cui ogni automezzo è relativo al proprio PM. Esistono due tipologie di trasporti, la

tipologia full truck load (FTL) per cui il camion parte una volta saturato completamente,

e la tipologia less than truck load (LTL) in cui il camion parte anche se non saturo. A tal

proposito vengono considerate nel modello due diverse modalità di trasporto:

Modalità “aggregata”: a fine giornata vengono eseguiti solo trasporti FTL a meno

che durante l’intera giornata in considerazione non sia stato assemblato neanche

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un camion saturo, in tal caso il camion non saturo è autorizzato a partire. Nel

caso in cui sia stato assemblato almeno un trasporto saturo durante il giorno, i

prodotti in eccesso che non raggiungono la quantità necessaria per riempire un

altro camion, vengono aggregati a quelli del giorno successivo;

Modalità “non aggregata”: a fine giornata tutti i prodotti in attesa di essere

trasportati sono inviati a valle indipendentemente dal loro numero. Gli

automezzi partono sempre a fine giornata e impiegano 2 giorni per raggiungere

la destinazione a valle (arrivano all’inizio del giorno successivo all’indomani della

partenza).

7.2 Varianti del modello

7.2.1 Il lotto economico (EOQ)

Nella variante del modello in cui la filiera è gestita tramite la logica del lotto economico,

il reparto di lavorazione è vincolato alla produzione in lotti di una grandezza prefissata,

che non varia nel corso della simulazione.

La gestione delle scorte tramite la logica del lotto economico o Economic Order Quantity

(EOQ) si contraddistingue per una quantità ordinata fissa e per un intervallo di

emissione dell’ordine variabile.

Secondo questa politica, il generico stadio i della supply chain o del processo produttivo

emette un ordine di una quantità fissa allo stadio i-1, non secondo una cadenza

temporale prefissata, ma ogni volta che il livello di scorte dello stadio i scende al di sotto

di una soglia, chiamata Reorder Point (ROP).

Gli obiettivi tradizionali di una logica EOQ sono:

Identificazione del lotto di riordino al fine di minimizzare i costi connessi con la

gestione delle scorte: tali costi sono la somma del costo di mantenimento a

scorta, di acquisto e di ordinazione in un contesto di approvvigionamento

esterno, mentre sono la somma del costo di mantenimento a scorta, del costo

variabile di produzione e dei set-up in un contesto di produzione interna;

Individuazione del livello delle giacenze sotto il quale viene autorizzato

l’approvvigionamento.

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La logica EOQ è inserita nel modello multi-prodotto nel seguente modo: l’ordine di

approvvigionamento da parte di un generico buffer i viene inviato al buffer a monte i-1

solo quando l’inventory position del buffer i scende al di sotto di un certo ROP.

L’inventory position di un generico buffer, ad esempio di quello del distributor, è

calcolato nel seguente modo:

Dove

- è l’inventory position del distributor al tempo per il prodotto

- è il livello di scorte a magazzino del distributor al tempo per il prodotto

- sono i backlog del distributor al tempo per il prodotto

- sono gli ordini inviati dal distributor allo stadio a monte al tempo per il

prodotto

Il check viene effettuato ogni 10 minuti e per tutti i prodotti la cui giacenza è inferiore al

livello, a partire dal più critico, viene inviato un ordine di approvvigionamento al buffer a

monte.

Sia i livelli di ROP che le dimensioni del lotto economico di acquisto sono differenti per i

diversi buffer della supply chain. In particolare per l’input buffer del distributor (IB-D) il

lotto economico è pari a 54 unità, per l’output buffer del secondary manufacturer (OB-

SM) è pari a 91 unità, per l’input buffer del secondary (IB-SM) è pari a 131 unità e per

l’output buffer del primary manufacturer (OB-PM) è pari a 195 unità. Si ricordi che

l’input buffer del primary (IB-PM) è supposto di capacità infinita. Questi valori non

cambiano mai durante la campagna di simulazione del modello EOQ. Il valore delle

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soglie dei ROP sono invece i parametri leva che vengono modificati durante le

simulazioni per ottenere i diversi livelli di servizio necessari alla raccolta dei dati.

7.2.2 Il modello visibility

La variante del modello che utilizza la logica visibility presuppone la condivisione di

informazioni tra i nodi che compongono la supply chain, in particolare riguardanti i

livello di inventory nei diversi buffer. Avere visibilità sul livello di inventory dei buffer a

valle consente di ritardare la produzione, facendola partire “al più tardi”, con la

conseguenza di abbassare i livelli di scorte nel sistema garantendo comunque un alto

livello di servizio.

All’interno del modello, la trasmissione degli ordini di approvvigionamento tra l’input

buffer del distributor e l’outbut buffer del secondary manufacturer e quella tra l’inbut

buffer del secondary e l’output buffer del primary manufacturer segue la medesima

logica della variante EOQ, basandosi semplicemente sulla comparazione tra il livello di

scorte degli input buffer e la soglia fissata per il ROP. La logica visibility viene invece

implementata nella trasmissione degli ordini di produzione tra l’input buffer e l’output

buffer dei due nodi produttivi, il secondary manufacturer e il primary manufacturer. In

questo caso il check viene effettuato ogni dieci minuti e solamente se il processo di

produzione dello stadio considerato è libero. Prendendo ad esempio lo stadio del SM,

innanzitutto vengono identificati i prodotti critici, cioè quelli la cui inventory position

nell’output buffer è minore del rispettivo ROP. Dopodiché si valuta la disponibilità di

questi prodotti nel buffer a valle, in questo caso nell’input buffer del distributor: in

particolare per ogni prodotto si calcola il numero di giorni che mancano al prossimo

ordine da parte del distributor, attraverso la seguente formula:

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dove indica lo stadio della supply chain, essenzialmente l’input buffer del distributor o

l’input buffer del secondary manufacturer, e è l’indice del prodotto critico.

Tra questi prodotti viene selezionato quello per cui è maggiore il numero di giorni a

disposizione per la produzione e tale valore viene confrontato con il tempo necessario

per produrre tutti i lotti dei prodotti critici, moltiplicato per un determinato coefficiente:

se il tempo a disposizione prima dell’ordine del prodotto meno critico è inferiore a

quello necessario alla produzione, significa che è essenziale cominciare a produrre e

quindi viene inviato l’ordine relativo al prodotto più critico al reparto di produzione.

Se invece tale valore è minore del tempo necessario, il prodotto in questione non viene

più considerato, si seleziona il successivo prodotto meno critico e il processo viene

iterato. Se per nessun prodotto critico il tempo disponibile è minore di quello

necessario, non viene inviato nessun ordine al reparto di produzione fino al prossimo

check.

Le diverse dimensioni dei lotti nei vari stadi non variano mai durante la simulazione ed

ha lo stesso valore della variante EOQ; anche in questo caso ciò che viene modificato

durante la simulazione è il livello dei ROP.

La logica alla base di questo meccanismo di visibility è la stessa proposta da Datta e

Christopher (Datta, Christopher,2011) che studiano attraverso simulazione una supply

chain multi-prodotto con lo scopo di identificare la configurazione di information

sharing più efficace per ridurre l’incertezza della filiera.Nella prima configurazione

proposta dagli autori il central planner della supply chain compara, per ogni prodotto, i

giorni disponibili per la produzione con quelli necessari, basandosi sul livello di inventory

del central warehouse e sulla previsione della domanda: in base a questo risultato il

planner decide se anticipare o posticipare la produzione. L’idea di Datta e Christopher è

stata quindi adattata e applicata al contesto in esame.

7.2.3 Il modello kanban

Nella variante kanban la produzione segue una logica pull, quindi viene “tirata” da valle:

la produzione e il trasferimento dei prodotti sono autorizzati solo nel momento in cui

viene registrato un consumo a valle.

Il trigger del processo è determinato proprio dalla presenza dei kanban.

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A ogni prodotto è associato, già dall’inserimento delle scorte iniziali nel sisitema, un

kanban, cioè un cartellino identificativo: esistono due tipologie di kanban, quello di

movimentazione (withdrawal kanban, WK) e quello di produzione (production kanban,

PK). La situazione di partenza è che negli input buffer (IB) della supply chain a ogni

prodotto è associato un WK, mentre negli outbut buffer (OB) a ogni prodotto è associato

un PK. Il funzionamento della logica kanban, considerando i primi due stadi della filiera a

partire da valle, è il seguente:

Quando l’IB del distributor soddisfa la richiesta del mercato finale per un

prodotto, stacca il WK ad esso associato e lo pone in una tabelliera, che presenta

24 colonne (una per prodotto);

Ogni 10 minuti viene effettuato un check sulla tabelliera del distributor e

vengono selezionati i prodotti per i quali il numero di kanban sulla tabelliera

supera una soglia. Nel caso dei WK la soglia è pari a 0, quindi tutti i prodotti con

almeno un kanban sulla tabelliera vengono selezionati. A questo punto viene

trasmesso l’ordine a monte per il ripristino dei prodotti selezionati, in ordine di

criticità, cioè a partire dal prodotto con l’inventory position più bassa;

I WK staccati dalla tabelliera del distributor vengono così inviati all’OB del

secondary manufacturer, che preleva i pezzi richiesti, stacca i PK ad essi associati

e attacca i WK ricevuti, per poi spedire i prodotti con i rispettivi WK al distributor.

I PK del secondary manufacturer vengono a loro volta posti in una tabelliera

analoga ;

Ogni 10 minuti, e se il processo di produzione è libero, viene effettuato il check

sulla tabelliera dell’OB del secondary e vengono selezionati i prodotti per i quali

il numero di kanban supera una determinata soglia (pari al lotto di produzione

del rispettivo buffer nella variante EOQ). A questo punto viene trasmesso

l’ordine di produzione per il prodotto più critico;

I PK staccati dalla tabelliera vengono così inviati all’IB del secondary, che produce

i prodotti necessari all’OB, stacca da essi i rispettivi WK e attacca i PK ricevuti, per

poi inviare i prodotti con i rispettivi PK all’OB del secondary. I WK del secondary

manufacturer vengono a loro volta posti sulla rispettiva tabelliera;

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Il processo viene poi iterato a monte, coinvolgendo il primary manufacturer.

Il numero totale di kanban per un generico buffer, ad esempio per quello del distributor,

si può calcolare come:

(1)

Dove

- è il numero totale di kanban del distributor al tempo

- è il numero di kanban presenti sulla tabelliera del distributor al tempo

- è il numero di kanban presenti a magazzino del distributor al tempo

- è il numero di kanban in viaggio tra secondary manufacturer e distributor al

tempo

- è il numero di kanban relativo ai backlog di produzione del secondary

manufacturer al tempo

L’inventory position del distributor, in funzione dei kanban, si può scrivere come:

(2)

Dove

- è l’inventory position del distributor al tempo per il prodotto

- è il numero di kanban relativo ai backlog del distributor al tempo

Unendo le equazioni (1) e (2) si ottiene:

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È importante sottolineare la differenza di gestione tra i WK, per cui non esiste una soglia

da superare per autorizzare il replenishment, e i PK, per cui la produzione viene avviata

solo se il numero di kanban è superiore a una determinata soglia.

Nel momento in cui un prodotto ha bisogno di essere rispristinato/prodotto, tutti i i

kanban del prodotto in questione presenti nella tabelliera vengono inviati a monte: non

esiste quindi una politica di lottizzazione nella variante kanban.

7.3 Il modello mono-prodotto di riferimento

Il modello multi-prodotto è stato creato sulla base di quello mono-prodotto. Per

individuare correttamente le cause delle possibili differenze di prestazioni tra i due

modelli, dovute all’applicazione delle tre logiche di gestione della produzione (kanban,

visibility ed EOQ), sono stati effettuati meno cambiamenti possibili nel passaggio da un

modello all’altro: un confronto tra due modelli molto diversi sarebbe stato infatti poco

significativo.

Il tempo di produzione del modello multi-prodotto è stato fissato in modo tale da

mantenere invariata la saturazione del processo rispetto al caso mono-prodotto. Per

quanto riguarda il tempo di set-up, nel modello mono-prodotto aveva un valore esiguo e

perciò non poteva essere replicato nel multi-prodotto: si è quindi deciso di impostare il

tempo di set-up in modo tale che la media di esso sui 24 prodotti fosse uguale al valore

nel caso mono-prodotto. Nel capitolo successivo, precisamente nel paragrafo in cui

viene studiato il confronto tra i due modelli, la tematica relativa ai set-up sarà ripresa e

approfondita.

La dimensione dei lotti nei vari buffer della filiera multi-prodotto sono stati calcolati

mantenendo la stessa copertura del caso mono-prodotto, cioè lo stesso rapporto tra

dimensione del lotto e domanda media.

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La dimensione del lotto nel caso mono-prodotto è stata calcolata tramite la classica

formula:

Dove

= costo di emissione di un ordine (in questo caso caso è proporzionale al tempo speso

per eseguire un setup)

= valore economico del prodotto

= tasso annuo di mantenimento a scorta

= domanda media annua

Nel modello multi-prodotto sono stati inseriti quattro primary manufacturer, ognuno dei

quali responsabile del 25% della gamma di prodotti, al posto di uno solo responsabile di

tutta la produzione nel caso mono-prodotto: di conseguenza la capacità degli automezzi

incaricati di trasportare i prodotti dai rispettivi primary al secondary è stata fissata a 150

unità ciascuno, al posto della capacità di 450 unità nel caso mono-prodotto.

Nel modello multi-prodotto esiste una logica di priorità per gli ordini di

approvvigionamento, basata sulla criticità dei prodotti, cioè sul livello di inventory nei

buffer, logica che ovviamente non può esistere nel modello originale in quanto gestisce

un solo item.

La differenza più grande riguarda il meccanismo con cui è implementata la logica della

variante visibility: la trasmissione degli ordini tra IB del distributor e OB del secondary e

tra IB del secondary e OB del primary è gestita tramite la logica EOQ, così come nel

modello multi-prodotto, mentre negli altri due tratti la logica implementata è diversa

rispetto a quella descritta per il modello multi-prodotto.

Il funzionamento, trasposto nel caso multi-prodotto, è il seguente: considerando il

tratto tra IB e OB del secondary (quello tra IB e OB del primary ha un funzionamento

analogo), il processo consiste in due step. Innanzitutto, per il prodotto che ha l’inventory

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position più bassa nell’OB del secondary manufacturer, si valuta se il livello della

giacenza è minore del ROP dell’OB del secondary, dopodiché, per tale prodotto, si valuta

se l’inventory position nell’IB del distributor è inferiore a una determinata soglia, pari al

ROP del distributor a cui è sommata una costante. Se entrambe queste condizioni sono

soddisfatte la produzione viene avviata, altrimenti viene posticipata, appunto perché l’IB

del distributor non ne ha necessità urgente.

Considerando che l’IB del distributior può al massimo avere un inventory position pari a

+ , il valore della costante da sommare al per creare la soglia della

visibility deve essere compreso tra 0 e il : se fosse superiore la condizione sarebbe

sempre rispettata e il modello si comporterebbe sempre come nella variante EOQ.

