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Soleto ritrovata Ricerche archeologiche e linguaggi digitali per la fruizione a cura di Maria Teresa Giannotta Francesco Gabellone Maria Federica Stifani Lavinia Donateo ESTRATTO

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Soleto ritrovataRicerche archeologiche

e linguaggi digitali per la fruizione

a cura diMaria Teresa Giannotta

Francesco Gabellone Maria Federica Stifani

Lavinia Donateo

ESTRATTO

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Linguaggi digitali per la valorizzazione Francesco Gabellone · Maria Chiffi

Molti anni sono ormai passati dalle prime esperienze di archeologia virtuale. I pochi gruppi nati quasi vent’an-ni fa con l’obiettivo di divulgare e documentare l’ar-cheologia, ma anche coinvolgere appassionati, neofiti e professionisti del settore attraverso l’uso di tecnologie promettenti, sono oggi diventati i capofila di numerose attività di ricerca e convegni internazionali in cui ven-gono proposte e discusse le più avanzate soluzioni di archeologia virtuale. Negli anni, numerosi altri gruppi si sono aggiunti a quei pionieri, con un arricchimen-to progressivo della comunità scientifica, che si avvale oggi della presenza di autorevoli studiosi provenienti dai campi più diversi: archeologia, geologia, geofisica, ingegneria informatica, antropologia, chimica. Un in-tenso periodo di sperimentazioni e ricerche ha portato l’archeologia virtuale ad assumere sempre di più un ruolo di primo piano nei processi di conoscenza e va-lorizzazione dei beni culturali, restituendo i contorni di una disciplina ormai matura, credibile, ma soprat-tutto, potenzialmente redditizia. Questo risulta ben evidente se si analizzano con attenzione i contenuti delle numerose iniziative pubbliche e private a soste-gno di processi di valorizzazione dei BBCC mediante tecnologie digitali, in cui si assume il digital heritage come elemento trainante, capace di attrarre e allo stes-so tempo semplificare le modalità stesse di trasmis-sione del messaggio culturale. È evidente, in qualche modo, il ruolo centrale dell’archeologia virtuale come settore promettente, sul quale credere ed investire, non solo per quegli esiti attesi sul piano economico in ter-mini di capitalizzazione dei beni culturali, ma anche per le tante aspettative sul piano occupazionale, sulle potenzialità di impiego di nuove figure specializzate. Se è vero che questo settore investe e si alimenta dei

vari campi della ricerca, dalle hard sciences alle digi-tal humanities, è possibile pensare ad un ruolo più dinamico, moderno ed interdisciplinare per figure tradizionalmente legate a studi settoriali, condotti per lo più in modo isolato. Penso all’apporto dell’archeo-logo e dello storico, determinante per poter garantire un certo rigore scientifico ad un prodotto di archeo-logia virtuale, ma anche ai contributi di scienze molto distanti dalle humanities, come la chimica, la fisica, la geologia, la medicina, tutte discipline che possono tro-vare in questo settore in crescita un tessuto connettivo fertile. Forse l’archeologia virtuale può ritenersi oggi la disciplina che più di tutte ha bisogno dell’apporto dei diversi saperi, perché è dal concorso dei diversi punti di vista che è possibile pervenire a risultati di assoluto rigore scientifico.

Molto spesso si ritiene che questo settore sia domi-nato dalla tecnologia, molti umanisti al contrario ri-vendicano un ruolo di primo piano, altri ancora riten-gono centrale l’aspetto comunicativo e la progettualità. Nei tanti prodotti di archeologia virtuale realizzati nei laboratori dell’Ibam nell’ultimo decennio è evidente, invece, il ruolo centrale dell’oggetto culturale. Attor-no al bene da conoscere e valorizzare ruotano infatti le scelte progettuali, le tecnologie da usare, le compe-tenze da coinvolgere, le soluzioni più innovative da utilizzare. Senza la conoscenza interdisciplinare sul bene non può esistere nessun prodotto di archeologia virtuale credibile, che possa dare i suoi frutti anche sul piano della capitalizzazione del bene, a cui si accen-nava in precedenza. L’inefficacia di molti “prodotti” digitali destinati alla comunicazione museale è data proprio dal mancato equilibrio tra le varie componenti che entrano in gioco nel determinare gli aspetti carat-

