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Gennaio-Marzo 2010, n. 1 - Anno V ... Spedizione in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1 comma 2, CNS BA Mondi paralleli

"tempopieno", Gennaio-Marzo 2010

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Rivista per la Scuola, a cura dell'Ufficio Scuola dell'Arcidiocesi di Bari-Bitonto.

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Page 1: "tempopieno", Gennaio-Marzo 2010

Gennaio-Marzo 2010, n. 1 - Anno V

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Mondi paralleli

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tempopieno

Rivista per la Scuola

Anno V (2010) n. 1

Direttore Responsabile Vincenzo Legrottaglie

Direttore Don Nicola Monterisi

Registrazione Tribunale di Bari Autorizzazione n. 50 del 19/09/2006

Redazione Anna Asimi Antonio Curci Letizia Indolfi Barbara Licciulli Angelo Lopez Francesca Romana Morgese Maria Raspatelli

Segretaria di Redazione Anna Asimi

Progetto Grafico Antonio Curci

Impaginazione Angelo Lopez

Stampa Pubblicità & Stampa Modugno (Ba)

Direzione e Redazione c/o Ufficio Scuola - Corso A. De Gasperi, 274/A 70125 Bari Tel. 080.5288415/6 Fax: 080.5690230 email: [email protected]

Sommario Don Nicola Monterisi tempopieno…di Mondi paralleli 4

Rita Levi Montalcini La scuola che vorrei... 6

Giovanni Modugno Lettera del 1938 a ignoto 8

Francesco Sofia Apprendere in espansione 10

Don Maurizio Lieggi Vangelo e bellezza: evangelizzare attraverso l’arte e la musica

12

Eleonora Matteo Un consorzio di Scuole per l’Innovazione nella scuola

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I ragazzi della V B Un concorso per la Solenne Ostensio-ne della Sacra Sindone

16

DOSSIER: Mondi paralleli

Mons. Domenico Pompili Un continente da evangelizzare 20

Veronica Rossano Web 2.0 e social network 22

A cura di Francesca Romana Morgese

Quale società domani? (Intervista a Francesco Cassano)

25

Pasquale Chianura e Anna Maria Cassano

Vite ed identità parallele 30

Gabriella Campa I giochi elettronici, tra opportunità e pericoli per la mente

32

Marianna Pacucci L’affettività virtuale 35

Don Roberto Ponti Il Cristo Maestro, Via-Verità-Vita per la comunicazione 2.0

37

Pierangelo Indolfi Un cammino di comunicazione 40

Antonio Calisi E’ possibile utilizzare Facebook nell’insegnamento della Religione cattolica?

42

Mina Signorile Saper dire no! 45

Nicola Vavalle e Giuliana Chirico

I social network e i genitori 47

Stefania Vavalle I social network e gli adolescenti 48

Emanuela Moccia Costruire… nella vita reale 49

Giulio Navarra Social network e giovani… evoluzio-ne o regresso?

50

S.S. Benedetto XVI Discorso ai partecipanti al conve-gno…

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Sommario

Ludovica Carli “Educazione in cerca d’autore” 56

Don Valentino Campanella Il prete non è prete per sé, lo è per voi!

59

A cura di Vincenzo Legrottaglie Media del territorio 60

A cura di Anna Asimi Sullo scaffale 62

A cura di Anna Asimi Giunti in redazione 64

Efrem il Siro Sulla risurrezione 65

Grazia Ricciardi Christ $9.98 67

A cura di Mons. Vito Angiuli Chiesa e mezzi di comunica-zione...

54

Antonio Curci E non chiamiamola amicizia 52

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Un click...

ed ecco vi si

entra: Face-

book, MSN,

T w i t t e r ,

You Tube,

M y S p a c e ,

N e t l o g ,

F l i c k r ,

Buzz, ecc. ...

a f fascinat i

da immagi-

ni, suoni,

informazio-

ni, contatti, possibilità di dire qualcosa, possibilità di venire a conoscenza, possibilità di interve-

nire, di esserci... il corpo è, sì, inchiodato alla sedia ma la mente... libera, finalmente, di plana-

re... navigare... “pescare” notizie, divertimento, amici.

Rimango sempre stupefatto quando i giovani – e non più giovani – mi parlano delle

“possibilità” dei mondi paralleli (quelli che corrono paralleli, appunto, alla realtà, che cattura-

no i nostri ragazzi/giovani e li forgiano, li plasmano, li ristrutturano e poi “nuovi” li riconse-

gnano alla realtà), confesso: non mi sono mai affacciato, sono posti che non ho mai visitato, li

“vivo” attraverso le esperienze di chi vive “in” questi mondi e “di” questi mondi, di chi li osser-

va, di chi li studia.

E mi fa riflettere come anche la vita nei mondi paralleli dice il grande bisogno di relazione che

ha l’uomo, oserei dire la “fame” di relazione, il bisogno di andare oltre, l’esigenza di raccontarsi.

La nostra Rivista, che guarda i risvolti educativi del fenomeno, ha osato entrare, timidamente,

nel mare magnum dei mondi paralleli.

Abbiamo voluto capire cosa sono, come funzionano, quali ricadute nella vita “reale”.

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tempopieno di… Mondi paralleli

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Abbiamo voluto capire se condizionano e come lo sviluppo psichico e affettivo del giovane, ci

siamo chiesti quale società si profila all’orizzonte.

I genitori come si approcciano a questi mondi? Gli insegnanti li utilizzano a scopi didattici?

I giovani – ho scoperto – gareggiano nello stabilire “contatti”, ma si può parlare di amicizia?

Perché i giovani sono tanto attratti dai mondi paralleli? Quale ricchezza vi scorgono?

La Chiesa con quale stile si presenta in questi mondi?

Tante altre domande ci siamo posti, ma non a tutte si può rispondere nello spazio di un dossier.

Siamo consapevoli che, oltre al web, esistono altri mondi paralleli che “ammaliano” i giovani e

non solo, in futuro li visiteremo.

Siamo grati a quanti hanno messo a nostra disposizione tempo, esperienza e competenza, per-

mettendoci di gettare semi. Questa la nostra unica pretesa.

Ci consentirete un pensiero di particolare gratitudine a Rita Levi-Montalcini che ha accettato di

inviarci una sua sapiente riflessione per la rubrica “La scuola che vorrei...”. La sua disponibilità

ci ha commossi.

Buona lettura!

Don Nicola Monterisi

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La scuola che vorrei… Trasmissione di nuovi valori: dalla famiglia alla scuola

Prima e fondamentale proprietà della materia vivente è la natura bidirezionale dei messaggi trasmessi da ogni cellula e da ogni organismo, dai batteri all’uomo. Con la scoperta, per opera dei nostri lontani antenati, di quel formidabile mezzo di comunicazione che è il linguaggio orale e scritto, si sono centuplicate, nella nostra specie, le possibilità di scambiare messaggi tra individuo e individuo, tra il singolo e le masse, tra appartenenti alle ge-nerazioni che ci hanno preceduto e quelle attualmente viventi, tra queste e quelle a venire. Un ulteriore mezzo di comunicazione, che ha tuttavia privilegiato la capacità di tra-smettere, molto più che non quella di “comunicare”, e cioè di far pervenire ai mit-tenti dei messaggi le risposte dei riceventi, si è attuata con la scoperta dei mezzi di comu-nicazione radiofonici e televisivi che hanno

radicalmente trasformato la struttura stessa della società umana, e con questa, l’avvenire della specie dell’Homo Sapiens. Le nuove generazioni esposte, sin dalla prima infanzia, al conti-nuo e incessante bombardamen-to di notizie che pervengono loro dalla radio, dagli schermi televisivi e dai nuovi mezzi tec-nologici, assorbono avidamente i messaggi che riescono tanto più graditi, in quanto non richiedo-no alcuno sforzo mentale, né esigono risposta. Da potenti mezzi di informazione queste tecnologie si sono prestate alle sempre più incalzanti esigenze di una società consumistica, che ha realizzato l’enorme vantaggio

di servirsi di questi sistemi, per reclutare gio-vani ascoltatori, e fare di loro convinti e voraci consumatori dei prodotti propagandati. Sotto la guida di un’astuta e vigile campagna pubblicitaria, i neofiti di questa nuova civiltà,

di Rita Levi-Montalcini

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imparano a conoscere, sin dall’infanzia, il prez-zo di tutti gli articoli offerti dal mercato, e i-gnorano l’esistenza di valori non consumistici. Si deve ritenere che si tratti di un processo irre-versibile che, avvalendosi della naturale ten-denza dell’Homo Sapiens a recepire messaggi, diminuirà, sino ad annullarla, l’inclinazione per la dialettica che aveva raggiunto così ad alti livelli nei periodi aurei della filosofia, da quelli delle civilizzazioni antiche a quello al-trettanto rigoglioso dell’epoca rinascimentale? La perdita di questa capacità di dialogare che, più di ogni altra, distingue la nostra da tutte le altre specie animali, avrebbe un peso incalcola-bile sul futuro dell’umanità. E’ possibile invertire questa tendenza, stimo-lando nei giovani il piacere al dialogo e all’attiva partecipazione alla gestione della società da parte di tutti i suoi membri? Un dialogo, sia pure informato al dissenso, è di gran lunga preferibile ad un’accettazione supi-na di suggerimenti o velati ordini ricevuti tra-mite i mezzi di comunicazione oggi vigenti. Nessuno sforzo appare più importante per il

futuro del genere umano di quello diretto al recupero di attitudini critiche, oggi così atte-nuate dal dilagare di un conformismo che indi-ca nell’acquisto dei beni offerto dal mercato, lo scopo prefisso dalle proprie aspirazioni. E’ fondamentale riconoscere ai giovani il dirit-to e non meno il dovere di partecipare come attori nell’arena mondiale nella quale si svol-gono i molteplici eventi che minacciano la stes-sa sopravvivenza della specie umana e di altre specie viventi. Spetta ai giovani il compito di costruire la scala di valori e cercare di attenersi a quella con l’obiettivo di godere ora per ora, giorno per giorno, della straordinaria esperienza di rende-re più facile il cammino a quanti sono in diffi-coltà e hanno bisogno di aiuto. Ai genitori e ai docenti, in quotidiano contatto con i giovani, si impone il compito di stimolare le capacità intellettuali, in loro possesso, met-tendo a disposizione la propria esperienza di adulti senza usare toni autoritari che possano offendere la loro dignità.

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Lettera di Modugno a destinatario non indica-to (potrebbe essere il prof. Baroni, ma più pro-babilmente Chizzolini [...]). Tocca il fondamentale problema della cultura da impartire nelle scuole, le difficoltà reali a motivo della mancanza di libertà dovuta al fascismo (c’è chi dice che «una partita di calcio vale più di un sistema filosofico»...), problemi di organizzazione della scuola e di formazione degli educatori.

Lettera del 1938 di Giovanni Modugno a ignoto

Proseguiamo la presentazione di scritti del Servo di Dio Giovanni Modugno, iniziata con il n. 3 Anno IV della nostra Rivista

Chiar.mo professore, non può immaginare quanto mi costi il doverle dire che le mie condizioni di salute (ho avuto gravi sintomi di esaurimento nervoso e di arte-riosclerosi) e i molti impegni precedenti mi ren-dono impossibile rispondere così come avrei desiderato al suo gentile invito, di cui vivamen-te La ringrazio. Sia per l’iniziativa sia per chi così degnamente la dirige ho così viva simpatia, che non posso tuttavia resistere al piacere di conversare un po’ con Lei con cuore fraterno. Come Lei giustamente dice, per parlare in ma-niera viva, concreta e utile del valore educativo della cultura, bisognerebbe dire “come si trova la scuola italiana rispetto a questo problema”. Ma io mi domando: è possibile soprattutto in questo momento, dire con la doverosa sincerità, tutto ciò che ci sarebbe da osservare su questo delicato argomento? Io non lo credo... E il guaio è che non sarebbe possibile neppure additare alcune cause, assai gravi, di molti mali che affliggono la scuola. Il fatto è che i giovani restano disorientati per-ché non pochi insegnanti sono ancora affetti dalla mania della erudizione enciclopedica e frammentaria e altri che vogliono liberare la

scuola da questo malanno adottano rimedi peggiori del male: una pedagogia da foot-ball, che fa dire ad alcuni (l’ho sentito dire io da un professore universitario: si figuri gli applausi degli studenti presenti) che una partita di cal-cio vale più di un sistema filosofico e che biso-gna portare i libri in soffitta. Io ho un culto per la virtù della prudenza; eppure le assicuro che se avessi potuto occu-parmi di quell’argomento, sarebbe venuto fuori un articolo... non pubblicabile. E in que-sti casi – io penso – è meglio, almeno per ora, non toccarli affatto certi argomenti... L’argomento importantissimo potrebbe forse più facilmente essere presentato di scorcio da quelli che tratteranno le singole discipline di insegnamento: in qual modo ciascuna materia può contribuire alla formazione religiosa, civi-le, umana del giovane? Per una coordinazione tra i singoli autori potrebbe essere utile, io credo, il volume del Casotti, L’educazione Catto-lica (ha avuto l’occasione di scorrere il mio volume sul Förster? Da p. 252 a p. 262 c’è qual-che spunto sulla educazione etica e le singole materie d’insegnamento. Se non l’ha, sono lieto di fargli inviare il volume). A chi è destinato l’annuario? Agli insegnanti delle scuole medie? E allora il volume dovreb-be essere quanto più è possibile non dottrina-rio, ma più aderente ai problemi vivi e concre-ti della scuola. Per esempio: la piaga del sup-plentato; gli orari asfissianti soprattutto degli istituti magistrali (vari anni or sono dimostrai con le cifre che l’orario dell’attuale Istituto magistrale è ancora più gravoso di quello, tanto giustamente criticato, della scuola ex normale: in seguito, manco a farla apposta, l’orario è diventato ancora più pesante: ai gio-vani manca assolutamente il tempo di studia-re); il numero esorbitante degli alunni

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(abbiamo classi con cinquanta alunni!); la mancata selezione degli alunni (eppure la riforma si basava su una accurata e intelligente selezione); l’accresciuto numero dei ginnasi e licei; i programmi in certi casi esorbitanti; la mancanza di direzione didat-tica (i presidi e i direttori didattici sono diventati – per forza di cose – niente altro che burocrati). L’altro punto grave è la preparazione degli educatori, giacché né l’università né l’Istituto magistrale a me pare che assolvano convenientemente il difficile compito di dare insegnanti veramente preparati: che sofferenza, caro amico, in certe discus-sioni, nei collegi dei professori...! Se l’Annuario non tocca argomenti vivi e concreti di questo genere, io temo che sarà letto solo da quelli che ne hanno minor bisogno. Non pare anche a Lei? Mi son preso la libertà di parlare con eccessiva franchezza? Gli è che per il tanto bene che ho sentito parlare di Lei, m’è parso di parlare a un vecchio e caro amico. Mi perdoni. Con i più affettuosi auguri per il suo apostolato. Suo Giovanni Modugno Tratta da Modugno, Giovanni, La missione educativa. Corrispondenza 1903-1956, a cura di Domenico Saracino, Stilo Editrice, Bari, 2009, pp. 134-136.

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Gli insegnan-ti, in questo nostro tempo di più abbon-danti e più diffusi sistemi di informa-zione, sono

colti da una fatica singolare che spesso è pro-vocata da un problema di non facile soluzione. Quando gli alunni raggiungono risultati delu-denti la motivazione addotta è del tipo: «…E’ distratto … Non si applica … E’ poco volente-roso … Pensa sempre al giuoco … Non riflette … E’ attratto dal richiamo dei compagni … Accusa mal di testa … E’ attratto dalla TV … E’ preso dai videogiochi»! Solo di recente all’interrogativo gli studiosi rispondono con indicazioni che sono frutto della ricerca e della sperimentazione scientifi-ca. Infatti le scienze cognitive e le neuroscienze spiegano il meccanismo e la dinamica delle basi del pensiero. Anche in Italia gli studiosi si dedicano a que-sta ricerca e appena tre anni fa, a Rovereto, nel workshop su Concetti, Azioni e Oggetti: prospetti-ve neuronali e funzionali (CAOs), in un simposio internazionale sono state messe a fuoco, con-frontate e divulgate molte conoscenze sui processi cognitivi. Domandarsi che cosa sia apprendere, un verbo, quindi l’azione che meglio specifica la dinami-ca del processo cognitivo, è da preferire al sostantivo apprendimento che ne indica invece il prodotto. In un’intervista curata da Sciortino ad Howard Gardner dell’Università di Harvard (USA) ove insegna Scienze cognitive e Pedagogia, il fa-moso autore della Teoria delle Intelligenze Mul-tiple affermava: «Sto cercando di capire che

cosa ne è della professionalità in un’epoca in cui le forze del mercato sono potenti… quale tipo di insegnamento può essere di aiu-to?» (Panorama, 21.9.2006). Alle nove intelli-genze compresenti nella mente dello stesso individuo, oggi Gardner aggiunge l’intelligenza esistenziale, quella che dispone la persona ad impiegare le sue esperienze in nuove e diverse circostanze. «In generale, - egli dice - le scuole potenziano solo un tipo di intelligenza… una miscela tra logico-matematica e linguistica. E così alcuni sono bravi, altri no, pur essendo molto dotati». E’ sterile, il “saper leggere e far di conto” non esprime la potenzialità dell’apprendere, in cui il successo si lega al piacere e alla creatività. Sappiamo che il lobo temporale destro del nostro cervello rielabora le informazioni per risolvere un problema e in esso si annida il lavoro di applicazione e di scoperta. La ricerca scientifica ha concentrato anche qui la sua indagine per spiegare il collegamento tra il centro nervoso e sua sollecitazione con il sor-gere dell’intuizione. Si tratta degli studi di Mark Jung-Beeman e di E. Bowden della Northwestern University di Chicago. La stessa area della corteccia è in attività quan-do l’individuo conta ad alta voce ed ascolta la propria voce: operazioni che di solito, in un compito in classe ad esempio, vengono esclu-se. C’è da aggiungere che il lobo sinistro è sollecitato dall’ascolto della musica come dal movimento ritmico della mano destra. Tradu-cendo, banalmente, possiamo dire: più opera-zioni, più cervello impiegato, più risultati. Sollecitare a sentire, ascoltare, leggere, muo-versi, dire, pensare: un circuito che la dimo-strazione diagnostica, realizzata con l’esame del Pet e della Risonanza Magnetica, rivela

Apprendere in espansione

Dalla stratificazione dei saperi alla creatività

* Pedagogista – Socio onorario dell’ANPE

di Francesco Sofia *

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virtuoso. Infatti convergono linguaggi conta-minati, stimolazioni emotive mediate dall’ipotalamo, con conseguente funzionalità piacevole, attrazione psicologica e deduzione di una memoria assicurata per un termine lungo. Ecco un criterio organico-metodologico che contribuisce alla performance creativa dal rendimento più alto. Siamo obbligati ad una opportuna sinteticità ma questa premessa scientifica è sufficiente a rassicurarci che la didattica è scienza, sia per-ché essa innesca un processo neuronale, sia perché più che il prodotto è il processo stesso ad essere osservabile, misurabile e valutabile: operazioni proprie della scienza. Da quanto detto deduciamo alcune linee peda-gogiche che possono risolvere il problema che abbiamo indicato in apertura. Prima di tutto affermiamo che l’apprendimento è un accomodamento che si verifica solo in situazione di benessere menta-le. In secondo luogo riteniamo che l’insegnamento realizza questo obiettivo se il docente modifica la sua azione abbandonando il criterio della stratificazione e realizzando un processamento di espansione. Simboleggiamo così i due modelli:

Il primo modello (a) caratterizza l’insegnamento come azione che mira a fornire più informazione e più memorizzazione cioè maggiore bravura (sapere molto in minor tem-po possibile con agilità nel viaggio tra le cono-scenze). E’ importante che si completi il pro-gramma previsto e che gli alunni siano in pos-sesso di abilità. Nel secondo tipo (b) di insegnamento l’input (i) del docente raggiunge la mente dell’alunno come il raggio luminoso di incidenza raggiun-ge la superficie riflettente: se questa non è sca-bra produrrà una risultante (r). Allo stesso mo-do l’azione provocatrice del docente susciterà

nell’alunno un’iniziativa di autonomia cogniti-va proiettata al di fuori di sé, dagli effetti im-prevedibili. Da questa stessa spinta ricadranno sulla sua mente altri input con altrettante risul-tanti che, nello spingere verso mete nuove ed alte la sua intelligenza, avranno l’effetto di espandere (e) la sua ricchezza personale secondo autonomia, tendenze e creatività. L’esempio della luce è adatto non solo per la natura dell’energia e della capacità illuminan-te, ma anche perché le risultanti avrebbero scarsa potenza se la superficie fosse ruvida ed opaca. A somiglianza, più rendi disponibile il cervello, più rendi favorevole il clima ambien-tale esterno e quello interiore, più l’alunno libera potenzialità impreviste ed imprevedibili. L’espansione è un’alleata potentissima dell’insegnamento, perché ricerca e creatività dell’alunno si aggregano al lavoro dell’insegnante. Nella diade l’asimmetria non presiede il conflitto, la positività motiva e l’ignoto attrae. In questo tipo di processo è più facile scoprire il senso, animare di futuro la prospettiva, gratificare la fatica. Questa tensione meglio si raggiunge se alla base degli interventi c’è un progetto oggettivo per il quale anche la collaborazione del peda-gogista giova a calibrare l’azione formativa secondo i bisogni palesi e latenti degli alunni. Rivisitare l’azione dell’insegnante alla luce dei risultati delle scienze cognitivistiche permette di prendersi cura dello spazio vitale dell’alunno aiutandolo a liberarsi dagli sbarramenti che egli tende a sollevare per difendersi dalla vio-lenza che la società del progresso e del mercato gli procurano invadendo il suo ambiente psico-logico. BEAR MARK, C.BARRY W., PARADIS MI-CHAEL A., Neuroscienze. Esplorando il cervello, Milano, 2007. H. GARDNER, Educazione e sviluppo della mente, Trento, 2005. A. LUDOVICO, Cervello e computer. Metodo per utilizzare tecnologia e ragione, Roma, 1997. F. SOFIA, Il Progetto Oggettivo nell'insegnare. Verso la Qualità Totale, in "Professione Pedago-gista", III(2008), pp. 63-76.

