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I Vers. 13.3.2013 DIRITTO AMMINISTRATIVO (prof. S. A. Romano) A.A. 2012 - 2013 L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA Schede dei temi affrontati nelle lezioni. INDICE PARTE PRIMA 1 . Società, diritto, Stato. 1 2 . L’organizzazione amministrativa dello Stato Garantista. 3 3 . Il livello politico – costituzionale. 5 4 . Il livello politico-amministrativo. 1 1 A ) ATTO AMMINISTRATIVO (principio di imparzialità; principio di legalità; diritto soggettivo; interesse legittimo; atto amministrativo vincolato; atto amministrativo discrezionale; discrezionalità amministrativa; merito; discrezionalità tecnica e accertamento tecnico; vizi di legittimità: incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge; vizi di merito). 1 3 B ) ORGANIZZAZIONE (1. amministrazione attiva, consultiva, di controllo; 2. amministrazione diretta e indiretta; 3. concessioni di servizi pubblici; 4. amministrazioni ed aziende autonome dello Stato; 5. 1 9

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I

Vers. 13.3.2013

DIRITTO AMMINISTRATIVO (prof. S. A. Romano)

A.A. 2012 - 2013

L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA

Schede dei temi affrontati nelle lezioni.

INDICE

PARTE PRIMA

1. Società, diritto, Stato. 1 2. L’organizzazione amministrativa dello Stato Garantista. 3 3. Il livello politico – costituzionale. 5 4. Il livello politico-amministrativo. 11A)

ATTO AMMINISTRATIVO (principio di imparzialità; principio di legalità; diritto soggettivo; interesse legittimo; atto amministrativo vincolato; atto amministrativo discrezionale; discrezionalità amministrativa; merito; discrezionalità tecnica e accertamento tecnico; vizi di legittimità: incompetenza, eccesso di potere, violazione di legge; vizi di merito).

13

B) ORGANIZZAZIONE (1. amministrazione attiva, consultiva, di controllo; 2. amministrazione diretta e indiretta; 3. concessioni di servizi pubblici; 4. amministrazioni ed aziende autonome dello Stato; 5. amministrazione per enti pubblici; 6. enti pubblici economici).

19

C)

PERSONALE (personale politico: ministri e sottosegretari; personale burocratico: amministrativi e tecnici; il rapporto di pubblico impiego; la responsabilità amministrativa; il pubblico concorso; il rapporto di lavoro privatizzato).

27

D)

MEZZI FINANZIARI (la legge di approvazione del bilancio, il rendiconto consuntivo: art. 81 Cost.; il giudizio di parificazione del rendiconto generale dello Stato ad opera della Corte dei conti: art. 100 Cost.).

30

PARTE SECONDA

Il MODELLO ATTUALE E LA SUA PIU’ RECENTE EVOLUZIONE.5. Il nuovo rapporto tra Società e Diritto. 336. Il livello politico-amministrativo. 38

I - Le strutture di livello transnazionale ed europeo.7. Premessa. 44

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8. La componente internazionale. 449 La componente europea (i Trattati; la cittadinanza del’Unione; i

principi democratici; la molteplicità dei settori di competenza; diversi gradi di integrazione, esempi da alcuni settori: appalti pubblici – concorrenza e mercato – protezione dell’ambiente – farmaci – banche centrali e moneta – agricoltura).

48

II - Le strutture esterne agli apparati amministrativi della Repubblica.

10. Partiti politici e sindacati. 5510.1

Partiti politici. 55

10.2

Sindacati e Organizzazioni dei datori di lavoro. 57

11. Le Associazioni di volontariato. 59

III – Gli apparati amministrativi della Repubblica.III.A) I Principi.12.

La legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3: la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione. 61

13.

Il principio di sussidiarietà. 62

14.

Il principio di differenziazione. 64

15.

Il principio di adeguatezza. 65

16.

Il principio di leale collaborazione. 65

17.

Il nuovo rapporto Stato, Regioni, enti locali. 66

18.

L’affiorare dell’ “ordinamento comunitario” nella Costituzione ed il ruolo delle Regioni. 68

19 Gli interventi di ammodernamento dell’organizzazione pubblica.

69

III.B) I Comuni, le Province e le Città metropolitane. Le Regioni.20.

I Comuni. Le Province e le Città metropolitane. 72

21.

Le Regioni 75

III.C) Le strutture di coordinamento.22.

Le strutture di coordinamento dei livelli nazionali, regionali e locali.

76

23 La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome. 76

24 La Conferenza Stato-città ed autonomie locali. La 78

II

Page 3: r0mano 2014.docx

III

. Conferenza unificata.25.

Le Conferenze dei servizi. 79

III.D) Le strutture comuni.26.

Le strutture comuni a servizio della Repubblica. 79

27.

L’ISTAT e il Sistema Statistico Nazionale (SISTAN). 80

28.

L’ARAN. 81

29.

L'Agenzia per l'Italia Digitale. 83

III.E) Le Autorità amministrative indipendenti.30.

Il ruolo delle Autorità amministrative indipendenti. 85

31.

Le principali Autorità amministrative indipendenti. 88

32.

L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

90

33.

La Commissione di Garanzia per l'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali. 94

34.

Il Garante per la protezione dei dati personali. 97

35.

Le Autorità per la regolazione dei servizi pubblici e il moderno assetto dei servizi pubblici (AEEG, Agcom e Autorità dei Trasporti).

101

36.

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato - AGCM e la Commissione nazionale per le società e la borsa - Consob.

108

37.

La COVIP e la CiVIT. 112

38.

La Banca d’Italia. 113

39.

L’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private – IVASS. 116

III.F) L’organizzazione statale per ministeri.40.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri. La riforma operata con la legge 23 agosto 1988 n. 400 e la successiva emanazione del d.lgs. 30 luglio 1999 n. 303. 117

41.

La riforma dell'organizzazione amministrativa statale nella legge 24 dicembre 1993 n. 537. I comitati interministeriali. 118

42.

Il decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 300 sull’orga- nizzazione ministeriale. 124

43.

I dipartimenti. 128

44 Le Direzioni generali ed il Segretario Generale. 129

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.45.

Le Agenzie. 130

III.G) Gli organi ausiliari.46. L’indipendenza del Consiglio di Stato e della Corte dei

conti.. 132

47. Il Consiglio di Stato. 13248. La Corte dei Conti. 13448.1.

Il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo. 135

48.2.

Il controllo su singoli atti delle amministrazioni statali di notevole rilievo finanziario. 138

48.3.

La parificazione del rendiconto generale dello Stato e di quello delle Regioni. 139

48.4.

Il controllo sulla gestione finanziaria degli enti sovvenzionati dallo Stato. 140

48.5.

Il controllo successivo sulla gestione delle Amministrazioni pubbliche statali e regionali. 140

48.6.

Il controllo della Corte dei Conti sui conti consuntivi delle province e dei comuni con più di 8.000 abitanti. 144

48.7.

Il controllo della Corte dei conti in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. 145

48.8.

Il controllo sulla gestione ed il controllo economico/fi- nanziario della Corte dei conti. 147

49. La Ragioneria generale dello Stato. 14950. L’Avvocatura dello Stato. 152

III.H) Il personale.51. Premessa. Riforma dell'amministrazione e riforma della

burocrazia.154

52. La contrattazione collettiva. 16053. Il controllo interno. 16154. Il personale politico. 16455. Il personale dirigenziale. 16655.1.

Competenze dei Dirigenti generali. 166

55.2.

Competenze dei Dirigenti. 168

56. Gli incarichi di funzioni dirigenziali. 16957. La responsabilità dirigenziale e le modalità di verifica. 17058. Il “telelavoro”. 171

IV - La gestione dei mezzi finanziari della Repubblica.59.

La politica di bilancio nel contesto dell’UE. 172

IV

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V

Page 6: r0mano 2014.docx

1

***********

PARTE PRIMA

Il MODELLO ORIGINARIO E LA SUA EVOLUZIONE FINO

ALLA COSTITUZIONE DEL 1948.

1. Società, diritto, Stato.

Ogni società esprime un diritto che risponde al suo modo d’essere ed

ai suoi bisogni. La società attuale affonda le sue radici nella rivoluzione

francese e cioè nella fase storica della sua evoluzione che ha dato luogo alla

formazione del c.d. Stato moderno. Abbandonata da tempo l’idea

medioevale di una società universale, si trattava, nonostante la vicenda

rivoluzionaria, di una società che si sentiva stabilmente insediata in un

territorio, con una comune cultura, che voleva essere una comunità di

uomini liberi, uguali e solidali, e che mirava a soddisfare tali esigenze

attraverso lo Stato, istituzione cui attribuisce il monopolio del proprio diritto

e, dunque, il monopolio delle fonti per la sua produzione. Il diritto è un

diritto su base territoriale (non personale), il potere legislativo appartiene

allo Stato (declino del diritto consuetudinario e delle altre fonti extrastatali:

Chiesa; Arti e Corporazioni, Comuni). Caratteristica di questo tipo di Stato è

quella di porsi al contempo come espressione della società stessa nel suo

complesso (Stato comunità, Stato ordinamento) e della istituzione che la

governa (Stato persona, Stato apparato). In tale “ambiguità”, del resto,

riposa la stessa legittimazione dello Stato (apparato) come Autorità in grado

di esercitare poteri autoritari nei confronti dei cittadini: per così dire lo Stato

comunità legittima lo Stato persona.

Lo Stato italiano è la società italiana. Lo Stato è, quindi, titolare della

sovranità nazionale. I poteri autoritari dello Stato si legittimano per il loro

immediato fondarsi sul popolo e sulla sovranità popolare, di cui lo Stato -

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apparato (pubblico di governo della società) è espressione e mezzo. Da

questo punto di vista lo Stato, dichiarando di riconoscere i diritti inviolabili

dell’individuo, si impone, come titolare “monopolista” del potere

legislativo, di operare come strumento attraverso cui la società garantisce a

tutti i suoi componenti la possibilità di godere di tali diritti.

Seguendo quest’ordine di idee, però, il diritto della società diviene il

diritto posto dallo Stato (diritto positivo statale), che inesorabilmente

emargina (se non elimina) dal “giuridico” tutte le norme esterne

all’ordinamento medesimo (diritto naturale). L’ordinamento giuridico

statale, con le sue norme costituzionali e sub costituzionali, diviene

l’ordinamento giuridico della società libera, come tale originario ed

indipendente. I diritti soggettivi dei cittadini, siano essi civili o politici,

divengono i diritti sanciti dalle leggi dello Stato. La Costituzione dello Stato

è al contempo la legge che fonda lo Stato e la prima legge prodotta dallo

Stato Persona. Si è sempre in bilico tra lo Stato di diritto e il Tiranno.

L’individuo, i cui bisogni e le cui aspirazioni sono alla base del sistema,

rischia di venire fagocitato dallo Stato. Il confine è dato dal contenuto della

Costituzione dello Stato (l’art. 16 della Dichiarazione francese dei diritti

dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789 afferma solennemente: “Ogni

società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei

poteri determinata, non ha costituzione.”) e, all’interno della organizzazione

politico-costituzionale dello Stato, anche dal modo di atteggiarsi della sua

organizzazione politico-amministrativa.

Da quanto detto, appare evidente il motivo per cui la prima esigenza

avvertita dagli individui componenti una simile società è un’esigenza

garantista (evitare che lo Stato faccia cattivo uso dei suoi poteri autoritari a

danno del cittadino e delle sue libertà); inoltre, traspare il collegamento che

paradossalmente viene ad instaurarsi tra l’istanza individualista e libertaria,

che sta alla base del nuovo ordinamento derivante dai principi della

rivoluzione francese, ed una concezione statalistica dell’ordinamento

giuridico, possibile premessa ad evoluzioni totalitarie identificanti la società

nello Stato, dando luogo ad un “pendolo” che percorre gran parte del

novecento.

2

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2. L’organizzazione amministrativa dello Stato Garantista.

2.1. Il ruolo dello Stato, dunque, è quello di assicurare il vivere civile

in una società di uomini liberi ed eguali la cui vita massimamente si svolge

entro i confini dello Stato stesso. Autorità dello Stato e Libertà del cittadino.

Lo Stato come “male minore”, necessario per la salvaguardia delle libertà

individuali dalla prepotenza del più forte. Tendenziale eliminazione di

autorità intermedie tra Stato ed individuo a protezione della eguaglianza tra

tutti gli uomini. Riconoscimento a tutti gli uomini della capacità giuridica

generale, che è alla base del nuovo modo di essere del soggetto

nell’ordinamento giuridico. Essa si acquisita al momento della nascita e

costituisce il presupposto per la massima espansione dell’individuo nella

società, senza discriminazioni derivanti da status sociali.

Limitazione dei compiti dello Stato rispetto alla società da esso

regolata. Distinzione e separazione tra pubblico e privato, come due distinti

settori in cui lo Stato opera in vesti differenti:

nell’area del diritto dei privati, lo Stato opera come “arbitro”, tutore

dell’ordine pubblico e guardiano dell’osservanza delle regole da parte di

tutti i soggetti privati nei loro rapporti reciproci (lo Stato realizza a

livello legislativo tale sua funzione mediante il codice civile, con le sue

norme prevalentemente dispositive, giustificandosi le eccezionali norme

imperative con la necessità di tutela dell’ordine pubblico e del buon

costume).Tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge è

permesso a qualsiasi uomo; è il regno della capacità giuridica generale;

in tale ambito tutti sono in posizione paritaria; le regole sono innanzi

tutto auto poste dai privati mediante il contratto (che è legge fra le parti).

Lo Stato, quando opera iure privatorum, agisce esso stesso in posizione

paritaria.

nell’area del diritto pubblico, lo Stato si pone ed opera come Autorità,

mediante lo ius imperii (legislatore, amministratore pubblico, giudice)

cui sono sottoposti i cittadini che, in questo caso sono in una posizione

di soggezione nei riguardi dello Stato. È l’area della capacità speciale,

della supremazia dello Stato; in quest’area Autorità e cittadino non sono

3

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in posizione paritaria, sia pure per ragioni socialmente valide ed anzi

“necessitate” (il male minore rispetto all’anarchia). In quest’area, quindi,

a garanzia dei cittadini e delle loro libertà, assume valore essenziale il

principio di legalità; tutto ciò che non è espressamente permesso dalla

legge è vietato (disciplina delle pubbliche potestà: principio della

attribuzione e della competenza).

2.2. Invero il modello sopra delineato, come sempre accade, è più

tendenziale che reale. Ciò non solo per il peso dell’eredità dei precedenti

periodi e per le inevitabili contraddizioni tra “teoria e pratica” (si pensi alla

vicenda del suffragio popolare, al dibattito tra libertà formali e libertà

sostanziali ecc.), ma soprattutto perché una società è sempre in continuo

divenire e le nuove esigenze della società civile si impongono già

all’indomani dell’Unità d’Italia, dando luogo ad una prima crisi della

ideologia dello Stato a fini limitati e della netta distinzione tra area pubblica

ed area privata.

Anche l’Italia viene investita dalla “rivoluzione industriale” che porta

nuove realtà e nuove esigenze. In particolare la necessità di dotare l’Italia di

infrastrutture moderne (strade, ferrovie, porti, illuminazione cittadina ecc.),

impone l’attribuzione allo Stato, in misura ben maggiore rispetto al passato,

di compiti di produzione di beni e servizi e non solo di funzioni

amministrative di tipo giuridico (regolamenti, ordini, autorizzazioni, licenze

ecc.).

Inoltre, con la rivoluzione industriale nasce il problema della tutela

della classe operaia, che sollecita una legislazione che non ha più ad oggetto

l’individuo, ma una particolare categoria di individui che necessitano di una

disciplina e di una tutela differenziata: i lavoratori impiegati nelle fabbriche

(il c.d. proletariato). Da tale fenomeno economico-sociale nascono nuove

esigenze (es. assicurazioni, previdenza invalidità e vecchiaia) e, inoltre,

riapre il problema delle formazioni sociali intermedie (es. sindacati) tra

Stato e individuo, che possono essere viste non più come ostacolo alla

uguaglianza tra gli uomini, in quanto fonti di privilegi che creano situazioni

discriminanti, ma, al contrario, come mezzo per riequilibrare oggettive

4

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situazioni di forte squilibrio non legate alle capacità personali del singolo

ma a fattori esterni.

Tuttavia, la risposta a queste nuove istanze (almeno nel pensiero

liberale all’epoca dominante e fatta salva la nascita delle nuove ideologie

socialiste e marxiste) viene trovata all’interno del modello che si è delineato,

attraverso l’ampliamento delle funzioni dello Stato, sul presupposto che,

essendo lo Stato la personificazione giuridica della società nazionale e,

quindi, il titolare istituzionale dell’interesse generale, rientra nelle sue

competenze tutto ciò che serve alla soddisfazione dell’interesse generale e

del bene pubblico.

In buona sostanza, lo Stato-persona, come espressione dello Stato-

ordinamento e, quindi, della società nazionale, ha una sorta di “monopolio”

della titolarità degli interessi pubblici (e della loro cura) e tale “esclusività”

gli consente di intervenire anche in campi tradizionalmente riservati ai

privati (es. produzione economica) nei casi, in ipotesi eccezionali ma in

concreto sempre più frequenti, nei quali – come, ad esempio, vedremo a

proposito dei c.d. servizi pubblici – egli ritiene presenti interessi pubblici

(economici, fiscali ecc.) che giustificano l’intervento, anche in via esclusiva,

dello Stato (si verifica quel “pendolo” tra individualismo e statalismo cui si

è accennato al par. 2 ).

3. Il livello politico – costituzionale.

Si tratta di una lenta, veramente “secolare” (prende tutto l’ottocento e

gran parte del novecento), costruzione e “messa a punto” di un sistema di

strutture politico-costituzionali e politico-amministrative che sempre meglio

rispondono alle esigenze sopra esposte, sentite come vitali dalla società

italiana dell’epoca, iscritta tra le società occidentali di matrice liberale.

Tale processo sembra raggiungere il suo apice, sia per il livello

costituzionale che per il livello amministrativo, nella Costituzione del 1948,

la quale per molti aspetti rappresenta il compimento della tradizionale

concezione dello Stato e della sua organizzazione amministrativa, anche se,

per altri aspetti (programmatici), primo fra tutti il regionalismo, essa si pone

come il punto di partenza per una nuova visione dello Stato che, pur

5

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indubbiamente costituendo una significativa “svolta”, resta comunque nel

solco della tradizione prima descritta.

Distinguendo il livello politico-costituzionale dal livello politico-

amministrativo, evochiamo solo per “citazioni” il livello politico-

costituzionale richiamando all’attenzione alcuni elementi ai nostri fini

particolarmente importanti perché fondanti l’assetto del livello politico-

amministrativo che forma oggetto del nostro corso di lezioni.

a) Si è detto del rapporto che lega, secondo la concezione dipendente

dalla rivoluzione francese, la Società allo Stato e di come lo “Stato di

diritto” si legittimi per il suo immediato fondarsi sul popolo. La

Costituzione del 1948 porta a compimento tale processo proclamando che

l’Italia è una repubblica democratica e che la sovranità appartiene al popolo,

il quale la esercita (anche) attraverso forme di democrazia diretta, come

avviene nei referendum, ma soprattutto mediante forme di democrazia

parlamentare. Si conclude, inoltre, il lungo viaggio verso il riconoscimento

del diritto di voto a tutto il popolo, stabilendo la regola del suffragio

universale sia maschile che femminile.

b) Quelle trasformazioni sociali derivanti dalla c.d. rivoluzione

industriale che, come si è visto, accostano alla figura del <<cittadino>>,

quale nasce dalla rivoluzione francese e dal principio di eguaglianza, la

diversa figura del <<lavoratore>>, quale particolare soggetto (l’operaio che

lavora nelle fabbriche) che lo Stato deve tutelare, trovano nella Costituzione

del 1948 pieno riconoscimento, laddove questa solennemente dichiara che la

Repubblica italiana è fondata sul lavoro, e, poi, detta una particolare

disciplina del lavoratore dipendente nelle disposizioni sui rapporti

economici e sulla tutela del lavoro (art. 35 segg. Cost.).

c) Si è accennato all’importanza attribuita dalla cultura post

rivoluzione francese alla teoria della divisione dei poteri come meccanismo

di garanzia della libertà dei cittadini nei riguardi del potere autoritario dello

Stato. La Costituzione del 1948 “perfeziona” tale teoria adattandola alle

esigenze parlamentari (vedi i rapporti Governo – Parlamento ed i rapporti

poteri Legislativo/Esecutivo e potere Giudiziario) e rafforza gli strumenti

diretti a realizzare lo scopo finale di garanzia attraverso la previsione di una

6

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costituzione “rigida” e l’istituzione di una Corte Costituzionale, giudice

delle leggi e dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, disciplinata

sotto il significativo titolo “Garanzie costituzionali”.

d) Si è detto del rapporto diritto-Stato e del ruolo della legge. La

preesistenza allo Stato dei diritti dell’uomo viene espressamente

riconosciuta dall’art. 2 della Cost. (“La Repubblica riconosce e garantisce i

diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove

si svolge la sua personalità…”) e da tutta la prima parte della Costituzione

che si occupa delle libertà dell’uomo e del cittadino. Il richiamo alle

“formazioni sociali” rappresenta una significativa messa a punto del tema,

che consente il superamento della originaria generalizzata avversione nei

riguardi dei “gruppi intermedi” tra Stato e individuo, senza tuttavia tradire

l’impostazione individualistica di fondo, poiché le formazioni sociali

vengono valorizzate non in se stesse, ma in quanto servano per lo sviluppo

della personalità dell’uomo.

e) Si è anche ricordato il ruolo assegnato alla legge dello Stato come

strumento per garantire i diritti del cittadino. La Costituzione del 1948

consacra tale ruolo, stabilendo: che solo la legge, applicata dalla

magistratura, può incidere sulla libertà personale delle persone; che solo la

legge può imporre alle persone prestazioni personali e patrimoniali; che solo

la legge può attribuire all’Amministrazione poteri amministrativi aventi

carattere autoritario nei confronti dei privati (c.d. principio di legalità).

f) Si è sottolineato come il riconoscimento del primato della legge se,

da un lato, è il cardine del c.d. stato di diritto e, quindi, del sistema di

garanzia delle libertà del cittadino, dall’altro lato, aggrava la potenziale

“pericolosità” per la libertà del cittadino dell’attribuzione allo Stato persona

del potere legislativo nella sua totalità. Le costituzioni dell’ottocento,

pertanto, mirano a dettare una disciplina della funzione legislativa che sia

tale da legare la legge alla volontà popolare e garantire che essa non si

trasformi in strumento di tirannia. La Costituzione del 1948 accoglie tutte le

idee più avanzate per garantire che le scelte politiche trasformate in legge (e

che, come tali, devono essere osservate da tutti) siano quelle volute dalla

maggioranza del popolo.

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La funzione legislativa, affidata collettivamente alle due Camere, è

esercitata in pubbliche sedute (art. 64 Cost.), per garantire che le scelte

politiche vengano dibattute dai rappresentanti del popolo, sotto gli occhi di

un’opinione pubblica resa più attenta dai mezzi di informazione. I

parlamentari, eletti dal popolo e lealmente ispirati dal desiderio di dibattere

le diverse proposte di legge per giungere alla scelta più rispondente al bene

comune, deliberano a maggioranza (da qui la previsione dell’art. 67 secondo

cui ogni parlamentare rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni

senza vincolo di mandato). La volontà della maggioranza (non importa a

questo punto se criticabile o meno) diventa legge dello Stato e il Presidente

della Repubblica, organo super partes che rappresenta l’unità della nazione,

la promulga (art. 73 Cost.) come la scelta politica accettata da tutti i

cittadini.

In questo modo la società si assicura che la legge, pur imperativa,

rimanga strumento di democrazia e non di tirannia.

g) La forma di governo parlamentare scelta dalla Costituzione del

1948 si caratterizza per la <centralità> del Parlamento, dovuto al suo

peculiare carattere rappresentativo che dà luogo ad un particolare rapporto

tra Parlamento e Governo.

Come è noto l’evoluzione democratica delle istituzioni, che dal Re

assoluto (tale per grazia di Dio e non per volontà della nazione) perviene

alla c.d. monarchia costituzionale, passa attraverso la subordinazione del

regolamento (atto tipico dell’esecutivo) alla legge (atto tipico del

Parlamento) e la trasformazione del governo, da organo attraverso cui il Re

amministra la nazione (vedi l’espressione “Governo di Sua Maestà”) e,

appunto per ciò, da questo nominato e revocato, ad organo nominato dal Re

ma che gode la fiducia del Parlamento.

Lo Statuto Albertino non prevedeva espressamente la fiducia , che

pure si era imposta per prassi costituzionale. La Costituzione del 1948,

invece, dopo avere stabilito che il Presidente della Repubblica nomina il

Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri (art.

92), stabilisce esplicitamente che “…il Governo deve avere la fiducia delle

due Camere” (art. 94).

8

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La mozione di sfiducia (nei confronti del governo e/o del singolo

Ministro) rende continuativa la responsabilità politica del Governo e dei

Ministri di fronte al Parlamento (art. 95 Cost.). Peraltro a tale strumento si

aggiungono molti altri strumenti di controllo del Parlamento sul Governo e

sulla attività amministrativa da esso posta in essere (interrogazioni e

interpellanze parlamentare, poteri di inchiesta, approvazione della legge di

bilancio ecc.).

L’assenza di un diretto legame tra Governo e Popolo (come anche tra

Presidente della Repubblica e Popolo), rinsalda il ruolo centrale del

Parlamento, unico organo espressione diretta del Popolo sovrano, dando

luogo ad un sistema che chiaramente e senza possibilità di equivoci disegna

un ingranaggio nel quale le scelte politiche spettano al Popolo, che le

esprime ordinariamente attraverso il Parlamento e eccezionalmente

direttamente (vedi referendum abrogativo), mentre al potere esecutivo spetta

realizzare dette scelte senza distorcerle, trasformarle e/o tradirle, ed al potere

giudiziario spetta di garantirne l’osservanza (“la legge è eguale per tutti”).

In questo modo ogni atto dell’Esecutivo, cioè ogni atto amministrativo

che incida sulla libertà del cittadino, trova legittimazione e giustificazione

nella sua aderenza alla legge (principio di legalità) e cioè nel fatto che il suo

contenuto imperativo è in realtà frutto non già della volontà

dell’Amministrazione (e cioè del Governo), ma di una scelta voluta dai

cittadini stessi, secondo il principio della maggioranza parlamentare. Già la

legge 20 marzo 1865 n. 2248 sull’unificazione amministrativa del Regno

d’Italia, nel suo allegato E sull’abolizione del contenzioso amministrativo,

proclamava la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria sugli atti

amministrativi incidenti sui diritti politici e civili dei cittadini. L’art. 113

della Costituzione del 1948 conferma e consacra la sottoposizione dell’atto

del potere esecutivo al sindacato giurisdizionale, senza possibilità di

limitazioni o restrizioni di forme.

h) In particolare occorre sottolineare il doppio ruolo del Governo:

il Governo ha il compito di proporre il proprio programma di

governo su cui ottenere la fiducia del Parlamento e di presentare in

9

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Parlamento disegni di legge volti ad attuare tale programma

modificando la legislazione vigente;

il Governo ha però anche il compito di “amministrare” i cittadini,

dando esecuzione alle leggi vigenti e, quindi, alle scelte politiche

sancite dal Parlamento nelle sue leggi.

La Costituzione del 1948, realizzando un meccanismo molto

sofisticato frutto delle esperienze precedenti, tiene distinti, in modo chiaro

ed inequivocabile questi due diversi ruoli, come è essenziale per la garanzia

dei cittadini. Il Governo ha il diritto-dovere di operare per modificare le

leggi, ma deve farlo non già attraverso l’emanazione di atti amministrativi,

bensì presentando disegni di legge e sollecitandone l’approvazione in

Parlamento. Solo quando la scelta politica contenuta nel progetto di legge è

diventata legge dello Stato, solo allora il Governo può utilizzare la pubblica

amministrazione per approntare gli atti amministrativi necessari a realizzare

le finalità della nuova legge, secondo le modalità da essa dettate.

Fino a quando la legge vigente non sia stata modificata, il Governo ed

il suo apparato costituito dalla pubblica amministrazione, quale che sia il

suo programma politico, deve rispettare, non violare, la legge esistente e le

scelte politiche che essa contiene. Il principio di legalità, applicato alla

Amministrazione pubblica, comporta la soggezione degli organi

amministrativi alla legge e l’art. 97, prevedendo una riserva di legge relativa

in materia di P.A., rafforza gli effetti del principio di legalità.

Certo, la secolare esperienza insegna che vi sono casi di urgenza che

impongono scelte prese senza ritardo, come anche casi nei quali la materia

oggetto della legislazione si presenta tecnicamente complessa tanto da non

apparire idoneo il mezzo del dibattito parlamentare. Occorre quindi

prevedere una soluzione che risponda a tali esigenza, limitando i pericoli per

le libertà dei cittadini insiti in ogni meccanismo che permetta al potere

esecutivo di “scavalcare”, in qualche misura, il Parlamento, titolare del

potere legislativo.

La Costituzione del 1948, come è noto, mette a punto un sofisticato

sistema di garanzie e di limiti che ammette, sotto particolari precauzioni,

l’adozione da parte del Governo di “decreti che abbiano il valore di legge

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ordinaria” (non di legge costituzionale) nella forma del decreto legge (per

rispondere alle esigenze legate a situazioni di necessità ed urgenza: vedi art.

76 Cost.) e del decreto legislativo (per rispondere alle esigenza di

complessità della materia: vedi art. 77 Cost.).

Anche in tal caso, però, resta ferma la separazione dei due ruoli cui si

è fatto riferimento, poiché tale attività del Governo si iscrive nell’ambito

dell’azione legislativa – si tratta infatti di atti aventi valore di legge -,

mentre, sempre in ossequio al principio di legalità, l’azione amministrativa

resta soggetta alla legge.

Quindi, la Pubblica Amministrazione, come apparato del Governo,

può svolgere una attività istruttoria volta ad elaborare progetti di riforma,

che il Consiglio dei Ministri può approvare e presentare in Parlamento come

disegni di legge; può anche “istruire” riforme delegate dal Parlamento al

Governo con leggi di delega; ma il compito principale della Pubblica

Amministrazione rimane quello di esercitare le funzioni amministrative nei

riguardi dei cittadini e di esercitare i poteri ad essa attribuiti dalla legge

ponendo in essere atti e provvedimenti conformi alle leggi vigenti, e non

alle proposte di riforma eventualmente elaborate, ma non ancora diventate

legge dello Stato.

4. Il livello politico-amministrativo.

Se l’obiettivo prioritario è di garantire le Libertà del cittadino nei

riguardi dell’Autorità dello Stato, e tale obiettivo viene perseguito a livello

politico costituzionale mediante lo schema sopra per sommi capi descritto,

la cui funzione, in ultima analisi, è quella di far coincidere la legge, quale

espressione delle scelte politiche, alla volontà della maggioranza del popolo,

allora, scendendo ad esaminare il livello politico-amministrativo, possiamo

attenderci una disciplina della P.A., come apparato del Governo (Potere

esecutivo), che sia costruita secondo regole e procedure che, coerentemente,

mirano a loro volta a mantenere l’attività dell’esecutivo all’interno delle

scelte legislative.

Ed infatti, come vedremo, la disciplina tradizionale

dell’Amministrazione Pubblica, in gran parte accolta dalla Costituzione del

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1948, presenta, in ciascuno degli elementi che la compongono, caratteri tali

da renderla il più possibile efficiente nello svolgere le funzioni

amministrative che le competono, ma soprattutto precisa nell’applicazione

delle leggi, per non tradire mediante l’esercizio dei poteri amministrativi le

scelte politiche contenute nelle leggi, vanificando quella garanzia di libertà

che viene assicurata al cittadino attraverso la coincidenza tra legge e volontà

popolare.

Da questo punto di vista, i problemi che sorgono nel disciplinare

l’amministrazione pubblica si incentrano non già sui metodi per valutare i

“risultati” dell’azione amministrativa (poiché se è la legge che compie la

scelta politica il risultato che ne deriva, sia esso positivo o negativo, va

imputato al Legislatore e non certo all’Esecutivo), quanto sui mezzi

attraverso i quali possa essere assicurata la perfetta conformità del

provvedimento amministrativo alla legge e, cioè, la “legittimità” dell’azione

amministrativa. Quando ciò si è realizzato, allora l’amministrazione

pubblica deve giudicarsi efficiente e, se fosse criticabile il “risultato”

dell’azione amministrativa, la critica andrebbe rivolta alla scelta legislativa

(e, quindi, alle decisioni prese dalla maggioranza popolare attraverso il

Parlamento) non alla “macchina” amministrativa che dà esecuzione alla

legge.

Per realizzare l’obiettivo garantistico è stato elaborato un modello di

P.A. curato in tutte le sue parti: atto (non attività, ma singolo atto, proprio

perché è il singolo atto che deve essere conforme alla legge, se si vuole

raggiungere lo scopo di garantire il cittadino che ne è destinatario e ne

subisce le conseguenze); organizzazione; personale; finanze.

Tale modello viene gradualmente realizzato e perfezionato per mezzo

della legislazione emanata lungo il corso dell’ottocento e del novecento

(dalla legge sull’unificazione amministrativa del Regno d’Italia, la legge 20

marzo 1865, n. 2248, possiamo dire almeno fino alla legislazione degli anni

’80 dello scorso secolo), e, in particolare, sia pure a livello di principi

(poiché diverso è l’oggetto delle carte costituzionali), attraverso molte delle

disposizioni dettate dalla Costituzione del 1948.

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Ripercorrere schematicamente l’evoluzione delle diverse parti del

modello serve a fare emergere il disegno complessivo ed a passare in

rassegna elementi che, in molti casi, ancor oggi costituiscono la parte (sia

pure più antica) dell’assetto attuale dell’organizzazione pubblica.

A. ATTO AMMINISTRATIVO.

Ricordiamo, innanzi tutto, il principio di imparzialità nell’azione

amministrativa (art. 97 Cost.) inteso, come ha messo in luce la

dottrina, come obbligo di agire al fine del perseguimento delle finalità

pubbliche obbiettivate dall’ordinamento. Ricordiamo ancora la tipicità

degli atti amministrativi e l’attenzione della legge alla disciplina del

provvedimento amministrativo, piuttosto che all’attività

amministrativa vista nel suo complesso e valutata nei suoi risultati

concreti; non a caso, bisogna attendere gli anni novanta del novecento

per l’emanazione di una legge a carattere generale sul procedimento

amministrativo (la legge 7 agosto 1990 n. 241). La distinzione tra ‘atti

vincolati’ ed ‘atti discrezionali’, il concetto di ‘discrezionalità

amministrativa’, il concetto di ‘merito’ ed il rapporto tra

discrezionalità e merito, rendono trasparente il tentativo di fare in

modo che le decisioni amministrative costituiscano, per quanto

possibile, una ‘asettica’ imparziale applicazione del diritto nel caso

concreto, da parte di operatori professionali. Non a caso, secondo la

più diffusa dottrina sulla discrezionalità amministrativa, è la legge che

fissa l’interesse primario che l’Amministrazione deve curare tramite il

provvedimento amministrativo, e la ponderazione dei diversi interessi

c.d. secondari rispetto all’interesse pubblico primario, che è l’essenza

della discrezionalità amministrativa, deve avvenire secondo criteri

volti ad assicurare il raggiungimento della finalità voluta dalla legge,

concretandosi in questo modo le diverse figure sintomatiche

dell’eccesso di potere come forme di violazione di legge.

La quasi esclusiva rilevanza data ai ‘vizi di legittimità’ rispetto ai ‘vizi

di merito’ (mentre sono sconosciuti i ‘vizi dell’attività’) e la ricordata

costruzione dell’eccesso di potere come vizio della discrezionalità

amministrativa, costituiscono una conferma della assoluta priorità

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attribuita dall’opinione generale alla esigenza di garantire la

conformità dell’atto amministrativo alle norme. Non solo i

provvedimenti più importanti sono accompagnati, preceduti e/o seguiti

da pareri, autorizzazioni preventive, approvazioni successive, ma i

controlli preventivi di legittimità interni (Ragionerie centrali) ed

esterni (Corte dei conti), fino alla riforma del 1994, non avvengono

saltuariamente, ovvero ‘per campione’ o per categorie di atti, ma sono

previsti con riguardo ad ogni singolo provvedimento. Peraltro, tali

controlli di legittimità, anche se positivi, sono irrilevanti ai fini del

sindacato giurisdizionale di legittimità, per cui i controlli

amministrativi si aggiungono ai controlli giurisdizionali,

moltiplicando le verifiche della conformità dell’atto alle norme, a

maggior garanzia del cittadino.

La disciplina dei ricorsi amministrativi (vedi, in particolare, il ricorso

gerarchico, come rimedio a carattere generale esperibile nei riguardi di

tutti i provvedimenti non definitivi); il potere di annullamento

d’ufficio per vizi di legittimità; il potere governativo straordinario di

annullamento degli atti amministrativi illegittimi a tutela

dell’ordinamento (da qualsiasi autorità amministrativa essi siano stati

posti in essere, con la sola eccezione delle Regioni, ma per

l’intervento della Corte Costituzionale, che, con la sentenza 13-

21.4.1989, n. 229, ha dichiarato incostituzionale la previsione di tale

potere da parte della legge 23.8.1988 n. 400), completano la disciplina

dell’atto amministrativo, creando una serie di freni e di sicurezze tutte

ordinate a conseguire il bene prioritario della conformità alla legge

dell’atto amministrativo.

Si inscrive in tale disegno la costruzione della giurisdizione

amministrativa come giurisdizione generale di legittimità sull’atto

amministrativo (art. 113 Cost.) che sfocia nell’annullamento degli atti

inficiati da vizi di legittimità censurati dal ricorrente.

A garanzia del cittadino leso nel suo interesse legittimo, fino alle

modifiche apportate nel 2005 alla legge sul procedimento

amministrativo, ogni vizio di legittimità accertato dal giudice

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ordinariamente comportava, senza distinzione, l’annullamento

giurisdizionale dell’atto amministrativo ritualmente impugnato.

L’annullamento dell’atto poteva essere evitato solo se si fosse in

presenza di c.d. “mere irregolarità”; ma per “ mera irregolarità” si

intendeva, appunto, quella difformità rispetto alla previsione

normativa così lieve da non assurgere a vizio di legittimità.

La priorità data alla finalità di garantire la conformità dell’atto

amministrativo al diritto oggettivo è evidente nella stessa elaborazione

della nozione di interesse legittimo , come interesse alla corretta

applicazione delle norme poste per il perseguimento di fini generali,

da parte del cittadino che, rispetto alle stesse, si trovi in una posizione

particolare e specifica che permetta di differenziarlo dal quivis de

populo. Trattandosi di norma posta nell’interesse pubblico e non in

quello del titolare dell’interesse legittimo, si spiega, da un lato, che

fino agli ultimi anni dello scorso secolo, era esclusa la tutela

risarcitoria e, dall’altro lato, l’eventualità, ancor oggi accettata, che

l’accoglimento del ricorso non desse luogo a vantaggi concreti per il

ricorrente, ma solo all’obbligo par la P.A. di rinnovare l’atto

annullato, eliminando il vizio di legittimità riscontrato dal Giudice.

Non senza ragione, diversamente dall’attività del Parlamento e della

Magistratura, che è pubblica, l’azione dell’Amministrazione seguiva

(e ciò è avvenuto fino a pochi anni addietro) l’opposto principio della

riservatezza. Invero, nel sistema tradizionale dell’atto amministrativo,

l’intervento del cittadino era previsto, ma dopo l’adozione del

provvedimento e, cioè, quando lo stesso è stato già formato in tutte le

sue parti; con l’importante conseguenza che tale intervento non può

più influire (o interferire) sul contenuto dell’atto, ma solo provocare

una verifica della conformità o meno dell’atto già confezionato alle

norme. Del resto, se l’atto da adottare deve costituire la più imparziale

e rispettosa applicazione delle scelte politiche già effettuate dal potere

legislativo, quale necessità vi è che il privato intervenga nel

procedimento di formazione dell’atto amministrativo? Invero i lati

negativi di un simile intervento risultano palesemente prevalenti

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rispetto a quelli positivi, poiché l’interessato non può che cercare di

introdurre nel provvedimento contenuti che rispondono più ai propri

interessi che all’imparziale esercizio del potere amministrativo nel

rispetto delle leggi che lo disciplinano e dell’interesse pubblico che il

legislatore vuole venga curato attraverso l'esercizio di quel

determinato potere amministrativo. Semmai occorre vietare che il

provvedimento amministrativo, o la deliberazione dell’organo

collegiale amministrativo, vengano prese da persone che, pur

competenti ad adottare l’atto, hanno però nel singolo caso un loro

interesse personale che potrebbe portarli a prendere decisioni

influenzate dall’interesse privato: da qui l’obbligo di astensione e le

vecchie norme penali sull’interesse privato in atti d’ufficio come c.d.

reato ‘di pericolo’.

Nozioni tradizionali di baseDiritto Soggettivo si intende la posizione in cui si viene a trovare il soggetto al cui interesse l’ordinamento giuridico accorda una protezione incondizionata e diretta mediante il riconoscimento di poteri e facoltà.

L’interesse legittimo si riferisce ai rapporti tra privati e pubblica amministrazione. Si ha tale situazione giuridica soggettiva quando il privato vanta un interesse differenziato rispetto al comune cittadino e rilevante a che l’Amministrazione svolga la sua attività in maniera conforme alla legge. L’interesse legittimo, quindi, si può definire come l’interesse all’osservanza di una norma posta a fini pubblici da parte di un soggetto che rispetto ad essa si trovi in una situazione particolare e specifica che lo differenzia dal comune cittadino.

Principio di legalità, indica la soggezione degli organi amministrativi alla legge; corollario: tipicità dei provvedimenti amministrativi. L’Amministrazione può esercitare solo i poteri autoritativi attribuiti dalla legge e, conseguentemente, può emanare soltanto i provvedimenti amministrativi tassativamente previsti dalla legge: art. 97 Cost..

Principio di imparzialità, obbligo di agire al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obbiettivate dall’ordinamento: art. 97 Cost..

Principio di buon andamento, obbligo di operare in modo diligente ed appropriato alla professionalità richiesta alla p.a.: art. 97 Cost..

Atto amministrativo, si intendono tutti gli atti di natura pubblicistica (cioè, non espressione della capacità giuridica di diritto privato) posti in essere

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dall’Amministrazione pubblica, con esclusione degli atti aventi forza di legge del Governo.

Provvedimento amministrativo, è l’atto finale del procedimento amministrativo con il quale l’Amministrazione incide sulle situazioni giuridiche dei privati modificandole unilateralmente. Esecutività del provvedimento amministrativo: esprime l’idoneità del provvedimento amministrativo, a prescindere dalla sua legittimità, a produrre automaticamente e immediatamente i propri effetti. Esecutorietà del provvedimento amministrativo: esprime il potere dell’Amministrazione, quando l’esecuzione del provvedimento richieda la partecipazione del privato, di imporre coattivamente l’esecuzione senza ricorrere all’Autorità giudiziaria.

Atto amministrativo vincolato, esercizio di un potere amministrativo vincolato, si ha quando l’atto è totalmente predeterminato dalla legge, per cui l’Amministrazione non deve esercitare alcuna valutazione degli interessi in giuoco, ma solo accertare la sussistenza o meno dei presupposti indicati dalla legge per l’emanazione dell’atto e la fissazione del suo contenuto.

Atto amministrativo discrezionale, esercizio del potere amministrativo discrezionale, si ha quando l’atto non è totalmente predeterminato dalla legge, ma la legge attribuisce alla Amministrazione il potere dovere di effettuare alcune scelte e valutazioni per concretizzare la migliore cura dell’interesse pubblico da perseguire (così si può avere una discrezionalità nell’an, nel quid, nel quando, nel quomodo ecc.), N.B.: gli atti amministrativi, anche quelli discrezionali, sono sempre vincolati sotto i profili: a) dell’organo competente ad adottarli e b) del fine pubblico da perseguire. In altre parole, il potere amministrativo discrezionale è sempre vincolato nel soggetto competente ad esercitarlo e nel fine pubblico per cui il potere stesso viene attribuito.

Per discrezionalità amministrativa, si intende la ponderazione comparativa di più interessi secondari (pubblici e privati) in ordine ad un interesse pubblico primario, costituito dall’interesse pubblico per la cui tutela è stato attribuito il potere amministrativo che si sta esercitando. N.B. la presenza del vincolo del fine non consente alla P.A. di trasformare il potere discrezionale in un potere esercitabile in modo pienamente libero. Attraverso l’accertamento di eventuali vizi di eccesso di potere è possibile sindacare la discrezionalità amministrativa individuando le ipotesi di violazione di legge.

Merito, è concetto legato alla discrezionalità amministrativa, e si può definire come quello spazio di agire libero che residua dopo l’applicazione delle regole della discrezionalità amministrativa. Si risolve in un giudizio di opportunità.

La discrezionalità amministrativa e il merito amministrativo non vanno confusi con la Discrezionalità tecnica, che si può definire un giudizio a

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contenuto scientifico, e cioè che richiede l’applicazione di regole scientifiche di scienze c.d. “non esatte”. Si risolve in un giudizio scientifico opinabile.

Accertamento tecnico, quando il giudizio a contenuto tecnico-scientifico, si fonda sull’applicazione di c.d. “scienze esatte”. Si risolve quindi in un giudizio scientifico che, essendo possibile verificare e ripetere, può essere corretto o scorretto, ma che non è opinabile.

I vizi di legittimità sono vizi che denunziano la non conformità dell’atto amministrativo al diritto positivo (legge, regolamento ecc.). Si distinguono tre tipi di vizi di legittimità:

- l’incompetenza, violazione delle norme sulla competenza;- l’eccesso di potere, tipico vizio della discrezionalità

amministrativa. La formula “eccesso di potere” ricomprende varie figure sintomatiche che rivelano, sia pure in via indiziaria (l’unica percorribile se non si vuole entrare nel merito della decisione presa dalla P.A.), la presenza di una violazione delle norme che regolano il potere amministrativo nella parte in cui stabiliscono la funzione amministrativa, ovvero il fine pubblico da perseguire nell’esercizio della discrezionalità amministrativa: es. difetto di motivazione; carenza di istruttoria; contraddittorietà, ingiustificata disparità di trattamento ecc.. In tutti questi casi appare viziato, non ricostruibile o incoerente l’iter logico seguito dalla P.A. per pervenire all’adozione del provvedimento e, quindi, per esercitare la discrezionalità amministrativa in modo conforme alle finalità della legge;

- la violazione di legge, figura residuale, cui si riconducono tutte le altre violazioni delle diverse prescrizioni contenute in disposizioni di legge disciplinanti il procedimento o l’atto amministrativo: ad esempio violazione delle norme che impongono una determinata forma, il rispetto di un termine, l’obbligo di acquisire un parere ecc..

