predicati etici e qualità secondarie

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    Etica & Politica / Ethics & Politics, 2005, 1

    http://www.units.it/etica/2005_1/VACCARI.htm

    Predicati etici e quali t secondar ie

    Alessio Vaccari

    Dipartimento di studi filosofici ed epistemologiciUniversit di Roma La Sapienza

    ABSTRACT

    In this paper I want to suggest a possiblereading of the recent debate on the analogy

    between secondary qualities and values. Imaintain that the first important effort inusing such analogy has been made by JohnMackie. His study has influenced all otherdifferent attempts to use this analogy. In

    particular, I examine the dispositionaltheory of John McDowell and the

    projectivist theory of Simon Blackburn.Finally I suggest that, although both

    succeed in facing the scepticalconsequences of Mackies error theory, theprojectivist line seems to be betterpositioned to explain the variety of featuresof our moral experience.

    1.Premessa

    Lo studio della relazione fra qualit morali e qualit secondarie costituisce un tema

    ormai ricorrente nelle pi recenti discussioni sulla natura delletica. Diversi sono ifattori che hanno contribuito al consolidarsi di questo indirizzo di ricerca. Da una

    parte, il crescente interesse della filosofia contemporanea per la natura dei qualiaha permesso di elaborare strumenti sempre pi sofisticati per comprendere ilcomplesso rapporto fra alcune caratteristiche della nostra esperienza e le proprietdel mondo. Dallaltra, lallargamento dellagenda dei problemi tradizionalmenteaffrontati dalla metaetica, ha determinato uno spostamento di interessi da questionilegate al significato e alla funzione semantica del discorso morale a problemi cheriguardano pi direttamente la metafisica e la fenomenologia della nostra

    esperienza morale. (1)Sarebbe per un errore spiegare il dibattito sullanalogia fra valori e qualitsecondarie facendo riferimento solo alle vicende della metaetica pi recente.

    mailto:[email protected]:[email protected]://w3.uniroma.it/epistemehttp://w3.uniroma.it/epistemehttp://www.uniroma1.it/http://www.uniroma1.it/http://c/Users/Guido/Desktop/libri/vaccari.pdfhttp://www.uniroma1.it/http://w3.uniroma.it/epistememailto:[email protected]
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    Linteresse per il rapporto fra queste due forme di esperienza ha origini lontane, eaffonda le sue radici nellopera dei sentimentalisti inglesi del Settecento.Sia Francis Hutcheson che David Hume hanno utilizzato spesso limmagine dellequalit secondarie per illustrare la loro concezione della natura della bellezza e

    della virt. Essi usavano lanalogia per giungere, sul piano ontologico, ad unamedesima conclusione, e cio che i valori non sono oggettivi ma soggettivi o, piprecisamente, che essi non si troverebbero nel mondo se non vi fossero menti ingrado di percepirli. (2) A partire da questo rifiuto della oggettivit, (3) la

    peculiarit della loro posizione consisteva poi nellindividuare nella componenteaffettiva della natura umanalelemento soggettivo da cui aveva origine la morale.Hutcheson e Hume sostenevano infatti che non possibile rendere conto della virte dellapprovazione morale prescindendo dai sentimenti e dalle inclinazioni degliesseri umani. Per questo motivo essi possono essere considerati, fra gli autoriclassici, coloro che hanno sostenuto con maggior forza e chiarezza una teoriasentimentalistica sulla morale. Tale posizione ritiene che esista una relazioneinterna fra sentimento e valutazione morale e sostiene che i valori sono tali proprioin quanto sono in grado di suscitare naturalmente tali reazioni emotive negli esseriumani. (4)Come vedremo, la discussione dei sentimentalisti inglesi sullanalogia fra qualitsensibili e valori indispensabile per avere una comprensione pi chiaradellorigine dei problemi ontologici ed epistemologici che fanno da sfondo allediscussioni sul confronto fra qualit secondarie e concetti morali nel dibattito eticocontemporaneo.

    In questo lavoro, non ci occuperemo direttamente dei moralisti inglesi delSettecento, ma della disputa che a partire dalla met degli anni Settanta del secoloscorso ha visto contrapposti sentimentalisti cognitivisti come John McDowell asentimentalisti non-cognitivisti come Simon Blackburn. (5)Cio chi sostiene che il pensiero valutativo che non pu non coinvolgere isentimentiopera in modo analogo al pensiero tout court, dicendoci come stannole cose nel mondo, e chi invece lo nega, e sostiene che la morale una sorta di

    proiezione o di colorazione del mondo.Prima di esaminare questo dibattito, prenderemo in considerazione la posizione

    cognitivista che lo ha originato, e cio la teoria dellerrore di John Mackie.

    2.John Mackie e la teoria dellerrore

    Come abbiamo sopra accennato, linteresse delletica contemporanea per il temadella relazione fra qualit secondarie e valori strettamente connesso allesigenzadi comprendere la natura e lo statuto delle propriet morali. A partire dalla secondamet degli anni Settanta del secolo scorso, tali questioni acquistano un peso

    sempre maggiore nellagenda dei problemi affrontati dalla riflessione metaetica,determinando un progressivo spostamento dinteresse dalla semantica dellinguaggio morale allontologia e alla metafisica della morale. Il lavoro di John

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    Leslie Mackie ha avuto un ruolo decisivo nel passaggio fra queste due aree diindagine. Fin dalle prime pagine del suo Etica: inventare il giusto e lingiusto, (6)Mackie distingue nettamente fra questioni concettuali e questioni fattuali e, incontrotendenza con la filosofia analitica precedente, indirizza la sua ricerca

    principalmente in questa direzione. Pi precisamente, egli mette in rilievo che oltrealle questioni linguistiche, che riguardano il significato dei termini etici o la logicadelle asserzioni morali, vi sono anche problemi di natura ontologica, cio sullostatuto del bene e del giusto, che la filosofia morale non pu fare a meno diaffrontare. Lidea che il problema di cosa sia il bene non pu essere risolto inmaniera conclusiva mettendo a fuoco qual il significato della parola bene, oanalizzando che cosa di solito si usa dire o fare con essa, tali problemi riguardanoinfatti unanalisi fattuale piuttosto che un analisi concettuale. Il punto illustratoefficacemente da Mackie attraverso lanalogia fra qualit secondarie e valori:

    La riflessione filosofica recente, influenzata com dai vari tipi di indaginilinguistiche, tende a mettere in dubbio questo punto [], ma la distinzione fraindagine concettuale e indagine fattuale in etica pu essere supportata attraversoanalogie con altre aree di indagine. [] Si pu sostenere unanalogia ancor pistretta con i colori. Robert Boyle e John Locke hanno parlato dei colori in terminidi qualit secondarie, per significare che i colori [] consistono semplicemente inmodelli di disposizione e in movimenti di particelle minute sulla superficie deglioggetti []; ma i colori come li vediamo non appartengono in senso letterale allasuperficie degli oggetti materiali. Se Boyle e Locke avessero ragione riguardo ai

    colori non pu essere stabilito esaminando in che modo esaminiamo le coserelative ai colori e che cosa intendiamo con esse. Il realismo ingenuo riguardo aicolori potrebbe rappresentare unanalisi corretta non solodei nostri concetti pre-scientifici sui colori, ma anche del significato usuale delle parole relative ai colori, e tuttavia potrebbe costituire una descrizione errata della natura dei colori. (7)