Questo meccanismo funziona bene nel caso mono-prodotto ma non è applicabile nel

caso multi-prodotto: ogni prodotto viene valutato indipendentemente dagli altri e

questo porta a posticipare la produzione di tutti i prodotti che non rispettano le due

condizioni sopra enunciate, fino al punto in cui, una volta trasmesso l’ordine di

produzione, il tempo a disposizione può risultare troppo esiguo per soddisfare la

richiesta. Di conseguenza, per mantenere un livello di servizio adeguato, si necessita di

molte scorte e quindi di valori di soglie molto elevate. In definitiva la visibility applicata

in questo modo in una supply chain multi-prodotto non porta nessun beneficio, anzi solo

inefficienze, perciò è stata implementata la logica descritta precedentemente, che

valuta in maniera simultanea e dinamica i diversi prodotti.

Un’altra importante differenza di modellazione riguarda la variabilità della domanda.

La domanda giornaliera ha in entrambi i casi una distribuzione normale, di media 384

unità nel modello mono-prodotto e di media 16 per ognuno dei 24 prodotti nel modello

multi-prodotto. In entrambi i modelli vengono considerati tre diversi coefficienti di

variazione (CV), cioè il rapporto tra deviazione standard e media, pari a 0.8, 0.6 e 0.4. La

differenza sta nel fatto che nel caso multi-prodotto il CV non è calcolato sulla domanda

aggregata ma sulla domanda del singolo prodotto. Ovviamente in questo modo la

variabilità totale è più bassa nel caso multi-prodotto rispetto al caso mono-prodotto,

perché una variabilità in positivo di un prodotto viene compensata dalla variabilità in

negativo di un altro.

In formule:

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dove è la deviazione standard del prodotto .

Nel caso di CV=0.8, il modello mono-prodotto ha una deviazione standard pari a 307.2,

mentre il modello multi-prodotto ha una deviazione standard per singolo prodotto pari

a 12.8 e una deviazione standard totale totale pari a 62.7, quindi decisamente inferiore,

nonostante la media totale sia pari a 384 per entrambi i modelli.

Tuttavia per ottenere la stessa variabilità del mono-prodotto, ogni prodotto del modello

multi avrebbe dovuto avere una deviazione standard pari appunto a 62.7, a cui

corrisponde un CV pari a 3.9. Un valore di coefficiente di variazione così alto per singolo

prodotto è stato considerato eccessivo. Inoltre sarebbe risultato impossibile costruire

una distribuzione di probabilità normale “troncata” (in quando vanno considerati solo i

valori positivi di domanda) di media 16 e deviazione standard 62.7.

7.4 Descrizione dell’esperimento

Le simulazioni sono state effettuate sia per il modello multi-prodotto , sia per quello

mono-prodotto nei casi in cui non erano disponibili tutti i dati necessari per un corretto

confronto.

Per ogni variante del modello sono state eseguite 10 simulazioni, per dare rilevanza

statistica ai risultati ottenuti. Le repliche del sistema sono determinate da input di

domanda differenti: attraverso fogli di calcolo di “Microsoft Excel” sono stati costruiti 10

profili di domanda secondo una distribuzione normale “troncata” di media µ e

deviazione standard (Grafico 1).

Uno dei parametri che è stato fatto variare nel corso della campagna di simulazione è

stato proprio il coefficiente di variazione della domanda CV (rapporto tra e µ): in

particolare sono stati considerati tre diversi CV, pari a 0.8, 0.6 e 0.4.

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Grafico 1: Distribuzione normale (µ=16; σ=12.8) di un generico prodotto nel caso CV=0.8

Ogni run di simulazione ha un periodo di osservazione che copre 2000 giorni lavorativi di

8 ore ciascuno. Per ovviare all’utilizzo di dati influenzati dal transitorio iniziale, l’inizio

della raccolta dei risultati è stata fissata dopo il cinquantunesimo giorno di simulazione.

I dati rilevanti estratti da una run di simulazione sono il livello di servizio, il livello delle

scorte e il numero di trasporti FTL e LTL.

Il livello di servizio per una tipologia di prodotto viene calcolato come il rapporto tra il

numero di giorni in cui si registra uno stock-out del prodotto e la lunghezza del periodo

di misurazione. Il “livello di servizio di una run”, o livello di servizio della supply chain, è

la media dei livelli di servizio raggiunto nei quattro buffer di riferimento: input buffer del

distributor, output e input buffer del secondary manufacturer, e output buffer del

primary manufacturer (si è scelto di non considerare l’input buffer in quanto supposto di

capacità infinita); a sua volta il livello di servizio di un buffer è la media dei livelli di

servizio di tutte le 24 classi di prodotto. Il parametro è vincolante perché è il parametro

obiettivo nell’esecuzione delle run.

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Nel presente elaborato una run è stata considerata utile alla raccolta dei dati se il suo

valore era compreso tra 92% e 99% e se tutti i buffer all’interno della run riportavano un

valore del livello di servizio non inferiore all’87%.

Come già anticipato, le 3 varianti del modello sono la logica EOQ, la logica visibility e

quella kanban. Per quest’ultima sono state eseguite simulazioni riducendo il tempo di

set-up e conseguentemente il numero di kanban nel sistema e la dimensione dei lotti,

parametro rilevante in quanto influisce direttamente sul livello delle soglie utilizzate nel

processo decisionale relativo degli ordini di produzione.

Per il modello kanban i diversi livelli di servizio della supply chain sono stati identificati

modificando il numero di kanban nel sistema, mentre per i modelli EOQ e visibility

modificando i livelli delle soglie dei ROP nei diversi buffer: in dettaglio aumentando i

livelli di ROP e il numero di kanban rispettivamente per le varianti di studio, i livelli di

inventory del sistema salgono, e con essi il livello di servizio.

Un altro parametro che è stato modificato durante la campagna di simulazione è

relativo alla logica dei trasporti: in particolare le varianti visibility e EOQ sono state

studiate utilizzando sia la logica di “aggregazione” che quella di “non aggregazione”

descritte precedentemente.

I benefici derivanti dall’applicazione di una determinata politica di gestione della

produzione (kanban, visibility, EOQ) dipendono dai valori relativi ai costi di

mantenimento a scorta e ai costi di trasporto.

Il costo di mantenimento a scorta è calcolato come:

Dove

è il costo annuo mantenimento a scorta

è il tasso annuo di mantenimento a scorta che considera i costi di stoccaggio e di

obsolescenza della merce in rapporto al valore della stessa.

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Il costo logistico viene invece calcolato attraverso due diverse modalità:

Nel primo caso il costo di trasporto viene calcolato in funzione del costo unitario

per pezzo trasportato. L’idea alla base è che i pezzi trasportati in LTL comportino

un aggravio economico rispetto ai pezzi trasportati in FTL. Essenzialmente il

punto di vista è di un’impresa che ha esternalizzato il servizio di trasporto e ha

un contratto nella forma “pay per use” con un provider logistico che viene

pagato con una tariffa “full truck load” per i pezzi che saturano il vettore di

trasporto e una tariffa più dispendiosa “less than truck load” applicata agli item

per le spedizioni che non saturano il mezzo di trasporto.

Nel secondo caso il costo di trasporto è calcolato in base al numero di viaggi,

indipendentemente dal fatto che siano FTL o LTL.

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8. Descrizione dei risulati

Nel seguito della trattazione i valori relativi alla variante del modello che utilizza il

sistema kanban verranno indicati con i nomi di Lean 1, Lean 0.8, Lean 0.6, Lean 0.4 e

Lean 0.2: questi termini significano, rispettivamente, una riduzione del lotto pari a 0%,

20%, 40%, 60% e 80%. Come già anticipato, la riduzione del lotto comporta

l’abbassamento della soglia, relativa al numero di kanban presenti sulla tabelliera,

necessaria per l’avvio della produzione. Simultaneamente vengono ridotti i tempi di set-

up e il numero di kanban del sistema.

Con i nomi EOQ e VIS verranno indicati i valori relativi alle varianti che utilizzano

rispettivamente il lotto economico e la visibility. I dati relativi ai due modelli analizzati,

quello multi-prodotto e quello mono-prodotto, saranno indicati per semplicità con multi

e mono.

Le due diverse politiche di trasporto, “aggregato” e “non aggregato”, saranno indicate

con AGG e NON AGG. Infine con CV 0.8, CV 0.6 e CV 0.4 si intenderanno i diversi

coefficienti di variazione della domanda e con LS il livello di servizio.

8.1 Il modello multi-prodotto

8.1.1 I livelli di inventory

Come si può notare nel Grafico 2, i livelli medi di inventory sono crescenti con

l’aumentare del livello di servizio: ovviamente per soddisfare meglio la domanda si

necessita di un livello maggiore di scorte nel sistema. Le diverse varianti del modello

presentano lo stesso andamento per tutti i valori di CV, perciò in questo grafico e in

quelli successivi, relativi ai confronti tra le diverse politiche, verranno analizzati solo i

risultati relativi al coefficiente di variazione pari a 0.8.

Nel grafico si nota che EOQ presenta il livello di scorte maggiori, seguito da VIS e dalle

varianti lean, per le quali ogni riduzione di lotto comporta benefici maggiori. In Tabella 4

è mostrata, per i diversi livelli di servizio, la riduzione percentuale di inventory dovuta

alla diminuzione della grandezza dei lotti nella politica lean: per ogni range di LS si

ottengono benefici crescenti.

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Grafico 2: Andamento delle scorte al variare del livello di servizio

LS Lean1-lean0.8

Lean1-lean0.6

Lean1-lean0.4

Lean1-lean0.2

0,92-->0,94 15,8% 33,3% 34,3% 44,7%

0,94-->0,96 14,7% 29,7% 33,2% 44,2%

0,96-->0,98 17,7% 28,1% 34,0% 48,1%

0,98-->1 18,0% 28,7% 36,7% 46,9%

Tabella 4: Beneficio percentuale della riduzione dei lotti in termini di scorte

Per quanto riguarda il livello di inventory, nei Grafici 3 e 4 viene analizzato il beneficio

dell’applicazione della logica lean rispetto a EOQ, rispettivamente in termini assoluti e in

termini percentuali, al variare del livello di servizio. Nei Grafici 5 e 6 viene effettuato lo

stesso tipo di confronto tra Lean e VIS.

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 0,98-->1

Inventory

EOQ

VIS

Lean_1

Lean_0,8

Lean_0,6

Lean_0,4

Lean_0,2

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Grafico 3: Beneficio della logica lean rispetto a EOQ in termini assoluti

Grafico 4: Beneficio della logica lean rispetto a EOQ in termini percentuali

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 0,98-->1

Beneficio lean vs EOQ (assoluto)

lean1

lean 0.8

lean 0.6

lean 0.4

lean 0.2

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 0,98-->1

Beneficio lean vs EOQ (percentuale)

lean1

lean 0.8

lean 0.6

lean 0.4

lean 0.2

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Grafico 5: Beneficio della logica lean rispetto a VIS in termini assoluti

Grafico 6: Beneficio della logica lean rispetto a VIS in termini percentuali

Sia nel confronto tra lean e EOQ, sia in quello tra lean e VIS, emergono tre

considerazioni:

Il beneficio in termini assoluti dell’applicazione del sistema lean cresce

all’aumentare del livello di servizio. Questo significa che l’aumento di scorte nella

lean è minore rispetto all’aumento di scorte per VIS e EOQ;

Il beneficio percentuale dell’applicazione del sistema lean decresce

all’aumentare del livello di servizio. Questo significa che la differenza di scorte

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 0,98-->1

Beneficio lean vs VIS (assoluto)

lean1

lean 0.8

lean 0.6

lean 0.4

lean 0.2

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 0,98-->1

Beneficio lean vs VIS (percentuale)

lean1

lean 0.8

lean 0.6

lean 0.4

lean 0.2

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tra lean e VIS/EOQ aumenta ma meno che proporzionalmente rispetto

all’aumento assoluto di scorte per VIS/EOQ;

Il beneficio è crescente con la riduzione del lotto nel sistema lean.

Nel Grafico 8 è mostrato l’andamento delle scorte della politica lean, considerando la

media delle diverse varianti, all’aumentare del livello di servizio, per i tre diversi

coefficienti di variazione della domanda. Nel Grafico 9 viene effettuata la stessa analisi

con la politica EOQ.

Quello che si nota è che all’aumentare del livello di servizio, nella politica lean le curve

aumentano considerevolmente la propria pendenza e la distanza tra di loro, mentre

nella politica EOQ le curve mantengono in modo più costante la pendenza e la distanza

tra di loro.

Questo significa che per livelli di servizi alti, un aumento del CV nella politica lean ha un

effetto decisamente rilevante.

Grafico 8: Andamento delle scorte nella politica lean per i diversi CV al variare del LS

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

Scorte lean per i diversi CV al variare di LS

Lean CV 0.8

Lean CV 0.6

Lean CV 0.4

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Grafico 9: Andamento delle scorte nella politica EOQ per i diversi CV al variare del LS

Nei Grafici 10 e 11 è mostrato l’andamento del livello di inventory delle varianti del

modello all’aumentare del CV, da un valore pari a 0.4 a un valore pari a 0.8. Il primo

grafico considera la media dei valori di scorte per bassi livelli di servizio (da 0.92% a

0.96%), il secondo per livelli alti (da 0.96% a 0.99%).

All’aumentare della variabilità della domanda, in tutte le politiche si riscontra un

prevedibile aumento di scorte, per entrambi i range di LS: per sopperire a un incremento

di variabilità della domanda bisogna necessariamente mantenere più prodotti a stock

per raggiungere lo stesso livello di servizio.

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

Scorte EOQ per i diversi CV al variare di LS

EOQ CV 0.8

EOQ CV 0.6

EOQ CV 0.4

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Grafico 10: Livelli di inventory al variare del coefficiente di variazione per bassi LS

Grafico 11: Livelli di inventory al variare del coefficiente di variazione per alti LS

Sempre riguardo i livelli di scorte, nei Grafici 12 e 13 e nei Grafici 14 e 15 viene

analizzato il beneficio assoluto e percentuale dell’applicazione della logica lean rispetto

2000,000

3000,000

4000,000

5000,000

6000,000

7000,000

8000,000

0,4 0,6 0,8

Inventory al variare del CV (0.92-->0.96 SL)

EOQ

VIS

lean1

lean0.8

lean0.6

lean0.4

lean0.2

2000,000

3000,000

4000,000

5000,000

6000,000

7000,000

8000,000

9000,000

10000,000

0,4 0,6 0,8

Inventory al variare del CV (0.96-->0.99 SL)

EOQ

VIS

lean1

lean0.8

lean0.6

lean0.4

lean0.2

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a EOQ, rispettivamente per valori bassi di livello di servizio (da 0.92% a 0.96%) e per

valori alti (da 0.96% a 0.99%), all’aumentare del CV. Per sintesi viene riportato solo il

confronto tra Lean e EOQ, in quanto quello tra Lean e VIS segue lo stesso andamento.