Archeologia virtuale: un settore in crescita

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terizzanti di un progetto di archeologia virtuale. Molti “prodotti” spostano il centro di interesse sull’innova-tività tecnologica, a scapito della correttezza dei con-tenuti e spesso della resa grafica. Questo viene spesso giustificato dalla necessità di proporre soluzioni inno-vative, che contengano qualche avanzamento rispetto allo stato dell’arte, ma è un atteggiamento in linea solo con le aspettative della ricerca, del tutto estraneo alle logiche di efficacia comunicativa di un 'prodotto' reale, che dovrà confrontare il proprio valore in rapporto al livello di soddisfazione finale del pubblico. Ebbene è proprio su questo aspetto cruciale, legato alla qualità della resa, alla qualità dei dati scientifici, alla efficacia comunicativa dei dati trasmessi che intendiamo con-cepire un valido “prodotto” di archeologia virtuale. Qualcosa che sappia trascendere dai puri tecnicismi e punti dritto sulla qualità del prodotto, anche quando questo significa utilizzare le metafore dei videogiochi e le magie degli effetti visuali usati nella moderna cine-matografia. Lo sforzo principale della Computer Grafi-ca degli ultimi anni è infatti rappresentato dalla ricerca del realismo, forse anche in risposta alle esigenze del pubblico, che desidera un alto coinvolgimento emoti-vo. La cinematografia hollywoodiana e lo sviluppo di

videogiochi puntano moltissimo su questo, sull’effetto di stupore, che la Computer Grafica riesce a trasmette-re grazie ai visual effects iperrealistici. Da qualche anno questo fenomeno coinvolge però anche gli ambienti scientifici in cui è fondamentale lo studio e la comu-nicazione attraverso immagini, dalla simulazione dei fenomeni fisici alla ricostruzione dei contesti antichi in archeologia. Lo studio di un monumento a fini ri-costruttivi deve però, come detto in apertura, coniuga-re i diversi saperi, non solo per capire ed interpretare l’oggetto stesso, ma anche e soprattutto per trasmette-re le conoscenze acquisite ad un pubblico eterogeneo. L’archeologia virtuale, quindi, riassume in sé e cana-lizza in forma di immagine digitale di modello 3D, di applicazione VR, di DataBase, i molteplici risultati di una indagine interdisciplinare. Il prodotto realizzato su base 3D non viene più concepito come pura rap-presentazione iconica, ma come strumento in grado di trasferire e veicolare in forma grafica gran parte dei dati acquisiti da una ricerca scientifica, rappresentan-do con un linguaggio semplice ed immediato, gli ele-menti indispensabili per una corretta interpretazione e lettura delle informazioni.

1. (p. precedente) Soleto. Fondo Fontanella, proposta ricostruttiva 3D della parte orientale del cortile su cui si affaccia il complesso abitativo

Quali tecnologie per la resa realistica?

Malgrado il grande interesse per il rendering non reali-stico e le sue molteplici applicazioni, tutti gli sforzi del-la Computer Grafica attuale gravitano, come detto nel paragrafo precedente, intorno alla ricerca del realismo. Riferito all'ambito della computer grafica, il rendering identifica il processo di 'resa' ovvero di generazione di un'immagine a partire da una descrizione matematica di una scena tridimensionale interpretata da algoritmi che definiscono il colore di ogni punto dell'immagine digitale. Le ricerche e i progressi nel campo del rende-ring sono state in gran parte motivate dal tentativo di simulare in modo accurato ed efficiente le principali caratteristiche fisiche dei materiali e parallelamente, il comportamento degli oggetti e dei materiali ad essi associati quando vengono illuminati. La qualità della resa in scene 3D è dipendente da diversi fattori: il pri-mo in ordine di importanza è legato alla qualità dell’il-

luminazione, il secondo alla qualità dei set-up di defi-nizione dei materiali, il terzo alla qualità dei modelli. Il senso di realismo è però legato indissolubilmente alla qualità del motore di rendering. È ormai risaputo che il podio è ormai incontestabilmente occupato, da mol-ti anni, dal pluripremiato Pixar’s RenderMan. Questo software include numerosissime caratteristiche di alto livello, ma richiede tempi di apprendimento piuttosto lunghi, legati soprattutto alla definizione dei materiali ed al set-up dei numerosi parametri che possono spa-ventare un neofita. Nonostante l’esistenza di tools so-fisticati come quello appena descritto che richiedono competenze di alto livello, negli ultimi anni il nostro desiderio di rappresentare il Virtual Heritage con il più alto realismo - e con il minimo sforzo - è stato in parte esaudito. Mi riferisco all’avvento degli engines unbiased, che hanno rappresentato una vera rivolu-