Vizi di merito sono quei vizi che, senza mettere in discussione la conformità o meno alla legge di un atto amministrativo, denunziano l’inopportunità del contenuto dell’atto amministrativo, sindacandolo attraverso un riesame dello stesso.

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B. ORGANIZZAZIONE.

1. L’Amministrazione viene tradizionalmente suddistinta in

Amministrazione attiva, consultiva e di controllo. Vi è una prevalenza

degli organi monocratici nell’amministrazione attiva, e degli organi

collegiali nell’amministrazione consultiva e di controllo.

Nell’amministrazione attiva, infatti, il carattere monocratico degli

organi e il principio della gerarchia consente una migliore

individuazione delle responsabilità e una più fedele esecuzione degli

atti amministrativi lungo la linea gerarchica che dal Ministro arriva

all’impiegato con mansioni meramente esecutive, passando per i

funzionari di diverso grado.

Nell’amministrazione consultiva e di controllo, invece, è minore il

problema della individuazione delle responsabilità (che restano in capo

agli organi di amministrazione attiva) e la struttura collegiale consente

una migliore ponderazione dell’attività ausiliaria per garantire la

regolarità dell’azione amministrativa. L’attività consultiva, nella

disciplina dell’organizzazione pubblica, è costituita da pareri tecnici e

pareri giuridici. (pareri amministrativi) I primi garantiscono

l’osservanza delle regole scientifiche, i secondi l’esatta interpretazione

delle leggi da applicare, riducendo così il più possibile gli spazi lasciati

aperti dalla legge. Accanto ai pareri facoltativi, che non sono previsti

dalla legge ma l’amministrazione può richiedere ove li ritenga utili,

sono presenti nella legislazione i pareri obbligatori, di cui la legge

impone l’acquisizione nell’ambito del singolo procedimento ed anche

casi di pareri vincolanti e semivincolanti, che, cioè, oltre a dovere

essere acquisiti, devono essere anche obbligatoriamente seguiti

(vincolanti), ovvero richiedono che la P.A. adotti particolari procedure

aggravate per discostarsi dagli stessi.

La presenza di pareri nei procedimenti serve a garantire la corretta

applicazione della legge, non solo quando si tratta di pareri

amministrativi, ma anche quando si tratta di pareri tecnici, poiché anche

questi ultimi, attraverso la corretta applicazione delle regole tecniche,

contribuiscono a rendere il più possibile conforme alla legge l’atto

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amministrativo. Si tratta, infatti, di conformarsi alle prescrizioni

tecniche dettate dalla legge, accertando la sussistenza dei presupposti

tecnici da essa stabiliti per l’esercizio del potere (c.d. accertamento

tecnico), ovvero esercitando correttamente la c.d. discrezionalità

tecnica, quando la legge impone l’applicazione di scienze “non esatte”.

L’attività di controllo, almeno fino alla riforma del1994, è soprattutto

giuridica (conformità dell’atto alla legge). E’ significativo che nella

Costituzione del 1948 trova posto una norma (art. 100 Cost.) che

conferisce rilevanza costituzionale a due organi ausiliari del Governo,

di antica tradizione: il Consiglio di Stato in sede consultiva, “...organo

di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia

nell’amministrazione”; e la Corte dei Conti in sede di controllo, cui

viene attribuito il controllo preventivo di legittimità sugli atti del

Governo e quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato

(intesa come controllo della conformità alla legge di tale gestione: la

parificazione del bilancio dello Stato). Il collegamento operato dall’art.

100 dell’attività consultiva giuridico-amministrativa del Consiglio di

Stato alla finalità della “tutela della giustizia nell’amministrazione”,

rivela il legame esistente tra l’attività consultiva voluta dal Costituente e

la garanzia del cittadino. La previsione (vedi art. 100, ultimo comma)

della indipendenza sia del Consiglio di Stato che della Corte dei conti di

fronte al Governo, serve a perfezionare il meccanismo tradizionale,

garantendo al massimo il cittadino da eventuali deviazioni

dell’amministrazione attiva dalla corretta applicazione della legge.

2. L’antica distinzione tra amministrazione ‘diretta’ ed amministrazione

‘indiretta’ dello Stato, costituisce una valida “chiave” per intendere il

modo di concepire l’unità dello Stato nel rapporto Stato-società, almeno

fino agli anni cinquanta.

L’Amministrazione diretta dello Stato è composta dagli uffici

centrali, aventi sede nella Capitale e, quindi, dagli uffici periferici.

I) Uffici centrali: Ministeri. Organizzazione piramidale: Il Ministro è

l'organo esterno e di vertice; Gli uffici sono articolati in direzioni

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generali, divisioni, sezioni, cui si aggiungono organi collegiali interni a

carattere tecnico-consultivo.

II) Uffici periferici: Prefetture; Provveditorati; il Sindaco quale

Ufficiale di governo. Il Sindaco, in questo modo, viene ad assumere la

figura di organo dell’amministrazione statale, accanto a quella “storica”

di vertice dell’amministrazione comunale. Rilevanza di quest’ultima

previsione per assicurare una diretta e capillare presenza

dell’Amministrazione statale (centrale) in tutti i comuni d’Italia.

L’Amministrazione indiretta dello Stato è, invece, composta dagli

enti autarchici territoriali e dagli altri enti pubblici minori istituiti per la

cura di specifici fini pubblici.

Significativa è la definizione di amministrazione indiretta data da

Santi Romano: “…consistente nell’amministrazione di enti, dotati di

personalità propria, che esplicano la loro attività primieramente nel

proprio interesse e, secondariamente, nell’interesse dello Stato che

coincide col loro e non se ne distingue. Così questi enti (il comune, la

provincia, le istituzioni di pubblica beneficenza, ecc.) che diconsi

<<autarchici>>, possono considerarsi organi dell’amministrazione

indiretta dello Stato” (Diritto amministrativo, III ed., Milano 1912, pag.

78).

Peraltro l'attività amministrativa viene qualificata come attività di

“polizia”, nel senso che si tratta di intervenire nei vari settori della vita

sociale, anche per mezzo di limitazioni all’attività privata, con

provvedimenti amministrativi autoritari (gli “ordini”), esclusivamente al

fine di prevenire i danni o i pericoli sociali che da queste attività

possano derivare.

La rivoluzione industriale, però, come si è detto, porta profondi

cambiamenti nelle esigenze della società, ampliando i compiti dello

Stato.

Così Santi Romano, nel citato manuale di diritto amministrativo del

1912, fa rientrare tra le attività di “polizia industriale” norme che in

realtà sempre più interferiscono nei rapporti interprivati e che si

rivolgono, più che all’individuo in generale, al lavoratore operaio. Vedi

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in questo senso le norme in materia: di lavoro dei fanciulli e delle

donne; di lavoro notturno e riposo settimanale; di prevenzione degli

infortuni per talune imprese pericolose; di assicurazione degli operai

contro gli infortuni.

3. L’azione dello Stato a mezzo dei “concessionari di servizi

pubblici”. All’inizio del novecento viene elaborata la teoria dei c.d.

servizi pubblici cui si ricollegano le c.d. “concessioni di servizi

pubblici”. E’ una formula per assorbire il fenomeno della

moltiplicazione dell’ingerenza dello Stato nei settori teoricamente

assegnati al diritto privato. Per restare a Santi Romano e al suo manuale

del 1912, egli indica come concessioni di pubblici servizi attività tra

loro molto diverse per natura (almeno ai nostri occhi): i servizi di

trasporto, in particolare le ferrovie; la funzione di emissione dei biglietti

e il servizio di tesoreria, definiti come servizi svolti dalla Banca d’Italia

quale istituto commerciale, ed esercitati sotto il controllo del Min.

Finanze. Quindi, illustrando le limitazioni all’attività privata da parte

dello Stato, l’Autore precisa che non tutte le limitazioni si fermano a

dettare limiti di polizia mantenendo l’attività stessa in capo al privato,

poiché “…altre volte tutto un intero ramo di attività viene interdetto ai

privati e riservato agli enti pubblici o ai loro concessionari, non già per

prevenire mali futuri, nel senso stretto della parola, ma per la migliore

organizzazione di un pubblico servizio (imprese pubbliche) o anche per

iscopi finanziari (privative fiscali).” E ciò pur essendo “attività che, per

loro natura, potrebbero anche esercitarsi da privati”.

Oreste Ranelletti, in quegli anni, estende il concetto di attività pubblica

ad ogni attività dello Stato, si manifesti essa in forma coercitiva per atti

autoritari (d’imperio), ovvero nella “…prestazione di beni e servigi che

lo Stato o altri per esso faccia a favore del pubblico, per provvedere

all’assistenza o assicurare la conservazione e favorire e promuovere lo

sviluppo progressivo del benessere sociale, quando nell’interesse

generale e anche in quello individuale lo Stato creda di dovere rendere

obbligatorio e imporre all’individuo di valersi ed avvantaggiarsi di

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taluni beni e servigi (es. istruzione obbligatoria, vaccinazione)….

[ovvero] quando nella prestazione o produzione di beni e servigi si

attribuisce un privilegio giuridico ad esempio assumendo quelle

funzioni in condizioni di monopolio per scopi finanziari … o per scopi

sociali, cioè per soddisfare meglio interessi collettivi popolari,

limitando per tal modo con un proprio atto di volontà la libertà

industriale degli altri subbietti … [ovvero] in tutta la sua azione di

aiuto dell’attività privata, di assistenza e produzione e prestazione di

quei beni e servigi, [in cui] lo Stato non si manifesta più nel suo potere

d’impero, ma solo come forza benefica che pone a disposizione della

società i suoi poderosi mezzi, di cui dispone, rimanendo ciascuno libero

di valersene o meno” (Principii di diritto amministrativo, Napoli 1912,

p.380-381). Da qui la definizione più diffusa secondo la quale è detto

servizio pubblico ogni attività di produzione di servizi, volta a

soddisfare bisogni di interesse generale, attribuita dalla legge in

titolarità ad un apparato pubblico e sottoposta ad un regime giuridico

derogatorio rispetto al regime giuridico privatistico (idest sottoposta ad

un regime giuridico amministrativo).

4. “Amministrazioni ed aziende autonome dello Stato”. La

concessione del servizio pubblico ai privati, da un punto di vista

organizzativo, serve alla P.A. per trasferire alla gestione del privato

imprenditore compiti che essa sente come propri (e dei quali quindi si

riserva la titolarità), ma per il cui esercizio (gestione) non si sente

adeguatamente attrezzata. Per esercitare servizi pubblici si sono

ricercati, tuttavia, anche altri modelli organizzativi. Dopo alcune isolate

esperienze del primo novecento di “società miste”, cioè s.p.a. a capitale

pubblico e privato, in seno alle quali la presenza di soci privati accanto

al socio pubblica amministrazione consentiva una collaborazione tra

controllo pubblico avente di mira l’interesse generale e capacità

imprenditoriali private, si è fatto strada, sia a livello comunale che a

livello statale, un modello organizzativo pubblicistico caratterizzato da

deroghe all’ordinario regime amministrativo aventi lo scopo di rendere

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possibile l’esercizio da parte della P.A. dei nuovi compiti richiedenti

non già la “produzione” di provvedimenti amministrativi, ma di beni e

servizi. In sostanza, salvo il caso di servizi pubblici minori a basso

impegno gestionale, che venivano svolti direttamente

dall’Amministrazione attraverso i suoi ordinari uffici, si è ricorso al

modello delle “Amministrazioni ed aziende autonome dello Stato”.

Questi ultimi sono organi della persona giuridica Stato dotati di

particolari autonomie, legati ad un ministero (es.: Min. Trasporti per

l’Azienda Ferrovie dello Stato) e caratterizzati appunto da più o meno

estese deroghe alle ordinarie norme disciplinanti l’organizzazione

ministeriale (in questo consistono le “autonomie”), giustificate dalla

peculiarità dei compiti esercitati. A tale modello, a livello locale, faceva

riscontro l'Azienda municipale, organo autonomo del Comune per la

gestione di un servizio pubblico locale.

5. La proliferazione degli enti pubblici. Nel corso del novecento, il

modello dell’ente autarchico istituzionale ha un grande sviluppo, per la

sua idoneità a rispondere ai nuovi compiti che lo Stato assume. L’ente

pubblico funzionale è una persona giuridica pubblica, a disciplina

singola (esempio INA) o di gruppo (es. Camere di Commercio), istituita

dallo Stato per il perseguimento di un determinato fine pubblico, che

viene legislativamente disciplinato in modo da dotarlo di una

organizzazione mirata al compito da perseguire.

L’uso di tale strumento, avente una personalità giuridica e, quindi, una

soggettività diversa da quella dello Stato, almeno in via astratta, non

intacca la ricostruzione concettuale della garanzia del cittadino nei

confronti dell’Autorità pubblica data dal legame Governo-Parlamento-

cittadini, perché il collegamento con il potere esecutivo-Governo è

assicurato sotto molteplici profili: a) gli amministratori dell’ente

pubblico funzionale (detto anche “istituzionale”, ovvero “parastatale”)

sono nominati dal Governo; b) l’ente è sottoposto alla vigilanza di un

Ministero (quello competente per settore) che approva gli atti di

maggiore importanza ed il bilancio; c) i poteri esercitati dall’ente

24

Page 30: r0mano 2014.docx

pubblico funzionale sono poteri amministrativi e gli atti adottati sono

sottoposti al regime del diritto amministrativo; d) il personale dell’ente

è legato ad un rapporto di pubblico impiego privatizzato, sia pure

disciplinato dalle norme istitutive dell’ente e dal regolamento del

personale adottato dall’ente stesso.

Come si è detto, il modello dell’ente pubblico istituzionale, sia

nazionale che locale, si espande grandemente nel corso del ‘900 almeno

fino all’avvento delle Regioni a statuto ordinario. Tale moltiplicazione

si accentua con il fascismo, periodo in cui non solo si creano nuovi enti

pubblici, ma si attribuisce personalità giuridica di diritto pubblico a

numerosi enti preesistenti aventi scopi di interesse collettivo. Il

fenomeno (delle cc.dd. “amministrazioni parallele” o anche degli “enti

parastatali”) continua con la Repubblica, almeno fino agli anni ’70 del

novecento (ed è ancor oggi diffuso: vedi art. 26 c.d. ‘Taglia-enti’ d.l.

112/2008). Una ricerca del Ciriec del 1972 aveva individuato l’esistenza

di circa 58.019 enti pubblici, suddivisi in 345 enti a disciplina singola e

62 gruppi di enti. Gli enti territoriali (regioni, province, comuni e

consorzi di comuni) erano 12.902; nella sanità operavano n. 1.343 enti;

nella previdenza sociale n. 8.676 enti; nella assistenza sociale n. 17.628

enti; nel credito n. 148 enti; nell’istruzione (esclusa l’assistenza

scolastica) n. 2.279 enti; nell’agricoltura n. 543 enti.

Solo con l’avvento delle Regioni ordinarie, come vedremo, si assiste ad

una certa riorganizzazione dell’amministrazione pubblica intorno alle

regioni e agli altri enti rappresentativi delle collettività locali.

6. Gli “enti pubblici economici”. A partire dal periodo fascista, al

modello degli “enti pubblici istituzionali” sopra descritto si aggiunge

quello dei c.d. “enti pubblici economici”.

Lo sviluppo degli “enti pubblici economici” trae origine almeno da due

diverse vicende.

La prima vicenda si ricollega all’organizzazione fascista del lavoro. Il

personale di alcuni enti pubblici aventi carattere di impresa nel periodo

fascista viene inquadrato nel sistema corporativo e della magistratura

25

Page 31: r0mano 2014.docx

del lavoro, dando luogo ad un rapporto di lavoro identico a quello delle

imprese private. Dopo la caduta del fascismo e l’abolizione del sistema

corporativo, tuttavia tali enti, in considerazione della loro natura di

impresa operante in prevalenza mediante atti di diritto privato, hanno

mantenuto con il loro personale un rapporto di lavoro privato senza

tornare nell’ambito del pubblico impiego. Tali enti vengono così

denominati enti pubblici economici e restano nettamente distinti dagli

altri enti pubblici istituzionali.

La seconda vicenda è legata alla depressione degli anni ’30. In base alle

teorie economiche sul c.d. “salvataggio” delle imprese industriali,

elaborate già alla fine dell’800 a seguito del dibattito suscitato dalla

crisi bancaria del 1893-94 (vedi in particolare lo studio di Maffeo

Pantaleoni sulla Caduta della Società Generale di Credito Mobiliare

pubblicato nel Giornale degli Economisti del 1895), lo Stato durante la

“Grande depressione” intervenne massicciamente per salvare le banche

- e ,quindi, il sistema industriale. Tali interventi hanno portato

all’emanazione di una nuova disciplina del sistema creditizio, alla

istituzione dell’IMI – Istituto Mobiliare Italiano (che avrebbe dovuto

erogare crediti a medio lungo termine per risanare le società in crisi) e

dell’Istituto di liquidazione, poi trasfuso nell’IRI (Istituto di

Ricostruzione Industriale)

Nel dopoguerra il sistema ebbe nuovo impulso. All’IRI si aggiunse

l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi: l. 10.2.1953 n. 136), ed altri enti di

gestione, nonché si istituì il Ministero delle partecipazioni statali

(l.22.12.1956, n.1589) ed il Comitato interministeriale per le pp.ss.,

sottolineando in questo modo la dipendenza dal Governo del sistema

delle partecipazioni statali.

Sul versante delle imprese pubbliche è da ricordare, con l’avvento

politico dei governi di centro sinistra, la creazione del monopolio

elettrico, con la nazionalizzazione del settore e l’istituzione dell’ENEL,

ente pubblico economico (l. 6.12.1962, n.1643), come tale operante

mediante organizzazione, atti e personale di diritto privato.

26

Page 32: r0mano 2014.docx

L’ente pubblico economico, quindi, si distingue nettamente dall’ente

pubblico istituzionale, perché: ha una organizzazione interna di tipo

privatistico; ha un personale con rapporto di impiego non solo privato

ma legato ai contratti collettivi privati; esercita la propria attività

prevalentemente mediante la propria capacità di diritto privato e, cioè,

mediante atti privatistici e non poteri amministrativi. Esso, tuttavia, si

differenzia anche dalla persona giuridica privata perché, essendo un

ente pubblico, fa parte della Pubblica Amministrazione e, quindi, (a)

può essere titolare di potestà amministrative, (b) può essere oggetto di

normative ad hoc (sottrazione al principio di eguaglianza); (c) può

essere titolare di beni e servizi pubblici (e non mero gestore in

concessione degli stessi). Inoltre, in virtù della riserva di legge

sull’organizzazione pubblica dettata dall’art. 97 Cost, (d) deve essere

istituito per legge e, quindi, (e) può essere modificato e/o estinto solo

per legge.

C. PERSONALE. L’uguaglianza dei cittadini è espressa, nelle

dichiarazioni dei diritti dell’uomo, anche dal diritto di ogni cittadino ad

accedere alle carriere pubbliche in base alla capacità dimostrata (cfr.

l’art. 6 della Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino

del 26 agosto 1789, che afferma solennemente: “La legge è

l’espressione della volontà generale. … Tutti i cittadini essendo uguali

ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed

impieghi pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzione che

quella delle loro virtù e dei loro talenti.”).

Come la disciplina dell’atto e quella dell’organizzazione per ministeri e

per enti pubblici, anche la disciplina del personale, come si è detto,

deve contribuire a raggiungere lo scopo di garantire la libertà del

cittadino nei riguardi dell’autorità dello Stato, concorrendo a far sì che

le scelte politiche contenute nelle leggi siano pienamente realizzate

dall’Amministrazione pubblica. La legislazione sul personale viene

affinandosi nel corso dell’ottocento e di gran parte del novecento,

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Page 33: r0mano 2014.docx

agendo su due “fronti”: a) operando in modo da garantire la

professionalità e la competenza del personale; b) realizzando uno

“statuto” degli impiegati dello Stato che garantisca l’esatta esecuzione

delle disposizioni del personale politico posto al vertice dei ministeri da

parte del personale burocratico, ma con modalità tali da porre il

pubblico funzionario nella condizione di potere resistere alle eventuali

“pressioni” dei vertici politici che, per motivi di partito e/o elettorali,

mirassero a forzare l’attività burocratica allontanandola dai binari della

legittimità (intesa come conformità alla legge).

Si crea a tal fine un rapporto di pubblico impiego nettamente distinto

dall’impiego privato. La scelta della carriera burocratica normalmente

dà luogo ad una vita di lavoro che inizia nella P.A. e si conclude nella

P.A. al momento del collocamento a riposo per limiti di età.

Nasce una burocrazia professionale con caratteristiche e regole proprie.

Le competenze decisionali spettano al Ministro, coadiuvato dai

Sottosegretari di Stato (personale politico), ma è la burocrazia ad

istruire in modo professionale e tecnico i singoli provvedimenti,

applicando le leggi (personale amministrativo) e le regole scientifiche

(personale tecnico), al servizio esclusivo dello Stato ai sensi dell’art. 98

Cost. (per cui il pubblico impiegato gode di uno “statuto” che lo

protegge nella sua attività di imparziale e professionale applicazione

della legge dagli eventuali abusi del personale politico, fino alla

possibilità di esigere l’<<ordine scritto>>, ovvero all’obbligo di opporsi

anche ad un simile ordine se contro lo Stato). Per il pubblico impiegato

tale lavoro costituisce la sua sola o principale occupazione. E’ la c.d.

“burocrazia razionale” del modello Weberiano.

La Costituzione (artt. 97 e 98) porta a compimento tale processo

stabilendo una riserva di legge in materia di pubblici uffici ed

aggiungendo che la legge, a sua volta, deve stabilire un ordinamento

degli uffici che determini le sfere di competenza, le attribuzioni e le

responsabilità proprie dei funzionari. La Costituzione inoltre, sempre

all’art. 97, prevede l’accesso al pubblico impiego mediante concorso e,

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Page 34: r0mano 2014.docx

all’art. 98, proclama solennemente che “…i pubblici impiegati sono al

servizio esclusivo della Nazione”.

La disciplina del pubblico impiegato è quindi dettata non già dal

Governo alle cui dipendenze esso lavora, o dalla contrattazione

collettiva, ma dal Parlamento mediante l’emanazione delle leggi sul

pubblico impiego.

Lo statuto degli impiegati civili dello Stato, dettato per legge, segue

regole che consentono, almeno in linea astratta, di raggiungere gli scopi

di garanzia della legalità che si sono sopra indicati: a) la scelta avviene

mediante pubblico concorso, e, quindi, in base alla qualificazione

professionale; b) la nomina è un atto amministrativo unilaterale che

autoritativamente instaura il rapporto di pubblico impiego; c) si entra

nella carriera burocratica dal primo gradino, per poi percorrere tutti i

successivi gradini, in base ad un rigido sistema di avanzamento, basato

su anzianità ed esami; d) la legge detta una minuziosa regolamentazione

dei fatti modificativi del rapporto (aspettative, congedi, comandi,

distacchi, missioni); e) la legge predetermina rigidamente le qualifiche,

le competenze ed i posti in organico; f) la legge detta un complesso e

minuzioso procedimento disciplinare, che ha lo scopo di garantire il

funzionario da “sanzioni” provocate non già dalla violazione di doveri

di ufficio, ma da sue legittime “resistenze” ad eventuali “pretese” del

vertice politico non corrispondenti alle leggi che disciplinano l’azione

amministrativa; g) vi è una rigida predeterminazione dei fatti estintivi

del rapporto (età, destituzione, dimissioni, incapacità fisica); h) le

retribuzioni sono fissate per legge, per evitare favoritismi.

Accanto e in aggiunta alla responsabilità penale e civile, viene prevista

una responsabilità amministrativa del pubblico funzionario, con un

giudice ad hoc, la Corte dei Conti. Della responsabilità amministrativa

risponde l’impiegato che, violando colpevolmente le leggi, abbia

provocato un danno allo Stato (ad esempio ponendo in essere un atto

amministrativo non corrispondente alle norme che lo regolano). Tale

responsabilità si estende agli amministratori pubblici. Del danno

erariale, fino alla riforma del 1994, rispondevano sempre anche gli eredi

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Page 35: r0mano 2014.docx

dell’impiegato defunto. La Costituzione del 1948 completa tale disegno

normativo sancendo, all’art. 28, che i funzionari e i dipendenti dello

Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le

leggi penali, civili e amministrative degli atti compiuti in violazioni di

diritti. L’art. 103 attribuisce alla Corte dei Conti la giurisdizione nelle

materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge.

Come vedremo, il personale a tutt’oggi retto da un rapporto di pubblico

impiego, cioè con un rapporto di lavoro a regime di diritto pubblico

sottoposto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, è

ormai marginale (magistrati, avvocati dello Stato, professori

universitari, personale militare e della polizia di Stato, personale della

carriera diplomatica e della carriera prefettizia ecc.), mentre il modello

generale, ad opera della c.d. privatizzazione del pubblico impiego, è

oggi costituito dal rapporto di lavoro alle dipendenze delle

amministrazioni pubbliche, disciplinato dal codice civile e dalle leggi

sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa e sottoposto alla

giurisdizione del giudice ordinario (il giudice del lavoro), ma a

differenziare il mondo del lavoro pubblico rispetto al lavoro privato

resta la disciplina speciale dettata dal d.lgs. 30.3.2001, n. 165 e succ.

mod., la disciplina pubblicistica dei concorsi per l’accesso all’impiego,

sottoposta alla giurisdizione del giudice amministrativo, nonché la

responsabilità amministrativa attribuita alla giurisdizione della Corte

dei Conti. Inoltre è ancora molto limitata la mobilità tra lavoro alle

dipendenze delle imprese private e lavoro alle dipendenze delle

amministrazioni pubbliche; ancor oggi la carriera burocratica

generalmente si presenta alternativa al lavoro nel privato.

D. MEZZI FINANZIARI. Anche la disciplina dei mezzi finanziari e

dell’azione contabile della P.A. è strettamente ispirata al raggiungimento

dell’obiettivo finale di garantire la libertà del cittadino, legando l’azione

autoritaria dello Stato alle scelte volute dalla maggioranza dei cittadini

stessi, espresse attraverso l’organo rappresentativo del popolo, il

Parlamento. Il bilancio dello Stato è diretto da una autorità (il

30

Page 36: r0mano 2014.docx

Parlamento, come organo di indirizzo politico) ad altra autorità (il

Governo, come organo espressione della maggioranza formatasi in

Parlamento, cui spetta portare ad attuazione l’indirizzo politico

formatosi in Parlamento) per disciplinare l’attività di gestione svolta da

quest’ultima, attraverso la legge di bilancio.

La legge che approva il bilancio preventivo (art. 81 Cost.) è atto

insieme approvativo, confermativo, autorizzativo ed impositivo di

limiti, poiché con l’approvazione di questo fondamentale documento di

politica generale e particolare dello Stato, correlata al sacrificio sociale,

il Parlamento autorizza l’esercizio di potestà (tributi) o impone

l’adempimento di doveri giuridici da parte della P.A. per il

perseguimento degli scopi menzionati nel bilancio, entro l'anno

finanziario.

La garanzia del cittadino nei confronti del potere autoritario dello Stato

viene sotto l’aspetto contabile assicurata non solo dalla disciplina del

bilancio preventivo, ma anche attraverso una rigorosa regolamentazione

di ogni fase della spesa pubblica, ispirata a garantire il cittadino che la

spesa (e, quindi, il concreto operare dell’Esecutivo attraverso

l’Amministrazione) non si discosti dagli obbiettivi fissati dalla legge di

bilancio.

La Corte dei Conti, quale organo tecnico-giuridico indipendente dal

Governo e dal Parlamento che funge da cerniera tra potere legislativo e

potere esecutivo, parifica (cioè dichiara <<conforme alle proprie

scritture >>) il rendiconto generale dello Stato. La parificazione,

operata solennemente e con le forme giurisdizionali per sottolineare il

suo valore di garanzia della legalità dell’azione amministrativa, chiude

il sistema di rigorosa verifica della rispondenza dell’operato delle

PP.AA. alla legge di bilancio e, quindi, dell’uso del potere

amministrativo – per natura autoritario – in modo corrispondente alla

volontà della maggioranza dei cittadini, quale consacrata nella legge,

secondo i descritti meccanismi del livello “politico-costituzionale”. La

parificazione è accompagnata, ai sensi dell’art. 100 Cost., da una

relazione della Corte dei conti al Parlamento sul risultato del riscontro

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Page 37: r0mano 2014.docx

eseguito, nella quale la Corte deve esporre le ragioni per le quali, in

sede di controllo, ha apposto con riserva il suo visto agli atti

amministrativi, nonché tutte le sue osservazioni sull’azione

amministrativa.

Successivamente, la Ragioneria generale dello Stato predispone lo

schema di disegno di legge di approvazione del bilancio consuntivo

che, secondo la procedura dei disegni di legge governativi, viene

presentato al Parlamento ed approvato con legge (anche in questo caso

con procedura ordinaria ex art. 72, ult. comma, Cost.).

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Page 38: r0mano 2014.docx

PARTE SECONDA

Il MODELLO ATTUALE E LA SUA PIÙ RECENTE

EVOLUZIONE.

5. Il nuovo rapporto tra Società e Diritto.

Se, come si è detto (par.1), ogni società tende ad esprimere un diritto

che risponde al suo modo d’essere ed ai suoi bisogni, allora dobbiamo

interrogarci su quanto siano cambiati il modo d’essere della attuale società

italiana e i suoi bisogni rispetto a quelli da cui siamo partiti per tentare di

cogliere le radici e le ragioni del modello amministrativo italiano.

Da una società chiusa, con una popolazione giovane interessata dal

fenomeno dell’emigrazione (nel corso del novecento milioni sono gli italiani

emigrati all’estero, i più analfabeti, per sfuggire alla fame, e non solo dal

sud ma anche dal nord Italia verso le Americhe come anche gli altri paesi

europei; ancora nel secondo dopoguerra l’Italia, in base ad accordi con il

Governo belga, inviava migranti in Belgio per lavorare nelle miniere più

pericolose e degradanti in cambio della fornitura di carbone), si è passati ad

una società di anziani, esposta all’immigrazione non solo dai paesi

comunitari dell’Est Europa, ma dall’Africa e dall’Asia, con conseguenze

sulla eterogeneità delle etnie, dei costumi, delle culture, delle religioni

(l’Islam si appresta ad essere la seconda religione più diffusa, dopo la

Cattolica romana).

Ma lo stesso fenomeno, anche in forme più acute, coinvolge tutti gli

altri aspetti sociali, economici e commerciali della società d’oggi. Per

rendersene conto propongo un esempio: si pensi per un momento agli

oggetti di uso comune con i quali ciascuno di noi giornalmente ha a che

fare, al modo di vestire, di mangiare, di comunicare, di viaggiare… e lo si

raffronti idealmente con i nostri nonni o bisnonni, anche solo di settant’anni

fa. Tornando a settant’anni addietro, saremmo abbigliati con vestiti fatti in

casa o da sarti e sartine locali; solo i modelli e/o i tessuti delle classi sociali

più abbienti, forse, provenivano dall’estero, da Parigi. Oggi, quanti di noi

hanno anche solo un maglione fatto in casa? Guardate le etichette dei vostri

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Page 39: r0mano 2014.docx

abiti e dei vostri maglioni… . Ieri la pizza napoletana a Brescia o ad

Agrigento era introvabile o del tutto esotica; oggi, come le pizzerie italiane

(o all’italiana) investono il mondo, i cibi del mondo investono l’Italia, dai

ristoranti cinesi al kebab. Dalle interurbane tramite centralino si è passati ai

cellulari triband, ad internet, a Facebook , agli iPod, …. Ieri i treni potevano

avere scartamenti diversi anche per motivi di difesa nazionale, senza

compromettere il commercio; oggi gli aerei non potrebbero volare se non vi

fosse una normativa mondiale che disciplini tutto quanto ruota attorno ai

viaggi aerei: dalle regole sugli aeromobili a quelle sul personale di volo,

dalle norme sulla meteorologia a quelle sui passaporti. Il numero di italiani

che oggi va all’estero per motivi non legati alla necessità di emigrare non è

comparabile con quello dei nostri nonni. Ancora negli anni trenta del

novecento, molti degli abitanti dei paesini rurali posti a pochi chilometri da

Roma non solo non avevano mai visitato altre regioni d’Italia, ma spesso

non erano stati neppure a Roma e tanto meno intrattenevano rapporti con

cittadini di altre nazioni; oggi possiamo con buona ragione parlare di

‘villaggio globale’ e le nuove generazioni non solo viaggiano, ma

intrattengono rapporti con giovani di tutto il mondo sia di persona che via

internet.

Tutte queste trasformazioni non sono senza conseguenze sul diritto,

innanzi tutto perché modificano i rapporti tradizionali tra diritto statale e

diritto internazionale e rendono utopico considerare il diritto in generale, e il

diritto amministrativo in particolare, come espressione dell’ordinamento

giuridico statale, inteso come ordinamento realmente ed effettivamente in

grado di imporsi come originario, indipendente e sovrano.

La globalità indebolisce e, comunque, trasforma il ruolo dello Stato

amministratore, come anche legislatore, sia verso l’alto, moltiplicandosi i

casi in cui l’ambito territoriale nazionale non è ottimale e deve cedere il

passo alla dimensione europea o mondiale, sia verso il basso, poiché di

riflesso si accentuano, non solo in Italia, le istanze locali, il che comporta

non indifferenti problemi in particolare per l’Italia che ha migliaia di

comuni e un numero di regioni ben più numeroso rispetto a molti altri Stati

europei, anche in relazione alla sua superficie.

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Page 40: r0mano 2014.docx

Dallo Stato unitario del quale abbiamo celebrato i centocinquanta anni

e, poi, dalla Repubblica Italiana della Costituzione del 1948 ,“una e

indivisibile” che riconosce al proprio interno le autonomie locali e le

promuove, sia a livello comunale che regionale, come sua componente e

caratteristica, non è ancora chiaro se si stia passando ad una Italia federale1,

dove, per definizione, la solidarietà nazionale non può che presentarsi come

‘in seconda battuta’ rispetto alla solidarietà comunale e regionale, in un

contesto nel quale l’assetto legislativo e amministrativo che sembra tendere

ad imporsi su tutti – sullo Stato come sulle Regioni – è frutto piuttosto di

decisioni espresse da poteri comunitari e/o transazionali, cui lo Stato e le

Regioni possono partecipare ma difficilmente condizionare.

Le nuove caratteristiche della attuale società italiana, dunque,

sembrano non consentire agli individui che la compongono di attribuire allo

Stato, né ad alcun altra Autorità (o Istituzione), la capacità di esprimere la

società nel suo complesso. Se nessuna istituzione rappresenta per intero una

siffatta società, nessuna istituzione può vedersi da essa attribuito il

monopolio del diritto. Ne consegue che una siffatta società si trova ad avere

una pluralità di referenti “pubblici” che si integrano tra loro, ma nessuno dei

quali può assumere una posizione monopolizzante e totalizzante. Pertanto

tali “referenti pubblici” (compreso il referente Stato) sono necessariamente

portati ad essere aperti all’applicazione di regole giuridiche di diversa

provenienza.

Il diritto di una siffatta società non necessariamente deve essere

prodotto da una Istituzione, più o meno estesamente articolata al suo

interno, ma può essere prodotto da più strutture, tra loro diverse per origine

1 È da capire se si sia o meno di fronte ad un uso improprio del termine (federalismo amministrativo, federalismo fiscale ecc.) da parte del dibattito politico, che ha influenzato anche i giuristi (molti dei quali, non a caso, mettono il termine tra virgolette), ma che non intende trasformare l’Italia da stato unitario a stato federale, bensì mira ad introdurre riforme amministrative pienamente conformi al modello giuridico costituzionale delle autonomie locali iscritte in una Repubblica Italiana “una e indivisibile” (art. 5 Cost.). Va a tal riguardo osservato che, almeno fino ad oggi, anche dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, nel testo costituzionale mai si utilizzano termini come ‘federale’, ‘federalismo’ ecc. e l’autonomia finanziaria di cui all’art. 119 Cost. - e le norme attuative della stessa che sono in itinere - non contrastano né contraddicono l’art. 5 Cost. .

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Page 41: r0mano 2014.docx

storica, natura e caratteristiche, che operano in modo più o meno

indipendente (o interdipendente). Si può avvertire l’esigenza di norme che

non vengano prodotte da una Istituzione (sia essa l’UE, o le strutture

rappresentative dello Stato o delle Regioni) ma da altre entità aventi una

diversa legittimazione sociale (vedi le c.d. autorità indipendenti). Si

moltiplicano i soggetti che possono elaborare e curare gli interessi pubblici.

L’elaborazione delle scelte politiche, cioè delle scelte che coinvolgono la

società, è quanto mai varia e disaggregata.

Lo Stato oggi opera applicando norme giuridiche di diversa

provenienza e non solo, al suo interno, viene definitivamente a perdere

l’originaria organizzazione accentrata, ma, oltre a presentarsi come una

struttura disaggregata e policentrica, sembra ridursi ad una tra le molteplici

strutture della società italiana, non più esclusiva né totalizzante. Certamente

ancor oggi lo Stato (nel suo complesso) occupa nella società una posizione

centrale e preminente, ma tale posizione non è più esclusiva e, soprattutto,

non ha più alle sue spalle un comune sentire che vede nello Stato

l’ordinamento originario nel quale si risolve l’ordinamento giuridico della

società. Al contrario, anche lo Stato viene posto in discussione dalla società

civile e, come tutte le altre strutture della società attuale, si giustifica nella

sua esistenza e nelle sue dimensioni solo se e in quanto è avvertito come

utile per essa e, dunque, nella misura in cui è efficiente ed efficace

nell’assolvere ai ruoli che ad esso vengono demandati.2

La libertà dell’individuo è ancora oggi alla base della nostra società;

ma la libertà costituisce l’ambiente in cui le strutture pubbliche devono

operare, non il fine delle stesse; e la libertà dell’individuo, singolo o

associato, è garantita non soltanto dallo Stato e dal sistema organizzativo

che abbiamo descritto nelle precedenti lezioni, ma dall’insieme delle

strutture della società globale in cui si inscrive la società italiana. Non a caso

si assiste ad una profonda rielaborazione del diritto internazionale e vi sono

2 Si pensi allo sviluppo dei c.d. ADR (dall'acronimo inglese di Alternative Dispute Resolution) e cioè del ricorso a metodi alternativi di risoluzione delle controversie, in quanto ritenuti più rapidi e efficienti nel dare soluzioni accettabili in modo meno oneroso. E sempre sul piano politico-legislativo si rifletta sulla nuova attenzione data alla efficacia della regolamentazione.

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organismi e giudici internazionali chiamati a dirimere non soltanto le

controversie tra Stati, ma a sindacare e sanzionare, su richiesta

dell’individuo, i comportamenti repressivi degli Stati nei riguardi dei loro

cittadini colpiti nelle libertà fondamentali. Come osservava Benedetto XVI

nella enciclica Caritas in veritate (cfr. par. n. 24): “Nella nostra epoca, lo

Stato si trova nella situazione di dover far fronte alle limitazioni che alla

sua sovranità frappone il nuovo contesto economico-commerciale e

finanziario internazionale, contraddistinto anche da una crescente mobilità

dei capitali finanziari e dei mezzi di produzione materiali ed immateriali.

Questo nuovo contesto ha modificato il potere politico degli Stati.”

Le autorità pubbliche (siano esse nazionali o locali) non sono viste

come l’ineliminabile “male minore” che gli individui devono subire per

rendere possibile l’ordinata esistenza della società civile, bensì sono

percepite come alcuni degli strumenti attraverso cui la società si realizza.

Lo Stato non ha più soltanto compiti autoritativi volti ad assicurare ai

privati il libero esercizio della loro capacità giuridica generale e, cioè, le

proprie attitudini ed aspirazioni in una società di uomini liberi, bensì, per la

società che in esso si riconosce, ha il compito di erogare beni e servizi che

sono determinanti per l’affermazione della società (nel nostro caso italiana)

nella competizione mondiale.

Il giudizio sulle strutture amministrative della Repubblica Italiana,

quindi, viene espresso sul parametro della efficienza e della efficacia. Esse

trovano legittimazione e giustificazione in tanto in quanto vengono

percepite come fattore di competitività e di sviluppo per il Paese.

Per questo diviene primario il principio dell’efficienza e dell’efficacia

di tali strutture. Non basta che queste strutture siano democratiche e che

agiscano in modo da garantire la libertà dell’individuo; esse, per giustificare

la loro presenza (e l’estensione della loro presenza), devono essere capaci di

dare risultati, cioè di concorrere utilmente allo sviluppo della società nel

suo complesso.

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Le strutture che producono il diritto applicato dalla società e quelle

che si occupano di gestire tutte le funzioni necessarie per la vita della

società (dalla circolazione stradale alla giustizia) devono essere tra loro

coordinate ma non necessariamente rispondere ad un unico vertice. Esse,

tuttavia sono accomunate dal fatto di costituire le strutture della società

italiana come società aperta ed il suo diritto che, appunto per tale diversa

origine, non è più monopolizzato da un solo centro unitario di potere.

6. Il livello politico-amministrativo.

Indagare sulle conseguenze che da questa nuova realtà derivano nella

elaborazione del livello politico-costituzionale interno allo Stato italiano ci

porterebbe lontano dal nostro tema. Infatti una realtà ancora in fieri e così

articolata non consente un discorso unitario come quello che si è svolto con

riferimento al periodo storico precedente. Dobbiamo pertanto soffermare la

nostra attenzione sul livello politico amministrativo, per indicare alcune

riflessioni generali.

Si è già detto che, a causa dei mutamenti intervenuti nella società, il

modello di organizzazione amministrativa che sta nascendo appare fondato

su principi nuovi e diversi, sia rispetto alla parte della Costituzione del 1948

per così dire “tradizionalista” che a quella c.d. “innovativo-programmatica”.

Se non si è di fronte ad un modello che contrasta con la Costituzione, senza

dubbio si è di fronte ad un modello che va oltre la Costituzione. Sta di fatto

che la Costituzione, almeno in questa fase storica, sembra avere perso quel

ruolo di “bussola”, di “mappa” della società attuale, di strumento

interpretativo costituente la “chiave” di lettura, il punto di riferimento per la

ricostruzione del livello politico amministrativo.

In sostanza, i principi che stanno a fondamento del nuovo modello che

ogni giorno va costruendosi non sono contro la Costituzione del 1948 ma

certamente in molti casi non sono neppure nella Costituzione e non

traggono ispirazione ed alimento dalla Costituzione. Certo, le modifiche

apportate a cavallo del nuovo secolo ad alcuni articoli della Costituzione del

1948 e all’intero Titolo V della Parte II mirano a far riguadagnare alla Carta

Costituzionale il ruolo che si è appena descritto, ma, trattandosi di correttivi

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parziali, non sembrano ad oggi riuscire a indicare un nuovo modello

complessivo sufficientemente chiaro, completo e coerente.

Comunque, seguendo le nuove indicazioni, la chiave interpretativa più

fruttuosa per cercare di decifrare e descrivere l’amministrazione pubblica

dell’Italia del terzo millennio sembra essere quella di considerare la stessa

come parte di un sistema giuridico aperto, nel quale circolano discipline

giuridiche di diversa provenienza secondo principi di coordinamento, di

assimilazione e di reciproco riconoscimento, piuttosto che di separazione e

di estraneità. Ne consegue la possibilità di individuare strutture

amministrative molto diverse che pure collaborano fianco a fianco e si

integrano per comporre un unico quadro che rappresenta il medesimo

soggetto complesso: gli apparati amministrativi della società italiana d’oggi.

Il principio generale che sta a fondamento di questo modello è molto

diverso da quello del precedente modello di amministrazione pubblica dello

Stato nazionale, ed è, in definitiva, piuttosto semplice nella sua

pragmaticità.

Ogni struttura sovra-individuale, in ultima analisi, non trova altra

effettiva legittimazione che nel fatto di essere utile allo sviluppo della

società e di rappresentare la struttura più idonea per lo svolgimento del

compito che sta espletando.

Corollario di tale principio è che ogni struttura va valutata secondo i

criteri della efficienza e della efficacia.

Applicare questo principio ed il suo corollario all’azione

amministrativa ha portato, ad esempio, a dare maggiore attenzione

all’impatto della regolamentazione e, cioè, alla capacità dell’azione

amministrativa e normativa di raggiungere i risultati che essa si propone.

Così negli anni novanta e, poi, con la legge 28 novembre 2005, n. 246 (art.

14) e s.m.i., si è dato impulso alle metodologie in materia di analisi di

impatto della regolamentazione (AIR) e di verifica dell’impatto della

regolamentazione (VIR). L’AIR interviene in fase di predisposizione degli

atti normativi al fine di verificare ex ante l’opportunità di un nuovo

intervento normativo e valutarne i probabili effetti sulle attività dei cittadini

e delle imprese e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni. Il

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VIR opera nella fase successiva, ex post, consistendo “nella valutazione,

anche periodica, del raggiungimento delle finalità e nella stima dei costi e

degli effetti prodotti da atti normativi sulle attività dei cittadini e delle

imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche

amministrazioni” (art. 14, comma 4, l.n. 246/2005).

Applicare questo principio ed il suo corollario alla organizzazione

amministrativa vuol dire cambiare radicalmente il sistema e la sua logica, a

partire dalla stessa definizione di "pubblico".

Riflettiamo sul concetto di “pubblico”.

Superata da tempo la netta separazione tra sfera pubblica e sfera

privata, può ritenersi superata la stessa distinzione tra pubblico e privato,

almeno nei limiti in cui il “pubblico” viene ad essere identificato con lo

Stato. Le strutture della società attuale non si prestano ad una lettura che

identifica lo Stato come “il” potere pubblico della società nazionale.

L’interesse pubblico non solo non è più unitario, in quanto ha perso

l’elemento unificatore che lo rendeva tale (lo Stato-Persona del c.d. <<Stato

monoclasse>> di ottocentesca memoria), ma non è più neppure

identificabile con l’interesse perseguito dai molteplici apparati statuali del

c.d. <<Stato pluriclasse>> del novecento. Se ancor oggi è utile qualificare

un interesse o un organismo come “pubblico” o “privato” al fine di

distinguere il livello individuale da quello sovra-individuale, si deve, però,

essere ben consapevoli che, così intesa, la distinzione consente, senza dar

luogo ad alcuna contraddizione, che un “interesse pubblico” faccia capo ad

un soggetto privato, sia esso una ONG o altra figura privata, e che un

organismo possa essere qualificato “organismo di diritto pubblico” pur

essendo formalmente esterno all’apparato amministrativo della Repubblica.