Grafico 12: Beneficio della logica lean rispetto a EOQ in termini assoluti al variare di CV per bassi LS

Grafico 13: Beneficio della logica lean rispetto a EOQ in termini percentuali al variare di CV per bassi LS

2000,000

2500,000

3000,000

3500,000

4000,000

4500,000

5000,000

0,4 0,6 0,8

Beneficio lean vs EOQ (assoluto) al variare del CV (0.92-->0.96 SL)

lean 0.2

lean 0.4

lean 0.6

lean 0.8

lean 1

30,0%

35,0%

40,0%

45,0%

50,0%

55,0%

60,0%

65,0%

70,0%

0,4 0,6 0,8

Beneficio lean vs EOQ (percentuale) al variare del CV (0.92-->0.96 SL)

lean 0.2

lean 0.4

lean 0.6

lean 0.8

lean 1

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Grafico 14: Beneficio della logica lean rispetto a EOQ in termini assoluti al variare di CV per alti LS

Grafico 15: Beneficio della logica lean rispetto a EOQ in termini percentuali al variare di CV per alti LS

All’aumentare del CV, in termini percentuali il beneficio della logica lean su EOQ è

decrescente per entrambi i range di livelli di servizio, mentre in termini assoluti si nota

che per bassi livelli di servizio (da 0.96% a 0.99%) il beneficio è crescente e per alti livelli

0,000

1000,000

2000,000

3000,000

4000,000

5000,000

6000,000

7000,000

1 2 3

Beneficio lean vs EOQ (assoluto) al variare del CV (0.96-->0.99 SL)

lean 0.2

lean 0.4

lean 0.6

lean 0.8

lean 1

0,0%

10,0%

20,0%

30,0%

40,0%

50,0%

60,0%

70,0%

1 2 3

Beneficio lean vs EOQ (percentuale) al variare del CV (0.96-->0.99 SL)

lean 0.2

lean 0.4

lean 0.6

lean 0.8

lean 1

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di servizio (da 0.96% a 0.99%) il beneficio è decrescente. Questo è dovuto all’andamento

delle scorte, per livelli alti di servizio, della politica lean all’aumentare del CV descritto

precedentemente.

8.1.2 I trasporti

Per quanto riguarda i trasporti, vengono considerate per EOQ e VIS due diverse logiche,

quella “aggregata” e quella “non “aggregata”. Come già spiegato, nella prima modalità

vengono eseguiti alla fine del giorno solo trasporti full truck load (FTL), a meno che,

durante la giornata, non si sia riuscito a saturare neanche un autoveicolo: in tal caso

viene eseguito un tasporto less than truck load (LTL). Nella seconda modalità a fine

giornata tutti i pezzi vengono trasportati, indipendentemente dal livello di saturazione

del veicolo. Tutte le varianti lean usano una modalità di trasporto non aggregato,

mentre per EOQ e VIS sono state simulate entrambe le modalità. È importante

sottolineare che per le varianti EOQ AGG e VIS AGG la giacenza media è pressoché

identifica rispetto a EOQ e VIS, per questo nell’analisi dei valori di inventory sono state

tralasciate.

Vengono studiati sia i trasporti che partono dai primary manufacturer (PM), per i quali

gli autoveicoli hanno capacità pari a 150 unità, sia quelli che partono dal secondary

manufacturer (SM), per i quali gli autoveicoli hanno capacità pari a 450 unità.

Nei Grafici 16, 17, 18, 19 e 20 viene riportato il numero di trasporti medio per ogni

variante del modello e per ogni tipologia di trasporto al variare del LS. I valori sono

relativi solo al coefficiente di variazione pari a 0.8, in quanto per gli altri CV l’andamento

è il medesimo.

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Grafico 16: Numero di trasporti totali al variare del livello di servizio

Grafico 17: Numero di trasporti totali tra SM e Distributor al variare del livello di servizio

7900

8400

8900

9400

9900

10400

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 0,98-->1

Trasporti totali

eoq

vis

lean1

lean08

lean06

lean04

lean 02

eoq AGG

vis AGG

1800

1900

2000

2100

2200

2300

2400

2500

2600

2700

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 0,98-->1

Trasporti totali SM

eoq

vis

lean1

lean08

lean06

lean04

lean 02

eoq AGG

vis AGG

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Grafico 18: Numero di trasporti totali tra PM e SM al variare del livello di servizio

Grafico 19: Numero di trasporti totali Full Track Load al variare del LS

5800

6300

6800

7300

7800

8300

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 0,98-->1

Trasporti totali PM

eoq

vis

lean1

lean08

lean06

lean04

lean 02

eoq AGG

vis AGG

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 0,98-->1

FTL totali

eoq

vis

lean1

lean08

lean06

lean04

lean 02

eoq AGG

vis AGG

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Grafico 20: Numero di trasporti totali Less Than Track Load al variare del LS

Nelle tabelle 5, 6, 7 e 8 è riportato il valore della saturazione al variare del LS, per i

trasporti LTL tra primary manufacturer e secondary manufacturer e tra secondary e

distributor, per tutte levarianti del modello.

LS EOQ VIS EOQ AGG VIS AGG

0,92-->0,94

60,07% 59,14% 65,4% 64,4%

0,94-->0,96

66,04% 66,32% 69,2% 68,9%

0,96-->0,98

72,13% 72,75% 72,6% 73,2%

0,98-->1

77,11% 77,87% 76,0% 72,5%

Tabella 5: Valori di saturazione dei veicoli trasportati in LTL tra PM e SM al variare del livello di servizio (EOQ,VIS)

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

9000

10000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 0,98-->1

LTL totali

eoq

vis

lean1

lean08

lean06

lean04

lean 02

eoq AGG

vis AGG

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LS LEAN 1 LEAN 0.8 LEAN 0.6 LEAN 0.4 LEAN 0.2

0,92-->0,94

55,64% 61,14% 58,5% 59,9% 61,6%

0,94-->0,96

56,56% 62,37% 58,2% 59,1% 61,4%

0,96-->0,98

57,10% 65,03% 57,9% 59,3% 61,3%

0,98-->1

58,93% 65,12% 60,0% 60,9% 60,9%

Tabella 6: Valori di saturazione dei veicoli trasportati in LTL tra SM e D al variare del livello di servizio (LEAN)

LS EOQ VIS EOQ AGG VIS AGG

0,92-->0,94

61,8% 60,4% 78,4% 78,0%

0,94-->0,96

61,7% 60,4% 78,0% 77,8%

0,96-->0,98

61,0% 59,3% 77,7% 78,7%

0,98-->1

59,0% 58,8% 76,3% 79,2%

Tabella 7: Valori di saturazione dei veicoli trasportati in LTL tra SM e D al variare del livello di servizio (EOQ,VIS)

LS LEAN 1 LEAN 0.8 LEAN 0.6 LEAN 0.4 LEAN 0.2

0,92-->0,94

83,0% 82,9% 82,8% 82,7% 83,0%

0,94-->0,96

82,7% 82,7% 82,6% 82,6% 82,6%

0,96-->0,98

82,5% 82,5% 82,3% 82,4% 82,2%

0,98-->1

82,2% 82,2% 82,2% 82,0% 82,1%

Tabella 8: Valori di saturazione dei veicoli trasportati in LTL tra PM e SM al variare del livello di servizio (LEAN)

Nel Grafico 21 viene mostrato il beneficio, in termini di numero di trasporti, della

politica EOQ con trasporto aggregato rispetto alla politica lean, al variare del livello di

servizio. È stato scelto come benchmark la variante EOQ AGG perché, rispetto a EOQ

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senza logica di aggregazione, riporta performance migliori. Il confronto tra lean e VIS

AGG è riportato solo in Appendice perché presenta lo stesso andamento e valori

pressoché uguali.

Grafico 21: Beneficio in termini di numero di trasporti di EOQ AGG rispetto a lean al variare del LS

Dai grafici e dalle tabelle sopra riportate, oltre che dai grafici relativi ai trasporti FTL e

LTL nei diversi tratti della filiera (riportati solo in Appendice per motivi di sintesi) si

giunge alle seguenti conclusioni:

All’aumentare del livello di servizio il numero di trasporti totali decresce per

tutte le varianti del modello. Ciò è dovuto al fatto che un livello di servizio più

alto comporta necessariamente un minor numero di backlog: se un generico

buffer di output riesce a soddisfare la domanda in una giornata, non dovrà

inviare successivamente con un altro trasporto i pezzi che non aveva disponibili

al momento;

0

500

1000

1500

2000

2500

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

Beneficio EOQ AGG vs lean

lean 02

lean 04

lean 06

lean 08

lean 1

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All’aumentare del livello di servizio la diminuzione di trasporti per le varianti lean

è minore rispetto alla riduzione di trasporti per EOQ e VIS e soprattutto rispetto

a EOQ AGG e VIS AGG. Il sistema kanban della logica lean comporta comunque

una maggiore frequenza di ordini e conseguentemente di trasporti rispetto alle

altre varianti;

All’aumentare del livello di servizio la riduzione del lotto nelle varianti lean

comporta un minor decremento del numero di trasporti. Ad esempio la variante

lean 0.2, lavorando su piccoli lotti e frequenti ordini, performa peggio rispetto

alla variante lean 1.

All’aumentare del livello di servizio nella politica lean diminuiscono i trasporti LTL

e aumentano i trasporti FTL. Nel tratto tra secondary e distributor i trasporti

totali rimangono sempre pari a 2000, in quanto ogni giorno avviene un trasporto

(e non più di uno grazie alla modalità di aggregazione nei trasporti), quindi

l’aumento di trasporti FTL è compensato dalla diminuzione di trasporti LTL:

essenzialmente grazie alla riduzione dei backlog alcuni trasporti LTL si

trasformano in FTL. Nel tratto tra primary e secondary invece la riduzione di

trasporti LTL è maggiore rispetto all’aumento di quelli FTL. In questo tratto i

trasporti non avvengono tutti i giorni, sia perché i primary sono 4 e gestiscono

solo 6 items a testa, sia perché generalmente per ogni prodotto vengono

consegnati lotti più grandi, quindi gli ordini ai primary arrivano meno

frequentemente. In tale situazione una diminuzione di backlog impatta

fortemente, comportando un decremento maggiore di trasporti rispetto al caso

precedente.

All’aumentare del livello di servizio nelle politiche EOQ AGG e VIS AGG si

riscontra un andamento uguale alla variante Lean nel tratto tra secondary e

distributor, dovuto alla politica di aggregazione che porta a effettuare un viaggio

al giorno;

La variante lean 1 rispetto a quella lean 0.2 presenta un maggior numero di

trasporti FTL e un minor numero di trasporti LTL nel tratto tra primary e

secondary: questo è dovuto alla diversa dimensione del lotto di produzione: ad

esempio nel caso lean 0.2 il secondary, producendo lotti più piccoli (non più pari

a 54 unità ma pari a 18 unità), invia ordini più piccoli e frequenti al primary,

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aumentando il numero di trasporti LTL, mentre nel caso lean 1, che lavora con

lotti maggiori, il veicolo viene saturato più facilmente. Nel tratto tra secondary e

distributor invece non si riscontrano differenze in quanto in tal caso la

dimensione del lotto non impatta: l’output buffer del secondary essenzialmente

vede direttamente la domanda finale del mercato;

All’aumentare del livello di servizio, le politiche EOQ AGG, VIS AGG, EOQ e VIS

mostrano un aumento della saturazione dei trasporti LTL nel tratto tra primary e

secondary manufacturer. In queste varianti del modello l’ordine che il seconday

invia a monte è pari a 130 unità, quindi al diminuire dei backlog la saturazione

dei veicoli aumenta, mentre per le varianti lean la dimensione dell’ordine è

variabile ma comunque minore. In tutte le altre casistiche il valore della

saturazione non mostra trend significativi;

Le varianti del modello che utilizzano trasporti aggregati, EOQ e VIS, hanno un

valore di saturazione nel tratto tra primary e secondary decisamente inferiore

rispetto alle altre varianti (60% rispetto a 80%): la politica di non aggregazione

porta infatti a effettuare molti trasporti insaturi.

Nei Grafici 22 e 23 è mostrato il beneficio in termini di numero di trasporti della politica

EOQ AGG rispetto a Lean, all’aumentare del CV, rispettivamente per valori bassi (da

0.92% a 0.96%) e per valori alti (da 0.96% a 0.99%) di livello di servizio.

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Grafico 22: Beneficio di EOQ con trasporto aggregato rispetto a lean al variare del CV per bassi LS

Grafico 23: Beneficio di EOQ con trasporto aggregato rispetto a lean al variare del CV per bassi LS

Il beneficio di EOQ AGG rispetto a lean è decrescente. Questo andamento significa che

all’aumentare del CV, per qualsiasi livello di servizio, nella politica lean l’aumento di

trasporti è minore rispetto all’aumento di trasporti per la variante EOQ AGG. Il motivo

risiede nel fatto che anche per CV bassi nella politica lean i trasporti avvengono

praticamente tutti i giorni, mentre per EOQ aggregato questo non accade: perciò

0

500

1000

1500

2000

0,4 0,6 0,8

Beneficio EOQ AGG vs lean al variare del CV (0.92-->0.96 SL)

lean1

lean08

lean06

lean04

lean 02

0

500

1000

1500

2000

2500

0,4 0,6 0,8

Beneficio EOQ AGG vs lean al variare del CV (0.96-->0.99 SL)

lean1

lean08

lean06

lean04

lean 02

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l’aumento di variabilità impatta maggiormente su EOQ rispetto a lean in termini di

numero di viaggi.

8.1.3 Il costo totale

Per ogni variante del modello, viene calcolato il costo medio annuale che deve sostenere

la supply chain. Tale costo è composto da due addendi, quello relativo alle scorte e

quello relativo ai trasporti.

Come già accennato, il costo di mantenimento a scorta è calcolato come:

Il valore della giacenza media per ogni variante è il risultato delle simulazioni, mentre il

valore unitario, cioè il costo della merce, è fissato pari a 100€ e il TAMS è pari a 20%.

Il costo relativo ai trasporti, come già accennato, viene calcolato in due modi diversi.

Nel primo caso il costo è funzione del costo unitario dei pezzi, più precisamente:

Il costo logistico rappresenta una percentuale del valore unitario della merce relativa al

costo del trasporto e assume un valore variabile in tale analisi. Il numero di pezzi

all’anno ,calcolato in base alla domanda media giornaliera e al numero di giorni

lavorativi, vale 84480 unità.

Il costo unitario per pezzo è il parametro che cambia per ogni variante del modello.