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zione. La soluzione è ormai largamente usata e negli ultimi tempi sono comparse numerose società che propongono un loro engine basato su questa filosofia. Alla base di ogni calcolo realistico vi è senz’altro il con-tributo della radiosità ambientale, o Global Illumina-tion, mediante la quale vengono simulate le reazioni dell’ambiente sul contributo prodotto da ogni singolo corpo illuminante. Il calcolo della GI (Global illumi-nation) è un’operazione piuttosto complessa, che pro-prio per le infinite interazioni tra oggetti e ambiente ha bisogno di una 'semplificazione', di una approssi-mazione del numero dei campioni illuminanti. Da un numero infinito di rimbalzi e differenti profondità di diffusione, si passa ad un compromesso che riduce i tempi di calcolo, ma riduce anche l’accuratezza della resa. In particolare, i motori biased solitamente fanno uso di algoritmi ottimizzati per calcolare illuminazio-ne globale, riflessioni caustiche, rifrazione, sub surface scattering e poco altro, introducendo artefatti. I motori unbiased, invece, utilizzano modelli fisici e ottici molto più accurati e tengono conto delle interazioni lumino-se tra gli elementi della scena. Solo l'aumentare della potenza dei computer, con la presenza di processori multi core e la possibilità di utilizzare render farm, ha permesso di implementare algoritmi di calcolo tanto complessi e rendere accettabili i tempi di resa di questi motori. Gli unbiased engines vengono usati principal-mente in ambito architettonico e quando sia ricercata la qualità senza compromessi.

Una simulazione realistica richiede quindi il cal-colo corretto della luce, ma al contempo anche una notevole precisione dei colori rappresentati. L’impor-tanza del texturing e del dato colore è davvero rilevan-te quando il nostro obiettivo è la restituzione di opere d’arte o la ricostruzione/restituzione di monumenti che richiedono una rappresentazione non solo realisti-ca, ma metricamente corretta. In generale la qualità del texture mapping dipende 'solo' da tre fattori:• la qualità degli shader• la modalità di mappatura• la gestione delle sovrapposizioni

La qualità degli shader dipende poi da altri fattori come la risoluzione, il loro formato (jpg, tga, tiff, hdri, exr, etc.) e naturalmente da una sua gestione fisicamente corretta.

La scelta della risoluzione è dipendente dalla fina-lità del nostro lavoro e da una programmazione della

distanza dell’inquadratura. In un progetto di visua-lizzazione real time le texture sono generalmente di dimensioni medio-piccole, per ovvi motivi di gestio-ne da parte della GPU, ma in fase di programmazio-ne è possibile adottare accorgimenti che permettano una gestione efficace di texture di grandi dimensioni. La distanza della camera dall’oggetto texturizzato va valutata attentamente perché la texture non dovreb-be mai eccedere la sua risoluzione nativa. La qualità della texture è anche data da sorgenti ben contrastate, non eccessivamente manipolate e soprattutto realiz-zata su base fotografica.