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Emerge sempre più e da più parti la difficoltà, da parte della comu-nità cristiana, di

annunciare il messaggio affidatole da Cristo. Non perché ovviamente manchi un contenuto (il contenuto è il Vangelo), ma perché si fa fati-ca a trovare le formule, i linguaggi, le strategie, i contesti adatti per rendere efficace ed incisivo questo messaggio. Il rischio è di sentirlo lontano, staccato dalla nostra vita, dal nostro sentire. Spesso si dice che il messaggio evangelico sia difficile farlo dialogare con l’esperienza quotidiana. Il nostro tessuto culturale sfida e minaccia continua-mente il progetto di vita cristiana. In non pochi ambienti è più facile attaccare che professare la fede. Già Paolo VI nella sua esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi del 1975 diceva che «la rot-tura tra vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre dunque fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigenerate mediante l’incontro con la buona novella» (n.20). Anche Giovanni Paolo II in preparazione al terzo millennio sottolineava il bisogno di cerca-re nuove forme e strategie per annunciare la buona e bella notizia del Vangelo.

Il progetto Frammenti di Luce vuole inserirsi all’interno di questa ricerca: coniugare la di-mensione spirituale e quella artistica, in tutte le sue diverse forme, per annunciare il Vangelo, la Bella notizia. Il linguaggio della Bellezza sembra essere oggi una via privilegiata per comunicare i valori e i contenuti della Fede in un contesto culturale in continua evoluzione. Anche per l’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio delle Culture del 2006 è stato scelto il tema: “La Via pulchritudinis. Cammino privile-giato di evangelizzazione e di dialogo” dove si afferma: «La Via della bellezza, a partire dall’esperienza semplicissima dell’incontro con la bellezza che suscita stupore, può aprire la strada della ricerca di Dio e disporre il cuore e la mente all’incontro col Cristo, Bellezza della Santità Incarnata offerta da Dio agli uomini per la loro Salvezza. Essa invita i nuovi Agostino del nostro tempo, cercatori insaziabili d’amore, di verità e di bellezza, ad elevarsi dalla bellez-za sensibile alla Bellezza eterna e a scoprire con fervore il Dio Santo Artefice di ogni bellezza». La via della bellezza risponde all’intimo desi-derio di felicità che alberga nel cuore di ogni uomo. Essa apre orizzonti infiniti, che spingo-no l’essere umano ad uscire da se stesso, ad aprirsi al Trascendente e al Mistero, a desidera-re, come scopo ultimo del suo desiderio di feli-cità e della sua nostalgia di assoluto, questa Bellezza originale che è Dio stesso, Creatore di

VANGELO E BELLEZZA: evangelizzare attraverso l’arte e la musica

Un’esperienza: Frammenti di Luce

* Sacerdote

Per trasmettere il messaggio affidatole da Cristo, la Chiesa ha bisogno dell’arte.

Essa deve infatti rendere percettibile e, anzi, per quanto possibile, affascinante il mondo dello spirito, dell’invisibile, di Dio.

(Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, 12)

di don Maurizio Lieggi *

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ogni bellezza creata. La finalità di Frammenti di Luce è quella di por-tare la Parola e il suo mistero salvifico attraver-so i canali dell’arte. Infatti il suo sforzo è quello di far dialogare diverse esperienze artistiche: la musica, il canto, l’immagine pittorica, la danza, la parola. Un dialogo articolato che cerca di suscitare delle emozioni interiori, una uscita da sé, un rimando all’Oltre. La forma del Concerto Meditazione che Fram-menti di Luce propone è l’espressione di que-sto sforzo. Infatti ogni Concerto vuole essere un frammento della Bellezza di Dio, non per-ché esteticamente alta ma perché immersa nel-la pienezza di Colui che è l’unico che può sal-vare. Infatti ogni Concerto Meditazione se-guendo un tema guida intreccia, attraverso una regia attenta, le diverse espressioni dell’arte: testi (poetici, in prosa, della tradizione cristia-na, della Sacra Scrittura), musiche (di diverso stile e genere e di epoche diverse), immagini (dalle opere d’arte che la tradizione cristiana ci ha consegnato a immagini fotografiche d’autore di vita quotidiana), danza (come e-spressione del corpo). Diversi sono ormai i Concerti Meditazione realizzati e proposti nelle comunità parrocchia-li, negli incontri a carattere diocesano, come anche in diversi eventi nazionali, in ultimo la 60° Settimana Liturgica Naziona-le. I riscontri a questa proposta sono molto positivi. Soprattutto la ri-sposta dei giovani è incoraggian-te. Realmente essi sono ricercatori di verità e di bellezza, assetati di tutto ciò che può aiutarli a scopri-re il senso vero della vita. Testi-monianza di ciò è anche il coro Frammenti di Luce, composto da una trentina di giovani che si sforzano con impegno e dedizio-ne a condividere e portare avanti questo percorso e progetto. Ma Frammenti di Luce è anche percorso di formazione. “La Via della Bellezza”, infatti, è un itine-

rario che si articola in conferenze, concerti le-zione, week end laboratorio, e concerti medita-zione. Esso vuole rispondere al crescente desi-derio di impegno e di formazione per una nuo-va evangelizzazione, ed è indirizzato soprat-tutto ai giovani e a tutti coloro che si impegna-no quotidianamente nell’opera educativa e tra questi sicuramente gli operatori scolastici. Il progetto è portato avanti da giovani consa-crati che coniugano il loro percorso di fede e adesione al Vangelo con la loro professionalità artistica. E’ nato a Roma e si è consolidato ne-gli ultimi anni all’interno della diocesi di Bari-Bitonto in collaborazione con l’Ufficio liturgico della Diocesi. Sono stati in questi anni realizzati anche dei DVD e CD (Canto al re il mio poema, O amore che tanto ardi e mai ti estingui,…) con l’intento di allargare e diffondere questa esperienza e di offrire del materiale utile a tutti per momenti di formazione sia culturale che spirituale. Per qualsiasi informazione è possibile consulta-re il nostro sito www.frammentidiluce.org Mi piace concludere con un versetto del Van-gelo secondo Matteo: «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché, vedendo le vo-stre opere belle rendano gloria al Padre» (5,16). Possa essere il programma di vita di ciascuno di noi.

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Il 22 febbraio scorso, nella sala Murat è stato presentato alla stampa il Consorzio “SI”, S C U O L E P E R L’INNOVAZIONE, costituito con atto pubblico presso il notaio Maccaione di

Acquaviva delle Fonti il giorno 26 gennaio. Il Consorzio è nato con l’intento di mettere insieme le risorse umane delle singole scuole, in una logica di superamento dell’isolamento e della sterile competitività, sulla base di obietti-vi condivisi di miglioramento della qualità dell’offerta di istruzione e formazione per le nuove generazioni. In tal modo si è voluto dar voce alle scuole, proponendosi come soggetto qualificato sul territorio, per promuoverne una partecipazione attiva alla governance delle politiche formative territoriali, che intercetti i bisogni dei cittadini, per lo sviluppo della no-stra Regione. L’intento è anche quello di pro-gettare una graduale ma decisa caratterizza-zione dell’offerta in relazione ai bisogni di sviluppo del nostro territorio, ridurre le ineffi-cienze e gli sprechi, la crescita disordinata e autarchica di ambiti privi di respiro strategico, il proliferare di indirizzi sovrabbondanti e autoreferenziali, creando invece condizioni per il miglioramento della pertinenza e della qualità dell’intera offerta formativa territoria-le. Anche in relazione allo stato di grave diffi-coltà economica che la scuola sta vivendo il Consorzio non si muove nell’ottica della la-mentazione, ma nella logica del “fare sistema” per ottimizzare l’impiego delle risorse e massi-mizzarne gli effetti.

Punto di partenza è stata l’esigenza di accetta-re le sfide del cambiamento in atto, realizzan-do nelle scuole aderenti un servizio di qualità centrato sull’innovazione didattica e svilup-pando le potenzialità formative offerte dall’ICT. L’azione del Consorzio fa riferimento essenzialmente alla dimensione europea dell’istruzione (obiettivi di Lisbona) e alle strategie di sviluppo previste per la Regione Puglia. Le aree di interesse sono, oltre all’innovazione, la creatività, la cittadinanza a t t i v a , l ’ e d u c a z i o n e p e r m a n e n t e , l’occupabilità, l’interculturalismo. Il Consorzio ha, infatti, per oggetto le seguenti finalità:

• promuovere l’uso delle innovazioni tecnolo-giche nel senso della creazione di ambienti formativi adeguati alle esigenze dei tempi e degli studenti;

• diffondere l’innovazione didattica e meto-dologica nell’ambito di un approccio labora-toriale che favorisca le competenze proget-tuali e costruttive delle personalità e del sapere;

• sviluppare la qualità dei servizi e degli am-bienti per favorire l’efficienza e l’efficacia delle azioni didattiche, amministrative, or-ganizzative e promuovere un contesto am-bientale affidabile, piacevole, funzionale, motivante;

• assumere, per particolari obiettivi, la re-sponsabilità delle relazioni esterne con gli enti locali e nazionali, con il mercato del lavoro, con le rappresentanze sociali allo scopo di accrescere la forza contrattuale, di semplificare i rapporti, di determinare per-corsi virtuosi di progettazione e gestione.

Un consorzio di Scuole per l’Innovazione nella scuola

* Dirigente scolastico - I.T.I.S. “Panetti” - Bari

di Eleonora Matteo *

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LE SCUOLE DEL CONSORZIO rappresentate dai dirigenti scolastici

I.P.S.S.C.T. “Tridente” - Bari Santa Ciriello

L. A. “De Nittis” - Bari Irma D’Ambrosio

L. S. “G. Salvemini” - Bari Mario De Pasquale

I.T.C. “Giordano” - Bitonto Arcangelo Fornelli L.S. “Leonardo da Vinci” e L.C. “Platone” - Cassano delle Murge

Tina Gesmundo

ITC e linguistico “Marco Polo” - Bari Antonio Guida

I.T.C.G.T. “Salvemini” - Molfetta Sabino Lafasciano

I.P.S.C. “Gorjux” - Bari Giuseppina Lotito

I.S.A. “Pascali” - Bari Prudenza Maffei

I.T.I.S. “Panetti” - Bari Eleonora Matteo

L. S. “Cartesio” - Triggiano Tommaso Montefusco

I.I.S.S. di Santeramo in Colle Magda Ragone

I.I.S.S. “Rosa Luxemburg” - Acquaviva delle Fonti Francesco Scaramuzzi

I.T.C. “Lenoci” - Bari Maria Testa I.T.A.S. “Elena di Savoia” - Bari Vincenzo Velati

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Un concorso per la Solenne Ostensione della Sacra Sindone

* Istituto comprensivo Trana - Sangano

In preparazione all’evento della Solenne Osten-sione della Sacra Sindone (Torino 10 aprile-23 maggio 2010), l’Ufficio Scuola dell’arcidiocesi di Torino ha indetto un concorso fra gli alunni delle scuole di ogni ordine e grado del Piemonte sul tema della Sacra Sindone. Il concorso è stato accolto dall’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte, che ha provveduto a comunicarne le norme alle scuole della Regione. La commissione giudicatrice era composta da docenti di tutte le discipline scolastiche. Sor-prendentemente il primo premio è stato vinto dai ragazzi della V B della Scuola Primaria di Sangano (Istituto comprensivo Trana) che han-no concepito il loro lavoro inviando una lettera all’Uomo della Sindone. Pubblichiamo qui di seguito il testo di questo lavoro.

Caro Uomo della Sindone, tutti quest’anno parlano di te, del fatto che in primavera ci sarà la tua Ostensione. E’ stato proprio grazie a questo avvenimento che noi ragazzi della V B della scuola primaria di Sangano ti stiamo conoscendo. Abbiamo visto la tua immagine nei libri e in televisione. Lo sai che ci hai incuriosito? Guardandoti ci siamo accorti che non riusciamo a percepirti in un solo colpo d’occhio, abbiamo bisogno di soffermare la nostra attenzione sul tuo sudario scorrendo lo sguardo sui particolari: ferite, rivoli di san-gue, tumefazioni. Vederti pieno di sangue, fratture, segni di flagellazione ci fa ve-nire la voglia di abbracciarti! Osservando il negativo fotografico ci appaiono

chiari i tuoi occhi, la fronte, il naso, la bocca e i capelli: sono i tratti del volto di un uomo. Uomo della Sindone, chi sei? Come è stata la tua vita? Perché ti hanno messo sulla croce? A queste domande nessuno forse potrà mai darci delle risposte. Sei giunto fortunatamente fino a noi, salvandoti dal fuoco; passi la mag-gior parte del tempo chiuso in una teca, ma non ti senti solo? E come ti senti quando, ogni dieci anni, migliaia di persone arrivano da lontano per scrutarti, per capire chi sei, per cercare di leggere cosa c’è scritto nel tuo cuore? Non ti sei sentito spiato quando hanno tentato di analiz-zarti? Spiato nel corpo, spiato nell’animo per cercare di datarti, per cercare di chiarire se sei o non sei Gesù! La fine della tua vita è stata piena di sofferenza, questa però non è stata sprecata perché ci ripor-ta alla sofferenza di Gesù, ricorda che il Figlio di

Dio è sceso in mezzo a noi e sarà sempre con noi per amarci. Non importa sapere, Uomo della Sindone, chi sei se riesci a trasmet-terci questo messaggio d’amore! Vederti significa rassicurarci. Ci ricorda che Dio esiste, anche se non lo vediamo, ci ricordi che solo se-guendo l’esempio che Gesù ci ha dato possiamo vivere felici e sereni, ci ricordi chi è il nostro prossimo, ci ricordi che Gesù disse: Lasciate che i bambini vengano a me, perché il Regno di Dio appartiene a quelli come loro. Caro Uomo della Sindone, questo è il messaggio più grande che potevi darci!!!!!!

Aspettaci, verremo a vederti!!!

I ragazzi della V B *

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[…] Il tempo che viviamo conosce un enorme allargamento delle frontiere della comunicazio-ne, realizza un’inedita convergenza tra i diver-si media e rende possibile l’interattività. La rete manifesta, dunque, una vocazione aperta, ten-denzialmente egualitaria e pluralista, ma nel contempo segna un nuovo fossato: si parla, infatti, di digital divide. Esso separa gli inclusi dagli esclusi e va ad aggiungersi agli altri diva-ri, che già allontanano le nazioni tra loro e an-che al loro interno. Aumentano pure i pericoli di omologazione e di controllo, di relativismo intellettuale e morale, già ben riconoscibili nel-la flessione dello spirito critico, nella verità ridotta al gioco delle opinioni, nelle molteplici

forme di degra-do e di umilia-z i o n e d e l l ’ i n t i m i t à della persona. Si assiste allora a u n «inquinamento dello spirito, quello che ren-de i nostri volti meno sorriden-ti, più cupi, che ci porta a non salutarci tra di noi, a non guar-darci in fac-cia» (Discorso in Piazza di Spagna, 8 Dicembre 2009). Questo Convegno, in-

vece, punta proprio a riconoscere i volti, quindi a superare quelle dinamiche collettive che pos-sono farci smarrire la percezione della profon-dità delle persone e appiattirci sulla loro super-ficie: quando ciò accade, esse restano corpi senz’anima, oggetti di scambio e di consumo. Come è possibile, oggi, tornare ai volti? Ho cercato di indicarne la strada anche nella mia terza Enciclica. Essa passa per quella caritas in veritate, che rifulge nel volto di Cristo. L’amore nella verità costituisce «una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione» (n. 9). I media possono diven-tare fattori di umanizzazione «non solo quan-do, grazie allo sviluppo tecnologico, offrono

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Discorso di Sua Santità Benedetto XVI

AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO NAZIONALE "TESTIMONI DIGITALI. VOLTI E LINGUAGGI NELL’ERA

CROSSMEDIALE"

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maggiori possibilità di comunicazione e di informazione, ma soprattutto quando sono organizzati e orientati alla luce di un’immagine della persona e del bene comune che ne rispetti le valenze universali» (n. 73). Ciò richiede che «essi siano centrati sulla promozione della di-gnità delle persone e dei popoli, siano espres-samente animati dalla carità e siano posti al servizio della verità, del bene e della fraternità naturale e soprannaturale» (ibid.). Solamente a tali condizioni il passaggio epocale che stiamo attraversando può rivelarsi ricco e fecondo di nuove opportunità. Senza timori vogliamo prendere il largo nel mare digitale, affrontando la navigazione aperta con la stessa passione che da duemila anni governa la barca della Chiesa. Più che per le risorse tecniche, pur ne-cessarie, vogliamo qualificarci abitando anche questo universo con un cuore credente, che contribuisca a dare un’anima all’ininterrotto flusso comunicativo della rete. E’ questa la nostra missio-ne, la missione irrinuncia-bile della Chiesa: il compi-to di ogni credente che opera nei media è quello di «spianare la strada a nuovi incontri, assicurando sem-pre la qualità del contatto umano e l’attenzione alle persone e ai loro veri biso-gni spirituali; offrendo agli uomini che vivono questo tempo “digitale” i segni necessari per riconoscere il Signore» (Messaggio per la 44a Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, 16 maggio 2010). Cari amici, anche nella rete siete chiamati a collocarvi come «animatori di co-munità», attenti a «preparare cammini che conducano alla Parola di Dio», e ad esprimere una particolare sensibilità per quanti «sono sfiduciati ed hanno nel cuore desideri di asso-luto e di verità non caduche» (ibid.). La rete potrà così diventare una sorta di «portico dei gentili», dove «fare spazio anche a coloro per i quali Dio è ancora uno sconosciuto» (ibid.). Quali animatori della cultura e della comunica-zione, voi siete segno vivo di quanto «i moder-

ni mezzi di comunicazione siano entrati da tempo a far parte degli strumenti ordinari, attraverso i quali le comunità ecclesiali si espri-mono, entrando in contatto con il proprio terri-torio ed instaurando, molto spesso, forme di dialogo a più vasto raggio» (ibid.). Le voci, in questo campo, in Italia non mancano: basti qui ricordare il quotidiano Avvenire, l’emittente televisiva TV2000, il circuito radiofonico inBlu e l’agenzia di stampa SIR, accanto ai periodici cattolici, alla rete capillare dei settimanali dio-cesani e agli ormai numerosi siti internet di ispirazione cattolica. Esorto tutti i professioni-sti della comunicazione a non stancarsi di nu-trire nel proprio cuore quella sana passione per l’uomo che diventa tensione ad avvicinarsi sem-pre più ai suoi linguaggi e al suo vero volto. Vi aiuterà in questo una solida preparazione teo-logica e soprattutto una profonda e gioiosa passione per Dio, alimentata nel continuo dialo-

go con il Signore. Le Chiese particolari e gli istituti reli-giosi, dal canto loro, non esitino a valorizzare i per-corsi formativi proposti dalle Università Pontificie, dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dalle altre Università cattoliche ed ecclesiastiche, destinan-dovi con lungimiranza per-sone e risorse. Il mondo

della comunicazione sociale entri a pieno titolo nella programmazione pastorale. Mentre vi ringrazio del servizio che rendete alla Chiesa e quindi alla causa dell’uomo, vi esorto a percorrere, animati dal coraggio dello Spirito Santo, le strade del continente digitale. La nostra fiducia non è acriticamente riposta in alcuno strumento della tecnica. La nostra forza sta nell’essere Chiesa, comunità credente, capa-ce di testimoniare a tutti la perenne novità del Risorto, con una vita che fiorisce in pienezza nella misura in cui si apre, entra in relazione, si dona con gratuità. Vi affido alla protezione di Maria Santissima e dei grandi Santi della comunicazione e di cuo-re tutti vi benedico.