Ne consegue la necessità, a livello di studio e di esame

dell’organizzazione pubblica amministrativa della odierna società italiana,

di disegnare una società complessa nella quale operano più strutture di

diversa provenienza che, nel loro insieme, costituiscono l’organizzazione

pubblica complessiva della società italiana, svolgendo una molteplicità di

vecchie e nuove funzioni. Nell’effettuare tale studio, le strutture

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Page 46: r0mano 2014.docx

amministrative che tradizionalmente vanno sotto la denominazione

“pubbliche amministrazioni” - ovvero sotto la formula “lo Stato e gli altri

enti pubblici” - devono essere considerate parte certamente fondamentale e

rilevantissima della organizzazione amministrativa complessiva della

società italiana, ma pur sempre una parte di tale organizzazione, la quale,

per la sua ampiezza e complessità, non può essere ridotta (né ricondotta) alla

somma delle “pubbliche amministrazioni” statali, né alla somma delle

strutture che vanno sotto la ricorrente denominazione “Stato ed altri enti

pubblici”. Anzi, come avviene ad opera dell’art. 7 del codice del processo

amministrativo, lo stesso termine “pubbliche amministrazioni” oggi può

legittimamente essere dilatato fino ad utilizzarlo per ricomprendervi anche

soggetti che certamente non lo sono e, pur tuttavia, possono rientrarvi in

quanto “ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del

procedimento amministrativo” (art. 7, comma 2, c.p.a.).

Lo Stato, nelle sue articolazioni amministrative, gli enti pubblici

nazionali e locali, le Regioni, le Province ed i Comuni, in breve tutti

“soggetti pubblici” nel senso tradizionale del termine, non solo non

esauriscono il quadro della organizzazione amministrativa della società

italiana del duemila ma, per ben comprenderne il ruolo, vanno presi in

considerazione e studiati nel contesto generale in cui oggi si collocano,

senza estrapolarli ed isolarli col pretesto di uno studio limitato al c.d. diritto

“interno”. Ed essi vanno esaminati con la consapevolezza che non si tratta di

studiare e descrivere apparati amministrativi “intangibili” e/o

“insostituibili”, poiché non è la società che deve piegarsi alle esigenze dello

Stato, ma sono gli apparati amministrativi statali che devono adeguarsi alle

nuove esigenze della società e rendersi “compatibili” con gli altri

componenti del sistema, al fine di non compromettere i risultati complessivi

cui mira l’“azienda Italia”. Invero, anche per tali strutture vale la regola che

un soggetto va sostituito allorquando altri soggetti risultassero più idonei

allo svolgimento del compito ad esso attribuito.

Si giunge così alla visione di una pluralità di apparati pubblici,

collettivi, comunitari, statali in senso stretto, “indipendenti”, regionali ecc.

come co-elementi di una società aperta. A nessuna di tali strutture i cittadini

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Page 47: r0mano 2014.docx

tendono a riconoscere uno status speciale, sovraordinato ed indiscutibile per

il suo carattere sovrano e necessario. Al contrario, la società civile è in ogni

momento propensa a mettere in discussione l’autorità e le competenze di

ogni sua struttura, valutandone la “legittimazione” sul metro dei risultati

raggiunti nelle attività ad essa affidate, e, in questo contesto, pretendendo

che, come tutte le altre strutture esistenti nella società moderna, anche le

strutture amministrative della Repubblica debbano dimostrare di essere in

linea con gli standards raggiunti dagli altri settori della società italiana, in

modo da potere contribuire allo sviluppo della società italiana nella

competizione internazionale.

Ed è proprio a tali esigenze ed a tali “richieste” provenienti dai

cittadini di oggi che si ispira e risponde l’attuale stagione di riforme che,

soprattutto a partire dagli anni novanta dello scorso secolo, ha investito tutti

gli apparati amministrativi (e non solo amministrativi) dello Stato,

imponendo una revisione generale di tali apparati che ne ha posto in

discussione la necessità, il modo di essere, i principi d’organizzazione e di

azione e le forme di finanziamento.

Caduto il monopolio del diritto e dell’organizzazione pubblica da

parte dello Stato-Persona, il panorama degli apparati pubblici amministrativi

si rivela quanto mai vario, per la presenza di innumerevoli componenti:

istituzioni internazionali; istituzioni comunitarie; enti pubblici strumentali

degli organi comunitari; Stato-persona; Regioni; Comuni; enti pubblici

nazionali e locali; enti pubblici a modello privatistico; autorità indipendenti;

enti privati di rilievo pubblico (soggetti privati gestori di servizi pubblici);

associazioni per la cura di interessi diffusi; partiti politici; sindacati; gruppi

di pressione; gruppi societari di livello nazionale o multinazionale ecc.

Per dare un ordine a tale complessa realtà, si impone un nuovo

criterio, non a caso mutuato da esperienze extra-nazionali: il principio di

sussidiarietà, che, nella “reinterpretazione” infra-nazionale, in buona

sostanza, applica l’idea di attribuire ogni funzione sociale al livello ed alla

struttura più idonea ad espletarla.

Su queste basi possiamo passare in rassegna il quadro odierno

dell’organizzazione amministrativa servente l’attuale società italiana per poi

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Page 48: r0mano 2014.docx

evidenziare, entro tale quadro, lo sforzo di trasformazione messo in opera

dalle strutture amministrative dello Stato italiano, allo scopo di riuscire a

svolgere al meglio i compiti che loro competono e, nello stesso tempo, di

dismettere i compiti che possono essere meglio espletati da altre strutture.

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Page 49: r0mano 2014.docx

I- Le strutture di livello transnazionale ed europeo.

7. Premessa.

Diversamente da quanto accade per il precedente periodo storico in

cui la Società italiana si identificava totalmente con lo Stato italiano,

nell’attuale fase storica, in cui l’Italia si presenta come una società “aperta”,

limitarsi ad esaminare gli apparati amministrativi statali vorrebbe dire

privarsi di ogni possibilità di comprendere (o addirittura di percepire)

l’organizzazione pubblica amministrativa della società italiana nelle sue

reali dimensioni e nei suoi effettivi confini.

Devono, quindi, venire contestualmente presi in considerazione,

trattandosi di strutture integrate componenti l’unico ed unitario sistema

amministrativo della attuale società italiana, tutti gli aggregati che

compongono l’organizzazione pubblica amministrativa della società italiana

e concorrono a formare il suo diritto amministrativo.

Su alcuni di tali aggregati, i quali tradizionalmente esulano dal

consueto programma del corso di diritto amministrativo per essere oggetto

di altri insegnamenti, per ovvi motivi di tempo e di opportunità pratica, ci

limitiamo a rapidi cenni, molto sommari e frammentari. Occorre, tuttavia,

avvertire che sarebbe errato e fuorviante desumere dalla esiguità dello

spazio che siamo costretti a dedicare a queste strutture una loro minore

incidenza sul diritto amministrativo italiano. Al contrario, è fondamentale

tenere ben presente l’esistenza di queste componenti nell’organizzazione

complessiva della società italiana, sia per avere una esatta visione

dell’insieme del sistema, sia per essere in grado di valutare correttamente il

ruolo degli apparati statali ed i principi che li reggono.

8. La componente internazionale.

Per descrivere il quadro attuale delle strutture amministrative

utilizzate dalla società italiana secondo il punto di vista sopra descritto,

dobbiamo innanzi tutto prendere atto che la nostra società, per poter operare

con profitto, necessita in molti settori di un elevato grado di omologazione e

standardizzazione tecnica, spesso da realizzare a livello mondiale. Il

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Page 50: r0mano 2014.docx

fenomeno è nuovo non tanto nella sua esistenza (perché anche la società

settecentesca necessitava di relazioni con le altre società nazionali) ma per

le sue dimensioni, che lo rendono non più marginale e, anzi, impongono a

chi esamina la realtà attuale di rivedere il ruolo e la rilevanza di tali

organismi quali strutture della società italiana.

Da tempo la società italiana, insieme alle altre società statali del

mondo moderno, si è resa conto che la struttura più idonea a rispondere a

talune esigenze della vita sociale andava individuata fuori dall’ambito degli

apparati amministrativi dello Stato. Sono stati così creati numerosi

organismi internazionali aventi lo scopo di provvedere a tutte quelle

esigenze richiedenti una simile dimensione di intervento per potere essere

pienamente soddisfatte. Limitandoci agli organismi con compiti

“amministrativi” (ma ve ne sono anche con funzioni “giurisdizionali”, si

pensi alla Corte penale internazionale il cui statuto istitutivo è stato adottato

a Roma il 17 luglio 1998 dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite

ed è stato ratificato con la legge 12 luglio 1999 n. 232) ricordiamo l’ICAO

(Organizzazione dell’Aviazione Civile Internazionale) e l’UIC (Union

Internationale des chemins de Fer), ma anche il CIO (Comitato olimpico

internazionale) ovvero l’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità).

E’ indubbio che tali organismi traggono origine e fondamento

giuridico da trattati internazionali siglati tra gli Stati aderenti, ma ciò non

toglie che, se si vuole descrivere la realtà degli apparati amministrativi della

società italiana, non può tacersi del ruolo e della rilevanza di questi

organismi, né può ignorarsi che è da tali organismi internazionali che

proviene l’elaborazione di una serie di normative di natura sostanzialmente

amministrativa tecnica, dirette a disciplinare aspetti della società italiana

legati al suo essere parte della comunità mondiale.

Invero, questo tipo di organismi sovranazionali sono più numerosi di

quanto si immagini e concorrono a formare il diritto amministrativo della

società italiana in numerosissimi settori della vita moderna, anche se la loro

presenza è meno avvertibile da parte del cittadino, avendo di solito la loro

sede in città lontane dall’Italia ed essendo il loro intervento spesso limitato

alla produzione di “raccomandazioni” ovvero di normative tecniche di tipo

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Page 51: r0mano 2014.docx

regolamentare, restando la rimanente disciplina normativa del settore e gran

parte degli aspetti operativi affidati alla competenza delle strutture

amministrative statali di ciascuna comunità interessata. Per fare un esempio

volutamente “minimale”: certamente il passaporto non viene rilasciato al

cittadino dall’ICAO, ma è pur vero che il suo contenuto e le sue

caratteristiche rispondono a normative ICAO.

Peraltro, a mio avviso, considerare tali organismi come fossero posti

su un piano diverso ed estraneo rispetto a quello interno, e, cioè, come

strutture distinte ed esterne rispetto all’ordinamento (e/o al diritto) “interno”

della società italiana, significherebbe non rendersi conto che, nell’attuale

fase storica, questo tipo di organismi non sono rappresentativi di una società

internazionale che si contrappone alle singole società nazionali, bensì

costituiscono una componente essenziale della società italiana come delle

altre società nazionali, di cui concorrono a disegnare la fisionomia giuridica

e a formare il diritto interno.

Ritengo si possa affermare che i singoli Stati, nell’aderire a tali

organismi sovranazionali, prendono atto che una serie di regole

indispensabili per la vita delle moderne società devono trovare una fonte di

produzione di livello trasnazionale, che si legittima per la sua maggiore

idoneità allo scopo. Ne deriva l’istituzione di enti ad hoc, dotati di organi ed

uffici, di personale, di sedi e di mezzi finanziari, che hanno compiti di cura

del settore in cui operano, con funzioni non esclusive ma rilevanti. Del

resto, vanamente lo Stato potrebbe tentare di “ribellarsi” al

ridimensionamento del proprio ruolo nelle moderne società aperte che tale

nuova realtà comporta, poiché questa nuova situazione trova la sua

legittimazione in quello stesso elemento che legittima lo Stato: la

rispondenza alle esigenze della società.

Per restare all’esempio dell’ICAO si veda la Convenzione relativa

all'aviazione civile internazionale (Chicago, 7.12.1944), approvata con d.lgs.

6 marzo 1948 n.616 ratificato con l. 17 aprile 1956, n.561 e l’art. 687 del

Codice della Navigazione.

In forza dell'art. 12 della Convenzione, ogni Stato contraente si è

impegnato a mantenere la propria regolamentazione in materia di aviazione

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Page 52: r0mano 2014.docx

civile il più possibile conforme a quella di volta in volta stabilita in

applicazione della Convenzione.

Una parte della convenzione si occupa della creazione di una

organizzazione per l’aviazione civile internazionale. Con l'art. 43 viene

istituita l’"Organizzazione per l'Aviazione Civile Internazionale".

L'organismo ha una propria sede e propri organi: una Assemblea, (composta

da tutti gli Stati contraenti); un Consiglio (quale organo permanente

responsabile verso l'Assemblea); un Presidente del Consiglio permanente, e

tutti gli altri organi necessari per il funzionamento dell'Organismo. L’art. 47,

prevedendo che tale organismo godrà nel territorio di ogni Stato contraente

della capacità giuridica necessaria all’esercizio delle sue funzioni e di piena

personalità giuridica ove tale personalità sia compatibile con la costituzione

e le leggi degli Stati interessati, viene in sostanza ad equiparare il

trattamento di tale organismo a quello degli enti amministrativi nazionali di

ciascuno Stato membro.

Dalla lettura dell’art. 44, che indica gli scopi e gli obbiettivi

dell’Organismo, emerge che questo è preposto alla cura di un interesse

pubblico.

L’art. 37, nell’ambito del Cap. VI della Convenzione avente ad

oggetto gli standards internazionali e i sistemi pratici raccomandati, indica

le funzioni attribuite all’Organismo. Esso ha il potere di adottare e

modificare detti standards e sistemi pratici, che intervengono

sostanzialmente su ogni momento importante della amministrazione del

settore, coinvolgendo in questo modo la regolamentazione dell’aeromobile,

della struttura aeroportuale, del personale, delle carte di bordo, dei sistemi di

comunicazione, delle carte aeronautiche, delle informazioni meteorologiche

ecc. (vedi art. 37, comma 2), con una norma di chiusura che rende

meramente esemplificativo il pur lungo elenco contenuto nel secondo

comma dell’art. 37, poiché precisa che la competenza ricomprende ogni

materia connessa alla sicurezza, alla regolarità e all’efficienza della

navigazione aerea e, cioè, in pratica, ogni elemento necessario alla cura

dell’interesse pubblico affidato a tale Organismo.

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Page 53: r0mano 2014.docx

L’art. 687 del Codice della Navigazione, pur attribuendo al Ministero

delle infrastrutture e dei trasporti poteri di indirizzo, assegna all’Ente

nazionale per l'aviazione civile (ENAC) la funzione di unica autorità di

regolazione tecnica, certificazione, vigilanza e controllo nel settore

dell'aviazione civile. Ma il successivo art. 690 c.n. dà applicazione alla

Convenzione di Chicago prevedendo modalità di recepimento in via

amministrativa della normativa tecnica ICAO “anche mediante

l'emanazione di regolamenti tecnici dell'ENAC”. Ne consegue che la

disciplina amministrativa fondamentale del settore è sostanzialmente opera

non già del Ministero delle infrastrutture o dell’ENAC, ma dell’ICAO.

Anzi, approfondendo l’analisi della normativa dal punto di vista che ci

occupa, possiamo concludere che oggi, con riferimento alla disciplina

regolamentare del settore, il margine di “autonomia” che permane dopo il

recepimento delle regole fissate dall’ICAO viene riempito, piuttosto che dal

Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dagli uffici della Unione

Europea che elaborano le normative comunitarie in materia di aviazione

civile (l’art. 687 c.n. fa riferimento al rispetto dei regolamenti comunitari.

Cfr. anche gli artt. 691 e 691 bis c.n.).

9. La componente europea.

E’ intuibile che il processo di integrazione europea, facendo

tendenzialmente confluire la società italiana nella società europea, ha

ampliato fortemente i settori della vita sociale nazionale nei quali

competenze amministrative sono state in tutto o in parte trasferite dagli

apparati amministrativi della Repubblica Italiana a quelli della Unione

Europea, coinvolgendo in tale ripartizione anche settori facenti parte del

nucleo “classico” della sovranità statale, come da ultimo è avvenuto per la

moneta. Significativa sotto questo aspetto, è la istituzione di una

cittadinanza dell’Unione (vedi art. 20 Trattato UE) e le norme dettate a

garanzia del rispetto dei principi democratici nella UE (vedi Titolo II,

Disposizioni relative ai principi democratici, del Trattato sull’Unione

Europea).

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Ne deriva un panorama molto più vasto e complesso rispetto a quello

considerato nell’esaminare la presenza ed il ruolo degli organismi

internazionali di cui al punto precedente.

Una sia pur rapida lettura dei diversi “titoli” che compongono il

Trattato sul funzionamento dell’Unione europea nella sua versione attuale

(Lisbona). Vengono indicati come oggetto di competenza esclusiva

dell’Unione i settori: unione doganale; definizione delle regole di

concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno; politica

monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l'euro; conservazione delle

risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca;

politica commerciale comune (art. 3 Trattato UE). Come oggetto di

competenza concorrente con gli Stati membri i settori: a) mercato interno, b)

politica sociale, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel trattato, c)

coesione economica, sociale e territoriale, d) agricoltura e pesca, tranne la

conservazione delle risorse biologiche del mare, e) ambiente, f) protezione

dei consumatori, g) trasporti, h) reti transeuropee, i) energia, j) spazio di

libertà, sicurezza e giustizia, k) problemi comuni di sicurezza in materia di

sanità pubblica, per quanto riguarda gli aspetti definiti nel trattato. Nonché

nei settori della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dello spazio, e nei

settori della cooperazione allo sviluppo e dell'aiuto umanitario (art. 4

trattato). Ancora, l'Unione ha competenza per svolgere azioni intese a

sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri nei settori: a)

tutela e miglioramento della salute umana, b) industria, c) cultura, d)

turismo, e) istruzione, formazione professionale, gioventù e sport, f)

protezione civile, g) cooperazione amministrativa. (art. 6 Trattato

Funzionamento).

L’ambito delle competenze della UE viene ulteriormente regolata dai

principi di attribuzione, di sussidiarietà e di proporzionalità, come

disciplinati dall’art. 5 del Trattato sull’Unione. In particolare il terzo comma

dell’art. 5 dichiara che in virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che

non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in

quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in

misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello

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regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti

dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione.

Quindi, per le materie di competenza “concorrente”, si afferma il potere-

dovere della Unione di sostituirsi e/o avocare a sé l’intervento, se ritiene che

gli obiettivi da raggiungere non possono essere realizzati dai singoli Stati o,

comunque, possono essere meglio realizzati a livello comunitario.

La UE, intervenendo attraverso i suoi regolamenti e le direttive,

assume innanzi tutto il ruolo di fonte di produzione del diritto

amministrativo sostanziale con riferimento a settori sempre più vasti della

società italiana, lasciando di norma agli apparati amministrativi degli Stati

membri i compiti esecutivi ed operativi. Sempre più spesso, però, l’Unione

svolge anche una funzione amministrativa di tipo operativo ed esecutivo, sia

mediante strutture proprie che si affiancano ed integrano quelle dei singoli

Stati membri, sia mediante strutture nazionali utilizzate come propri uffici.

L’integrazione delle norme e delle istituzioni comunitarie all’interno della

società italiana costituisce un fenomeno in atto che progressivamente si

allarga ed intensifica secondo forme e gradi diversi.

Alcuni esempi possono aiutarci a prendere coscienza del fenomeno e

della sua gradualità. Gli esempi che seguono, infatti, si caratterizzano per la

diversità delle forme di intervento della UE (solo a livello normativo o

anche a livello organizzativo) e per la maggiore o minore intensità della

integrazione che viene a realizzarsi tra strutture nazionali e strutture

comunitarie.

a) Il settore degli appalti pubblici. In questo settore, come è noto,

l’intervento europeo si sostanzia nella emanazione nel corso degli anni di

numerose direttive che sono state riunite nelle direttive 2004/17/CE e

2004/18/CE. Quel che rileva ai nostri fini, non è il fatto che la UE, per

soddisfare i propri bisogni, concluda pubblici appalti e li concluda secondo

proprie regole, bensì il fatto che qualsiasi pubblica amministrazione della

Repubblica Italiana, come degli altri Stati membri, che intenda concludere

un appalto di lavori, di fornitura o di servizi pubblici è tenuta ad operare

secondo principi e discipline dettati dalla UE. Anzi, è significativo che sia di

competenza della UE la stessa individuazione di quali siano i soggetti

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dell’ordinamento italiano tenuti ad osservare tali regole. Pertanto, pur

essendo formalmente il c.d. “Codice degli appalti pubblici di opere, servizi e

forniture” (d.lgs. 12.4.2006, n. 163 e s.m.i.), poiché tale codice costituisce

attuazione delle direttive europee, si deve con buona ragione concludere che

non vi è una disciplina comunitaria degli appalti pubblici distinta e diversa

da quella “interna” (ovvero nazionale), ma che la disciplina nazionale degli

appalti pubblici è, in tutto o in gran parte, quella elaborata da una struttura

diversa dallo Stato italiano, individuabile nella UE.

b) Il settore della concorrenza e del mercato. Il settore viene

disciplinato secondo norme e principi comunitari, ma la competenza della

Unione non si limita a incidere sulla normativa. Vengono attribuite alla

Commissione funzioni di amministrazione attiva (vedi artt. 101 - 106 del

Trattato sul funzionamento della UE). Tra questa e l’Autorità garante della

concorrenza e del mercato (istituita con la legge 10.10.1990 n. 287), le

funzioni di amministrazione attiva sono ripartite in modo da riservare alla

Autorità italiana una competenza residuale (quelle fattispecie che non

ricadono nell’ambito della competenza della Unione in base alle norme

europee: art. 1, comma 1, l.n. 287/90). Inoltre, l’Autorità italiana deve

coordinarsi con la UE ed è significativo che la legge n. 287/1990, nel

disciplinare la tutela della concorrenza e del mercato, espressamente

stabilisce, al quarto comma dell’art. 1, che l’interpretazione delle norme da

essa dettate in tema di intese, di abuso di posizione dominante e di

operazioni di concentrazione deve essere effettuata “…in base ai principi

dell’ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della

concorrenza”. Come si vede, in questo caso l’intervento comunitario è certo

più intenso e multiforme rispetto a quello del caso precedente.

c) Il settore della protezione dell’ambiente. Una ricognizione delle

strutture preposte dalla tutela dell'ambiente deve registrare la presenza non

solo di strutture di livello regionale e locale (provincia), e di livello

nazionale, come il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del

mare, cui si affiancano, sempre nell’ambito nazionale interno, una rete di

agenzie ambientali, che vede al centro l'Istituto superiore per la protezione e

la ricerca ambientale -ISPRA (art. 28 d.l. n. 112/2008) e nel territorio 21 tra

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Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA) ed Agenzie

provinciali (APPA) costituite con legge regionale, tutte raccordate tra loro

anche attraverso l’istituzione, in seno all’ISPRA, di un Consiglio federale

rappresentativo delle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente, , ma

anche strutture comunitarie come l’Agenzia europea per l’ambiente (reg.

(CE) 23.4.2009 n. 401/2009), con la quale le strutture nazionali devono

cooperare, che ha lo scopo di attuare una rete europea di informazione e di

osservazione in materia ambientale (sulla base della considerazione che “…

la raccolta, l'elaborazione e l'analisi dei dati ambientali a livello europeo

sono necessarie per fornire informazioni oggettive, attendibili e comparabili

che consentano alla Comunità e agli Stati membri di adottare le misure

indispensabili alla protezione dell'ambiente, di valutarne l'attuazione e di

garantire una efficace informazione del pubblico sullo stato dell'ambiente”),

nonché funzioni di tipo consultivo. Del resto dell’ambiente si occupa il

Trattato sul funzionamento dell’UE (vedi gli artt. 191-193). Possiamo in

questo caso identificare un’ulteriore forma di integrazione, che vede la

compresenza, accanto di strutture nazionali, di uffici comunitari diversi

dagli organi istituzionali della Comunità, costituiti dalle agenzie comunitarie

(anche se in questo caso, tali agenzie hanno funzioni meramente ricognitive

e consultive).

d) Il settore farmaceutico. Anche la disciplina amministrativa del

settore farmaceutico, come quella già citata degli appalti pubblici e di molti

altri settori, è dettata da direttive comunitarie recepite con legge nazionale

(d.lgs. 24.4.2006, n. 219 di attuazione della direttiva 2001/83/CE e succ.

mod. relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso

umano, nonché della direttiva 2003/94/CE). Ma in questo settore l'intervento

comunitario non si limita alla emanazione delle direttive. La Commissione

della UE, attraverso un procedimento amministrativo europeo che ha come

fulcro l’Agenzia europea per i medicinali (Reg. (CE) 31.3.2004 n.

726/2004), rilascia autorizzazioni europee alla vendita delle specialità

medicinali che consentono la commercializzazione del farmaco autorizzato

in tutto il territorio europeo. Ai sensi dell’art. 71 del citato regolamento

l’agenzia ha personalità giuridica e, in ciascuno degli Stati membri, essa

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gode della più ampia capacità giuridica che la legge riconosce alle persone

giuridiche. In particolare, essa può acquistare e alienare beni immobili e

mobili e stare in giudizio.

La condivisione di poteri amministrativi tra UE e Amministrazioni

statali è, quindi, in tale settore ancor più marcata che nel settore della

protezione dell’ambiente. In questo caso l’Agenzia europea viene

sostanzialmente (e la Commissione anche formalmente) a porre in essere dei

veri e propri provvedimenti amministrativi (l’autorizzazione al commercio

del medicinale); e tali provvedimenti amministrativi non hanno natura

regolamentare o, comunque, di atti generali, ma sono provvedimenti aventi

natura individuale che hanno come destinatari singoli cittadini

(l’autorizzazione, infatti, viene rilasciata a singole imprese private). Sulla

tematica confronta anche gli artt. 168 del Trattato sul funzionamento

dell’UE.

e) Il settore della moneta. L’attuale apparato preposto alla politica

monetaria vede in una posizione di preminenza degli organismi comunitari

(Banca Centrale Europea, Banca Europea degli Investimenti) configurando

un sistema complessivo nel quale vengono integrate le strutture statali

nazionali (Banca centrale europea - sistema delle Banche centrali nazionali)

(vedi d.lgs. 10.3.1998 n. 43 di adeguamento alle norme UE). Vedi anche

artt. 127-133 del Trattato sul funzionamento UE ed il protocollo n. 4 del

trattato sullo Statuto del sistema europeo di banche centrali e della banca

centrale europea. In questo caso non solo la moneta europea ha soppiantato

le monete nazionali, ma l’integrazione degli apparati preposti alla

regolazione del settore è ancora più sensibile che negli altri casi prima presi

ad esempio.

f) Il settore agricolo. Come esempio di intervento operativo della

Comunità svolto avvalendosi di strutture nazionali si pensi al ruolo

dell’AGEA – Agenzia per le erogazioni in agricoltura (cfr. d.lgs. 27.5.1999,

n. 165) nel settore agricolo. Tale agenzia è l’organismo di coordinamento

con gli Uffici comunitari preposti al settore ed è responsabile nei confronti

dell’Unione Europea degli adempimenti connessi alla gestione degli aiuti

derivanti dalla politica agricola comune, nonché degli interventi sul mercato

53

Page 59: r0mano 2014.docx

e sulle strutture del settore agricolo, finanziate dal FEOGA. Vedi anche artt.

38 ss. Trattato sul funzionamento dell’UE.

La presenza e l’importanza della attività amministrativa svolta dagli

organi comunitari è confermata dalla istituzione del Mediatore, quale

organo nominato dal Parlamento europeo (equivalente al “difensore civico”)

abilitato a ricevere le denunzie dei cittadini europei riguardanti casi di

“cattiva amministrazione” da parte delle istituzioni o degli organi

comunitari (vedi art. 228 Trattato funzionamento UE).

Rinviando per gli altri aspetti all’insegnamento del diritto dell’Unione

europea, con specifico riferimento al nostro tema – l’organizzazione

amministrativa – va segnalata la presenza non solo di una ormai numerosa

burocrazia comunitaria, ma di un attiva presenza nelle strutture e negli uffici

comunitari di funzionari pubblici dei diversi Stati. Tale presenza è

particolarmente importante perché l’amministrazione europea tende ad

operare attraverso Comitati, appunto composti da funzionari delle diverse

amministrazioni pubbliche dei paesi membri.

E’ da ricordare, infine, l’istituzione del Comitato economico e

sociale (vedi art. 300 e segg. Trattato funzionamento UE) composto da

rappresentati delle varie categorie della vita economica e sociale, nonché

delle libere professioni “e degli interessi generali” e del Comitato delle

regioni (vedi artt. 305 e segg. Trattato funzionamento UE) composto dai

rappresentanti delle collettività regionali e locali.

54

Page 60: r0mano 2014.docx

II - Le strutture esterne agli apparati costituenti l’ordinamento

politico-amministrativo della Repubblica.

10. Partiti politici e sindacati.

Come è noto, la vicenda storica dei partiti e dei sindacati è ricca e

complessa. Dal punto di vista nel quale ci siamo posti è da sottolineare

l’accentuata integrazione di tali organismi a livello europeo (partiti) ed

anche internazionale (sindacati).

10.1. Partiti politici.

La Costituzione affronta l’argomento ‘partiti politici’ sotto l’angolo di

visuale del cittadino e dei suoi diritti. Ma i partiti sono certamente qualcosa

di più dell’espressione del diritto dei cittadini “di associarsi liberamente in

partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica

nazionale” (art. 49 Cost.).

Certamente il ruolo da loro svolto a livello politico costituzionale è

quello che immediatamente balza in evidenza quando si pensa ai partiti

politici. Infatti, nel circuito classico “Popolo – Parlamento – Governo” è ai

partiti politici che viene demandato il ruolo di “cinghia di trasmissione” tra

Popolo e Parlamento per la funzione da essi assolta nel sistema elettorale3, e

ciò rischia di nascondere il ruolo centrale dei partiti e del “personale

politico” da essi espresso nell’organizzazione e nell’azione delle strutture

pubbliche della società, con il rischio di diffondere una visione incompleta o

distorta dell’organizzazione amministrativa complessiva (come testimonia il

poco spazio ad essi riservato nei manuali di diritto amministrativo).

In sostanza, va segnalato con forza all’attenzione il collegamento

“Governo – Pubblica amministrazione” che determina la presenza del

personale politico-partitico anche negli apparati amministrativi statali. E va

anche ricordato che, accanto alle elezioni c.d. ‘politiche’, vi sono le elezioni

3 La Corte Costituzionale ha affermato che “…i partiti politici sono garantiti dalla Carta costituzionale - nella prospettiva del diritto dei cittadini di associarsi - quali strumenti di rappresentanza di interessi politicamente organizzati” (C.Cost. ord. 24.2.2006, n. 79)

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Page 61: r0mano 2014.docx

c.d.‘amministrative’, attraverso le quali il personale politico-partitico

penetra nelle Regioni, nelle Province e nei Comuni.

Invero ancor oggi, al di là dei problemi contingenti che li hanno

interessati (da “tangentopoli” in poi), essi comunque costituiscono delle

strutture stabili, composte da personale con accentuati caratteri

professionali, che funzionano da raccordo tra la massima parte delle

strutture amministrative della nostra società, essendo presenti, sia

direttamente che attraverso persone da loro designate, in tutte le sedi

pubbliche più rilevanti di tutti i livelli (dagli organismi internazionali a

quelli comunitari: cfr. art. 10 Trattato dell’Unione e art. 224 Trattato sul

Funzionamento UE; dalle amministrazioni dello Stato alle Regioni, alle

Province ed ai Comuni, dagli enti pubblici nazionali a quelli regionali e

locali).

Questa loro funzione appare sempre più essenziale nel nuovo modello

di società aperta, in quanto il pluralismo e l’autonomia delle differenti

strutture riducono le occasioni di raccordo e coordinamento, rendendo i

partiti una sorta di “minimo comune denominatore” che dovrebbe (o

potrebbe) creare un legame tra le diverse strutture amministrative, sia fra

loro che con la società civile, nell’ambito della quale i partiti si inscrivono

dovendo essere considerati, per usare le parole della Corte Costituzionale,

“come organizzazioni proprie della società civile, alle quali sono attribuite

dalle leggi ordinarie talune funzioni pubbliche, e non come poteri dello

Stato…” (C.Cost. ord. n. 79/2006).

Visto il ruolo svolto dai partiti e la loro stabilità, è intuibile come le

trasformazioni che si registrano nella composizione, nella organizzazione e

nelle caratteristiche dei partiti politici italiani, con il passaggio dai grandi

partiti popolari fortemente ideologizzati di ieri (dalla DC al PCI e dai vari

partiti socialisti - PSI e PSDI - al Partito Liberale e al Partito Repubblicano)

agli attuali partiti oggi presenti, non possono non avere conseguenze

sull’andamento delle amministrazioni pubbliche sia nazionali che locali. La

questione, quindi, meriterebbe di essere indagata in modo approfondito, per

tentare di cogliere i nuovi caratteri dei partiti d’oggi. Ma non è un compito

facile, sia per la attuale ‘fluidità’ dell’oggetto da studiare che per l’assenza

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Page 62: r0mano 2014.docx

di una disciplina comune. Infatti, ragioni storiche legate alla giusta

intenzione di lasciare la massima libertà ai partiti come formazioni sociali

tramite cui il cittadino svolge la propria personalità (art. 2 Cost.), hanno

portato a non attribuire ai partiti neppure la personalità giuridica,

considerandoli delle associazioni non riconosciute4, in modo da sottrarli

anche alla disciplina delle persone giuridiche.

Invero, nonostante sia palese che i partiti politici costituiscano una

realtà oggettivamente distinta da quella dei cittadini (anzi, uno dei maggiori

problemi attuali riguarda proprio la loro capacità di rappresentarli), non vi è

una normativa volta a garantire la democrazia interna nei partiti politici. E

l’ormai frequente presenza, nel simbolo di molti partiti, del nome di un

singolo leader, sembra sintomatico di una loro forte personalizzazione, che,

al limite, potrebbe essere funzionale al ruolo del partito come ‘macchina

elettorale’, ma molto meno a quello del partito come struttura stabile,

esterna alle pubbliche amministrazioni ma destinata a fornire alle stesse idee

e personale politico e, quindi, al ruolo del partito come organizzazione della

società civile entro cui si forma la classe politica e si elaborano programmi

ed indirizzi politici di lungo respiro5.

10.2. Sindacati e Organizzazioni dei datori di lavoro.

Non meno rilevanti, per offrire un quadro reale delle strutture

pubbliche della nostra attuale società, sono i Sindacati dei lavoratori e le

Associazioni dei datori di lavoro. La disposizione costituzionale

sull’organizzazione sindacale (art. 39) ancora una volta non appare in grado

4 Peraltro, in deroga alle regole comuni dettate dal codice civile per le associazioni non riconosciute, l’art. 6-bis, aggiunto alla l. n. 157 del 1999 dal d.l. n. 273 del 2005, conv. con mod. con l. n. 57 del 2006, nel dettare le norme in materia di rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie ai partiti ed ai movimenti politici, ha esonerato gli amministratori dei partiti e movimenti politici dalla responsabilità per le obbligazioni contratte in nome e per conto di tali organizzazioni, salvo che abbiano agito con dolo o colpa grave.5 Negli ultimi decenni sempre più l’organizzazione dei partiti popolari per sezioni e/o cellule di partito ha perso importanza soppiantata dalla video politica. Spetta a voi studenti, che siete la nuova generazione, elaborare e proporre il futuro, come anche rispondere al quesito se l’avvento di internet, con le possibilità di interazione di strumenti come Face book, You Tube e Twitter, possa far tramontare quella comunicazione a senso unico cui dà luogo la televisione.

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Page 63: r0mano 2014.docx

di rendere a pieno la posizione ed il ruolo nella nostra società dei sindacati,

indirizzandone l’evoluzione, anche se questa volta il divario è dovuto alla

divergenza che si è prodotta tra il modello prefigurato dal secondo e terzo

comma dell’art. 39 e il modello che si è effettivamente realizzato

nell’ambito della libertà sindacale stabilita dal primo comma.

Siamo ancora una volta in presenza di strutture stabili con accentuati

caratteri di professionalità, che incidono sulla vita sociale ben al di là del

pur importante settore dei contratti collettivi di lavoro, ovvero della loro

legittimazione ad agire a tutela delle categorie rappresentate6, concorrendo –

in misura maggiore o minore a seconda del momento storico e dei rapporti

tra le differenti organizzazioni sindacali – alle scelte politiche generali sia di

livello locale che nazionale e comunitario (si pensi, ad esempio, al “Patto

sociale per l’occupazione e lo sviluppo”, firmato dal Governo e dalle c.d.

Parti sociali nel dicembre 1998 ed alla rilevanza che esso ha avuto sulla

società e sull’azione amministrativa, ovvero all’intesa sulle pensioni minime

del luglio 2007 tra il Governo Berlusconi ed i sindacati, conclusa

nell’ambito della c.d. “concertazione”).

Del resto la rilevanza, non solo dei partiti politici, ma anche di altre

organizzazioni della società civile rappresentative delle diverse categorie

produttive – ed oggi anche delle associazioni di promozione sociale e delle

organizzazioni di volontariato (art. 17 l.n. 383/2000) – trova riscontro nella

Costituzione, laddove l’art. 99 Cost. prevede il Consiglio Nazionale

dell’economia e del lavoro - CNEL.

Invero, almeno al momento, in assenza di altre strutture associative di

pari consistenza e diffusione, i sindacati (dei lavoratori) e le organizzazioni

sindacali dei datori di lavoro (Confindustria, Confagricoltura,

Confcommercio ecc.) appaiono come le uniche strutture rappresentative dei

6 La legge 11.11.2011 n. 180 ( Norme per la tutela della libertà d'impresa. Statuto delle imprese), all’art. 4, ha attribuito alle associazioni di categoria rappresentate in almeno cinque camere di commercio, o nel CNEL, la legittimazione a proporre azioni in giudizio sia a tutela di interessi relativi alla generalità dei soggetti appartenenti alla categoria professionale, sia a tutela di interessi omogenei relativi solo ad alcuni soggetti.2. Le associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale, regionale e provinciale sono legittimate ad impugnare gli atti amministrativi lesivi degli interessi diffusi.

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Page 64: r0mano 2014.docx

cittadini “concorrenti” con i partiti politici nella funzione di raccordo di cui

si è detto. Come il personale politico-partitico è presente negli apparati

statali, regionali e locali, così le leggi prevedono meccanismi di presenza del

personale politico-sindacale in molti organi amministrativi collegiali, in

diversi enti pubblici dotati di’autonomia funzionale’, quali le Camere di

commercio (vedi art. 12 l. 29.12.1993 n. 580 e artt. 2 e 7 del regolamento di

attuazione adottato con d.m. industria 24.7.1996 n. 501), ovvero nei c.d.

“enti pubblici associativi”, come gli enti previdenziali.

Si veda, ad esempio, la composizione del Consiglio di

Amministrazione dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – INPS e,

quindi, il “peso” in tale Istituto di tale componente (vedi art. 3 del D.P.R. 30

aprile 1970 n. 639).

Peraltro, nei settori della vita sociale meno direttamente legati

all’economia, come ad esempio nella scuola, si intravede la presenza di

organismi, non inquadrabili né tra i partiti politici, né tra i sindacati,

rappresentativi degli interessi di volta in volta coinvolti, che partecipano

all’attività delle amministrazioni pubbliche, spesso con funzioni consultive,

ma talora anche con compiti e responsabilità di indirizzo e gestionale (vedi

le rappresentanze dei genitori e degli studenti nelle scuole: art. 8 d.lgs. 16

aprile 1994, n. 297).

11. Le Associazioni di volontariato.

Il panorama descritto non sarebbe completo se, prima di passare

all’esame delle tradizionali strutture amministrative “repubblicane” (PP.AA.

ed Enti pubblici statali, regionali e locali) non si desse conto della presenza

delle associazioni di volontariato e del ruolo sempre più “ufficiale” e

rilevante che ad esse viene riconosciuto nella nostra società. Il

riconoscimento giuridico a favore di tali associazioni del loro compito di

tutela di interessi pubblici ha, innanzi tutto, una importantissima valenza

teorica di principio, poiché implicitamente nega alle pubbliche

amministrazioni il “monopolio” istituzionale della rappresentanza e della

cura degli interessi pubblici; monopolio che, sulla base della distinzione tra

“pubblico” e “privato”, faceva concettualmente da pendant alla riserva a

59

Page 65: r0mano 2014.docx

favore del privato cittadino della cura degli interessi individuali e

particolari.

Siamo, cioè, di fronte ad un’altra manifestazione del modo di essere

della attuale società come società aperta. Invero, la società riconosce come,

in certe circostanze e per certe esigenze, le associazioni private di

volontariato si rivelano, rispetto agli apparati amministrativi statali, le

strutture più idonee ed efficienti per la tutela di alcuni interessi generali, che

possono anche dirsi “diffusi”, in quanto (apparentemente) privi di specifici

centri di imputazione, o, altre volte, “collettivi”, in quanto imputabili a

collettività o categorie organizzate, ma che in ogni caso fanno parte

dell’ampio genere degli “interessi pubblici”.

Il fenomeno, poi, nei suoi aspetti concreti, è tanto più importante

perché queste associazioni sono formazioni sociali non solo extra statali ma

spesso anche extra partitiche, operanti su molteplici piani:

a) attraverso la presenza di loro esponenti in organi collegiali

amministrativi statali (es.: il Consiglio nazionale per l’ambiente presso

Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio, art. 12, l.8.7.1986 n.

349; il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, art. 136

D.lgs. 6.9.2005, n. 206, Codice del consumo), regionali o locali;

b) attraverso l’affidamento ad essi di compiti di controllo e di intervento

alternativi e/o complementari a quelli della amministrazioni pubbliche;

c) attraverso particolari legittimazioni processuali che abilitano tali

associazioni ad attivare le tutele giudiziarie civili, amministrative e

penali (vedi ad es.: art. 139 codice consumo);

d) attraverso la previsione di una presenza di tali associazioni nel CNEL

(art. 17, legge 7 dicembre 2000 n. 383).

La legge 7 dicembre 2000 n. 383 ha dettato una disciplina speciale per

le associazioni di promozione sociale, intese come espressione di

partecipazione, solidarietà e pluralismo. Tale normativa dichiaratamente

mira a favorire l’apporto originale che l’associazionismo volontario dà al

conseguimento di finalità di carattere sociale, civile, culturale e di ricerca

etica e spirituale.

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L’art. 2 della legge n. 383/2000 considera associazioni di promozione

sociale le associazioni riconosciute e non riconosciute, i movimenti, i gruppi

e loro coordinamenti o federazioni costituiti al fine di svolgere attività di

utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro, con

esclusione dei partiti politici, dei sindacati, delle associazioni professionali o

di categoria e, in genere, delle associazioni che hanno come finalità la tutela

esclusiva di interessi economici degli associati.

III – Gli apparati amministrativi della Repubblica.

III.A) I principi.

12. La legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3: la riforma del Titolo V

della Parte II della Costituzione.

Se l’esigenza primaria che la nostra Società si attende venga

soddisfatta dalla organizzazione amministrativa della Repubblica è quella

che abbiamo più volte richiamato, cioè concorrere allo sviluppo della

società italiana come società aperta che opera nella società globale (per cui

il cittadino non si accontenta di strutture democratiche e rispettose della

libertà dell’individuo, ma è disposto ad accettare le strutture amministrative

repubblicane solo in quei settori e con quelle modalità che consentono di

giustificarle in quanto si dimostrano le strutture più idonee per lo

svolgimento delle specifiche funzioni loro attribuite, senza vedere in esse

una realtà indiscutibile ed insostituibile), allora occorre chiedersi come

l’organizzazione amministrativa che direttamente fa capo alla Repubblica

intenda oggi rispondere a tale richiesta della Società, e la risposta non

possiamo che desumerla dalla legislazione più recente.

In tale nuovo “strato” legislativo, rappresentato soprattutto dalla

legislazione degli anni novanta (vedi l. 24.12.1993, n. 537; l. 15.3.1997, n.

59) ma anche dalla legislazione degli anni ottanta (vedi l. 23.8.1988, n.

400), che si aggiunge alle precedenti stratificazioni normative, si devono

cogliere i nuovi principi di riordinamento dell’organizzazione pubblica,

frutto ovviamente di scelte politiche che tengono conto della nuova realtà

61

Page 67: r0mano 2014.docx

internazionale ed europea e delle idee guida che oggi incontrano maggiori

consensi.

Questi nuovi principi di riordinamento dell’assetto amministrativo

della Repubblica, una volta bruscamente interrotto il processo di una vasta

revisione della Costituzione avviato con la legge costituzionale 24 gennaio

1997, n. 1 ed i lavori della c.d. “Bicamerale”, sono emersi attraverso la

legislazione ordinaria legata alle c.d. leggi “Bassanini” (legge 15 marzo

1997 n. 59; legge 15 maggio 1997 n. 127; e legge 16 giugno 1998 n. 191) e,

successivamente, a livello costituzionale, con l’emanazione della legge

costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, di modificazione del Titolo V della

Parte seconda della Costituzione e, quindi, con la successiva legislazione

ordinaria di attuazione e, in particolare, con la legge c.d. “La Loggia” (legge

5 giugno 2003, n. 131, modificata con l. 28.5.2004, n. 140 e poi con l.

27.12.2004, n. 306).

13. Il principio di sussidiarietà.

Tra i nuovi principi di riordinamento dell’organizzazione pubblica un

ruolo assolutamente principale assume il principio di sussidiarietà, che

abbiamo già ritrovato nell’art. 5 del Trattato UE.

Il principio di sussidiarietà è richiamato nell’art. 118, primo comma,

della Costituzione che dichiara: “…le funzioni amministrative sono

attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano

conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei

principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.”; nonché

nell’ultimo comma dello stesso articolo, che richiama il principio di

sussidiarietà come valevole a radicare la competenza dei cittadini in ordine

alla cura di interessi generali, stabilendo che: “…Stato, Regioni, Città

metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei

cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse

generale, sulla base del principio di sussidiarietà.”.