Recentemente il problema della gestione di que-sto processo è molto marginalizzato per l’affermarsi di tecnologie di restituzione basate sull’immagine, a loro volta derivate da tecniche fotogrammetriche o di structure from motion. Le peculiarità insite nella generazione automatica di modelli 3D da foto sono ormai ampiamente discusse ed utilizzate anche da non specialisti. In un recente caso di studio condotto sull’Ipogeo Palmieri a Lecce dalla nostra équipe, sono state condotte due campagne di rilievo, la prima me-diante l’uso di scanner laser, la seconda rivolta alla restituzione image-based dei due fregi scultorei pre-senti sulle pareti del dromos. Per questo è stata usata una fotocamera Canon 5DMKII da 24 MP. I modelli 3D dei due fregi sono molto simili in termini di ri-soluzione geometrica e di risoluzione della texture associata. Entrambi sono stati calcolati con l’uso di Agisoft Photoscan usando parametri di accuratezza media e depth filter moderato. Non è stato possibile il calcolo con parametri più elevati per i lunghi tempi di attesa, non compatibili con i tempi di consegna del lavoro. Ciononostante, è bastata una copertura com-pleta delle parti da rilevare con foto riprese secondo una modalità di movimento dolly, cioè con grande sovrapposizione parallela tra fotogrammi contigui, per ottenere un modello 3D praticamente indistin-guibile dal reale. Come spesso capita di riscontrare, l’eventuale deficit di definizione sub-millimetrica della geometria rilevata è su questi modelli compen-sato dalla ricchezza delle texture ad alta risoluzione, che restituiscono con mappatura UVW anche i parti-colari più piccoli, come graffi superficiali, minuscole efflorescenze, piccoli fori, imperfezioni. In merito alla gestione nativa delle UVW, va rimarcata una notevo-le gestione del software per le parti sottosquadro e le parti caratterizzate da una plastica complessa.

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Come noto, la gestione 'tradizionale' della mappa-tura di questi soggetti comporta un notevole impegno con software a volte costosi e non sempre ugualmente efficaci. Entrambi i modelli, della lunghezza reale di circa 3 metri per 2 metri di altezza, sono stati restituiti con circa 300 immagini da 24 MP ciascuna, alla riso-luzione di circa 1 mm e 3 milioni di poligoni totali per ognuno. Una risoluzione certamente non molto alta,

ma adeguata a descrivere nei dettagli i fregi oggetto di studio. Del resto una prerogativa di ogni rilievo deve essere la finalità stessa del rilievo, che potrebbe spin-gersi fino alla definizione micrometrica, ma che ai fini di una fruizione turistica e di uno studio dello stile fi-gurativo darebbe dati ridondanti e superflui, inutili e pesanti da gestire.

Riflessione sulle tecniche costruttive della casa messapica: il sito di Cunella a Muro Leccese

A Muro Leccese la città messapica si articola in una serie di nuclei territoriali distinti, ciascuno dei quali comprende al suo interno spazi che ripropongono la stessa pluralità di funzioni: abitativa, cultuale, funera-ria, produttiva. La struttura architettonica dominante è costituita dalla casa, per lo più modesta nelle dimen-sioni e nell'apparato decorativo. Essa presenta talvolta aspetti planimetrici e funzionali più complessi, che ne indicano l'appartenenza a un nucleo familiare elevato, per ruolo sociale e per capacità economiche.

Molto interessante, a tal proposito, l’area racchiusa tra le attuali via Veneto e via Messapia, in località Cu-

nella, che ripropone la fisionomia di un settore dell’abi-tato messapico (Fig. 2). Grazie agli scavi e alle ricerche condotte dall’Università del Salento e dirette da Liliana Giardino, è stato possibile identificare un edificio resi-denziale, oggi visibile solo per una parte della sua su-perficie originaria (oltre 400 mq), che presenta un’arti-colazione planimetrica abbastanza diffusa in Messapia dalla seconda metà del VI secolo a.C. al IV secolo a.C.: un ampio cortile scoperto e pavimentato rappresenta il fulcro polifunzionale dell’edificio e dà accesso ai singo-li ambienti, allineati sulla strada ma non comunicanti con quest’ultima. Lo scavo ha messo in luce un crollo