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Un nuovo continente da evangelizzare: ecco come la Chiesa guarda ad Internet. Benedetto XVI lo ha ripetuto più volte (basta leggere i suoi ultimi due messaggi per la Giornata mon-diale delle Comunicazioni Sociali), invitando i giovani prima e i sacerdoti poi ad “abitare” la Rete e ad essere anche lì araldi del Vangelo. Quello delle comunicazioni sociali è un mondo in costante, rapidissima evoluzione. Mentre prima i mass media erano ben definiti nella loro individualità, ora si sono come liquefatti nel nuovo ambiente tecnologico. Internet e i social network, in un modo che per certi aspetti può essere percepito quasi come “magico”, rappresentano degli straordinari catalizzatori di rapporti, capaci di azzerare le distanze spa-zio-temporali tra le persone. Allo stesso tempo, però, possono anche mettere in crisi il signifi-

cato della “presenza”, nella misura in cui la semplice connessione non riesce a compiere il decisivo salto di qualità che la trasforma in una relazione interpersonale. Alla luce di queste trasformazioni, sta cambiando anche la missione della Chiesa in questo contesto. In Italia, ad esempio, fino a qualche anno fa l’obiettivo della comunità ecclesiale era quel-lo di stare dentro al mondo dei media e, in fondo, gli ultimi dieci anni sono serviti alla Chiesa italiana a fare delle scelte precise: pensiamo al SIR, ad Avvenire, a Tv2000, a Radio In Blu, alla galassia dei siti web. Oggi però non basta più stare dentro al mondo dei media ma bisogna starci con un profilo rico-noscibile: il contesto pluralistico nel quale ci troviamo esige che siamo in qualche modo identificabili, riconoscibili. La Chiesa deve riuscire a comunicare attraverso le nuove tecnologie quello che è il suo sguardo assolu-tamente originale sulla realtà: lo sguardo della fede. Ma anche la Rete in qualche misu-

ra ha qualcosa da offrire alla riflessione teologi-ca, provocandola a rileggere ed attualizzare alcune sue categorie comunicative: riformula-re, ad esempio, il dentro e il fuori della fede senza creare barriere, steccati, ghetti, spazi e tempi di incomunicabilità; o ancora evitare di moralizzare a priori gli spazi comunicativi – e quindi definire, anche solo implicitamente, un dentro “buono” e un fuori “cattivo” –, se è vero che tali spazi sono oggi quanto mai fluidi. Ma si pensi anche a come la leggerezza della co-municazione digitale metta in discussione un certo stile un po’ stantio dell’annuncio evange-lico, stimolando la comunità cristiana a supera-re l’esteriorismo e il monodirezionalismo co-municativo e a vincere un certo immobilismo tipico di certi nostri ambienti. Ovviamente non si può prescindere da una fondamentale pru-

* Direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della C.E.I.

Un continente da evangelizzare

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di mons. Domenico Pompili *

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denza, perché il rischio di scivolare verso una verità “diluita” e di basso profilo esiste ed è reale. Ma è un rischio che si può vincere valo-rizzando il silenzio e salvaguardando i suoi tempi (no ad una tecnocrazia efficientista), riscoprendo il valore della bellezza (riappropriandoci di una espressività totale, che sappia usare tutti i canali possibili), privile-giando l’interpersonalità (la qualità del contat-to viene prima dell’ortodossia del contenuto). Internet diventerà sempre più un luogo in cui l’annuncio del Vangelo trova cittadinanza nella misura in cui i cristiani sapranno starci “da cristiani”. Lo stesso termine “rete” si può feli-cemente prestare ad una doppia lettura: essa può consentire una connessione di carattere tecnologico ma anche far sì che da situazio-ni multiformi si possa giungere a una sorta di dialogo e ad una capacità di essere rete. Lo sforzo cui la co-munità cristiana è chiamata, anche on line, è proprio quello di passare dal fare all’essere rete. Un obiettivo chiaramente messo a tema anche in vista del prossimo grande appuntamento che attende la Chiesa Italiana nell’ambito delle comunicazioni socia-li: il convegno nazionale “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era cross-mediale”, pro-mosso dalla Cei, che si terrà a Roma dal 22 al 24 aprile 2010 e chiamerà a raccolta quanti si occupano di comunicazione e cultura nel no-stro Paese. L’obiettivo che il convegno si pre-figge è racchiuso già nel titolo che è stato scel-to. “Testimoni digitali”: un sostantivo e un aggettivo. Partiamo dall’aggettivo “digitali”: esso indica la nuova condizione in cui oggi i mass media sono in qualche modo sciolti. La tecnologia digitale, infatti, sta ridefinendo i vecchi e i nuovi media, cambiando anche la nostra vita quotidiana e relazionale. Il conve-gno intende mettere a tema questa nuova con-

dizione culturale profondamente connotata dal digitale. L’aggettivo, però, è preceduto dal sostantivo “testimoni”, che è l’elemento fonda-mentale: esso evoca un atteggiamento, di fron-te ai cambiamenti che stanno avvenendo sotto i nostri occhi, che non deve essere né pregiudi-ziale né rassegnato. Anzi: dentro questa nuova condizione noi dobbiamo essere dei testimoni, cioè dei soggetti che siano in grado d’interpretarla. Non solo! Essere testimoni si-gnifica rimandare a qualcosa di ulteriore e nell’accezione cristiana il testimone fa riferi-mento al Vangelo. Per cui la sfida è quella di essere dentro il contesto digitale facendo risuo-nare la parole del Vangelo di cui ciascuno è testimone. Il convegno sarà articolato in quat-

tro fasi. In un primo momento, introdotto da mons. Crociata e centrato sulla relazio-ne di Nicholas Negro-ponte, si cercherà un’analisi tecnologica dei nuovi scenari mediatici, che in un secondo momento saranno invece esami-nati da un punto di vista antropologico (con la presentazione di una ricerca curata

appositamente per “Testimoni digitali” dall’Università Cattolica). L’obiettivo si sposte-rà poi su come i volti e i linguaggi dell’era cross-mediale interpellino l’annuncio del Van-gelo da un punto di vista teologico, pastorale e pedagogico: a tirare le fila di questo momento sarà la relazione del cardinal Bagnasco. In con-clusione sarà lo stesso Bendetto XVI, che rice-verà in udienza i partecipanti al convegno nell’aula Paolo VI, a conferire loro il mandato di evangelizzare il continente digitale. Durante tutto il convegno la dinamica interattiva, nella logica del web 2.0, sarà garantita dalla speri-mentazione di nuove strade – messenger, sms, e-mail – che consentiranno a tutti di dare il proprio contributo ai lavori.

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di Veronica Rossano *

Web 2.0 e Social network

Una delle espressioni più comuni per definire la società odierna è “Società dell’Informazione e della Condivisione”. E l’Informazione e la Condivisione sono, infatti, la struttura portante della nostra società e di tutti gli aspetti che la caratterizzano: cultura, educazione, economia, politica, e così via. Un ruolo indiscutibilmente di primo piano è giocato dall’evoluzione tecnologica, che negli ultimi decenni ha “travolto” il no-stro quotidiano. Solo dieci anni fa, infatti, sembrava impossibile essere in contatto con il mondo e avere l’informazione giusta al momento giusto semplicemente navigando con un cellulare sul web come se si avesse a disposizione un computer sulla scrivania. Da qualche anno, inoltre, il mondo della comunicazio-ne via Internet si sta ulteriormente evolvendo. Il termine web 2.0 è sicuramente entrato nel quotidiano, anche se, forse, il significato non è noto tra i “turisti occasionali del web”. Il web 2.0 non è una nuova tecnologia ma è un nuovo modo di pensare, in cui il web è considerato un mezzo che consente di mettere in relazione gli individui e le loro idee. In tale contesto, quindi, i sin-goli individui diventano non solo consumatori (dell’informazione) ma anche produttori. Si parla, infatti, di prosumer, termine che deriva dalla fusione delle parole inglesi PROducer e conSUMER. In questo contesto, i singoli utenti possono definire il legame tra le risorse digita-li, consentendo di creare percorsi navigazionali a cui gli autori stessi delle risorse non avevano pensato, e che descrivono le risorse (il famoso tagging), consentendo delle ricerche più efficaci

perché la classificazione delle risorse è fatta da chi le cerca. Ma le pratiche sociali e i processi allargati e partecipativi non sono una novità del web 2.0. Questo, infatti, ha “solo” offerto l’infrastruttura tecnologica per la realizzazione delle idee dell’antropologo Siegfried Frederick Nadel che, già nel 1957, descrisse le relazioni sociali come nodi (i soggetti all’interno della rete) e

legami (la connessione tra i soggetti). In altre parole, il concetto di rete sociale, o per usare l’espressione anglosassone più comune i social network, è un concetto nato quando i compu-ter erano appannaggio di pochissimi eletti e indica un insieme di individui collegati tra loro da un qualche tipo di relazione (familiare, lavorativa, ecc.), che condividono interessi e che collaborano e condividono idee e informa-zioni.

* Ricercatrice del Dipartimento di Informatica - Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari

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Uno dei software più conosciuti e diffusi del web 2.0 è Facebook (http://www.facebook.com/) che viene definito un social network, ma in realtà è il software che offre a ciascun individuo gli strumenti per creare la propria rete sociale virtuale. Esisto-

no, infatti, diversi software di questo tipo co-me ad esempio MySpace e LinkedIn solo per citarne due tra i più famosi. Obiettivo principale di questi software è di facilitare la connessione tra gli individui e di stimolarne la comunicazione. Regola fonda-mentale è non mentire. Il software, infatti, si basa sulle informazioni fornite dall’utente per offrire suggerimenti (in termini di amicizie, eventi, gruppi di discussione, ecc.) che potreb-bero essere di interesse dell’utente stesso e che potrebbero portarlo anche ad aumentare la sua rete sociale. Al primo accesso, quindi, il software chiederà all’utente di registrarsi con il suo nome e cognome e di inserire tutte le

informazioni personali come, ad esempio, la sua storia scolastica ed universitaria, i suoi interessi, i suoi hobby, l’orientamento politico, l’orientamento religioso, ecc. Più sono i dati inseriti dall’utente e più efficaci saranno i sug-gerimenti che il software proporrà durante la

navigazione. Per prima cosa, per esempio, l’utente si vedrà propor-re una serie di amicizie che rap-presentano persone che hanno dichiarato di frequentare gli stessi istituti di formazione negli stessi anni dell’utente. La probabilità di ritrovare qualche vecchio compa-gno di scuola è altissima! Man mano che la propria rete di amici-zie si allarga cresceranno le infor-mazioni a disposizione del softwa-re e quindi i suggerimenti saranno sempre più affidabili. Ad esempio, se si è in una rete di amicizie che hanno espresso il loro apprezza-mento per un determinato cantan-te, il software suggerirà di aggiun-gere tra le amicizie la pagina dedi-cata a quel cantante. Per rafforzare le connessioni all’interno delle singole reti sociali il software tiene aggiornati tutti i singoli compo-nenti della comunità sulle attività degli altri componenti. In altre parole, il social network è una grande piazza in cui si possono

incontrare continuamente i propri amici, colle-ghi, e familiari non avendo il vincolo dello spazio e del tempo (grazie all’aggiornamento continuo). La domanda che sorge spontanea è: e la privacy? Ovviamente è messa in serio pericolo dall’uso inappropriato del software. I progettisti di Facebook hanno da poco cam-biato le impostazioni della privacy consenten-do a ciascuno di scegliere a chi essere visibile (solo ai componenti della propria rete, ai com-ponenti delle reti dei nostri amici, oppure a tutti gli utenti del network). Nell’immaginario comune Facebook, e tutti i social network, rappresentano dei luoghi vir-tuali in cui cadono le inibizioni e in cui si po-

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trebbe fare quello che nei rapporti tradizionali riesce difficile: chiacchierare con uno scono-sciuto, intrattenersi con qualcuno per cui si prova interesse sentendosi a proprio agio, ecc. Ma in realtà, è la comunicazione mediata dal computer che consente di superare le tradizio-nali barriere della comunicazione faccia a fac-cia. E questo non è differente da quanto succe-deva in passato. Se si riflette un attimo ci si può ricordare che almeno una volta nella vita abbiamo pensato di scrivere un biglietto d’amore o di scuse piuttosto che affrontare l’altro. Oppure, abbiamo preferito comunicare una notizia usando il telefono perché ci fosse distanza fisica tra noi e l’altro. Non avere un interlocutore che può replicare, anche sempli-cemente con le espressioni del viso, ci rende più sicuri e diretti. Oggi scriviamo mail o uti-lizziamo le chat. L’evoluzione tecnologica non cambia il nostro modo di concepire l’interazione con l’altro, ma ci offre strumenti sempre più evoluti per poter interagire. Lo scopo primario è cercare di migliorare l’interazione offrendo mezzi sempre più veloci ed efficaci, ma le modalità d’uso e lo scopo dei singoli utilizzatori possono deviare la destina-zione finale dello strumento. Dopotutto anche

Pirandello, che era ben lontano da utilizzare i software per i social network, rifletteva sulle maschere che ognuno di noi indossa nelle rela-zioni di tutti i giorni. Infatti, a volte il restare incollati al computer è più una conseguenza dell’alienazione nei rapporti reali che una cau-sa. La tecnologia irrompe in modo imprevedi-bile nella nostra esistenza. La stessa televisione ha avuto un impatto notevolissimo sulla cultu-ra e sulle identità pur essendo un mezzo molto limitato. Prima che il computer si diffondesse molti adolescenti restavano in casa “incollati” alla televisione e ai videogiochi televisivi igno-rando il mondo esterno e chiudendosi sempre più in se stessi allontanandosi dalle amicizie. L’uso del computer, invece, consente almeno la ripresa delle interazioni “uomo-uomo”, anche se queste interazioni sono mediate dalla tecno-logia. E’ compito degli educatori, ad ogni livel-lo, far comprendere che il computer è solo un mezzo per poter essere sempre più in contatto con gli amici ma è necessario anche coltivare i rapporti umani affinché la virtualità non di-venti un rifugio per sfuggire alle difficoltà del-la vita reale.

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Quali i risultati in una società che utilizza

come canali privilegiati di comunicazione i

social network? Dentro questa domanda-

sintesi, ovviamente, se ne scorgono delle altre.

In che maniera influiscono sul processo edu-

cativo? I genitori subiscono queste realtà?

Ancora. In che maniera possono influire sulla

cultura, sul linguaggio? Quali le differenze

con le generazioni precedenti che non utiliz-

zavano determinati canali, quali i pro e i con-

tro?

E’ un discorso che non può soffermarsi solo su

questi linguaggi, ma deve avere un campo di

riflessione più generale. Diciamo che la loro

affermazione è uno dei tanti effetti dello svilup-

po tecnologico, probabilmente irreversibile; ciò

non vuol dire che esso sia unicamente positivo.

L’irreversibile appartiene ad una categoria de-

scrittiva. Credo che coloro che si occupano dei

comportamenti, della cultura giovanile, e di

solito non sono giovani, debbano in primo luo-

go fare un esame di coscienza, perché ci si vie-

ne a trovare di fronte ad una discontinuità che

deriva dal ritmo di queste nuove tecnologie che

spesso viene demonizzata e che, al contrario,

prima di essere giudicata dovrebbe essere co-

nosciuta in tutti suoi aspetti. La resistenza a

non aggiornarsi è, infatti, l’atteggiamento pre-

valente e il rischio è che, nei confronti di un

mondo che ti sfugge, possa prevalere la tenden-

Quale società domani? Intervista al sociologo Francesco Cassano

a cura di Francesca Romana Morgese

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za a demonizzarlo, atteggiamento che consente

di rimanere così come si è, senza mettere in

discussione se stessi. Che cosa infatti è più co-

modo della convinzione di essere di fronte a

mutazioni mostruose da respingere in tronco,

guardandole con un senso di impotenza o con

un giudizio sostanzialmente negativo? Ciò è da

biasimare in generale, in quanto si perpetua

quell’etnocentrismo di generazione in cui o-

gnuno pensa e agisce a partire dalle proprie

esperienze, competenze. In un famoso film di

René Clair Belle di Notte, il protagonista, eroe di

una cavalcata attraverso i secoli, decide di pas-

sare da un’epoca all’altra ogni volta che ascolta

il lamento degli anziani sulla decadenza dei

tempi presenti. E’ sintomatico che la cosa peg-

giore, soprattutto per chi si illude di essere al

di sopra di questi pregiudizi, è quella di chiu-

dersi, deprecando il tempo da cui sente di esse-

re ”superato”. Se ciò è vero in generale, ancor

più lo è in un contesto di grandi mutamenti

tecnologici, in cui la differenza tra generazioni

aumenta, perché aumenta l’innovazione. Già

con l’avvento della modernità emerge la crisi

del sapere tradizionale, dunque del ruolo

dell’anziano, depositario del sapere, che si ar-

ricchiva soprattutto sulla base dell’esperienza

vissuta. Al contrario nella società moderna il

sapere si innova, fino ad invecchiare se stesso.

Pur non essendo un apologeta

dell’innovazione, che considera queste cose

come progresso in sé, voglio ribadire la neces-

sità di fuggire questo atteggiamento di chiusu-

ra; definire il nostro mondo come terribile mi

sembra un atteggiamento unilaterale. La mia

generazione si è trovata tra una che aveva fatto

le due guerre mondiali ed una che conosce una

profonda disoccupazione intellettuale; è diffici-

le avere nostalgia per un mondo nel quale mol-

ti sono andati a morire per contrapposizioni

che ai nostri occhi non hanno più senso. Non è

per niente detto che il passato avesse dentro di

sé solo qualità che stiamo perdendo. Ma la

stessa cosa si può dire per il futuro. Lo svilup-

po e la crescita continui non aprono necessaria-

mente ad un futuro migliore. Progresso è un

concetto molto diverso da quello di sviluppo.

Perché per molti uomini e donne anziani è

così difficile mettere in discussione le proprie

categorie, certezze?

Ad un certo punto della vita, sembra che il

pensiero dominante diventi la pensione. Se da

un lato è più che normale, perché la tua vita

professionale in buona parte l’hai compiuta,

dall’altro se ci si adagia in questo atteggiamen-

to si smette di reinventarsi. Andando avanti

con l’età, la distanza dai propri studenti, o da

qualsiasi utenza, aumenta, perché non si hanno

più in comune le stesse informazioni, le stesse

visioni del mondo. Ci si trova, essendo diven-

tati ormai “maturi”, talvolta vecchi, a vivere a

contatto con ragazzi che per definizione hanno

vissuto solo gli ultimi anni, e il rapporto diven-

ta sempre più complicato. Ma arrendersi sareb-

be non solo vile, ma una vera e propria rinun-

zia al proprio ruolo: ecco perché

l’insegnamento può diventare una cosa bellis-

sima, se chi lo pratica riesce a mettersi in di-

scussione. Bisogna rinnovarsi non per confor-

mismo, ma per poter rimanere fedeli a se stessi

senza chiudersi ai tempi. Il sapere che portia-

mo con noi stessi per poter confermare la sua

validità deve accettare la sfida del confronto

con il presente, con le nuove generazioni. Certo

non si possono sommariamente accusare quei

docenti che non si aggiornano, è difficile inna-

morarsi un’altra volta ad una certa età. Ma non

si possono neanche accettare certe requisitorie

come se fossero una descrizione obiettiva della

realtà. Mi viene in mente una vecchia barzellet-

ta nella quale un’anziana turista inglese tornata

in Italia dopo più di trent’anni affermava:

“Come è cambiato questo paese! Quaranta

anni fa i ragazzi mi fischiavano dietro e adesso

invece non lo fanno più!”. In conclusione per

non gettare il bambino con l’acqua sporca, bi-

sogna guardare bene nella vasca e saper distin-

guere per giudicare ed agire. Soltanto cono-

scendo queste tecnologie, magari non condivi-

dendole, ma sapendo discernere le potenzialità

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e i pericoli, si possono gestire. Ci sono quindi

due rischi opposti da evitare: quello di rima-

nerne esclusi e quello di rimanerne intrappola-

ti.

A tal proposito cosa pensa dei giovani che

restano intrappolati solo in questa potenziali-

tà?

Il rischio di chi utilizza tali linguaggi come

esclusivi canali di comunicazione è di rimaner-

ne, appunto, imprigionato. Se pensiamo, per

esempio al linguaggio dei blog, ci rendiamo

subito conto che esso spesso è aggressivo.

Un’aggressività che nasce dalla solitudine e

dalla distanza che spesso garantisce l’impunità.

Certo tutto questo può essere libertà, ma più

spesso è incapacità di affrontare un rapporto

reale con l’altro, fondato sulla differenza di

idee, ma anche sul rispetto della sua opinione.