Con il richiamo del primo comma dell’art. 118, il principio di

sussidiarietà viene ad essere inteso come criterio di distribuzione delle

funzioni e dei compiti tra i vari livelli di amministrazione. La norma, quindi,

62

Page 68: r0mano 2014.docx

esprime la c.d. sussidiarietà verticale, in base alla quale la dislocazione

delle funzioni amministrative deve essere disposta imputando ciascuna

funzione al livello di governo più prossimo, in termini territoriali, ai

portatori degli interessi amministrati.

L’ultimo comma dell’art. 118, invece, esprime la c.d. sussidiarietà

orizzontale, e cioè il principio in base al quale va favorita la diretta

attribuzione di attività di interesse generale all’iniziativa dei cittadini,

singoli o associati. In questo modo si viene a riconoscere un ruolo

nell’assolvimento di compiti di interesse generale anche alle formazioni

sociali esterne all’organizzazione amministrativa dei vari enti pubblici

costituenti la Repubblica. Il principio di sussidiarietà, dunque, regola non

solo il modo di rapportarsi fra loro dei diversi enti pubblici rappresentativi

delle comunità locali, regionali e nazionale, ma anche le modalità attraverso

le quali ciascuna delle predette amministrazioni dialoga con le formazioni

sociali attraverso le quali il cittadino svolge la propria personalità.

Il principio di sussidiarietà “verticale” ed “orizzontale” comporta una

vera e propria rivoluzione copernicana nel modo di intendere i rapporti non

solo tra lo Stato e gli altri enti rappresentativi delle collettività regionali e

locali, ma anche tra enti pubblici e cittadini in ordine alla cura degli interessi

generali.

Più vicina al principio di sussidiarietà di cui all’art. 5 del Trattato UE

è, poi, la c.d. sussidiarietà sostitutiva, che trova riscontro nel dettato del

secondo comma dell’art. 120 Cost., il quale dispone: “Il Governo può

sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province

e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali

o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e

la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità

giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli

essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo

dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure

atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del

principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.”.

63

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Infatti il principio di sussidiarietà, come criterio di sostituzione di un

livello di governo ad un altro è tipico dell’ordinamento comunitario. L’art.

5, comma 3, del Trattato UE 25.3.1957 detta:

“3. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione.”.

L’art. 118 Cost. trova un significativo precedente nell’art. 4, comma 3,

lett. a) della legge 15 marzo 1997, n. 59:

“a) il principio di sussidiarietà, con l'attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l'esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l'assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati.”.

Il nuovo art. 118 Cost., combinato con il dettato del nuovo art. 117,

viene a sancire, in coerenza col principio di sussidiarietà applicato alla

funzione amministrativa, la fine di quel parallelismo tra funzioni legislative

e funzioni amministrativa che si riscontrava nella vecchia formulazione

degli artt. 117 e 118 Cost.

In base alla nuova normativa, cioè, si deve ritenere che gli enti che

hanno potestà legislativa su una materia non necessariamente debbano avere

sulla medesima potestà amministrativa. Anzi, in linea di massima, si delinea

una ridistribuzione delle competenze, tra gli enti rappresentativi delle

comunità popolari, che vede nello Stato e nelle Regioni gli enti con compiti

preminentemente legislativi e solo “eccezionalmente” amministrativi, e nei

Comuni, nelle Province e nelle Città metropolitane gli enti ordinariamente

titolari dei compiti amministrativi.

14. Il principio di differenziazione.

Altri principi di riordinamento dell’organizzazione pubblica sono

quelli di “differenziazione”, di “adeguatezza” e di “leale collaborazione”.

64

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L’art. 118, primo comma, della Costituzione, accanto al principio di

sussidiarietà richiama anche i principi di “differenziazione” e di

“adeguatezza”. Una definizione del principio di differenziazione viene

fornita dall’art. 4, comma 3, lett. h), della legge 15 marzo 1997, n. 59,

secondo cui detto principio impone al Legislatore di tenere conto

nell'allocazione delle funzioni delle diverse caratteristiche, anche

associative, demografiche, territoriali e strutturali, degli enti riceventi.

Quindi, le funzioni dovranno essere ripartite non già secondo regole

uniformi per categorie di enti (es. comuni, province ecc.), bensì

differenziando tra ente ed ente in base alle concrete caratteristiche di ciascun

ente ricevente.

15. Il principio di adeguatezza.

Il principio di differenziazione, definito come sopra, si ricollega

all’altro principio richiamato dall’art. 118, primo comma, il principio di

adeguatezza. Infatti la differenziazione, in sostanza, mira a consentire la

realizzazione del principio di adeguatezza e cioè a far si che il Legislatore

tenga conto dell’ idoneità organizzativa dell'amministrazione ricevente a

garantire, anche in forma associata con altri enti, l'esercizio delle funzioni ad

essa attribuite. (art. 4, comma 3, lett. g), della legge n. 59 del 1997).

16. Il principio di leale collaborazione.

Il Principio di leale collaborazione costituisce un principio cardine nel

nuovo sistema di organizzazione dell’amministrazione pubblica.

Esso è richiamato, insieme al principio di sussidiarietà, dall’art. 120,

comma 2, Cost. e può essere definito come dovere di collaborazione

reciproca nell’esercizio delle rispettive funzioni amministrative. Ciascun

ente titolare di funzioni amministrative (e, ove presenti, legislative) deve

esercitare le stesse relazionandosi lealmente con le altre amministrazioni

coinvolte nell’azione amministrativa.

Il necessario coordinamento tra le diverse strutture pubbliche, fino a

ieri realizzato soprattutto attraverso il vecchio principio della gerarchia, nel

nuovo assetto policentrico e autonomistico viene raggiunto attraverso

65

Page 71: r0mano 2014.docx

procedure dirette ad assicurare, mediante strumenti di leale collaborazione,

la partecipazione allo svolgimento concreto della funzione amministrativa

dei livelli di governo interessati.

17. Il nuovo rapporto Stato, Regioni, enti locali.

Il nuovo assetto della Repubblica derivante dalla riforma del Titolo V,

ispirato ai principi appena esposti, viene sancito dall’art. 114 Cost. che, al

primo comma, solennemente dichiara:

“La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città

metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.”

e, al secondo comma, aggiunge:

“I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti

autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla

Costituzione.”.

Infine, il terzo comma aggiunge una particolare disciplina per Roma

capitale:

“Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo

ordinamento”.

La nuova articolazione della Repubblica non comporta più una

ripartizione uniforme del territorio nazionale (per cui ogni punto del

territorio nazionale faceva parte di un comune, di una provincia, di una

regione). Infatti, a parte la disciplina speciale per Roma, alcune parti del

territorio nazionale fanno capo alle città metropolitane, altre alle province; e

ciò ha conseguenze anche sull’ordinamento di livello comunale, poiché i

comuni facenti parte di una provincia hanno competenze ben differenti da

quelli facenti parte di una città metropolitana.

Si abbandona quindi l’uniformità ispirata a principi di garanzia di

eguale trattamento, a favore di una eterogeneità ispirata ai principi di

differenziazione e di adeguatezza per una ottimale organizzazione delle

diverse realtà locali.

Tale nuovo criterio – peraltro già parzialmente presente nella vecchia

formulazione costituzionale attraverso le regioni a statuto speciale – trova

fondamento non solo nell’art. 114 Cost. ma anche nell’art. 116 che, dopo

66

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avere confermato le Regioni a statuto speciale, al terzo comma stabilisce

che:

“…Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le

materie di cui al terzo comma dell’art. 117 e le materie indicate dal

secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente

all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite

ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione

interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’art. 119.

La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti

sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata.”

La riportata disposizione, in sostanza, anche al di fuori dalle deroga

prevista per le Regioni a statuto speciale, permette di differenziare ciascuna

Regione ordinaria dalle altre, in risposta alle particolari esigenze locali.

Questo modello differenziato trova completamento anche nella

previsione contenuta nell’art. 117, comma 8, Cost. secondo cui le Regioni

possono dar luogo ad intese con altre Regioni per il migliore esercizio delle

proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni e dette intese

sono ratificate con legge regionale

Quindi non solo ciascuna Regione ordinaria può avere, sia pure entro

certi limiti, condizioni particolari di autonomia (art. 116, comma 3 Cost.),

ma alcune Regioni, con decisioni autonome che portano ad una loro

differenziazione rispetto alle altre Regioni, possono pervenire tra loro ad

intese con l’effetto di diversificarsi ulteriormente, esercitando le proprie

funzioni attraverso organi comuni che, in quanto tali, operano su aree

ultraregionali.

Questa nuova fase della autonomia regionale, tuttavia, almeno

nell’attuale assetto costituzionale – come ribadisce il secondo comma

dell’art. 114 Cost. – resta fermamente ancorata ai principi fondamentali

sanciti in materia dall’art. 5 Cost. che, come è noto:

a) dichiara la Repubblica, “una e indivisibile”;

b) riconosce e promuove, all’interno della Repubblica, le “autonomie

locali”;

67

Page 73: r0mano 2014.docx

c) impone all’apparato dello Stato “il più ampio decentramento

amministrativo”.

Quindi un modello fondato sulle autonomie locali e sul

decentramento statale (come esplicita l’ultima parte dell’art. 5 Cost.), ma

non su una forma federale.

L’assetto autonomistico viene rafforzato anche dall’applicazione del

principio di sussidiarietà. L’art. 117 Cost. sovverte il precedente riparto del

potere legislativo tra Stato e Regioni, delimitando in modo tassativo – anche

se attraverso elencazioni “trasversali” – la competenza legislativa esclusiva

dello Stato, ampliando la competenza concorrente, e riservando alle Regioni

la competenza c.d. “residuale”; in questo modo le Regioni (e non più lo

Stato) diventano gli enti titolari della potestà legislativa generale, poiché

vanno ad esse attribuite tutte le materie non contemplate dalle citate norme

costituzionali.

Il disegno è completato dal nuovo riparto tra Stato, Regioni e

autonomie locali minori della potestà regolamentare, nel senso di

attribuire allo Stato, salva la possibilità di delega alle regioni, la sola potestà

regolamentare relativa alle materie in cui ha competenza legislativa

esclusiva, dando alle Regioni la potestà regolamentare in tutte le altre

materie. Mentre ai comuni, alle province e alle città metropolitane viene

riservata la potestà regolamentare in ordine alla disciplina

dell'organizzazione ed allo svolgimento delle funzioni loro attribuite.

18. L’affiorare dell’“ordinamento comunitario” nella Costituzione ed il

ruolo delle Regioni.

E’ da segnalare che con la legge costituzionale n. 3 del 2001, di

riforma del Titolo V della Costituzione, per la prima volta viene richiamato

in Costituzione l’ordinamento comunitario.

Infatti, l’art. 117, primo comma, nell’indicare i limiti entro cui deve

essere esercitata la potestà legislativa (ordinaria), oltre al rispetto della

Costituzione, indica i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e

dagli obblighi internazionali. Inoltre, l’art. 117, al terzo comma, inserisce

tra le materie di legislazione concorrente i rapporti internazionali e con

68

Page 74: r0mano 2014.docx

l’Unione europea delle Regioni. Infine, al comma quinto, prevede che le

Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro

competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti

normativi comunitari e, poi, al comma nono, prevede che, sempre nelle

materie di sua competenza, la Regione può concludere accordi con Stati e

intese con enti territoriali interni ad altro Stato, sia pure “nei casi e con le

forme disciplinati da leggi dello Stato”.

La legge 5 giugno 2003 n. 131 di attuazione dell’art. 117 Cost., ha

quindi, previsto, che la Regioni e le Province autonome di Trento e di

Bolzano partecipano, nell'ambito delle delegazioni del Governo, alle attività

del Consiglio e dei gruppi di lavoro e dei comitati del Consiglio e della

Commissione europea (art. 5). Inoltre, ha previsto che le Regioni e le

Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di propria

competenza legislativa, possono concludere, con enti territoriali interni ad

altro Stato, intese dirette a favorire il loro sviluppo economico, sociale e

culturale, nonché a realizzare attività di mero rilievo internazionale,

dandone comunicazione preventiva alla Presidenza del Consiglio dei

ministri. Esse possono, altresì, concludere con altri Stati accordi esecutivi ed

applicativi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore, o accordi

di natura tecnico-amministrativa, o accordi di natura programmatica

finalizzati a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale, nel

rispetto della Costituzione, dei vincoli derivanti dall'ordinamento

comunitario, dagli obblighi internazionali e dalle linee e dagli indirizzi di

politica estera italiana, nonché, nelle materie di cui all'articolo 117, terzo

comma, della Costituzione, dei principi fondamentali dettati dalle leggi

dello Stato.

19. Gli interventi di ammodernamento dell’organizzazione pubblica.

Per offrire una percezione anche solo “quantitativa” della vastità degli

interventi di ammodernamento legislativo dell’organizzazione pubblica

effettuati in seguito alla legge n. 59 del 1997 e successive, ricordiamo gli

ulteriori criteri considerati da detta legge di delega accanto ai già ricordati

69

Page 75: r0mano 2014.docx

principi di sussidiarietà, di adeguatezza e di differenziazione e l’elenco dei

decreti legislativi emanati.

Gli altri principi ispiratori del riordinamento dell’organizzazione

amministrativa si possono desumere dall’esame dei criteri imposti al

legislatore delegato dalla citata legge n. 59/1997:

il principio di completezza, nella attribuzione ad una struttura dei

compiti e delle funzioni amministrative e delle funzioni di

programmazione;

il principio di efficienza e di economicità, anche con la

soppressione delle funzioni e dei compiti divenuti superflui;

il principio di cooperazione tra Stato, regioni ed enti locali anche al

fine di garantire un'adeguata partecipazione alle iniziative adottate

nell'ambito dell'Unione Europea (coinvolgendo in questo modo tutti

i livelli politico amministrativi nelle iniziative europee);

i principi di responsabilità ed unicità dell'amministrazione, con

la conseguente attribuzione ad un unico soggetto delle funzioni e dei

compiti connessi, strumentali e complementari, cui si aggiunge il

principio di identificabilità in capo ad un unico soggetto anche

associativo della responsabilità di ciascun servizio o attività

amministrativa;

il principio di omogeneità, che comporta l’attenzione alle funzioni

già esercitate dal soggetto nella attribuzione ad esso di nuove

funzioni e compiti, in modo che si raggiunga una omogeneità

nell’ambito dello stesso livello di governo;

il principio della copertura finanziaria e patrimoniale dei costi

per l'esercizio delle funzioni amministrative;

il principio di autonomia organizzativa e regolamentare e di

responsabilità nell'esercizio delle funzioni e dei compiti

amministrativi conferiti.

Anche se, a prima vista, i principi sopra enumerati possono apparire

quasi “ovvi”, in realtà, essi sono innovativi laddove non danno più

prevalenza a finalità garantistiche e si distaccano dai principi di gerarchia e

di stretta legalità (realizzata attraverso le riserve di legge) venendo, nel loro

70

Page 76: r0mano 2014.docx

insieme, a disegnare un assetto generale dell'organizzazione amministrativa

della Repubblica che è oggettivamente diverso da quello tradizionale.

Quanto alle deleghe legislative sono da ricordare:

quelle in tema di trasferimenti di competenze a Regioni ed enti

locali, che ha dato luogo alla emanazione del d.lgs. 31 marzo 1998,

n. 112 di conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello

Stato alle regioni ed agli enti locali; cui è seguita, dopo l’adozione

della l.cost. n. 3 del 2001, la già ricordata legge 5 giugno 2003 n.

131;

quelle sul riordinamento delle attribuzioni della Conferenza

permanente per i rapporti Stato, regioni e della Conferenza Stato-

Città e autonomie locali, che ha portato alla adozione del d.lgs. 28

agosto 1997 n. 281;

quelle sulla razionalizzazione dell'ordinamento della Presidenza

del Consiglio dei ministri e dei Ministeri, anche attraverso il

riordino, la soppressione e la fusione di Ministeri, nonché di

amministrazioni centrali anche ad ordinamento autonomo, che ha

dato luogo all’emanazione dei d.lgs. 30 luglio 1999 nn. 300 e 303;

quelle per il riordinamento degli enti pubblici nazionali. Delega

esercitata con: d.lgs. 29.1.1998 n. 19; d.lgs. 9.1.1999 n. 1; ed anche:

d.lgs. 29.10.1999 n. 419; d.lgs. 18.11.1997 n. 426; d.lgs. 29.1.1998

n. 20; d.lgs. 23.4.1998 n. 134; d.lgs. 13.10.1998 n.373; d.lgs.

11.5.1999 n. 141; d.lgs. 17.8.1999 n. 304; d.lgs. 23.7.1999 n. 242;

d.lgs. 20.7.1999 n. 258; d.lgs. 20.7.1999 n. 273;

quelle volte a riordinare e potenziare i meccanismi e gli strumenti di

monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei

risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, che

hanno portato alla adozione del d.lgs. 30 luglio 1999 n. 286 (oggi

modificata dalla d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150);

quelle volte a riordinare e razionalizzare gli interventi diretti a

promuovere e sostenere il settore della ricerca scientifica e

tecnologica nonché gli organismi operanti in tale settore: d.lgs.

5.6.1998 n. 204; 30.1.1999 n. 19; d.lgs. 30.1.1999 n. 27; d.lgs.

71

Page 77: r0mano 2014.docx

30.1.1999 n. 36; d.lgs. 23.7.1999 n. 296; d.lgs. 27.7.1999 n. 297;

d.lgs. 29.9.1999 n. 381.

Peraltro, attraverso tali riforme non si è mirato a realizzare un assetto

nuovo ma statico, bensì a creare un modello dinamico, come tale soggetto

ad una revisione permanente, in base alla considerazione che

l’amministrazione va costantemente adeguata alle nuove esigenze della

società in trasformazione e migliorata.

A tal proposito è rilevante sottolineare che la legge n. 59 del 1997 (art.

20, mod. con l. 29.7.2003 n. 229) ha istituito un meccanismo di

semplificazione e di riassetto normativo e di delegificazione permanente

con cadenza annuale. In tal modo la disciplina di numerose materie è stata

devoluta ai regolamenti, e cioè a fonti più "flessibili" le cui modalità di

produzione offrono certamente al cittadino meno garanzie rispetto alla legge

(se non altro perché prodotte dal Governo e non dal Parlamento), ma che

sono però molto più facilmente modificabili e quindi consentono un più

rapido ed agevole aggiornamento (si dà così priorità alla "efficienza"

rispetto alla "garanzia", secondo una scala di valori opposta a quella cui si

ispira il meccanismo della "riserva di legge").

In attuazione di questa disposizione di legge sono state, nel corso di

questi anni, emanate numerose leggi (vedi la legge 8 marzo 1999, n. 50, c.d.

legge di semplificazione 1998; la legge 24 novembre 2000, n. 340, Legge di

semplificazione 1999; la legge 29 luglio 2003 n. 229, Legge di

semplificazione 2001; d.l. 25 giugno 2008, n. 112 conv. con mod. dall'art. 1,

comma 1, l. 6 agosto 2008, n. 133).

III.B) I Comuni, le Province e le Città metropolitane. Le Regioni.

20. I Comuni e le Province sono disciplinate dal d.lgs. 18 agosto

2000, n. 267, testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.

Il Comune è l'ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura

gli interessi e ne promuove lo sviluppo (art. 3, comma 2).

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Page 78: r0mano 2014.docx

La Provincia, ente locale intermedio tra Comune e Regione,

rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne

coordina lo sviluppo (art. 3, comma 3)7.

Come si è visto, in base all’art. 114, secondo comma Cost., i Comuni

e le Province, come le Città metropolitane e come le Regioni sono enti

autonomi con propri statuti, poteri e funzioni. Essi, dunque, sono competenti

a deliberare il proprio statuto (art. 6). A tale potestà si affianca anche una

potestà regolamentare nelle materie di propria competenza (art. 7. d.lgs.

267/2000).

Questi enti rappresentativi delle rispettive comunità locali (e quindi

con capacità di indirizzo politico), diversamente dallo Stato e dalle Regioni

e insieme alla Città metropolitane, esercitano soltanto funzioni

amministrative proprie o conferite con leggi statali o regionali.

Il d.lgs. n. 267/2000 disegna un’azione dei Comuni e delle Province

legata alla programmazione regionale, ove la Regione dovrebbe indicare gli

obiettivi generali della programmazione economico-sociale e territoriale

ripartendo a tal fine le risorse destinate al finanziamento del programma di

investimenti degli enti locali. Nel contempo i Comuni e le Province

dovrebbero concorrere alla determinazione degli obiettivi contenuti nei

piani e programmi dello Stato e delle Regioni e provvedere, per quanto di

propria competenza, alla loro specificazione ed attuazione.

Si è visto, come le nuove norme costituzionali hanno eliminato quel

principio, in precedenza seguito (vedi il vecchio art. 118 Cost.), secondo cui

laddove si aveva competenza legislativa, si aveva anche competenza

amministrativa. Oggi lo Stato e le Regioni dovrebbero svolgere soprattutto

funzioni legislative e programmatiche, le Province funzioni di

programmazione provinciale (vedi art. 20 d.lgs. 267/2000), restando le

funzioni amministrative attribuite in linea di principio ai Comuni (art. 118)

salvo che ragioni concrete non richiedano il loro conferimento ad altri livelli

di autonomia territoriale per assicurarne l'esercizio unitario, in base ai

principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

7 Va segnalato che in Sicilia, lo statuto speciale attribuisce alla Regione siciliana particolari poteri e le Province sono ‘province regionali’ (l.r. Sicilia n. 9/1986).

73

Page 79: r0mano 2014.docx

In questa direzione si muove la recente legislazione volta a ridurre il

numero delle Province e ad indirizzarne l’attività verso compiti di

programmazione. Così i commi 14,15 e 16 dell’art. 23 del d.l. 6.12.2011 n.

201 (conv. con mod. dall'art. 1, comma 1, l. 22 dicembre 2011, n. 214)

dettano:

“14. Spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo e di

coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati

con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

15. Sono organi di governo della Provincia il Consiglio provinciale ed il

Presidente della Provincia. Tali organi durano in carica cinque anni.

16. Il Consiglio provinciale è composto da non più di dieci componenti

eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della

Provincia. Le modalità di elezione sono stabilite con legge dello Stato entro

il 31 dicembre 2013.”.

Nei comuni derivati dalla fusione di più comuni possono essere

istituiti i c.d. ‘municipi’, cioè organismi di decentramento amministrativo

(art. 16 d.lgs. 267/2000). Si denominano, invece, ‘circoscrizioni’ le

articolazioni territoriali dei Comuni con popolazione superiore a 250.000

abitanti (vedi lett. b) del comma 186 dell’art. 2, della l. 23.12. 2009, n. 191,

come mod. dall'art. 1, comma 1-quater, lett. c), d.l. 25.1.2010, n. 2, conv.

con mod. dalla l. 26.3.2010, n. 42). Le circoscrizioni sono organismi di

partecipazione, di consultazione e di gestione di servizi di base, nonché di

esercizio delle funzioni delegate dal Comune (art. 17).

Gli organi di governo del Comune e della Provincia, come è noto,

sono costituiti dal Sindaco (ovvero dal Presidente della provincia), dalla

Giunta e dal Consiglio.

È inoltre prevista la possibilità che nello statuto comunale e in quello

provinciale sia prevista l'istituzione del difensore civico, (oggi però

soppresso a livello comunale dalla cit. l.n. 42/2010 per economie di spesa)

con compiti di garanzia dell'imparzialità e del buon andamento della

pubblica amministrazione comunale o provinciale, segnalando, anche di

propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze ed i ritardi

dell'amministrazione nei confronti dei cittadini.

74

Page 80: r0mano 2014.docx

In linea con i principi di sussidiarietà orizzontale e di partecipazione,

l’ordinamento degli enti locali prevede che i Comuni debbano valorizzare le

libere forme associative e promuovere, anche su base di quartiere o di

frazione, organismi di partecipazione popolare all'amministrazione locale.

L’art. 9 del d.lgs. 267/2000, prevede, inoltre, la possibilità per ciascun

elettore di far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e

alla provincia.

L'Italia ha 8.094 Comuni di cui, però, sono appena 150 circa quelli

che superano i 50.000 abitanti. Le Province sono 110 con 117 capoluoghi di

provincia (ciò perché vi sono 5 province con 2 capoluoghi (Pesaro e Urbino,

Olbia-Tempio, Medio Campidano, Ogliastra e Carbonia-Iglesias) ed 1

provincia con 3 capoluoghi (Barletta-Andria-Trani). In Val d’Aosta la

Regione svolge anche le funzioni della Provincia.

Quanto alle aree metropolitane, queste dovrebbero riguardare le zone

comprendenti i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna,

Firenze, Roma, Bari, Napoli e Reggio Calabria. Da anni previste, le città

metropolitane non sono state ancora realizzate. Il decreto legge 6.7.2012, n.

95 le istituisce con decorrenza 1.1.2014.

21. Per le Regioni, sia ordinarie che a statuto speciale, possiamo

rinviare a quanto già esposto ai punti precedente e alle nozioni già acquisite

nello studio del diritto costituzionale, essendo le stesse disciplinate dalla

Costituzione e dai rispettivi statuti, che hanno valore di legge regionale

rafforzata.

Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 121 Cost. sono organi della Regione:

il Consiglio regionale, la Giunta e il suo Presidente.

Il Consiglio regionale esercita la potestà legislativa, mentre la potestà

regolamentare è di competenza del Consiglio o della Giunta, secondo la

previsione di ciascuno statuto.

Come stabilisce l’art. 121, la Giunta regionale è l’organo esecutivo

delle Regioni. Il Presidente della Giunta rappresenta la Regione; dirige la

politica della Giunta e ne è responsabile; promulga le leggi ed emana i

75

Page 81: r0mano 2014.docx

regolamenti regionali; dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato

alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica.

III.C) Le strutture di coordinamento.

22. Le Strutture di coordinamento dei livelli nazionali, regionali e locali.

Va registrata l'esistenza sia di strutture permanenti "di vertice" che

mirano a svolgere tale funzione di coordinamento, che di strutture

temporanee, che costituiscono uno strumento sempre più diffuso per rendere

più rapido l'esercizio coordinato di singole attività amministrative. Inoltre,

l’art. 117, comma 8, Cost. consente alle regioni di regolare con legge

regionale forme di coordinamento per la gestione di attività di propria

competenza, anche attraverso organi comuni.

23. La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le

province autonome.

In attuazione della delega prevista dall’art. 7 della legge n. 59/1997 il

d.lgs. 28 agosto 1997 n. 281 ha ridisciplinato la Conferenza permanente per

i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome istituita dall'art. 12

delle legge 23.8.1988 n. 400, attribuendole maggiori compiti (vedi art. 2

d.lgs. cit.) e funzioni anche in merito ai rapporti tra regioni e Unione

Europea (vedi art. 5 d.lgs n. 281/97.).

Viene così, fra l'altro (vedi art. 2), attribuita a tale Conferenza, nel

rispetto delle competenze del CIPE, la promozione del coordinamento della

programmazione statale e regionale, anche riguardo all'esercizio dei servizi

pubblici gestiti da soggetti pubblici e privati, nonché la promozione e

sanzione delle intese e degli accordi tra Governo, Regioni e Province

autonome.

Infatti frequentemente la legislazione più recente prevede

procedimenti nei quali il provvedimento finale deve essere adottato dagli

organi statali, ma previa intesa con le regioni e con le province autonome di

Trento e di Bolzano.

76

Page 82: r0mano 2014.docx

Quanto agli accordi, l’art. 4 della legge n. 281/1997 prevede, come

espressione del principio di leale collaborazione, che Stato e regioni, nel

perseguimento di obiettivi di funzionalità, economicità ed efficacia

dell'azione amministrativa, possono concludere accordi sia al fine di

coordinare l'esercizio delle rispettive competenze che di svolgere attività di

interesse comune.

La Conferenza interviene anche in tema di determinazione dei criteri

di ripartizione delle risorse finanziarie che la legge assegna alle regioni, ed è

obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e di

decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di

competenza delle regioni o delle province autonome (si tratta, dunque, di un

parere obbligatorio anche se sottoposto ad un termine, trascorso il quale il

Governo potrà comunque procedere).

Accanto a tale parere obbligatorio, e previsto anche un parere

facoltativo: La Conferenza è sentita su ogni oggetto di interesse regionale

che il Presidente del Consiglio dei Ministri ritiene opportuno sottoporre al

suo esame, anche su richiesta della Conferenza dei presidenti delle regioni e

delle province autonome di Trento e di Bolzano.

Quanto ai rapporti con l'UE, invero, già il Trattato UE avverte la

necessità di un coordinamento tra le regioni d’Europa e di una

partecipazione alle scelte dell’Unione Europea anche da parte delle regioni

europee e tenta di rispondere a tale esigenza attraverso l’istituzione del

“Comitato delle regioni” (vedi artt. 305-307 Trattato funzionamento UE).

La Conferenza Stato-regioni designa i componenti regionali in seno

alla rappresentanza permanente italiana presso l'Unione europea, favorisce

la cooperazione tra la Cabina di regia nazionale e le Regioni al fine della

piena e tempestiva utilizzazione delle risorse comunitarie destinate all'Italia

ed interviene con poteri consultivi nella predisposizione degli atti

amministrativi dello Stato che, in materie di interesse regionale, danno

attuazione alle direttive comunitarie ed alle sentenze della Corte di giustizia

delle comunità europee.

77

Page 83: r0mano 2014.docx

La Conferenza, inoltre, dà parere obbligatorio sullo schema del

disegno di legge annuale che detta le disposizioni per l'adempimento di

obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea.

24. La Conferenza Stato-città ed autonomie locali. La Conferenza

unificata.

L'art. 8 del d.lgs. n. 281/97 prevede, inoltre, la Conferenza Stato-città

ed autonomie locali, con funzioni nei rapporti tra Stato ed autonomie locali.

La Conferenza è presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri

(o, per sua delega, dal Ministro dell'interno o dal Ministro per gli affari

regionali) ed è costituita, oltre che da tali Ministri:

dal Ministro dell'economia e delle finanze,

dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti,

dal Ministro della salute,

dal presidente dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia -

ANCI,

dal presidente dell'Unione province d'Italia - UPI,

dal presidente dell'Unione nazionale comuni, comunità ed enti

montani - UNCEM,

da 14 sindaci designati dall'ANCI,

da 6 presidenti di provincia designati dall'UPI.

La Conferenza ha un ruolo di studio, informazione e confronto nelle

problematiche connesse agli indirizzi di politica generale che possono

incidere sulle funzioni proprie o delegate di province e comuni e comunità

montane e, in particolare, è sede di discussione ed esame dei problemi

relativi all'ordinamento ed al funzionamento degli enti locali e dei problemi

relativi alle attività di gestione ed erogazione dei servizi pubblici.

La Conferenza Stato-città ed autonomie locali è unificata con la

Conferenza Stato-regioni per le materie ed i compiti di interesse comune

delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane.

La “Conferenza unificata” (Stato – regioni e Stato – città) per le

materie di interesse comune (artt. 8 e 9 d.lgs. n. 281/97), assume

deliberazioni, promuove e sancisce intese ed accordi, esprime pareri,

78

Page 84: r0mano 2014.docx

designa rappresentanti in relazione alle materie ed ai compiti di interesse

comune alle regioni, alle province, ai comuni e alle comunità montane.

Essa, inoltre, esprime parere sul disegno di legge finanziaria e sui disegni di

legge collegati, sul documento di programmazione economica e finanziaria

e sugli schemi di decreto legislativo adottati in base all'articolo 1 della legge

15.3.1997 n. 59.

25. Le Conferenze di servizi.

Le “Conferenze di servizi” di cui agli artt. 14 e segg. l.n. 241/90 e

succ. mod. rappresentano una nuova importante formula organizzativa di

raccordo a carattere non permanente per l’esame contestuale di vari interessi

pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo o in più procedimenti

connessi.

L’indizione di conferenze di servizi per l’esame contestuale di vari

interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, cui

partecipano rappresentanti di più enti ed amministrazioni pubbliche statali,

regionali o locali, rappresenta un efficace strumento per coordinare l'attività

amministrativa in un nuovo contesto di sempre più spinta autonomia politica

dei diversi enti componenti la Repubblica Italiana (ovvero, se si vuole, in un

contesto di c.d. federalismo amministrativo).

III.D) Le strutture comuni.

26. Le strutture comuni a servizio della Repubblica.

Il principio di efficienza coniugato con quello della autonomia (vedi

l'appena evocato c.d. federalismo amministrativo) degli enti rappresentativi

delle comunità locali, impone la presenza di strutture “serventi” le

amministrazioni statali, regionali e locali, che, pur operando a livello

nazionale, tuttavia possano più agevolmente essere “accettati” dalle diverse

autonomie politiche in quanto non si presentano come “uffici ed organi”

ministeriali, né come enti nazionali longa manus dei ministeri. In sostanza,

queste strutture comuni, almeno tendenzialmente, hanno caratteristiche tali

79

Page 85: r0mano 2014.docx

da evitare di essere interpretati da regioni, province e comuni, come

strumenti attraverso i quali lo Stato si riappropria di funzioni o di poteri di

direzione e controllo.

Esaminiamo, senza fini di completezza ma a titolo esemplificativo, tre

casi tra i più significativi di questo tipo di strutture comuni:

l’ISTAT ed il Sistema statistico nazionale (SISTAN) che ad esso

fa capo;

l’ARAN – Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche

amministrazioni;

L'Agenzia per l'Italia Digitale.

27. L’ISTAT e il Sistema Statistico Nazionale (SISTAN).

A norma dell’art. 117, co. 2, lett. r), della Costituzione rientra nella

legislazione esclusiva dello Stato il coordinamento statistico

dell'amministrazione statale, regionale e locale. L'informazione statistica

ufficiale è fornita al Paese e agli organismi internazionali attraverso il

Sistema statistico nazionale. Il Sistema Statistico Nazionale (SISTAN) è

integrato nel sistema statistico europeo ed ha al suo centro l’ISTAT (Istituto

nazionale di statistica), che è una persona giuridica di diritto pubblico (art.

14 d.lgs. 6.9.1989 n. 322 e d.P.R. 7.9.201, n. 166) sottoposta alla vigilanza

del Presidente del Consiglio dei Ministri, che vede tra i suoi organi

(composti secondo criteri di professionalità tecnica) oltre al Presidente, al

Consiglio e al Collegio dei revisori dei conti, un “Comitato per l’indirizzo

ed il coordinamento dell’informazione statistica” (art. 3 D.P.R. 7.9.2010, n.

166, Regolamento recante il riordino dell'Istituto nazionale di statistica) nel

quale sono presenti anche tre rappresentanti delle regioni e degli enti locali,

designati dalla Conferenza Unificata Stato, Regioni ed Enti locali. Certo tale

presenza, che mira a coinvolgere le regioni, rischia di essere solo simbolica,

ma si deve anche tener conto che si tratta di attività tecnica e, comunque,

anche i “simboli” hanno importanza.

Accanto all’ISTAT, il Sistema statistico nazionale (SISTAN) vede la

presenza di una “Commissione per la garanzia dell’informazione statistica

con compiti di vigilanza“(art. 12 l.n. 322/1989), istituita presso la

80

Page 86: r0mano 2014.docx

Presidenza del Consiglio dei Ministri, la quale esprime il proprio parere sul

Programma statistico nazionale, avente durata triennale, che viene

predisposto dall’ISTAT ed approvato con d.P.R. su proposta del Presidente

del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del CIPE (art.13 l.cit.). E’

nel programma statistico nazionale che vengono indicate le rilevazioni

statistiche di interesse pubblico affidate al Sistema e stabiliti i relativi

obiettivi.

Completano il SISTAN gli uffici di statistica (artt. 2) che devono

essere presenti nelle amministrazioni e negli enti pubblici. Gli uffici di

statistica delle amministrazioni centrali dello Stato e delle aziende autonome

sono posti alle dipendenze funzionali dell’Istat (art. 3, 1° comma), mentre

nei confronti degli uffici di statistica delle regioni l’Istat esercita poteri di

indirizzo e coordinamento tecnico (art. 5, comma 3).

I soggetti privati hanno obbligo di fornire dati statistici per le

rilevazioni statistiche, rientranti nel Programma statistico nazionale,

espressamente indicate con deliberazione del Consiglio dei Ministri.

E’ inutile sottolineare l’importanza dei flussi statistici per una

moderna gestione delle strutture pubbliche attenta ai risultati con obiettivi di

efficacia ed efficienza. Come indica l’art. 1 della legge n. 322/1989, si tratta

di disciplinare le attività di rilevazione, elaborazione, analisi e diffusione e

archiviazione dei dati statistici svolte dagli enti ed organismi pubblici di

informazione statistica, al fine di realizzare l'unità di indirizzo, l'omogeneità

organizzativa e la razionalizzazione dei flussi informativi a livello centrale e

locale.

28. L’ARAN.

L’ARAN – Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche

amministrazioni (vedi oggi l’art. 46 del d.lgs. 30.3.2001 n. 165 e il d.P.R.

25.1.1994 n. 144) ha personalità giuridica ed autonomia organizzativa,

gestionale e contabile.

L’Agenzia ha il fine di rappresentare le pubbliche amministrazioni per

la contrattazione a livello nazionale delle condizioni dell'impiego pubblico

allo scopo di assicurare che la disciplina contrattuale e le retribuzioni dei

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Page 87: r0mano 2014.docx

dipendenti garantiscano il maggiore rendimento dei servizi pubblici per la

collettività con il minore onere per essa (art. 1, comma 2 d.P.R. n. 144/94).

L'ARAN, in tale veste, esercita a livello nazionale, sulla base degli indirizzi

ricevuti dalla amministrazioni ed attenendosi alle direttive impartite dal

Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei

ministri (che ha la vigilanza sull’ARAN), ogni attività relativa alle relazioni

sindacali, alla negoziazione dei contratti collettivi e alla assistenza delle

pubbliche amministrazioni ai fini dell'uniforme applicazione dei contratti

collettivi.

Le pubbliche amministrazioni esercitano il potere di indirizzo nei

confronti dell'ARAN (e le altre competenze loro attribuite nelle procedure di

contrattazione collettiva nazionale) attraverso le loro istanze associative o

rappresentative, le quali danno vita a tal fine a comitati di settore, cioè a

degli organismi collegiali costituiti per rappresentare categorie omogenee di

amministrazioni (sanità; ministeri, agenzia e P.C.M.; scuola; università;

autonomie locali; enti pubblici).

Tra gli organi dell’ARAN, oltre al Presidente ed al Comitato direttivo,

vi è il “Comitato di coordinamento”, che è costituito da quattordici

rappresentanti delle amministrazioni pubbliche comprese nei comparti di

contrattazione collettiva, designati dalla Conferenza dei presidenti delle

regioni e delle province autonome, dall'Associazione nazionale dei comuni

d'Italia (ANCI), dall'Unione delle province d'Italia (UPI), dall'Unione

nazionale comuni, comunità ed enti montani (UNCEM), dall'Unione delle

camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura (Unioncamere),

dalla Conferenza dei presidenti degli enti pubblici non economici, dalla

Conferenza dei presidenti delle istituzioni e degli enti di ricerca e

sperimentazione, dalla Conferenza permanente dei rettori delle università,

nonché dalla Conferenza dei direttori generali del personale dei Ministeri.

Una simile struttura appare indispensabile presupposto della

privatizzazione del rapporto di lavoro del personale burocratico, sia in

termini operativi, dovendo le pubbliche amministrazioni attrezzarsi in modo

nuovo per sostenere la contrattazione sindacale, sia in termini di

“mentalità”, essendo ben diversa la forma mentis richiesta per porre in

82

Page 88: r0mano 2014.docx

essere provvedimenti amministrativi rispetto a quella richiesta dal confronto

con i sindacati dei lavoratori.

29. L'Agenzia per l'Italia Digitale.

L'Agenzia per l'Italia Digitale è preposta alla realizzazione degli

obiettivi dell'Agenda digitale italiana, in coerenza con gli indirizzi elaborati

dalla Cabina di regia (di cui all'art. 47 del d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, conv.

con mod. dalla l. 4 aprile 2012, n. 35) e con l'Agenda digitale europea,

promuovendo a tale scopo la definizione e lo sviluppo di grandi progetti

strategici di ricerca e innovazione. Essa esercita le sue funzioni nei

confronti delle pubbliche amministrazioni allo scopo di promuovere la

diffusione delle tecnologie digitali nel Paese e di razionalizzare la spesa

pubblica. Infatti, a norma dell’art. 117, co. 2, lett. r), della Costituzione

rientra nella legislazione esclusiva dello Stato il coordinamento informatico

dell'amministrazione statale, regionale e locale.

Il d.l. 9.2.2012 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di

sviluppo), conv. con mod. dalla l. 4.4.2012, n. 35, all’art. 47, dichiara che il

Governo, nel quadro delle indicazioni dell'agenda digitale europea, di cui

alla comunicazione della Commissione europea COM (2010) 245

definitivo/2 del 26.8.2010, persegue l'obiettivo prioritario della

modernizzazione dei rapporti tra pubblica amministrazione, cittadini e

imprese, attraverso azioni coordinate dirette a favorire lo sviluppo di

domanda e offerta di servizi digitali innovativi, a potenziare l'offerta di

connettività a larga banda, a incentivare cittadini e imprese all'utilizzo di

servizi digitali e a promuovere la crescita di capacità industriali adeguate a

sostenere lo sviluppo di prodotti e servizi innovativi.

A tale fine l’art. 47 cit. prevede l’istituzione, con decreto del Ministro

dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per la pubblica

amministrazione e la semplificazione, il Ministro per la coesione territoriale,

il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministro

dell'economia e delle finanze, di una cabina di regia per l'attuazione

dell'agenda digitale italiana, che deve coordinare gli interventi pubblici

volti alle medesime finalità da parte di regioni, province autonome ed enti

83

Page 89: r0mano 2014.docx

locali perseguendo, secondo le indicazioni sancite dall'agenda digitale

europea, fra l’altro, gli obiettivi di:

a) realizzazione delle infrastrutture tecnologiche e immateriali al

servizio delle «comunità intelligenti» (smart communities), finalizzate a

soddisfare la crescente domanda di servizi digitali in settori quali la

mobilità, il risparmio energetico, il sistema educativo, la sicurezza, la sanità,

i servizi sociali e la cultura;

b) promozione del paradigma dei dati aperti (open data) quale

modello di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico, al fine di

creare strumenti e servizi innovativi;

c) potenziamento delle applicazioni di amministrazione digitale (e-

government) per il miglioramento dei servizi ai cittadini e alle imprese, per

favorire la partecipazione attiva degli stessi alla vita pubblica e per

realizzare un'amministrazione aperta e trasparente.

L'Agenzia opera sulla base di principi di autonomia organizzativa,

tecnico-operativa, gestionale, di trasparenza e di economicità e persegue gli

obiettivi di efficacia, efficienza, imparzialità, semplificazione e

partecipazione dei cittadini e delle imprese. Per quanto non previsto dal d.l.

n. 83/2012 all'Agenzia si applicano gli articoli 8 e 9 del decreto legislativo

30 luglio 1999, n. 300 e cioè la disciplina delle agenzie paraministeriali

(sulle quali vedi par.45). Missione: la realizzazione dell'amministrazione

digitale.

Organi dell’Agenzia sono: a) il Direttore generale; b) il Comitato di

indirizzo; e c) il Collegio dei revisori dei conti. Il Direttore Generale è il

legale rappresentante dell'Agenzia, la dirige e ne è responsabile.

L’Agenzia, oltre al Presidente del Consiglio dei ministri (o suo

delegato), è sottoposta alla vigilanza di ben quattro ministri: il Ministro

dell'economia e delle finanze, il Ministro per la pubblica amministrazione e

la semplificazione, il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro

dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

L'Agenzia per l'Italia Digitale ha incorporato il DigitPA (Ente

nazionale per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione) (d.lgs. 1

dicembre 2009, n. 177) che, a sua volta, in attuazione dell’art. 24 della l.

84

Page 90: r0mano 2014.docx

18.6.2009 n. 69, aveva riorganizzato il Centro nazionale per l'informatica

nella pubblica amministrazione (CNIPA), mutandone la denominazione in

DigitPA.

III.E) Le Autorità amministrative indipendenti.

30. Il ruolo delle Autorità amministrative indipendenti.

Il fenomeno delle Autorità amministrative indipendenti appare

particolarmente significativo per cogliere i nuovi aspetti della

organizzazione amministrativa della società italiana.

Invero, ci sembra innegabile che le Autorità indipendenti, o almeno

alcune di esse aventi effettivi poteri di amministrazione attiva (poiché sotto

tale denominazione si annoverano organismi molto diversi per poteri e per

compiti), rappresentano un nuovo modello organizzativo che la Costituzione

del 1948 non contempla perché risponde a problematiche, esigenze e

soluzioni che all’epoca, quantomeno in Italia, non si ponevano (anche se

una eccezione potrebbe essere costituita dal settore del credito e della

moneta che, con la riforma degli anni trenta del secolo scorso - frutto non

già della ideologia corporativa dell'epoca, ma delle esigenze di regolazione

del settore fatte emergere dalla crisi bancaria ed industriale - ha visto

operare la Banca d'Italia secondo moduli di autonomia e tipo di funzioni

che, se non altro dal punto di vista della indipendenza dal potere esecutivo,

sembrano assimilabili a quelli delle moderne Autorità indipendenti, anche se

con obiettivi non già di tutela della concorrenza e del mercato quanto di

garanzia della stabilità del sistema creditizio e monetario).

Come si è già avuto modo di segnalare, il modello "autorità

indipendente" sembra rispondere alle aspettative di una opinione pubblica,

evidentemente attualmente maggioritaria (altrimenti non si avrebbe il

fenomeno della proliferazione di simili Autorità!), che mostra di ritenere che

alcuni compiti amministrativi di interesse generale possano essere meglio

assolti da organismi che non siano parte del circuito politico-rappresentativo

tradizionale fondato sulla componente politico-partitica e che, dunque,

85

Page 91: r0mano 2014.docx

operino (il che vuol dire prendono delle decisioni amministrative) sulla base

di una legittimazione politica che - paradossalmente – trae forza e

fondamento nella conclamata indipendenza dal Governo e, in genere, nella

sua estraneità rispetto a quel circuito che costituisce il classico fondamento

di ogni legittimazione dei poteri amministrativi nel tradizionale modello di

“Stato di diritto”, il circuito partiti-parlamento-governo.

La legittimazione delle autorità amministrative indipendenti, infatti,

non si fonda sul loro collegamento agli organi di rappresentanza politica, ma

al contrario, sulla “indipendenza” dei componenti sia rispetto ai poteri

politici pubblici che ai c.d. poteri privati, e sembra radicarsi nella “notoria”

alta competenza tecnica delle persone fisiche chiamate a comporre

l’Autorità, nella loro probità ed indipendenza di giudizio, e nella

trasparenza della loro azione.