L’ipotesi alla base è che i pezzi trasportati in LTL costino il 30% in più rispetto a quelli

trasportati in FTL. Perciò per ogni range di livello di servizio e per ogni variante del

modello viene identificato un valore del costo per pezzo tramite la seguente formula:

Nel secondo caso il costo del trasporto è funzione del numero di trasporti:

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Il coefficiente di trasporto è il parametro che cambia per i diversi range di livello di

servizio e per ogni variante del modello, e viene calcolato come rapporto tra il numero

di viaggi

reale e il numero di viaggi ideale (parametro fisso calcolato in base alle capacità dei

veicoli, alla domanda media e al numero di giorni simulati in una run ).

Il Grafico 24 riporta l’andamento del costo totale della supply chain per ogni variante del

modello al variare del LS, con il parametro relativo al costo logistico fissato al 2%, per la

politica di trasporto basata sul costo per pezzo. Tali valori e quelli compresi nei

successivi grafici fanno riferimento al caso in cui il coefficiente di variazione della

domanda sia pari a 0.8, in quanto gli andamenti per gli altri CV sono gli stessi e perciò

riportati solo in Appendice. Come si evince dal grafico, all’aumentare del livello di

servizio il costo totale è crescente. Siccome il numero di trasporti e di conseguenza il

costo del trasporto è decrescente, tale andamento è dettato dall’aumento delle scorte e

di conseguenza del relativo costo. È importante ricordare che questo andamento deriva

dal valore di costo logistico (2%) e di tasso annuo di mantenimento a scorta (20%),

valori che risultano tuttavia decisamente realistici.

Grafico 24: Andamento del costo totale all’aumentare del livello di servizio

250000

270000

290000

310000

330000

350000

370000

390000

410000

430000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

Costo totale

EOQ

VIS

EOQ AGG

VIS AGG

Lean_1_0

Lean_0,8_0

Lean_0,6_0

Lean_0,4_0

Lean_0,2_0

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In questa analisi i valori relativi alla politica lean vengono confrontati con quelli relativi a

EOQ AGG, che risulta essere più performante rispetto a EOQ, in quanto mantiene lo

stesso livello di scote ma presenta un numero di trasporti inferiore. In Grafico 25 è

mostrato il beneficio assoluto in termini di costo delle politiche lean rispetto a EOQ AGG,

sempre con i parametri di costo logistico e TAMS fissati a 2% e 20%: tale beneficio risulta

essere

crescente all’aumentare del livello di servizio, quindi per questi parametri i benefici in

termini di scorte della lean sono sempre più rilevanti rispetto ai benefici in termin di

viaggi per EOQ AGG. Tale andamento è maggiore per le varianti lean con diminuzione

dei lotti.

Grafico 25: Beneficio di lean rispetto a EOQ AGG al variare del livello di servizio

0

20000

40000

60000

80000

100000

120000

Beneficio lean vs EOQ AGG

Lean_1_0

Lean_0,8_0

Lean_0,6_0

Lean_0,4_0

Lean_0,2_0

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L’analisi sui costi totali viene viene effettuata facendo variare un parametro ρ pari al

rapporto tra costo logistico e TAMS. Come si evince dalla Tabella 9, in realtà il TAMS

viene

lasciato invariato, quindi è solo il costo logistico a modificare il rapporto ρ.

TAMS Costo log

ρ TAMS Costo log

ρ

20 0,5 0,025 20 8,5 0,425

20 1 0,05 20 9 0,45

20 1,5 0,075 20 9,5 0,475

20 2 0,1 20 10 0,5

20 2,5 0,125 20 10,5 0,525

20 3 0,15 20 11 0,55

20 3,5 0,175 20 11,5 0,575

20 4 0,2 20 12 0,6

20 4,5 0,225 20 12,5 0,625

20 5 0,25 20 13 0,65

20 5,5 0,275 20 13,5 0,675

20 6 0,3 20 14 0,7

20 6,5 0,325 20 14,5 0,725

20 7 0,35 20 15 0,75

20 7,5 0,375 20 15,5 0,775

20 8 0,4 20 16 0,8

Tabella 9: Valori del rapporto ρ al variare del costo logistico

In Grafico 26 è mostrato il risparmio percentuale delle politiche lean rispetto a EOQ AGG

al variare del rapporto ρ. I valori sono calcolati tramite la media per tutti i livelli di

servizi. All’aumentare del rapporto il beneficio è decrescente, fino al punto in cui la

politica EOQ AGG risulta più conveniente: ovviamente aumentando sempre di più il

costo logistico, gli aggravi della politica lean in termini di trasporto non sono più

compensati dai benefici relativi al minor costo delle scorte. Nel Grafico 27 sono riportati,

all’aumentare del livello di servizio, i valori di ρ per cui il risparmio delle varianti lean

rispetto a EOQ AGG è nullo: le curve di break-even risultano crescenti.

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Grafico 26: Beneficio percentuale di lean rispetto a EOQ AGG al variare di ρ (politica di costo dei

trasporti in funzione del costo unitario dei pezzi)

Grafico 27: Curve di break-even del beneficio tra lean e EOQ AGG al variare del livello di servizio

Per quanto riguarda la seconda modalità di calcolo del costo del trasporto, tutti gli

andamenti visti nel caso del costo in funzione dei pezzi sono confermati. È utile però

mostrare il risparmio di lean rispetto a EOQ AGG per questa seconda modalità di calcolo.

Nel Grafico 28 si vede che i valori per cui si annulla il beneficio della politica lean sono

inferiori rispetto al caso precedente: questo è dovuto al fatto che, siccome il focus è sul

numero di viaggi e non più sui pezzi trasportati, il costo logistico impatta maggiormente

sulla politica lean rispetto a prima.

-10%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

0,04 0,16 0,28 0,40 0,52 0,64 0,76

Savi

ngs

ρ

Savings lean Vs EOQ AGG (1)

Lean_20%

Lean_40%

Lean_60%

Lean_80%

Lean_100%

-

0,20

0,40

0,60

0,80

1,00

1,20

1,40

92% 93% 94% 95% 96% 97% 98%

ρ

Service level

Curve di break-even lean vs EOQ AGG

Lean_100%

Lean_60%

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Grafico 28: Beneficio percentuale di lean rispetto a EOQ AGG al variare di ρ (politica di costo logistico in

funzione del numero di trasporti)

Per quanto riguarda il confronto tra i costi totali nei diversi scenari di variabilità della

domanda, i Grafici 29 e 30 mostrano il beneficio assoluto (quello percentuale ha il

medesimo andamento) dela politica lean rispetto a EOQ AGG al variare del CV,

rispettivamente per valori bassi (da 0.92% a 0.96%) e alti (da 0.96% a 0.99%) di livello di

servizio. Tali grafici sono relativi alla politica di costo del trasporto basata sul costo per

pezzo.

Nei Grafici 31 e 32 viene effettuato il medesimo confronto, ma nel caso di costo del

trasporto calcolato in base al numero di viaggi.

In entrambe le modalità di calcolo, all’aumentare del CV il beneficio della politica lean

risulta crescente per bassi valori di livello di servizio. All’aumentare del livello di servizio

invece l’andamento è diverso: nel primo caso il beneficio mediamente decresce, nel

secondo caso invece rimane crescente. Questa differenza è dovuta al fatto che nel

primo caso il costo di trasporto è in base ai pezzi trasportati, e come si è già visto, la

politica lean all’aumentare del CV per livelli di servizi alti aumenta le proprie scorte in

modo più che proporzionale. Nel secondo caso, siccome il costo di trasporto è relativo al

numero di viaggi, questa peculiarità della logica lean impatta molto meno.

-20%

-10%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

0,025 0,1 0,175 0,25 0,325 0,4 0,475

Savi

ngs

µ

Savings Lean Vs EOQ (2)

Lean_100%

Lean_60%

Lean_20%

LEAN_80%

LEAN_40%

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Grafico 29: Beneficio assoluto in termini di costo di lean rispetto a EOQ AGG al variare del CV per bassi

livelli di LS (politica di costo dei trasporti in funzione del costo unitario dei pezzi)

Grafico 30: Beneficio assoluto in termini di costo di lean rispetto a EOQ AGG al variare del CV per alti

livelli di LS (politica di costo dei trasporti in funzione del costo unitario dei pezzi)

0

10000

20000

30000

40000

50000

60000

70000

80000

0.4 0.6 0.8

Beneficio lean vs EOQ AGG (0.92-->0.96 SL)(1)

Lean_1_0

Lean_0,8_0

Lean_0,6_0

Lean_0,4_0

Lean_0,2_0

0,00

20000,00

40000,00

60000,00

80000,00

100000,00

120000,00

0.4 0.6 0.8

Beneficio lean vs EOQ AGG (0.96-->0.9 SL) (1)

Lean_1_0

Lean_0,8_0

Lean_0,6_0

Lean_0,4_0

Lean_0,2_0

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Grafico 31: Beneficio assoluto in termini di costo di lean rispetto a EOQ AGG al variare del CV per bassi

livelli di LS politica di costo logistico in funzione del numero di trasporti)

Grafico 32: Beneficio assoluto in termini di costo di lean rispetto a EOQ AGG al variare del CV per alti

livelli di LS (politica di costo logistico in funzione del numero di trasporti)

0

10000

20000

30000

40000

50000

60000

0.4 0.6 0.8

Beneficio lean vs EOQ AGG (0.92-->0.96 SL)(2)

Lean_1_0

Lean_0,8_0

Lean_0,6_0

Lean_0,4_0

Lean_0,2_0

0

10000

20000

30000

40000

50000

60000

70000

0.4 0.6 0.8

Beneficio lean vs EOQ AGG (0.96-->0.99 SL)(2)

Lean_1_0

Lean_0,8_0

Lean_0,6_0

Lean_0,4_0

Lean_0,2_0

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8.2 Confronto tra i modelli mono-prodotto e multi-prodotto

Il confronto tra i valori ottenuti dalle simulazioni dei due diversi modelli verrà effettuto

solo in termini di inventory del sistema in quanto i trasporti non risultano comparabili,

sia nel tratto tra PM e SM, sia nel tratto tra SM e D. Per quanto riguarda il primo, un

confronto sarebbe impossibile data la compresenza di quattro fornitori nel modello

multi-prodotto contro uno solo nel modello mono-prodotto, il che comporta un

inevitabile incremento di trasporti. Il numero di trasporti nel caso multi non è tuttavia

pari semplicemente a 4 volte quello del mono, poichè ogni fornitore gestisce solo una

parte della gamma e quindi gli ordini possono variare tra un fornitore e l’altro; inoltre la

somma della capacità dei veicoli nel caso multi è superiore rispetto alla capacità del

veicolo nel caso mono, in quanto è necessario avere dello spazio di “scorta” per

sopperire ad eventuali backlog (altro elemento che rende difficile la comparazione).

Per quanto riguarda il tratto tra SM e D la motivazione del mancato confronto risiede nel

numero assoluto dei trasporti: siccome i trasporti comprendono tutti i prodotti

indifferentemente, nel caso multi-prodotto la variabilità della domanda impatta

pochissimo: il numero di trasporti rimane sempre pari a 2000 (con bassissime

fluttuazioni), pari a un trasporto al giorno. Tale stabilità non sussiste in un contesto

mono-prodotto, in cui la variabilità della domanda impatta maggiormente perchè non

compensata dagli altri prodotti. La Tabella 10 è esemplificativa in tal senso.

MULTI MONO

LS EOQ AGG

VIS AGG

LEAN EOQ AGG VIS AGG LEAN

0,92-->0,94

2000,2 2000,1 2000,0 1969,1 2016,9 2189,9

0,94-->0,96

1999,8 1999,9 2000,0 1969,0 1988,6 2200,8

0,96-->0,98

2000,2 2000,0 2000,0 1980,1 1976,6 2225,0

0,98-->1 2000,1 2000,0 2000,0 1956,3 1965,1 2239,5

Tabella 10: Valore dei trasporti tra DM e D all’aumentare del LS nel caso CV 0.8

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8.2.1 Il modello EOQ

La logica del lotto economico applicata in un contesto multi-prodotto evidenzia quelle

che sono le criticità che si incontrano per evadere la domanda, mantenendo una

lottizzazione elevata e basandosi esclusivamente sulla propria Inventory position. La

presenza di domanda di più prodotti si traduce inevitabilmente nell’aumento più che

proporzionale del livello di scorte, il quale diventa particolarmente critico per alti valori

di service-level. La causa dell’incremento di scorte rispetto a un caso monoprodotto,

nonostante i parametri siano stati replicati e suddivisi su 24 prodotti in modo da

rispecchiare al meglio le caratteristiche del modello iniziale, sono imputabili

all’impossibilità di produrre un determinato lotto nel momento ottimale, dato che la

capacità produttiva potrebbe essere in quel momento dedicata alla produzione di un

altro lotto. Anche in una supply-chain mono-prodotto l’aumento del livello di servizio

ricercato si traduce in un aumento delle scorte a livello sistemico, ma quest’ultimo

segue un andamento pressoché lineare (Grafico 33).

Grafico 33: Andamento delle scorte di EOQ all’aumentare del LS nel caso mono e multi

Nei tratti iniziali, non si notano grosse differenze tra le pendenze delle due curve,

tendenza che cambia per livelli di servizio più alti. Questo è dovuto al fatto che

l’incremento del numero di scorte necessario per raggiungere alti livelli di performance,

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 0,98-->1

Inventory EOQ multi vs EOQ mono

EOQ_multi

EOQ_mono

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in un contesto mono-prodotto, deve coprire esclusivamente la variabilità di un solo item

e seguire quindi

la richiesta dello stesso con la sicurezza di avere sempre capacità produttiva dedicata,

mentre in una supply-chain multi-prodotto bisogna coprire e tenere in considerazioni

che la capacità produttiva potrebbe non essere disponibile al momento del bisogno.

8.2.2 Il modello visibility

Come già spiegato prededentemente, la logica utilizzata dalla variante visibility nel

modello mono-prodotto non può essere replicata nel modello multi-prodotto. Proprio

questa differenza di regola permette di avere un andamento uguale, in termini di

pendenza delle curve, sia per il contesto mono sia in quello multi (Grafico 34).

Grafico 34: Andamento delle scorte di VIS all’aumentare del LS nel caso mono e multi

La sostanziale uguaglianza tra l’andamento delle due curve diventa però più che

rilevante se si tiene in considerazione il confronto con la politica EOQ (Grafico 35).

0

2000

4000

6000

8000

10000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 0,98-->1

Inventory VIS multi vs VIS mono

VIS_multi

VIS_mono

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Grafico 35: Andamento delle scorte di VIS e EOQ all’aumentare del LS nel caso mono e multi

Mentre nel caso mono-prodotto le due curve andavano a convergere per alti livelli di

servizio (quindi si annullavano i benefici di una politica rispetto all’altra), nel caso di una

supply-chain multi-prodotto le due curve (EOQ e VIS) assumono all’incirca lo stesso

andamento: rimangono quindi costanti i benefici della politica visibility rispetto a EOQ

anche per livelli di servizio elevati. La motivazione risiede all’interno della regola di

anticipo di produzione dei lotti: nel caso mono-prodotto la gestione prevede l’analisi

separata del reorder point del proprio buffer e del buffer a valle, ponendo un livello fisso

di anticipo di produzione rispetto al momento previsto in cui avverrà l’ordine. Sebbene

anche nella regola multi-prodotto l’anticipo venga mantenuto sempre costante, esso

interagisce direttamente con il livello di reorder point del proprio buffer. In questo

modo si tiene in considerazione l’interazione tra i due parametri facendo sì che il

modello si autoregoli e mantenga sempre marginalità rispetto alla casistica EOQ.