    Mackie distingue perci nettamente fra questioni concettuali e questioni fattuali esostiene che una teoria morale adeguata pu nascere solo dalla combinazione diqueste due direzioni di ricerca. (8) Una volta portata a termine unanalisi

    concettuale dei predicati etici usati nel linguaggio morale ordinario, il compitodella filosofia sar verificare, attraverso unindagine empirica sulla realt,lesistenza delle eventuali propriet ontologiche che lesame concettuale ha portatoalla luce. Seguendo questo programma, Mackie arrivato a formulare quella cheegli stesso ha definito una teoria dellerrore, secondo cui gli enunciati atomici deldiscorso morale sono sistematicamente ed uniformemente falsi.I risultati dellanalisi di Mackie ci restituiscono unimmagine del discorso moraleche si allontana in modo significativo da quella del senso comune. In alcuni casinon abbiamo difficolt a riconoscere che le nostre valutazioni morali sono errate,

    magari perch eccessivamente parziali verso i nostri interessi o quelli della nostrafamiglia, ma in altre circostanze non nutriamo alcun dubbio sulla bont delle nostredecisioni. In questi casi crediamo sinceramente che in quella particolare

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    circostanza quellazione era lunica cosa giusta da fare. Mackie sostiene che questaposizione sbagliata. Ma quali argomenti pu portare a favore di una tesi cosradicale?Come ha suggerito recentemente Michael Smith, largomento di Mackie a favore

    della teoria dellerrore dato dalla congiunzione di una tesi semantica e di una tesimetafisica. (9)La prima che gli enunciati morali hanno condizioni di verit chevengono soddisfatte quando nel mondo si danno fatti morali, cio proprietoggettivamente prescrittive. La seconda che il mondo non contiene tali propriet.(10) Per avere una comprensione adeguata di queste tesi dobbiamo per unmomento lasciare sullo sfondo lesame delletica e analizzare la teoria dellerroreche secondo gli interpreti ha offerto a Mackie il modello teorico per la suaricostruzione del pensiero morale, cio la teoria lockiana dei colori. (11)

    2.1.Locke e i colori. Un modello per la teoria dellerrore

    Nella sezione precedente abbiamo gi accennato alla distinzione lockiana fraqualit primarie e qualit secondarie; possiamo riformulare ora questa posizionenei termini della distinzione fra propriet disposizionali e propriet categoriche.Definiamo propriet disposizionale una propriet la cui attribuzione ad un oggetto vera, quando vera, se vero un condizionale controfattuale. La fragilit, adesempio, una propriet disposizionale perch dire che un oggetto fragile vero se sono vere condizioni controfattuali del tipo: se loggetto fosse fatto cadere

    da una certa altezza si romperebbe. Una propriet invece categorica se la suaattribuzione ad un oggetto non dipende dalloccorrenza di un condizionalecontrofattuale. Lessere triangolare, ad esempio, una propriet categorica perchquesto oggetto triangolare vero in virt del fatto che x una figura piana cheha tre lati e tre angoli interni la cui somma 180 gradi.La distinzione fra propriet categoriche e propriet disposizionali, se utilizzatacome strumento per spiegare la complessa teoria lochiana dei colori, pu gettareluce sulla teoria dellerrore presente nelle pagine del Saggio sullintelligenzaumana, che ha fornito a Mackie le linee generali per la sua analisi del discorso

    morale. (12)Largomento lockiano sulla teoria dellerrore sui colori pu essere visto come lacongiunzione di due tesi: una tesi fenomenologica: secondo cui il nostro concettodi colore, poniamo il rosso, un concetto di una propriet categorica; e una tesiontologica secondo cui la propriet categorica di rosso non fa parte dellarredo delmondo.La teoria lockiana dei colori esemplifica una versione chiara di teoria dellerrore.La sua plausibilit dipende da quella che abbiamo chiamato tesi fenomenologica,unassunzione che, come hanno sostenuto recentemente Bogossian e Velleman,

    (13)sembra difficile contestare. I colori infatti si presentano alla nostra esperienzacome qualit che appartengono alla superficie degli oggetti. Se accendiamo unaluce in una stanza buia, i colori degli oggetti non vengono percepiti come qualcosa

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    che comincia ad esistere in quel momento. Non crediamo, cio, che il tavolo che davanti a noi sia diventato marrone perch illuminato dalla luce, ma riteniamo cheera marrone anche al buio e che lunica funzione della luce sia quella di rivelareagli osservatori il suo colore.

    Se lanalisi corretta, possiamo dire, ad esempio, che il nostro concetto di rosso,che poi il rosso come si presenta nella nostra esperienza, un concetto di unapropriet categorica. A questo punto non difficile per il filosofo lockianodifendere la sua tesi ontologica che non esiste nel mondo la propriet categoricadel rosso. Lunica propriet di rosso che fa parte della struttura della realt una

    propriet disposizionale: cio la propriet di avere la disposizione ad apparire rossoad osservatori normali in condizioni percettive adeguate.In conclusione, i colori come li vediamo sono propriet categoriche; ma non cisono propriet categoriche dei colori nel mondo; non esiste nulla che assomigli aicolori come li vediamo; ma allora le nostre attribuzioni di colore agli oggetti sonosistematicamente false.

    2.2.Largomento concettuale di Mackie

    Torniamo ora alla tesi centrale della teoria dellerrore di Mackie, e cio quella cheabbiamo chiamato tesi concettuale o semantica. Lidea che la nozione di requisitomorale che si ricava dal linguaggio ordinario quella di un requisito prescrittivocategorico e oggettivo. I requisiti morali sono prescrittivi perch ci dicono come

    dobbiamo agire, essi ci danno cio delle ragioni per intraprendere determinate lineedi azione. Tali ragioni non dipendono per dalle nostre inclinazioni soggettive. Seaffermo che una certa linea di condotta moralmente giusta non posso nonriconoscere che per me un dovere compierla e questo vero indipendentementedalle mie propensioni verso quel comportamento.Mackie chiarisce questo aspetto richiamando la nota distinzione kantiana fraimperativi ipotetici e imperativi categorici. (14) I requisiti morali sono sempre

    prescrittivi in modo categorico: le ragioni pratiche connesse ad un requisito moralenon sono mai contingenti, non dipendono cio dal possesso di un particolare

    insieme di desideri ma si applicano universalmente a tutti gli esseri umani. Aquesto proposito, Mackie scrive:

    Colui che impiega il linguaggio morale ordinario intende dire qualcosa riguardo aci che egli qualifica come morale, per esempio, in relazione ad una possibileazione, come in se stessa [], e non pensa semplicemente [] solo di esprimerei suoi atteggiamenti o le relazioni sue, o quelle di chiunque altro, nei confrontidellazione in questione. Ma ci che egli vuole dire non semplicementedescrittivo, certamente non privo di qualunque forza, ma qualcosa che comporta

    una richiesta di agire o di astenersi dallagire e qualcosa che assoluto e noncontingente ad alcun desiderio, preferenza, scelta o politica sua o di qualcun altro.Qualcuno in una situazione di indecisione morale, che si chieda se sarebbe