E’ un’illusione di potenza, che nasce

dall’isolamento virtuale, da una distanza fisica

e relazionale che inaridisce la base di un vero

dialogo. Aumenta l’aggressività a fronte

dell’impotenza, è una compensazione. Certo,

resta intesa anche la valenza positiva di un

blog, che può servire a connettersi, a mettere,

come tutta la Rete, in comune dei problemi,

ecc. Ma proprio nel momento in cui sottolineia-

mo questa grande potenzialità non dobbiamo

dimenticare che esso non può sostituirsi alle

asperità, alle prove della vita reale, che la

“seconda vita” non può sostituire la prima.

Così come va da sé che la Rete offre straordina-

rie possibilità di comunicazione e conoscenza,

ma non potrà mai sostituire l’esperienza del

contatto visivo e corporeo, del contatto con

l’altro oppure della lettura di un libro, della

concentrazione e della profondità che essa con-

sente.

Verso che tipo di comunicazione andiamo?

Verso una poco passionale, poco emotiva,

poco coinvolgente?

Sinceramente mi sembra spesso un po’ dispe-

rata! E’ una tonalità emotiva che ha piccole

speranze, piccoli obiettivi, che si esaurisce in

un chiacchiericcio limitato alla sfera di espe-

rienza degli utenti. Anche nel passato ci sono

stati problemi di comunicazione, ma forse oggi

è accentuato l’elemento di segre-

gazione che porta a chiudersi

nella conventicola autarchica e

autoreferenziale a cui, tramite

questi strumenti, virtualmente si

appartiene. E’ vero che essa può

aiutare anche i grandi cambia-

menti, pensiamo al ruolo che que-

sti mezzi hanno svolto nella cam-

pagna elettorale di Obama. Ma la

speranza non era nei mezzi, come

qualcuno molto superficialmente

ha detto, ma nel messaggio forte,

di un uomo che si rivolgeva ad

un paese in crisi offrendogli la

prospettiva della speranza e del rinnovamento.

La forza fondamentale era in Obama, i mezzi

sono venuti a valle, tanto è vero che adesso

rischiamo di cadere nell’estremo opposto indi-

cando in Facebook addirittura il rischio di dar

voce all’estremismo e al terrorismo.

L’oscillazione è sempre quella che diceva Eco,

tra apocalittici ed integrati, e i più superficiali

sono l’uno o l’altro a settimane alterne, seguen-

do l’emozione dell’ultima notizia. Il contrario

della serietà e dell’approfondimento. E i gior-

nali spesso accompagnano queste oscillazioni

invece di frenarle.

Page 28: "tempopieno", Gennaio-Marzo 2010

Dossier

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Il computer con il suo accesso alla Rete, infatti,

è da un lato una straordinaria apertura sul

mondo, un allargamento e un potenziamento

di tutte le relazioni, ma dall’altro comporta il

rischio di una persistente segregazione

dell’individuo rispetto alla relazione. E’ un po’

la differenza tra erotismo e autoerotismo,

l’immaginazione si chiude su se stessa e non

trova più la strada per affacciarsi alla finestra

del mondo. Del resto tutto sembra andare, a

tutti i livelli, nella direzione di una crescente

individualizzazione: il cinema, la televisione (ti

fai il palinsesto personale), il cellulare ti rag-

giunge come individuo ovunque e salta sem-

pre le relazioni in cui sei inserito, mentre i tele-

foni pubblici non ci sono quasi più. Ognuno ha

il suo cellulare, la sua musica, sembra essere a

proprio agio in questo atteggiamento in cui sta

continuamente con se stesso. Si esalta la pro-

pria differenza, talvolta la si esaspera, la si so-

pravvaluta. Ciò può apparire paradossale, per-

ché viviamo in un mondo di massa, ma con

una tale offerta, che permette ad ognuno di

costruirsi il suo palinsesto individuale. Assi-

stiamo ad un ripiegamento dell’individuo su

stesso, dunque a quei blog in cui questo indivi-

duo solo, disperato, frustrato e aggressivo,

vomita su tutto ciò che gli capita a tiro. Il pro-

blema è l’elaborazione della propria esperienza

in uno stato di separazione. L’individuo della

tradizione classica era forte e sapeva prendersi

le proprie responsabilità; gli individui attuali

sono deboli, è cambiata completamente

l’identità, così come è cambiata anche rispetto

alle dinamiche erotiche e sentimentali.

L’equilibrio emotivo è così fragile che anche le

convivenze sono fallimentari, perché non basa-

te sulla realtà, ma su un bisogno di appaga-

mento che scema dopo i primi quindici giorni.

Questo individualismo di basso conio fa sì che

l’identità venga frantumata; l’individuo non

risponde più di se stesso, non riconosce più gli

impegni da lui stesso presi appena tre mesi

prima. Quel nesso fondamentale tra gli esseri

umani di ogni tipo di società, che è dato dalla

responsabilità, si frantuma sotto i colpi di que-

sta microfisica dell’Io, viene bombardato e si

disperde in tante particelle elementari. La li-

bertà di espressione è una grande conquista,

ma spesso viene frustrata da tale povertà di

questo “Io minimo”, da questa “cultura del

narcisismo”. E’ una libertà di opinione non

allenata a scendere in profondità, ma ad essere

espressa immediatamente, fino a non garantire

la coerenza dell’identità. Spero, promitto e iuro, i

tre verbi che secondo un’antica massima della

sintassi latina reggevano l’infinito futuro, non

vengono praticati più, perché non ci si lega

più. Questa crescente renitenza al legame co-

struisce un Io povero che tende a realizzarsi

nell’orgasmo dell’attimo e poi scatena dinami-

che depressive. Ciò spiega anche il ruolo che

nella nostra cultura ha assunto la droga, per-

ché, non dobbiamo dimenticarlo, non esiste

solo lo spacciatore, ma, prima di tutto, il consu-

matore. La cultura esistenziale dominante chie-

de di vivere alla grande, di stordirsi. Come

nella canzone Vita spericolata di Vasco Rossi, al

centro è il bisogno dell’individuo di stordirsi,

di potersi perdere in fondo ai “cazzi suoi”,

unico orizzonte dell’Io. Una concezione che

rivendica il diritto ad un’immaturità perenne.

L’insieme dei nuovi strumenti tecnologici, dei

nuovi canali di comunicazione può consentirci

di essere molto più ricchi e complessi, ma è

necessario che le istituzioni siano capaci di

canalizzare questo uso, di contrastarne gli usi

irresponsabili e di incoraggiarne gli usi utili

socialmente e capaci di arricchire veramente la

personalità individuale.

Secondo lei in tutto questo, il rapporto geni-

tori–figli come è cambiato? I genitori temono

che i loro figli stiano troppo tempo davanti al

computer, ma nello stesso tempo sembrano

demandare ad esso il proprio ruolo.

E’ ovvio che si ritorna al problema generazio-

nale, perché, al di là del rapporto padre–figlio,

molti genitori sono proprio incapaci di utilizza-

re determinati strumenti, dunque diventa diffi-

cile interagire in maniera stimolante.

Page 29: "tempopieno", Gennaio-Marzo 2010

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L’aggiornamento l’ha portato la modernità e in

questo scenario molti genitori arrancano. Certo

il problema della comprensione tra genitori e

figli precede il fenomeno internet. E’ ovvio che

con la rivoluzione industriale e la modernizza-

zione dell’Italia, la distanza tra le generazioni

aumenta in modo esponenziale. Per esempio, i

famosi ragazzi del ’68 si rivoltavano contro i

padri che proiettavano ancora su di loro una

realtà rigida e di scarsità, erano i figli di due

società profondamente diverse. Questa caduta

della comunicazione è pericolosa, soprattutto

nella nostra epoca, perché l’innovazione è più

forte rispetto a quella di altre epoche. Questi

mondi tecnologici agli occhi dei più grandi

sembrano ammantarsi di mistero, tanto che

anche le tradizionali agenzie educative sono

spesso a disagio rispetto ad essi. La scuola, per

esempio, ha perso prestigio rispetto alla televi-

sione e ad internet; la sua funzione sociale non

è più limpida e dal punto di vista della comu-

nicazione non ha saputo reggere la pervasività

della televisione che è al centro di un apparato

comunicativo enormemente più vasto e basato

su valori totalmente diversi, prevalentemente

edonistici, di ricreazione, divertimento, talvolta

involgarimento. A ciò si aggiungono i ritardi

generazionali, etici degli insegnanti. Di fronte

ai cambiamenti, spesso, i docenti sono depressi

più che reattivi, si difendono, e, invece di gio-

care la partita, spesso si ritraggono, anche per-

ché il loro ruolo viene sempre più mortificato e

diventa marginale.

In questo panorama, come cambia il concetto

di cultura? Diventa una cultura da “click”,

frammentata?

In una società che non offre più valori forti (che

non sono necessariamente quelli tradizionali) e

vive confinata nell’unica certezza del qui ed

ora, i giovani hanno difficoltà a progettarsi, a

legarsi ad un’idea o ad un progetto di lungo

periodo. In una società in cui è diffusa la disoc-

cupazione oppure domina il lavoro precario, le

relazioni forti e durevoli non esistono oppure

fanno fatica a durare. Ecco perché lo spazio per

un uso compensatorio e solipsistico delle nuo-

ve tecnologie si allarga. Ma non si tratta di un

destino inevitabile. I giovani non sono chiusi

alla speranza e agli impegni forti. Ma per aprir-

si alla speranza hanno bisogno di incontrare

fatti, politiche e non dichiarazioni a cui non

segue nulla. Hanno bisogno di imbattersi non

in prediche, ma in pratiche, non in docenti che

ripetono lezioni mal studiate, ma in testimoni,

in figure capaci di mostrare ciò che dicono, di

far vedere, con la loro vita e con il loro esem-

pio, che è possibile essere altrimenti. Troppe

volte la scuola ha puntato solo

sull’aggiornamento. Per carità, si tratta di qual-

cosa di assolutamente necessario, perché in un

mondo che cambia il sapere non rimane fermo,

non è lo stesso di quando a suo tempo abbiamo

studiato. Ma l’aggiornamento non basta, occor-

re anche che i docenti facciano i conti con se

stessi e con la loro vita. Perché mai dovrebbero

stare ad ascoltarti se non sei una persona che

vale? E’ questo il punto: la docenza non è solo

un mestiere, ma una pratica di vita. Forse lo

poteva essere in una società statica, nella quale

si trasmetteva sempre lo stesso sapere. Ma se la

società si muove continuamente quegli strani

marziani che sono i ragazzi perché dovrebbero

fermarsi ad ascoltarti, se non sei una persona

interessante, capace di incuriosirli con il tuo

sapere, con l’amore per esso e con la tua capa-

cità di ispirare la loro vita?

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La nostra società può a buon diritto più che mai definirsi società digitale a fronte di un tempo in cui era più adeguata la definizione di analogica. Dunque con il cambiamento dei modelli culturali e di consumo anche le rela-zioni tra le persone si sono modificate conno-tando nuove modalità di socializzazione e di contatto. Tale riflessione risulta più pregnante se si pensa ai nostri adolescenti con le loro in-certezze e le loro zone d’ombra e soprattutto alla loro tendenza a rifugiarsi in mondi e di-mensioni virtuali grazie a strumenti tecnologici quali appunto le chat, i social network, i forum, ecc. L’adolescenza è per antonomasia un perio-do dello sviluppo psichico e fisico che pone l’individuo di fronte a molti cambiamenti pro-curando incertezze, timori e spesso inquietudi-ni. Le caratteristiche culturali della nostra so-cietà amplificano tale condizione ibrida, dal momento che da un lato si consente ai ragazzi una pseudo-emancipazione soprattutto in ter-mini sessuali e di consumo di beni, e dall’altro invece non si garantisce loro un sano affranca-mento dalla famiglia attraverso valide oppor-tunità lavorative. Dunque ai nostri ragazzi si accorda un’ampia

autonomia di gestione (vd. disponibilità di denaro, libertà negli orari, scelta della scuola, possesso di uno o più telefoni cellulari, ecc.) e allo stesso tempo non si assicura loro una prospettiva temporale nella quale inquadrare un percorso di crescita volto all’autonomia vera, relegandoli così in una dimensione di adolescenza prolungata (si pensi ai giovani adulti che continuano a vivere nel proprio nucleo familiare senza però contribuire di fatto alla vita della famiglia). Questa la premessa necessaria per condurre una breve riflessione e disamina circa le nuo-

ve patologie collegate alle sempre più diffuse abitudini relazionali legate all’utilizzo eccessi-vo della Rete. L’ampia diffusione di internet ha dunque ga-rantito l’accesso democratico ad un più ampio ventaglio di contatti, opportunità, “mondi” appunto, che altrimenti sarebbero rimasti per sempre altri, dunque non è possibile a nostro parere né demonizzare né tanto meno mitizza-re la tecnologia in sé, quanto piuttosto risulta necessario riflettere sull’uso che se ne fa. La generazione born digital ha sviluppato capacità cognitive differenti rispetto alle precedenti, ed ha al suo attivo una sempre più diffusa tenden-za alla sintesi piuttosto che all’analisi, e questo con buona pace di insegnanti ed educatori; l’utilizzo anche simultaneo di diversi media, internet, cellulari, ecc., consente di mettere in atto strategie cognitive che interessano i lobi frontali, come messo in evidenza con la riso-nanza magnetica. Pertanto le neuroscienze hanno rilevato che per gestire una sì grande mole di informazioni non è possibile andare nei particolari ed approfondire, ma tenersi sul generico, e altrettanto vale per l’uso del lin-guaggio parlato rispetto a quello scritto, infatti

Vite ed identità parallele

* Psichiatra – Direttore dell’Istituto di Psicoterapia Familiare e Relazionale di Bari ** Ricercatrice

di Pasquale Chianura* e Anna Maria Cassano**

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la necessità di comunicare velocemente ed im-mediatamente ha portato alla nascita di una nuova grammatica relativa ad un contesto qua-le è quello dei “pari on line”. Da più parti però la preoccupazione è legata alle implicazioni psico-relazionali che l’utilizzo esagerato della Rete comporta. Infatti, sempre più, ultimamente andiamo registrando nuovi profili se non psicopatologici comunque di-sfunzionali, legati tanto ad un eccessivo ricorso alla realtà virtuale quanto ad un altrettanto grave ritiro dalla realtà vera e propria. Sovente gli adolescenti internauti trascorrono anche fino a sei-sette ore al giorno connessi (vd. Rap-porto Telefono Azzurro 2010), e questo a discapito del proprio coinvolgimento nella vita familiare e nella vita con i pari (sport, asso-ciazionismo, tempo libero), con conseguente diminu-zione anche del riposo not-turno. Questa tendenza al ritiro, all’isolamento, alla costruzione di un’identità alternativa è in linea con le caratteristiche tipiche dello sviluppo psico-affettivo dell’adolescente, di cui parlavamo prima; allo stes-so tempo la tendenza ad intrattenere rapporti sociali ed amicali solo via web (ad es. aumentare le liste di amici o disami-care su Facebook qualcuno) altera lo sviluppo delle capacità relazionali e di socializzazione. La ricaduta diretta riguarda la strutturazione della propria identità: sin dai primi momenti della sua vita l’individuo compie esperienze sociali legate alla presenza dell’altro e alle sue risposte nel qui ed ora, la percezione di sé si modula su una serie di risposte e feedback in uno scambio continuo e reciproco di messaggi e risposte con l’altro, tutto ciò si struttura in una rete di capacità e di abilità relazionali e metacognitive in cui gli individui co-costruiscono a vicenda il Sé. Lo schermo piatto e luminescente non può in alcun modo vicaria-re tale esperienza, né i mondi paralleli sosti-

tuirsi alla complessa e variegata esperienza umana. Le statistiche del Censis ci dicono che le perso-ne che trascorrono molto tempo in internet hanno in media 35-45 anni e un buon grado di scolarizzazione; pertanto è evidente quanto il fenomeno riguardi non solo gli adolescenti ma anche gli adulti. Per questo profilo di utenti della Rete il bisogno di esserci è soddisfatto nella misura in cui si appare e si condivide qualcosa di sé nella dimensione fluida del vir-tuale. Anche qui l’approccio relazionale diret-to, con le sfumature emozionali reali viene sublimato nella ricerca di un identità probabile

e spesso impossibile (es. nickname) ma che per il soggetto spesso rappresenta un alter ego, anzi la sua vera identità, quella che sfugge agli altri intorno a sé, come i suoi familiari più stretti. Sul discrimine tra vero e verosimile dunque si stringono nuovi contatti, amicizie, rapporti, salvo poi dover tornare alla vita rea-le, sicuramente più impe-gnativa e complessa. Vero è comunque che l’utilizzo di internet in sé non è una patologia ma

l’abuso e la dipendenza da specifiche attività del web (quali chat, social network, giochi di ruolo) possono essere ascritte ad un quadro più ampio di sintomi legati al disturbo ossessi-vo compulsivo (D.O.C.) e al disturbo del con-trollo degli impulsi. Se le caratteristiche della nosografia appaiono rigide per poter parlare di un vero e proprio disturbo da dipendenza da internet, allo stesso tempo possiamo dire che l’utilizzo eccessivo o meglio l’appiattimento della vita e delle esperienze emotive e relazio-nali dell’individuo alla dimensione virtuale possono slatentizzare ovvero facilitare l’insorgere di disturbi di personalità che in adolescenza sono ascrivibili ad equilibri ben più fragili che per gli adulti.

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Il gioco costituisce una tappa fondamentale nello sviluppo di un bambino in quanto permette di stimolare l’immaginazione, la capacità di distinguere tra realtà e finzione, la capacità di assu-mere dei ruoli ben precisi, la capacità di confrontarsi e comunicare, inoltre aiuta la formazione della personalità, favorisce l’apprendimento di regole e l’integrazione socia-le. I bambini costruiscono mon-di fittizi per i loro giochi, pretendendo che siano reali, pur sapendo che così non è. Essi hanno la capacità di muoversi su due livelli diver-si e paralleli, la realtà e la finzione fin dai dodici mesi di età, e il passare dal vero al falso è una virtù naturale. «I bambini giocavano ai grandi, calzando le pantofole del loro padre» osservava già Plutarco due millenni fa. La capacità di immedesima-zione in una situazione fittizia, in un bambino, è perfetta, e questo permette di godere del gio-co anche se in quel momento si è da soli senza compagni con cui condividere quell’esperienza. La fantasia è talmente accen-tuata da far apparire veri quei momenti. Il bambino in questo gioco del far finta compren-de presto anche i giochi di ruolo e i giochi con regole, strumenti fondamentali per sviluppare e perfezionare le abilità sociali, il senso del sé, i rapporti interpersonali e la comunicazione.