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 0,98-->1

Inventory EOQ e VIS (mono e multi)

EOQ_multi

EOQ_mono

VIS_mono

VIS_multi

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8.2.3 Il modello kanban

La politica lean è quella che garantisce i confronti più interessanti tra i due modelli

analizzati. Una prima differenza viene riscontrata osservando i benefici ottenuti dalla

riduzione del lotto nelle politiche lean. Infatti, riducendo le dimensioni del lotto, si

osservano benefici maggiori per un contesto multi-prodotto. Questo avviene perché la

flessibilità del produttore nel caso multi-prodotto ottiene un doppio beneficio: da una

parte la riduzione del lotto provoca un decremento delle scorte dovuto propriamente

alla lottizzazione (componente presente anche nel modello monoprodotto), dall’altra la

riduzione di lotti (e set up) porterebbe l’attesa media dovuta alla produzione di altri

items a dimezzarsi, aspetto impossibile da cogliere in un caso mono-prodotto. Il Grafico

36 riporta il beneficio percentuale in termini di scorte dovuto alla riduzione del lotto, sia

nel caso mono che multi-prodotto: esso risulta maggiore per il modello multi-prodotto.

Grafico 36: Andamento del beneficio percentuale della riduzione del lotto per mono e multi

0,0%

10,0%

20,0%

30,0%

40,0%

50,0%

lean 0.8 lean 0.6 lean 0.4 lean 0.2

Beneficio % della riduzione del lotto (mono vs multi)

riduz-lotto multi

riduz.lotto mono

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Un’analisi particolarmente interessante è relativa al confronto tra il modello mono-

prodotto e quello multi-prodotto del beneficio della politica lean su EOQ.

Mettendo a confronto le due diverse politiche, passando da un caso mono a uno multi,

la politica lean riesce a rispondere meglio alle criticità generate dall’introduzione di più

prodotti, in quanto riesce a seguire meglio la domanda reale rispetto a EOQ, la cui

politica di lottizzazione comporta un’incremento esponenziale di scorte all’aumentare

del numero di prodotti.

Andando a osservare i guadagni che ottiene una politica lean confrontata con una

politica EOQ (Tabella 11), osserviamo che sia il monoprodotto che il multi, all’aumentare

del SL, ottengono dei risparmi, anche se, seguono trend diversi: difatti, in una SC

monoprodotto, all’aumentare del coeficiente di varazione della domanda, e sempre

raffrontando tra loro una politica lean e una eoq, il guadagno in termini di valore

assoluto delle scorte diviene decrescente (-22,1% sui valori assoluti passando da un CV

04 a un CV 08); lo stesso vale nel multiprodotto, ma con la differenza che in quest’ultimo

caso la decrescita della differenza di scorte all’aumentare del CV è così piccola da potersi

considerare quasi costante (-1,1% sui valori assoluti passando da un cv 04 a un cv 08).

Nella pratica questo si traduce nel fatto che, sostanzialmente, in un contesto

multiprodotto, il guadagno di una politica lean rispetto a una eoq (con coefficienti di

variazione uguali per le due politiche) non risente particolarmente dell’eventuale

cambiamento della variablità di domanda. In un contesto monoprodotto, invece, la

marginalità in termini di scorte assolute della politica lean rispetto a quella EOQ, risente

negativamente dell’aumento del coefficiente di variazione.

É importante sottolineare che le considerazioni appena fatte circa il multiprodotto sono

basate sulle scorte corrispondenti a un valore medio. Come già accennato e come si

spiegherà meglio nel corso del paragrafo, una politica lean, rispetto a una EOQ e

all’aumentare del CV, ottiene risparmi per livelli di servizio bassi (92%->96%) mentre

inverte il trend per livelli più alti.

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MULTI Lean_medio-EOQ_multi

Liv Servizio cv 04 cv 06 cv 08

0,92-->0,94 3109 3346 3425

0,94-->0,96 3615 3729 3776

0,96-->0,98 4019 3964 3863

0,98-->1 4930 4748 4441

Mean gap 3918 3947 3876

MONO Lean_medio-EOQ_mono

Liv Servizio cv 04 cv 06 cv 08

0,92-->0,94 3558 3007 2884

0,94-->0,96 3840 3295 3194

0,96-->0,98 4029 3447 3345

0,98-->1 3892 3520 3119

Mean gap 3830 3317 3136

Tabella 11: Beneficio in termini assoluti di lean rispetto a EOQ al variare di CV e LS

Dal punto di vista del risparmio di scorte percentuale, invece, entrambe le casistiche (mono e

multi) all’aumentare del coefficiente di variazione, mostrano un trend negativo ma, tenendo in

considerazione quanto detto sopra, molto più smorzato per la casistica multi

(-3.3% contro -17.5%), come mostrato in Tabella 12.

MULTI Lean_medio_multi

Liv Servizio cv 04 cv 06 cv 08

0,92-->0,94 50% 51% 50%

0,94-->0,96 51% 50% 49%

0,96-->0,98 49% 47% 45%

,98-->1 51% 47% 43%

Mean gap 50% 49% 47%

MONO Lean_medio_mono

Liv Servizio cv 04 cv 06 cv 08

0,92-->0,94 66% 54% 48%

0,94-->0,96 65% 54% 48%

0,96-->0,98 63% 52% 46%

,98-->1 58% 48% 40%

Mean gap 63% 52% 45%

Tabella 11: Beneficio in termini percentuali di lean rispetto a EOQ al variare di CV e LS

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Una variabile decisamente rilevante nel confronto tra i due modelli è il coefficiente di

variazione della domanda. In Grafico 37 sono riportate le curve relative al livello di

inventory delle politiche lean, EOQ e VIS nel modello multi per CV 0.8.

Grafico 37: Andamento delle scorte per le diverse politiche nel caso multi-prodotto

Osservando un singolo coefficiente di variazione della domanda, le differenze tra lean

mono e lean multi sembrano essere uguali a quelle riscontrate precedentemente per

l’EOQ (la curva del multi-prodotto cresce esponenzialmente mentre quella relativa al

mono cresce linearmente). Estendendo l’osservazione anche all’incremento del

coefficiente di variazione ci si accorge però che si incorre in una sostanziale differenza:

-Nel caso monoprodotto, un incremento del CV porta a una traslazione della curva

verso l’alto, mantenendo però sostanzialmente il parallelismo tra le stesse.

-Nel caso multiprodotto, focalizzandosi su livelli di servizio medio bassi, un incremento

del CV porta a una leggerissima translazione verso l’alto delle curve. Osservando i livelli

di servizio medio-alti invece ci si accorge che il gap tra le curve viene esasperato

all’aumentare del cv, falsificando così la condizione di sostanziale parallelismo delle

stesse (condizione presente nel modello monoprodotto). Tali andamenti sono

riscontrabili nei Grafici 38 e 39.

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

ANDAMENTO LEAN EOQ VIS (MULTI CV 08)

EOQ_multi VIS_multi Lean_1_multi leanmedio multi

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Grafico 38: Andamento delle scorte per lean medio nel caso multi-prodotto per tutti i CV

Grafico 39: Andamento delle scorte per lean medio nel caso mono-prodotto per tutti i CV

Provando ora ad analizzare i risultati delle due tipologie di supply-chain (mono-multi)

all’aumentare del coefficiente di variazione, ci si accorge che, passare da uno scenario

mono-prodotto a uno multi-prodotto, non comporta solamente variazioni in termini di

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

service level

Lean medio multi (diversi cv)

Lean_medio_multi_cv 08 Lean_medio_multi_cv06

Lean_medio_multi_cv04

0

1000

2000

3000

4000

5000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

service level

Lean medio mono (diversi cv)

Lean_medio_mono_cv08 Lean_medio_mono_cv 06

Lean_medio_mono_cv 04

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livello assoluto di scorte, ma anche cambiamenti circa l’andamento delle curve

all’aumentare del CV, come mostrato nei Grafici 40 e 41.

Grafico 40: Andamento delle scorte per lean medio e EOQ nel caso mono-prodotto per tutti i CV

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

Service level

Andamenti delle curve lean/eoq in un modello monoprodotto

EOQ_mono_cv08 EOQ_mono_cv06

EOQ_mono_cv04 Lean_medio_mono_cv08

Lean_medio_mono_cv 06 Lean_medio_mono_cv 04

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Grafico 41: Andamento delle scorte per lean medio e EOQ nel caso multi-prodotto per tutti i CV

Come già accennato, e come lascia intuire il grafico, in un contesto monoprodotto

l’aumento del coefficiente di variazione, non cambia sostanzialmente gli andamenti

delle politiche EOQ e lean ma si limitana a traslarle verso l’alto (traslazione più marcata

per la lean che per l’eoq poiché le maggiori scorte presenti in un sistema eoq tendono a

mascherare la criticità portata dall’incremento del coefficiente di variazione).

Lo stesso effetto (traslazione verso l’alto) si può riscontrare con l’incremento del CV in

un contesto multiprodotto EOQ, ma non si può egualmente dire per la politica lean. Essa

infatti reagisce al cambiamento del CV in maniera ottima per livelli di servizio compresi

tra il 92% e il 94% non alterando significativamente il livello di scorte necessario a

raggiungere l’obiettivo, oltre questa soglia (94% ->99%) l’aumento di scorte necessario

all’innalzamento del livello di servizio è crescente al crescere del cv della domanda.

Inoltre possiamo notare come, al ridursi del lotto, una supply chain multiprodotto riesce

quasi a replicare l’andamento di quella monoprodotto (Grafico 42).

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

Serviice level

Andamenti delle curve lean/eoq in un modello multiprodotto

Lean_1_multi_cv08 Lean_1_multi_cv04 EOQ_multi_cv 08

EOQ_multi_cv06 EOQ_multi_cv04 Lean_1_multi_cv06

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Grafico 41: Andamento delle scorte per lean 0.2 nel caso mono e multi-prodotto per tutti i CV

Se provassimo infatti a esasperare la riduzione del lotti, fino ad arrivare a una

lottizzazione unitaria, si tornerebbe a una condizione del tutto simile alla casistica

monoprodotto. Questa tendenza si traduce nel fatto che, al ridursi della lottizzazione e

al crescere del

coefficiente di variazione, in un contesto multiprodotto, va sfumando il graduale

incremento di scorte per livelli di servizio crescente.

LEAN CV08-LEANCV04 (TERMINI PERCENTUALI)

MULTI Lean_1_multi

Lean_0,8_multi

Lean_0,6_multi

Lean_0,4_multi

Lean_0,2_multi

0,92-->0,94 4% 3% 4% 15% 19% 0,94-->0,96 6% 7% 9% 19% 17% 0,96-->0,98 12% 14% 17% 22% 18%

,98-->1 22% 18% 20% 25% 29%

mean gain 17% 15% 16% 10% -1%

MONO Lean_1_mono

Lean_0,8_mono

Lean_0,6_mono

Lean_0,4_mono

Lean_0,2_mono

0,92-->0,94 80% 70% 48% 60% 71% 0,94-->0,96 74% 66% 61% 63% 72% 0,96-->0,98 76% 69% 69% 68% 72%

,98-->1 73% 66% 60% 54% 69%

Mean gain

-7% -4% -1% -6% -2%

0

1000

2000

3000

4000

5000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

service level

LEAN 02 MULTI/MONO cv 08,04

Lean_medio_multi_cv 08 Lean_medio_mono_cv08

Lean_medio_mono_cv 04 Lean_medio_multi_cv04

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Si torna in questo modo a una sostanziale condizione di parallelismo tra le curve e

quindi riprendendo le considerazioni fatte per il monoprodotto: un incremento del

coefficiente di variazione si limita a traslare verso l’alto le curve (sia EOQ che lean). I dati

che dimostrano ciò sono quelli derivanti dalla curva lean 02 multiprodotto e questo

accade perché riducendo dell’80% il tempo di set up (e quindi anche il lotto) si riesce a

produrre l’intera gamma nell’arco della giornata così da emulare una casistica

monoprodotto.

Per riassumere, in un contesto monoprodotto, considerare il coefficiente di variazione

risulta importante ai fini della marginalità che si ottiene considerando il gap con una

politica EOQ (o di visibility), ma non per quanto riguarda l’aumento percentuale di

scorte necessario all’aumento del livello di servizio, che è pressoché uguale anche al

variare del coefficiente di variazione.

In un contesto multiprodotto, invece, il coefficiente di variazione agisce su entrambi i

fronti, sia trasla verso l’alto le curve, sia, per aumentare il livello di servizio, comporta

sempre un maggior livello di scorte sistemico, all’aumentare dello stesso. In aggiunta,

questa seconda affermazione va scemando al diminuire del lotto, poiché, a conti fatti,

riduce le differenze basilari tra una casistica mono e multi-prodotto, evidenziando in tal

modo come un’apparentemente ininfluente riduzione dei tempi di set up, se ben

gestita, può avere effetti importanti dal punto di vista della flessibilità alla produzione.

8.2.4 Approfondimento sulla logica di visibility

Riguardo la visibility è già stato più volte evidenziato che fare un confronto tra modello

mono e multi sarebbe stato un po’ forzato. Tuttavia il paragone può evidenziare quelle

che sono le differenze tra approccio mono e multi. Infatti quanto già detto per la lean,

circa la criticità portata dalla compresenza di più items e il conseguente aumento di

scorte più che proporzionale rispetto a un caso mono-prodotto, può essere

ragionevolmente applicato e meglio compreso tramite la logica visibility. Usando questa

logica, se provassimo a non considerare il vincolo della capacità produttiva, o meglio, il

fatto che il reparto produttivo sia dedicato per ogni intervallo di tempo ad un solo

prodotto (essenzialmente andando a replicare le regole usate nel modello mono-

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prodotto anche in quello multi), ci ritroveremmo in una condizione anomala: la visibility

comporterebbe un numero di scorte maggiori rispetto all’EOQ (a parità di service level),

come si evince dal Grafico 42 e dalla Tabella 13.