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    sbagliato per lui impegnarsi, ad esempio, in una ricerca sulla guerra batteriologica,vuole arrivare a formulare un qualche giudizio riguardo [] al suo intraprenderequesto particolare lavoro [], le sue caratteristiche rilevanti verranno a far partedel soggetto del giudizio, ma nessuna relazione tra lui e lazione proposta verr a

    far parte del predicato. La questione, ad esempio, non se egli voglia realmenteintraprendere questo lavoro, se sar soddisfatto o insoddisfatto, se nel lungoperiodo mostrer di avere un atteggiamento positivo verso di esso o anche se sitratta di unazione del tipo che egli sinceramente, e con soddisfazione,raccomanderebbe in tutti i casi simili per gli aspetti rilevanti. Egli vuole sapere sequesto modo di agire sarebbe sbagliato in se stesso. Qualcosa di simile a tuttoquesto rappresenta lattuale concezione oggettivista di cui il parlare di qualit nonnaturali rappresenta una ricostruzione filosofica. (15)

    Il nostro concetto di requisito morale perci quello di un requisito prescrittivocategorico. Inoltre, come Mackie aggiunge nel finale, tale requisito ancheoggettivo. Non facile comprendere esattamente il significato preciso di questaulteriore prerogativa, Mackie stesso elenca una lunga serie di differenti qualit chenon facile riportare ad una definizione esaustiva e coerente. Oggettivo, infatti,in alcuni contesti viene usato come sinonimo di oggetto di conoscenza, e quindisuscettibile di essere vero o falso, in altri significa piuttosto qualcosa che indipendente dalle nostre preferenze, che ha unautorit esterna sulle nostre scelte eche parte della struttura del mondo. Indipendentemente da come si risolve il

    problema di quale di questi elementi sia una componente necessaria del significato

    di oggettivo, possiamo dire che la tesi concettuale di Mackie sostiene che ilnostro concetto di requisito morale oggettivo in almeno uno dei sensi indicati.

    2.3.Largomento della stranezza di Mackie

    Dopo aver mostrato che il nostro concetto di fatto morale quello di un requisitooggettivo e prescrittivo, Mackie mostra che tali requisiti non esistono. La sua tesisi basa su ragioni metafisiche ed epistemologiche. I problemi metafisici generati

    dallassunzione di valori oggettivi riguardano la loro peculiarit ontologica, inparticolare la loro capacit di essere una guida per lazione e di motivaredirettamente la condotta. Le questioni epistemologiche dipendono invece dalladifficolt di spiegare come possiamo conoscere entit di questo tipo.Per quanto riguarda la parte metafisica dellargomento della stranezza, Mackiesostiene che se ci fossero valori oggettivi dovrebbero essere entit, qualit orelazioni di un tipo molto strano, completamente differente da qualsiasi altra cosanelluniverso. Le forme platoniche ci danno unimmagine chiara di cosadovrebbero essere i valori oggettivi:

    La forma del bene tale per cui la sua conoscenza fornisce a chi perviene aconoscerla sia un orientamento che una motivazione allazione di tipo

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    soverchiante; il fatto che qualcosa sia un bene suggerisce a chi lo conosce diperseguirlo e, al contempo, lo spinge a perseguirlo. Un bene oggettivo verrebbericercato da chiunque ne fosse consapevole, non per via di un qualche fattocontingente ad una qualche persona, o a qualsiasi persona, dal quale si venga spinti

    a desiderare quel bene come un fine, ma solo perch il fine in questione possiedeuna forza intrinseca di persuadere al suo perseguimento. (16)

    Largomento di Mackie chiaro. Uno stato di cose morale, una volta conosciuto,fornisce allagente una direzione per la condotta e un motivo per agire inconformit con quella prescrizione. Un fatto oggettivo e prescrittivocategoricamente, oltre ad indicare come si deve agire non manca mai di suscitareanche una motivazione speciale, irriducibile alle altre inclinazioni e propensionidegli esseri umani, a seguire quel dovere. Tali stati di cose hanno infatti unaefficacia persuasiva inscritta nella loro stessa natura. Largomento metafisico diMackie riposa sullidea che i fatti naturali, vale a dire gli stati di cose checostituiscono larredo del mondo, non possiedono tali caratteristiche, essi sono cionormativamente inerti.Allargomento metafisico se ne aggiunge uno di carattere epistemologico:

    Se noi fossimo consapevoli di essi [valori oggettivi], ci dovrebbe accaderemediante qualche facolt speciale, o percezione morale o intuizione,completamente differente dal nostro modo di concepire qualsiasi altra cosa. Questi

    punti sono stati riconosciuti da Moore quando ha parlato di qualit non naturali, e

    dagli intuizionisti quando hanno parlato di una facolt di intuizione morale.Lintuizionismo ormai da lungo tempo superato ed tutto sommato facile porrein evidenza le sue incongruenze. Tuttavia, ci che raramente viene sottolineato,sebbene sia alquanto importante, il fatto che la tesi centrale dellintuizionismorappresenta un punto al quale, alla fine, costretta ad approdare qualsiasi

    prospettiva sui valori di tipo oggettivista: lintuizionismo semplicemente rendeevidente, in un modo anche sgradevole, ci che altre forme di oggettivismonascondono. (17)

    Mackie mette bene in luce come i modi ordinari attraverso cui gli esseri umanientrano in contatto cognitivo con stati di cose non sono adeguati a spiegare quellesituazioni in cui gli stati di cose vengono identificati con i valori oggettivi. Per farfronte a questa difficolt dobbiamo espandere il nostro concetto ordinario di

    percezione fino ad includervi forme di intuizione morale. Tali concezioni sonoper prive di un reale valore esplicativo e non sono altro che etichette vuote cheindicano la nostra capacit di formare giudizi morali corretti.

    3.Lipotesi disposizionalista. Una risposta alla teoria dellerrore?

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    Largomento della stranezza formulato da Mackie molto efficace e bencongeniato. Esso pone letica filosofica di fronte ad un dilemma: o accettiamo lateoria dellerrore oppure la respingiamo impegnandoci a difendere una metafisicache ammette lesistenza di fatti morali simili allidea platonica del bene. Dal

    momento che il secondo corno del dilemma legato alla soluzione di questioniontologiche ed epistemologiche insormontabili non ci rimane che accettare laprima possibilit, e con essa lidea che i giudizi morali sono tutti falsi. opportuno sottolineare che parte dellefficacia di questa linea argomentativariposa su lassunto che Mackie sia riuscito ad elaborare una ricostruzione adeguatadel nostro senso comune morale. chiaro infatti che se il nostro concetto di buononon fosse quello di una propriet categorica oggettiva la metaetica proposta daMackie sarebbe priva di fondamento. Un modo per guadagnare questo risultato individuare fatti che non sono problematici dal punto di vista ontologico e che

    possiedono caratteristiche simili a quelle attribuite da Mackie ai fatti morali.Questa strategia stata percorsa dai difensori di una teoria disposizionalista suivalori.La strategia argomentativa dei disposizionalisti morali prende le mosse dallesamedi unaltra area di esperienza che Mackie considerava soggetta ad un errorecategoriale, cio quella dei colori. Secondo i sostenitori di questo modelloesplicativo, unanalisi corretta del nostro concetto di colore non pu non tenerconto del fatto che vi una relazione interna fra il colore di un oggetto elesperienza che uno spettatore fa di quelloggetto. Ma se si accetta questo punto,sostengono i difensori di questa linea, i nostri concetti di colore devono essere

    analizzati come concetti di propriet disposizionali, cio propriet tali da suscitarepeculiari esperienze percettive. Secondo questa lettura, diremo allora che unoggetto rosso se un osservatore che abbia un contatto percettivo conquelloggetto incline a vederlo rosso.