Oggi, invece, con l’uso sempre più diffuso dei giochi elettronici, c’è un rispecchiarsi nell’esperienza che lo stesso videogioco propo-ne che arriva alla sovrapposizione, per cui il giocatore diventa il protagonista degli eventi che si proiettano sullo schermo, è parte inte-grante di quella realtà virtuale che, col tempo, potrebbe non essere più considerata tale. La fantasia è usata in modi diversi. Una cosa è la fantasia che nasce dal proprio mondo interiore come manifestazione delle

I giochi elettronici, tra opportunità e pericoli per la mente

* Pediatra

di Gabriella Campa *

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proprie emozioni, dei propri desideri, della propria sensibilità, che costruisce in autonomia il proprio immaginario, un’altra è quella che

proviene dall’immaginario altrui, che non la-scia spazi all’invenzione personale. Non biso-gna poi sottovalutare il messaggio che si fa passare con i videogiochi. I bambini si basano molto sull’imitazione, per cui l’esposizione a scene di violenza continue e gratuite può in-durre nei bambini una reazione analoga per imitazione e assuefazione. Da qui la responsa-bilità di proporre eroi e immagini moralmente utili alla crescita dei ragazzi. Altra differenza è che nel gioco spontaneo il bambino non è costretto alla velocità delle im-magini sia pur creative, divertenti e colorate del videogame. Quando un bambino si inventa un gioco c’è coinvolgimento fisico, intellettivo ed emotivo, e non è dominato da suoni e tempi

trascinanti, come avviene in un videogioco. Qui tempi e movimenti possono essere molto rapidi, e il numero di avventure in cui il gioca-

tore è coinvolto diventa estremamente eleva-to. La conseguenza è di creare situazioni di tensione e di attesa non presenti solitamente nei giochi spontanei. Questo può spiegare certe forme di dipendenza nei giocatori che sono costretti a procedere senza fermarsi fino alla fine del gioco, in una sorta di sfida, ma con una macchina. Inoltre non bisogna sotto-valutare il coinvolgimento fisico del giocatore davanti alla console. L’immobilità a cui si è costretti non fa scaricare tutta la tensione nervosa indotta dal gioco stesso, come avvie-ne invece naturalmente in un gioco sponta-neo di movimento, a ciò si aggiunga anche una incontrollata iperalimentazione che porta a sovrappeso e/o franca obesità, preludio di future sindromi metaboliche. Non ultimo l’isolamento in cui si può cadere abusando nell’uso di questi mezzi. Gli scambi con il mondo reale diventano sempre più esigui privilegiando quelli attraverso il mondo vir-tuale. Le conoscenze e le amicizie non hanno più una connotazione fisica, ma sono fatte di conoscenze virtuali. Anche in quest’ambito infatti si preferisce uno scambio in Rete, co-noscenze fatte e coltivate nei social network che si basano su un modo di comunicare faci-le in cui non si mette in gioco la fisicità, si nascondono le proprie insicurezze e ci si può

creare un’immagine idealizzata. La conoscenza può avvenire attraverso una foto messa in Re-te, ad esempio Facebook, ma anche questa con-tinua ad essere un’immagine della realtà, è l’immagine che si vuol dare di sé, ma che ov-viamente non corrisponde al vero, o vi corri-sponde solo parzialmente. E’ la paura di soste-nere un confronto con l’altro, e, in quest’ottica, possiamo far rientrare anche gli sms che danno l’opportunità di non rispondere immediata-mente se non si vuole farlo, danno il tempo di pensare la risposta più opportuna, con gli sms si possono interrompere relazioni senza assu-mersi la responsabilità di guardarsi negli occhi. Tutto ciò porta, contrariamente a ciò che si può pensare, ad una solitudine dell’individuo sem-

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pre più accentuata. Eppure il bisogno di interagire con gli altri e il bisogno di movimento in un bambino sono fondamentali. E’ da essi che dipende il benes-sere sia fisico che psicologico. La mente del bambino ha bisogno non solo di guardare e di ascoltare, ma anche di toccare, di muoversi, di afferrare, di stringere. Al di là dei contenuti positivi o negativi che questi strumenti posso-no contenere, la tensione fisica accumulata può creare uno stato irritativo con conseguente scontentezza e malumore, e inoltre, con il pas-sare del tempo, un bambino abituato a muo-versi prevalentemente negli spazi virtuali può perdere la capacità o la voglia di organizzare delle attività in proprio, può perdere la capaci-tà di pensare e immaginare liberamente. Nell’adolescenza la situazione può farsi anche più problematica, perché in quest’epoca gioca-re con l’identità è un divertimento quasi fisio-logico, una normale tappa dello sviluppo. Un ragazzo fa delle prove, si immagina il suo futu-ro, entra in parti diverse e così facendo trova se stesso. Se però il ragazzo si abbandona troppo al virtuale, la flessibilità tipica del gioco infan-tile si perde e il rientro nella realtà può diven-tare problematico perché si crea un divario sempre più profondo tra mondo virtuale piace-

vole, semplice e protetto e mondo reale più complesso, articolato e talvolta faticoso. Per districarsi in questo labirinto bisogna im-parare a comprendere e utilizzare meglio que-sti strumenti che, come abbiamo visto, sono elaborati in modo da ipnotizzare la mente. Bisogna porre dei limiti di tempo nel loro uso. Se lo stesso Bill Gates li ha imposti a sua figlia, la cosa dovrebbe farci riflettere. Il pensiero deve sempre essere libero, quindi, i genitori, il dono più prezioso che possono fare ai loro figli, che si avviano verso territori inesplorati e imprevedibili, è l’elasticità unita alla coerenza. L’elasticità nel comprendere che ormai questi mezzi fanno parte del nostro quotidiano, ma vanno usati con attenzione, non dimenticando mai che possono essere molto utili se usati co-me strumenti, non cadendo nell’errore di farsi usare da essi, e la coerenza, perché i genitori non devono esimersi dall’insegnare quelli che sono i valori dell’esistenza e della vita reale, ben diversi da quelli sponsorizzati dalle imma-gini. I ragazzi hanno bisogno di riflettere sul senso e l’utilità di questi strumenti e, soprattut-to, di essere accompagnati ed educati ad assu-mersi le proprie responsabilità. La scuola è chiamata a collaborare ponendosi il problema della regolamentazione nell’uso di

questi strumenti, per trovare soluzioni al fian-co dei genitori che, mol-to spesso, oggi si sento-no più inadeguati dei figli nel gestire questi nuovi mezzi di evasione, anche perché è una ge-nerazione che non ha la stessa dimestichezza dei ragazzi nel loro uso. L’obiettivo a cui bisogna mirare è quello di mette-re l’adulto e le famiglie nelle condizioni di vive-re il proprio ruolo, affin-ché anche il ragazzo possa capire il suo, dive-nendo a sua volta un adulto responsabile.

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Senza incorrere nell’errore di demoniz-zare tutto ciò che ci viene attualmente messo a disposizione dalla telematica, vale la pena però fare i conti con i cam-biamenti che l’era digitale ha comporta-to sulle nuove modalità con cui oggi si affrontano e si vivono le relazioni inter-personali, facendo attenzione soprattut-to agli effetti che tali innovazioni deter-minano sul mondo giovanile, ovvia-mente più sensibile alle nuove forme della comunicazione sociale, ma anche meno critico nel loro utilizzo. Procedendo per sintesi molto stringate, ci sono tre elementi fondamentali con cui misurarsi:

• l’affermazione della logica della con-nessione, che, sostituendo quella della rela-zione, rimette alla discrezione unilaterale di un soggetto la decisione di consentire o me-no all’altro un accesso comunicativo; in que-sto modo si appanna la possibilità di uno scambio che derivi da una reciprocità di bisogni e disponibilità e, soprattutto, la vo-lontà di aprire o meno un contatto viene gestita sulla base di motivazioni non sempre dichiarate e opportunamente giustificate;

• la velocità e l’ampiezza delle comunicazioni, che per un verso comporta la caduta delle barriere tradizionalmente legate allo spazio e al tempo, per l’altro induce a processi di nomadismo relazionale e non favorisce la nascita di una rinnovata cosmologia, per la mancanza di un processo di metabolizzazio-ne e di interiorizzazione degli scambi, neces-sario per non rimanere confinati in un’ottica di contingenza e di superficialità; da questo deriva l’apparente dilatazione del concetto di prossimità e la riduzione di questa espe-rienza ad una dimensione illusoria o effime-

ra;

• la possibile scomposizione o mistificazione delle identità che entrano in gioco nel con-fronto telematico e che non possono essere sottoposte ad una verifica della loro autenti-cità: il principio di realtà e la finzione spesso si intersecano in modo incoerente, nell’assenza di un sistema di decodifica che sia intelligibile e condivisibile; vi è inoltre il continuo tentativo di una proposta della propria soggettività che sia conformata a precisi modelli culturali e sociali e che dun-que vada a rinforzare la necessità di appari-re non soltanto ciò che non si è, ma quel che obbedisce ad uno stereotipo virtuale che sfugge ai concreti parametri relazionali dei gruppi o delle generazioni.

Da queste situazioni, che peraltro diventano sempre più pervasive, al punto da configurare non un semplice accostamento o una sovrap-posizione rispetto a modalità consuete di inter-pretare e vivere l’affettività, ma un modello prevalente a cui adeguarsi se non si vuole ri-

L’affettività virtuale

* Docente di Religione cattolica - Liceo Scientifico “G. Salvemini” - Bari

di Marianna Pacucci *

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sultare marginali sul mercato dello scambio telematico e sociale, derivano precise sugge-stioni per il modo in cui gli adolescenti e i gio-vani (ma anche non pochi adulti, tali solo da un punto di vista anagrafico) esprimono la propria dimensione relazionale e affettiva. Innanzitutto si nota come le difficoltà tipiche delle nuove generazioni nell’itinerario di co-struzione dell’identità vengono a poco a poco percepite come una scelta e non soltanto come un limite da affrontare. La scomposizione dell’Io non è più concepita come una possibile deriva esistenziale o quanto meno come un effetto perverso legato all’eccedenza dei mo-delli della maturità presenti sulla scena cultu-rale e sociale; diventa, piuttosto, un’opzione consapevole, un valore strumentale da perse-guire all’interno del mercato comunicativo multimediale, come ipotesi vincente in vista di un successo relazionale, che coincide con la quantità e l’estensione dei contatti realizzati, piuttosto che con la qualità complessiva delle esperienze affettive di cui si è protagonisti. Si verifica, ancora, come i giovani avvertano il proprio esistere quando coincide con la possi-bilità di appartenere ad una comunità virtuale, che non è poi così libera e accogliente, come può sembrare a prima vista. Accanto al nume-ro delle connessioni, conta molto il fatto che esse si pongano in un particolare circuito piut-tosto che in un altro; la persona dipende dalle tipologie di soggetti che frequenta a livello virtuale e dalla visibilità che può dare a questa esperienza. E’ la fine del valore dell’intimità, la crisi delle forme affettive che contemplano la dimensione dell’esclusività, il deterioramento di tutte le esperienze che richiedono azioni di protezione e di tutela, perché possano trovare adeguato radicamento e sviluppo nella storia relazionale che porta a costruire legami forti e durevoli. La relazione affettiva, infine, sempre più tende a coincidere con la sua dimensione comunicati-va e questa, a sua volta, chiama in causa la sfera emozionale, piuttosto che quella cogniti-va. Per questo, le relazioni virtuali sono inevi-tabilmente consumistiche: sentimenti, aspetta-tive, disponibilità, valori vengono bruciati rapi-

damente e soprattutto non sono riportati ad un orizzonte più ampio di comprensione dell’affettività, che comporta fattori quali la consapevolezza, la responsabilità, la perseve-ranza, la generosità… Investimento di basso profilo, la vita affettiva appare sempre meno impegnata e impegnativa e arriva a coincidere con un’esperienza ludica, perdendo il carattere vocazionale che invece le è proprio, se con esso si intende l’invocazione all’amore, la provoca-zione all’accoglienza dell’altro, la convocazione a costruire un progetto di vita condiviso. Molti giovani, approssimandosi alla condizio-ne adulta, fortunatamente ridimensionano tutto ciò che hanno sperimentato nell’affettività virtuale, perché arrivano a smascherare i circoli viziosi che si nascondono in essa (i muri di vetro presenti in una comunicazione inautenti-ca, il rischio del narcisismo, l’intrappolamento nella soggettività, l’impossibilità di approdare a competenze esistenziali efficaci…) attraverso delusioni anche cocenti; per gli adolescenti è invece più arduo il ritorno ad un’esperienza affettiva reale, perché appare troppo faticosa e lontana dalle aspettative legate a questa fascia d’età, soprattutto se non sono comunque inse-riti in ambienti educativi (la famiglia in primo luogo) da cui trarre contributi ed esempi diffe-renti. E comunque, considerando gli accelerati dinamismi della telematica, è praticamente impossibile prevedere quali saranno le offerte del prossimo futuro e le conseguenze che esse innescheranno a livello comportamentale e nella struttura profonda dei desideri e dei biso-gni delle nuove generazioni.

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La fede cristiana non rimane mai disincarnata: per un credente essa costruisce la storia, a par-tire dall’evento centrale che è Gesù Cristo. E, d’altra parte, il credente stesso costruisce la storia con la propria fede. Le vicende di oggi sono segnate dalla cultura della comunicazio-ne. Comunicare non è una novità per l’umanità, anzi, è proprio ciò che maggiormen-te ne qualifica la condizione. Ma le forme e i mezzi per realizzare il processo comunicativo hanno raggiunto ai nostri giorni livelli di per-vasività così intensi che richiedono percorsi adeguati di comprensione e d’uso anche per la vita di fede e per la spiritualità. Il Concilio Va-ticano II nella Gaudium et Spes (58) sottolinea infatti che «il Vangelo di Cristo rinnova conti-nuamente la vita e la cultura dell’uomo... fe-conda dall’interno, fortifica, completa e restau-ra in Cristo le qualità spirituali e le doti di cia-scun popolo» e, d’altra parte, «la Chiesa, com-piendo la sua missione già con questo stesso fatto stimola e dà il suo contributo alla cultura umana e civile e, mediante la sua azione, anche liturgica, educa l’uomo alla libertà interiore». Il Beato Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia Paolina, già all’inizio del ’900 aveva intuito che la comunicazione massmediale sta-va assumendo un ruolo decisivo nella vita so-ciale e pensò di utilizzarne la forza positiva per evangelizzare, arrivando ad equiparare la “predicazione scritta”, svolta attraverso l’uso di mezzi, con la tradizionale forma di annuncio “dal pulpito”. E si rese conto che questa nuova missione necessitava di una specifica spirituali-tà, perché l’uso dei massmedia non facesse perdere di vista il significato autentico della comunicazione come parte della struttura dialogica/relazionale dell’uomo fatto a imma-gine di Dio. L’impegno di “inculturare la fede nella comu-

nicazione” appartiene a tutta la Chiesa e si possono elencare numerose riflessioni e inizia-tive riuscite. Il Concilio Vaticano II con il decre-to Inter Mirifica (1963) ha dato una svolta deci-siva al modo di considerare i mezzi di comuni-cazione sociale. Occorre oggi «mettere vino nuovo in otri nuovi» (Mt 9,17), considerando il fenomeno della comunicazione e le sue conse-guenze sulla persona, la società, la Chiesa. Punti di riferimento da avere ben presenti in questo percorso personale e comunitario sono le istruzioni pastorali Communio et Progressio (1971), vera magna charta della comunicazione della Chiesa, ed Aetatis Novae (1992), che dà conto del velocissimo progresso tecnologico. Il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni So-ciali ha fatto intendere che fra non molto sarà preparato un nuovo documento aggiornato alle situazioni attuali, che sono sempre tenute in conto nei messaggi che ogni anno il Pontefi-ce propone in occasione della Giornata Mon-diale delle Comunicazioni Sociali (quest’anno celebrata il 16 maggio).

Il Cristo Maestro, Via-Verità-Vita per la comunicazione 2.0

* Sacerdote paolino

di don Roberto Ponti *

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Le possibilità legate all’informatica, alla tele-matica, alla multimedialità e alla crossmediali-tà operano uno spostamento fondamentale nel processo di comunicazione: non è più colui che invia il messaggio il motore della comunicazio-ne, ma l’utente stesso o comunque si instaura un’interazione non unidirezionale. Grazie alla fusione di informatica, telecomunicazioni e mass media, la comunicazione si personalizza e ogni operatore può scegliere i contenuti e il modo di appropriarsene. La “massa” si fram-menta positivamente in situazioni – almeno dal punto di vista ideale – più personalizzanti. In questo contesto comunicativo diventa sem-pre più difficile conservare un centro di riferi-mento, un’idea di “maestro” come colui che detiene le chiavi di un sapere da partecipare in un processo a senso unico. Ad esempio, l’esistenza di enormi banche dati di sapere crea una situazione di abbondanza e pluralismo che rende ardua la pretesa di chi vorrebbe essere il detentore di un sapere unico. Ecco allora la necessità di una spiritualità in-centrata su Cristo Maestro, così come l’ha pen-sata il Beato Alberione, da rileggersi soprattut-to nella prospettiva della “testimonianza”. «L’uomo contemporaneo – è la famosa affer-

mazione di Paolo VI in Evangelii Nuntiandi – ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, è perché sono testimo-ni» (41). La categoria biblica del “testimone” diventa così un’interpretazione in chiave comunicativa del titolo di “maestro”. Il Beato Alberione, imbe-vuto della carica aposto-lica di san Paolo, non può fare a meno – come il grande “convertito” di Tarso – di riferirsi in modo vitale al Cristo totale, fino a poter dire «non vivo più io, ma

Cristo vive in me» (Gal 2, 20). Poiché nella visione di don Alberione il Paoli-no – inteso come religioso consacrato per l’apostolato della comunicazione – è un “secondo maestro” modellato su Cristo Mae-stro, l’impegno di questa espressione cristolo-gica dice il desiderio di tracciare un profilo aggiornato del Paolino, e in generale dell’“autentico comunicatore cristiano”, come “santo e santificatore”. Prendendo in esame alcune caratteristiche della comunicazione in-staurata dalle nuove tecnologie, possiamo rife-rirle così al trinomio cristologico Via-Verità-Vita che esplicita il percorso della spiritualità di don Alberione. La “verità” che nella comunicazione più classi-ca è identificata nella chiusura di un “testo” o di un “discorso”, nella comunicazione informa-tica è affidata all’apertura dell’“ipertesto”, cioè di un insieme di testi correlati tra loro e prove-nienti anche da più mezzi (multimedialità, crossmedialità). La verità dell’ipertesto è più legata al tracciato di un percorso in testi successivi che all’importanza di un testo singolo e isolato da tutti gli altri. Un ipertesto è un testo potenzial-mente infinito. Lo stile della comunicazione

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ipertestuale apre nuovi orizzonti per la ricer-ca della verità, anche nella fede. L’inesauribile tesoro della rivelazione nella persona di Cristo si trova in consonanza con l’esigenza di non “incatenare” la Parola di Dio in formule fisse, secondo l’espressione paolina «la parola di Dio non è incatena-ta!» (2Tm 2,9); l’insondabile mistero di Dio si lascia trovare anche da una continua ricerca di approfondimento. La “via” del processo comunicativo nell’epoca dei mass media è a senso unico; la passività del recettore è soltanto parzialmente modificata da qualche possibilità di risposta verso l’emittente. Nella “via” comunicativa delle nuove tecnologie, del web 2.0, dei blog e

dei social network si va verso una progressi-va interattività. Il recettore è anche autore della sua comunicazione, in un dialogo che si effettua in tempo reale. La comunicazione interattiva, a sua volta, si accorda con il per-corso di ricerca e la partecipazione del cre-dente, che ha così accesso a conoscenze, mo-delli di comportamento e progetti di vita tra i quali scegliere. La fede si rivolge alla libertà della persona. Il comunicatore autentico di-venta un condottiero nel cammino della sto-ria, un ispiratore di quanti operano anche sul piano politico-culturale, per tutto orientato

alla costruzione del Regno di Dio, al di là di ogni storicismo chiuso e miope. La “vita” possibile nella comunicazione mas-smediale interessa l’esigenza di informazione, cultura, divertimento della persona e dei gruppi anche se in un’esperienza quasi solo audiovisiva. La “vita” resa possibile dalle nuove tecnologie comunicative si rivolge alla totalità dei sensi della persona: è multimedia-le, interessa un intrecciarsi continuo di situa-zioni. Ben presto l’esperienza della realtà virtuale sarà un’immersione globale della persona in un mondo ideale o ipotetico, esi-stente solo nella memoria di un programma informatico. E di questo processo sono spesso anticipatori i film che prospettano un futuro

di compenetrazione tra “reale reale” e “reale virtu-ale”. La comunicazione multi-mediale – superata ogni am-biguità di alienazione nell’irreale e nella spersonaliz-zazione – può favorire la totalità dell’esperienza religiosa soprattutto coin-volgendo l’integralità dei sensi e mantenendo aperto il desiderio della persona e dei gruppi all’immateriale, all’immaginario, ad un al-di-là della realtà sensibile, a maggiori possibilità di per-cezione e di espressione dello spirituale.

Il Cristo Maestro Via-Verità-Vita per la totali-tà della persona – mente-cuore-volontà – esi-ge una qualità di fede – anche di creatività, e perfino di fantasia e di poesia –, che non sia solo quella dell’epoca dei mass media, ma sia aggiornata ai processi comunicativi che i nuo-vi strumenti consentono. Nella comunicazio-ne globale e multimediale, che chiede ai Pao-lini e ai comunicatori cristiani una spiritualità missionaria adeguata, sono necessarie espe-rienza ed espressività nuove della verità, del-la via e della vita che solo l’appartenenza piena a Cristo può produrre.