Grafico 42: Andamento delle scorte di EOQ e VIS multi (con regola di visibility del mono-prodotto)

Liv Servizio EOQ_multi VIS_multi VARIAZIONE

0,92-->0,94 6824 7001 -177

0,94-->0,96 7654 7985 -331

0,96-->0,98 8644 9397 -753

0,98-->1 10301 11542 -1241

Tabella 13: Differenza di scorte tra EOQ e VIS (con regola di visibility del mono-prodotto)

Questo è dovuto al fatto che la produzione dei vari lotti viene posticipata rispetto a

quanto fatto dall’EOQ. Questo posticipo “miope” però sfocia, al momento della

produzione, in una forte criticità, ovvero l’impossibilità di produrre più lotti

contemporaneamente. Il risultato è il posticipo ulteriore dei lotti che non si riescono a

produrre nell’istante temporale precedentemente schedulato, fatto che a sua volta

porterà a stock-out e al crollo del livello di servizio. Livello di servizio che può essere

rialzato soltanto tramite un aumento delle giacenze. Tutto ciò assume sempre più

importanza con l’aumentare del livello di servizio poiché le scorte necessarie per

raggiungere alti livelli di performance dovranno coprire una porzione della “campana”

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

14000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

Inventory EOQ e VIS

EOQ_multi VIS_multi

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della domanda sempre maggiore. In conclusione, la politica visibility, se non

adeguatamente gestita, è quella che più delle altre viene influenzata dalla criticità

dovuta all’aumento della gamma, ma, proprio per questo, spiega al meglio la caduta di

performances di una supply chain multi-prodotto rispetto a una mono-prodotto

(analizzando politiche uguali per le due). Quanto sopra detto, impone la necessità di

modificare le regole che gestiscono la visibility e, come già descritto, le regole utilizzate

per la visibility multi-prodotto contengono l’idea generale presa dalla letteratura con

l’aggiunta di una componente progettata ad hoc, la quale permette di autoregolare il

momento della produzione con l’aumentare del livello di servizio, creando una

differenza di andamento delle performances tra mono-prodotto e multi (all’aumentare

del livello di servizio) più rilevante delle altre politiche. La necessità di questo

cambiamento risiede dunque nel fatto che le regole che gestiscono la visibility sono le

più influenzate dal passaggio da mono a multi.

8.2.5 Approfondimento sulla definizione del tempo di set-up

È necessario fare qualche specificazione su come è stato cambiato il modello mono-

prodotto al fine di renderlo multi, più precisamente circa i tempi di setup: il mono-

prodotto “originale” portava con sé un tempo di set up che non si è potuto convertire

alla perfezione nella casistica multi poiché troppo piccolo per essere suddiviso su una

gamma di 24 prodotti. Pena, presenza di set up prossimi allo zero e dunque sostanziale

impossibilità di osservare dei benefici ragionevoli circa le riduzioni dei lotti nella politica

lean, oltre che una probabile mancata corrispondenza con un contesto reale. Per questo

motivo è stato settato nel multi-prodotto un valore di set up tale per cui la media dei set

up dei 24 prodotti fosse pari al tempo di set up usato nel modello mono-prodotto

(casistica A). Di fondamentale importanza resta il tempo di produzione del lotto:

quest’ultimo deve rimanere invariato passando dal modello mono-prodotto a quello

multi (considerando ovviamente la somma dei tempi di produzione dei 24 prodotti) in

modo tale da mantenere costante la saturazione. Conseguenza diretta di ciò è stata

l’abbassarsi dei tempo di produzione del singolo pezzo (seppur di poco). Questa scelta è

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stata condotta considerando l’importanza della saturazione dei produttori: la

saturazione influisce notevolmente sulla flessibilità, componente fondamentale per la

politica lean (focus principale del nostro studio). L’alternativa sarebbe stata aumentare

notevolmente il tempo di set up del modello mono-prodotto in modo da ottenere un

tempo che fosse pari alla somma dei tempi di set up del modello multi-prodotto

(casistica B), scelta che tuttavia avrebbe penalizzato molto i livelli di scorte della politica

lean mono-prodotto avvicinandoli notevolmente ai livelli di eoq e visibility (che risultano

meno penalizzati dall’introduzione di un elevato tempo di set up, dato che la

saturazione complessiva rimane costante). Questo si sarebbe convertito in un guadagno

ridotto (mono) della politica lean rispetto a eoq e visibility, rendendo così ovvio e

sensibilmente maggiore il guadagno di una politica lean, comparato alle altre, usato in

un modello multi anziché mono.

Riassumendo, le alternative, posto Tset up mono fisso e uguale a K erano:

Tset up mono = K e Tmedio set up multi = K (caso A)

Tset up mono = n items trattati × K e Tmedio set up multi = K (caso B)

Tset up mono = K e Tmedio set up multi = K/n items trattati (caso C)

NB il numero di prodotti gestiti da un singolo primary e dal secondary sono differente, così come i set up

Sotto i vincoli che, in qualsiasi alternativa e in entrambi i livelli dei modelli:

Tutte le alternative devono comunque mantenere una saturazione degli impianti

pari a 80%

Tproduzione lotto mono + Tset up mono = n items trattati × (Tproduzione lotto multi + Tset up multi)

Andando a confrontare le alternative (considerando che l’aumento dei tempi di set up, ha

un maggior impatto sulle politiche lean che su quelle EOQ e VIS), in termine di

differenza multi mono si può osservare che:

Posto

Δmo, k = differenza di scorte a sistema tra caso lean e eoq mono-prodotto

Δmu, k = differenza di scorte a sistema tra caso lean e eoq multi-prodotto

Con K=

Si otterrà:

Δmu,C - Δmo,C > Δmu,B - Δmo,B > Δmu,A - Δmo,A

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Essenzialmente, se, nonostante l’handicap, il modello multi-prodotto della casistica

adottata (A) avesse ottenuto delle buone performances, ciò avrebbe significato che, a

maggior ragione, le avrebbe ugualmente ottenute, anzi, migliorate, nel caso di

suddivisione del tempo di set up mono-prodotto su 24 articoli (C), oppure nel caso di

incremento sostanziale del tempo di set up mono-prodotto(B). Proprio per dare

sostanza a questa nostra ipotesi, abbiamo ricavato dei dati anche per il caso in cui il

tempo di set up multi-prodotto fosse uguale alla sommatoria dei tempi di set up dei 24

prodotti nel modello a gamma estesa. I risultati si basano su un numero minore di

simulazioni (mancanza di tempo) ma risultano più che indicativi, a sostegno della nostra

tesi. Le curve lean e eoq mono-prodotto, all’aumento del tempo di set up (ma con

saturazione costante-> tempo di produzione del singolo pezzo decrementato) si

avvicinano tra loro. In aggiunta, l’andamento delle curve (eoq, vis, lean) della casistica B

che indicano il livello delle scorte, all’aumentare del service level, rimane pressochè

invariato (leggerissimo aumento, +2.5% medio) rispetto alla casistica A. Ciò non falsifica

dunque le conclusioni tratte in precedenza, le quali variano in termini di valore assoluto,

ma non in termini di andamenti delle curve. Si nota inoltre che, circa la politica lean, la

variabilità della domanda nel caso B influisce molto meno rispetto al caso A. Questo

succede perché l’aumento delle scorte (a parità di livello di servizio) necessarie a

sopperire all’introduzione di un tempo di set up importante, svolgono in contemporanea

la funzione di ridurre l’effetto dell’aumento della variabilità di domanda. Essenzialmente

nella casistica B il si ritrova coerenza con la situazione simulata per il multi-prodotto.

Gli andamenti delle scorte nelle diverse casistiche sopra esplicate sono riportate nei

Grafici 43, 44, 45, 46, mentre i confronti sono riportati nelle Tabelle 14, 15, 16, 17.

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Grafico 43: Andamento delle scorte nella casistica A con CV 0.4

Grafico 44: Andamento delle scorte nella casistica B con CV 0.4

0

2000

4000

6000

8000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

MONOPRODOTTO (CASO A cv 04)

EOQ_mono VIS_mono Lean_1_mono

Lean_0,8_mono Lean_0,6_mono Lean_0,4_mono

Lean_0,2_mono leanmedio

0

2000

4000

6000

8000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

MONOPRODOTTO (CASO B cv 04)

EOQ_mono VIS_mono Lean_1_mono

Lean_0,8_mono Lean_0,6_mono Lean_0,4_mono

Lean_0,2_mono leanmedio

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Grafico 45: Andamento delle scorte nella casistica A per ogni CV

Grafico 46: Andamento delle scorte nella casistica B per ogni CV

0

1000

2000

3000

4000

5000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

ANDAMENTO LEAN E EOQ MEDIO (CASO A) CON DIVERSI CV

Lean_medio_mono_cv08 Lean_medio_mono_cv 06

Lean_medio_mono_cv 04

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

ANDAMENTO LEAN E EOQ MEDIO (CASO B) CON DIVERSI CV

Lean_medio_mono_cv08 Lean_medio_mono_cv 06

Lean_medio_mono_cv 04

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CASO A CV 04

Lean_1_mono Lean_0,8_mono Lean_0,6_mono Lean_0,4_mono Lean_0,2_mono leamedio

0,92-->0,94 2312 2077 1943 1591 1373

1859

0,94-->0,96 2635 2357 2039 1830 1554

2083

0,96-->0,98 2961 2635 2224 2050 1810

2336

,98-->1 3510 3138 2746 2707 2234 286

7

CASO B CV 04

Lean_1_mono

Lean_0,8_mono

Lean_0,6_mono

Lean_0,4_mono

Lean_0,2_mono

leanmedio

0,92-->0,94 4124 3041

2838,679 2309 1997

2710,

0,94-->0,96

3689,556

3321,159 1487 2543 2177

2933

0,96-->0,98

4017,137 3599

3119,295 2774 2678

3188

,98-->1 4565,0

18 4100,80

1 3642,66

6 3425 2857 371

8

CASO B-A % CV 04

Lean_1_mono

Lean_0,8_mono

Lean_0,6_mono

Lean_0,4_mono

Lean_0,2_mono

leanmedio

0,92-->0,94 78,3% 46,4% 46,1% 45,1% 45,4%

45,7%

0,94-->0,96 40,0% 40,9% -27,1% 39,0% 40,1%

40,8%

0,96-->0,98 35,6% 36,6% 40,2% 35,3% 47,9%

36,5%

,98-->1 30,0% 30,7% 32,6% 26,5% 27,9% 29,7

%

Tabella 14: Confronti tra casistiche A e B

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Tabella 15: Confronti tra casistiche A e B riguardanti la riduzione del lotto in lean

Questa tabella evidenzia come, pur inserendo un tempo di set un importante, le

diminuzioni del lotto impattino allo stesso modo (percentualmente) sul sistema.

L’EOQ subisce decisamente meno l’inserimento di un tempo di set up importante.

GUADAGNO% DALLA RIDUZIONE DEL LOTTO

CASO A lean1-08

lean08-06

Lean 06-04

Lean 04-02

lean 1-02

0,92-->0,94

18% 23% 13% 8% 43%

0,94-->0,96

17% 19% 10% 12% 42%

0,96-->0,98

17% 19% 9% 10% 40%

,98-->1 16% 19% 5% 10% 38%

GUADAGNO% DALLA RIDUZIONE DEL LOTTO

CASO B lean1-

08 lean08-

06

Lean 06-04

Lean 04-02

lean 1-02

0,92-->0,94

18% 23% 14% 6% 44%

0,94-->0,96

19% 16% 9% 21% 41%

0,96-->0,98

17% 25% 11% 11% 39%

,98-->1 18% 20% 5% 10% 37%

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CASO A

Liv Servizio EOQ_A_cv08 EOQ_A_cv06 EOQ_A_cv04

0,92-->0,94 5975 5562 5418

0,94-->0,96 6681 6132 5924

0,96-->0,98 7342 6647 6366

,98-->1 7838 7324 6760

CASO B

Liv Servizio EOQ_B_cv08 EOQ_B_cv06 EOQ_B_cv04

0,92-->0,94 6033 5717 5572

0,94-->0,96 6740 6293 6076

0,96-->0,98 7400 6810 6520

,98-->1 7895 7477 6912

CASO A-B %

Liv Servizio EOQ_A_cv08 EOQ_A_cv06 EOQ_A_cv04

0,92-->0,94 1,0% 2,8% 2,8%

0,94-->0,96 0,9% 2,6% 2,6%

0,96-->0,98 0,8% 2,5% 2,4%

,98-->1 0,7% 2,1% 2,3%

Tabella 16: Confronti tra casistiche A e B in termini percentuali (EOQ)

CASO A

Liv Servizio VIS_A_cv08 VIS

_A_cv06 VIS

_A_cv04

0,92-->0,94 4596 4458 3933

0,94-->0,96 5830 4821 4665

0,96-->0,98 6935 6010 5520

,98-->1 7759 6793 6492

CASO B

Liv Servizio VIS

_B_cv08 VIS

_B_cv06 VIS

_B_cv04

0,92-->0,94 4638 4584 4039

0,94-->0,96 6487 4954 4774

0,96-->0,98 6982 6149 5633

,98-->1 7810 7847 6698

CASO A-B %

Liv Servizio VIS_A_cv08 VIS_A_cv06 VIS_A_cv04

0,92-->0,94 0,9% 2,8% 2,7%

0,94-->0,96 11,3% 2,8% 2,3%

0,96-->0,98 0,7% 2,3% 2,0%

,98-->1 0,7% 15,5% 3,2%

Tabella 17: Confronti tra casistiche A e B in termini percentuali (VIS)

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9. Conclusioni

In questo capitolo verranno sintetizzate le considerazioni effettuate durante la

descrizione dei risultati, allo scopo di rispondere alle domande di ricerca del presente

elaborato.

L’introduzione della logica lean in una supply chain multi-prodotto

genera benefici rispettto alla logica basata sul lotto economico (EOQ) e a quella basata

sulla condivisione di informazioni (visibility), in termini di costo della supply chain

relativo a scorte e trasporti? Sotto quali condizioni?

Il primo obiettivo di questoi elaborato è quello di verificare se la logica lean,

implementata in una supply chain tramite il sisitema kanban, risulta maggiormente

competitiva rispetto alla tradizionale logica EOQ e a quella basata sull’information

sharing (visibility).

Grazie ai dati raccolti dalle simulazioni del modello, è stato verificato che il sistema

kanban garantisce, per qualsiasi livello di servizio, un minor numero di scorte medie

nella supply chain rispetto alle altre due politiche di produzione. In particolare il

beneficio assoluto in

termini di scorte della politica lean rispetto a quella EOQ è crescente al crescere del

livello di servizio, mentre il beneficio percentuale è decrescente all’aumentare del livello

di servizio (Tabella 18).

LS EOQ- lean (ASS) EOQ-.lean (%)

0.92-->0.94 2976 55%

0.94--> 0.96 3282 43%

0.96 --> 0.98 3363 47%

0.98-- >1 3594 45% Tabella 18: differenza tra scorte EOQ e lean al variare del LS

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Per quanto riguarda i trasporti le politiche EOQ e VIS ottengono benefici maggiori

rispetto alla lean, e tale beneficio è crescente con il livello di servizo, sia in termini

assoluti che percentuali (Tabella 19).