2. Muro Leccese, località Cunella, proposta ricostruttiva del complesso abitativo

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composto da pietre informi e frammenti di coppi e ar-gilla, che verosimilmente dovevano costituire il corpo della muratura in elevato. Questa muratura è posata su fondazioni realizzate con blocchi di calcare locale, ben lavorate e squadrate, ma di diverse dimensioni da 50 a 60 cm circa. Questa larghezza di base permette di raggiungere in altezza solo modeste dimensioni, quindi non poteva essere utilizzata per l’intero elevato dell’abitazione. Sulla sommità del muro in pietrame erano presenti dei coppi in laterizio interi o ridotti in frammenti, la cui funzione principale era quella di li-vellamento. Infatti, sia i blocchi di fondazione che il muro in elevato seguono la pendenza del terreno, sen-za alcun accorgimento adottato per ottenere dei ricorsi orizzontali o una sommità del muro livellato in oriz-zontale. I coppi, anche ridotti in frammenti, spianano la sommità del muro ed allo stesso tempo consentono di ottenere uno sbarramento all’umidità, fornendo un piano di posa ideale per i successivi elementi costrutti-vi al di sopra di esso. L’alzato doveva quindi proseguire con mattoni crudi con struttura lignea a sostegno della muratura in argilla. Questo è confermato, a Cunella, dal ritrovamento di una grande quantità di argilla, ma anche dalla presenza stessa di mattoni in terra cruda emersi durante lo scavo.

L’uso della terra come materiale da costruzione ha origini remote. Essa è stata ampiamente utilizza-

ta da numerose culture antiche e in zone climatiche molto diverse, a partire dalle civiltà mesopotamiche fino a quelle egiziane. In Europa, in Africa e nel Me-dio Oriente, la tecnologia dell’architettura in terra si è presto diffusa, essa è documentata anche in Asia presso le civiltà dell’Indo e dell’antico impero cinese. Questo sistema era molto usato nei paesi secchi dove si costru-ivano con questi grossi pani o mattoni crudi, anche palazzi di notevole mole, ma è senz’altro una tecnica molto utilizzata fino ai giorni nostri, a testimonianza di un facile utilizzo e buone garanzie di affidabilità tec-nologica.

A Cunella i mattoni crudi erano verosimilmente poggiati sulla struttura lignea, che doveva determinare un vero e proprio telaio poggiato sul muro in pietra-me spianato da coppi. Questo telaio doveva fungere da struttura portante dell’edificio. Le travi portanti del tetto dovevano essere poggiate direttamente sul muro di argilla e disposte in senso trasversale rispetto alla pendenza delle falde, questo è importante per elimina-re la spinta orizzontale del tetto stesso ed ottenere una maggiore stabilità della struttura.

Tutte le superfici verticali erano molto probabil-mente intonacate, con uno spessore rilevante. Anche quelle interne lo erano e lo spessore documentato è circa 4-5 cm.

La ricostruzione di Fondo Fontanella a Soleto

L’indagine sistematica sugli abitati messapici presenta particolari difficoltà legate alla mancanza di evidenze monumentali rilevanti, eccezion fatta per alcuni trat-ti delle mura di fortificazione, come quelle delle città greche (templi, teatri, agorai). Tale caratteristica ha per anni determinato un problema di tutela che ha di fatto impedito l’acquisizione speditiva di vaste aree che, solo dopo un’azione mirata di valorizzazione e comunica-zione, sono state sottratte all’attività edilizia e specula-tiva. Questo processo di sensibilizzazione e di studio sistematico ha finalmente portato, negli ultimi anni, ad una consapevolezza di quei fattori distintivi che ca-ratterizzano gli insediamenti messapici, permettendo oggi di delinearne in qualche modo gli aspetti carat-teristici e le singolarità architettoniche e costruttive. Un approccio metodologico che potremmo definire

‘induttivo’, ha permesso di procedere dal particolare al generale, considerando alcuni elementi tecnologici e costruttivi come parte di un “modus costruendi” che attraversa i secoli e si ripropone quasi in modo identi-co in numerose civiltà di tutto il mondo, fino ai giorni nostri. I risultati presentati in queste pagine sono stati ottenuti grazie all’intreccio dei dati archeologici e dei dati storici, rappresentati e studiati in forma tridimen-sionale mediante l’impiego delle nuove tecnologie 3D. Grazie alla modellazione tridimensionale e all’ausilio di linguaggi JavaScript è stato possibile dare forma a questa proposta ricostruttiva, per rappresentare un probabile aspetto originario del sito oggetto di studio e permettere ai turisti nuove forme di fruizione (Fig. 3a-3b). Gli scavi archeologici sistematici condotti nel Fondo Fontanella (Tav. I, n. 39) hanno messo in luce

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3a-b. Esempi di visualizzazione dell’Applicazione interattiva, basata su JavaScript, per la fruizione da mobile device