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A voler dare retta alle f r e t t o l o s e analisi di alcuni gior-nalisti o personaggi politici, il r a p p o r t o che intercor-

re tra gli adolescenti e la Rete (e, più in genera-le, i mezzi tecnologici di comunicazione con-temporanei) apparirebbe come la madre di tutti i vizi e di tutte le storture diseducative immagi-nabili. L’uso delle abbreviazioni finalizzato a contenere gli sms in centosessanta caratteri farebbe disimparare l’uso della lingua italiana scritta, il dialogare in chat esporrebbe i nostri Cappuccetti Rossi all’incontro con maniaci sen-za scrupoli, il prolungato stazionamento da-vanti ad uno schermo produrrebbe isolamento, autismo, epilessia, incapacità di distinguere il reale dal virtuale. A mio parere si tratta di campagne che si basa-no su fondamenti pseudoscientifici e su di un pregiudizio che confonde il mezzo in sé, che è sempre innocente, con l’uso che qualcuno po-trebbe fare del mezzo; come se ci mettessimo a parlare male delle autostrade perché su di esse c’è qualcuno che va a centosettanta e qualcun altro che sorpassa gli autotreni in prossimità del dosso. D’altronde la nostra generazione di educatori, che è la stessa degli pseudo sociologi che demonizzano internet traviatrice di giovi-nette, è stata enormemente esposta al mezzo televisivo, anch’esso innocente in sé, che ben può essere stato efficace nel plasmare o addor-mentare coscienze a favore del potente di tur-no. Eppure la TV non fa lo stesso scandalo. Mi

sono chiesto il perché e mi sono reso conto che, mentre la TV è per sua natura unidirezionale, tranquilla e noiosa come una lezione frontale durante la quale non può succedere nulla di inatteso, a parte che qualcuno sbadiglia, cambia canale, pensa alle vacche, tanto poi vi attendo al varco quando non saprete ripetere parola per parola quello che ho appena detto, il mezzo informatico è interattivo. Non ci si preoccupa tanto di quello che può arrivare dall’esterno ai ragazzi, ma piuttosto che possa essere esternato senza freni e censure quello che i ragazzi porta-no dentro. Se rifletto sul significato della parola e-ducazione, dovrei comprendere che diseducati-vo è imbottire le persone, piuttosto che dar loro spazi per esprimersi liberamente. Quanto poco nella scuola concreta si faccia educazione lo si vede quando proviamo a chiedere ad un ragaz-zo di dirci che cosa pensa e lui risulta sorpreso ed imbarazzato e non si fida, perché non posso chiederti cosa pensi per poi valutarti su questo, cioè giudicarti per quello che pensi, e allora ti dice quello che tu ti aspetti, per compiacerti e magari per questo atto servile, a cui tu l’hai costretto, gli metti anche un buon voto. E’ una brutta matassa intricata la comunicazione, per-ché posso comunicare davvero soltanto tra di-versi ma pari, mentre il rapporto tra docente ed alunno è un rapporto di subordinazione gerar-chica. Vorremmo che ognuno potesse sentirsi libero di dire ciò che pensa, ma nell’aria aleggia la minaccia che qualunque cosa direte potrebbe essere usata contro di voi. Stare zitti, adeguarsi, mostrare una maschera gradita ai più, in altre parole mentire o essere reticenti (entrambe vio-lazioni dell’ottavo comandamento, per noi cre-denti) diventano atteggiamenti obbligati per garantirsi la sopravvivenza in una community

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Un cammino di comunicazione

* Docente di Informatica - I.T.I.S. “Panetti” - Bari

di Pierangelo Indolfi *

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per modo di dire, all’interno della quale è chia-rissimo che a nessuno interessa quello che pen-si e quello che provi tu. Per questi motivi risulta almeno singolare che Facebook, il più diffuso dei social network, esordisca con le persone facendo loro una sola terribile domanda: “A cosa stai pensando?”. Ma come, non me lo chiede mai nessuno a cosa sto pensando! Incontro gente e ci si dice “Ciao, come stai?”, ma si capisce subito che è uno stereotipo e che si spera che l’altro risolva tutto con un “Bene, grazie!”, ché non è che ci si può caricare anche dei pesi altrui. Ritengo però che questa banalità di porre una domanda retorica sia una genialata, nella misura in cui sempre più persone, finora costrette a chiudersi, stanno invece prendendo sul serio quella domanda e si stanno esponendo, estrinsecando preziosi indizi del loro essere unici ed irripetibili. Il dialogo, piuttosto che lo scontro finalizzato a far vincere la propria opinione, è attività alla quale siamo pochissimo esercitati e rimane la causa dei principali fallimenti di relazioni im-portanti, che implodono, sconfitte dal nostro analfabetismo comunicazionale. Se la famiglia e la scuola così poco sono capaci di stimolare la pratica di una sana socialità, ben venga uno strumento laboratoriale come Facebook, in cui

posso esprimere un pensiero, un’emozione o un sentimento, mi espongo al contraddittorio dei commenti, imparo a controargomentare e alla fine mi ritrovo più ricco, perché “se tu hai un’idea, ed io ho un’idea, e ce le scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee”. Comunicare è una parola che mette insieme cum e unus: stare cum qualcun altro e intra-prendere un percorso per cui gradatamente lui diventa sempre meno “altro” da me, perché la relazione vera trasforma le persone, le addome-stica nel senso della volpe del Piccolo Principe. Per questo motivo, se aggiungere un amico può sembrare una parola grossa, in realtà in quell’atto dichiariamo che siamo disponibili ad iniziare un cammino di comunicazione inter-personale, consci che prima o poi ne risultere-mo trasformati. E scusate se è poco. Se poi riuscissimo ad esportare questo stile comunicazionale fuori del laboratorio, nella vita reale, quando ci si guarda in faccia e ci si annusa, a casa e a scuola e tra colleghi di lavo-ro, nei talk show ed in fila alla Posta, allora declineremmo altre parole che hanno la stessa etimologia, come comunità e comunione, da tanti oggi etichettate come buoniste, ma a mio parere le uniche parole che possono dare rispo-ste profonde alle aspettative delle persone.

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Il più conosciuto e diffuso social network al momento è Facebook. Con tale espressione si intende una rete sociale, ovvero un insieme di persone connesse tra loro che impiegano internet per mantenere, creare o ampliare il giro delle proprie amicizie. L’obiettivo di tutti i social network è comunicare, non ha importan-za se con gli amici di tutti i giorni o con il mon-do intero, basta che nella Rete ci sia un po’ di se stessi e della propria quotidianità. Una rapida analisi, questa, da cui si può solo parzialmente intendere la complessità di un fenomeno mondiale, che ha influenzato la vita di tutti i giorni di milioni di esseri umani. In un’indagine sul rapporto che i giovanissimi

italiani instaurano con internet, compiuto dall’associazione Save the Children con la partecipa-zione del Cremit (Centro di ricerca per l’educazione ai media, all’informazione e alla tecnologia) dell’Università Cattolica di Roma Sacro Cuore, è emer-so che l’86% dei ragazzi adopera internet e, nello specifico, il 28% partecipa a forum, blog e social network. I membri dei social network si associano creando gruppi in funzione dei propri inte-

ressi (siano essi di passatempo o professionali). Non è raro trovare gruppi di confronto di av-vocati, gruppi sulla sicurezza sul lavoro, medi-ci, promotori finanziari e quant’altro, infatti, i social network oggi possono costituire delle piattaforme tecniche più adeguate per la costi-tuzione delle cosiddette “comunità di pratica” di cui parla anche M. McLuhan1. Ed è proprio con la partecipazione alle “comunità di prati-ca” che può manifestarsi nell’individuo e nel gruppo la consapevolezza di ruolo professio-nale. La psicologia ci insegna tra l’altro che il “gruppo dei pari” è sempre un luogo privile-giato di costruzione di identità. La Rete storica-mente nasceva come un progetto di condivisio-

* Docente di Religione cattolica - Licei Scientifici “G. Salvemini” e “D. Cirillo” - Bari

E’ possibile utilizzare Facebook nell’insegnamento

della Religione cattolica?

1 Herbert Marshall McLuhan (Edmonton, 21 luglio 1911 – Toronto, 31 dicembre 1980) è stato un sociologo canadese. La fama di Marshall McLuhan è legata alla sua interpretazione visionaria degli effetti prodotti dalla comunicazione sia sulla società nel suo complesso sia sui comportamenti dei singoli. La sua riflessione ruota intorno all’ipotesi secondo cui il mezzo tecnologico che determina i caratteri strutturali della comunicazione produce effetti pervasivi sull'immaginario collettivo, indipendentemente dai contenuti dell'informazione di volta in volta veicolata. Di qui, la sua celebre tesi secondo cui “il mezzo è il messaggio”.

di Antonio Calisi *

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ne delle risorse informatiche fino agli anni ‘80 e successivamente si è trasformata in una condi-visione delle risorse culturali e delle informa-zioni. La Chiesa cattolica cosciente che gli strumenti di comunicazione sociale non sono dei semplici mezzi, ma segnano il modo di comportarsi e di pensare delle persone, incidendo sugli stili di vita, ha manifestato sempre più interesse verso queste forme comunicative. Diversi documenti (Inter mirifica, Etica in Internet, La Chiesa e Internet, Direttorio sulle co-municazioni sociali...) hanno dato indicazioni fondamentali per adoperare in modo consape-vole queste nuove tecnologie. Le occasioni per la Chiesa, in questa nuova situazione, sono realmente tante, poiché nel mondo del web 2.0 viene sostenuta la dimen-sione comunitaria. Questo è noto a diocesi e parrocchie che sono presenti in Rete e ricevono un importante supporto dal Servizio informati-co della Cei. La sfida che affronta la Chiesa in Rete oggi, è trasformare il semplice contatto in una forma autentica di partecipazione sociale. Il card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha sottolineato in modo generico in un suo contributo, che «l’azione ecclesiale non deve tanto essere atten-ta all’utilizzo di “potenti mezzi”, ma deve ri-partire dall’inculturazione del Vangelo in un ambiente ormai plasmato dai media e al quale essi forniscono le informazioni e le chiavi di lettura della realtà»2. Rispondere alla sfida educativa oggi diventa improrogabile, ciò è evidenziato anche dal progetto culturale della Cei. La soluzione non può essere unicamente tecnica, non basta saper usare i nuovi mezzi di comunicazione, ma è necessario adoperarli in modo critico. Giovani e adulti, in un’era in cui vige un analfabetismo comunicativo, si rendono conto della possibili-tà di realizzare uno spazio comune, per agire cristianamente anche nel nuovo contesto me-diatico. Premesso che fare formazione significa innan-zitutto condividere le proprie conoscenze, tra questo e internet esiste un relazione strettissi-

ma. Sicuramente Facebook è un valido stru-mento per formare e incidere nei processi di insegnamento/apprendimento, un canale co-municativo immediato anche per insegnare Religione cattolica. Perciò ho creato delle aule virtuali (un gruppo di Facebook per ogni classe) dedicate all’insegnamento della Religione cattolica dove gli studenti si sentono stimolati a una parteci-

pazione attiva. Tutti accedono al gruppo con una certa frequenza tenendosi informati sull’andamento delle attività didattiche. Questa esperienza è nata dall’esigenza degli studenti che mi contattavano per chiedere spie-gazioni sugli argomenti delle lezioni. Sul gruppo di Facebook gli studenti trovano materiale didattico che completa la lezione frontale compiuta in classe. Spesso un’ora di lezione settimanale non permette di approfon-dire gli argomenti, di porre domande, inoltre l’eventuale utilizzo di mezzi audiovisivi sot-trarrebbe tempo all’interazione con gli studen-ti. A questo punto le slides e i filmati possono vederseli a casa, scaricandoli da internet oppu-re trovarli sul gruppo di Facebook, opportuna-mente selezionati dall’insegnante. Nel gruppo gli studenti hanno un’area di di-scussione per dialogare tra loro su un argo-mento proposto dall’insegnante. L’insegnante ha la possibilità di postare sul

2 Dal discorso pronunciato il 2 ottobre 2008 in occasione della plenaria del Consiglio delle Conferenze Episco-pali Europee, tenutasi in Ungheria nella diocesi di Esztergom-Budapest.

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gruppo foto di classe che ritraggono momenti della vita scolastica (gite, manifestazioni cultu-rali, ecc…). Inoltre, recentemente ho creato un gruppo chiamato “Ora di Religione Cattolica – Prof. Antonio Calisi”, nel quale si ritrovano i miei studenti, gli ex con i quali continua una rela-zione didattica e insegnanti di Religione catto-lica provenienti da tutta Italia che raccolgono del materiale didattico per arricchire le proprie lezioni. Questo è diventato un riferimento per docenti di altre discipline che trovano spunti di riflessione e materiale per il loro insegnamento. Cosa ancor più significativa è che a tale gruppo partecipano attivamente anche i genitori degli studenti. Per me il social network non è uno strumento freddo e virtuale come spesso viene definito da chi non lo conosce e non lo utilizza. Premesso che i giovani sono «nativi digitali» e con natu-ralezza utilizzano questi mezzi, è interessante notare come si relazionano con l’insegnante. Poiché Facebook accorcia le distante relaziona-li, facendo sentire gli studenti parte di un grup-po di pari, essi mostrano meno resistenze e più familiarità con l’insegnante. Ciò è evidente nel fatto che al mattino a scuola ti salutano “Buongiorno professore” mentre sul web ti contattano con la faccina di uno smi-le scrivendoti “Ciao prof!”. In tale contesto il professore, pur rimanendo tale, diviene per i ra-gazzi un riferimen-to significativo per confidare le pro-prie paure, incer-tezze e difficoltà ed essere sostenuti e accompagnati nella propria cre-scita. I genitori consapevoli del ruolo significativo che il docente ha

nei confronti dei propri figli, spesso nei collo-qui scolastici, chiedono collaborazione e soste-gno nei momenti di vita difficili. Il grande pedagogista Giovanni Modugno so-steneva che compito della scuola è educare la personalità degli studenti e favorire in loro il processo di autoeducazione, per acquisire l’attitudine a giudicare rettamente le proprie azioni e quelle altrui, considerandone gli effetti con parametri di giustizia e responsabilità. Modugno comprese che una scuola fatta di puro nozionismo non lascia spazio alla forma-zione morale della persona, del cittadino che è poi il vero rimedio alla crisi italiana del tempo e di oggi. Inoltre egli ha sempre rifiutato il pen-siero del ministro Gentile sostenitore di una scuola in cui forte è il dualismo maestro-alunno e la cui organizzazione funge da barrie-ra sociale e sostiene un’istituzione scolastica libera dall’influenza di una qualsivoglia istitu-zione governativa, altrimenti generatrice di ribelli o servi. Il web è ormai divenuto il medium attraverso il quale la vita si è riversata, chiaramente se uti-lizzato bene, può creare relazioni buone, senza però dimenticare il mondo, la vita, la carne. Il cristianesimo, infatti, non è una religione virtu-ale, ma la fede del Dio incarnato.

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C’è ancora un confine tra realtà e virtualità? Fino a che punto la tecnologia sub-entra nel nostro quotidiano e nella gestione della nostra vita? Sono mamma di due bambini che frequentano uno la Scuola dell’Infanzia e l’altro la Scuola Primaria e vivo questi tempi altamente “tecnologici” con attenzione e interesse perché ritengo riguardino non solo un valido suppor-to a risolvere piccole quotidiane problemati-che, ma interessano in maniera più generale il modo di intendere argomenti generali e fonda-mentali tra cui la gestione e lo sviluppo dei rapporti interpersonali fin dai tempi

dell’infanzia. Sarà giunto anche per voi come per me il gior-no in cui vostro figlio vi ha chiesto: “Mamma, mi compri il Nintendo? Sai? ce l’hanno tutti i miei amici”. Immagino che conosciate anche voi il Ninten-do e la categoria dei videogiochi, giochi inte-rattivi, giochi virtuali. Detto fra noi non amo molto vedere questi bambini de-responsabilizzati nella loro essenza di bambini, bloccati, imbambolati, inchiodati, davanti (direi meglio dentro) un videogioco che è a puntate. Sapete? Non si esaurisce facil-mente. Ci sono diversi livelli, poi diversi av-versari, poi un gruppo da battere; e man mano che si risale la china verso la vittoria, ecco che spunta un nuovo gruppo più forte da battere e ci sono giochi che durano mesi. Mio figlio, con la sua richiesta, appagava un’esigenza tipica di noi esseri umani: sentirsi simili ai propri simili. I miei coetanei si ricono-scono in un gioco, lo devo fare anch’io. Rifletto: riconoscersi simili ai propri simili per-ché si è parte di una community che intende il gioco nello stesso modo! ... Un po’ come succe-de sui social network, su Facebook, sui vari protocolli di comunicazione. Ragazzini, tante volte adolescenti, ma purtrop-po molte altre poco più che bambini, che vivo-no i rapporti interpersonali attraverso la me-diazione di un PC. Il rapporto di conoscenza che era regolato ai “miei tempi” dai cinque sensi, oggi è bypassato dai cinque sensi ma attraverso uno schermo che come in una bolla di sapone dà la forma che si vuole a ciò che si vede. Allora come mediare? Come intervenire da educatori nel rispetto dei nostri tempi e di que-sti ragazzi?

Saper dire no!

* Mamma

di Mina Signorile *

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Come lasciare che la personalità del bambino possa crescere attraverso l’uso di un videogio-co se diventa uno strumento di appartenen-za ... per intenderci come erano per noi le figu-rine da scambiare? I nostri bambini dialogano delle strategie di gioco, dei vari livelli conquistati, dei personag-gi catturati (parlo della mia esperienza di mamma di figli maschietti) come noi parlava-mo delle figurine collezionate piuttosto che della collezione di Barbie. Allora, in famiglia abbiamo dedicato molto tempo al dialogo, all’interiorizzazione. Innanzitutto, la richiesta è stata accolta, compa-tibilmente alle esigenze economiche familiari ... e poi in effetti mio figlio era davvero la mosca bianca senza Nintendo! Poi abbiamo comun-que dialogato sulla natura delle esigenze. Esse-re simili non significa essere uguali. Ciascuno è unico. Quindi innanzitutto capisco se ciò che mi viene proposto dal gruppo è ciò che va bene per me. Poi se proprio scopro di aderire alla proposta, in questo caso aderire al gruppo Nin-tendo gioco dei Bakugan, il modo in cui mi approccio al gioco è personale. Io e mio marito abbiamo imparato a giocare con nostro figlio a questo gioco sul Nintendo perché in questo modo non l’abbiamo lasciato solo. Inoltre ci è stato possibile commentare con lui che le strate-gie di gioco sono sempre le stesse e quindi il gioco ha perso un po’ di “lustro”. E poi, se anche qual-che volta sarebbe davvero utile, non usiamo mai il Nin-tendo come baby sitter gratis! Lui rispetta il “tempo del videogio-co”, che non è tutto il suo tempo libero. E’ una parentesi. E non ha una cadenza sta-bilita, ma si adatta

alle esigenze della giornata. Il che significa che noi genitori siamo chiamati a dire “No” quan-do non è il momento del gioco, oppure quando il gioco diventa così “interessante” che il bam-bino ha difficoltà a mangiare, a parlare, a rela-zionarsi con gli altri. A questo proposito, con altri genitori amici, abbiamo abolito l’uso dei videogiochi durante le gite, nei viaggi in pullman, durante le feste di compleanno, durante il pomeriggio a casa con l’amichetto/a. La nostra battaglia quotidiana affinché i nostri bambini possano vivere la loro infanzia con quelle caratteristiche di vivacità, vitalità, fre-schezza tipiche della loro età e possano cresce-re sviluppando senso critico e personalità viva pur inseriti e integrati nella società del loro tempo. Ho dedicato queste mie riflessioni al Nintendo, ma ovviamente sono estendibili a tutta la categoria videogiochi, tv, computer... Molto dipende dal nostro lavoro e da come e da quanto siamo convinti che non tutto ciò che ci “passano” media e interlocutori “vari” va preso come “verità”. Valorizzare anche il tempo del dialogo-ascolto-conoscenza con i nostri figli ci servirebbe per concludere che molte volte sopperiscono le nostre assenze con un compagno virtuale che dice sempre “Sì”.

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La prima volta che abbiamo visto in TV lo spot pubblicitario riguardo “internet” avevamo circa 15-20 anni e la “vecchia” scuola non ave-

va alcun mezzo per affron-tarne lo studio. Nell’arco di un buon ventennio ab-biamo assistito ad un note-vole infittirsi di questa Rete, ad uno studio appro-priato e alla presenza di strumenti e docenti abilita-ti. La diffusione di questa

tecnologia parte da buoni propositi, sicura-mente per rendere la vita più semplice, sbriga-tiva, immediata. Ma, se per qualsiasi motivo, dovesse verificarsi un “black out”? La nostra vita non sarebbe affatto semplice, sbrigativa, immediata. Oggi, l’uso del web è anche motivo di approfondimento dello studio e di una socializzazione globale. Infatti, gli ultimi nati sono i social network, di cui il più diffuso in Europa, tra i giovani e i giovanissimi, è Facebook. E come ogni innovazione ha i suoi pro e i suoi contro. Con i social network ci si può conoscere, ritrova-re, scambiare notizie, utilizzare le lingue straniere, condividere amici, testi, musiche, filmati e tutto in una frazione di secondo ed anche con chi è lontanissimo. In questa maniera i giovani trovano un arricchimento della loro crescita, perché affiancano agli amici di comitiva, di scuola, di famiglia, che frequentano da vicino, altri amici lontani e lontanissimi. Però, devono stare attenti a non vive-re esclusivamente al computer, ri-schiando di impoverirsi in un’individualità reale o in una dipen-

denza maniacale, e maggiormente i più piccoli a non cadere nelle mani di truffatori o malin-tenzionati o pubblicitari di false promesse. Come i nostri “padri” e le nostre “madri” han-no dovuto fare i conti con l’uso dei mass-media, anche noi adulti di quest’epoca dobbia-mo rispondere alle moderne esigenze. Abbia-mo il dovere di educare i giovani ad un utiliz-zo sobrio e proficuo del network, mediare tra reale e virtuale, dedicare tempo al dialogo per essere noi degli autentici “antivirus”. Abbiamo il diritto di tutelare la privacy, di migliorare la vita pratica, di vivere una globalizzazione sin-cera e la libertà di associarci o dissociarci quan-do si desidera. A questo punto non ci resta che augurare buona fortuna a tutti, in particolare a noi, genitori di figli adolescenti.