    Naturalmente, non tutti gli spettatori possono essere considerati giudici attendibili:se, ad esempio, fossi cieco o affetto da itterizia sarei escluso dal novero di coloroche hanno esperienze genuine dei colori. Parimenti, per evitare giudizi contrastanti,i disposizionalisti si impegnano a specificare alcuni vincoli sulle condizioni diluminosit e di visibilit che sono adeguati a questo tipo di esperienza percettiva.

    Un modo per esprimere tali condizioni sostenere che il nostro concetto di rosso quello di una disposizionead apparire rosso ad osservatori adeguati in condizioninormali di visibilit.Secondo i disposizionalisti morali, questa analisi dei colori offre un modelloesplicativo fertile per rendere conto della nostra esperienza etica e mostra nellostesso tempo la debolezza della teoria di Mackie.Lidea che come nel caso dei colori esiste una relazione interna fra lesser rossodi un oggetto e la nostra esperienza percettiva di quel colore, cos nel caso moralec una relazione interna fra la bont di un oggetto e il fatto che siamo motivati a

    perseguirlo. In questo modo la parte metafisica dellargomento della stranezza non pi un ostacolo allesistenza di valori oggettivi. Pi precisamente, la tesi che nonesistono fatti che hanno una relazione interna con lazione umana viene smentita

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    dalla considerazione che i fatti che riguardano i colori posseggono quella proprietsenza per questo essere considerati ontologicamentestrani.Queste considerazioni sullanalogia fra colori e qualit morali suggeriscono che si

    pu rispondere allargomento della stranezza di Mackie avanzando unanalisi

    disposizionalista del valore, una teoria secondo cui il concetto di bont morale ilconcetto di una disposizione ad essere giudicato moralmente buono da un agenteadeguato in circostanze adeguate.

    3.1.Lanalisi disposizionalista dei colori

    Fino a che punto il disposizionalismo pu offrire una spiegazione dei nostriconcetti morali?Per stabilire questo punto opportuno spendere ancora qualche parola sulla teoriadisposizionalista dei colori, esaminando, in particolare, come essa pu dare contodellesperienza che ne abbiamo. (18)Michael Smith ha descritto la fenomenologia del colore attraverso il confronto conla sensazione della nausea. (19) Immaginiamo di paragonare lesperienza di unoggetto rosso con la sensazione di nausea per un piatto di carne avariata. Nel primocaso la nostra attenzione sar rivolta allesterno, lontano dal carattere intrinsecodellesperienza, essa si rivolge alloggetto dellesperienza stessa. (20) Nel casoinvece della nausea per la carne, lattenzione rivolta allinterno, i nostri sensi siindirizzano verso loggetto semplicemente per individuare la causa di ci che

    saliente nella nostra esperienza interna. (21)Lidea di Smith quindi che il nostroconcetto di rosso, diversamente da quello di nausea, il concetto di una proprietche l fuori.La questione centrale diventa stabilire se lanalisi disposizionalista riesce acatturare e a spiegare questo aspetto della nostra esperienza. Smith suggerisce cheessa perfettamente in grado di svolgere questo compito: lelenco delle condizioniadeguate per avere unesperienza genuina dei colori sufficientemente ricco dacoinvolgere tutte le considerazioni di senso comune a cui facciamo normalmenteriferimento per distinguere ci che realmente rosso da ci che ci sembra tale. Il

    fatto che escludiamo cose come scarsa luminosit, ambienti irradiati da una lucecolorata, ecc., mostrano, secondo Smith, che lanalisi disposizionalista prende sulserio lidea che il rosso una propriet che si trova l fuori nel mondo, e a

    partire da questa assunzione si impegna poi a formulare un criterio per distinguerele credenze vere da quelle false.

    Nel caso della nausea, invece, le condizioni adeguate sono minime:semplicemente non possibile individuare un insieme ampio di considerazioni acui fare riferimento perch si dia una sensazione appropriata di nausea; lidea chese qualcosa ci fa star male e ci disgusta, la consideriamo nauseante.

    Smith conclude che la teoria disposizionalista in grado di spiegare, attraverso uninsieme complesso e articolato di condizioni adeguate, perch il nostro concetto di

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    rosso, diversamente da quello di nausea, un concetto di qualcosa che si trova lfuori.La spiegazione disposizionalista sembra dunque dare conto delle caratteristiche piimportanti della fenomenologia dellesperienza dei colori. Questa conclusione pu

    avere delle conseguenze importanti per la soluzione del problema della stranezzaontologica delle qualit morali discusso nelle prime sezioni. La fenomenologiadellesperienza morale mostra infatti, come lo stesso Mackie aveva riconosciuto,che i nostri concetti morali fondamentali sono pi simili al concetto di rosso chenon a quello di nausea: se giudico ingiusto un chiaro esempio di ingratitudine, lamia attenzione sar rivolta allesterno, verso gli aspetti centrali di quelcomportamento. (22)La discussione di Smith sui colori ci indica quindi una possibile risposta al

    problema dello scetticismo morale sollevato da Mackie. Se fossimo in grado diformulare una teoria disposizionalista del valore, potremmo rispondere agli aspettimetafisici dellargomento della stranezza attraverso una spiegazione adeguata dellanostra fenomenologia dellesperienza morale.Per rispondere a questa domanda pu essere utile esaminare lipotesi cheMcDowell ha formulato nel suo importante saggio Values and SecondaryQualities, in cui lautore ha esposto una delle pi influenti teorie disposizionalistedel valore.

    3.2.I valori sono l fuori. La critica disposizionalista di McDowell alla teoriadellerrore

    Nel suo influente saggio Values and Secondary Qualities, John McDowell haelaborato una critica molto efficace della teoria dellerrore. (23)Egli ha sostenutoche la metaetica di Mackie attribuisce al senso comune una concezione dellaoggettivit dei valori che intrinsecamente incoerente, ed proprio per questaragione che nessuna ontologia pu accettare lesistenza di entit di questo tipo. Seinterpretiamo in modo differente loggettivit dei valori morali in gioco nel sensocomune, disporremo di una nozione di valori oggettivi e prescrittivi che oltre ad

    essere coerente anche vera. Un elemento fortemente caratterizzante della criticadi McDowell allargomento concettuale di Mackie lanalogia fra qualitsecondarie e valori. McDowell sostiene che se correggiamo in sensodisposizionalista luso dellanalogia impediamo il passaggio dallargomentoconcettuale alla conclusione che non esistono valori oggettivamente prescrittivi.