Le c.d. Autorità amministrative indipendenti, infatti, pur

collocandosi, in quanto organismi amministrativi operanti su base nazionale,

all'interno dell'organizzazione amministrativa statale, tuttavia si

caratterizzano per essere indipendenti dal Governo ed estranee al sistema

Stato - Regioni - Province - Città metropolitane - Comuni.

L'indipendenza dal Governo, se si sposa con l'attribuzione di funzioni

di amministrazione attiva, costituisce un fattore "rivoluzionario", in quanto

viene a rompere quel sistema di garanzia del cittadino nei confronti della

P.A., di cui abbiamo più volte parlato nella prima parte delle lezioni, e che

si fonda sulla dipendenza dell'Amministrazione dal Governo e, a sua volta,

sulla dipendenza del Governo e del potere amministrativo dal Parlamento e

dal potere legislativo (che, ricordiamo ancora una volta, si realizza ex post

con la responsabilità politica dell'esecutivo nei confronti del Parlamento e,

quindi, con la possibilità per quest'ultimo di sanzionare l'azione del Governo

mediante la sfiducia).

Infatti, l’indipendenza di un organo amministrativo dotato di potere di

amministrazione attiva dal Potere esecutivo e da qualsiasi altro potere

politico rappresentativo della comunità popolare, (come le Regioni, le

Province ed i Comuni), sembra confliggere con il disegno costituzionale del

86

Page 92: r0mano 2014.docx

1948 e, in particolare, con i principi di direzione e di responsabilità del

Governo sull’azione amministrativa desumibili dall’art. 95 Cost.

Certo, l’art. 100, ultimo comma, della Costituzione prevede che il

Consiglio di Stato e la Corte dei conti, pur nella loro funzione di “organi

ausiliari” del Governo, siano indipendenti di fronte al Governo. Ma, a parte

il dato di fatto che i componenti dei due organi fanno parte della

magistratura, è assorbente la considerazione che, in base all'art. 100 Cost., la

loro funzione, rispettivamente di consulenza giuridico-amministrativa e di

controllo, non comporta compiti di amministrazione attiva, bensì l'adozione

di giudizi, in sede consultiva o di controllo, sulla conformità dell’azione

amministrativa alla legge, e questo tipo di attività non comporta scelte

politico-amministrative che, in quanto tali, secondo il modello dell’art. 95

Cost., devono restare sotto la direzione e la responsabilità politica del

Governo.

Né il fenomeno delle Autorità amministrative indipendenti si riallaccia

alla relativamente recente tendenza, presente nel nostro panorama

amministrativo, di far partecipare il Parlamento (cioè il potere legislativo)

alla attività amministrativa (si pensi ai provvedimenti che la Commissione

bicamerale per l'indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi adotta in

materia di accesso alle trasmissioni c.d. "autogestite"), poiché le Autorità

indipendenti non possono considerarsi "dipendenti" dal Parlamento anziché

dal Governo. Infatti, anche se di frequente la legge attribuisce al Parlamento

(o ai Presidenti della Camera e del Senato) la nomina dei componenti le

Autorità indipendenti, ciò avviene unicamente allo scopo di sottrarre tale

potere al Governo (che è il tradizionale titolare di simili poteri) al fine di

garantire l'indipendenza dell'Autorità dal Governo, e non già per creare una

posizione di dipendenza dell'Autorità stessa dall'indirizzo politico del

Parlamento, come conferma il fatto che il potere di nomina non è

accompagnato da alcun altro potere del Parlamento nei confronti

dell’Autorità volto a realizzare una dipendenza dell'Autorità dagli indirizzi

politici del Parlamento (es.: poteri di direttiva, di revoca).

87

Page 93: r0mano 2014.docx

31. Le principali Autorità amministrative indipendenti.

La denominazione di “Autorità amministrativa indipendente” viene

comunemente utilizzata per indicare molteplici organismi8, che possono

essere così raggruppati:

I. Vi sono organismi, sia pure aventi competenze e poteri molto diversificati,

ormai universalmente riconosciuti come appartenenti alla categoria delle

Autorità indipendenti, quali:

- l’Autorità garante della concorrenza e del mercato - AGCM (1egge

10.10.1990 n. 287);

- la Commissione nazionale per le società e la borsa - CONSOB (d.l.

8.4.1974 n. 95 conv. 1. 7.6.1974 n. 216 e d.lgs. 24.2.1998 n.58);

- il Garante per la protezione dei dati personali (legge 31.12.1996 n.

675);

- l’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni – IVASS (art. 13 d.l.

6.7.2012 n. 95 conv. con mod. dalla l. 7.8.2012 n. 135);

8 L’art. 23 del d.l. 6.12.2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), al fine di perseguire il contenimento della spesa complessiva per il funzionamento delle Autorità amministrative indipendenti, è intervenuto a ridurre il numero dei componenti delle singole autorità amministrative indipendenti. In base a tale disposizione il numero dei componenti:a) del Consiglio dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è ridotto da otto a quattro, escluso il Presidente. Conseguentemente, il numero dei componenti della commissione per le infrastrutture e le reti dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è ridotto da quattro a due, escluso il Presidente, e quello dei componenti della commissione per i servizi e i prodotti della medesima Autorità è ridotto da quattro a due, escluso il Presidente;b) dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture è ridotto da sette a tre, compreso il Presidente;c) dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas è ridotto da cinque a tre, compreso il Presidente; d) dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato è ridotto da cinque a tre, compreso il Presidente; e) della Commissione nazionale per la società e la borsa è ridotto da cinque a tre, compreso il Presidente; f) del Consiglio dell'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (oggi IVASS) è ridotto da sei a tre, compreso il Presidente; g) della Commissione per la vigilanza sui fondi pensione è ridotto da cinque a tre, compreso il Presidente; h) della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche è ridotto da cinque a tre, compreso il Presidente; i) della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali è ridotto da nove a cinque, compreso il Presidente.

88

Page 94: r0mano 2014.docx

- la Commissione di garanzia per l'attuazione della legge sull'esercizio

del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali (1egge

12.6.1990 n.146 modificata dalla legge 11.4.2000 n. 83);

- l’ Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e

forniture - AVCP (art. 6 d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, Codice dei

contratti pubblici);

- le Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità (legge

14.11.1995 n. 481), che sono costituite da:

- l’ Autorità per l'energia elettrica ed il gas - AEEG (art. 3 l.n.

481/95),

- l’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni (legge 31.7.1997,

n. 249) e

- l’Autorità di regolazione dei Trasporti (art. 37 d.l. n. 201/2011);

- la Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e

l'integrità delle amministrazioni pubbliche - CiVIT, che opera anche

quale Autorità nazionale anticorruzione (art. 13 d.lgs. 27.10.2009 n.

150 e art. 1, comma 2, l. 6.11.2012 n. 190);

- la Commissione di vigilanza sui fondi pensione – COVIP (d.lgs.

21.4.1993 n. 124).

II. Infine vi è un ente, molto meno recente, ma che ha caratteristiche, funzioni

e posizioni che sembra possano farlo annoverare a buon diritto tra le più

importanti “autorità indipendenti”, ci riferiamo alla Banca d'Italia (art. 19

l. 28.12.2005, n. 262; r.d. 11.6.1936 n. 1067; d.lgs. 1.9.1993 n. 385).

Dalla normativa disciplinante le singole Autorità amministrative

indipendenti sembra emergere un panorama molto vario che fa ritenere

necessario distinguere i singoli casi, per individuare più distinti ruoli affidati

alle c.d. autorità amministrative indipendenti. Tale diversità, peraltro, non

va considerata negativamente; anzi, se porta a respingere la possibilità di

ricostruire un unico ed unitario modello organizzativo che ricomprenda tutte

le c.d. autorità indipendenti, la constatazione della molteplicità di ruoli

attribuiti alle autorità indipendenti risulta a maggior ragione significativa ai

fini della nostra ricerca, la quale mira a descrivere quanto multiforme sia

89

Page 95: r0mano 2014.docx

diventato il panorama della organizzazione amministrativa della società

italiana. Infatti, ci consente di individuare non un solo nuovo modello, ma

più modelli organizzativi, certamente molto diversi tra loro ma tutti originali

e molto interessanti in quanto miranti a rispondere in forme nuove alle

molteplici esigenze di una moderna società civile.

Invero, non sembra possa parlarsi di un unico modello perché l'unico

carattere comune a tutti gli organismi sopra esaminati sembra essere

costituito dalla particolare importanza che viene attribuita alla

"indipendenza di giudizio" dei loro componenti. Tuttavia, tale comune

requisito minimo, anche se resta un elemento apprezzabile nella lettura del

ruolo degli organismi in esame, sembra troppo poco caratterizzante per

potere basare su di esso l’individuazione di un modello unitario. Infatti,

"indipendenza di giudizio" non sempre vuol dire "indipendenza dal

Governo" e, quindi, almeno in alcuni casi, tale caratteristica sembra rifluire

nell’ambito di quella "imparzialità" che l'art. 97 Cost. pone come comune

requisito della Pubblica Amministrazione, rendendola inidonea a fungere da

“minimo comune denominatore” di un particolare modello organizzativo.

Non a caso la legge attribuisce “indipendenza di giudizio” anche

all’Agenzia per l’Italia digitale, che utilizza la sua indipendenza per

svolgere in modo autorevole funzioni di razionalizzazione della

informatizzazione all’interno delle amministrazioni pubbliche (tanto che il

predecessore di tale organismo originariamente era stato denominato

“Autorità per l’informatica nella p.a.” - AIPA).

32. L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e

forniture.

Nel caso dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di

lavori, servizi e forniture (art. 6 d.lgs. 12.4.2006, n. 163 ‘codice contratti

pubblici’ e art. 2, comma 85 d.l. 3.10.2006, n. 262, conv. in l. 24.11.2006, n.

286), l’indipendenza dal Governo si esprime in attività che non comportano

lo svolgimento di compiti decisionali di amministrazione attiva e, quindi,

non danno luogo a forme di indirizzo politico-amministrativo, sia pure ad

alto contenuto tecnico. Infatti, in questo caso, l'indipendenza di giudizio si

90

Page 96: r0mano 2014.docx

coniuga con funzioni essenzialmente di vigilanza e di garanzia della qualità,

della efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa nel settore degli

appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, senza dare luogo a poteri che

possano assimilarsi a compiti di amministrazione attiva e/o di regolazione

del settore.

Nella nostra tradizione mancava un organismo istituzionalmente

preposto ad assistere l’attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni,

attraverso una continuativa attività di raccolta e di diffusione di dati rilevanti

per una ottimale gestione dei contratti di appalto di lavori, servizi e

forniture, come anche un organismo indipendente, dotato di poteri di

ispezione e di vigilanza non esclusivamente giuridico formale sulla attività

contrattuale pubblica. A ciò ha posto riparo la istituzione dell’Autorità in

esame, cui è collegato un “Osservatorio” sui contratti pubblici.

L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e

forniture è organo collegiale costituito – quando sarà a regime secondo la

citata modifica del 2012 – non più da sette, ma da tre membri, Presidente

compreso, nominati con determinazione adottata d’intesa dai Presidenti

della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. I membri

dell’Autorità, al fine di garantire la pluralità delle esperienze e delle

conoscenze, sono scelti tra personalità che operano in settori tecnici,

economici e giuridici con riconosciuta professionalità. L’Autorità sceglie il

presidente tra i propri componenti e stabilisce le norme sul proprio

funzionamento. I membri dell’Autorità durano in carica cinque anni e non

possono essere confermati.

Nell’ambito dell’Autorità opera l’Osservatorio dei contratti pubblici

relativi a lavori, servizi e forniture, composto da una sezione centrale e da

sezioni regionali aventi sede presso le regioni e le province autonome.

L’Osservatorio:

provvede alla raccolta e alla elaborazione dei dati informativi

concernenti i contratti pubblici su tutto il territorio nazionale e, in

particolare, di quelli concernenti i bandi e gli avvisi di gara, le

aggiudicazioni e gli affidamenti, le imprese partecipanti, l'impiego

della mano d'opera e le relative norme di sicurezza, i costi e gli

91

Page 97: r0mano 2014.docx

scostamenti rispetto a quelli preventivati, i tempi di esecuzione e le

modalità di attuazione degli interventi, i ritardi e le disfunzioni;

determina annualmente costi standardizzati per tipo di lavoro e per

tipo di servizio e fornitura in relazione a specifiche aree territoriali;

pubblica semestralmente i programmi triennali dei lavori pubblici

predisposti dalle amministrazioni aggiudicatrici e l'elenco dei

contratti pubblici affidati;

cura l’elaborazione di prospetti statistici.

L’Autorità, cui la legge attribuisce indipendenza funzionale, di

giudizio e di valutazione, nonché autonomia organizzativa, oltre a

sovrintendere all'attività dell'Osservatorio dei contratti pubblici svolge i

seguenti compiti:

a) nei riguardi del Governo e del Parlamento, deve segnalare (con apposita

comunicazione) fenomeni particolarmente gravi di inosservanza o di

applicazione distorta della normativa sui contratti pubblici e, comunque,

deve presentare una relazione annuale nella quale si evidenziano le

disfunzioni riscontrate nel settore dei contratti pubblici (esemplificando:

frequenza del ricorso a procedure non concorsuali ovvero a sospensioni

dell’esecuzione o a varianti in corso di esecuzione; eventuali

inadeguatezze della pubblicità degli atti o scostamenti dai costi

standardizzati; sviluppo anomalo del contenzioso ecc.);

b) nei riguardi del Governo, ha altresì il compito di formulare proposte in

ordine alle modifiche occorrenti per migliorare la legislazione sui

contratti pubblici di lavori, servizi, forniture e, in particolare, di

formulare al Ministro delle infrastrutture proposte per la revisione del

regolamento di esecuzione ed attuazione del codice dei contratti pubblici;

c) vigila sui contratti pubblici, anche di interesse regionale, di lavori, servizi

e forniture nei settori ordinari e nei settori speciali, al fine di garantire

l’osservanza dei principi generali fissati dall’art. 2 del codice dei contratti

pubblici e, in particolare, il rispetto dei principi di correttezza e

trasparenza delle procedure di scelta del contraente, e di economica ed

efficiente esecuzione dei contratti, nonché il rispetto delle regole della

concorrenza nelle singole procedure di gara;

92

Page 98: r0mano 2014.docx

d) vigila sul sistema di qualificazione degli operatori economici che

contrattano con le Amministrazioni pubbliche, con il potere,

nell’esercizio di tale vigilanza, di annullare, in caso di constatata inerzia

degli organismi di attestazione, le attestazioni rilasciate in difetto dei

presupposti stabiliti dalle norme vigenti, nonché sospendere, in via

cautelare, dette attestazioni;

e) su iniziativa della stazione appaltante e di una o più delle altre parti,

esprime parere non vincolante relativamente a questioni insorte durante

lo svolgimento delle procedure di gara, eventualmente formulando una

ipotesi di soluzione;

f) promuove la realizzazione di un collegamento informatico con le stazioni

appaltanti, nonché con le regioni, al fine di acquisire informazioni in

tempo reale sui contratti pubblici, garantendo l'accesso generalizzato,

anche per via informatica, ai dati raccolti e alle relative elaborazioni;

g) nell'ambito della propria attività ha il potere di richiedere alle stazioni

appaltanti, agli operatori economici esecutori dei contratti, nonché ad

ogni altra pubblica amministrazione e ad ogni ente, anche regionale,

operatore economico o persona fisica che ne sia in possesso, documenti,

informazioni e chiarimenti relativamente ai lavori, servizi e forniture

pubblici, nonché ha il potere di disporre ispezioni;

h) ha la competenza ad irrogare sanzioni pecuniarie, commisurate al valore

del contratto pubblico cui le violazioni si riferiscono, ai soggetti che

rifiutino od omettano, senza giustificato motivo, di fornire le

informazioni o di esibire documenti, ovvero che forniscano informazioni

o esibiscano documenti non veritieri.

L’art. 64 bis, comma 4 bis, aggiunto dal d.l. 13.5.2011, n. 70 (art. 4,co. 2

lett. h) ha attribuito all’AVCP anche l’approvazione dei bandi-tipo sulla

base dei quali le stazioni appaltanti dovranno predisporre i bandi per le

gare pubbliche.

Infine, le norme prevedono espressamente che restano salve, anche

con riferimento al settore dei contratti pubblici, le competenze delle altre

Autorità amministrative indipendenti e che l’Autorità per la vigilanza sui

contratti pubblici, qualora accerti l'esistenza di irregolarità, deve trasmettere

93

Page 99: r0mano 2014.docx

gli atti e i propri rilievi ai competenti organi di controllo e, se le irregolarità

hanno rilevanza penale, agli organi giurisdizionali competenti. Inoltre, ove

sia stato provocato un pregiudizio per il pubblico erario, gli atti e i rilievi

devono essere trasmessi anche ai soggetti interessati e alla procura generale

della Corte dei conti.

Dunque, attraverso l’azione di questa Autorità si intende coprire

esigenze nuove e diverse rispetto a quelle soddisfatte attraverso le

preesistenti strutture pubbliche. L’Autorità per la vigilanza si aggiunge, ma

non si sostituisce, a quella degli altri organi di vigilanza amministrativa

previsti per gli enti pubblici e per le amministrazioni statali, regionali,

provinciali e comunali, né alle competenze dell’Autorità garante della

concorrenze e del mercato, né, a maggior ragione, alla giurisdizione civile,

penale, amministrativa e contabile.

33. La Commissione di Garanzia per l'esercizio del diritto di sciopero

nei servizi pubblici essenziali.

Nel caso della Commissione di Garanzia per l'esercizio del diritto

di sciopero nei servizi pubblici essenziali – CGS (art. 12, legge 12.6.1990,

n. 146 e succ. mod.) siamo di fronte ad un organismo che risponde a un

ruolo ancora diverso. La Commissione è istituita al fine di valutare l'idoneità

delle misure volte ad assicurare il contemperamento dell'esercizio del diritto

di sciopero nei servizi pubblici essenziali9 con il godimento dei diritti della

persona, costituzionalmente tutelati.

La Commissione, cui spetta di eleggere nel suo seno il presidente, è

composta secondo la citata modifica del 2012 – da cinque membri, scelti, su

designazione dei Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della

Repubblica, tra esperti in materia di diritto costituzionale, di diritto del

lavoro e di relazioni industriali, e nominati con decreto del Presidente della

9 L’art. 1 della legge n. 146/90 provvede a definire la nozione ai fini della applicazione della legge stessa: “...sono considerati servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione, quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione ed alla libertà di comunicazione.”

94

Page 100: r0mano 2014.docx

Repubblica. Essa dura in carica per sei anni e i suoi membri possono essere

confermati una sola volta (art. 12, comma 2, l. 12.6.1990, n. 146 come

modificato, da ultimo, dall’art. 1, d.l. 30.12.2009, n. 194).

L'indipendenza della Commissione serve a consentire a questa

Autorità di svolgere un ruolo di mediazione tra lavoratori e datori di lavoro

privati e pubblici per il contemperamento del diritto di sciopero con le

esigenze dell'utenza nei servizi pubblici essenziali. In questo caso

l'indipendenza è un elemento essenziale, poiché la stessa pubblica

amministrazione, insieme ai lavoratori, diviene, direttamente o

indirettamente, uno dei soggetti destinatari dell'intervento di mediazione.

Il tentativo è quello di garantire una soluzione “concordata” dei

problemi legati allo sciopero. Le amministrazioni e le imprese erogatrici dei

servizi, nel rispetto del diritto di sciopero e delle finalità sopra indicate ed in

relazione alla natura del servizio ed alle esigenze della sicurezza, nonché

alla salvaguardia dell'integrità degli impianti, concordano, nei contratti

collettivi, negli accordi sindacali o nei regolamenti di servizio, prestazioni,

modalità e procedure di erogazione indispensabili che sono tenute ad

assicurare (es.: astensione dallo sciopero di quote di lavoratori; forme di

erogazione periodica comunque assicurate; intervalli minimi da osservare

tra l'effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del successivo). Inoltre

nei contratti o accordi collettivi devono essere previste procedure di

raffreddamento e di conciliazione, obbligatorie per entrambe le parti, da

esperire prima della proclamazione dello sciopero.

Le suddette determinazioni pattizie ed i regolamenti di servizio

nonché i codici di autoregolamentazione e le regole di condotta devono

essere dagli interessati comunicati tempestivamente alla Commissione che

ne valuta l'idoneità ai fini del contemperamento del diritto di sciopero con il

godimento dei diritti della persona, anch’essi costituzionalmente tutelati,

intervenendo a dettare una provvisoria regolamentazione qualora le

prestazioni indispensabili non siano previste dai contratti o accordi collettivi

o dai codici di autoregolamentazione, ovvero, se previste, non siano valutate

idonee.

95

Page 101: r0mano 2014.docx

Accanto a tale compito, la Commissione esercita diverse altre funzioni

(art. 13 della legge n. 146/90):

- esprime, a richiesta o d’ufficio, il proprio giudizio sulle questioni

interpretative o applicative dei contenuti degli accordi o codici di

autoregolamentazione per la parte di propria competenza e, su richiesta

congiunta delle parti interessate, può emanare un lodo sul merito della

controversia;

- nel caso di conflitti di particolare rilievo nazionale può invitare, con

apposita delibera, i soggetti che hanno proclamato lo sciopero a differire la

data dell'astensione dal lavoro per il tempo necessario a consentire un

ulteriore tentativo di mediazione;

- indica ai soggetti interessati eventuali violazioni delle disposizioni relative

al preavviso, alla durata massima, all'esperimento delle procedure

preventive di raffreddamento e di conciliazione, ai periodi di franchigia, agli

intervalli minimi tra successive proclamazioni, e ad ogni altra prescrizione

riguardante la fase precedente all'astensione collettiva, e può invitare, con

apposita delibera, i soggetti interessati a riformulare la proclamazione in

conformità alla legge e agli accordi o codici di autoregolamentazione

differendo l'astensione dal lavoro ad altra data;

- segnala all'autorità competente le situazioni nelle quali dallo sciopero o

astensione collettiva può derivare un imminente e fondato pericolo di

pregiudizio ai diritti della persona costituzionalmente tutelati e formula

proposte in ordine alle misure da adottare con l'ordinanza che l’art. 8 della

legge stessa prevede possa essere adottata dal Prefetto (non dalla

Commissione) per prevenire il predetto pregiudizio;

- se rileva comportamenti illegittimi delle amministrazioni o delle imprese

che erogano i servizi pubblici essenziali che comunque possano determinare

l'insorgenza o l'aggravamento di conflitti in corso, invita, con apposita

delibera, le amministrazioni o le imprese a desistere dal comportamento e ad

osservare gli obblighi derivanti dalla legge o da accordi o contratti collettivi;

- delibera le sanzioni amministrative pecuniarie previste dall’art. 4 della

legge n. 146/90 in caso di inadempienze o violazioni degli obblighi che

derivano dalla legge, dagli accordi o contratti collettivi sulle prestazioni

96

Page 102: r0mano 2014.docx

indispensabili o dalle altre misure di contemperamento e prescrive al datore

di lavoro di applicare le eventuali sanzioni disciplinari.

Dalle relazioni della Commissione si ricava la particolare importanza

della attività preventiva svolta dalla Commissione anche attraverso la

adozione di alcune deliberazioni interpretative volte ad individuare le regole

applicabili allo sciopero generale, nonché agli scioperi riguardanti una

pluralità (ma non la totalità) di settori, ovvero riguardanti tutti i servizi

pubblici, ma in ambiti territoriali limitati. L’attività interpretativa della

Commissione, peraltro, normalmente si svolge attraverso pronunce più

puntuali, ad esempio, in ordine alla individuazione delle attività

direttamente o indirettamente funzionali alla erogazione di un servizio

pubblico, ai fini dell’applicazione delle regole sull’esercizio del diritto di

sciopero. Si tratta di problematiche che, come rilevano le relazioni della

Commissione, inevitabilmente risentono dei mutamenti che intervengono

nel contesto economico e sociale di riferimento e, che, quindi, richiedono

una costante e continuativa attenzione da parte della Commissione e che non

potrebbero certo essere risolte moltiplicando le normative.

34. Il Garante per la protezione dei dati personali.

Ancora diverso è il ruolo del Garante per la protezione dei dati

personali, istituito con la legge n. 675 del 1996 ed oggi disciplinato dagli

art. 153 e segg. del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, codice in materia di

protezione dei dati personali.

Il Garante, che opera in piena autonomia e con indipendenza di

giudizio, è un organo collegiale costituito da quattro componenti, eletti due

dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica con voto

limitato. I componenti sono scelti tra persone che assicurano indipendenza e

che sono esperti di riconosciuta competenza delle materie del diritto o

dell'informatica, garantendo la presenza di entrambe le qualificazioni.

I componenti eleggono nel loro ambito un presidente, il cui voto

prevale in caso di parità. Eleggono altresì un vice presidente, che assume le

funzioni del presidente in caso di sua assenza o impedimento.

97

Page 103: r0mano 2014.docx

Il presidente e i componenti durano in carica quattro anni e non

possono essere confermati per più di una volta.

Il “codice” si prefigge di garantire che il trattamento dei dati personali

si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della

dignità dell'interessato, con particolare riferimento alla riservatezza,

all'identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali.

Dopo avere dettato una normativa generale in tema di tutela delle

persone nel trattamento dei dati personali, il codice affida al Garante una

serie di competenze (pareri, autorizzazioni) che mirano a disciplinare in

concreto il trattamento dei dati sensibili mediando tra diritto alla

riservatezza ed altri diritti ed interessi (dal diritto di impresa al diritto alla

salute).

L’art. 154, primo comma, del codice elenca i compiti affidati in via

generale al Garante:

- controllare se i trattamenti sono effettuati nel rispetto della disciplina

applicabile e in conformità alla notificazione, anche in caso di loro

cessazione e con riferimento alla conservazione dei dati di traffico;

- esaminare i reclami e le segnalazioni e provvedere sui ricorsi presentati

dagli interessati o dalle associazioni che li rappresentano;

- prescrivere anche d'ufficio ai titolari del trattamento le misure necessarie o

opportune al fine di rendere il trattamento conforme alle disposizioni

vigenti;

- vietare anche d'ufficio, in tutto o in parte, il trattamento illecito o non

corretto dei dati o disporne il blocco;

- promuovere la sottoscrizione di codici deontologici;

- segnalare al Parlamento e al Governo l'opportunità di interventi normativi

richiesti dalla necessità di tutelare i diritti e le libertà fondamentali di cui

all'art. 2 del codice (i diritti e le libertà fondamentali, nonché i diritti alla

dignità dell'interessato, con particolare riferimento alla riservatezza,

all'identità personale e alla protezione dei dati personali), anche a seguito

dell'evoluzione del settore;

- esprimere pareri nei casi previsti;

98

Page 104: r0mano 2014.docx

- curare la conoscenza tra il pubblico della disciplina rilevante in materia di

trattamento dei dati personali e delle relative finalità, nonché delle misure di

sicurezza dei dati;

- denunciare i fatti configurabili come reati perseguibili d'ufficio, dei quali

viene a conoscenza nell'esercizio o a causa delle funzioni;

- tenere il registro dei trattamenti formato sulla base delle notificazioni di

cui all'articolo 37 (norma che in determinati casi impone la notificazione dei

trattamenti di dati personali al Garante);

- predisporre annualmente una relazione sull'attività svolta e sullo stato di

attuazione del presente codice, che è trasmessa al Parlamento e al Governo

entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello cui si riferisce.

I poteri di autorizzazione all'uso di dati sensibili che, ad esempio, l'art.

26 del codice attribuisce al Garante, come anche molti degli altri poteri

sopra ricordati, sembrano legittimare la tesi che il Garante non solo venga

ad esercitare poteri di amministrazione attiva, ma poteri amministrativi che

si caratterizzano per avere un contenuto altamente discrezionale, in quanto

scarsamente delimitato da norme e regolamenti.

Inoltre, va segnalata l’importanza della tutela dinanzi al Garante, che

può essere anche alternativa a quella giurisdizionale (art. 145 cod.). In

questo modo il codice sembra attribuire al Garante il compito, su richiesta

degli interessati, di dettare una concreta e flessibile disciplina della materia

del trattamento dei dati sensibili e, quindi, di esercitare una attività

amministrativa di completamento della disciplina legislativa della materia.

Questa attività, avente ad oggetto la tutela di diritti fondamentali del

cittadino, non viene affidata ad un Giudice ma ad un organo amministrativo,

essendo sostanzialmente “amministrativa” e non “giurisdizionale”, in

quanto si tratta di dettare – e non solo di fare applicare - norme di

comportamento. Tuttavia tale funzione, per la sua delicatezza, viene affidata

non ad una tradizionale Amministrazione Pubblica che fa capo alla

direzione politica del Governo, ma ad una Autorità Amministrativa che non

sia solo "imparziale" (come è la P.A. ex art. 97 Cost.) ma indipendente dal

sistema Governo - P.A..

99

Page 105: r0mano 2014.docx

Le forme di tutela innanzi al Garante previste dal codice sono di tre

tipi:

a) il reclamo circostanziato, per rappresentare una violazione della

disciplina rilevante in materia di trattamento di dati personali;

b) la segnalazione, quando non vi siano i presupposti per presentare un

reclamo circostanziato, al fine di sollecitare un controllo da parte del

Garante sulla disciplina medesima;

c) il ricorso, per far valere i diritti sui dati personali di cui all'articolo 7

cod.10

Il Garante, inoltre, coopera con altre autorità amministrative

indipendenti nello svolgimento dei rispettivi compiti. A tale fine, il Garante

può anche invitare rappresentanti di un'altra autorità a partecipare alle

proprie riunioni, o essere invitato alle riunioni di altra autorità, prendendo

10 Riportiamo tale disposizione:“Art. 7. Diritto di accesso ai dati personali ed altri diritti.1. L'interessato ha diritto di ottenere la conferma dell'esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile. 2. L'interessato ha diritto di ottenere l'indicazione: a) dell'origine dei dati personali; b) delle finalità e modalità del trattamento; c) della logica applicata in caso di trattamento effettuato con l'ausilio di strumenti elettronici; d) degli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell'articolo 5, comma 2; e) dei soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati. 3. L'interessato ha diritto di ottenere: a) l'aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l'integrazione dei dati; b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati; c) l'attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato. 4. L'interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte: a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta; b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.”.

100

Page 106: r0mano 2014.docx

parte alla discussione di argomenti di comune interesse; può richiedere,

altresì, la collaborazione di personale specializzato addetto ad altra autorità.

35. Le Autorità per la regolazione dei servizi di pubblica utilità e il

moderno assetto dei servizi pubblici (AEEG, Agcom e Autorità dei

Trasporti).

Nel caso delle Autorità per la regolazione dei servizi di pubblica

utilità (e cioè della Autorità per l’energia elettrica ed il gas,

dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dell’Autorità di

regolazione dei trasporti) la presenza di tali organismi sembra costituire

l'ultima “evoluzione” (ovvero, “trasformazione”) della disciplina dei servizi

pubblici.

Abbiamo ricordato (vedi supra p. 22) come agli inizi del novecento il

servizio pubblico si presentava come una attività di produzione di servizi,

come tale appartenente all’area tipica del diritto privato, che tuttavia, in

quanto volta a soddisfare bisogni di interesse generale, veniva attribuita

dalla legge in titolarità allo Stato a alle amministrazioni pubbliche locali e

sottoposta ad un regime giuridico derogatorio rispetto al regime giuridico

privatistico e, cioè, ad un regime giuridico amministrativo, sia esso quello

della gestione diretta da parte della P.A., ovvero della gestione tramite le

aziende autonome, nazionali o municipali, o ancora quello dell’affidamento

della gestione del servizio ad un privato concessionario di servizio pubblico.

Nella concezione del libero mercato, che sta alla base

dell’integrazione europea, si tende a restituire i servizi pubblici, nella misura

massima possibile, ai privati e, cioè, alle leggi del mercato e della libera

concorrenza, sul presupposto che la loro direzione e gestione pubblicistica

non garantisce affatto alla collettività prestazioni migliori e più efficienti

rispetto alla direzione e gestione affidata al libero mercato.

Di conseguenza, si assiste alla privatizzazione dei servizi pubblici,

laddove possibile, ovvero alla privatizzazione di tutte quelle parti dei servizi

pubblici che si prestano ad essere esercitati in condizioni di concorrenza,

101

Page 107: r0mano 2014.docx

limitando i monopoli e le privative alle sole parti del servizio che

costituiscano c.d. monopoli od oligopoli naturali.

A livello comunitario la nozione di servizio pubblico ha un duplice

senso: può designare l'ente che produce il servizio, ovvero la missione

d'interesse generale ad esso affidata. Al fine di favorire o permettere

l'assolvimento della missione di interesse generale, l’autorità pubblica può

imporre specifici obblighi di servizio all'ente che produce il servizio, ad

esempio nel campo dei trasporti terrestri, aerei o ferroviari, ovvero, nel

campo energetico. Tali obblighi, che possono essere esercitati a livello

nazionale o regionale, non implicano la necessità di classificare il servizio

pubblico nell’ambito del settore pubblico.

Vengono designati servizi d'interesse generale le attività di servizio,

commerciali o non, considerate di interesse generale dalle autorità pubbliche

e soggette quindi ad obblighi specifici di servizio pubblico. Rientrano in

questa ampia nozione sia attività di servizio non economico (sistemi

scolastici obbligatori, protezione sociale ecc.), sia funzioni inerenti alla

potestà pubblica (sicurezza, giustizia, ecc.), sia attività di servizi di interesse

economico generale (energia, comunicazioni, ecc.). Le norme comunitarie

dettate dall'articolo 86 (ex articolo 90) del Trattato, però, espressamente non

si applicano alle due prime categorie (attività di servizio non economico e

funzioni inerenti alla potestà pubblica).

I servizi d'interesse economico generale designano le attività

commerciali che assolvono missioni d'interesse generale . A tal fine sono

assoggettati dagli Stati membri ad obblighi specifici di servizio pubblico

(art. 106 del TFUE). Rientrano in tale gruppo, in particolare, le reti di

trasporto, di energia e di comunicazione.

In questi casi si applicano pur sempre le regole della concorrenza, ma

le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico

generale vi sono sottoposte “nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non

osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione

loro affidata” (art. 106 cit., comma 2).

Il carattere eccezionale della deroga, viene confermato dal fatto che

l’art. 106, nel prevedere la deroga, tiene però a ribadire che “lo sviluppo

102

Page 108: r0mano 2014.docx

degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli

interessi dell'Unione” e prevede che “la Commissione vigila

sull'applicazione delle disposizioni del presente articolo rivolgendo, ove

occorra, agli Stati membri, opportune direttive o decisioni.” (art. 106,

comma 3).

Già il trattato di Amsterdam ha riconosciuto l'importanza dei servizi di

interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione

europea, nonché il loro rilevante ruolo nella promozione della coesione

sociale e territoriale dell’Europa ed ha prescritto che i servizi d’interesse

economico generale devono funzionare in base a principi e condizioni che

consentano loro di assolvere i propri compiti.

Anche l'art. 36 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea

richiama detti servizi e pone tra i diritti fondamentali l'accesso ai servizi

d'interesse economico generale.

Altra importante nozione e quella del c.d. servizio universale. Il

concetto di servizio universale è stato sviluppato dalle istituzioni

comunitarie. Il servizio universale definisce un insieme di prestazioni a

favore degli utenti relative ad un servizio pubblico (telecomunicazioni,

poste ecc.) che devono essere assicurate nell’intero territorio europeo, in

quanto corrispondono ad esigenze essenziali di interesse generale la cui

soddisfazione deve essere garantita in ogni paese della Comunità. Dal

servizio universale discendono, dunque, precisi obblighi nell'intento di

garantire a tutti e dappertutto l'accesso a determinate prestazioni essenziali,

a determinate garanzie di qualità ed a prezzi ragionevoli.

L'idea della carta dei servizi pubblici si riallaccia al progetto di

puntualizzare in uno specifico documento i diritti fondamentali ed i principi

che ispirano la prestazione dei servizi agli utenti. Figurano tra questi

principi:

la continuità del servizio;

la qualità;

la sicurezza dell'approvvigionamento;

la parità di accesso;

un prezzo ragionevole;

103

Page 109: r0mano 2014.docx

l'accettabilità sotto il profilo sociale, culturale ed ambientale.

La politica condotta dall'Unione è segnata dalla volontà di

liberalizzare i servizi pubblici in rete e di aprire maggiormente i mercati

nazionali alla concorrenza nell'ambito dei trasporti ferroviari, dei servizi

postali, dell'energia e delle telecomunicazioni.

Tale “liberalizzazione”, viene accompagnata da un nuovo assetto

organizzativo che riserva allo Stato non già la titolarità del servizio e, tanto

meno, la sua gestione, ma compiti di amministrazione diretti a garantire il

regolare svolgimento delle regole del libero mercato, ovvero a rimuovere gli

ostacoli che si frappongono al libero gioco della concorrenza.

A tali compiti di regolazione dei settori dei servizi vengono preposte

le c.d. autorità amministrative di regolazione (Autorità per l’energia

elettrica ed il gas - AEEG e dell’Autorità per le garanzie nelle

comunicazioni - Agcom), le quali non solo non sono titolari del servizio

pubblico (ovvero del servizio di interesse economico generale), né,

ovviamente, gestori del servizio stesso, ma neanche mirano a guidarlo e/o

dirigerlo. Queste Autorità hanno piuttosto la funzione di facilitare il libero

gioco del mercato, tendendo a eliminare o ridurre gli ostacoli tecnici e legali

che si frappongono alla presenza di una vera concorrenza, anche attraverso

strumenti volti a riequilibrare l'economicità dell'azione imprenditoriale. I

poteri di regolazione settoriale e di controllo dell’Autorità investono la

determinazione delle tariffe, la fissazione dei livelli di qualità dei servizi e le

condizioni tecnico-economiche di accesso e interconnessione alle reti.

Proprio per questo motivo, peraltro, tali Autorità di regolazione dei

servizi pubblici, pur indipendenti, non sono del tutto sottratte all'indirizzo

politico del Governo, anche se sono indipendenti nella scelta delle modalità

attraverso cui dare attuazione all’indirizzo politico espresso dal Governo,

mantenendo in questo modo un elevato grado di autonomia nei propri

giudizi e regolazioni rispetto all’esecutivo. A tal proposito è significativo

che l'art. 1 della legge 14 novembre 1995, n. 481, recante “Norme per la

concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle

Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità”, dichiari la finalità di

garantire la promozione della concorrenza e dell’efficienza nel settore dei

104

Page 110: r0mano 2014.docx

servizi di pubblica utilità, nonché adeguati livelli di qualità nei servizi,

tenendo conto della normativa comunitaria e degli indirizzi di politica

generale formulati dal Governo 11 .

In quanto autorità nazionali competenti per la regolazione e il

controllo, queste Autorità svolgono attività consultiva e di segnalazione al

Governo nelle materie di propria competenza anche ai fini della definizione,

del recepimento e della attuazione della normativa comunitaria.

L’Autorità per l’energia elettrica e il gas - AEEG, che ha sede a

Milano, è organo collegiale costituito dal presidente e da altri due membri,

nominati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione

del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro competente. Le

designazioni effettuate dal Governo sono previamente sottoposte al parere

delle competenti Commissioni parlamentari. Si deve trattare di persone

dotate di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore.

I componenti l’AEEG durano in carica sette anni e non possono essere

confermati.

L’AEEG, oltre ai già indicati poteri di regolazione dei settori

dell’energia elettrica e del gas, ha funzioni di controllo delle condizioni di

svolgimento dei servizi, con poteri di acquisizione della documentazione, di

ispezione, accesso e sanzione, che esercita anche in base a reclami e

segnalazioni di utenti e loro associazioni, dando luogo a procedure di

conciliazione e di arbitrato in merito a controversie fra utenti e soggetti

esercenti i servizi, determinando i casi di indennizzo da parte dei soggetti

esercenti nei confronti di utenti e consumatori.

L’Autorità ha deliberato un regolamento (del. n. 33 del 2003) che

prevede la convocazione in audizione periodica, a frequenza almeno

11 Ai sensi del comma 11 dell’art. 1 della legge 23.8.2004 sul riordino del settore energetico, il Governo indica all'Autorità per l'energia elettrica e il gas, nell'ambito del Documento di programmazione economico-finanziaria, il quadro di esigenze di sviluppo dei servizi di pubblica utilità dei settori dell'energia elettrica e del gas che corrispondono agli interessi generali del Paese. Ai fini del perseguimento degli obiettivi generali di politica energetica del Paese di cui al comma 3, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle attività produttive, può definire, sentite le Commissioni parlamentari competenti, indirizzi di politica generale del settore per l'esercizio delle funzioni attribuite all'Autorità per l'energia elettrica e il gas ai sensi della legislazione vigente.

105

Page 111: r0mano 2014.docx

annuale, dei rappresentanti delle associazioni dei consumatori e degli utenti,

delle associazioni ambientaliste, delle associazioni sindacali delle imprese e

delle associazioni sindacali dei lavoratori. Tale audizione pubblica,

effettuata in forma o in audizioni separate, ha il fine di reperire informazioni

e di aprire dibattiti su questioni e proposte concernenti i servizi di pubblica

utilità dei settori dell’energia elettrica e del gas.

L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è stata istituita con

la legge 31 luglio 1997, n. 249. Si tratta di un unico organismo con funzioni

di regolamentazione e vigilanza nei settori delle telecomunicazioni,

dell’audiovisivo e dell’editoria. Essa ha una struttura più articolata rispetto

all’AEEG. Sono, infatti, organi dell'Autorità:

- il Presidente,

- la Commissione per le infrastrutture e le reti,

- la Commissione per i servizi e i prodotti.

- il Consiglio.

Ciascuna commissione è organo collegiale costituito dal presidente

dell'Autorità e da due commissari; mentre il Consiglio è costituito dal

presidente e da tutti e quattro i commissari.

Il presidente dell'Autorità è nominato con decreto del Presidente della

Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri d'intesa con

il Ministro delle comunicazioni (oggi Ministro dello sviluppo economico:

art. 1 d.l. 16.5.2008, n. 85). La designazione del nominativo del presidente

dell'Autorità è previamente sottoposta al parere delle competenti

Commissioni parlamentari.

Anche la procedura di nomina dei quattro commissari è più

complessa. Il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati eleggono

due commissari ciascuno, i quali vengono nominati con decreto del

Presidente della Repubblica. Ciascun senatore e ciascun deputato esprime il

voto indicando due nominativi, uno per la commissione per le infrastrutture

e le reti, l'altro per la commissione per i servizi e i prodotti.

Presso l'Autorità opera anche il Consiglio Nazionale degli Utenti,

composto da esperti designati dalle associazioni rappresentative delle varie

categorie degli utenti dei servizi di telecomunicazioni e radiotelevisivi, che,

106

Page 112: r0mano 2014.docx

in piena autonomia, esprime pareri e formula proposte all'Autorità, al

Parlamento, al Governo per la tutela dei diritti dei cittadini in materia di

comunicazione.

L’Agcom ha il compito di assicurare la corretta competizione degli

operatori sul mercato e di tutelare le libertà fondamentali dei cittadini

coinvolte nell’esercizio delle telecomunicazioni. A questi fini la legge

distingue le competenze specifiche di ciascuna Commissione e quelle del

Consiglio. Inoltre, il codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs.

1.8.2003, n. 259) definisce l’Agcom “autorità nazionale di

regolamentazione” e riparte le funzioni tra l’Autorità e l’ex Ministero delle

comunicazioni (art. 7 cod.), oggi trasformato in un Dipartimento del

Ministero dello sviluppo economico.

In sostanza l’Agcom si occupa: dell’attuazione della liberalizzazione

nel settore delle telecomunicazioni, con attività di regolamentazione e

vigilanza e di risoluzione delle controversie; della razionalizzazione delle

risorse nel settore dell’audiovisivo; dell’applicazione della normativa

antitrust nelle comunicazioni e della verifica di eventuali posizioni

dominanti; della gestione del Registro Unico degli Operatori di

Comunicazione; della tutela del diritto d'autore nel settore informatico ed

audiovisivo; della vigilanza sulla qualità e sulle modalità di distribuzione

dei servizi e dei prodotti, compresa la pubblicità; della risoluzione delle

controversie extragiudiziarie tra operatori e utenti; della disciplina del

servizio universale e della predisposizione di norme a salvaguardia delle

categorie disagiate; nonché, ai sensi della legge 22.2.2000, n. 28

(Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le

campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica) della

tutela del pluralismo sociale, politico ed economico nel settore della

radiotelevisione.

Con l'art. 1, comma 1, della legge 24.3.2012, n. 27 è stato modificato

l’art. 37 del d.l. n. 201/2011 istituendo l’Autorità di regolazione dei

trasporti.

L'Autorità è competente nel settore dei trasporti e dell'accesso alle

relative infrastrutture e ai servizi accessori, in conformità con la disciplina

107

Page 113: r0mano 2014.docx

europea e nel rispetto del principio di sussidiarietà e delle competenze delle

regioni, delle Province, delle Città metropolitane e dei Comuni (cioè degli

enti espressione delle autonomie locali).

L'Autorità è organo collegiale composto dal presidente e da due

componenti nominati secondo le stesse procedure viste per l’AEEG.

I componenti dell'Autorità sono scelti, nel rispetto dell'equilibrio di

genere, tra persone di indiscussa moralità e indipendenza e di comprovata

professionalità e competenza nei settori in cui opera l'Autorità.

36. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato - AGCM e la

Commissione nazionale per le società e la borsa - Consob.

Autorità come la AGCM e la Consob, pur tra loro diverse nelle

modalità organizzative e nei poteri esercitati, appaiono essere accomunate

dal fatto di intervenire con compiti di regolazione in settori nevralgici

dell'attuale società italiana.

Così l’ Autorità garante della concorrenza e del mercato - AGCM

(art. 10 legge 10 ottobre 1990, n. 287) ha rilevantissimi poteri non solo di

indagine ma di intervento a tutela dell’interesse pubblico a che l’attività

economica si svolga secondo le regole del libero mercato; si tratta di

assicurare in concreto la libertà d’iniziativa economica favorendo le

condizioni necessarie perché gli operatori economici possano accedere al

mercato e competere tra loro con pari opportunità. In particolare, per

raggiungere tali obiettivi l’AGCM ha poteri in materia di intese restrittive

della concorrenza, in materia di abuso di posizione dominante, e in materia

di operazioni di concentrazione (oggi anche in materia bancaria: art. 19 e

segg. legge 28.12.2005, n. 262). Nell’esercizio di tali competenze l’Autorità

ha importati poteri sanzionatori ed anche poteri di adozione di misure

cautelari (art. 14 bis l.n. 287/90).