I social network e i genitori

* Genitori

di Nicola Vavalle e Giuliana Chirico *

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Ho tredici anni, mi chiamo Stefania, frequento la terza classe della Scuola Secondaria di 1° Grado e uso spesso alcuni dei social network più conosciuti, ad esempio MSN e Facebook. Tutti i miei amici comunicano con questi mezzi ed è molto diffuso tra i giovani di tutto il mon-do. Io accendo il computer massimo per un paio d’ore al giorno, ma non tutti i giorni, per-ché ho poco tempo libero. Con internet si può studiare e contattare tutto del mondo, subito! Questo è bellissimo: è avere letteralmente il mondo nelle proprie mani. A me dei social network piace molto il fatto che posso organiz-zarmi e confrontarmi con i miei amici, cioè persone che conosco a fondo. Ma tutto questo diventa negativo nel momento in cui la gente passa intere giornate davanti al computer per chattare con persone totalmente sconosciute, di cui non sa niente: estranei; possono essere chi-unque, anche un maniaco o magari, ancora peggio, una persona che abita accanto a te e ti sembra antipatica, ma che, conoscendola sulla chat, può persino piacerti: che assurdità! Que-sto mi impaurisce, perché così si perde il con-tatto con se stessi e soprattutto con gli altri. Per fare nuove conoscenze non bisogna solo guardare una piccola foto e scrivere stu-pidaggini come se davvero t’importasse un giorno di incontrare la persona con cui chatti, ma è fondamentale parlarci davve-ro, fissandola negli occhi; stiamo perden-do il contatto “a pelle” con la gente. Io accetto totalmente questo tipo di comuni-cazione, quando si parla con una persona che si conosce e che è molto lontana e si sente la sua mancanza, un parente lonta-no o un fidanzato in un altro posto. Co-nosco persone che si sono molto affezio-nate (stupidamente) a persone sconosciu-

te che dicono di conoscere benissimo solo per-ché ci hanno chattato per mesi: è pazzesco! Le persone sono impazzite per queste cose, ed eccolo qui l’errore, quello che scatena tutti i problemi: il fatto che alla gente piaccia così tanto da abusarne, esagerano perché trovano meno divertente fare cose normali, come lavo-rare o divertirsi concretamente rispetto a cono-scere persone dall’altra parte del globo. E’ nor-male, anch’io subisco tale fascino, ma c’è tem-po per ogni cosa. Se ci mettessimo tutti al com-puter a chattare con la testa china sulla tastiera e di spalle al mondo, alla realtà, che cosa ne sarebbe di tutto ciò che è vero, reale e non vir-tuale, come la natura, gli affetti e la vita in ge-nerale? Qui ognuno può dare la sua risposta, la mia è niente, non ne sarebbe più nulla del re-sto, tutto sarebbe ignorato e messo in secondo piano. Per non parlare dei rischi e dei pericoli che i social network comportano: pedofilia, abusi sui minori o truffe con la vendita on-line. Quindi, secondo me, l’importante è utilizzarli con moderazione e attenzione. La verità sta sempre nel mezzo: conoscerli, per utilizzarli al meglio; usarli e non abusarne.

I social network e gli adolescenti

* Alunna - Scuola Secondaria di Primo Grado “G. Verga” - Bari

di Stefania Vavalle *

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Per gli adulti di oggi non risulta facile com-prendere appieno il rapporto che la mia gene-razione ha con internet e i social network, poi-ché sono parte di una realtà (quella virtuale) a loro estranea. Il concetto è tuttavia molto sem-plice: nella nostra vita di attuali adolescenti questi “hanno un peso”. Mentre per gli adulti internet in generale ha un’importanza margi-nale, per noi ha il valore, in quanto sistema irreale, di “integratore” della realtà. Il rappor-to che la mia generazione ha con internet è parago-nabile a quello che la pre-cedente aveva con i libri: un modo per evadere dal concreto, costruire un mondo tutto nostro. Infat-ti mentre nella vita reale ognuno di noi ha un ruolo prestabilito da mantenere dignitosamente, in quella idealmente ad essa paral-lela il ruolo social-virtuale non è definito né tanto meno imposto e pertanto tutti possono essere “tutto”. Il motivo per cui noi ragazzi siamo attirati dal mondo dei social network è proprio questa falsa libertà assoluta, realmente inconcepibile. Il poter fare di sé ciò che si preferisce è stato il primo aspetto che credo abbia colpito e attrat-to ogni ragazzo alle prime armi su internet ed io non ne sono stata estranea. Ho cominciato ad utilizzare Messenger (programma di mes-saggistica istantanea) a tredici anni (relativamente molto tardi) ed il costruirmi una personalità alternativa è stato uno dei miei primi passi. Passavo molte ore seduta al

computer per questo e mi divertivo ad accetta-re qualsiasi invito (messaggio di richiesta per entrare a far parte dei contatti Messenger), anche se non riconoscevo il mittente. Le perso-ne con cui fingevo, tuttavia, erano paradossal-mente quelle con le quali avevo realmente contatti a scuola! Al contrario condividevo i pensieri e le emozioni più reali con “lo scono-sciuto di turno”. Col passare del tempo ho imparato a distinguere la realtà dal virtuale ed

a prendere le dovute di-stanze da determinate situazioni. Ora utilizzo i social network (è il caso di Facebook) solo per comu-nicare con i miei compa-gni di classe o eventual-mente vecchi amici e que-sto non accade che la sera, nell’arco di un’ora o poco più. I programmi che mi permettono il contatto con altre persone hanno comunque più peso nella mia vita rispetto a quanto ne avessero due anni fa, in quanto influiscono diretta-

mente sul mio quotidiano. I social network sono oggettivamente un’invenzione utilissima, poiché offrono un’occasione immediata di svago e contatto con altre persone; tuttavia, come accade con qualsiasi invenzione, la sua positività dipende dalla modalità di utilizzo. Il motivo del mio cambiamento è l’acquisita con-sapevolezza di dover costruire qualcosa nella mia vita reale e non in quella virtuale. Penso che la dipendenza di alcuni ragazzi dai social network dipenda dalla loro scarsa partecipa-zione al loro stesso futuro.

* Studentessa - Liceo Scientifico “D. Cirillo” - Bari

Costruire … nella vita reale

di Emanuela Moccia *

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Dov’è finita la cara e vecchia lettera, quella che ha accompagnato la storia dell’uomo fin dai tempi antichissimi? Lo stile epistolare è scom-parso, oggi si comunica mediante i social network, reti sociali che permettono il “dialogo” tra persone che hanno tra loro lega-mi che vanno dalla conoscenza casuale ai rap-porti di lavoro. Tra i “social network” più utilizzati c’è Face-book, punto di incontro soprattutto per i gio-vani, che, secondo una media nazionale, pas-sano anche quattro ore davanti al computer per rimanere in contatto con gli “amici”. E’ andato via il tempo in cui si aspettava con ansia la risposta alla propria lettera inviata ad

un conoscente o ad un parente: ora basta ac-cendere il computer, entrare su Facebook ed ecco che l’attesa non dura neanche due secon-di: la persona risponde e noi siamo più tran-quilli. In questo modo si è ridotto il tempo di attesa e l’ansia della risposta. Ma siamo sicuri che sentirsi tramite una rete informatica, lasciando il computer acceso per

ore al nostro fianco mentre si cerca di risolvere disperatamente un esercizio di matematica con una tentazione così grande vicino, sia una cosa giusta? Siamo consapevoli che il dialogo umano è relegato alla sola via informatica? In questo modo si “vive” la persona che si ha di fronte? O si può parlare di realtà parallela? Le reti sociali (questo il significato di “social network”) sono la forma più evoluta di comu-nicazione umana, ma anche la più pericolosa se si contano le amicizie fatte senza essersi visti una sola volta. Cambia con questa “evoluzione umana” anche uno dei valori più profondi dell’uomo, quello

dell’amicizia. Questa parola, oggetto di tante discussioni nel corso dei secoli, la cui impor-tanza è ben nota all’uomo, perde tutta la sua essenza che si è spesso tentato di definire, senza però mai arrivarci. In tal caso più di progresso si può parlare di regresso umano. Torna, quindi, la questione sul rapporto tra scienza e consape-volezza umana, su vantaggi e svantaggi che la prima porta all’uomo e se questo ne sia consapevole. La crescita tecnologica e scien-tifica dell’uomo moderno è

strettamente legata alla perdita del suo poten-ziale umano: la scienza si sostituisce all’uomo nel voler migliorare la sua vita. L’esempio più semplice è quello della calcolatrice: da quando l’uomo ha inventato questa macchina che sem-plifica, o per meglio dire, annulla l’elaborazione umana, siamo sempre meno portati a fare calcoli mentali e utilizziamo la

Social network e giovani... evoluzione o regresso?

* Studente - Liceo Classico “Socrate” - Bari

di Giulio Navarra *

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calcolatrice, perché siamo pigri. Ora non si parla più di elaborazioni mentali di calcolo, bensì di dialogo tra uomini e la que-stione si fa più seria. Siamo giunti all’eccesso dell’uso tecnologico, l’uomo è diventato “tecno-dipendente” e la sua vita, in particolare di coloro che ricevono per primi i cam-biamenti della società, cioè dei giovani, è legata alla tecnologia e agli utilizzi poco idonei di questa. In questo pro-cesso di cre-scita scientifica e tecnica è venuto meno l’equilibrio da parte dell’uomo: innumerevoli i miglioramenti portati dalla tecnologia all’umanità, consistenti però anche i pericoli. La questione è da ricondurre alla necessità di porre limiti all’applicazione e all’uso delle tec-nologie, perché per natura i ragazzi tendono a non avere limiti. E’ compito della società e, in particolar modo, dei genitori educare i ragazzi all’uso consape-vole di queste reti sociali. La figura del genitore è, infatti, una figura fon-damentale nel micro-cosmo che è la famiglia, soprattutto nei momenti in cui l’ambiente socio-culturale non è dei migliori, come quello o-dierno. Non neghiamo, però, che queste grandi reti sociali, che connettono milioni di persone, possono essere di aiuto soprattutto per i malati ricoverati da tempo negli ospedali, per i quali vivere può essere faticoso e il social network è un modo per rimanere in contatto con il mon-do esterno. Purtroppo non tutti i nostri ospedali offrono una tale possibilità, presente solo in alcuni re-parti ospedalieri del nord Italia. Le reti sociali sono un ulteriore passo di quel mondo virtuale che affianca la società moder-

na. A dare inizio alla creazione di questo mon-do virtuale è stata l’invenzione degli sms, i messaggi di testo che si possono inviare trami-te cellulare, ancora oggi di grande utilizzo. La società ha scoperto poi internet, oggetto di

tante discus-sioni ancora oggi. Internet ha migliorato la comunica-zione, la ricer-ca e lo svilup-po, ma, dal momento in cui come mez-zo abbraccia quasi tutti i campi possibi-li che interes-sano l’uomo, il suo utilizzo

non è sempre dei migliori. Ultimamente si è tornati a discutere sul perché la sua influenza è notevole e lo si può notare dalle censure impo-ste dal governo comunista di Pechino. La gran-de influenza di internet interessa soprattutto i giovani, nel quale vedono l’immagine riflessa della società. Porre limiti all’applicazione tecnologica è di-ventato essenziale se non si vuole vedere la società scendere sempre più verso il basso. Sono interessate, purtroppo, tutte le fasce di età dell’adolescenza e in particolar modo i ra-gazzi della Secondaria di Primo Grado che aprono profili su un social network senza la consapevolezza che ci va di mezzo la persona e la sua privacy. E’ evidente la necessità dell’uomo di comuni-care (non ha caso è stato definito un animale sociale), ma anche il bisogno di una svolta radi-cale dell’etica contemporanea che si distacca sempre più dalla morale cristiana. Tornare a scrivere una lettera di tanto in tanto può essere un modo per tornare a comunicare in modo sano e per allontanarci da quel mondo virtuale che tutti i giorni influenza la nostra società.

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«Il suo slancio di misericor-dia si v o l g e anche alle necessità temporali del suo prossimo ed alle

numerose sofferenze che sopporta. Lo vede, infatti, sopportare la fame, la sete, il freddo, la nudità, la malattia, la povertà, il disprezzo, i mille pesi imposti ai poveri, la tristezza causata dalla perdita dei parenti, degli amici, dei beni terreni, dell’onore, della tranquillità, tutto il peso, infine, che schiaccia la natura umana, oltre misura […]. C’è di che muovere a com-passione un cuore buono e spingerlo a benevo-lenza verso tutti […]. Questa compassione ed amore, esteso a tutti, vince e scaccia il terzo peccato capitale che è l’odio e l’invidia; poiché la compassione è una ferita del cuore che fa amare indistintamente tutti gli uomini e che non può guarire fintanto che vedrà qualche sofferenza…» (Giovanni Ruysbroek, L’ornamento delle nozze spirituali). Mi piace iniziare questa riflessione col pensiero di un grande mistico del XIV secolo, Giovanni Ruysbroek. L’amicizia è dono di sé, è compas-sione autentica, è attenzione del cuore ai con-creti vissuti dell’altro. L’essere persona in un rapporto io-tu passa, secondo Ruysbroek, at-traverso la prospettiva del dono, dell’impegno alla relazione e alla mutua comprensione. Quella comprensione del “tu” che diventa a-morevole e che genera il senso di responsabili-tà nei confronti dell’amico: cum-prendersi è incarnare nel proprio vissuto l’esperienza

dell’altro che si fa prossimo e facendosi carico dei suoi bisogni. Si può parlare di vera amicizia quando le no-stre biografie diventano paragrafi perfettamen-te integrati nel grande libro della Vita. Montaigne contrapponeva amore e amicizia sulla base del desiderio: un fuoco cieco, volubi-le e forse innato nell’amore, un calore generale, calmo e costante nell’amicizia. Ma la possibilità di esplorare quel calore generale è connessa al vivere insieme. L’amicizia non è un sentimento privato, ma un’attività che coinvolge gli indivi-dui, un modo di vita in cui il carattere viene reciprocamente coltivato e ammirato. Ma al giorno d’oggi, l’amicizia è ancora da intendersi in questo modo? Cosa sarebbe que-sto nostro mondo se tutti fossimo amici al mo-do di Ruysbroek? Probabilmente un posto in cui vivere sarebbe meraviglioso. E invece a leggere le cronache, ma anche analizzando le nostre esperienze, i nostri vissuti, forse, per amicizia oggi si intende altro. Cos’altro? Un luogo in cui si parla di amicizia è sicura-mente un social forum come Facebook. Provia-mo a fare insieme un semplice esercizio, men-tre stiamo davanti al nostro PC, proviamo a guardarci come se fossimo in uno specchio: siamo soli davanti ad un monitor, sguardo fisso e concentrato, nell’anonimato più totale. Come per incanto ci sentiamo al sicuro, padro-ni del mondo, ipertrofici, quasi onnipotenti; con un click possiamo “fare tutto” anche “richiedere” un’amicizia. La richiesta o l’accettazione di un’amicizia su Facebook rappresentano le primissime e fonda-mentali operazioni per entrare in questo mon-do e restarci. Un tempo per diventare amici bisognava fre-quentarsi, parlarsi, guardarsi negli occhi, com-

E non chiamiamola amicizia

* Docente di Informatica - I.T.I.S. “Panetti” e “G. Marconi” - Bari

di Antonio Curci *

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patirsi, compenetrarsi, cum-prendersi. Di sicuro c’è che ci voleva del tempo. Un tempo, a volte anche molto lungo, per scoprirsi amici. Un amico, merce rara, era un’esperienza travol-gente, meravigliosa. “Chi trova un amico trova un tesoro”. Anche i proverbi confermavano questa straordinarietà. Oggi basta un click e si diventa “amici”: si può parlare, discutere, scambiarsi messaggi, anche con persone mai viste, ognuno nella solitudine della propria cameretta. Insieme-da soli. Sem-bra un ossimoro, ma invece è proprio il para-dosso di Facebook. L’aspetto più sociologicamente interessante è che un’intera generazione di ragazzini sta cre-scendo con questo concetto di “amicizia”. Non più cum-prensione ma sensationem cioè la modi-ficazione del nostro sentire a seguito delle sol-lecitazioni esterne. Dalla compassione amore-vole dell’io-tu di Giovanni Ruysbroek, siamo oggi all’io-onnipotente e tronfio, ma tristemen-te solo, all’interno di buie caverne elettroniche. Altro che dono per gli altri! Altro che relazio-ne! L’obiettivo di questa mia riflessione, però, non è quello di screditare i social forum. Questi, infatti, hanno valenze positive, soprattutto dal punto di vista della comunicazione. Cito per esempio l’esercizio della libertà d’espressione, la partecipazione democratica alla vita civile e sociale, il confronto schietto ed appassionato sui grandi temi della morale, della politica, la denuncia di problemi, di soprusi, l’esercizio della solidarietà collettiva e perché no, anche un luogo ricreativo e di aggregazione. Il cuore della mia riflessione, invece, è incen-trato sul significato e i rischi delle amicizie virtuali. Su Facebook c’è chi controlla le sue amicizie e non accetta richieste da persone sconosciute. C’è chi non si fa alcun problema sulla questio-ne “amici”. E c’è chi, invece, sembra parteci-pare a una gara (non dichiarata ed estenuan-te) per arrivare ad avere più “amici” degli altri. Sono specialmente i più giovani a farsi coinvolgere in questo campionato virtuale delle “amicizie”. Il punto in questione è che questa rubrica di nomi con cui si condivide il

proprio profilo è composto spesso da persone con le quali, in realtà, non ci sono affinità né veri sentimenti d’amicizia, eppure ne condivi-diamo pensieri, fotografie, video, spaccati del nostro vissuto personale in nome di un esibi-zionismo esasperato da un lato e di un voyeu-rismo desolante dall’altro. E non è un caso che il successo dei social network sia arrivato im-mediatamente dopo il successo dei reality show: siamo tutti diventati membri di un enor-me reality che conta oltre centosettanta milioni di partecipanti. Facebook è forse la vera ed immensa casa del Grande Fratello. E’ facile percepire i tanti rischi che questa enor-me comunità virtuale può inevitabilmente comportare. E allora cosa fare? Disperarsi? Sarebbe inutile visto che l’intera comunità mondiale è ormai virtualmente interconnessa. E’ quanto mai necessario, invece, educarsi ed educare all’uso corretto dello strumento social forum, conoscerne i punti di forza e soprattutto quelli di debolezza. Facebook è un fenomeno che va cum-preso, così come va capito e recuperato il vero significato della parola amicizia. E’ necessario ritornare al senso della cum-prensione degli amici, quelli veri, in carne ed ossa, quelli con cui è bello stare insieme, condividerne il cammino e per-vaderne le storie. E l’amicizia su Facebook? Per cortesia chiamiamola come ci pare, ma non chiamiamola amicizia.

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Affermare che la nostra è una civiltà massme-diale significa dire una verità che è sotto gli occhi di tutti e che si giustifica da sé per la sua ovvietà. Meno scontato è cercare di compren-dere il significato di questa affermazione dal momento che la complessità della situazione odierna, in seguito alle nuove possibilità della tecnologia e ai nuovi linguaggi comunicativi in rapida trasformazione ed evoluzione, ri-chiede un supplemento di indagine e una let-tura non superficiale dei cambiamenti in atto. Tanto più, se si pensa che le innovazioni tecni-che hanno ricadute sul piano sociale perché costituiscono il presupposto per il cambiamen-to dei parametri di valutazione della realtà e delle relazioni interpersonali. Da qui, la necessità di studiare il fenomeno della comunicazione sociale. Sotto questo pro-filo il libro di Ruggiero Doronzo, che riprende e approfondisce i temi sviluppati nella tesi di laurea triennale in Scienze della Comunicazio-ne all’Università del Salento, si presenta come un utile strumento per comprendere il rappor-to tra Chiesa e mezzi di comunicazione sociale e per verificarne il loro utilizzo in ambito ec-clesiale. Va dato atto all’Autore di aver com-

piuto un’accurata indagine dei numerosi pro-nunciamenti della Chiesa, individuando i temi principali che più frequentemente ricorrono nei testi magistrali, elaborati nel corso degli ultimi settant’anni e resi pubblici attraverso encicliche, decreti, istruzioni e messaggi, a partire dalla Vigilanti cura di Pio XI del 1936 fino agli ultimi interventi di Benedetto XVI per la Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali. Il libro è diviso in due parti. La prima mette in evidenza quattro fattori che si presentano in modo costante nei documenti magisteriali. Si parte dal notare il sostanziale giudizio positi-vo con il quale il Magistero della Chiesa consi-dera i mezzi di comunicazione. Essi sono rite-nuti, direttamente o indirettamente, come “doni di Dio” all’umanità perché attraverso di essi è possibile che si sviluppi un più stretto vincolo di fraternità e una maggiore interazio-ne tra i popoli. Se utilizzati per scopi nobili, essi sono un potentissimo mezzo per accorcia-re le distanze tra le nazioni e mettere in rela-zione culture diverse. Come si può notare, si tratta di una visione estremamente positiva, ma non ingenua. La Chiesa, infatti, non dimentica i gravi danni che può produrre un uso distorto di queste nuove forme di comunicazione di massa. Questo inconveniente, però, è dovuto all’impiego che ne fa l’uomo e non alla specifica natura di que-sti mezzi. Essi, di per sé, sono neutri e, pertan-to, hanno una loro intrinseca possibilità di concorrere al bene della persona e alla pacifica convivenza nella società. Nei più recenti inter-venti di Benedetto XVI, però, si nota un’evoluzione di pensiero. Si va facendo stra-da, infatti, l’idea secondo la quale la forte ca-pacità dei mezzi di comunicazione sociale di determinare profondi mutamenti nel modo di

Chiesa e mezzi di comunicazione ...