LS lean-EOQ (ASS) lean-EOQ (%)

0.92-->0.94 959 10,2%

0.94--> 0.96 1069 11,5%

0.96 --> 0.98 1019 11.1%

0.98-- >1 1122 12,3% Tabella 19: differenza tra trasporti EOQ e lean al variare del LS

Il costo totale della supply chain è in funzione del costo di mantenimento a scorta e dei

trasporti. Fissando un valore di tasso annuo di mantenimento a scorta pari a 20% e un

costo logistico pari a 2%, il costo totale della supply chain è, all’aumentare del livello di

servizio, sempre a favore della politica lean rispetto alle altre logiche produttive. Per tali

valori il beneficio della lean è crescente all’aumentare del livello di servizio. Ovviamente

facendo variare tali parametri i risultati di costo cambiano.

Quale impatto hanno su tali risultati I) l’aumento della

variabilità della domanda, II) la riduzione dei lotti nel sistema kanban e

III)la modifica della logica con la quale sono gestiti i trasporti?

I) Uno dei parametri che è stato modificato durante le simulazioni è il coefficiente

di variazione della domanda. Si è riscontrato che all’aumenatre del CV le scorte

sistemiche aumentano. In particolare la politica lean, all’aumentare del CV e solo

per alti valori di livello di servizio, presenta un forte incremento del proprio

livello di scorte. Per questo motivo il beneficio della politica lean su EOQ è

decrescente per alti valori di variabilità e livello di servizio.

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La variabilità impatta anche sui trasporti, facendo diminuire il beneficio relativo

delle politiche EOQ e VIS rispetto a lean.

Un aumento del CV influisce anche sui costi totali, e l’importanza dell’impatto

dipende dal modo in cui il costo viene calcolato II) La riduzione dei lotti nel sistema kanban, e la conseguente riduzione dei tempi di

set-up, impatta fortemente sulle performance della supply chain. Il livello di

scorte decresce fortemente diminuendo il lotto, tuttavia aumentano i trasporti.

Per i valori di costo fissati precedentemente, le varianti lean con batch size basso

sono quelle che performano meglio.

III) Le due diverse politiche di trasporto, quella aggregata e quella non aggregata,

sono state implementate per le varianti EOQ e VIS: in un contesto multi-prodotto

la logica di aggregazione porta significativi vantaggi in termini di numero di

trasporti, mentre non hanno alcun impattto sul valore delle giacenze.

Con riferimento a una supply chain mono-prodotto,

qual è il beneficio relativo dell’introduzione della logica lean

rispetto rispetto alla logica basata sul lotto economico (EOQ)

e a quella basata sulla condivisione di informazioni (visibility),

in termini di livello medio di scorte della supply chain?

Con questa domanda di ricerca ci siamo posti l’obbiettivo di verificare se e come, nel

momento in cui la gamma diventasse multi-prodotto, i risparmi dell’approccio lean

variassero rispetto a quelli del lotto economico e dell’information sharing, messi a

confronto con quelli relativi a una gamma unitaria.

Si è effettivamente dimostrato che una politica lean multiprodotto, confrontata con un

contesto mono-prodotto, ottiene risparmi maggiori( rispetto a una logica EOQ o VIS e in

termini di scorte medie presenti a sistema).

Il gap tra risparmi EOQ-LEAN mono e quello EOQ-LEAN multi, considerando il numero di

scorte a sistema, è, come si può vedere in tabella, favorevole alla seconda casistica e

crescente al crescere del livello di servizio.

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Tabella 21: guadagno di scorte assoluto della politica lean rispetto a quella EOQ

* media dei cv

Il gap tra risparmi EOQ-LEAN mono e quello EOQ-LEAN multi, considerando il guadagno

percentuale, è, come si può vedere in tabella, favorevole alla prima casistica e

decrescente al crescere del livello di servizio.

MEAN STOCK LEAN-VIS MONO/MULTI

Liv Servizio MONO MULTI DIFF

0,92-->0,94 56,0% 50,2% -

5,8%

0,94-->0,96 55,5% 50,1% -

5,4%

0,96-->0,98 53,6% 47,1% -

6,5%

0,98-->1 48,5% 47,0% -

1,5%

Tabella 22: guadagno di scorte percentuale della politica lean rispetto a quella EOQ

* media dei cv

Il gap tra risparmi VIS-LEAN mono e quello VIS-LEAN multi, considerando il numero di

scorte a sistema, è, come presentato in tabella, favorevole alla seconda casistica.

MEAN STOCK EOQ- LEAN_medio MONO/MULTI

Liv Servizio MONO MULTI DIFF

0,92-->0,94 3149 3293 144 0,94-->0,96 3443 3706 263 0,96-->0,98 3607 3948 341 0,98-->1 3510 4706 1196

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MEAN STOCK VIS-LEAN_medio MONO/MULTI (media dei cv)

Liv Servizio MONO MULTI DIFF

0,92-->0,94 1826 2625 798 0,94-->0,96 2303 3138 835 0,96-->0,98 2977 3512 534 0,98-->1 3217 3944 726

Tabella 23: guadagno di scorte assoluto della politica lean rispetto a quella VIS

* media dei cv

Tuttavia i risultati circa la visibility non possono essere considerati valori rilevante al fini

del confronto poiché l’applicazione dell’information sharing in un contesto a gamma

multipla segue logiche differenti, e quindi anche andamenti (come si vede in tabella),

rispetto a quelle presenti in un sistema a gamma unitaria.

MEAN STOCK LEAN-VIS MONO/MULTI (%)

Liv Servizio MONO MULTI DIFF

0,92-->0,94 42,7% 44,6% 1,9%

0,94-->0,96 45,6% 45,9% 0,3%

0,96-->0,98 48,9% 44,1% -

4,8%

0,98-->1 46,3% 42,7% -

3,7%

Tabella 24: guadagno di scorte percentuale della politica lean rispetto a quella VIS

* media dei cv

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Quale impatto hanno su tali risultati I) l’aumento della variabilità della domanda

e II) la riduzione dei lotti nel sistema kanban?

I) Tale quesito è stato posto per ampliare i risultati della tesi, oltre che rafforzarne la

veridicità. Si è infatti notato che l’aumento della variabilità di domanda incrementa i

risparmi Lean-EOQ maggiormente nella casistica multi-prodotto. In essenza,

all’aumentare del cv e col passare a una gamma multi-prodotto, i benefici della

logica lean rispetto a una logica eoq/vis, considerando il numero di scorte a sistema,

sono maggiori e crescenti (tenendo in considerazione quanto detto sopra circa la

politica information sharing). Considerando invece la percentuale di rispamio delle

scorte, essa è favorevole al caso mooprodotto, ma con andamento comunque

crescente (a favore del multi)

Tabella 25: guadagno di scorte assoluto della politica lean rispetto a quella EOQ

* media dei ls

Tabella 26: guadagno di scorte percentuale della politica lean rispetto a quella EOQ

* media dei ls

MEAN STOCK EOQ-LEAN_medio

cv04 cv06 cv08

MULTI 3918,0 3946,9 3876,2

MONO 3829,8 3317,5 3135,7

Differenza 88,2 629,4 740,5

EOQ-LEAN_medio(MEDIA LS %)

cv04 cv06 cv08

MULTI 50% 49% 47%

MONO 63% 52% 45%

Differenza -

13% -3% 1%

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VIS-LEAN_medio(MEDIA LS )

cv04 cv06 cv08

MULTI 3323 3316 3277

MONO 2866 2422 2456

Differenza 457 894 820

Tabella 27: guadagno di scorte assoluto della politica lean rispetto a quella VIS

* media dei ls

VIS-LEAN_medio(MEDIA LS %)

cv04 cv06 cv08

MULTI 45,9% 44,4% 42,7%

MONO 55,4% 43,7% 38,6%

Differenza -9,5% 0,8% 4,0%

Tabella 28: guadagno di scorte percentuale della politica lean rispetto a quella VIS

* media dei ls

II) La riduzione dei lotti nella politica lean comporta miglioramenti di performances sia

nella casistica mono-prodotto che in quella multi-prodotto. Nel caso multi-prodotto

però la riduzione è più importante rispetto alla casistica mono-prodotto

RISPARMIO EOQ-LEAN AL DIMINUIRE DEL LOTTO (MONO/MULTI) Media sui cv e sui livelli di servizio

Lean_1 Lean_0,8 Lean_0,6 Lean_0,4 Lean_0,2

MULTI 2416 3348 4166 4514 5124

MONO 2449 3039 3609 3871 4170

Differenza -33 309 558 643 954

Tabella 29: guadagno di scorte assoluto della politica lean rispetto a quella EOQ al diminuire del lotto

* media dei ls

RISPARMIO EOQ-LEAN AL DIMINUIRE DEL LOTTO (MONO/MULTI %)

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Lean_1 Lean_0,8 Lean_0,6 Lean_0,4 Lean_0,2

MULTI 30,1% 41,5% 51,8% 56,0% 63,5%

MONO 38,4% 47,4% 56,1% 60,2% 64,8%

Differenza -8,3% -5,9% -4,3% -4,2% -1,2%

Tabella 30: guadagno di scorte percentuale della politica lean rispetto a quella EOQ al diminuire del lotto

* media dei ls

Quali aspetti relativi a un modello di supply chain multi-prodotto

non possono essere colti in un modello di supply chain mono-prodotto?

Il quesito serve per poter capire se e quanto variano i risultati passando da una gamma

mono-articolo a una multi-articolo. Questo si traduce nel verificare se il multiprodotto

riesce a meglio considerare criticità proprie di un contesto reale. Un modello multi-

prodotto può evidenziare diversi aspetti non presenti nella casistica mono-prodotto,

primi tra tutti, la scelta della tipologia di lotto da produrre, la non disponibilità della

capacità produttiva (se occupata dalla produzione di un altro lotto), la variabilità dei

tempi di set up a seconda della sequenza produttiva.

In questo studio tuttavia è stato scelto di mantenere il tempo di set up indipendente

dalla sequenza produttiva così da imputare le differenze dal mono alla sola scelta del

lotto da produrre e, di conseguenza, alla non disponibilità della capacità produttiva (se

occupata dalla produzione di un altro lotto). Questo ha evidenziato come il passaggio da

mono a multi, nella politica lean e al crescere del coefficiente di variazione, si comporti

in maniera diversa. In breve, l’aumento della variazione della domanda influisce meno,

per livelli di servizio compresi tra il 92% e il 96%, nel caso multi-articolo. Per livelli di

servizio maggiori, invece, tende ad avere maggior influenza (almeno in termini

percentuali).

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Grafico 47: andamento della media delle curve lean multiprodotto per i cv 08, 06 e 04

Grafico 48: andamento della media delle curve lean monoprodotto per i cv 08, 06 e 04

Per quanto riguarda l’eoq, la stessa variazione di cv non ha gli stessi effetti che ha nei

confronti della politica lean, considerando sempre il passaggio da una politica mono a

una multi.

All’aumentare del livello di servizio, l’incremento di scorte necessario si può considerare

costante tra i vari cv (in termini percentuali).

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

Lean medio multi (diversi cv)

Lean_medio_multi_cv 08

Lean_medio_multi_cv06

Lean_medio_multi_cv04

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

Lean medio mono (diversi cv)

Lean_medio_mono_cv08

Lean_medio_mono_cv 06

Lean_medio_mono_cv 04

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Grafico 49: andamento delle curve EOQ multiprodotto per i cv 08, 06 e 04

Grafico 50: andamento delle curve EOQ monoprodotto per i cv 08, 06 e 04

Se una firm (con gamma diversificata) volesse quindi capire quanto bisognerebbe

incrementare le scorte, al fine di avere un incremento di service level, tramite un

modello monoprodotto incorrerebbe in errori di valutazione che, nel caso di un

coefficiente di variazione di 0.8 (non distante dalla realtà) e per livelli di servizio

superiori al 96%, risultano non marginali.

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

EOQ MULTI

EOQ_multi_cv 08

EOQ_multi_cv06

EOQ_multi_cv04

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

EOQ MONO

EOQ_mono_cv08

EOQ_mono_cv06

EOQ_mono_cv04

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Tabella 31: incrementi percentuali delle scorte delle politiche lean 1 e lean medio, rispetto al livello

base 92%

Grafico 51: incrementi percentuali delle scorte, rispetto al livello base 92%

Inoltre, utilizzando un modello mono-prodotto, non si riuscirebbe a cogliere

l’importanza reale della diminuzione dei tempi di set up (e quindi del lotto).

0,0%

10,0%

20,0%

30,0%

40,0%

50,0%

60,0%

70,0%

80,0%

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

INCREMENTI PERCENTUALI RISPETTO AL LIVELLO DI SERVIZIO 92% (cv 08)

Lean_1_multi

Lean_1_mono

leanmedio multi

leanmedio mono

INCREMENTI PERCENTUALI RISPETTO AL LIVELLO DI SERVIZIO 92% (cv 08)

Liv Servizio Lean_1_multi Lean_1_mono

leanmedio multi

leanmedio mono

0,92-->0,94 0,0% 0,0% 0,0% 0,0%

0,94-->0,96 12,2% 10,3% 14,1% 12,8%

0,96-->0,98 40,5% 25,5% 40,6% 29,3%

,98-->1 73,4% 45,9% 72,4% 52,7%

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INCREMENTI PERCENTUALI RISPETTO AL LIVELLO DI SERVIZIO 92% (cv 08)

Liv Servizio

Lean_1_multi

Lean_0,2_multi

Lean_1_mono

Lean_0,2_mono

0,92-->0,94 0,0% 0,0% 0,0% 0,0% 0,94-->0,96 12,2% 13,2% 10,3% 13,5% 0,96-->0,98 40,5% 32,0% 25,5% 32,7%

,98-->1 73,4% 66,4% 45,9% 60,5%

Tabella 32: incrementi percentuali delle scorte delle politiche lean 1 e lean 0.2, rispetto al livello base

92%

Grafico 52: incrementi percentuali delle scorte delle politiche lean 1 e lean 0.2, rispetto al livello base

92%

Questi risultati, come detto in precedenza, mostrano anche che, al diminuire del lotto

multiprodotto, si riesce a tornare a una situazione di incrementi percentuali molto simile

al mono-prodotto.

0,0%

10,0%

20,0%

30,0%

40,0%

50,0%

60,0%

70,0%

80,0%

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

INCREMENTI PERCENTUALI RISPETTO AL LIVELLO DI SERVIZIO 92% (cv 08)

Lean_1_multi

Lean_0,2_multi

Lean_1_mono

Lean_0,2_mono

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10. Sviluppi futuri

Questa tesi, oltre che lo studio di un modello multi-prodotto, vede anche un analisi delle

differenze esistenti con un modello mono-prodotto. Queste differenze sono però state

mantenute volutamente minime per evidenziare meglio e isolare i cambiamenti causati

dalla sola criticità della scelta del lotto da produrre (e quindi l’occupazione temporanea

della capacità produttiva). Il panorama che così si delinea vede l’implementazione e lo

studio di criticità (o variazioni) aggiuntive:

Prima tra tutte si potrebbe approfondire lo studio osservando i risultati al variare

dell’ampiezza della gamma trattata, così da osservare meglio il transitorio tra un

modello mono-prodotto e uno multi-prodotto a gamma 24.