Ancora l’AGCM ha competenze in materia di pubblicità ingannevole

e comparativa (D.Lgs. 6.9.2005 n. 206, Codice del consumo), nonché in

materia di conflitto di interessi da parte di titolari di cariche di governo (art.

6 legge 20 luglio 2004, n. 215).

108

Page 114: r0mano 2014.docx

In tema di pubblicità ingannevole, è funzione dell'Autorità, prima

ancora che sanzionare, intervenire a bloccare la divulgazione dei messaggi

pubblicitari ingannevoli, in quanto una simile pubblicità, oltre ad indurre in

errore e quindi di causare un danno al consumatore, provoca anche

distorsioni della concorrenza.

L'Autorità ha anche il compito di giudicare le controversie in materia

di pubblicità comparativa, verificando se sono state soddisfatte le condizioni

di liceità della comparazione pubblicitaria.

Inoltre l’art. 37 bis del codice del consumo (d.lgs. 6.9.2005, n. 206) ha

attribuito all’AGCM la tutela amministrativa contro le clausole vessatorie,

prevedendo che l’Autorità, sentite le associazioni di categoria

rappresentative a livello nazionale e le camere di commercio interessate o

loro unioni, d'ufficio o su denuncia, dichiara la vessatorietà delle clausole

inserite nei contratti tra professionisti e consumatori che si concludono

mediante adesione a condizioni generali di contratto o con la sottoscrizione

di moduli, modelli o formulari.

Infine, il d.l. n. 6.12.2011, n. 201 ha aggiunto alla legge n. 287 del

1990 l’art. 21 bis attribuendo all’Autorità un potere di intervento sugli atti

amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza. Infatti l’art.

21 bis aggiunto alla legge n. 287/1990 stabilisce che l’AGCM è legittimata

ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i

provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a

tutela della concorrenza e del mercato.

Pertanto l'Autorità, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia

emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del

mercato, può emettere, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale

indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se, poi, la pubblica

amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla

comunicazione del parere, l'Autorità può presentare, tramite l'Avvocatura

dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni, trovando applicazione

il rito abbreviato di cui al codice del processo amministrativo.

L'AGCM opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e

di valutazione ed è organo collegiale costituito dal presidente e da due

109

Page 115: r0mano 2014.docx

membri, nominati con determinazione adottata d'intesa dai Presidenti della

Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il Presidente è scelto tra

persone di notoria indipendenza che abbiano ricoperto incarichi istituzionali

di grande responsabilità e rilievo. I due membri sono scelti tra persone di

notoria indipendenza da individuarsi tra magistrati del Consiglio di Stato,

della Corte dei conti o della Corte di cassazione, professori universitari

ordinari di materie economiche o giuridiche, e personalità provenienti da

settori economici dotate di alta e riconosciuta professionalità.

I membri dell'AGCM sono nominati per sette anni e non possono

essere confermati.

La Commissione nazionale per le società e la borsa - Consob è

preposta a vigilare e regolare il corretto andamento del mercato mobiliare e,

insieme alla Banca d’Italia, del settore dell’intermediazione finanziaria.

Istituita con la legge 7 giugno 1974, n. 216, è un'autorità amministrativa

indipendente, dotata di personalità giuridica e di piena autonomia (art. 1

legge 4 giugno 1985, n. 281).

La Commissione è composta da un presidente e da due membri, scelti

tra persone di specifica e comprovata competenza ed esperienza e di

indiscussa moralità e indipendenza, nominati con decreto del Presidente

della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri,

previa deliberazione del Consiglio stesso. Essi durano in carica 5 anni e

possono essere confermati una sola volta.

L’attività della Consob è rivolta alla tutela degli investitori,

all'efficienza, alla trasparenza e allo sviluppo del mercato mobiliare italiano.

Di conseguenza le sue funzioni riguardano tutti gli aspetti rilevanti per

l'efficiente tutela del risparmio, dai prodotti oggetto degli investimenti e

relativi emittenti, agli intermediari dei quali i risparmiatori si avvalgono per

effettuare i loro investimenti ed ai mercati nei quali essi vengono realizzati.

Il controllo sui prodotti finanziari (azioni, obbligazioni, titoli di stato,

quote di fondi comuni di investimento ecc.) si realizza assicurando ai

risparmiatori tutte le informazioni necessarie per effettuare e gestire i propri

investimenti in modo consapevole (controllo di trasparenza).

110

Page 116: r0mano 2014.docx

Il controllo sugli intermediari si realizza con l'emanazione di norme

dirette a proteggere l'investitore da comportamenti scorretti che possano

danneggiarlo (controllo di correttezza).

Il controllo sui mercati si realizza assicurando: la massima efficienza

delle contrattazioni, per consentire all'investitore di negoziare agevolmente i

prodotti finanziari; la qualità dei prezzi, che devono riflettere le effettive

componenti del mercato; l'efficienza e la certezza delle modalità di

esecuzione dei contratti conclusi.

In particolare la Consob:

- regolamenta la prestazione dei servizi di investimento, gli obblighi

informativi delle società quotate e le offerte al pubblico di strumenti

finanziari;

- autorizza la pubblicazione dei prospetti informativi relativi ad offerte

pubbliche di vendita e dei documenti d'offerta concernenti offerte pubbliche

di acquisto; l'esercizio dei mercati regolamentati; le iscrizioni agli Albi;

- vigila sulle società di gestione dei mercati e sulla trasparenza e l'ordinato

svolgimento delle negoziazioni nonché sulla trasparenza e la correttezza dei

comportamenti degli intermediari e dei promotori finanziari;

- sanziona i soggetti vigilati, direttamente o formulando una proposta al

Ministero dell'Economia e delle Finanze;

- controlla le informazioni fornite al mercato dalle società quotate e da chi

promuove offerte al pubblico di strumenti finanziari nonché le informazioni

contenute nei documenti contabili delle società quotate;

- accerta eventuali andamenti anomali delle contrattazioni su titoli quotati e

compie ogni altro atto di verifica di violazioni delle norme in materia di

abuso di informazioni privilegiate (insider trading) e di aggiotaggio su

strumenti finanziari.

37. La COVIP e la CiVIT.

Tra le autorità indipendenti si annoverano anche due particolari

organismi: la COVIP, Commissione di vigilanza sui fondi pensione, che è

un ente dotato di personalità giuridica operante sotto l’alta vigilanza del

111

Page 117: r0mano 2014.docx

Ministero del lavoro e delle politiche sociali e la CiVIT, Commissione

indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle

amministrazioni pubbliche, che oggi opera anche come autorità nazionale

anticorruzione.

La COVIP ha il compito di vigilare sul buon funzionamento del

sistema dei fondi pensione, a tutela degli aderenti e dei loro risparmi

destinati a previdenza complementare (art. 18 d.lgs. 5.12.2005 n. 252).

Inoltre le sono stati attribuiti anche compiti di controllo sugli investimenti

finanziari e sul patrimonio delle Casse professionali private e privatizzate.

La COVIP è composta da un presidente e da due membri, scelti tra

persone dotate di riconosciuta competenza e specifica professionalità nelle

materie di pertinenza della stessa e di indiscussa moralità e indipendenza,

nominati con deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata su proposta

del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro

dell'economia e delle finanze. Il presidente e i commissari durano in carica

quattro anni e possono essere confermati una sola volta.

La Corte dei conti esercita il controllo generale sulla COVIP per

assicurare la legalità e l'efficacia del suo funzionamento e ne riferisce

annualmente al Parlamento.

La CiVIT, Commissione indipendente per la valutazione, la

trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche, è prevista dall’art.

13 del d.lgs. 27.10.2009 n. 150 di attuazione della legge 4 marzo 2009, n.

15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di

efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni (vedi infra p. 151).

È un organo collegiale composto da 3 membri, compreso il Presidente,

scelti tra esperti di elevata professionalità, anche estranei

all'amministrazione con comprovate competenze in Italia e all'estero, sia nel

settore pubblico che in quello privato in tema di servizi pubblici,

management, misurazione della performance, nonché di gestione e

valutazione del personale.

La Commissione opera in posizione di indipendenza di giudizio e di

valutazione e in piena autonomia, in collaborazione con il Dipartimento

della funzione pubblica e con la Ragioneria generale dello Stato, “con il

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Page 118: r0mano 2014.docx

compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all'esercizio indipendente

delle funzioni di valutazione, di garantire la trasparenza dei sistemi di

valutazione, di assicurare la comparabilità e la visibilità degli indici di

andamento gestionale, informando annualmente il Ministro per l'attuazione

del programma di Governo sull'attività svolta.” (art. 13, comma 1, cit.).

L’art. 34 bis del d.l. 18.10.2012, n. 179, conv. con mod. dall'art. 1,

comma 1, l. 17.12.2012, n. 221 (c.d. decreto “cresci Italia”) ha attribuito alla

CiVIT la funzione di autorità nazionale anticorruzione. Per tale ragione

l’art. 34 bis cit. prevede che alla Commissione venga preposto un presidente

nominato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del

Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, del Ministro

della giustizia e del Ministro dell'interno, tra persone di notoria

indipendenza che hanno avuto esperienza in materia di contrasto alla

corruzione e persecuzione degli illeciti nella pubblica amministrazione..

Gli altri due componenti sono nominati, ai sensi dell’art. 13 d.lgs. n.

150/2009, tenuto conto del principio delle pari opportunità di genere, con

decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio

dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e

l'innovazione, di concerto con il Ministro per l'attuazione del programma di

Governo, previo parere favorevole delle Commissioni parlamentari

competenti espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti.

38. La Banca d’Italia.

La Banca d’Italia, inserita nel sistema europeo delle Banche Centrali,

assolve alla vigilanza e regolazione della moneta e del credito ed ha anche

poteri autorizzativi in ordine alle operazioni di acquisizioni e di

concentrazioni bancarie, in collaborazione con AGCM.

La legge 28.12.2005, n. 262 (art. 19) ha modificato la precedente

disciplina che non poneva un termine di durata alla carica di Governatore.

Oggi il Governatore dura in carica sei anni, con la possibilità di un solo

rinnovo del mandato. Inoltre, la nomina non avviene più attraverso i “soci”

della Banca d’Italia, bensì è disposta con decreto del Presidente della

Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa

113

Page 119: r0mano 2014.docx

deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio

superiore della Banca d'Italia.

Il comma 6 dell’art. 19 cit ha anche stabilito che, ad eccezione delle

competenze del Governatore rientranti nelle attribuzioni del Sistema

europeo di banche centrali, sono trasferite al direttorio le competenze ad

adottare i provvedimenti aventi rilevanza esterna fino a ieri rientranti nella

competenza del governatore e quelle relative agli atti adottati su sua delega.

Il Direttorio è costituito dal Governatore, dal Direttore generale e da tre

Vice direttori generali (art. 21 Statuto D.P.R. 12.12.2006).

La Banca d’Italia, dal 1926 unico istituto di emissione, con la legge

bancaria del 1936, in risposta alla crisi di quegli anni, assunse natura di

istituto di diritto pubblico ed il Governatore della Banca d’Italia una

posizione di assoluta centralità nell’ordinamento del credito e del risparmio

e della moneta, con finalità di stabilità del sistema.

Tale ruolo, che esercitava insieme al Ministro del tesoro (oggi

dell’economia e delle finanze) e al Comitato interministeriale per il credito

ed il risparmio, si è mantenuto anche nel dopoguerra fino alla realizzazione

della moneta unica europea e, poi, alla riforma del dicembre del 2005.

In realtà, questa autorità indipendente ante litteram non nasce con

compiti di tutela della concorrenza e del mercato, quanto di tutela della

stabilità della moneta e del sistema bancario, con attribuzione di poteri

amministrativi strumentali al fine di difendere il cambio, contrastare

l’inflazione (area monetaria) ed evitare situazioni di sofferenze (area

bancaria) capaci di dar luogo a nuove crisi degli istituti di credito

destabilizzanti l’intera economia nazionale.

Quanto alla circolazione della moneta, la Banca d’Italia concorre alle

decisioni di politica monetaria attraverso la partecipazione del Governatore

al Consiglio direttivo della Banca centrale europea (BCE) e contribuisce alla

gestione operativa della politica monetaria e agli interventi sul mercato dei

cambi, secondo i principi di decentramento e sussidiarietà stabiliti a livello

europeo.

La Banca d’Italia è istituto di emissione nel senso che concorre alla

produzione del quantitativo di banconote assegnatele e detiene e gestisce le

114

Page 120: r0mano 2014.docx

riserve ufficiali dell’Italia che costituiscono parte integrante delle riserve

dell’Eurosistema, congiuntamente alle riserve di proprietà della Banca

centrale europea (BCE).

Sui mercati internazionali la Banca d’Italia investe le proprie riserve

sia direttamente sia avvalendosi dell’Ufficio italiano dei cambi, in qualità di

ente strumentale.

Quanto al sistema bancario, la Banca d’Italia svolge funzioni vigilanza

informativa, regolamentare ed ispettiva nei confronti delle banche, dei

gruppi bancari e degli intermediari finanziari (società finanziarie, di gestione

del risparmio e di intermediazione mobiliare) che mirano a garantire la sana

e prudente gestione dei soggetti vigilati, la stabilità complessiva, l’efficienza

e la competitività del sistema finanziario, nonché l’osservanza della

normativa in materia creditizia e finanziaria. Nell’esercizio di tali funzioni

la Banca d’Italia dispone di autonoma capacità normativa e di poteri di

intervento e sanzionatori. E’ la Banca d’Italia che propone al Ministro

dell’economia e delle finanze l’adozione dei provvedimenti di

amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa degli

istituti di credito.

Nei comparti della gestione del risparmio e dell’intermediazione

mobiliare le norme vigenti ripartiscono i poteri di controllo fra la Banca

d’Italia e la Consob, attribuendo alla Banca d’Italia la vigilanza sul

contenimento del rischio e sulla stabilità patrimoniale degli intermediari che

operano in questo settore.

Inoltre la Banca d’Italia assolve al servizio di tesoreria centrale dello

Stato, nonché il servizio di tesoreria provinciale dello Stato e degli enti

pubblici soggetti, ex lege n. 720 del 1984, al sistema di tesoreria unica.

Infine, tra le funzioni più rilevanti della Banca d’Italia va ricordata la

gestione del debito pubblico. Infatti compete alla Banca d’Italia

l’organizzazione e la gestione, per conto del Ministero dell’economia e delle

finanze, delle attività concernenti il collocamento e il riacquisto dei titoli

nonché il servizio finanziario del debito.

39. L’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private – IVASS.

115

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All’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse

collettivo – ISVAP è succeduto l’IVASS – Istituto per la vigilanza sulle

assicurazioni, istituito dall’art. 13 del d.l. 6.7.2012 n. 95 (conv. con mod.

con l. 7.8.2012 n. 135).

Il nuovo Istituto, che ha personalità giuridica di diritto pubblico, è

organicamente collegato alla Banca d’Italia, allo scopo di assicurare la piena

integrazione dell'attività di vigilanza assicurativa attraverso un più stretto

collegamento con quella bancaria.

Infatti, sono organi dell’IVASS:

a) il Presidente, che è il direttore generale della Banca d’Italia;

b) il Consiglio composto dal Presidente e da due Consiglieri; e

c) il Direttorio integrato, che è il Direttorio della Banca d’Italia integrato,

ai fini dell'esercizio delle funzioni istituzionali dell'IVASS in materia

assicurativa, dai due componenti il Consiglio dell’IVASS.

I due consiglieri sono scelti tra persone di indiscussa moralità ed

indipendenza oltre che di elevata qualificazione professionale in campo

assicurativo, nominati con decreto del Presidente della Repubblica, previa

delibera del Consiglio dei Ministri, ad iniziativa del Presidente del

Consiglio, su proposta del Governatore della Banca d’Italia e di concerto

con il Ministro dello sviluppo economico. I due consiglieri restano in carica

sei anni, con possibilità di rinnovo per un ulteriore mandato.

L’IVASS opera sulla base di principi di autonomia organizzativa,

finanziaria e contabile, oltre che di trasparenza ed economicità, per garantire

la stabilità e il buon funzionamento del sistema assicurativo e la tutela dei

consumatori.

116

Page 122: r0mano 2014.docx

III.F) L’organizzazione statale per ministeri.

40. La Presidenza del Consiglio dei Ministri. La riforma operata con la

legge 23 agosto 1988 n. 400 e la successiva emanazione del d.lgs. 30

luglio 1999 n. 303.

La legge 23.8.1988 n. 400 sull’ordinamento della Presidenza del

Consiglio dei Ministri può essere presa a riferimento come un momento

importante della modernizzazione delle strutture politico amministrative

dello Stato. Essa, sostituendo leggi risalenti all’ottocento (l. 12.2.1888 n.

5195) regola in modo più ordinato e preciso i rapporti tra Consiglio dei

Ministri, Presidente del Consiglio, Ministri.

In questa legge, che sarà poi modificata ed integrata dalle leggi

successive, troviamo definite le figure:

del Consiglio di Gabinetto, come comitato facoltativo che il

Presidente del Consiglio può costituire per coadiuvarlo nello

svolgimento delle proprie funzioni di direzione della politica

generale del Governo e di coordinamento dell’attività dei ministri al

fine di mantenere l’unità di indirizzo politico ed amministrativo (art.

95, co. 1, Cost.); i membri del Gabinetto sono i ministri designati

dallo stesso Presidente, sentito il Consiglio dei ministri (art. 6 l.

n.400/1988);

dei comitati di ministri (usualmente con funzioni istruttorie12) e dei

comitati interministeriali (da istituire per legge);

dei Vicepresidenti del Consiglio (figura facoltativa);

dei Ministri senza portafoglio, con incarichi speciali di governo, con

incarichi di reggenza ad interim13;

12 D.P.C.M. 10 novembre 1993. Regolamento interno del Consiglio dei Ministri. “Art. 2. 1. Ferme restando le competenze del Consiglio dei Ministri e dei comitati interministeriali previsti per legge, il Presidente del Consiglio può deferire l'esame di singole questioni ad un comitato di Ministri, informandone il Consiglio dei Ministri. 2. Possono partecipare ai lavori del Comitato anche Sottosegretari, delegati ovvero espressamente autorizzati dal Presidente del Consiglio, per sostituire o coadiuvare i rispettivi Ministri. 3. Il Comitato comunica le proprie conclusioni al Presidente del Consiglio.”.13 L.n. 400/1988: Art. 9. Ministri senza portafoglio, incarichi speciali di Governo, incarichi di reggenza ad interim.

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Page 123: r0mano 2014.docx

dei Sottosegretari di Stato.

La legge n. 400/88, inoltre, nel riordinare la Presidenza del Consiglio

aveva anche affrontato il problema del coordinamento tra Stato e Regioni

istituendo la già ricordata Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,

le regioni e le province autonome (art.12), le cui competenze sono state poi

potenziate dalle successive leggi, accentuando il ruolo della Conferenza

stessa nei rapporti Stato-Regione.

Già nella legge n. 400/88 l’organizzazione interna della Presidenza del

Consiglio viene imperniata sul Segretario generale della P.C.M., struttura

che viene mantenuta anche dal d.lgs. n. 303 del 1999, e su una serie di

dipartimenti, alcuni dei quali affidati a Ministri senza portafoglio

(attualmente nel Governo Monti: 1) per gli Affari europei; 2) per gli Affari

regionali, turismo e sport; 3) per la Coesione territoriale; 4) per i Rapporti

con il Parlamento; 5) per la Cooperazione internazionale e l’integrazione; 6)

per la Pubblica amministrazione e la semplificazione).

41. La riforma dell'organizzazione amministrativa statale nella legge 24

dicembre 1993 n. 537. I comitati interministeriali.

Un altro importante momento della riforma degli apparati statali è

costituito dalla legge 24.12.1993 n. 537. Questa legge merita di essere

ricordata in quanto le linee da essa indicate appaiono ancora attuali e sono

state sviluppate dalla legislazione successiva fino ai nostri giorni con i

decreti legge “salva Italia” del Governo Monti.

1. All'atto della costituzione del Governo, il Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, può nominare, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ministri senza portafoglio, i quali svolgono le funzioni loro delegate dal Presidente del Consiglio dei ministri sentito il Consiglio dei ministri, con provvedimento da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale. 2. Ogni qualvolta la legge o altra fonte normativa assegni, anche in via delegata, compiti specifici ad un Ministro senza portafoglio ovvero a specifici uffici o dipartimenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, gli stessi si intendono comunque attribuiti, rispettivamente, al Presidente del Consiglio dei Ministri, che può delegarli a un Ministro o a un Sottosegretario di Stato, e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

3. Il Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dei ministri, può conferire ai ministri, con decreto di cui è data notizia nella Gazzetta Ufficiale, incarichi speciali di Governo per un tempo determinato.

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La legge n. 537 del 1993, per la riforma ha previsto deleghe

legislative: a) per riordinare, sopprimere e fondere i Ministeri e le

amministrazioni autonome; b) per istituire organismi indipendenti per la

regolazione dei servizi di rilevante interesse pubblico e per attribuire

funzioni omogenee a nuove persone giuridiche; c) per riordinare i servizi

tecnici nazionali operanti presso la presidenza del Consiglio (cfr. art. 1,

comma 1, l.n. 537/93).

Non meno importante è stata la previsione, tra i criteri della delega

legislativa, della attribuzione di potestà regolamentari al Governo in

importanti materie relative all’organizzazione (vedi art. 1, comma 2, lett. l),

operando un più ampia delegificazione.

La legge n. 537/93, ribadendo la separazione tra politica ed

amministrazione (e, quindi, tra organi di indirizzo politico-amministrativo e

di verifica dei risultati ed organi di direzione e gestione amministrativa), ha

proseguito l’opera di riduzione degli apparati statali.

La legge n. 537/93, infatti, si segnala per:

Il riordinamento dei comitati interministeriali. La legge sopprime

molti comitati (art. 1, comma 24) tra i quali il CIP, il CIPI ed il

CIPES e, quindi, fissati i principi del riordino rinvia alla fonte

regolamentare per il riordino della materia (art. 1,comma 24). Così,

col d.P.R. 20.4.1994 n. 373, le residue competenze dei soppressi

comitati interministeriali sono state devolute ai singoli ministeri

ratione materiae, ovvero al CIPE, quando permaneva la necessità di

un esercizio collegiale della funzione. Sono restati in funzione il

CIPE – Comitato Interministeriale per la Programmazione

Economica e il CICR – Comitato Interministeriale per il Credito e il

Risparmio.

Il Comitato Interministeriale per la Programmazione

Economica (CIPE) è un organo collegiale del Governo presieduto

dal Presidente del Consiglio dei Ministri e composto dai c.d. Ministri

economici14. Svolge la funzione di Segretario del CIPE il Ministro 14 Gli 11 Ministri membri permanenti sono:il Ministro dell'economia e delle finanze (Vice Presidene); il Ministro degli affari esteri; il Ministro dello sviluppo economico, infrastrutture e trasporti; il Ministro del lavoro e delle politiche sociali;

119

Page 125: r0mano 2014.docx

per la coesione territoriale. Istituito nel 1967, all’epoca delle leggi di

programmazione economica nazionale, al CIPE vengono riservate una

serie di funzioni di indirizzo della politica economica e di

coordinamento e indirizzo generale in materia di intese istituzionali

di programma e di programmazione negoziata. Dunque è un

importante organo di decisione politica in ambito economico e

finanziario, alloca le risorse finanziarie a programmi e progetti di

sviluppo; approva le principali iniziative di investimento pubblico

del Paese.

Il Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio

(CICR) svolge funzioni di alta vigilanza in materia di credito e di

tutela del risparmio. Inoltre nella regolamentazione dell’attività delle

banche e degli altri intermediari finanziari disciplinati dal Testo

unico bancario, il CICR delibera, su proposta della Banca d’Italia, i

principi ed i criteri per l’esercizio della vigilanza. Compongono il

CICR: il Ministro dell’Economia e delle Finanze – Presidente; il

Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali; il Ministro

dello Sviluppo Economico; il Ministro delle Infrastrutture e dei

Trasporti; il Ministro per le Politiche Europee.

Alle riunioni del Comitato partecipa, senza diritto di voto, il

Governatore della Banca d’Italia. Inoltre, in relazione alla trattazione

di argomenti attinenti alle rispettive competenze, il Presidente può

il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali; il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;il Ministro per i beni e attività culturali; il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca; il Ministro per gli affari europei; il Ministro per gli affari regionali, turismo e sport; il Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province Autonome.Partecipano alle riunioni del Comitato: il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; il Ragioniere Generale dello Stato; il Governatore della Banca d'Italia; il Presidente dell'ISTAT.Su invito del Presidente, possono essere chiamati a partecipare alle sedute del CIPE anche: i Ministri non appartenenti al CIPE nelle cui competenze siano comprese le materie oggetto delle proposte iscritte all'ordine del giorno; ivertici di istituzioni ed enti pubblici in relazione agli argomenti all'ordine del giorno; i rappresentanti di Regioni e Province, quando, ad esempio, siano iscritti all'ordine del giorno argomenti relativi ad opere infrastrutturali previste dalla legge 443/2001 (c.d. legge obiettivo); il Segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

120

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invitare a prendere parte a singole riunioni del Comitato, a fini

consultivi, altri Ministri o i Presidenti di altre Autorità di vigilanza.

A questi due importanti comitati vanno aggiunti altri comitati di

più recente istituzione come: 1) il Comitato interministeriale per la

sicurezza della Repubblica (CISR); 2) il Comitato

interministeriale per la prevenzione e il contrasto della

corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione; e 3) il

Comitato interministeriale per le politiche urbane (CIPU).

1) Il Comitato interministeriale per la sicurezza della

Repubblica (CISR) è stato istituito dall’art. 5 della l. 3.8.2007 n.

124 con funzioni di consulenza, proposta e deliberazione sugli

indirizzi e sulle finalità generali della politica dell’informazione per

la sicurezza. In tale ambito esso elabora gli indirizzi generali e gli

obiettivi fondamentali da perseguire nel quadro della politica

dell’informazione per la sicurezza, delibera sulla ripartizione delle

risorse finanziarie tra il Dipartimento delle informazioni per la

sicurezza (DIS) e i servizi di informazione per la sicurezza e sui

relativi bilanci preventivi e consuntivi. Il Comitato è presieduto dal

Presidente del Consiglio dei Ministri ed è composto dal Ministro

degli affari esteri, dal Ministro dell’interno, dal Ministro della difesa,

dal Ministro della giustizia, dal Ministro dell'economia e delle

finanze e dal Ministro dello sviluppo economico. Inoltre il

Presidente può chiamare a partecipare alle sedute del Comitato,

anche a seguito di loro richiesta, senza diritto di voto, altri Ministri, i

direttori dell’AISE (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) e

dell’AISI (Agenzia informazioni e sicurezza interna), nonché altre

autorità civili e militari di cui di volta in volta sia ritenuta necessaria

la presenza in relazione alle questioni da trattare.

2) Il Comitato interministeriale per la prevenzione e il

contrasto della corruzione e dell'illegalità nella pubblica

amministrazione, ha il compito di elaborare e adottare le linee di

indirizzo cui si deve attenere il Dipartimento per la funzione

pubblica nella attività anticorruzione. Detto Comitato, è stato

121

Page 127: r0mano 2014.docx

previsto dall’art. 1 della legge 6.11.2012 n. 190 che ne ha demandato

l’istituzione e la disciplina del comitato ad un decreto del Presidente

del Consiglio dei Ministri. Con D.P.C.M. 16 gennaio 2013 si è

istituito detto Comitato interministeriale anticorruzione, composto

dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che lo presiede, dal

Ministro per la pubblica amministrazione e per la semplificazione,

dal Ministro della giustizia e dal Ministro dell'interno. In caso di

assenza del Presidente del C.M., il Comitato è presieduto dal

Ministro per la pubblica amministrazione e per la semplificazione.

Anche per tale Comitato viene inoltre previsto che, su invito del

Presidente, possono essere chiamati a partecipare alle riunioni del

Comitato i Ministri non appartenenti al Comitato stesso, il Primo

Presidente e il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte

di cassazione, il Presidente del Consiglio di Stato, il Presidente ed il

Procuratore Generale della Corte dei conti, il Procuratore Nazionale

Antimafia, il Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei

Ministri, il Capo del Dipartimento della funzione pubblica e, in

relazione agli argomenti all'ordine del giorno, i dirigenti pubblici, i

vertici di istituzioni ed enti pubblici, i rappresentanti delle Regioni,

delle Province e dei Comuni. Si ritiene che tali partecipanti non

abbiano diritto di voto in sede di adozione delle linee di indirizzo.

3) Il Comitato interministeriale per le politiche urbane (CIPU)

è stato istituito dall’art. 12-bis del d.l. 22.6.2012, n. 83 conv. con

mod. dall'art. 1, co. 1 della l. 7.8.2012, n. 134 (Misure urgenti per la

crescita del Paese). Il Comitato, nella prospettiva della crescita,

dell'inclusione sociale e della coesione territoriale, ha lo scopo di

coordinare le politiche urbane attuate dalle amministrazioni centrali

interessate e di concertarle con le regioni e con le autonomie locali.

Esso è presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal

Ministro delegato ed è composto dal Ministro per la coesione

territoriale, dal Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport,

dal Ministro dell'interno, dal Ministro dell'economia e delle finanze,

dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, dal Ministro dello

122

Page 128: r0mano 2014.docx

sviluppo economico, dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti,

dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dal

Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Inoltre,

alle riunioni del CIPU partecipano anche i Ministri aventi

competenza sulle materie oggetto dei provvedimenti e delle

tematiche inseriti all'ordine del giorno (si ritiene con diritto di voto),

nonché un rappresentante delle regioni e delle province autonome di

Trento e di Bolzano, un rappresentante delle province e un

rappresentante dei comuni, nominati dalla componente

rappresentativa delle autonomie territoriali nell'ambito della

Conferenza unificata. Poiché la materia urbanistica coinvolge le

competenze legislative regionali e quelle amministrative comunali e

provinciali l’art. 12-bis cit. precisa che il CIPU svolge i propri

compiti nel rispetto delle competenze attribuite dalla Costituzione e

dalla legge al Consiglio dei Ministri, alla Conferenza permanente per

i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e

di Bolzano e alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

Il riordinamento degli organi collegiali dello Stato, con la

soppressione di molti di essi. Anche in questo caso l’art. 1, comma

28, fissati i principi, delegifica rinviando ai regolamenti. Su tale base

legislativa il d.P.R. 9.5.1994 n. 608, ha: 1) soppresso numerosissimi

organi collegiali (vedi elenco tab. A); 2) sostituito altri organi

collegiali con “conferenze di servizi”, a carattere temporaneo (v.

elenco tab. B); 3) ridotto il numero dei componenti di molti organi

collegiali mantenuti in vita (vedi elenco tab. C); 4) eliminato da

alcuni organi collegiali la presenza dei rappresentanti sindacali o di

categoria (vedi tab. D); 5) trasferito ai dirigenti amministrativi una

serie di funzioni prima di competenza dei soppressi organi collegiali.

Tale linea di interventi di riduzione e snellimento è proseguita nella

legislazione successiva, investendo anche un organo a rilevanza

costituzionale come il CNEL che si è visto ridurre il numero dei

componenti dall’art. 23, comma 8, lett. a), del d.l. 6.12.2011 n. 201,

nel testo integrato dalla legge di conversione 22.12.2011, n. 214.

123

Page 129: r0mano 2014.docx

La previsione di una delega - esercitata con il d.lgs. 30.6.1994, n.

479 - per il riordino degli enti pubblici previdenziali ed assistenziali

(art. 1, comma 32). Riordino proseguito dalle successive leggi. Così,

da ultimo, con l’art. 7 del d.l. 31.5. 2010, n. 78 conv. con mod. in l.

30.7.2010 n. 122, sono stati soppressi l'Istituto di previdenza per il

settore marittimo -IPSEMA e l'Istituto per la prevenzione e la

sicurezza del lavoro - ISPESL attribuendo le relative funzioni

all'INAIL - Istituto Nazionale Assicurazione contro gli Infortuni sul

Lavoro . Inoltre, per effetto del d.l. 6.12.2011 n. 201 (c.d. "decreto

salva Italia"), poi conv. con mod. in l. 27.12.2011 n. 214 dal 1°

gennaio 2012 sono stati soppressi l'Istituto nazionale di previdenza

per i dipendenti dell'amministrazione pubblica - INPDAP e l' Ente

Nazionale di Previdenza e di Assistenza per i Lavoratori dello

Spettacolo e dello Sport Professionistico - ENPALS confluiti

nell’INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.

Si tratta di riforme che mirano tutte a rendere più snella, efficiente e

flessibile l’organizzazione degli apparati amministrativi statali al fine di

rendere più agile l’attività amministrativa, secondo un disegno coerente che

passa anche attraverso una riforma delle modalità di adozione degli atti

amministrativi, come quella operata, sempre negli anni novanta, con la

legge 12.1.1991, n. 13 che ha drasticamente ridotto gli atti amministrativi da

adottarsi nella forma del d.P.R. (vedi art. 2) a favore di forme più snelle

come il d.P.C.M. e il d.M. .

42. Il decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 300 sull’organizzazione

ministeriale.

La tappa fondamentale nell’iter di riforma dell’organizzazione

amministrativa degli anni novanta dello scorso secolo è costituita dal d.lgs.

30 luglio 1999 n. 300.

Il decreto legislativo n. 300/99, emanato in attuazione della delega

disposta con l'articolo 11, comma 1, lett. a) della legge n. 59/97 (mod.

dall'art. 1 della legge 16.6.1998, n. 191 e dall'art. 9 della legge 8.3.1999, n.

50), detta norme per la razionalizzazione, il riordino, la soppressione e la

124

Page 130: r0mano 2014.docx

fusione di ministeri, l'istituzione di agenzie ed il riordino

dell'amministrazione periferica dello Stato.

Significativamente, già al secondo comma dell’art. 1, il d.lgs.

conferma la volontà di riordinare l’apparato statale all’insegna del principio

di sussidiarietà e delle autonomie locali, statuendo, con una norma di

interpretazione, che “in nessun caso” le norme del decreto possono essere

interpretate nel senso della attribuzione allo Stato, alle sue amministrazioni

o ad enti pubblici nazionali, di funzioni e compiti trasferiti, delegati o

comunque attribuiti alle regioni, agli enti locali e alle autonomie funzionali

dalle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore del decreto stesso,

ovvero da conferire ai sensi dei decreti legislativi emanati in attuazione della

legge 15 mano 1997, n. 59.

Ridurre il numero dei dicasteri, in presenza di coalizioni di governo

non è obiettivo politicamente facile da realizzare. La riforma del 1999 ne

rinviava l’entrata in vigore alla legislatura successiva. Va, poi, segnalato che

l’originario indirizzo volto a ridurre il numero dei ministeri a 12 è stato nella

legislatura successiva abbandonato con le modifiche apportate nel 2001, che

hanno portato a 14 il numero dei ministeri (d.l. 12.6.2001 n. 217). Nella

legislatura ancora successiva (Governo Prodi) si è proceduto al c.d.

“spacchettamento” dei ministeri, portandoli a ben 18 (d.l. 18.5.2006, n. 181

conv. con mod. in l. 17.7.2006, n. 233), con innumerevoli vice ministri e

sottosegretari, anche se, in extremis, con i commi 376 e 377 dell’art. 1 della

legge finanziaria 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244) si è stabilito che:

“A partire dal Governo successivo a quello in carica alla data di entrata in vigore della presente legge, il numero dei Ministeri è stabilito dalle disposizioni di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, nel testo pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 203 del 30 agosto 1999. Il numero totale dei componenti del Governo a qualsiasi titolo, ivi compresi ministri senza portafoglio, vice ministri e sottosegretari, non può essere superiore a sessanta e la composizione del Governo deve essere coerente con il principio stabilito dal secondo periodo del primo comma dell’articolo 51 della Costituzione.”.

Nella attuale legislatura (col Governo Monti) si sono ridotti

nuovamente i ministeri con portafoglio, che sono 13. Pertanto attualmente i

ministeri sono i seguenti:

125

Page 131: r0mano 2014.docx

1) Ministero degli affari esteri;

2) Ministero dell'interno;

3) Ministero della giustizia;

4) Ministero della difesa;

5) Ministero dell'economia e delle finanze;

6) Ministero dello sviluppo economico;

7) Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;

8) Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

9) Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

10) Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

11) Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

12) Ministero per i beni e le attività culturali;

13) Ministero della salute.

Ovviamente vanno aggiunti i ministri senza portafoglio (cioè privi di

ministero, che utilizzano le strutture della Presidenza del Consiglio dei

ministri e che attualmente sono sei: Affari europei; Affari regionali, turismo

e sport; Coesione territoriale; Rapporti con il Parlamento; Cooperazione

internazionale e integrazione; Pubblica amministrazione e semplificazione).

Il d.lgs. n. 300 del 1999:

distingue le attribuzioni che i ministeri curano attraverso la propria

organizzazione (che riguardano funzioni più propriamente

amministrative), da quelle che, invece, i ministeri realizzano per mezzo

delle Agenzie, che sono definite dalla legge come strutture che svolgono

attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, in passato

esercitate dai ministeri e da enti pubblici nazionali (art. 8, comma 1);

organizza la gran parte dei ministeri su strutture di primo livello

costituite dai Dipartimenti (restando gli altri ministeri organizzati in

Direzioni generali). I dipartimenti, che sono al loro interno articolati in

“unità di gestione”, sono definiti come strutture di primo livello

costituite per assicurare l'esercizio organico ed integrato delle funzioni

del ministero. Le attribuzioni dei Ministeri organizzati per dipartimenti,

126

Page 132: r0mano 2014.docx

infatti, vengono dal decreto fissate secondo aree funzionali (cfr. artt. 24,

28, 33, 42, 46, 47-ter, 50 e 53) ed i dipartimenti corrispondono ad

almeno una (o più) aree funzionali. Ai dipartimenti sono attribuiti

compiti finali concernenti grandi aree di materie omogenee ed i relativi

compiti strumentali (ivi compresi i compiti di indirizzo e coordinamento

delle unità di gestione, i compiti di organizzazione e quelli di gestione

delle risorse strumentali, finanziarie ed umane attribuite ai dipartimenti

stessi);

mantiene, accanto ai Dipartimenti (ovvero alle Direzioni generali), degli

Uffici di diretta collaborazione con il Ministro (art. 7), disciplinati

mediante regolamenti, che servono al Ministro (ed ai Sottosegretari di

Stato e ai “vice ministri”) per svolgere le funzioni assegnate al personale

politico dal d.lgs. n. 165/2001 (vedi in particolare l’art. 14, comma 2,

primo periodo), secondo il principio della distinzione tra direzione

politica (che si sostanzia nei poteri di indirizzo – indicazione degli

obiettivi – vigilanza sui risultati), spettante al Ministro e direzione e

gestione amministrativa, spettante ai dirigenti ministeriali;

riorganizza l’amministrazione periferica dello Stato trasformando le

prefetture in “Prefetture - Uffici territoriali del Governo” (art. 11) ai

quali è preposto un Prefetto. Le Prefetture - uffici territoriali del governo

hanno tutte le funzioni di competenza delle vecchie prefetture,

assumono quelle ad essi assegnate dal decreto e, in generale, sono

titolari di tutte le attribuzioni dell'amministrazione periferica dello Stato

non espressamente conferite ad altri uffici (ad esclusione degli organi

periferici dei ministeri degli AA.EE., della giustizia, della difesa, del

tesoro, della pubblica istruzione e dei beni e delle attività culturali),

secondo quanto il d.lgs. prevede verrà specificamente previsto tramite

regolamenti governativi.

43. I dipartimenti.

Si è già detto della articolazione di alcuni ministeri per dipartimenti,

definiti come strutture di primo livello costituite per assicurare l'esercizio

organico ed integrato delle funzioni del ministero.

127

Page 133: r0mano 2014.docx

Per realizzare il fine della massima flessibilità organizzativa, i

dipartimenti vengono previsti dal decreto solo nel loro numero massimo , di

norma pari al numero di aree funzionali presenti in ciascun ministero (che

vanno dalle 2 aree del Ministero delle politiche agricole alimentari e

forestali alle 5 aree funzionali del Ministero dell’economia e delle finanze),

mentre la loro effettiva costituzione viene demandata ai regolamenti

governativi, fonte come è noto più flessibile rispetto alla legge. Invece,

all'individuazione degli uffici di livello dirigenziale non generale di ciascun

ministero e alla definizione dei relativi compiti, nonché la distribuzione dei

predetti uffici tra le strutture di livello dirigenziale generale, si provvede con

decreto ministeriale di natura non regolamentare.

L'incarico di “Capo del dipartimento” viene conferito, in conformità

alle disposizioni di cui all'articolo 19, comma 3, del d.lgs. 30 marzo 2001 n.

165, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del

Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, a dirigenti della

prima fascia dei ruoli dirigenziali ovvero può essere conferito, entro il limite

del 10 % della dotazione organica, anche con contratto a tempo determinato,

a persone esterne in possesso delle specifiche qualità professionali richieste

dal comma 6 dell’art. 19 cit.15.

Il capo del dipartimento svolge compiti di coordinamento, direzione e

controllo degli uffici di livello dirigenziale generale compresi nel

dipartimento stesso, al fine di assicurare la continuità delle funzioni

dell'amministrazione ed è responsabile dei risultati complessivamente

raggiunti dagli uffici da esso dipendenti, in attuazione degli indirizzi del

ministro.

Dal Capo del dipartimento dipendono funzionalmente gli uffici di

livello dirigenziale generale compresi nel dipartimento stesso.

15 E cioè “...a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, ... con esperienza acquisita per almeno un quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni scientifiche o da concrete esperienze di lavoro maturate, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi, in posizioni funzionali previste per l'accesso alla dirigenza, o che provengano dai settori della ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli avvocati e procuratori dello Stato.”(art. 19, comma 6, d.lgs. 165/2001).

128

Page 134: r0mano 2014.docx

Nell'esercizio dei poteri ad esso spettanti il Capo del dipartimento:

a) determina i programmi per dare attuazione agli indirizzi del ministro;

b) alloca le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili per

l'attuazione dei programmi secondo princìpi di economicità, efficacia ed

efficienza, nonché di rispondenza del servizio al pubblico interesse;

c) svolge funzioni di propulsione, di coordinamento, di controllo e di

vigilanza nei confronti degli uffici del dipartimento;

d) promuove e mantiene relazioni con gli organi competenti dell'Unione

Europea per la trattazione di questioni e problemi attinenti al proprio

dipartimento;

e) adotta gli atti per l'utilizzazione ottimale del personale secondo criteri di

efficienza, disponendo gli opportuni trasferimenti di personale all'interno del

dipartimento;

44. Le Direzioni generali ed il Segretario Generale.

Nei ministeri organizzati in dipartimenti, il coordinamento è realizzato

appunto attraverso il dipartimento stesso, quale struttura preposta ad una

intera area funzionale; di conseguenza nei ministeri organizzati per

dipartimenti non può ricorrersi alla nomina di un Segretario generale.

Invece, può essere istituita la figura del Segretario generale nei ministeri che

conservano l’organizzazione per direzioni generali come strutture di primo

livello (art. 6 d.lgs. n. 300/99).

Infatti, in quest’ultimo caso la maggiore frammentazione delle

strutture ministeriali di primo livello (si consideri che sono previste fino a

11 direzioni generali per il Ministero della difesa e fino a dieci uffici

dirigenziali generali centrali e diciassette uffici dirigenziali generali

periferici per il Ministero per i beni e le attività culturali, nonché fino a 20

direzioni generali per il Ministero degli affari esteri) e la mancanza di

strutture per aree funzionali rende necessario, ai fini di una maggiore

efficienza, prevedere un coordinamento generale affidato al personale

amministrativo (in passato, invece, una simile figura era osteggiata nel

timore che attribuire un siffatto potere ad un componente del personale

129

Page 135: r0mano 2014.docx

burocratico potesse alterare i rapporti tra personale politico e personale

dirigenziale).

Il Segretario generale opera alle dirette dipendenze del Ministro,

assicura il coordinamento dell’azione amministrativa, provvede

all'istruttoria per l'elaborazione degli indirizzi e dei programmi di

competenza del Ministro, coordina gli uffici e le attività del Ministero,

vigila sulla loro efficienza e rendimento e ne riferisce periodicamente al

Ministro (art.6).

45. Le Agenzie.

Le Agenzie sono disciplinate in via generale dagli artt. 8 e 9 del d.lgs.

300/1999 come strutture che svolgono attività a carattere tecnico-operativo

di interesse nazionale ed hanno il compito di operare “ …a servizio delle

amministrazioni pubbliche, comprese anche quelle regionali e locali”(art. 8,

comma 116).

Le Agenzie sono di regola prive di personalità giuridica e quindi

fanno capo alla persona giuridica Stato e, nell’ambito dello Stato persona, ai

Ministeri cui afferiscono. Il d.lgs. 300/99, però, accorda alle Agenzie piena

autonomia nei limiti stabiliti dalla legge e prevede che siano ordinate

secondo statuti emanati con regolamenti governativi e siano rette da un

Direttore Generale, nominato all’incarico con le medesime modalità

previste per l’incarico di Capo del dipartimento.

Il decreto prevede, inoltre, che le Agenzie siano sottoposte ai poteri di

indirizzo e di vigilanza del Ministro cui afferiscono17 e al controllo

successivo della Corte dei conti sulla gestione del bilancio e del

patrimonio (cioè il tipo di controllo previsto dall’art. 3, comma 4, l.n.

20/94).

Il d.lgs. n. 300/99 attribuisce ad alcune particolari Agenzie la

personalità giuridica. In questo modo si è pienamente verificata una

16 Art. 8, comma 1, d.lgs. n. 300/1999: “1. Le agenzie sono strutture che, secondo le previsioni del presente decreto legislativo, svolgono attività a carattere tecnico-operativo di interesse nazionale, in atto esercitate da ministeri ed enti pubblici. Esse operano al servizio delle amministrazioni pubbliche, comprese anche quelle regionali e locali.”.17 O di tutti i Ministri cui afferiscono, come accade per l’Agenzia per l’Italia digitale.

130

Page 136: r0mano 2014.docx

trasformazione del precedente ufficio statale in un nuovo ente pubblico. Nei

confronti di tali Agenzie con personalità giuridica il Ministro è titolare dei

poteri di indirizzo politico di cui agli artt. 4 e 14 d.lgs. n. 165/2001 e assume

la relativa responsabilità.