    Nel resto della sezione esamineremo nelle sue linee generali la tesi di McDowell,rinviando alla sezione successiva la presentazione di alcune critiche che possibileformulare ad una teoria disposizionalista del valore.Fin dalle prime battute di Values and Secondary Qualities, McDowell afferma

    chiaramente di condividere la tesi fenomenologica di Mackie secondo cui quandoci troviamo di fronte ad una scelta morale abbiamo limpressione di confrontarcicon propriet oggettivamente prescrittive del mondo. Mackie pu sostenere che tali

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    qualit non esistono solo perch crede erroneamente che lunico modo in cui ivalori possono essere oggettivi nel senso in cui lo sono le qualit primarie:oggettivo, cio, in un senso che si contrappone a quello in cui le qualitsecondarie sono soggettive. A questo proposito McDowell scrive:

    Una qualit secondaria una propriet la cui attribuzione a un oggetto non adeguatamente compresa come vera, quando vera, se non in virt delladisposizione delloggetto a presentare un certo tipo di apparenza percettiva: in

    particolare, unapparenza caratterizzabile utilizzando un termine per la proprietstessa che ci dica come loggetto ci appare percettivamente. Cos lesser rosso diun oggetto qualcosa che si verifica in virt del fatto che loggetto tale che (indeterminate circostanze) ci appare, precisamente, rosso. (24)

    Secondo McDowell, tale concezione pu essere giustamente consideratasoggettivista, poich analizza il concetto di qualit secondaria nei termini di unadisposizione a produrre particolari stati soggettivi, vale a dire, nel nostro caso,apparenze percettive. Le qualit secondarie hanno quindi una relazione interna conle nostre percezioni. McDowell afferma che questo aspetto entra in conflitto con lacaratteristica centrale del nostro concetto di qualit primaria:

    [] una qualit primaria sarebbe oggettiva nel senso che possibile comprendereadeguatamente che cosa significa che un oggetto la possiede senza far riferimentoa disposizioni che suscitano stati soggettivi. (25)

    McDowell daccordo con Mackie che se il nostro concetto di valore fosse quellodi una propriet oggettiva nel senso in cui lo sono le qualit primarie, sarebbeimpossibile per il pensiero valutativo avere quella relazione interna con la volontche una caratteristica indispensabile della morale, (26) e quindi non ci

    potrebbero essere valori oggettivamente prescrittivi. Ma se questo vero, laconclusione che non esistono valori oggettivi non sarebbe, come voleva Mackie,una scoperta empirica ma il risultato di unincoerenza presente al livello del nostro

    pensiero valutativo. (27) Loggettivit che gli esseri umani attribuirebbero alla

    morale sarebbe infatti definita in modo tale da escludere lidea che i valori possanoavere una relazione interna con la nostra volont.McDowell crede sia poco plausibile immaginare che il pensiero morale ordinariosia colpevole di unincoerenza tanto grottesca, egli ci invita perci a riflettere sulla

    possibilit che il senso comune abbia una concezione delloggettivit moraledifferente, una concezione rispetto alla quale tutte le qualit, sia primarie chesecondarie, sono sullo stesso piano; oggettivo, cio, come qualcosa che si troval fuori. (28)A partire dalla sua ipotesi disposizionalista non pi un problema conciliare il

    fatto che qualcosa che l fuoriabbia una relazione interna con lesercizio dellasensibilit umana e con le nostre motivazioni. E questo perch i valori non sono

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    totalmente l fuori, non lo sono cio indipendentemente dalla nostra sensibilit,sebbene lo siano rispetto a ciascuna nostra esperienza particolare.Sulla base di questo resoconto, il pensiero morale ordinario non pi colpevoledellerrore categoriale a cui Mackie lo condanna e lesperienza morale ordinaria

    pu allora essere veridica.

    3.3. Le qualit morali sono disposizioni? Il problema della circolarit dellaspiegazione

    A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, la teoria disposizionalista del valore stata al centro di un ampio dibattito che ha visto schierati filosofi provenienti dadifferenti campi di ricerca. Attraverso strumenti analitici sofisticati, mutuati siadallepistemologia che dalla filosofia del linguaggio, si cercato di verificare la

    percorribilit di questa concezione del valore. (29)Non potendo dare conto di tuttigli aspetti di questa discussione ci limiteremo a richiamare una critica moltoinfluente la cui accettazione, come vedremo nella sezioni successiva, alla basedelle differenze fra i due principali stili di risposta alla teoria di Mackie, e cio ilcognitivismo di McDowell e il non-cognitivismo proiettivista di Simon Blackburn.

    Nella sezione precedente, abbiamo visto che i disposizionalisti per poter definire,ad esempio, il concetto di rosso devono specificare un insieme finito di condizioniche un osservatore deve soddisfare per giudicare che un oggetto rosso. Talevincolo sembra valere anche nel caso dei valori. Se crediamo nellesistenza di

    valori oggettivi prescrittivi non per questo riteniamo che chiunque, da qualsiasiposizione si trovi, sia in grado di riconoscere il carattere prescrittivo di certi fatti.Dobbiamo, in altri termini, imporre alcune condizioni agli agenti coinvolti.Riteniamo, cio, che il carattere direttivo e motivante dei fatti morali sar percepitosolo da agenti un certo tipo.Crispin Wrigth ha sostenuto che lindividuazione delle differenti condizioni diadeguatezza deve essere sottoposta ad un vincolo logico. Lidea che specificareci che rende una percezione ottimale non pu presupporre una comprensionedellestensione semantica del concetto che si vuole analizzare, se questo accadesse

    la spiegazione disposizionale sarebbe infatti circolare. (30)Il problema, osserva Crispin Wright, che mentre tale requisito viene agevolmentesoddisfatto quando sono in gioco i concetti di colore, ci non accade nel caso in cuisono i valori morali a dover essere spiegati. Nel primo caso, infatti, possibiledescrivere la nozione di funzione percettiva normale come la funzione

    percettiva che tipica degli esseri umani. In modo simile, la nozione dicondizioni percettive normali equivale a condizioni di illuminazione che siverificano di giorno, in una giornata mediamente assolata, ecc.. Crispin Wrightosserva perci che la conoscenza che le condizioni descritte sono ottimali per

    lesperienza dei colori non dipende dalla nostra pre-comprensione, ad esempio, delconcetto di rosso.

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    La situazione perfettamente rovesciata nel caso morale. Immaginiamo di dareunanalisi disposizionalista del concetto di ingratitudine. Diremo: questocomportamento un esempio di ingratitudine se uno spettatore adeguato lo giudicatale. Quali condizioni deve soddisfare lo spettatore per essere un giudice

    adeguato? Secondo Crispin Wright chiaro che in questo caso non basta dire chela persona deve evitare errori cognitivi, avere una completa conoscenza dei fatti,ecc. Dobbiamo aggiungere il vincolo che egli deve essere un soggetto moralmenteadeguato. I suoi giudizi, ad esempio, non possono essere considerati una guidaaffidabile se egli stesso si comporta sempre come una persona ingrata o se sprovvisto di altri fondamentali requisiti morali.Michael Smith sottolinea questo stesso punto quando scrive:

    forse possibile trovare una risposta [su ci che costituisce ladeguatezza nelcaso morale] che possa sperare di dare condizioni di verit per le nostreattribuzioni di valore che sia differente dalla risposta che [i soggetti adeguati]sono coloro che accettano i principi morali corretti e che le condizioni sonoadeguate quando siamo in grado di applicare questi principi senza errore? Sequesto non possibile, lidea che abbiamo dato un qualche tipo di analisi delvalore semplicemente una mistificazione. (31)

    Questa fondamentale difficolt sembra lasciare poche speranze a coloro cheintendono avanzare una spiegazione disposizionalista del valore. In realt, non tuttisono daccordo che letica filosofica debba impegnarsi a dare spiegazioni non

    circolari. Alcuni, come ad esempio McDowell, sostengono che tali spiegazionicomporterebbero la possibilit di dar conto delletica da una posizione esternaalletica stessa: unesigenza illusoria. Nel resto di questo lavoro discuteremo lalegittimit dellassunzione mcdowelliana ripercorrendo le critiche che egli muoveal proiettivismo espressivista di Simon Blackburn. Questa teoria costituisce infattiun tentativo di superare la teoria dellerrore di Mackie impegnandosi a fornire unaspiegazione non circolare delle nostre pratiche morali.