Si potrebbe anche cercare di capire cosa succederebbe se ci fossero due

macchinari o più per produttore, anziché uno, per meglio comprendere quanto

possa influire la non disponibilità temporanea della capacità produttiva (che

verrebbe così dimezzata).

Un altro approfondimento riguarda l’influenza che avrebbero diverse politiche di

scelta del lotto da produrre (regole di dispatching), ad esempio un approccio

FIFO o Minimum set up, LIFO, Total work o least work remaining.

Si potrebbe provare inoltre a modificare/creare/migliorarele regole inerenti la

politica dell’information sharing, carenti in letteratura.

Studiare le variazioni che si otterrebbero usando diversi sistemi kanban, oltre a

quello utilizzato in questo elaborato.

Interessante in termine di savings potrebbe essere lo studio di un sistema di trasporto

che, tra primo e secondo livello, opera utilizzando il concetto di collettame anziché

dedicare a ogni fornitore un mezzo diverso.

Un parametro di fondamentale importanza è inoltre la saturazione dei produttori poiché

impatta sulla flessibilità del sistema, per questo motivo si potrebbe condurre uno studio

circa la variazione di quest’ultima e l’impatto che avrebbe nelle varie politiche di

gestione della filiera.

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Appendice

In questa sezione vengono riportati i grafici e le tabelle che erano stati omessi dalla

parte principale dell’elaborato per motivi di sintesi.

Tabella 33: Livelli di inventory per le varianti del modello nel caso CV 0.8 all’aumentare del LS

Tabella 34: Livelli di inventory per le varianti del modello nel caso CV 0.6 all’aumentare del LS

Liv Servizio EOQ_multi VIS_multi Lean_1_multi Lean_0,8_multi Lean_0,6_multi Lean_0,4_multi Lean_0,2_multi

0,92 6389 5795 4402 3623 2914 2874 2437

0,925 6756 5959 4517 3807 3038 2965 2500

0,93 7003 6366 4632 3910 3061 3044 2563

0,935 7149 6537 4734 4054 3179 3126 2610

0,94 7386 6799 4854 4191 3368 3211 2718

0,945 7569 7019 5040 4266 3448 3343 2777

0,95 7688 7199 5229 4481 3617 3475 2913

0,955 7973 7463 5386 4550 3987 3676 3036

0,96 8212 7732 5583 4770 4198 3914 3108

0,965 8431 8022 6224 4992 4414 4152 3284

0,97 8719 8336 6772 5510 4675 4339 3357

0,975 9215 8785 7118 5879 5181 4552 3599

0,98 9822 9193 7510 6248 5481 4752 3840

0,985 10333 9529 7898 6463 5488 4920 4080

0,99 10749 9846 8375 6787 5987 5384 4699

Liv Servizio EOQ_multi VIS_multi Lean_1_multi Lean_0,8_multi Lean_0,6_multi Lean_0,4_multi Lean_0,2_multi

0,92 6223 5508 4352 3604 2831 2592 2039

0,925 6451 5659 4395 3758 2903 2627 2114

0,93 6654 5995 4518 3852 3017 2789 2259

0,935 6971 6270 4601 3946 3145 2882 2348

0,94 7155 6582 4788 4061 3298 3010 2541

0,945 7383 6701 4858 4142 3380 3123 2581

0,95 7499 6913 5027 4362 3419 3266 2851

0,955 7736 7260 5232 4460 3548 3403 2936

0,96 7962 7465 5414 4652 3852 3541 3009

0,965 8208 7785 5974 4792 3918 3678 3182

0,97 8517 8079 6184 5203 4154 3815 3255

0,975 8951 8498 6813 5534 4359 4144 3428

0,98 9576 8924 6975 5664 4574 4344 3737

0,985 10059 9298 7138 5795 4859 4531 3846

0,99 10494 9580 7274 6318 5191 4920 4256

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Tabella 35: Livelli di inventory per le varianti del modello nel caso CV 0.6 all’aumentare del LS

Grafico 53: Andamento delle scorte al variare del LS nel caso CV 0.6

Liv Servizio EOQ_multi VIS_multi Lean_1_multi Lean_0,8_multi Lean_0,6_multi Lean_0,4_multi Lean_0,2_multi

0,92 6032 5495 4259,070567 3513 2789 2562 1983

0,925 6121 5560 4309,070567 3670 2873 2531 2085

0,93 6250 5625 4416,701388 3826 2951 2624 2206

0,935 6640 5852 4545,516799 3883 3071 2697 2247

0,94 6825 6167 4674,33221 3939 3190 2770 2291

0,945 6964 6389 4737,949403 4028 3249 2841 2307

0,95 7261 6635 4830,65715 4150 3349 2932 2457

0,955 7442 6939 5020,83657 4228 3470 3014 2687

0,96 7735 7195 5126,222 4300 3751 3101 2668

0,965 7869 7528 5753 4581 3810 3552 2849

0,97 8262 7885 5894 4772 4020 3598 2835

0,975 8728 8258 6140 4982 4234 3637 2982

0,98 9307 8660 6263 5178 4421 3795 3069

0,985 9738 8987 6510 5438 4707 3933 3248

0,99 10137 9341 6777 5855 5014 4332 3427

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

Inventory CV 0.6

EOQ_multi

VIS_multi

Lean_1_multi

Lean_0,8_multi

Lean_0,6_multi

Lean_0,4_multi

Lean_0,2_multi

Page 182: POLITECNICO DI MILANO · POLITECNICO DI MILANO Facoltà di ingegneria industriale e dell’informazione Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale

Grafico 54: Andamento delle scorte al variare del LS nel caso CV 0.4

Grafico 55: Beneficio assoluto di lean rispetto a EOQ al variare del LS nel caso CV 0.6

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

0,9

2

0,9

25

0,9

3

0,9

35

0,9

4

0,9

45

0,9

5

0,9

55

0,9

6

0,9

65

0,9

7

0,9

75

0

,98

0,9

85

0,9

9

Inventory CV 0.4

EOQ_multi

VIS_multi

Lean_1_multi

Lean_0,8_multi

Lean_0,6_multi

Lean_0,4_multi

Lean_0,2_multi

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

0,9

2

0,9

25

0,9

3

0,9

35

0,9

4

0,9

45

0,9

5

0,9

55

0,9

6

0,9

65

0,9

7

0,9

75

0,9

8

0,9

85

0,9

9

Beneficio lean vs EOQ CV 0.6 (assoluto)

lean 0.2

lean 0.4

lean 0.6

lean 0.8

lean1

Page 183: POLITECNICO DI MILANO · POLITECNICO DI MILANO Facoltà di ingegneria industriale e dell’informazione Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale

Grafico 56: Beneficio percentuale di lean rispetto a EOQ al variare del LS nel caso CV 0.6

Grafico 57: Beneficio assoluto di lean rispetto a EOQ al variare del LS nel caso CV 0.4

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80% 0

,92

0,9

25

0,9

3

0,9

35

0,9

4

0,9

45

0,9

5

0,9

55

0,9

6

0,9

65

0,9

7

0,9

75

0,9

8

0,9

85

0,9

9

Beneficio lean vs EOQ CV 0.6 (%)

lean 0.2

lean 0.4

lean 0.6

lean 0.8

lean1

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

0,9

2

0,9

25

0,9

3

0,9

35

0,9

4

0,9

45

0,9

5

0,9

55

0,9

6

0,9

65

0,9

7

0,9

75

0,9

8

0,9

85

0,9

9

Beneficio lean vs EOQ CV 0.4 (assoluto)

lean 0.2

lean 0.4

lean 0.6

lean 0.8

lean1

Page 184: POLITECNICO DI MILANO · POLITECNICO DI MILANO Facoltà di ingegneria industriale e dell’informazione Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale

Grafico 58: Beneficio percentuale di lean rispetto a EOQ al variare del LS nel caso CV 0.4

Grafico 59: Andamento dei trasporti all’aumentare del LS nel caso CV 0.6

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

0,9

2

0,9

25

0,9

3

0,9

35

0,9

4

0,9

45

0,9

5

0,9

55

0,9

6

0,9

65

0,9

7

0,9

75

0,9

8

0,9

85

0,9

9

Beneficio lean vs EOQ CV 0.4

lean1

lean 0.8

lean 0.6

lean 0.4

lean 0.2

6000

6500

7000

7500

8000

8500

9000

9500

10000

10500

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

Trasporti totali

eoq

vis

lean1

lean08

lean06

lean04

lean 02

eoq AGG

vis AGG

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Grafico 60: Andamento dei trasporti tra PM e SM all’aumentare del LS nel caso CV 0.6

Grafico 61: Andamento dei trasporti tra SM e D all’aumentare del LS nel caso CV 0.6

4000

4500

5000

5500

6000

6500

7000

7500

8000

8500

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

tot PM

eoq

vis

lean1

lean08

lean06

lean04

lean 02

eoq AGG

vis AGG

1800

1900

2000

2100

2200

2300

2400

2500

2600

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

tot SM

eoq

vis

lean1

lean08

lean06

lean04

lean 02

eoq AGG

vis AGG

Page 186: POLITECNICO DI MILANO · POLITECNICO DI MILANO Facoltà di ingegneria industriale e dell’informazione Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale

Grafico 62: Andamento dei trasporti FTL all’aumentare del LS nel caso CV 0.6

Grafico 63: Andamento dei trasporti LTL all’aumentare del LS nel caso CV 0.6

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

1 2 3 4 5

FTL tot

FTL tot

eoq

vis

lean1

lean08

lean06

lean04

lean 02

eoq AGG

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

LTL tot

eoq

vis

lean1

lean08

lean06

lean04

lean 02

eoq AGG

vis AGG

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Grafico 64:trasporti beneficio VIS AGG vs lean

Grafico 65: Benefici delle politiche lean multi rispetto a eoq passando da cv08 a cv04

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

1600

1800

2000

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

beneficio VIS AGG vs lean

lean 02

lean 04

lean 06

lean 08

lean 1

-600

-400

-200

0

200

400

600

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

Benefici delle politiche lean multi rispetto a eoq multi passando da cv08 a cv04

leanmedio

Lineare (EOQ)

Lineare (VIS)

Lineare (Lean_0,8)

Lineare (Lean_0,6)

Lineare (Lean_0,4)

Lineare (Lean_0,2)

Lineare (leanmedio )

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Grafico 66: Benefici delle politiche lean mono rispetto a eoq passando da cv08 a cv04

Tabella 36: Dati mono-prodotto cv 08

-1600

-1400

-1200

-1000

-800

-600

-400

-200

0

0,92-->0,94 0,94-->0,96 0,96-->0,98 ,98-->1

Benefici delle politiche lean mono rispetto a eoq passando da cv08 a cv04

EOQ

Lean_1

Lean_0,8

Lean_0,6

Lean_0,4

Lean_0,2

leanmedio

Liv Servizio EOQ_mono VIS_mono Lean_1_mono Lean_0,8_mono Lean_0,6_mono Lean_0,4_mono Lean_0,2_mono

0,92 5.829 4.340 4.021 3.405 2.732 2.387 2.272

0,925 5.922 4.496 4.122 3.542 2.779 2.523 2.315

0,93 6.023 4.645 4.196 3.486 2.945 2.509 2.382

0,935 6.127 4.903 4.293 3.674 3.050 2.750 2.436

0,94 6.306 5.292 4.388 3.745 3.149 2.773 2.474

0,945 6.575 5.655 4.500 3.946 3.294 2.856 2.737

0,95 6.810 6.028 4.673 3.950 3.324 3.035 2.655

0,955 7.034 6.344 4.791 4.018 3.360 3.250 2.809

0,96 7.177 6.481 5.000 4.295 3.524 3.197 2.924

0,965 7.272 6.673 5.126 4.347 3.696 3.292 2.992

0,97 7.382 7.220 5.287 4.563 3.872 3.582 3.253

0,975 7.536 7.363 5.456 4.618 3.902 3.693 3.310

0,98 7.618 7.549 5.741 4.933 4.061 3.782 3.501

0,985 7.829 7.764 6.056 5.142 4.337 4.179 3.721

0,99 8.068 7.964 6.403 5.564 4.761 4.517 4.101

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Tabella 37: Dati mono-prodotto cv06

Tabella 36: Dati mono-prodotto cv04

Liv ServizioEOQ_mono VIS_mono Lean_1_mono Lean_0,8_mono Lean_0,6_mono Lean_0,4_mono Lean_0,2_mono

0,92 5216 4416 3588 2899 2295 1970 1748

0,925 5454 4424 3622 2957 2315 2022 1728

0,93 5735 4450 3558 2994 2366 2032 1725

0,935 5844 4541 3751 3079 2421 2141 1901

0,94 5933 4585 3839 3167 2478 2188 2004

0,945 6041 4723 3919 3214 2540 2233 2069

0,95 6221 4858 4017 3296 2607 2304 2054

0,955 6333 5117 4126 3377 2684 2471 2148

0,96 6464 5568 4235 3475 2756 2419 2224

0,965 6567 5898 4372 3572 2857 2509 2368

0,97 6695 6171 4499 3701 2981 2656 2441

0,975 6861 6404 4657 3840 3120 2756 2546

0,98 7052 6599 4825 4012 3302 2990 2656

0,985 7364 6819 5052 4253 3503 3250 2682

0,99 7558 6961 5369 4608 3873 3623 3063

Liv ServizioEOQ_mono VIS_mono Lean_1_mono Lean_0,8_mono Lean_0,6_mono Lean_0,4_mono Lean_0,2_mono

0,92 5206 3755 2214 2013 1877 1503 1307

0,925 5334 3904 2261 2032 1941 1556 1352

0,93 5480 3928 2326 2094 1977 1609 1397

0,935 5652 4143 2449 2173 1979 1699 1439

0,94 5799 4174 2477 2269 1999 1732 1479

0,945 5875 4575 2591 2303 2018 1775 1536

0,95 5982 4835 2708 2397 2045 1832 1580

0,955 6038 5078 2766 2460 2097 1982 1624

0,96 6133 5263 2812 2514 2129 1903 1695

0,965 6232 5362 2895 2589 2185 1982 1763

0,97 6510 5629 2973 2660 2257 2101 1841

0,975 6589 5828 3166 2781 2326 2217 1944

0,98 6667 6294 3330 2927 2351 2449 2053

0,985 6760 6573 3447 3101 2730 2708 2224

0,99 6852 6609 3754 3388 3159 2966 2427

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Figura 8: modello utilizzato

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Figura 9:particolare Distributor

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Figura 10: particolare, secondary manufacturer

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Figura 11: particolare, blocchi di gestione, Tabelliere