Sono Agenzie ordinarie: l’Agenzia dei trasporti terrestri e delle

infrastrutture, operante presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti

(art. 44) e l’ Agenzia per la formazione e l'istruzione professionale (art. 88).

Hanno personalità giuridica: l’Agenzia Industrie Difesa, posta sotto la

vigilanza del Ministro della difesa ed avente il compito di gestire le attività

delle unità produttive ed industriali della difesa (art. 22). Questa Agenzia è

oggi disciplinata dall’art. 48 del d.lgs. 15.3.2010 n. 66, Codice dell'ordina

mento militare, come modificato dal dall'art. 1, comma 1, lett. e), del d.lgs.

24.2.2012, n. 20, e le Agenzie fiscali, che operano nell’ambito

dell’amministrazione delle finanze (art. 61 d.lgs. n. 300/1999).

Le Agenzie fiscali sono tre:

l’Agenzia delle entrate;

l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, nuova denominazione della

precedente Agenzia delle dogane che, in applicazione del d.l.

6.7.2012, n. 95, dal 1° dicembre 2012 ha incorporato l’Ammini

strazione Autonoma dei Monopoli di Stato, assumendo la nuova

denominazione di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli; e

l’Agenzia del demanio, che non solo ha la personalità giuridica

pubblica, ma è ente pubblico economico (art. 61, comma 1, d.lgs. n.

300/1999).

III.G) Gli organi ausiliari.

46. L’indipendenza del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.

La posizione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, come

organi ausiliari del Governo ma indipendenti dal Governo (sia come

collegio che come singolo componente), risulta dalla interpretazione

sistematica dell’art. 100 Cost. (vedi, da un lato, la denominazione della Sez.

III del Titolo III Cost., e, dall’altro lato, il disposto del terzo comma dell’art.

100 Cost.). Trattandosi di organi ausiliari composti da magistrati e che

131

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svolgono il loro ruolo il primo attraverso l’esercizio della funzione di

consulenza giuridico amministrativa (comma 1) ed il secondo attraverso

l’esercizio della funzione di controllo giuridico (comma 2), appare evidente

come l’indipendenza che la Costituzione assicura ai due organi risponde ad

una logica “garantista” (garantire la legalità dell’azione amministrativa e,

quindi, la libertà del cittadino nei confronti dell’Autorità dello Stato).

Si mira a dotare l’Amministrazione Pubblica di due organi

indipendenti che assicurino la conformità alla legge degli atti

amministrativi, il Consiglio di Stato attraverso pareri preventivi sulla

conformità al diritto degli atti amministrativi che si intende adottare, la

Corte dei conti attraverso un controllo giuridico “preventivo di legittimità”

sugli stessi dopo la loro adozione ma prima della loro efficacia.

I due organi svolgono la propria attività rispettivamente di consulenza

giuridica amministrativa e di controllo, innanzi tutto verso lo Stato, ma

anche verso le altre pubbliche amministrazione e, in particolare, verso le

Regioni.

47. Il Consiglio di Stato.

Come è noto, i pareri possono essere: facoltativi, quando la legge non

prevede l’obbligo per l’Amministrazione di richiederli, ma vengono chiesti

spontaneamente dalla P.A.; obbligatori, quando la legge obbliga la P.A. a

richiederli, ma non anche a seguirli, potendo la stessa discostarsi da essi

quando non li condivide, sia pure motivandone le ragioni; vincolanti,

quando la legge impone alla P.A. sia di richiederli che di attenersi ad essi; e

semi vincolanti, quando la legge prevede il parere come vincolante e tuttavia

stabilisce una procedura rafforzata che consente alla P.A. di discostarsi dal

parere18.

18 E’ da sottolineare che la possibilità per le Amministrazioni di non condividere il parere facoltativo od obbligatorio e, quindi, di discostarsene nell’adozione del provvedimento, non rende irrilevanti tali pareri in quanto comporta la necessità di una adeguata motivazione delle ragioni di tale decisione. Nel caso del parere vincolante, invece, l’A. deve seguire il parere anche se non dovesse condividerlo.

132

Page 138: r0mano 2014.docx

Devono, ancora, distinguersi i pareri tecnici, attraverso i quali viene

acquisita una valutazione fondata su regole scientifiche, da quelle mediche a

quelle ingegneristiche, dai pareri giuridici.

La funzione consultiva del Consiglio di Stato come consulenza

“giuridico-amministrativa”, mirante alla “tutela della giustizia

nell’amministrazione” piuttosto che alla cura dello specifico interesse

pubblico perseguito dal singolo ramo dell’Amministrazione statale agente,

risalta dall’analisi del primo comma dell’art. 100, se si considera che il

richiamo alla “giustizia” ( il Consiglio di Sato viene definito “organo…di

tutela della giustizia nell’amministrazione”) sembra riguardare appunto

l’attività consultiva e non già l’attività giurisdizionale del Consiglio di Stato,

che è estranea all’art. 100, essendo prevista e disciplinata in un altro

articolo, l’art. 103, facente parte di un altro titolo, il titolo IV della

Costituzione.

Le Sezioni consultive del Consiglio di Stato sono le Sezioni I, II e III

e VII, quest’ultima istituita dall’art. 17, co. 28, della legge 15.5.1997 n. 127,

mentre le Sezioni IV, V e VI sono giurisdizionali (ma, in base alla

normativa attualmente in vigore, all’inizio di ciascun anno giudiziario il

Presidente del Consiglio di Stato può assegnare funzioni giurisdizionali

anche ad altre Sezioni, e ciò avviene per la Sez. III, che svolge entrambe le

funzioni).

I pareri vengono espressi dall’Adunanza Generale, dalle singole

Sezioni consultive e dalle Commissioni speciali. È, infatti, in facoltà del

Presidente, quando il Consiglio sia chiamato a dar parere sopra affari di

natura mista o indeterminata, di formare Commissioni speciali,

scegliendone i consiglieri nelle sezioni.

L’influsso della nuova visione dell’organizzazione amministrativa

come volta non solo a garantire la legittimità degli atti amministrativi, ma

l’efficienza dell’azione amministrativa, si avverte anche riguardo al ruolo

del Consiglio di Stato (che pure è ancora massimamente disciplinato dal t.u.

n. 1054 del 1924).

Così, per snellire l’azione amministrativa, ferma la possibilità per le

Amministrazioni statali (e regionali) di chiedere pareri facoltativi, è stato

133

Page 139: r0mano 2014.docx

fortemente ridotto il numero dei pareri obbligatori. Il parere obbligatorio del

Consiglio di Stato è oggi richiesto:

a) nella procedura per l’emanazione dei regolamenti del Governo e dei

singoli ministri e dei testi unici;

b) sugli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti

da uno o più ministri.

Invece, con la modifica introdotta dalla legge 18.6.2009, n. 69 (art.

69) il parere del Consiglio di Stato nella procedura relativa alla decisione

dei ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica è diventato un parere

vincolante.

La disciplina del procedimento consultivo, dettata dal comma 27

dell’art. 17 l.n. 127/1997, risulta ispirata a criteri di efficienza e rapidità

dell’azione amministrativa piuttosto che a criteri di garanzia, laddove

consente al dirigente di procedere indipendentemente dal parere quando

quest’ultimo dovesse ritardare. Precisamente, la norma dispone che il parere

deve essere reso dal Consiglio di Stato, di regola, entro 45 giorni dal

ricevimento della richiesta; decorso tale termine, l'Amministrazione può

procedere indipendentemente dall'acquisizione del parere. Il termine può

essere interrotto, per esigenze istruttorie, una sola volta e il parere deve

essere reso definitivamente entro venti giorni dal ricevimento degli elementi

istruttori da parte delle amministrazioni interessate.

48. La Corte dei conti.

Ai sensi del secondo comma dell’art. 100 della Costituzione “La

Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del

governo, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato.

Partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla

gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria.

Riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito.”.

Peraltro, nell’attuale assetto organizzativo, ai suoi compiti tradizionali

di cui all’art. 100 Cost., la Corte dei conti ha aggiunto nuovi importanti

ruoli, sia con riguardo al passaggio dal controllo di legittimità al controllo

sui risultati, sia con riguardo al controllo delle regioni e delle autonomie

134

Page 140: r0mano 2014.docx

locali nel nuovo contesto derivante dalla riforma in senso autonomistico

della Repubblica. Di conseguenza attualmente possiamo individuare tre

modelli principali attraverso cui si esercita l’attività di controllo della Corte

dei conti: il controllo preventivo di legittimità; il controllo successivo sulla

gestione delle amministrazioni pubbliche e il controllo

economi-co/finanziario con funzione referente (c.d. controllo-referto).

48.1. Il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo.

Il controllo è di legittimità, in quanto verifica la conformità dell’atto

alle norme vigenti; è preventivo, in quanto viene svolto dopo il

perfezionamento dell’atto ma prima della sua efficacia. Dal punto di vista

del procedimento amministrativo, dunque, si situa nella fase c.d.

“integrativa dell’efficacia”.

La disposizione costituzionale (art. 100 Cost.) consacra il tradizionale

controllo preventivo di legittimità che veniva prima della riforma del 1994

effettuato su tutti gli atti amministrativi statali comportanti una spesa.

Già nel 1988, tuttavia, con la legge n. 400/88, si erano sottratti a tale

controllo i decreti legge ed i decreti legislativi, dando luogo a dubbi di

costituzionalità. La Corte Costituzionale, chiamata dalla Corte dei conti a

decidere sulla questione di costituzionalità, ha superato tale dubbio con una

motivazione che, tuttavia, confermava la regola generale. Infatti, si è

affermato che l’art. 100 Cost. andava interpretato come rivolto

esclusivamente agli atti amministrativi del Governo, mentre i decreti legge

ed i decreti legislativi sono atti aventi forza di legge e non atti

amministrativi del Governo.

Comunque, una importante rilettura della portata dell’art. 100 Cost. si

è avuta dopo l’emanazione della legge n. 20 del 1994 che ha eliminato il

controllo preventivo generalizzato della Corte dei conti su tutti gli atti

amministrativi statali, limitandolo ad alcune categorie di atti, salva la facoltà

delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, di estendere il controllo per un

periodo determinato anche ad altri atti (analoga facoltà è attribuita anche al

Presidente del Consiglio dei ministri). Tale normativa è stata riconosciuta

135

Page 141: r0mano 2014.docx

costituzionale dalla Corte costituzionale con la sentenza 12-27 gennaio

1995, n. 29.

Le materie sottoposte al controllo preventivo di legittimità sono

indicate dall’art. 3, commi 1 della legge n. 20/1994: si tratta di

provvedimenti di particolare rilevanza, ovvero di atti “sospetti” in quanto

per darvi corso è dovuto intervenire l'ordine scritto del Ministro.

Va aggiunto che anche nel caso del controllo preventivo di legittimità

della Corte dei Conti vale la regola, stabilita dal comma 2 dell’art. 3 cit., che

i provvedimenti sottoposti al controllo preventivo acquistano efficacia se il

controllo non interviene entro un determinato periodo di tempo.

La procedura del controllo preventivo è piuttosto articolata (artt. 24 e

segg. R.D. 12.7.1934 n. 1214 t.u. Corte Conti). I provvedimenti sottoposti al

controllo preventivo acquistano efficacia se il competente ufficio di

controllo non ne rimetta l'esame alla sezione del controllo nel termine di

trenta giorni dal ricevimento. Il termine è interrotto se l'ufficio richiede

chiarimenti o elementi integrativi di giudizio. Decorsi trenta giorni dal

ricevimento delle controdeduzioni dell'amministrazione, il provvedimento

acquista efficacia se l'ufficio non ne rimetta l'esame alla sezione del

controllo. La sezione del controllo si pronuncia sulla conformità a legge

entro trenta giorni dalla data di deferimento dei provvedimenti o dalla data

di arrivo degli elementi richiesti con ordinanza istruttoria. Decorso questo

termine i provvedimenti divengono esecutivi.

Particolarmente importante è la procedura da seguire in caso di

controllo negativo (art. 25 t.u. cit.).

Qualora il consigliere della Corte dei conti delegato al controllo,

sentita l'Amministrazione interessata, ritenga che un atto o decreto non

debba essere ammesso al visto o alla registrazione, lo trasmette al Presidente

della Corte, il quale promuove una pronunzia motivata della Sezione di

controllo. Del deferimento alla Sezione di controllo è data comunicazione

scritta alla Amministrazione interessata e al Ministero dell’economia e delle

finanze, che possono presentare deduzioni e farsi rappresentare avanti la

Sezione stessa da propri funzionari per sostenere la legittimità del

provvedimento.

136

Page 142: r0mano 2014.docx

Il rifiuto del visto, può essere superato solo portando la questione

all’esame del Consiglio dei ministri. Se il Consiglio dei ministri delibera

insistendo a volere dare corso all’atto, ovvero anche a parte di esso, sulla

richiesta di visto, la Corte si pronunzierà a sezioni riunite e, qualora non

riconosca cessata la causa del rifiuto, ne ordina la registrazione con

riserva. In questo modo l’atto acquista efficacia, ma della registrazione con

riserva la Corte deve dare subito notizia al Parlamento (entro 15 giorni), in

modo da mettere in grado sia la Camera dei deputati che il Senato di attivare

la responsabilità politica del Governo, ove lo ritenga necessario.

Tuttavia il rifiuto di registrazione è assoluto ed il controllo negativo

annulla il provvedimento senza possibilità di registrazione con riserva

quando si tratta:

a) di impegno od ordine di pagamento riferentesi a spesa che ecceda la

somma stanziata nel relativo capitolo del bilancio od, a giudizio della Corte,

imputabile ai residui piuttosto che alla competenza e viceversa, ovvero ad

un capitolo diverso da quello indicato nell'atto del ministero che lo ha

emesso;

b) di decreti per nomine e promozioni di personale di qualsiasi ordine

e grado, disposte oltre i limiti dei rispettivi organici;

c) di ordini di accreditamento a favore di funzionari delegati al

pagamento di spese, emessi per un importo eccedente i limiti stabiliti dalle

leggi (cfr. artt. 22, 24, 25 e 26 T.u. Corte dei conti R.D. 12.7.1934 n. 1214).

Anche riguardo al controllo di legittimità, tuttavia, la riforma del 1994

ha dato maggiore spazio alle esigenze di efficienza rispetto al garantismo. Si

è così disposto (vedi oggi art. 27 legge 24.11.2000, n. 340) che gli atti

trasmessi alla Corte dei conti per il controllo preventivo di legittimità

divengono in ogni caso esecutivi trascorsi sessanta giorni dalla loro

ricezione, senza che sia intervenuta una pronuncia della Sezione del

controllo, salvo che la Corte, nel predetto termine, abbia sollevato questione

di legittimità costituzionale, per violazione dell'articolo 81 della

Costituzione, delle norme aventi forza di legge che costituiscono il

presupposto dell'atto, ovvero abbia sollevato, in relazione all'atto, conflitto

137

Page 143: r0mano 2014.docx

di attribuzione19. Il predetto termine è sospeso per il periodo intercorrente tra

le eventuali richieste istruttorie e le risposte delle amministrazioni o del

Governo, che non può complessivamente essere superiore a trenta giorni.

E’ stata accelerata anche la procedura relativa alla registrazione con

riserva, prevedendo che l’atto sul quale il Consiglio dei Ministri delibera

debba avere corso, diventa esecutivo ove le Sezioni riunite della Corte dei

conti non abbiano deliberato entro trenta giorni dalla richiesta.

48.2. Il controllo su singoli atti delle amministrazioni statali di notevole

rilievo finanziario.

Ai sensi del comma terzo dell’art. 3 della legge n. 20 del 1994, le

Sezioni riunite della Corte dei conti possono, con deliberazione motivata,

stabilire che singoli atti di notevole rilievo finanziario, individuati per

categorie ed amministrazioni statali, siano sottoposti all'esame della Corte

per un periodo determinato.

La Corte può chiedere il riesame degli atti entro quindici giorni dalla

loro ricezione, ferma rimanendone l'esecutività.

Le amministrazioni trasmettono gli atti adottati a seguito del riesame

alla Corte dei conti, che ove rilevi illegittimità, ne dà avviso al Ministro.

48.3. La parificazione del rendiconto generale dello Stato e di quello

delle Regioni.

Sempre in base all’art. 100 della Costituzione alla Corte dei conti

compete il controllo del bilancio dello Stato. Pertanto, a tal fine, il

rendiconto generale dello Stato, che il Ministro dell’economia e delle

finanze deve rendere alla fine di ogni esercizio finanziario, è trasmesso alla

Corte dei conti, prima che sia presentato all'approvazione delle Camere. La

19 Ma per i i provvedimenti commissariali adottati in attuazione delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri emanate nei casi d’urgenza della protezione civile (ai sensi dell’ articolo 5, comma 2, della legge 24 febbraio 1992, n. 225: Stato di emergenza e potere di ordinanza) il termine, incluso quello per la risposta ad eventuali richieste istruttorie, è ridotto a complessivi sette giorni; in ogni caso l’organo emanante ha facoltà, con motivazione espressa, di dichiararli provvisoriamente efficaci. Qualora la Corte dei conti non si esprima nei sette giorni i provvedimenti si considerano efficaci.

138

Page 144: r0mano 2014.docx

Corte lo verifica e ne confronta i risultati tanto per le entrate, quanto per le

spese ponendoli a riscontro con le leggi del bilancio.

A tale scopo la Corte dei conti verifica se le entrate riscosse e versate

ed i resti da riscuotere e da versare risultanti dal rendiconto, siano conformi

ai dati esposti nei conti periodici e nei riassunti generali trasmessi alla Corte

dai singoli ministeri; se le spese ordinate e pagate durante l'esercizio

concordino con le scritture tenute o controllate dalla Corte ed accerta i

residui passivi in base alle dimostrazioni allegate ai decreti ministeriali di

impegno ed alle proprie scritture.

La Corte, quindi, delibera sul rendiconto generale dello Stato a sezioni

riunite e con le formalità della sua giurisdizione contenziosa, procedendo

alla c.d. “parificazione”. (vedi artt. 38, 39 e 40 r.d. n. 1214/1934).

Inoltre, ai sensi dell’art. 1, comma 5, del d.l. 10.10.2012 n. 174 come

sostituito dalla legge di conversione 7.12.2012 n. 213, anche il rendiconto

generale della regione è parificato dalla sezione regionale di controllo della

Corte dei conti con le forme che si applicano a quello dello Stato e alla

decisione di parifica è allegata una relazione nella quale la Corte dei conti

formula le sue osservazioni in merito alla legittimità e alla regolarità della

gestione e propone le misure di correzione e gli interventi di riforma che

ritiene necessari al fine, in particolare, di assicurare l'equilibrio del bilancio

e di migliorare l'efficacia e l'efficienza della spesa. La decisione di parifica e

la relazione sono trasmesse al Presidente della Giunta regionale e al

Consiglio regionale.

48.4. Il controllo sulla gestione finanziaria degli enti sovvenzionati dallo

Stato.

Questo potere di controllo, previsto dall’art. 100 Cost., riguarda sia gli

enti pubblici che quelli privati cui lo Stato contribuisce in via ordinaria e,

cioè, che ricevono una contribuzione pubblica avente carattere di continuità:

vedi art. 2 l.n. 259/1958,

Gli enti sottoposti al controllo devono far pervenire alla Corte i conti

consuntivi e i bilanci, unitamente alle relazioni degli organi di revisione e

139

Page 145: r0mano 2014.docx

dare ogni informazione utile che la Corte richieda. La Corte dei conti, non

oltre i sei mesi successivi comunica alla presidenza delle due Camere i

documenti stessi e riferisce sul risultato del controllo effettuato sulla

gestione finanziaria degli enti stessi (vedi artt. 4 e 7 l. 21.3.1958 n. 259).

Quando si tratta di enti pubblici ai quali lo Stato contribuisce con

apporto al patrimonio in capitale o servizi o beni, ovvero mediante

concessione di garanzia finanziaria, il controllo viene esercitato anche

mediante la presenza di un magistrato della Corte che assiste alle sedute

degli organi di amministrazione e di revisione dell’ente controllato (vedi art.

12 l. 21.3.1958 n. 259).

48.5. Il controllo successivo sulla gestione delle Amministrazioni

pubbliche statali e regionali.

Un nuovo controllo non espressamente previsto dall’art. 100 Cost. è

quello previsto dall’art. 3, commi 4, 5, 6 e 10 bis della legge n. 20/1994, e

cioè il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle

amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi

di provenienza comunitaria, svolto dalla Corte verificando la legittimità e la

regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni a

ciascuna amministrazione.

La Corte definisce annualmente i programmi e i criteri di riferimento

del controllo sulla base delle priorità previamente deliberate dalle

competenti Commissioni parlamentari, anche tenendo conto, ai fini di

referto per il coordinamento del sistema di finanza pubblica, delle relazioni

redatte dagli organi che esercitano funzioni di controllo o vigilanza su

amministrazioni, enti pubblici, autorità amministrative indipendenti o

società a prevalente capitale pubblico20.

20 L’art. 60 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), ai fini del controllo sul costo del lavoro ha previsto l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di presentare, entro il mese di maggio di ogni anno, alla Corte dei conti, per il tramite del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato ed inviandone copia Dipartimento della funzione pubblica, il conto annuale delle spese sostenute per il personale. Il conto è accompagnato da una relazione, con cui le amministrazioni pubbliche espongono i risultati della gestione del personale, con riferimento agli obiettivi che, per ciascuna amministrazione, sono stabiliti dalle leggi, dai

140

Page 146: r0mano 2014.docx

La differenza “qualitativa” di tale controllo rispetto agli altri previsti

dall’art. 100 si percepisce se si considera che il suo scopo primario non è il

controllo della legalità dell’atto o della gestione, ma piuttosto la verifica

della rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi

stabiliti dalla legge.

La norma, inoltre, stabilisce che nei confronti delle amministrazioni

regionali il controllo della gestione concerne il perseguimento degli obiettivi

stabiliti dalle leggi di principio e di programma.

Tale attività di controllo sui risultati - e, quindi, sulla efficacia ed

efficienza dell’azione amministrativa statale e regionale - implica da parte

della Corte dei conti un ruolo non già di giudice-controllore-sanzionatore

delle violazioni di legge, ma di “collaboratore” altamente qualificato e

indipendente che, proprio in quanto tale, è in grado di fornire al personale

politico e al personale amministrativo dirigenziale giudizi critici e dati di

valutazione per meglio comprendere l’efficacia e l’efficienza dell’azione

amministrativa già svolta e per apportare miglioramenti a quella futura, con

riguardo non già alla legalità ma al raggiungimento dei risultati.

Proprio per tale ragione questo controllo non si conclude con un

annullamento dell’atto di cui si fosse accertata la non conformità alla legge

(controllo preventivo di legittimità ex art. 100 Cost.), bensì si conclude con

una relazione, rispettivamente al Parlamento, se si tratta di gestione statale,

o al Consiglio regionale, se si tratta di gestione regionale, nonché con

l’invio delle suddette relazioni e di eventuali specifiche osservazioni -

formulate in qualsiasi momento la Corte le ritenga necessarie -

all’Amministrazione interessata (art. 3, comma 6, l.n. 20/94) al trasparente

scopo di collaborare all’attività di continuo miglioramento

dell’organizzazione dell’attività amministrativa.

Da qui il collegamento della Corte dei conti con gli organi di controllo

interno (art. 3, comma 4 e comma 8, l.n. 20/94), che le recenti leggi hanno

regolamenti e dagli atti di programmazione.La Corte dei conti deve riferire annualmente al Parlamento sulla gestione delle risorse finanziarie destinate al personale del settore pubblico, avvalendosi di tutti i dati e delle informazioni disponibili presso le amministrazioni pubbliche. Peraltro, come vedremo, la Corte interviene anche in sede di verifica della compatibilità dei contratti collettivi in itinere (cfr. infra par. 52).

141

Page 147: r0mano 2014.docx

istituito presso ogni amministrazione pubblica, ed il potere attribuito alla

Corte (art. 3, comma 4) non solo di chiedere alle Amministrazioni

informazioni e documenti, ma anche di disporre ispezioni e accertamenti

diretti (poteri non indispensabili per un controllo di tipo documentale,

limitato alla regolarità formale degli atti amministrativi, e, invece,

fondamentale per il nuovo tipo di controllo sui risultati della gestione).

L’art. 1 del d.l. 10.10.2012 n. 174, conv. con mod. in l. 7.12.2012 n.

213, ha fortificato la partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla

gestione finanziaria delle Regioni al dichiarato fine di rafforzare il

coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo

statale e regionale, e di garantire il rispetto dei vincoli finanziari derivanti

dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea.

In base a tale nuova normativa ogni sei mesi le Sezioni regionali di

controllo della Corte dei conti trasmettono ai Consigli regionali una

relazione sulla tipologia delle coperture finanziarie adottate nelle leggi

regionali approvate nel semestre precedente e sulle tecniche di

quantificazione degli oneri.

Inoltre il Presidente della Regione deve trasmettere ogni dodici mesi

al Presidente del Consiglio regionale e alla Sezione regionale di controllo

della Corte dei conti una relazione sulla regolarità della gestione e

sull'efficacia e sull'adeguatezza del sistema dei controlli interni adottato

sulla base delle linee guida deliberate dalla Sezione delle autonomie della

Corte dei conti.

Nell'ambito delle verifiche effettuate l'accertamento, da parte delle

competenti Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, di squilibri

economico-finanziari, della mancata copertura di spese, della violazione di

norme finalizzate a garantire la regolarità della gestione finanziaria o del

mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilità interno,

comporta per le amministrazioni interessate l'obbligo di adottare, entro

sessanta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia di

accertamento, i provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarità e a

ripristinare gli equilibri di bilancio.

142

Page 148: r0mano 2014.docx

Tali provvedimenti sono trasmessi alle Sezioni regionali di controllo

della Corte dei conti che li verificano nel termine di trenta giorni dal

ricevimento. Qualora la Regione non provveda alla trasmissione dei suddetti

provvedimenti o la verifica delle sezioni regionali di controllo dia esito

negativo, la nuova normativa del 2012 stabilisce che è preclusa l'attuazione

dei programmi di spesa per i quali è stata accertata la mancata copertura o

l'insussistenza della relativa sostenibilità finanziaria.

Il d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, testo unico delle leggi

sull'ordinamento degli enti locali, ha ribadito che la Corte dei Conti esercita

il controllo sulla gestione degli enti locali, ai sensi delle disposizioni di cui

alla legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni ed

integrazioni e precisato che il controllo di gestione è la procedura diretta a

verificare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati e, attraverso

l'analisi delle risorse acquisite e della comparazione tra i costi e la quantità e

qualità dei servizi offerti, la funzionalità dell'organizzazione dell'ente,

l'efficacia, l'efficienza ed il livello di economicità nell'attività di

realizzazione dei predetti obiettivi.

In particolare gli artt. 148 e 148 bis del d.lgs. n. 267/2000, nel testo

sostituito dall'art. 3, comma 1, lett. e), del d.l. 10.10.2012, n. 174, conv. con

mod. dalla l. 7.12.2012, n. 213, prevedono un rafforzamento ulteriore del

controllo della Corte dei conti sugli enti locali stabilendo che le Sezioni

regionali della Corte dei conti verificano, con cadenza semestrale, la

legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei

controlli interni ai fini del rispetto delle regole contabili e dell'equilibrio di

bilancio di ciascun ente locale.

A tale fine, il sindaco, relativamente ai comuni con popolazione

superiore ai 15.000 abitanti, o il presidente della provincia, avvalendosi del

direttore generale, quando presente, o del segretario negli enti in cui non è

prevista la figura del direttore generale, trasmette semestralmente alla

Sezione regionale di controllo della Corte dei conti un referto sulla

regolarità della gestione e sull'efficacia e sull'adeguatezza del sistema dei

controlli interni adottato, sulla base delle linee guida deliberate dalla sezione

143

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delle autonomie della Corte dei conti. Detto referto deve essere, altresì,

inviato al Presidente del consiglio comunale o provinciale.

E’ ovvio che da tale trasformazione (od arricchimento) di ruoli della

Corte dei conti scaturiscono problemi di compatibilità: compatibilità tra

formazione essenzialmente giuridica dei magistrati e nuove competenze non

giuridiche richieste al magistrato; compatibilità tra la veste tradizionale della

Corte di controllore e giudice e quella di “esperto” di fiducia

dell’Amministrazione che analizza e critica per collaborare a migliorare i

risultati e non per giudicare e sanzionare gli errori.

48.6. Il controllo della Corte dei conti sui conti consuntivi delle province

e dei comuni con più di 8.000 abitanti.

La Corte dei conti esercita un controllo anche sulle province e sui

comuni con popolazione superiore a ottomila abitanti (vedi art. 13, d.l.

22.12.1981, n. 786, conv. con mod. in l. 26.2.1982, n. 51). Tali enti sono

tenuti a trasmettere i propri conti consuntivi alla Corte dei conti unitamente

alle relazioni dei revisori nominati dal consiglio comunale e ad ogni altro

documento e informazione che questa richieda.

Questa forma di controllo avviene sulla base di una programmazione

dell’attività di controllo. Entro il 31 luglio di ogni anno, la Corte comunica

ai Presidenti delle Camere l'elenco dei conti consuntivi pervenuti, il piano

delle rilevazioni che si propone di compiere e i criteri ai quali intende

attenersi nell'esame dei conti medesimi. In ogni caso la Corte esamina la

gestione di tutti gli enti i cui consuntivi si chiudano in disavanzo ovvero

rechino la indicazione di debiti fuori bilancio.

La Corte, sempre entro il 31 luglio di ogni anno, riferisce al

Parlamento i risultati dell'esame compiuto sulla gestione finanziaria e sul

buon andamento dell'azione amministrativa degli enti (vedi art. 13, commi

4, 5 e 6 d.l. 22.12.1981, n. 786, conv. con mod. in l. 26.2.1982, n. 51).

144

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48.7. Il controllo della Corte dei conti in relazione al patto di stabilità

interno ed ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione

europea.

La legge 5.6.2003, n. 131, recante “Disposizioni per l'adeguamento

dell'ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3”,

all’art. 7, commi 7 e 8, ha previsto che la Corte dei conti, ai fini del

coordinamento della finanza pubblica, verifica il rispetto degli equilibri di

bilancio da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in

relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall'appartenenza

dell'Italia all'Unione europea.

Peraltro oggi la legge cost. 20 aprile 2012, n. 1 nel comma aggiunto

all’art. 97 Cost. ha sancito che “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza

con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e

la sostenibilità del debito pubblico”, rafforzando i vincoli di stabilità

economico finanziaria nazionali.

A tal fine le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti

verificano, nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla

gestione, il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali

di principio e di programma, secondo la rispettiva competenza, nonché la

sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli

interni e riferiscono sugli esiti delle verifiche esclusivamente ai consigli

degli enti controllati.

Le Regioni, inoltre, possono richiedere ulteriori forme di

collaborazione alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti ai fini

della regolare gestione finanziaria e dell'efficienza ed efficacia dell'azione

amministrativa, nonché pareri in materia di contabilità pubblica. Analoghe

richieste possono essere formulate, di norma tramite il Consiglio delle

autonomie locali, se istituito, anche da Comuni, Province e Città

metropolitane (art. 7, comma 8 l.cit.).

L’art. 1, comma 166 e ss. della legge 23.12.2005, n. 266 (legge

finanziaria 2006) ha, inoltre, stabilito che, ai fini della tutela dell'unità

economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, gli

organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali devono

145

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trasmettere alle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei

conti una relazione sul bilancio di previsione dell'esercizio di competenza e

sul rendiconto dell'esercizio medesimo, creando in questo modo un rapporto

diretto tra la Corte dei conti e tali organi di controllo interno.

Spetta alla Corte dei conti definire unitariamente i criteri e le linee

guida cui debbono attenersi tali organi nella predisposizione della predetta

relazione, la quale deve, comunque, dare conto del rispetto degli obiettivi

annuali posti dal patto di stabilità interno, dell'osservanza del vincolo

previsto in materia di indebitamento dall'articolo 119, ultimo comma, della

Costituzione, e di ogni grave irregolarità contabile e finanziaria in ordine

alle quali l'amministrazione non abbia adottato le misure correttive segnalate

dall'organo di revisione (art. 1, comma 167, l.n. 266/2005).

Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, qualora

accertino, anche sulla base delle suddette relazioni, comportamenti difformi

dalla sana gestione finanziaria o il mancato rispetto degli obiettivi posti con

il patto, adottano specifica pronuncia e vigilano sull'adozione da parte

dell'ente locale delle necessarie misure correttive e sul rispetto dei vincoli e

limitazioni posti in caso di mancato rispetto delle regole del patto di stabilità

interno (art. 1, comma 168, l.n. 266/2005).

La Corte dei conti ha chiarito che la “specifica pronuncia” di cui sopra

ha lo scopo di sollecitare le necessarie misure correttive delle irregolarità

segnalate e, quindi, è espressione della “natura collaborativa” di tale

controllo della Corte “...che non è diretto a sanzionare comportamenti, ma

ad ottenere che gli stessi organi rappresentativi degli enti locali provvedano

a tutelare l’equilibrio del proprio bilancio.” (cfr. deliberazione 19.3.2007,

in S.O. n. 99 alla G.U. n. 82 del 7.4.2007).

Con la citata deliberazione 19 marzo 2007, la Corte dei conti ha

dettato le linee guida cui debbono attenersi gli organi di revisione

economico-finanziaria degli enti locali nella predisposizione della relazione,

nonché una serie di questionari predisposti alla scopo di acquisire dati

omogenei rilevanti per l’attività di controllo. In tali linee guida, inoltre, la

Corte ha precisato che la nozione di “grave irregolarità contabile e

finanziaria” non può essere definita in astratto, ma deve essere ricavata

146

Page 152: r0mano 2014.docx

dall’analisi della situazione finanziaria dell’ente, dovendo perciò gli organi

di revisione segnalare, sulla base di tale analisi, tutte le irregolarità

riscontrate che possano incidere sull’equilibrio del bilancio e sul rispetto del

“principio di veridicità” (cfr. da ultimo la delibera 20.7.2009 n.

12/SEZAUT/2009/INPR, recante le Linee guida e relativi questionari per gli

organi di revisione economico-finanziaria degli Enti locali).

La Corte ha anche chiarito che tale forma di controllo attraverso

l’esame delle relazioni degli organi di revisione economico-finanziaria degli

enti locali è distinto e si aggiunge al controllo sulla gestione ex art. 7 l. n.

131/2003 descritto all’inizio di questo paragrafo, poiché è un controllo

necessario che si esegue su tutti i comuni e le province, mentre il controllo

sulla gestione riguarda soltanto gli enti e i contenuti individuati nel

programma annuale della Sezione.

48.8. Il controllo sulla gestione ed il controllo economico/finanziario

della Corte dei conti.

L’importanza delle innovazioni apportate dalla legislazione ordinaria

sul ruolo della Corte dei conti sono state messe in luce dalla Corte

Costituzionale in due importanti sentenze, la n. 267 del 2006 e la n. 179 del

2007.

La Corte Costituzionale ha segnalato la novità del dettato dell’art. 3

della legge n. 20 del 1994, in quanto il controllo sulla gestione,

differenziandosi dal controllo interno “di gestione”, concomitante all'azione

della pubblica amministrazione e di natura amministrativa, costituisce un

controllo successivo ed esterno all'amministrazione, di natura imparziale e

collaborativa. Secondo la Corte “l'estensione di tale controllo a tutte le

amministrazioni pubbliche, comprese le Regioni e gli enti locali, è il frutto

di una scelta del legislatore che ha inteso superare la dimensione un tempo

“statale” della finanza pubblica riflessa dall'art. 100 Cost. ed ha

riconosciuto alla Corte dei conti, nell'ambito del disegno tracciato dagli

artt. 97, primo comma, 28, 81 e 119 (nel testo originario) Cost., il ruolo di

organo posto al servizio dello “Stato-comunità”, quale garante imparziale

dell'equilibrio economico-finanziario del settore pubblico e della corretta

147

Page 153: r0mano 2014.docx

gestione delle risorse collettive sotto il profilo dell'efficacia, dell'efficienza e

dell'economicità (sentenze n. 29 del 1995 e n. 470 del 1997)”.

La Corte, inoltre, ha sottolineato il legame esistente tra tali nuove

funzioni ed “i vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione

europea, tra cui, in particolare, l'obbligo imposto agli Stati membri di

rispettare un determinato equilibrio complessivo del bilancio nazionale”.

Nella successiva sentenza n. 179 del 2007 la Corte Costituzionale ha

ribadito che le regole dettate dai commi 166 e segg. dell’art. 1, della l. n.

266/2005 sopra commentate, “introducono un nuovo tipo di controllo

affidato alla Corte dei conti, dichiaratamente finalizzato ad assicurare, in

vista della tutela dell'unità economica della Repubblica e del

coordinamento della finanza pubblica, la sana gestione finanziaria degli

enti locali, nonché il rispetto, da parte di questi ultimi, del patto di stabilità

interno e del vincolo in materia di indebitamento posto dall'ultimo comma

dell'art. 119 Cost.” Viene così sviluppato “il quadro delle misure necessarie

per garantire la stabilità dei bilanci ed il rispetto del patto di stabilità

interno, prescritti dall'art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131”.

Nota ancora la Corte Cost. che tale “controllo, che è ascrivibile alla

categoria del riesame di legalità e regolarità, ha tuttavia la caratteristica,

in una prospettiva non più statica (com'era il tradizionale controllo di

legalità-regolarità), ma dinamica, di finalizzare il confronto tra fattispecie e

parametro normativo alla adozione di effettive misure correttive. Ne

consegue che esso assume anche i caratteri propri del controllo sulla

gestione in senso stretto e concorre, insieme a quest'ultimo, alla formazione

di una visione unitaria della finanza pubblica, ai fini della tutela

dell'equilibrio finanziario e di osservanza del patto di stabilità interno, che

la Corte dei conti può garantire (sentenza n. 267 del 2006).”.

Viene, inoltre sottolineata la natura collaborativa del controllo, che si

limita alla segnalazione all'ente controllato delle rilevate disfunzioni e

rimette all'ente stesso l'adozione delle misure necessarie per evidenziare la

“netta separazione” esistente, secondo la Corte, “tra la funzione di controllo

della Corte dei conti e l'attività amministrativa degli enti, che sono

sottoposti al controllo stesso”. Per cui, sempre secondo la citata sentenza

148

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della Corte Costituzionale, non “può dirsi che la vigilanza sull'adozione

delle misure necessarie da parte degli enti interessati implichi un'invasione

delle competenze amministrative di questi ultimi, poiché l'attività di

vigilanza, limitatamente ai fini suddetti, è indispensabile per l'effettività del

controllo stesso.” (n. 179 del 2007).

Quindi, nel venire meno dei controlli sulle autonomie regionali e

locali previsti nel precedente Titolo V della Costituzione, la Corte dei conti

sembra emergere come l’organo cui è affidato il controllo attraverso la

“chiave” finanziaria. Come conclude la Corte Cost. nella sentenza n. n. 179

del 2007 “…In questo quadro, appare evidente che il controllo sulla

gestione finanziaria è complementare rispetto al controllo sulla gestione

amministrativa, ed è utile per soddisfare l'esigenza degli equilibri di

bilancio”.

49. La Ragioneria generale dello Stato.

Nel Ministero dell’economia e delle finanze è costituito il

Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, con a capo il Ragioniere

Generale dello Stato.

Il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, secondo quanto

stabilito con regolamento organizzativo (d.P.R. 30.1.2008 n. 43, adottato ai

sensi dell’art. 1, comma 404, della legge 27 dicembre 2006, n. 296), si

articola in: a) Uffici centrali di livello dirigenziale generale (si tratta di nove

Ispettorati Generali e un Servizio studi dipartimentale, che costituiscono le

strutture centrali del dipartimento); b) Uffici centrali di bilancio; c)

Ragionerie territoriali dello Stato.

Il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ha competenza

nel settore delle politiche di bilancio e del coordinamento e verifica degli

andamenti della spesa pubblica, sulla quale esercita i controlli, i monitoraggi

e le verifiche previsti dall'ordinamento (cfr. d.l. 6.9.2002, n. 194, conv. con

mod. dalla l. 31.10.2002, n. 246), provvedendo anche alla valutazione della

fattibilità e della rilevanza economico-finanziaria dei provvedimenti e delle

iniziative di innovazione normativa, anche di rilevanza comunitaria, alla

149

Page 155: r0mano 2014.docx

verifica della quantificazione degli oneri e della loro coerenza con gli

obiettivi programmatici in materia di finanza pubblica.21

Gli Uffici centrali di bilancio (nuova denominazione assunta dalle

Ragionerie centrali dello Stato), sono uffici di livello dirigenziale generale

inseriti all’interno di ciascun ministero ma funzionalmente dipendenti dal

Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato.

Tali organismi hanno tra le loro funzioni principali quelle di:

21 Ai sensi dell’art. 8 del citato regolamento, nell'esercizio delle funzioni istituzionali la Ragioneria generale dello Stato provvede, in particolare, nelle seguenti materie:a) previsioni economiche e finanziarie; elaborazione dei conti finanziari ed economici delle amministrazioni pubbliche; monitoraggio dei relativi saldi; relazione trimestrale di cassa; predisposizione dei documenti di programmazione economico-finanziaria per quanto di competenza; verifica delle relazioni tecniche dei provvedimenti; copertura finanziaria della legislazione di spesa e di minore entrata;b) formazione e gestione del bilancio dello Stato, definizione del rendiconto generale dello Stato, nonché predisposizione del budget e del consuntivo economico;c) evoluzione normativa dei bilanci pubblici e raccordo operativo con la Commissione tecnica per la finanza pubblica di cui all'articolo 1, comma 474, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Analisi studio e ricerca economica sugli impatti delle politiche settoriali nelle materie di competenza del Dipartimento;d) coordinamento dei servizi di tesoreria statale; integrazione e consolidamento della gestione per cassa del bilancio dello Stato con i relativi flussi di tesoreria, previsione e calcolo del fabbisogno;e) rapporti con gli organismi e le istituzioni internazionali per quanto di competenza del Dipartimento e con l'ISTAT per i raccordi tra la contabilità finanziaria e la contabilità economica prevista dalla disciplina dell'Unione europea e le rilevazioni statistiche d'interesse del Sistema statistico nazionale;f) informatizzazione dei dati di finanza pubblica; definizione delle esigenze funzionali, prestazioni e modalità operative dei sistemi informativi per lo svolgimento dei compiti istituzionali del Dipartimento;g) attività di indirizzo e coordinamento normativo in materia di contabilità delle amministrazioni pubbliche;h) definizione dei principi e delle metodologie della contabilità economica, anche analitica, e patrimoniale, anche ai fini del controllo di gestione da parte delle amministrazioni pubbliche in ordine alla loro armonizzazione con quelli previsti nell'ambito dell'Unione europea; individuazione degli strumenti per il controllo di economicità ed efficienza; analisi, verifica, monitoraggio e valutazione dei costi dei servizi e dell'attività delle amministrazioni pubbliche;i) monitoraggio delle leggi di spesa; monitoraggio e valutazione degli andamenti generali della spesa sociale; monitoraggio degli oneri derivanti dall'attuazione dei contratti collettivi in materia di personale delle amministrazioni pubbliche; analisi e verifica del costo del lavoro pubblico; consulenza per l'attività predeliberativa del CIPE nonché relativi adempimenti di attuazione, per gli aspetti di competenza del Dipartimento; partecipazione all'attività preparatoria del Consiglio dei Ministri e supporto tecnico in sede di Consiglio dei Ministri;

150

Page 156: r0mano 2014.docx

a) concorrere alla formazione del bilancio dei singoli Ministeri con gli altri

uffici del Dipartimento, anche curando la compilazione del rendiconto di

ciascun Ministero;

b) esercitare, anche a campione, il controllo di regolarità amministrativa e

contabile e provvedere alla tenuta delle scritture contabili e alla

registrazione degli impegni di spesa risultanti dai provvedimenti assunti

dagli uffici amministrativi, sotto la responsabilità dei dirigenti competenti;

c) effettuare, anche a campione, il riscontro amministrativo contabile dei

rendiconti amministrativi resi dai funzionari delegati e conti giudiziali resi

dagli agenti contabili.

Il regolamento 30.1.2008 n. 43 prevede, ancora, che gli Uffici centrali

di bilancio coordinino l’attività di Conferenze permanenti, istituite presso

ciascun ministero, delle quali fanno parte rappresentanti dell'ufficio stesso e

dei corrispondenti uffici dell’amministrazione interessata. La Conferenza ha

lo scopo di contribuire ad assicurare, ferme restando le rispettive funzioni, il

più efficace esercizio dei compiti in materia di programmazione dell'attività

finanziaria, di monitoraggio finanziario dell'attuazione delle manovre di

bilancio e di valutazione tecnica dei costi e degli oneri dei provvedimenti,

delle funzioni e dei servizi istituzionali e delle iniziative legislative nel

l) controllo e vigilanza dello Stato in materia di gestioni finanziarie pubbliche, anche attraverso i servizi ispettivi del dipartimento, secondo criteri di programmazione e flessibilità nonché in relazione allo svolgimento dei compiti di cui alle lettere g) e h);m) partecipazione al processo di formazione, esecuzione e certificazione del bilancio dell'Unione europea e relativi adempimenti, compresa la quantificazione dei conseguenti oneri a carico della finanza nazionale; monitoraggio complessivo dei corrispondenti flussi finanziari ed esercizio dei controlli comunitari affidati dall'Unione europea; gestione del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie istituito con la legge 16 aprile 1987, n. 183;n) definizione delle modalità e dei criteri per l'introduzione nelle amministrazioni pubbliche di principi di contabilità economica, e per la trasmissione dei bilanci in via telematica da parte di enti pubblici, regioni ed enti locali;o) definizione delle esigenze del Dipartimento in materia di politiche delle risorse umane e strumentali in coerenza con le linee generali di attività elaborate dal Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi; relazioni sindacali con la rappresentanza dipartimentale nell'ambito degli indirizzi generali definiti dal Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi; definizione dei livelli di servizio per le attività amministrative in materia di gestione delle risorse umane, acquisti e logistica di competenza del Dipartimento dell'amministrazione generale, del personale e dei servizi, rapporti con le articolazioni territoriali.

151

Page 157: r0mano 2014.docx

settore di pertinenza dell'amministrazione. A tal fine la Conferenza ha il

compito di elaborare in sede tecnica metodologie e criteri di valutazione dei

costi e degli oneri finanziari sulla base della specifica disciplina del settore e

di compiere, a fini istruttori, le valutazioni relative ai provvedimenti che le

sono sottoposti.