    4.La metafora della proiezione e le critiche di McDowell

    A partire dalla met degli anni Ottanta del secolo scorso, Simon Blackburn hacominciato ad elaborare una teoria morale espressivista che ha assunto un ruolosempre pi importante allinterno di quelle concezioni metaetiche che abbiamochiamato non-cognitiviste. La sua posizione pu essere considerata una forma di

    proiettivismo. Lidea di Blackburn che quando usiamo predicati valutativi neinostri giudizi morali tendiamo a trattarli come se fossero simili ai predicatidescrittivi del nostro linguaggio. Ad esempio, quando dico uccidere sbagliato

    considero sbagliato come se fosse un predicato che individua una caratteristicagenuina della realt, cio una propriet reale dellomicidio. In realt, sostiene ilproiettivista, quando trattiamo i predicati morali in questo modo non facciamo altro

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    che proiettare i nostri sentimenti o emozioni sul mondo. La giustezza non quindi una qualit delle cose, ma soltanto qualcosa che proiettiamo sul mondouna volta che abbiamo formato un atteggiamento verso determinati configurazionidi eventi. Riprendendo lo spirito di un noto passo di David Hume, Blackburn

    scrive:Proiettiamo un atteggiamento o un abitudine o altre forme di impegni che nonsono descrittivi sul mondo, quando parliamo e pensiamo come se ci fosse una

    propriet delle cose che le nostre massime descrivono, su cui possiamo ragionare,che possiamo conoscere, su cui ci possiamo sbagliare, e cos via. Proiettare ciche Hume intendeva quando parlava di rendere belli o brutti tutti gli oggetti dellanatura con i colori presi a prestito dal sentimento interno. (32)

    Come i colori o i sapori vengono proiettati sugli oggetti o, pi precisamente su ciche negli oggetti causa queste percezioni sensibili, cos i valori sono proiettati suquelle caratteristiche moralmente neutrali della realt che suscitano i nostrisentimenti di approvazione e disapprovazione morali. Uno dei problemi del

    proiettivismo diventa allora spiegare se e come possiamo evitare la teoriadellerrore di Mackie. Questo aspetto coinvolge direttamente la parte quasi-realistadellespressivismo di Blackburn, il compito cio di spiegare come, a partire da una

    prospettiva non-cognitivista, possiamo in modo legittimo usare la nozione diverit. Dati gli scopi del presente lavoro daremo solo qualche breve cenno suquesta parte del suo progetto filosofico. Unindagine approfondita su questi temi ci

    spingerebbe ad affrontare problemi legati alla funzione semantica del discorsomorale, che ci allontanerebbe dal compito di ricostruire le linee guida del dibattitosullanalogia fra qualit morali e qualit secondarie. Ci che interessa stabilire inquesta sede se la metafora della proiezione possa essere considerata una buonaimmagine di ci che facciamo quando diamo giudizi morali e, in particolare, seessa sia migliore di quella avanzata dalla teoria disposizionalista di McDowell. Perstabilire questo punto considereremo unobiezione che egli ha sollevato contro lateoria di Blackburn.

    Nel suo celebre saggioProjection and Truth in Ethics, McDowell ha sostenuto che

    una metaetica quasi-realista come quella proposta da Blackburn deve risolvere unproblema apparentemente intrattabile che deriva dalla difesa di due tesicontrapposte. Tale concezione vuole infatti sostenere sia che i giudizi morali

    possono essere veri o falsi, sia che essi non hanno una natura cognitiva, ma sonoespressione di sentimenti. La soluzione di Blackburn che gli atteggiamentiespressi dai giudizi morali sono il prodotto di sensibilit che sono soggette a criticarazionale, e una volta fissati i criteri appropriati per la valutazione delle differentisensibilit acquisiamo il diritto ad usare la nozione di verit nel discorso morale.Secondo McDowell, tale progetto vieta che nel processo che ci porta ad

    individuare tali criteri si faccia ricorso ai concetti propri di quella sfera di discorsonei confronti di cui cerchiamo di guadagnare il diritto ad usare la nozione di verit.Egli scrive:

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    Un proiettivista quasi-realista che fa sul serio riguardo al (es.) comicocostruirebbe una concezione di cosa significa per le cose essere realmentedivertenti sulla base di principi atti a misurare il senso dellumorismo che

    dovrebbero essere stabiliti dallesterno della propensione a trovare le cosedivertenti. (33)

    Dal momento che il quasi-realista sostiene che i sentimenti sono precedenti allepropriet che essi proiettano, egli non pu sostenere, continua McDowell, che lanostra capacit di vedere quelle propriet morali possa avere un ruolonellattribuzione di valore alle nostre sensibilit. McDowell respinge con nettezzaquesta posizione.Egli ritiene che i sentimenti non possono spiegare le propriet etiche o comiche delmondo perch essi non hanno alcuna priorit concettuale rispetto a quelle

    propriet. Nel caso del comico, ad esempio, non possiamo caratterizzare isentimenti coinvolti se non come lesito di una propensione a trovare le cosedivertenti. Se comprendiamo questo punto, saremo inclini ad attribuire allacapacit di vedere quelle propriet un ruolo centrale nella costruzione divalutazioni razionali per le sensibilit comiche o morali. In altri termini, la verit inetica pu essere guadagnata solo da un punto di vista interno ai concetti etici stessi.A questo punto siamo in grado di comprendere le ragioni per cui McDowelldifende una spiegazione disposizionalista della morale. Respingere la posizione

    proiettivista equivale a respingere le obiezioni mosse da Michael Smith e da

    Crispin Wright al disposizionalismo. Entrambe le posizioni sono inadeguate perchpretendono di guadagnare la verit in etica a partire da una posizione che esternaalletica stessa: la prima, perch richiede di non usare concetti morali quandovalutiamo le differenti sensibilit che sono la fonte dei nostri sentimenti; laseconda, perch impone che lindividuazione delle caratteristiche che permettonola comprensione di un concetto (rosso, coraggioso) non presupponga unacomprensione del concetto stesso.Chiarito questo punto, McDowell pu sostenere contro lobiezione di Smith chenella individuazione delle caratteristiche che rendono adeguato un soggetto morale

    possiamo utilizzare concetti morali. Ci significa che siamo liberi di descrivere unsoggetto morale adeguato come una persona giusta, coraggiosa, ecc.