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strutture antiche, documentate a livello di fondazione, nelle quali è stato riconosciuto un complesso abitativo di fine IV sec. a.C., pubblicato da Thierry Van Com-pernolle (2012) e da Francesco D’Andria (2011), com-prendente due ali disposte a L e affacciate su un vasto cortile (Fig. 4). Dallo scavo di questo settore di abitato proviene l’ostrakon con la cosiddetta ‘Mappa di Sole-to’ (vedi infra). Le strutture sono le uniche, tra quelle portate alla luce riferibili all’insediamento messapico, che siano oggi fruibili all’interno del Parco Messapico Archeologico di Soleto. La sepoltura ‘familiare’ è po-sta nel cortile, nell’angolo tra le due ali del comples-so. I due studiosi concordano sulla funzione abitativa e ‘privata’ dei 3 vani dell’ala sud, mentre dissentono notevolmente sulla funzione delle strutture dell’ala ovest. Van Compernolle ritiene che si tratti di un set-tore ‘produttivo’ composto di tre vani, una ‘bottega’, un vano con fornace ed un grande vano di servizio con copertura deperibile, per il quale ipotizza “che possa forse trattarsi di una stalla”. Di questo complesso sono state pubblicate le planimetrie e le foto di scavo, men-tre non sono editi i materiali rinvenuti nel corso degli scavi. Del tutto diversa l’interpretazione di D’Andria, il quale, sulla base del confronto planimetrico e fun-zionale dei vani di edifici analoghi, disposti ad L ed

aperti su un grande cortile (di Vaste, Muro Leccese e, per l’età arcaica di Cavallino), ritiene l’ala cosiddetta produttiva, un edificio abitativo (D’Andria 2011, fig. 5, Edificio 1) con una grande sala con funzioni resi-denziale e di riunione.

La proposta ricostruttiva per il complesso di Fon-do Fontanella, come del resto accade per molti siti ar-cheologici, ha posto diverse difficoltà, soprattutto per l’impossibilità di reperire resti di strutture che facesse-ro pienamente chiarezza sull’elevato dell’edificio e sul sistema costruttivo e di copertura. A tal fine risultano indispensabili quegli elementi di confronto con studi di abitazioni messapiche coeve, come quello che abbia-mo appena menzionato nel paragrafo precedente, che possano in qualche modo fornire informazioni utili sui metodi costruttivi dei Messapi nel Salento. Quindi, a rigore, potremmo inquadrare questo lavoro nell’am-bito di una 'ricostruzione tipologica', che si fonda sui dati scientifici emersi dallo scavo e dal rilievo, ma che si sviluppa, almeno in riferimento alla casa, in consi-derazione di una coerenza tecnologico-funzionale rap-portata al periodo di costruzione ed a regole riferibili al buon costruire valide in tutti i tempi ed in tutte le parti del mondo. Fondamentale, a tal fine, è procedere con elementi certi, attendibili, che a catena producano

4. Rielaborazione grafica dalla planimetria di scavo (Van Compernolle 2012, tav. 5)

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5. Fondo Fontanella, proposta ricostruttiva della parte orientale del complesso abitativo

delle riflessioni conseguenti, in un processo 'logico e analogico'. Logico perché è appunto riferito a regole e principi costruttivi universali, basati sulle leggi della statica e della tecnologia dei materiali, analogico per-ché procede con il confronto, con l’analogo.

La ricostruzione vuole appunto evidenziare, in particolar modo, quegli aspetti costruttivi e tipologici caratterizzanti una logica insediativa in cui è evidente una coesistenza tra abitazioni e tombe: in uno spazio produttivo all’aperto nel quale si svolge la vita, gli edi-fici sembrano costituirne il perimetro, quasi a voler risparmiare uno spazio vitale in cui la casa è presso-chè concepita come minimo riparo. Un elemento ca-ratterizzante di questo sito è dato dal grande ingresso, parzialmente coperto, probabilmente utilizzato per il passaggio dei carri e del bestiame. Anche questo si pone in relazione diretta con lo spazio aperto, qua-si a rafforzare il disegno di una tipologia edilizia che sembra contenere molte connotazioni della moderna casa a corte, in cui l’area aperta rappresenta il tessuto connettivo dei corpi di fabbrica che si sviluppano in-torno ad esso (Fig. 5).