Concludendo sui compiti degli Uffici centrali di bilancio, anche in

questo caso possiamo affermare che le modifiche al sistema sono nel senso

di semplificare e snellire i controlli di legittimità, integrandoli con quelli

sulla efficienza e garantendo l’autonomia direttiva del dirigente.

Il sistema delle ragionerie si completa con le Ragionerie territoriali

dello Stato, che sono organi locali del Ministero dell'economia e delle

finanze e dipendono organicamente e funzionalmente dal Dipartimento della

ragioneria generale dello Stato. Costituite nel numero complessivo di 63,

svolgono, su base regionale ovvero interregionale ed interprovinciale, le

funzioni attribuite al Dipartimento della ragioneria generale dello Stato e,

quindi, esse: a) provvedono alle attività in materia di monitoraggio degli

andamenti di finanza pubblica con riferimento alle realtà istituzionali

presenti nel territorio anche nell'ottica dei processi di federalismo

amministrativo; b) esercitano nei confronti degli organi decentrati e degli

uffici periferici delle amministrazioni dello Stato il controllo di regolarità

amministrativo-contabile su tutti gli atti dai quali derivino effetti finanziari

per il bilancio dello Stato; c) esercitano la vigilanza su enti, uffici e gestioni

a carattere locale e le altre competenze necessarie per il funzionamento dei

servizi.

50. L’Avvocatura dello Stato.

L’Avvocatura dello Stato è composta dalla Avvocatura generale dello

Stato e dalle Avvocature distrettuali dello Stato. L'Avvocatura generale ha

sede in Roma. Le avvocature distrettuali hanno sede in ciascun capoluogo di

regione e, comunque, dove siano istituite sedi di corte d'appello (vedi art.

18, r.d. 30.10.1933 n. 1611 e art. 8 l. 3.4.1979 n. 103). Gli uffici

152

Page 158: r0mano 2014.docx

dell'Avvocatura dello Stato dipendono dal Presidente del Consiglio dei

ministri e sono posti sotto la immediata direzione dell'Avvocato generale.

L'Avvocatura dello Stato ha compiti di difesa in giudizio e di

consulenza (vedi art. 13, r.d. n. 1611/1933 e art. 9 l.n. 103/79). Precisamente

ha il compito: a) di provvedere alla tutela legale dei diritti e degli interessi

dello Stato; b) di provvedere alle consultazioni legali richieste dalle

Amministrazioni e, su richiesta, di consigliarle e dirigerle quando si tratti di

promuovere, contestare o abbandonare giudizi; c) di esaminare, su richiesta,

progetti di legge, di regolamenti, di capitolati redatti dalle Amministrazioni;

d) di predisporre transazioni d'accordo con le Amministrazioni interessate,

ovvero di esprimere parere sugli atti di transazione redatti dalle

Amministrazioni.

L'Avvocatura generale dello Stato provvede alla rappresentanza e

difesa delle amministrazioni nei giudizi davanti alla Corte costituzionale,

alla Corte di cassazione, al Tribunale superiore delle acque pubbliche, alle

altre supreme giurisdizioni, anche amministrative, ed ai collegi arbitrali con

sede in Roma, nonché nei procedimenti innanzi a collegi internazionali o

comunitari.

Le avvocature distrettuali provvedono alla rappresentanza e difesa in

giudizio delle amministrazioni nelle rispettive circoscrizioni.

Salva la facoltà dell'Avvocatura generale dello Stato di rendere

consultazione sulle questioni di massima in qualsiasi materia, l'avvocatura

distrettuale dello Stato provvede alla consulenza nei riguardi di tutti gli

uffici della propria circoscrizione.

Si rifletta sulla differenza tra funzione consultiva dell’Avvocatura

dello Stato e funzione consultiva del Consiglio di Stato raffrontando il citato

art. 13 r.d. n. 1611/33 e l’art. 100, primo comma Cost. (quale interesse si

intende tutelare nei due casi?).

Gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le

giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato,

bastando che consti della loro qualità (art. 1 r.d. n. 1611/1933).

153

Page 159: r0mano 2014.docx

L’Avvocatura dello Stato può anche assumere la difesa delle Regioni

che decidano di avvalersene con deliberazione del consiglio regionale (vedi

art. 10, l. 3.4.1979 n. 103).

Le eventuali divergenze che dovessero insorgere tra l'Avvocatura

dello Stato e le Amministrazioni statali interessate, circa la instaurazione di

un giudizio o la resistenza nel medesimo, sono risolte dal Ministro

competente con determinazione non delegabile (vedi art. 12 l.n. 103/79 e

art. 16, comma 1, lett. f d.lgs. n. 165/2001).

Eventuali divergenze tra l'Avvocatura dello Stato e le

Amministrazioni regionali, ovvero le altre Amministrazioni pubbliche non

statali o gli enti pubblici, sono definite con la determinazione degli organi

delle Regioni o delle amministrazioni ed enti competenti, a norma dei

rispettivi statuti (art. 12 l.n. 103/79).

III.H) Il personale.

51. Premessa. Riforma dell'amministrazione e riforma della burocrazia.

L’amministrazione dello Stato si avvale di personale politico

(Ministri, Sottosegretari di Stato) e di personale “burocratico”, legato

all’amministrazione da un rapporto di lavoro subordinato (a tempo

indeterminato o a tempo determinato). All’interno degli organi

amministrativi dello Stato troviamo, inoltre, personale rappresentativo degli

interessi di categorie o di interessi diffusi, nonché “esperti”, cioè soggetti

aventi particolari professionalità che collaborano temporaneamente con

l’Amministrazione ma non sono legati ad essa da un rapporto di lavoro

subordinato.

Come abbiamo più volte sottolineato, vi è un rapporto strettissimo tra

riforma dell’organizzazione pubblica e riforma del pubblico impiego, oggi

più propriamente denominato dal d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, “lavoro alle

dipendenze delle amministrazioni pubbliche”.

154

Page 160: r0mano 2014.docx

Le leggi degli anni novanta hanno posto le premesse per una radicale

trasformazione dell’ottica burocratica, verso la realizzazione di una

privatizzazione che non si limita a ricondurre il rapporto di pubblico

impiego nell’ambito del diritto comune e della A.g.O., ma mira ad

avvicinare la gestione della c.d. “azienda Italia” alle comuni regole

operative di qualsiasi azienda moderna.

Il d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, più volte successivamente integrato e

modificato ed oggi ricompreso nel d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 (“Norme

generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni

pubbliche”), riunisce in un’unica ed organica disciplina complessiva norme

afferenti alla razionalizzazione delle amministrazioni pubbliche e norme

attinenti alla disciplina del c.d. “pubblico impiego”.

Le finalità del nuovo ordinamento vengono esplicitate dall’art. 1 co. 1

d.lgs. 165/2001, come modificato dall’art. 21 della l. 4.11.2010, n. 183:

a) accrescere l'efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei

corrispondenti uffici e servizi dei Paesi dell'Unione europea, anche mediante

il coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici;

b) razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa

complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza

pubblica;

c) realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche

amministrazioni, assicurando la formazione e lo sviluppo professionale dei

dipendenti, applicando condizioni uniformi rispetto a quelle del lavoro

privato, garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori nonché

l’assenza di qualunque forma di discriminazione e di violenza morale o

psichica.

La disciplina si applica a tutte le Amministrazioni dello Stato, ivi

compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative,

le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le

Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e

associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari,

le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro

associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e

155

Page 161: r0mano 2014.docx

locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario

nazionale (vedi art. 1 commi 2 e 3 d.lgs. 165/01). Le norme del d.lgs.,

tuttavia, per le Regioni ordinarie costituivano principi fondamentali ex art.

117, vecchio testo, Cost. e per le Regioni speciali principi fondamentali di

riforma economico-sociale. Oggi la portata del d.lgs. 165/01 va riesaminata

alla luce del nuovo Titolo V, Parte II, della Costituzione.

Nel quadro della razionalizzazione dell’organizzazione degli uffici

pubblici:

viene previsto che spetta a ciascuna amministrazione pubblica, mediante

propri atti organizzativi adottati in base ai rispettivi ordinamenti,

definire le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, individuare

gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità

dei medesimi, nonché determinare le dotazioni organiche complessive,

sia pure operando secondo i principi generali fissati dalle disposizioni di

legge (vedi art. 2, comma 1 e la riserva relativa di legge di cui all’art. 97

Cost.). Tale previsione è fondamentale per il buon esito della riforma.

Infatti, se ancor oggi venissero rigidamente fissati per legge, da un lato,

le finalità e gli obiettivi dell’azione amministrativa e, dall’altro lato,

l’organizzazione dei pubblici uffici e del personale (come in qualche

modo prefigurava la riserva di legge di cui all’art. 97 Cost.), sarebbe

impossibile attivare realmente un processo che vede, nel vertice politico,

il soggetto competente alla determinazione degli obiettivi ed alla

assegnazione delle risorse disponibili per raggiungerli, e, nella dirigenza,

il soggetto dotato della autonomia, della competenza e della capacità di

gestire al meglio le risorse disponibili per il raggiungimento degli

obiettivi, assumendone la responsabilità.

Vengono previste nel ruolo dei dirigenti due fasce – prima e seconda

fascia (artt. 15 e 23) – e vengono precisate le competenze dei dirigenti

generali e dei dirigenti (vedi artt. 16 e 17), attribuendo, fra l’altro, ai

dirigenti generali l’adozione degli atti relativi all’organizzazione degli

uffici di livello dirigenziale non generale e le attività di organizzazione e

gestione del personale e ai dirigenti la gestione del personale e delle

risorse finanziarie e strumentali assegnate ai propri uffici;

156

Page 162: r0mano 2014.docx

viene affermato il principio della distinzione tra le funzioni del

personale politico (di indirizzo politico-amministrativo e di verifica dei

risultati) e quelle del personale dirigenziale (di gestione finanziaria,

tecnica ed amministrativa, con adozione degli atti amministrativi),

eliminando i poteri di revoca e di avocazione prima presenti in capo al

Ministro (vedi artt. 4 e 14, primo e terzo comma);

viene attribuita al potere regolamentare governativo la definizione

periodica (almeno ogni tre ani) degli uffici e delle dotazioni organiche

previa verifica degli effettivi fabbisogni, mentre la distribuzione del

personale dei diversi livelli o qualifiche previsti dalla dotazione organica

viene effettuata con d.P.C.M, (art. 6, commi 1-3);

viene affinato un meccanismo per la rilevazione dei costi dei singoli

programmi di attività e del costo del personale, attribuendo ai dirigenti

generali il compito di adottare le misure organizzative necessarie per

consentire la rilevazione e l’analisi dei costi e dei rendimenti dell’attività

amministrativa (artt. 18, comma 1 e 59);

viene affinato un meccanismo per il controllo del costo del lavoro,

attraverso modelli di rilevazione predisposti dal Ministero del tesoro di

intesa con la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della

funzione pubblica; i modelli sono compilati e trasmessi da tutte le

amministrazioni pubbliche alla Corte dei conti, oltre che al Dipartimento

della funzione pubblica (artt. 8 e 60, commi 1-2);

viene sottolineato il rilievo degli Uffici relazioni con il pubblico per

garantire, anche mediante l'utilizzo di tecnologie informatiche, la piena

attuazione della legge n. 241/90 (art. 11 d.lgs. n. 165/2001).

Nel d.lgs. n. 165/2001, per quanto riguarda la disciplina del rapporto

di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche:

1) viene individuata nel codice civile, e nelle altre leggi sui rapporti di

lavoro subordinato nell’impresa, la disciplina generale dei rapporti di

lavoro in questione, sia pure fatte salve le diverse disposizioni dettate dal

decreto stesso (art. 2, comma 2); inoltre, si prevede che contratti ed

accordi collettivi di lavoro successivamente siglati possano intervenire

157

Page 163: r0mano 2014.docx

anche in deroga alle norme di legge o di regolamento contenenti

discipline speciali che dovessero essere state emanate dopo la sigla del

precedente contratto, salvo espressa disposizione di legge contraria (art.

2, comma 2, ultima parte). La disposizione ha un valore sia sostanziale

che interpretativo e serve a cercare di evitare che si formi una nuova

normativa speciale che eroda l’area di azione dei contratti collettivi.

2) dalla riforma si escludono, però, alcune particolari categorie di personale,

indicate nell’art. 3 (“Personale in regime di diritto pubblico”), che

rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti; si tratta, in particolare:

dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili; degli avvocati e

procuratori dello Stato; del personale militare e delle Forze di polizia di

Stato; del personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia;

dei professori e ricercatori universitari.

3) viene trasferita dalla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo

all’A.g.O., in funzione di giudice del lavoro, la giurisdizione sulle

controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle PP.AA.

(art. 63);

4) viene ricollegata alla contrattazione collettiva tutta la materia relativa al

rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali (vedi: art. 40 commi 1 e 4)

mediante contratti nazionali per comparto (es. comparto ministeri,

aziende ed amministrazioni ad ordinamento autonomo dello Stato; es.

accordo quadro per la definizione delle autonome aree di contrattazione

della dirigenza) cui si aggiunge una contrattazione collettiva integrativa a

livello di singola amministrazione nel rispetto dei vincoli di bilancio;

5) viene affidata all’ARAN la contrattazione collettiva. Le pubbliche

amministrazioni sono legalmente rappresentate dall'Agenzia per la

rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni agli effetti

della contrattazione collettiva nazionale (art. 46, comma 1). Le pubbliche

amministrazioni esercitano il potere di indirizzo nei confronti dell'ARAN

(art. 41, comma 1). L'ARAN ammette alla contrattazione collettiva

nazionale le organizzazioni sindacali che abbiano nel comparto o

nell'area una rappresentatività non inferiore al 5% (art. 43, comma 1);

158

Page 164: r0mano 2014.docx

6) viene prevista l'assunzione del personale dipendente nelle

amministrazioni pubbliche tramite la stipula di contratti individuali di

lavoro, procedendo al reclutamento del personale: a) mediante procedure

selettive volte all'accertamento della professionalità richiesta, che

garantiscano in misura adeguata l'accesso dall'esterno; b) mediante

avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della

legislazione vigente per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il

solo requisito della scuola dell'obbligo, facendo salvi gli eventuali

ulteriori requisiti per specifiche professionalità (art. 35, comma 1);

7) viene istituito in ogni amministrazione dello Stato, anche ad ordinamento

autonomo, il ruolo dei dirigenti, articolato in due fasce. La distinzione in

fasce ha rilievo agli effetti del trattamento economico e ai fini del

conferimento degli incarichi di dirigenza generale (art. 23, comma 1);

8) viene previsto che l’accesso alla qualifica di dirigente di ruolo della

seconda fascia nelle amministrazioni statali e negli enti pubblici non

economici avviene per concorso per esami indetto dalle singole

amministrazioni ovvero per corso-concorso selettivo di formazione

bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione (art. 28);

9) viene previsto che il conferimento degli incarichi di funzioni dirigenziali

avvenga a tempo determinato e sulla base di contratti individuali che ne

definiscono l’oggetto, gli obiettivi da conseguire e la durata (art. 19). La

Dir. P.C.M. 1° luglio 1999 ha fissato le “Linee guida per la definizione

dei contratti individuali della dirigenza”;

10) viene istituita la c.d. “responsabilità dirigenziale” (art. 21) che si

aggiunge alle comuni responsabilità (civili, amministrative, ecc.) di tutti i

dipendenti delle amministrazioni pubbliche. Tale responsabilità riguarda

i risultati negativi dell’attività amministrativa e della gestione ovvero il

mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati (sul punto vedi par.

57).

52. La contrattazione collettiva.

159

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Il procedimento di contrattazione collettiva è regolato dall’art. 47. Gli

indirizzi per la contrattazione collettiva nazionale sono deliberati dai

comitati di settore prima di ogni rinnovo contrattuale. Gli atti di indirizzo

delle amministrazioni diverse dallo Stato sono sottoposti al Governo che,

non oltre dieci giorni, può esprimere le sue valutazioni per quanto attiene

agli aspetti riguardanti la compatibilità con le linee di politica economica e

finanziaria nazionale.

L'ARAN informa costantemente i comitati di settore e il Governo

sullo svolgimento delle trattative con le organizzazioni sindacali. Raggiunta

l'ipotesi di accordo, l'ARAN acquisisce il parere favorevole del comitato di

settore sul testo contrattuale e sugli oneri finanziari diretti e indiretti che ne

conseguono a carico dei bilanci delle amministrazioni interessate.

Acquisito il predetto parere favorevole sull'ipotesi di accordo, l'ARAN

trasmette la quantificazione dei costi contrattuali alla Corte dei conti ai fini

della certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione e

di bilancio. La Corte dei conti certifica l'attendibilità dei costi quantificati e

la loro compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio,

deliberando entro quindici giorni dalla trasmissione della quantificazione

dei costi contrattuali, decorsi i quali la certificazione si intende effettuata

positivamente.

L'esito della certificazione viene comunicato dalla Corte all'ARAN, al

comitato di settore e al Governo. Se la certificazione è positiva, il Presidente

dell'ARAN sottoscrive definitivamente il contratto collettivo. Se la

certificazione della Corte dei conti non è positiva, l'ARAN, sentito il

comitato di settore o il Presidente del Consiglio dei Ministri, assume le

iniziative necessarie per adeguare la quantificazione dei costi contrattuali ai

fini della certificazione, ovvero, qualora non lo ritenga possibile, convoca le

organizzazioni sindacali ai fini della riapertura delle trattative.

Le iniziative assunte dall'ARAN in seguito alla valutazione espressa

dalla Corte dei conti sono comunicate, in ogni caso, al Governo ed alla

Corte dei conti, la quale riferisce al Parlamento sulla definitiva

quantificazione dei costi contrattuali, sulla loro copertura finanziaria e sulla

loro compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio.

160

Page 166: r0mano 2014.docx

La procedura di certificazione deve concludersi entro quaranta giorni

dall'ipotesi di accordo, decorsi i quali il Presidente dell'ARAN ha mandato

di sottoscrivere definitivamente il contratto collettivo, salvo che non si renda

necessaria la riapertura delle trattative.

53. Il controllo interno.

La materia è stata recentemente riformata con il d.lgs. 27 ottobre

2009, n. 150 che ruota intorno al concetto di <<performance>> e mira a

realizzare un sistema di valutazione delle strutture e dei dipendenti delle

amministrazioni pubbliche al dichiarato fine di assicurare elevati standard

qualitativi ed economici del servizio tramite la valorizzazione dei risultati e

della performance organizzativa e individuale.

La misurazione e la valutazione della performance sono volte al

miglioramento della qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni

pubbliche, nonché alla crescita delle competenze professionali, attraverso la

valorizzazione del merito e l'erogazione dei premi per i risultati perseguiti

dai singoli e dalle unità organizzative in un quadro di pari opportunità di

diritti e doveri, trasparenza dei risultati delle amministrazioni pubbliche e

delle risorse impiegate per il loro perseguimento.

A questo scopo è stato elaborato un c.d. “Ciclo di gestione della

performance” che si articola in più fasi:

a) definizione e assegnazione degli obiettivi che si intendono raggiungere,

dei valori attesi di risultato e dei rispettivi indicatori;

b) collegamento tra gli obiettivi e l'allocazione delle risorse;

c) monitoraggio in corso di esercizio e attivazione di eventuali interventi

correttivi;

d) misurazione e valutazione della performance, organizzativa e individuale;

e) utilizzo dei sistemi premianti, secondo criteri di valorizzazione del

merito;

f) rendicontazione dei risultati agli organi di indirizzo politico-

amministrativo, ai vertici delle amministrazioni, nonché ai competenti

161

Page 167: r0mano 2014.docx

organi esterni, ai cittadini, ai soggetti interessati, agli utenti e ai destinatari

dei servizi.

Gli obiettivi sono programmati su base triennale attraverso un

documento programmatico triennale, denominato Piano della performance

e le verifiche avvengono annualmente attraverso un documento denominato

Relazione sulla performance.

È stata quindi istituita, a livello centrale, una Commissione per la

valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche

(CiVIT), che opera in posizione di indipendenza di giudizio e di valutazione

e in piena autonomia. Si tratta di un organo collegiale composto da cinque

componenti scelti tra esperti di elevata professionalità, anche estranei

all'amministrazione con comprovate competenze in Italia e all'estero, sia nel

settore pubblico che in quello privato in tema di servizi pubblici,

management, misurazione della performance, nonché di gestione e

valutazione del personale.

Il decreto n. 150/2009, inoltre, ha sostituito i servizi di controllo

interno con un Organismo indipendente di valutazione della

performance (monocratico o collegiale), istituito presso ogni

amministrazione, singolarmente o in forma associata, che è nominato

dall'organo di indirizzo politico-amministrativo per un periodo di tre anni

che ha il compito di:

a) monitorare il funzionamento complessivo del sistema della valutazione,

della trasparenza e integrità dei controlli interni ed elabora una relazione

annuale sullo stato dello stesso;

b) comunicare tempestivamente le criticità riscontrate ai competenti organi

interni di governo ed amministrazione, nonché alla Corte dei conti,

all'Ispettorato per la funzione pubblica e alla Commissione per la

valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche,

istituita presso la Ragioneria generale dello Stato;

c) validare la Relazione sulla performance e assicurarne la visibilità

attraverso la pubblicazione sul sito istituzionale dell'amministrazione;

162

Page 168: r0mano 2014.docx

d) garantire la correttezza dei processi di misurazione e valutazione, nonché

dell'utilizzo dei premi nel rispetto del principio di valorizzazione del merito

e della professionalità;

e) proporre all'organo di indirizzo politico-amministrativo, la valutazione

annuale dei dirigenti di vertice e l'attribuzione ad essi dei premi;

f) far applicare correttamente le linee guida, le metodologie e gli strumenti

predisposti dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità

delle amministrazioni pubbliche;

g) promuovere e attestare l'assolvimento degli obblighi relativi alla

trasparenza e all'integrità dettati dallo stesso d.lgs;

h) verificare i risultati e le buone pratiche di promozione delle pari

opportunità.

Infatti sono previsti sistemi di incentivazione meritocratici e premi, di

cui è espressamente vietata la distribuzione in maniera indifferenziata o

sulla base di automatismi.

In questo contesto il decreto attribuisce all'organo di indirizzo

politico-amministrativo di ciascuna amministrazione il compito di

promuovere la cultura della responsabilità per il miglioramento della

performance, del merito, della trasparenza e dell'integrità. A tal fine

l’organo:

a) emana le direttive generali contenenti gli indirizzi strategici;

b) definisce in collaborazione con i vertici dell'amministrazione il Piano

della performace e la Relazione sulla performance;

c) verifica il conseguimento effettivo degli obiettivi strategici;

d) definisce il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità, nonché

gli eventuali aggiornamenti annuali.

Per uno sguardo d’insieme ed una valutazione del sistema si consiglia

di visitare il sito web dal CiVIT (www.civit.it) e, in particolare, vedere le

relazioni del 2010 e del 2011 ivi pubblicate.

54. Il personale politico.

Secondo l’art. 4 del d.lgs. n. 165/2001, agli organi di governo

(ministri, sottosegretari di Stato) non compete la gestione amministrativa

163

Page 169: r0mano 2014.docx

della Amministrazione pubblica, bensì competono funzioni di indirizzo

politico-amministrativo che essi esercitano, da un lato, definendo gli

obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti inerenti alla

citata funzione, dall’altro lato, verificando la rispondenza dei risultati

dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti (funzione

di controllo politico-amministrativo, ovvero di “controllo strategico”).

Rientrano in particolare nell’ambito delle suddette funzioni:

a) le decisioni in materia di atti normativi e l'adozione dei relativi atti di

indirizzo interpretativo ed applicativo;

b) la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali

per l'azione amministrativa e per la gestione;

c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie

da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello

dirigenziale generale;

d) la definizione dei criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi e di

determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi;

e) le nomine, designazioni ed atti analoghi ad essi attribuiti da specifiche

disposizioni;

f) le richieste di pareri alle autorità amministrative indipendenti ed al

Consiglio di Stato;

Tale distinzione, peraltro, ha valore generale. Infatti, ai sensi del

comma 4 dell’art. 4 del decreto, le amministrazioni pubbliche, i cui organi

di vertice non siano direttamente o indirettamente espressione di

rappresentanza politica, devono adeguare i propri ordinamenti al principio

della distinzione tra indirizzo e controllo, da un lato, e attuazione e gestione

dall'altro.

L’art. 14 del decreto ritorna sulla materia stabilendo che il Ministro,

per svolgere le suddette funzioni, deve - periodicamente, e comunque ogni

anno entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio

- anche sulla base delle proposte dei dirigenti generali:

a) definire obiettivi, priorità, piani e programmi da attuare ed emanare le

conseguenti direttive generali per l'attività amministrativa e per la

gestione;

164

Page 170: r0mano 2014.docx

b) effettuare l'assegnazione. ai dirigenti preposti ai centri di responsabilità

di livello dirigenziale generale, delle risorse umane, materiali ed

economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità.

Per l'esercizio delle suddette funzioni il Ministro si avvale di uffici di

diretta collaborazione, aventi esclusive competenze di supporto e di

raccordo con l'amministrazione, istituiti e disciplinati con regolamento ex

art. 17, comma 4-bis, legge n. 400/88.

Coerentemente con il nuovo ruolo assegnato al personale politico

nell’ambito della Amministrazione pubblica, il comma 3 dell’art. 14 d.lgs.

n. 165/2001 stabilisce che il Ministro non può revocare, riformare, riservare

o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei

dirigenti. In caso di inerzia o ritardo il Ministro può (e deve) intervenire

soltanto fissando un termine perentorio entro il quale il dirigente deve

adottare gli atti o i provvedimenti. Qualora l'inerzia permanga, o in caso di

grave inosservanza delle direttive generali da parte del dirigente competente,

che determinino pregiudizio per l'interesse pubblico, il Ministro può

nominare, salvi i casi di urgenza previa contestazione dei fatti al dirigente

interessato, un commissario ad acta, dando comunicazione al Presidente del

Consiglio dei Ministri del relativo provvedimento.

Quanto ai poteri di annullamento, il comma 3 dell’art. 14 cit. conserva

agli organi di Governo soltanto: 1) il potere di annullamento straordinario

degli atti amministrativi illegittimi a tutela dell’unità dell’ordinamento; 2) il

potere di annullamento del Ministro dell’interno nei confronti di atti del

Prefetto o di altra autorità di pubblica sicurezza soggetti a ricorso gerarchico

ai sensi dell’art. 6 del t.u. n. 773/1931 di pubblica sicurezza; 3)

l’annullamento ministeriale per motivi di legittimità previsto in via generale

dall’art. 3, terzo comma, del d.P.R. sulla dirigenza n. 748 del 1972.

55. Il personale dirigenziale.

L’art. 4 del d.lgs. n. 165/01 attribuisce, invece, alla competenza dei

dirigenti l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti

gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione

finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di

165

Page 171: r0mano 2014.docx

organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.

Coerentemente con tale nuovo ruolo la norma espressamente stabilisce che i

dirigenti sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della

gestione e dei relativi risultati.

In base alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 150/2009 spetta ai

dirigenti intervenire nella elaborazione del documento di programmazione

triennale del fabbisogno di personale con proposte volte ad individuare i

profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti istituzionali

delle strutture cui sono preposti.

I dirigenti, come si è detto, vengono distinti in due fasce facenti capo

ad un unico ruolo, la fascia dei dirigenti generali e quella dei dirigenti.

55.1. Competenze dei Dirigenti generali.

In base all’art. 16 spettano ai dirigenti di uffici dirigenziali generali i

seguenti compiti e poteri:

a) formulano proposte ed esprimono pareri al Ministro, nelle materie di sua

competenza e propongono le risorse e i profili professionali necessari allo

svolgimento dei compiti dell'ufficio cui sono preposti anche al fine

dell'elaborazione del documento di programmazione triennale del

fabbisogno di personale previsto dal d.lgs. n. 150/2009;

b) curano l'attuazione dei piani, programmi e direttive generali definite dal

Ministro e attribuiscono ai dirigenti gli incarichi e la responsabilità di

specifici progetti e gestioni; definiscono gli obiettivi che i dirigenti devono

perseguire e attribuiscono le conseguenti risorse umane, finanziarie e

materiali;

c) adottano gli atti relativi all'organizzazione degli uffici di livello

dirigenziale non generale;

d) adottano gli atti e i provvedimenti amministrativi ed esercitano i poteri di

spesa e quelli di acquisizione delle entrate rientranti nella competenza dei

propri uffici, salvo quelli delegati ai dirigenti;

e) dirigono, coordinano e controllano l'attività dei dirigenti e dei

responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con potere sostitutivo in

166

Page 172: r0mano 2014.docx

caso di inerzia, e propongono l'adozione, nei confronti dei dirigenti, delle

misure previste per la responsabilità dirigenziale;

f) promuovono e resistono alle liti ed hanno il potere di conciliare e di

transigere, fermo restando il potere del Ministro in ordine ad eventuali

divergenze tra amministrazione ed avvocatura dello Stato (vedi art. 12,

comma 1, legge n. 103/1979;

g) richiedono direttamente pareri agli organi consultivi dell'amministrazione

(diversi dal Consiglio di Stato e dalle Autorità amministrative indipendenti:

vedi art. 3 comma 1 d.lgs. 29/93) e rispondono ai rilievi degli organi di

controllo sugli atti di competenza;

h) svolgono le attività di organizzazione e gestione del personale e di

gestione dei rapporti sindacali e di lavoro;

i) decidono sui ricorsi gerarchici contro gli atti e i provvedimenti

amministrativi non definitivi dei dirigenti;

l) curano i rapporti con gli uffici dell'Unione Europea e degli Organismi

internazionali nelle materie di competenza secondo le specifiche direttive

dell'organo di direzione politica (se tali rapporti non siano espressamente

affidati ad apposito ufficio o organo).

Quest’ultima competenza è oggi particolarmente importante, in quanto

l’attività amministrativa ministeriale si intreccia e spesso dipende da quella

comunitaria e gli uffici comunitari spesso operano mediante comitati ecc.

composti da dirigenti dei diversi Stati membri.

E’ ancora da segnalare che l’art. 16, comma 4, espressamente prevede

che gli atti e i provvedimenti adottati dai dirigenti preposti al vertice

dell'amministrazione e dai dirigenti di uffici dirigenziali generali di cui allo

stesso articolo non sono suscettibili di ricorso gerarchico (tali provvedimenti

quindi sono “definitivi”: su quest’ultimo concetto vedi art. 1, comma 1, e

art. 8, comma 1, del d.P.R. 24.11.1971 n. 1199, sui ricorsi amministrativi).

55.2. Competenze dei Dirigenti.

In base all’art. 17 del decreto, spettano ai dirigenti, fra gli altri, i

seguenti compiti e poteri:

167

Page 173: r0mano 2014.docx

a) formulano proposte ed esprimono pareri ai dirigenti degli uffici

dirigenziali generali e concorrono con i dirigenti generali all'individuazione

delle risorse e dei profili professionali necessari allo svolgimento dei

compiti dell'ufficio cui sono preposti anche al fine dell'elaborazione del

documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale

previsto dal d.lgs. n. 150/2009;

b) curano l'attuazione dei progetti e delle gestioni ad essi assegnati dai

dirigenti degli uffici dirigenziali generali, adottando i relativi atti e

provvedimenti amministrativi ed esercitando i poteri di spesa e di

acquisizione delle entrate;

c) svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati dai dirigenti degli uffici

dirigenziali generali;

d) dirigono, coordinano e controllano l'attività degli uffici che da essi

dipendono e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con

poteri sostitutivi in caso di inerzia;

e) provvedono alla gestione del personale e delle risorse finanziarie e

strumentali assegnate ai propri uffici e, in particolare, ai sensi del d.lgs.

150/2009, effettuano la valutazione del personale assegnato ai propri uffici,

nel rispetto del principio del merito, ai fini della progressione economica e

tra le aree, nonché della corresponsione di indennità e premi incentivanti.

La Corte costituzionale, con sentenza 18-25 luglio 1996, n. 313, ha

dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 16

e 17 del d.lgs. 29/93 (e anche degli artt. 2, commi secondo e quarto, e 20,

primo comma) – oggi trasfusi nel d.lgs. n. 165/2001 - sollevata in

riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

56. Gli incarichi di funzioni dirigenziali.

Per il conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene

conto della natura e delle caratteristiche dei programmi da realizzare, delle

attitudini e della capacità professionale del singolo dirigente, anche in

relazione ai risultati conseguiti in precedenza e della relativa valutazione

(vedi art. 19).

168

Page 174: r0mano 2014.docx

Gli incarichi hanno durata non inferiore a tre anni e non superiore a

cinque anni, con facoltà di rinnovo. Sono definiti contrattualmente, per

ciascun incarico, l'oggetto, gli obiettivi da conseguire, la durata dell'incarico,

nonché il corrispondente trattamento economico (in linea con la

contrattazione collettiva: art. 24, comma 2).

Gli incarichi di segretario generale di ministeri, gli incarichi di

direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e

quelli di livello equivalente sono conferiti con decreto del Presidente della

Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del

Ministro competente, a dirigenti della prima fascia del ruolo unico o, con

contratto a tempo determinato, a persone in possesso di specifiche qualità

professionali (cioè a persone di particolare e comprovata qualificazione

professionale, che abbiano svolto attività in organismi ed enti pubblici o

privati o aziende pubbliche e private con esperienza acquisita per almeno un

quinquennio in funzioni dirigenziali, o che abbiano conseguito una

particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile

dalla formazione universitaria e postuniversitaria, da pubblicazioni

scientifiche o da concrete esperienze di lavoro, o provenienti dai settori della

ricerca, della docenza universitaria, delle magistrature e dei ruoli degli

avvocati e procuratori dello Stato).

Gli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale generale

sono conferiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su

proposta del Ministro competente, a dirigenti della prima fascia del ruolo

unico o anche, almeno per una parte dei posti disponibili, con contratto a

tempo determinato a persone in possesso di specifiche qualità professionali.

Gli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale sono

conferiti, con decreto del dirigente dell'ufficio di livello dirigenziale

generale, ai dirigenti assegnati al suo ufficio.

Gli incarichi di direzione degli uffici dirigenziali sono revocati nelle

ipotesi di responsabilità dirigenziale per inosservanza delle direttive generali

e per i risultati negativi dell'attività amministrativa e della gestione (vedi art.

21 d.lgs. 165/01), ovvero nel caso di risoluzione consensuale del contratto

individuale (art. 19, comma 2, d.lgs. 165/01). Il mancato raggiungimento

169

Page 175: r0mano 2014.docx

degli obiettivi può avere anche effetti sulla retribuzione (in particolare sulla

parte della retribuzione c.d. “retribuzione di risultato”).

Gli incarichi di segretario generale di ministeri, gli incarichi di

direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali e

quelli di livello equivalente cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla

fiducia al Governo (art. 19, comma 8, d.lgs. 165/01). Risulta in questo

modo accentuato il carattere fiduciario del rapporto tra tali alti dirigenti ed il

Governo.

57. La responsabilità dirigenziale e le modalità di verifica.

Alle competenze dei dirigenti si ricollega una specifica responsabilità,

che si aggiunge alla normale responsabilità civile, amministrativa e penale

dei dipendenti pubblici, e che viene denominata “responsabilità

dirigenziale”.

L’art. 21 del d.lgs. n. 165/2001, come modificato dal d.lgs.

27.10.2009, n. 150, precisa l’oggetto di tale responsabilità, che costituisce

l’altra faccia dei poteri di gestione del dirigente. Ferma restando l'eventuale

responsabilità disciplinare, il mancato raggiungimento degli obiettivi,

accertata con il sistema di valutazione delle performance, ovvero

l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente, comportano

l'impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. In relazione alla

gravità dei casi, l'amministrazione può, inoltre, revocare l'incarico

collocando il dirigente a disposizione dei ruoli, ovvero recedere dal rapporto

di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo.

Inoltre, la colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto, da

parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e

qualitativi fissati dall'amministrazione, conformemente agli indirizzi

deliberati dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità

delle amministrazioni pubbliche, comporta la decurtazione della

retribuzione di risultato di una quota fino all'ottanta per cento.

Le procedure di valutazione valgono per tutte le amministrazioni

statali, fatte salve le norme particolari relative alla presidenza del Consiglio

170

Page 176: r0mano 2014.docx

dei ministri ed alcune amministrazioni operanti nei settori della difesa, della

polizia e della giustizia.

Peraltro, con il d.lgs. 20 dicembre 2009 n. 198, al fine di rafforzare le

misure volte a controllare l’efficienza delle pubbliche amministrazioni e dei

concessionari di servizi pubblici, ai “titolari di interessi giuridicamente

rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori” è stata

attribuita una azione giudiziaria mirante a ripristinare il corretto svolgimento

della funzione o la corretta erogazione di un servizio, con riferimento non

solo a ritardi ed omissioni legate alla violazione di atti amministrativi

generali obbligatori, ma anche alla violazione degli obblighi contenuti nelle

carte di servizi o nelle disposizioni in materia di performance.

58. Il “telelavoro”.

Un esempio del nuovo modo di atteggiarsi dell’organizzazione, sia

rispetto alla disciplina del lavoro che rispetto alle modalità di svolgimento, è

dato dalla previsione del c.d. “telelavoro”, cioè del “lavoro a distanza”, che

realizza anche nell’ambito delle pubbliche amministrazioni una forma di

rapporto di lavoro flessibile.

Il ricorso a tale modello di lavoro può consentire anche nelle pp.aa. di

soddisfare l’esigenza di distribuire in maniera ottimale il personale sul

territorio nazionale garantendo una migliore erogazione dei servizi.

Il ricorso a tale forma innovativa di lavoro è oggi facilitata dalla

disponibilità di tecnologie innovative, dalla diffusione dell’uso della firma

elettronica e dalla presenza in rete della necessaria documentazione

giuridica e amministrativa.

L’art. 4 della legge 16.6.1998, n. 191, prevede il telelavoro come

moderna forma di svolgimento del lavoro mutuata dalle più recenti

esperienze aziendali. Il regolamento approvato con il d.P.R. 8.3.1999, n. 70,

disciplina il <<telelavoro>>, definito come prestazione di lavoro eseguita

dal dipendente pubblico in qualsiasi luogo collocato al di fuori della sede di

lavoro, cioè dell'ufficio al quale il dipendente è assegnato, dove la

prestazione sia tecnicamente possibile, con il prevalente supporto di

171

Page 177: r0mano 2014.docx

tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che consentano il

collegamento con l'amministrazione cui la prestazione stessa inerisce.

Ai sensi del regolamento l'assegnazione a progetti di telelavoro non

muta la natura del rapporto di lavoro in atto" (art.4, co.3)

Un accordo collettivo regola il trattamento retributivo e normativo del

telelavoro (vedi attualmente l’accordo quadro nazionale sul telelavoro nelle

pp.aa. del 23.3.2000, stipulato tra l’Aran ed i sindacati, pubblicato nella

G.U. n. 94 del 24 aprile 2000).

IV - La gestione dei mezzi finanziari della Repubblica.

59. I Mezzi Finanziari

Anche i profili finanziari, come quelli organizzativi e del personale,

subiscono una evoluzione sotto la spinta delle nuove esigenze della società

italiana nel contesto europeo e mondiale.

I principi e le funzioni della legge di bilancio di cui abbiamo dato

alcuni cenni all’inizio delle lezioni non vengono eliminati, ma ad essi si

aggiungono e diventano non meno importanti anche altri principi e funzioni.

Prende sempre maggiore importanza, già a partire dagli anni settanta

dello scorso secolo e dalla realizzazione delle Regioni ordinarie, una visione

funzionale della finanza pubblica, quale strumento economico per la

realizzazione dei fini sociali perseguiti dallo Stato contemporaneo.

Una prima riforma (legge n. 468 del 1978) è stata rivolta a porre,

accanto alla legge di bilancio (attraverso la quale, ricordiamo, il Governo

comunica preventivamente al Parlamento, per l’approvazione, le spese e le

entrate previste per l'anno successivo in base alle leggi vigenti), la c.d.

“legge finanziaria” e il c.d. “collegato alla finanziaria”.

172

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Il disegno di legge, presentato dal Governo al Parlamento con

sufficiente anticipo (settembre/ottobre), propone l’introduzione di nuove

norme in materia di entrate e di spesa, fissando anche il tetto

dell'indebitamento dello Stato; esso viene da quest’ultimo esaminato e

modificato e, quindi, approvato, dando luogo alla c.d. legge finanziaria.

Sotto la denominazione “collegato alla finanziaria”, poi, vengono

posti quei disegni di legge sottoposti al Parlamento che contengono

interventi connessi alla realizzazione della manovra finanziaria (vedi la

legge n. 362 del 1988).

La pressione della Comunità europea, divenuta Unione Europea dotata

di una moneta unica, ha comportato un ulteriore rafforzamento del controllo

della spesa pubblica, intesa non soltanto con riguardo alla spesa statale e

delle regioni, bensì con riguardo ai flussi finanziari pubblici globali.

Così con la l.cost. n. 1 del 2012, all’art. 81 Cost. si sono aggiunti due

primi commi che dichiarano solennemente:

Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.

Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.

Inoltre all’art. 97 Cost. si è premesso un nuovo primo comma che detta:Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico

E ancora all’art. 119 Cost. è inserito un comma che statuisce:

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea

Infine l’art. 5 della l.cost. n. 1/2012 ha stabilito:

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1. La legge di cui all'articolo 81, sesto comma, della Costituzione, come sostituito dall'articolo 1 della presente legge costituzionale, disciplina, per il complesso delle pubbliche amministrazioni, in particolare:a) le verifiche, preventive e consuntive, sugli andamenti di finanza pubblica; b) l'accertamento delle cause degli scostamenti rispetto alle previsioni, distinguendo tra quelli dovuti all'andamento del ciclo economico, all'inefficacia degli interventi e agli eventi eccezionali; c) il limite massimo degli scostamenti negativi cumulati di cui alla lettera b) del presente comma corretti per il ciclo economico rispetto al prodotto interno lordo, al superamento del quale occorre intervenire con misure di correzione; d) la definizione delle gravi recessioni economiche, delle crisi finanziarie e delle gravi calamità naturali quali eventi eccezionali, ai sensi dell'articolo 81, secondo comma, della Costituzione, come sostituito dall'articolo 1 della presente legge costituzionale, al verificarsi dei quali sono consentiti il ricorso all'indebitamento non limitato a tenere conto degli effetti del ciclo economico e il superamento del limite massimo di cui alla lettera c) del presente comma sulla base di un piano di rientro; e) l'introduzione di regole sulla spesa che consentano di salvaguardare gli equilibri di bilancio e la riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo nel lungo periodo, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica; f) l'istituzione presso le Camere, nel rispetto della relativa autonomia costituzionale, di un organismo indipendente al quale attribuire compiti di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e di valutazione dell'osservanza delle regole di bilancio; g) le modalità attraverso le quali lo Stato, nelle fasi avverse del ciclo economico o al verificarsi degli eventi eccezionali di cui alla lettera d) del presente comma, anche in deroga all'articolo 119 della Costituzione, concorre ad assicurare il finanziamento, da parte degli altri livelli di governo, dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali.2. La legge di cui al comma 1 disciplina altresì:a) il contenuto della legge di bilancio dello Stato; b) la facoltà dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane, delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano di ricorrere all'indebitamento, ai sensi dell'articolo 119, sesto comma, secondo periodo, della Costituzione, come modificato dall'articolo 4 della presente legge costituzionale; c) le modalità attraverso le quali i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni.3. La legge di cui ai commi 1 e 2 è approvata entro il 28 febbraio 2013.4. Le Camere, secondo modalità stabilite dai rispettivi regolamenti, esercitano la funzione di controllo sulla finanza pubblica con particolare riferimento all'equilibrio tra entrate e spese nonché alla qualità e all'efficacia della spesa delle pubbliche amministrazioni.

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Invero, dette norme costituzionali coronano una ulteriore riforma della

contabilità e della finanza pubblica, apportata dalla legge 31 dicembre 2009

n. 196 e s.m.i., che si è posta l’obiettivo di adeguare le norme di contabilità

e finanziarie alle innovazioni dell’assetto istituzionale italiano e che ha

comportato l’adesione dell’Italia ad un sistema di vincoli di bilancio

sovranazionali.

La legge finanziaria, di conseguenza, ha assunto il nome (e anche la

sostanza) di legge di stabilità, e, insieme alla legge di bilancio, realizza la

manovra di finanza pubblica per il triennio di riferimento (l. 7 aprile 2011,

n. 39) e rappresenta lo strumento principale di attuazione degli obiettivi

programmatici definiti con la Decisione di finanza pubblica (DFP),.

Quest’ultima, che sostituisce il Documento di programmazione economica e

finanziaria, come messo in evidenza dai documenti dell’Ufficio Studi della

Ragioneria Generale dello Stato, fra l’altro espone, almeno per il triennio

successivo:

gli obiettivi di politica economica e il quadro delle previsioni

economiche e di finanza pubblica;

le previsioni tendenziali a legislazione vigente del conto economico

della pubblica amministrazione, del saldo di cassa e del debito, sia

complessivi che articolati per i sotto settori istituzionali;

gli obiettivi programmatici dei saldi e del debito, per il complesso

delle amministrazioni pubbliche e per i suoi sottosettori, al netto e al

lordo degli interessi e delle misure una tantum, espressi in

percentuale del Pil.

La DFP, inoltre, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica e con

il Patto di convergenza, di cui all'articolo 18 della legge n. 42 del 2009,

indica il contenuto del Patto di stabilità interno e delle sanzioni per gli enti

territoriali in caso di mancato rispetto di quanto previsto dal Patto di

stabilità. Essa, altresì, contiene l'indicazione di massima delle risorse

finanziarie necessarie a confermare per il periodo di programmazione gli

impegni e gli interventi di politica economica e di bilancio per i principali

settori di spesa (politiche invariate), nonché, a fini conoscitivi, il valore

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atteso del prodotto potenziale e degli indicatori strutturali programmatici del

conto economico delle amministrazioni pubbliche.

Si rinvia, infine, a quanto già esposto in tema di controlli interni ed

esterni (Corte dei conti) sulla gestione e sul rispetto del patto di stabilità, per

completare, anche con riferimento a questo importante aspetto

dell’amministrazione pubblica, il panorama generale che si è cercato di

tratteggiare.

Prof. Salvatore Alberto Romano

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