    Naturalmente questo solo un punto di partenza allinterno di un processo diriflessione morale e nulla garantisce che al termine di quel processo saremo spinti aliberarci da un particolare stile di riflessione morale. A questo proposito,McDowell scrive:

    Nessun verdetto particolare o giudizio sarebbe un punto di partenza inviolabile,immune da scrutinio critico, nel nostro sforzo di guadagnare il diritto ad affermare

    che alcuni verdetti o giudizi [morali] hanno la probabilit di essere veri. Questonon significa sostenere che dobbiamo guadagnare il diritto da una posizione

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    iniziale in cui ognuno di tali verdetti o giudizi sono sospesi, come accadenellimmagine proiettivista di un mondo che non contiene valori. (34)

    ora il momento di considerare la tenuta della linea di difesa elaborata da

    McDowell per lanalisi disposizionalista del valore morale. Occorre ricordare chese la sua proposta fosse plausibile, potremmo contare su una metaetica cognitivistache sarebbe in grado di rispondere allargomento della stranezza attraverso unaspiegazione della fenomenologia dellesperienza morale alternativa a quella diMackie.Credo si possa mostrare che la difesa di McDowell non sia convincente. Egli offreuna cattiva ricostruzione della posizione quasi-realista perch sembra ignorare ilfatto che in questa teoria presente unaspirazione esplicativa che va tenutachiaramente separata da quella giustificativa. In particolare, McDowell interpreta ilquasi-realismo come il passaggio dalla tesi che i nostri sentimenti sono precedentialle propriet che essi proiettano alla tesi che non possiamo far riferimento aconcetti morali quando valutiamo le differenti sensibilit che sono alla base deinostri sentimenti. Da ci conclude che quando giustifichiamo un giudizio morale

    particolare dobbiamo farlo da un punto di vista esterno alla morale stessa. Talericostruzione impone al livello della giustificazione un requisito che il quasi-realista esige invece solo al livello della spiegazione. Dal momento che uno degliobiettivi del proiettivismo di Blackburn spiegare attraverso i sentimenti le nostre

    pratiche morali, non siamo autorizzati a questo livello ad usare concetti etici, se lofacessimo renderemmo le nostre spiegazioni vuote. Si pu allora affermare che per

    il progetto esplicativo di Blackburn vale il vincolo di non-circolarit. Tale requisitonon vale per per il progetto giustificativo: in questa sede, il proiettivista ritieneche la difesa da parte di un soggetto morale delle proprie convinzioni non possache avvenire dallinterno del suo sistema morale di riferimento. Blackburn mette inluce chiaramente questo aspetto della sua teoria quando discute il problema delrelativismo in etica.

    Dovresti immaginarti come uno fra i tanti acquirenti al mercato dei valori. Sceglio ti viene affibbiato un cesto di valori, affermi e riaffermi tali valori, attribuendoti

    la dignit che deriva dalla conoscenza e dalla certezza. Ma devi riconoscere chealtri, che portano cesti di valori differenti, faranno lo stesso, e in nessuno di questic niente di pi che una coscienza contingente Non c un criterio indipendentedel giusto e dellingiusto, del bene o del male, e quindi nessuna certezza che tu siaun indicatore affidabile di essi. (35)

    Con un linguaggio che ricorda le tesi di McDowell, Blackburn sostiene che ilmodo corretto di neutralizzare la minaccia relativista mettere in discussionelidea stessa che si possa occupare un punto di vista esterno alle proprie

    convinzioni morali da cui sia possibile giudicarle.

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    Loppositore ci chiede di occupare un punto di vista esterno, il punto di vistadellesilio da tutti i valori, e di vedere le nostre sensibilit dallesterno. Ma solomediante le nostre sensibilit che giudichiamo i valori. Sarebbe come se ci venissechiesto di giudicare i colori con gli occhi bendati, il risultato inevitabile sarebbe

    che i valori andrebbero perduti, e con essi la percezione di noi stessi come loroindicatori affidabili. (36)

    In sintesi, Blackburn respinge apertamente lidea stessa che McDowell gliattribuisce.A partire da questi aspetti della discussione fra i due filosofi, possiamo provare asvolgere alcune brevi osservazioni sui rispettivi meriti dei due pi influentitentativi di superare la teoria dellerrore di Mackie. opportuno per osservare cheun confronto fra il cognitivismo di McDowell e il non-cognitivismo di Blackburnrichiederebbe una discussione che non possibile affrontare in questa sede. Cilimiteremo perci a suggerire possibili spunti per una pi articolata riflessionefutura.Entrambe le prospettive, come del resto anche quella di Mackie, sostengono inqualche senso che i valori morali sono simili alle qualit secondarie. SecondoMcDowell, sia i valori che i colori possono essere analizzati in termini didisposizioni, cio fatti che hanno una relazione interna con i nostri stati soggettivi;

    per Blackburn, invece, entrambi possono venire descritti come una forma diproiezione o di colorazione del mondo. Il confronto fin qui condotto, credo, mettain luce alcuni motivi per preferire il modello di Blackburn a quello di McDowell.

    Il disposizionalismo di McDowell in grado di spiegare adeguatamente cosaaccade sia quando giustifichiamo le nostre convinzioni morali o la scelta di una

    particolare sensibilit sia quando individuiamo le condizioni ideali perlapprovazione, ma questa teoria non offre alcuna spiegazione di ci che facciamoquando moralizziamo. La teoria proiettivista di Blackburn rappresenta invece unfelice tentativo di dare una risposta a questi due tipi di questioni. Egli sostieneinfatti che quando formuliamo un giudizio morale esprimiamo sentimenti naturaliverso qualit del mondo che sono moralmente neutrali. Tali reazioni sentimentalinon presuppongono la capacit di padroneggiare concetti morali, ma sono invece

    logicamente e temporalmente precedenti allo sviluppo di tali capacit. Ci verosia se consideriamo lapprendimento e lo sviluppo morale di un singolo individuosia se ripercorriamo la storia evolutiva degli esseri umani da forme di aggregazione

    primitive a quelle delle moderne societ complesse. (37)Infine, Blackburn affermache quando riflettiamo criticamente sulle nostre convinzioni morali non possiamooccupare una posizione esterna allorizzonte morale di cui quelle convinzioni sonoespressione. Lanalisi disposizionalista di McDowell pu essere letta come untentativo particolarmente sofisticato di elaborare e articolare questultimo punto,egli non sembra per in grado di offrire alcun contributo filosofico per affrontare

    laltra fondamentale questione.

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    Note

    (1) Su questo spostamento dinteresse si veda lintroduzione di P. Donatelli aEtica analitica, a cura di P. Donatelli e E. Lecaldano, Led, Milano, 1996, pp. 15-

    16; si veda anche A. Miller, An Introduction to Contemporary Metaethics, PolityPress, Cambridge, 2003, pp. 1-8.(2)Rispetto alle questioni ontologiche sulla natura dei valori morali, essi avevanoinfatti avversari comuni, costituiti dalle teorie razionaliste di Clarke e diWollaston, che identificavano il vizio e la virt con dati di fatto oggettivi o conrelazioni eterne fra le cose percepiti dalla ragione.(3)Luso dellimmagine delle qualit secondarie negli scritti dei sentimentalistiinglesi getta quindi luce sulle somiglianze fra la battaglia che la scienza modernadovette ingaggiare contro gli aristotelici e quella che appena un secolo doposcoppi in seno alla filosofia morale. Come la scienza del Seicento, soprattuttocon Boyle, Cartesio e Locke, si era battuta per imporre una descrizione del mondoche facesse menzione solo della materia e del movimento, mettendo al bandotutto ci che si richiamava ad essenze o a qualit occulte e conferendo perci allequalit secondarie uno statuto meramente soggettivo, cos nel Settecento imoralisti inglesi, a partire da quegli stessi risultati, ingaggiavano una battagliacon i razionalisti contro lesistenza di propriet morali oggettive. Il paragone fraqualit etiche e qualit secondarie deve perci essere considerato una spia dellosforzo di allineare la morale ad una nuova concezione del mondo che la filosofianaturale aveva reso disponibile e far valere perci, contro le pretese dei

    razionalisti, la totale soggettivit dei valori.(4) Per questo uso esteso di sentimentalismo vedi J. DArms - D. Jacobson,Sentiment and Value, Ethics 110 (2000), pp. 722-748. Per un uso meno ampiodel termine sentimentalismo si veda invece E. Lecaldano, Le emozioni morali elargomentazione in etica, in T. Magri (a cura di), Filosofia ed emozioni,Feltrinelli, Milano, 1999, pp. 135-163. Lecaldano ad es. scrive: Una posizionesentimentalistica come ovvio non si limita a riconoscere che abbiamo deisentimenti morali, ma afferma pi decisamente che proprio da questi sentimenticome originari e inderivabili ha origine tutta quanta la nostra esperienza morale