Per quel che riguarda la tomba, si è proceduto alla ricostruzione e restituzione delle fasi che documen-tano una peculiare pratica funeraria dei Messapi: la

stessa struttura tombale viene usata per più deposizio-ni successive da parte di uno stesso gruppo familiare. Le inumazioni precedenti, con i relativi materiali di corredo, di volta in volta venivano rimosse e deposte in posizione secondaria all’interno o all’esterno della stessa struttura tombale (Figg. 6a, 7b). La documen-tazione di base utilizzata (rilievi e foto di scavo), per la restituzione delle fasi d’uso della sepoltura, è quella edita da Van Compernolle (2012), integrata da quella fotografica dei materiali di corredo. Secondo lo stu-dioso, all’interno della tomba oltre alla deposizione primaria di adulto di sesso maschile (50/60 anni), si trovava la riduzione di un adulto (35/45 anni) posto ai piedi della deposizione in connessione anatomica. Allocati in una fossetta, scavata in corrispondenza del cranio della deposizione principale, sono stati rinve-nuti i resti di altre riduzioni riferibili un adulto (45/50 anni) e tre bambini (due di 2/4 anni e uno di 3/5 anni). All’esterno della struttura tombale, lungo la fiancata est, si trovava un ‘ossario’ con parte dei resti di nume-rosi individui, tra i quali sono stati riconosciuti quelli di tre adulti (due uomini e una donna), un giovane e un infante. Sono stati rinvenuti (Fig. 8) anche ‘pochi oggetti di corredo tra i quali spicca un diobolo di ar-gento della zecca di Taranto.

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6a-b Fondo Fontanella, ipotesi ricostruttiva della tomba, posta nel cortile del complesso abitativo, al momento dell’ultima deposizione

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7a-b Modello 3D, restituito dal rilievo di scavo (Van Compernolle 2012), della tomba e del deposito esterno: al momento della scoperta e in una fase successiva allo scavo

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8. Fondo Fontanella, complesso dei materiali da corredo relativi alla tomba familiare

Cratere a campana

149641

Ceramica messapica decorata

Classe

18 20 11

Seconda metà del

IV sec. a.C.

Datazione

Banchettorituale

Ambitofunzionale

SL01 FF181 angolo NE

LocalizzazioneOggettoInventario

Dimensioni in cmH

ø orloø fondo

Kantharos 149642

Ceramica apula a

figure rosse

9 11 5

Ultimoquarto delIV sec. a.C.

Banchettorituale

SL01 FF181 parte NW

Lekythos149643

Ceramica apula a

figure rosse

17 4.7 4.5

330-320 a.C. Cosmesimuliebre

SL01 FF181 alt. tibia sx.

Lekythos149644

Ceramica apula a reticolo

15.5 5

4.5

Ultimoquarto del IV sec. a.C.

Cosmesimuliebre

SL01 FF181 angolo NE

Brocchetta149645

Ceramica messapica a

vernice bruna

7 3.5 3

Seconda metà del

IV sec. a.C.Banchetto

ritualeSL01 FF181

all’altezza della rotula ?

Brocchetta 149646

Ceramica messapica a

vernice bruna

8 6.5 6.5

Seconda metà del

IV sec. a.C.Banchetto

ritualeSL01 FF181parte NW ?

Vasetto149647

Ceramica messapica a

vernice bruna

5.8 --

330-320 a.C. Banchettorituale

SL01 FF181 angolo SE

Testina femminile

1449648Terracotta 7

-Metà del

IV sec. a.C. ca.Infanziagioco ?

SL01 FF191riduzione sotto

la testa del defunto

Astragali149649-149650

Repertifaunistici

2 x 1.52 x 1.5

Infanziagioco ? SL01 FF181

n. 2 valve di Cardium

149651- 149652Reperti

malacologiciLargh. 3 x 3Largh.3 x 3

Infanziagioco ?

SL01 FF181 altezza piedi

Dioboloin argento

149653Zecca di Taranto 1.2 IV-III sec. a.C. Rituale, obolo

di Caronte ?SL01 FF184

Deposito esterno, lato E tomba

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