    []. Il sentimentalismo dunque una concezione che sostiene che tutta lamoralit si apre per noi solo in quanto siamo in grado di provare particolariemozioni o sentimenti propriamente etici (pp. 142-43). Lecaldano, diversamenteda DArms Jacobson, propone una definizione di sentimentalismo che escludeche la valutazione morale possa avere un contenuto cognitivo.(5) agevole descrivere le differenze fra i due opposti schieramenti mettendo inluce lanalisi che essi offrono dei giudizi morali. La posizione dei non-cognitivisti

    pu essere descritta come la congiunzione di due tesi connesse. La prima, cheriguarda la semantica del discorso, che gli enunciati morali non hanno

    condizioni di verit. La seconda, che coinvolge direttamente la psicologia morale, che i giudizi morali non esprimono credenze o stati rappresentativi, masentimenti o inclinazioni non-cognitive. I cognitivisti difendono invece

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    unimmagine opposta del discorso morale e sostengono che i giudizi eticiesprimono stati psicologici dotati di un contenuto rappresentativo e sono percivalutabili in termini di verit e falsit.(6)J. Mackie, Ethics. Inventing Right and Wrong, Penguin, London, 1977; trad.

    it.Etica: inventare il giusto e lingiusto, Giappichelli, Torino, 2001.(7)John Mackie,Etica, cit., p. 25-26.(8)Mackie non accetta il modo in cui Hare liquida la questione delloggettivitdei valori. La strategia di Hare, sostiene Mackie, assomiglia alla tesi positivistache non c differenza fra un mondo fenomenalistico o berkeleiano, nel quale visono solo menti con le loro idee, e il mondo configurato secondo il realismo delsenso comune nel quale vi sono in aggiunta anche le cose materiali, poichsarebbe logicamente possibile che le persone avessero le medesime esperienze. Serifiutiamo il positivismo che rende la disputa fra realisti e fenomenalisti una

    pseudo-questione, possiamo rifiutare anche il modo in cui Hare licenzia laquestione delloggettivit dei valori.(9)M. Smith, The Moral Problem, Blackwell, Oxford, 1994, pp. 63-66.(10) La teoria dellerrore di Mackie pu essere considerata una concezionecognitivista della morale senza essere per una forma di realismo morale.(11) Si veda su questo punto A Miller, An Introduction to Contemporary

    Metaethics, cit., cap. 6.(12) J. Locke, Essay Concerning Human Understanding, edited By Peter H.

    Nidditch, Clarendon Press, Oxford, 1975, trad. it. Saggio sullintelligenza umanatraduzione di Camillo Pellizzi rivista da Grazia Farina, Laterza, Roma-Bari, 1988.

    Per una chiara presentazione della sua concezione dei colori si veda in particolareil capitolo 8 del libro 2 del Saggio. Occorre ricordare che appena un anno primadel suo volume sulletica, Mackie pubblic una monografia su Locke (Problems

    from Locke, Clarendon Press, Oxford, 1976, in partic. pp. 7-23) che dedicavalintero primo capitolo alla discussione della distinzione lockiana fra qualit

    primarie e qualit secondarie.(13)P. Boghossian e D. Velleman, Colour as a Secondary Quality, Mind 98(1989), pp. 81-103.(14)Sul collegamento fra Mackie e Kant vedi M. Smith, Colour, Trasparency,

    Mind-Indipendence, in J. Haldane and Crispin Wright (eds.), Reality,Representation and Projection, Oxford University Press, Oxford, 1993, pp. 269-77.(15)J. Mackie, op. cit., p. 39.(16)J. Mackie, op. cit., p. 45.(17)J. Mackie, op. cit., p. 44.(18) Una prima osservazione serve a liberare il campo da quelle critiche chesostengono lanalisi disposizionalista contrasta con la nostra esperienza ordinariadei colori. Come abbiamo ricordato nella sez. 2.1, Boghossian e Welleman hanno

    sostenuto che se il nostro concetto di rosso fosse quello di una disposizione, ilcolore di un oggetto ci apparirebbe come qualcosa che viene attivatoogni voltache accendiamo una luce in una stanza buia. Secondo i due autori, questa una

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    cattiva ricostruzione della nostra esperienza: nel passaggio dal buio alla luce icolori non vengono attivati, ma piuttosto vengonorivelati. Alexander Miller (op.cit., pp. 125-26) ha recentemente mostrato che questo argomento non convincente. Egli ha rilevato infatti che gli oggetti non smettono di avere

    disposizioni quando queste non si manifestano: un bicchiere di vetro rimanefragile anche quando non cade in terra, cos come la disposizione che ha lozucchero di sciogliersi nellacqua non scompare quando questo si trova nellazuccheriera. Lanalisi disposizionalista dei colori, conclude Miller, percicoerente con lidea che gli oggetti continuano ad essere colorati anche in assenzadi luce.(19)Vedi M. Smith, Objectivity and Moral Realism: On the Significance of the

    Phenomenology of Moral Experience, in J. Haldane e C. Wright (eds.), Reality,Representation and Projection, Oxford University Press, Oxford, 1993, pp. 235-55.(20)M. Smith, op. cit., p. 244.(21)Ibidem.(22)M. Smith, op. cit., p. 242-47.(23) J. McDowell, Value as a Secondary Qualities, in T. Honderich (ed.),

    Morality and Objectivity. A Tribute to J. L. Mackie, Routledge, London, 1985, pp.110-129.(24)J. McDowell, Values and Secondary Qualities, cit., pp. 11-112.(25)J. McDowell, op. cit., p. 113.(26)J. McDowell, op. cit., p. 110.

    (27)J. McDowell, op. cit., p. 113.(28)J. McDowell, op. cit., pp. 113-114.(29) Per una ricostruzione delle linee generali di questo dibattito si veda A.Miller, op. cit., cap. 7.(30)C. Wright,Moral Values, Projection and Secondary Qualities, Proceedingsof the Aristotelian Society Suppl. Vol. (1988), pp. 1-26, pp. 22-3.(31)M. Smith, Objectivity and Moral Realism , cit., p. 247.(32)S. Blackburn, Spreading the Word, Clarendon Press, Oxford, 1984, pp. 170-1.

    (33) J. McDowell, Mind, Value, and Reality, Harvard University Press,Cambridge, 1998, p 160.(34) J. McDowell, Mind, Value, and Reality, Harvard University Press,Cambridge, 1998, p. 163.(35)S. Blackburn, Securing the Nots, in W. Sinnott-Armstrong and M. Timmons(eds.),Moral Knowledge, Oxford University Press, New York, pp. 82-100, p. 89.(36)Ibidem.(37)S. Blackburn,Realism, Quasi or Queasy, in J. Haldane and C. Wright, op. cit.,

    pp. 365-83, p. 374.