* Provicario generale - Arcidiocesi di Bari-Bitonto

recensione a cura di mons. Vito Angiuli *

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percepire e conoscere la realtà richieda un’attenta riflessione sulla loro influenza so-prattutto in riferimento alla dimensione etico-culturale della globalizzazione e dello sviluppo dei popoli. Per questo motivo si comprende l’urgenza di affrontare la questione della moralizzazione di tutto il processo comunicativo. Bisogna, infatti, domandarsi realmente se la comunicazione promuove una cultura del rispetto, del dialogo, della verità e della libertà; se si muove secondo criteri etici e non per fini di potere. In questo secondo caso, essa finisce per non tenere in considerazione la centralità e la dignità della persona, la sua aspirazione al bene, il suo desi-derio di fraternità e di giustizia. Questo possibile uso distorto dei mezzi di co-municazione sociale non mette in ombra le notevoli potenzialità di cui essi dispongono per la diffusione del Vangelo. Non si deve, infatti, dimenticare che il cristianesimo, per sua natu-ra, è una religione del dialogo e dell’annuncio della buona notizia e che Gesù stesso è il rive-latore e il comunicatore del mistero del Padre. Vi è, dunque, una consonanza di fondo tra lo

strumento tecnico della comunica-zione e il fine stesso della presenza della Chiesa nel mondo. Entrambi tendono a veicolare un messaggio per il bene della persona umana e il progresso della società. La seconda parte del libro prende in considerazione alcuni problemi legati allo sviluppo dei media non ancora esplicitamente o sufficiente-mente trattati in ambito ecclesiale, ma che si impongono all’attenzione dello studioso per la rilevanza del-le domande che sollevano soprat-tutto in riferimento alla “questione antropologica”, dal momento che il sistema dei media rende sempre più labile il confine tra comunicato-ri e consumatori di informazione, tra sfera pubblica e sfera privata e possiede un forte impatto sulle forme della soggettività umana. D’altra parte, bisogna chiedersi in

che modo è possibile accogliere la riflessione sulla “gnosi tecnologica” alla quale fa cenno McLuhan nei suoi studi e in che senso la teolo-gia evoluzionistica di Teilhard de Chardin pos-sa trovare udienza nel pensiero della Chiesa. Si tratta di questioni aperte. Il libro di Doronzo ha il merito di porre queste questioni e di leg-gere con grande acume i testi magisteriali fa-cendone un’esegesi puntuale e incisiva e indi-viduando con grande accor-tezza i punti problematici di un tema che rimane affasci-nante per la molteplicità di implicazioni che comporta per la vita della Chiesa e il pro-gresso integrale dell’uomo e della società.

R. DORONZO, Chiesa e mezzi di comunicazione: un rapporto da approfondire, Ed. Insieme, Terlizzi (BA) 2009, pp. 204

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La Famiglia protagonista. Anche per l’educazione dell’affettività e della sessualità. Questo il senso ultimo dell’affollato Seminario di studi svoltosi a Bari, nell’auditorium dell’ITCS “V. LENOCI”, su iniziativa del Fo-rum delle associazioni familiari. Suggestivo il tema del seminario: “Educazione in cerca d’autore: persona, affettività, sessualità. Per una alleanza fra Famiglia Scuola ed Istituzio-ni”. “Un modo, crediamo garbato e speriamo efficace, per dire alle istituzioni ed in particola-re alla Regione Puglia, che i genitori ci sono e pretendono di essere ascoltati, anche in tema di educazione dell’affettività e della sessualità”, ha esordito il prof. Passiatore, coordinatore della Commissione Educazione del Forum regionale.

Spunto per il Seminario era stata l’esclusione delle Associazio-ni dei Genitori (anche se ricono-s c i u t e d a l MIUR), dal tavo-lo istituzionale predisposto dal-la Regione per l’elaborazione e la verifica dei percorsi formati-vi in tema di sessualità da proporre ai ra-gazzi nelle scuo-le ed il monito-raggio delle atti-vità consultoria-

li. Ma il Convegno ha messo in evidenza anche l’inadeguatezza dei contenuti che attualmente vengono presentati agli adolescenti, per lo più da operatori consultoriali, cui attualmente è delegato questo delicato compito; in particola-re, una ricerca realizzata per studiare le espe-rienze di educazione sessuale in atto in alcune Scuole Secondarie pugliesi e presentata per l’occasione, ha fatto rilevare la discrepanza fra i bisogni avvertiti dai ragazzi e quelli percepiti da chi dovrebbe educarli. Ne derivano percorsi per lo più moralistici o informativo-tecnicistici, entrambi evidentemente inefficaci perché inca-paci di intercettare le domande autentiche dei nostri giovani sull’affettività e la sessualità e di individuare delle ipotesi di risposte. Né si può pensare di rispondere alla emergen-

“Educazione in cerca d’autore”. Seminario sull’educazione dell’affettività e della sessualità del

Forum delle associazioni familiari

* Ginecologa - Presidente del Forum regionale delle associazioni familiari

di Ludovica Carli *

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za interruzione di gravidanza, di cui la nostra Regione detiene tristi primati fra le adolescenti, semplicemente con presidi farmacologici come la contraccezione orale o la cosiddetta “pillola del giorno dopo”, come previsto in Puglia. Paradossalmente, infatti, le statistiche mostra-no che all’aumentare dell’uso della contracce-zione non corrisponde affatto una diminuzione dell’interruzione volontaria della gravidanza, anzi si verifica esattamente il contrario: le re-gioni italiane e le nazioni europee in cui più diffusa è la pratica della contraccezione, e più semplice la fruibilità della pillola del giorno dopo, sono quelle in cui vi è anche un più alto tasso di gravidanze indesiderate e di abortivi-tà: è da supporre a causa di una deresponsabi-lizzazione e della banalizzazione del sesso! E’ l’esperienza di nazioni come Francia, Inghil-terra, Svezia, ove programmi di educazione sessuale nelle scuole basati sulle informazioni sulle tecniche contraccettive o sulla diretta somministrazione di esse si accompagnano a gravidanze sempre più numerose fra le teen-ager, seguite, in almeno il 50% dei casi dall’interruzione volontaria di gravidanza. E’ evidente che il loro numero debba comunque essere stimato ancora maggiore, se consideria-mo i casi in cui il meccanismo d’azione della pillola del giorno dopo si esplicita in termini anti-nidatori, cosa possibile se il farmaco è as-sunto in fase periovulatoria. E’ evidente che tali esperienze minino la salute sessuale e riproduttiva dei nostri giovani, in una società in cui il tasso di coppie infertili arriva a sfiorare il 30% e le malattie a trasmis-sione sessuale conoscono un rapido incremen-to. Ma faremmo torto alla centralità di questo ar-gomento se, anche noi, ne riducessimo l’approccio che non può quindi essere tecnico-sanitario (lo dicono i nostri ragazzi!), ma evi-dentemente antropologico. La sessualità, infatti, è dimensione costitutiva della persona, e la sua educazione non può essere scissa dall’educazione dell’affettività; per essere affrontata in modo adeguato ha bi-sogno di legarsi alle grandi questioni di signifi-cato riguardanti la relazione interpersonale e la nostra stessa identità; altrimenti il moralismo

ostacola il sesso, la tecnica distrugge il deside-rio, l’industria del lattice o del farmaco “inquina” le giovani donne e il sesso, che smet-te di essere relazione e si concentra su un corpo ridotto ad oggetto e mercificato, su piacere egocentrico, egoistico e dunque piccolo picco-lo. E’ diritto e dovere della famiglia, quindi, essere presente nell’elaborazione e nella verifica di questi percorsi, riguardanti la sfera più intima e personale dei propri figli: è in gioco la libertà di educazione dei genitori! Essi non di rado sono consapevoli di una certa loro inadegua-tezza a questo compito; ma proprio allora essi non possono cedere alla logica della delega all’esperto o sparire dalla scena ed essere sosti-tuiti. Uscire dalla solitudine, aggregarsi in nu-clei associativi a livello scolastico, realizzare percorsi di empowerment delle proprie re-sponsabilità educative: è stata questa una delle proposte concrete avanzate dal Seminario del Forum, così come l’affiancarsi delle associazio-ni dei genitori ai consultori familiari, per una maggiore efficacia della specifica azione, sia sul piano elaborativo che attuativo e di verifica degli interventi predisposti con i giovani, con le donne e con le coppie. E’ stata questa la ri-flessione del prof. Fiore, assessore regionale alle Politiche della Salute, che ha sottolineato la necessità di un pensare insieme, istituzioni ed associazioni, la fisionomia di servizi ed inter-venti. E’ il caso di Forlì, dove enti territoriali e mondo associativo hanno costituito una rete, con una vera e propria cabina di regia, grazie alla quale in un periodo di osservazione di sedici mesi, il 10% delle donne che si erano r ivo l te a i cons ul tor i , suppor ta t i dall ’associazionismo, ha rinunciato all’interruzione volontaria della gravidanza. La necessità di una logica di alleanza e di sus-sidiarietà è stata messa in evidenza anche dalla prof.ssa Stellacci, Direttore dell’Ufficio Scolasti-co Regionale, che ha rilevato l’opportunità di alleanze educative fra istituzioni e mondo as-sociativo, così come proposto dal Seminario, in primis fra scuola e famiglia.

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Il Curato d’Ars era umilissimo, ma consapevo-le, in quanto prete, d’essere un dono immenso per la sua gente: «Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare ad una parroc-chia e uno dei doni più preziosi della miseri-cordia divina». Parlava del sacerdozio come se non riuscisse a capacitarsi della grandezza del dono e del compito affidati ad una creatura uma-na: «Oh come il prete è grande!... Se egli si comprendesse, morirebbe... Dio gli obbedisce: egli pronuncia due parole e Nostro Signore scende dal cielo alla sua voce e si rinchiude in una piccola ostia...». E spiegando ai suoi fedeli l’importanza dei sacramenti diceva: «Tolto il sacramento dell’Ordine, noi non avremmo il Signore. Chi lo ha riposto là in quel tabernaco-lo? Il sacerdote. Chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pel-legrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. E se

quest’anima viene a morire [per il peccato], chi la risusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora il sacerdote... Dopo Dio, il sacerdote è tutto!... Lui stesso non si capirà bene che in cielo». Queste affermazioni, nate dal cuore sacerdotale del santo parroco, possono appari-re eccessive. In esse, tuttavia, si rivela l’altissima considerazione in cui egli teneva il sacramento del sacerdozio. Sembrava sopraf-fatto da uno sconfinato senso di responsabilità: «Se comprendessimo bene che cos’è un prete sulla terra, moriremmo: non di spavento, ma di amore... Senza il prete la morte e la passione di Nostro Signore non servirebbero a niente. E’ il prete che continua l’opera della Redenzione sulla terra... Che ci gioverebbe una casa piena d’oro se non ci fosse nessuno che ce ne apre la porta? Il prete possiede la chiave dei tesori celesti: è lui che apre la porta; egli è l’economo del buon Dio; l’amministratore dei suoi beni... Lasciate una parrocchia, per vent’anni, senza prete, vi si adoreranno le bestie... Il prete non è prete per sé, lo è per voi».

L’angolo della

spiritualità

Dalla Lettera di indizione dell’anno sacerdotale di S.S. Benedetto XVI

Il prete non è prete per sé, lo è per voi!

a cura di

don Valentino Campanella

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Quando na-sce Il faro palese?

E’ presente nella cittadi-na di Palo del Colle da trentanove anni un gior-nale locale

che fin dagli inizi è stato chiamato Il faro palese. Certo, sarebbe stato più consono chiamare que-sto giornale con tale nome se Palo del Colle fosse lambito dal mare, ma è altrettanto vero che questa cittadina è a pochi passi dal mare. Il faro palese nasce nel dicembre del 1971. Ero da pochi anni parroco della parrocchia S. Vito in Palo: l’idea di creare un foglio di comu-nicazione nell’ambito della parrocchia la stavo accarezzando da diverso tempo: se devo dire tutta intera la verità, l’idea mi frugava nella mente già negli anni di Teologia presso il Pon-tificio Seminario Regionale di Molfetta: nel programma del mio sacerdozio futuro, qualun-que fosse stato il compito che il Vescovo mi avrebbe assegnato, intendevo servirmi del mezzo della stampa nel campo del mio aposto-lato sacerdotale. Come venne accolta l’iniziativa editoriale dall’arcivescovo dell’epoca, mons. E. Nicode-mo? L’occasione si presentò, come dicevo sopra, nel momento in cui dall’arcivescovo mons. E. Ni-codemo fui nominato parroco di S. Vito in Palo del Colle. Non aveva questo foglio nessuna pretesa: vole-vo solamente comunicare ai parrocchiani i di-versi appuntamenti pastorali. L’iniziativa fu bene accolta, anche perché nel primissimo nu-

mero portava la benedizione dell’arcivescovo Nicodemo, al quale precedentemente avevo esposto la mia idea. Incontrandomi con mons. Cacucci e parlando del giornale di Palo ho sottolineato che la lun-ga vita de Il faro palese – sono circa quarant’anni – è dovuta alla benedizione che mons. Nicodemo a suo tempo dette a questa iniziativa. Quale fu l’evento/momento in cui si decise di passare da un foglio di comunicazione par-rocchiale a un periodico vero e proprio? Man mano che il tempo passava il foglio co-minciò a farsi conoscere oltre i confini parroc-chiali, forse era arrivato il momento che Il faro palese diventasse il giornale di tutta Palo. Con-sultai gli amici collaboratori perché esprimes-sero il loro parere: furono d’accordo, come erano stati d’accordo qualche tempo prima perché quel foglio parrocchiale fosse chiamato Il faro palese. Comincia così una nuova avventura per questo foglio, sia dal punto di vista dei contenuti sia dal punto di vista del formato e delle dimen-sioni. Il passaparola tra gli abitanti di Palo servì a far conoscere la realtà del giornale locale tra i no-stri concittadini residenti in Italia e all’estero. Il desiderio di conoscerlo venne spontaneo e venne interpretato come mezzo per annodare i vincoli con il paese natio. Tanti avevano lasciato Palo con l’amarezza nel cuore, in cerca di lavoro, giacché il proprio paese era stato avaro con loro. Fu a questo punto che dovetti fare un’amara constatazione: i palesi si erano spinti, in cerca di lavoro, in paesi lontanissimi. I palesi li pote-vi trovare in Europa come in Germania, in Francia, in Belgio, in Olanda, ma anche in gran numero negli Stati Uniti, in Canada, in Vene-

Intervista a don Giuseppe Di Mauro

Media del territorio a cura di Vincenzo Legrottaglie

La rubrica vuole esplorare i mass media presenti sul nostro territorio regionale, conoscerne le origini, la diffusione, la gente che vi lavora, il modo in cui parlano all’uomo dell’uomo e della sua vita, il loro interesse (se c’è) nei confronti dell’educazione in generale, del mondo della scuola in particolare.

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zuela fino alla lontana Australia. Il faro palese era riuscito una volta al mese, così, a raggiungere quasi tutti i nostri concittadini con il duplice scopo di farli sentire meno soli in questi paesi stranieri e far rivivere loro le usan-ze e le tradizioni del paese natio di cui sentiva-no ancora tanta nostalgia. In Germania, a Bebesheim, viveva e vive anco-ra una grossa comunità di concittadini; tra que-sto paese non molto lontano da Francoforte e Palo si è creato un gemellaggio molti anni ad-dietro con lo scopo di rafforzare sempre più i vincoli di amicizia e possibilmente creare rap-porti a livello commerciale. Quanto Il faro è figlio dei documenti sulla comunicazione sociale emanati dal Concilio Vaticano II? Il faro palese, è inutile nasconderlo, è un giorna-le cattolico, anche perché il direttore responsa-bile è il sottoscritto. Quanto spazio occupa l’informazione religio-sa? L’informazione religiosa è garantita, fermo restando che per una serie di motivi non può ritornare ad essere un bollettino parrocchiale. Il faro ha una rubrica intitolata “Finestra sulla scuola”. Di cosa si occupa specificamente e chi la cura? Il faro palese ha aperto da molti anni una riusci-ta rubrica, “Finestra sulla scuola”, curata da un insegnante da poco in pensione. Le Scuole Primarie e Secondarie di Primo Gra-do di Palo trovano nel Faro larga ospitalità e il giornale di Palo diventa così una grande pale-stra per le loro attività e iniziative varie. Tutto sommato l’iniziativa presa a suo tempo perché a Palo si desse l’avvio per un giornale locale fu qualcosa di utile e i fatti lo hanno confermato: nessun giornale locale ha raggiunto la vetu-sta età di quarant’anni di vita.

Dopo aver espletato gli studi filosofici e quelli di Teologia presso il Pontificio Seminario Regionale di Molfetta vengo ordinato sacerdote in Santera-mo in Colle, mio paese natio, il 18 luglio 1954, da mons. Enrico Nicodemo, arcivescovo di Bari. Il mio primo campo di azione pastorale fu Mola di Bari presso la Chiesa Matrice dove allora era guida sicura mons. Francesco Bitetto, molto pre-parato dal punto di vista spirituale e culturale. Con mons. Bitetto sono stato sette anni e da lui ho molto imparato. Dopo Mola di Bari l’arcivescovo Nicodemo mi inviò come vice parroco alla parrocchia Immaco-lata di Lourdes in Gioia del Colle, guidata in quel tempo dal parroco don Giovanni Ingraval-lo, altro sacerdote molto esemplare. Dopo nemmeno due anni mi venne fatta la pro-posta di diventare parroco presso la parrocchia S. Vito in Palo del Colle e qui sono stato per vent’anni; non c’era ancora la norma che prescri-veva la permanenza in una parrocchia per nove anni. Ho continuato a collaborare con la parrocchia S. Vito anche quando il parroco non ero più io ma don Rocco Di Ciaula di Modugno, nominato parroco dopo di me: celebravo una messa nel territorio parrocchiale in zona Madonna della Stella. In seguito sono stato per molti anni cappellano dell’Ospedale civile di Grumo. Attualmente sono cappellano della Casa di Ripo-so per gli Anziani a Palo del Colle. Sono stato padre spirituale della Confraternita di S. Rocco, sempre a Palo. Mons. Magrassi mi nominò vice cancelliere arci-vescovile della Curia di Bari-Bitonto, incarico che conservo attualmente.

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V. Andreoli, La vita digi-tale, Rizzoli, Milano 2007, pp. 220, € 10,00 «Il comportamento dell’uomo è la sintesi tra la propria biologia (la macchina) e l’ambiente in cui si trova ad operare. L’esistenza

di ciascuno è dunque il risultato dell’incontro del proprio Io con le condizioni in cui vive, lega-ta alle cose e alle persone con cui si stabiliscono legami o anche soltanto rapporti fugaci. Questa affermazione permette di tratteggiare uomini nuovi in ambienti nuovi. Esistenze nuove rispet-to al passato, poiché è cambiato l’ambiente in cui l’uomo si è posto». Da qui parte l’Autore per affermare come la tecnologia cambia la vita dell’uomo e presentare un excursus delle invenzioni che hanno “sconvolto” la vita dell’uomo – il bastone, la ruota, l’orologio, la penna, l’automobile – fino ad arrivare al telefonino e alla “digitalizzazione” della vita umana: ormai la funzione principale dell’uomo è muovere, quanto più rapidamente possibile, i polpastrelli delle dita su una tastiera sempre più piccola. In una seconda tappa descrive l’uomo e il suo insaziabile bisogno dell’altro, di appartenenza, di legami; ma anche un uomo fragile, incostante, che consuma e spreca sentimenti. In questa cor-nice di vita umana si inserisce la vita digitale. E qui Andreoli entra nel vivo del tema che si è proposto di trattare: la relazione uomo-telefonino. Sì, perché si tratta di una vera e pro-pria relazione; uomo e telefonino sono, quindi, due soggetti che comunicano, e, se è così, è me-glio che si conoscano, dunque l’uomo viene spiegato al telefonino e il telefonino all’uomo. Quale immagine di uomo viene fuori? Un uomo che ama parlare e farsi sentire; un uomo insod-disfatto; un uomo che vorrebbe essere diverso e avere qualcosa in più; un uomo che non si capi-sce bene; un uomo di superficie, la superficie del suo corpo e della sua bellezza; un uomo che

mostra tutta la sua stupidità, che «non è pro-priamente un difetto. Sarebbe meglio chiamarla superficialità del pensiero, che non esclude una profondità, lasciata al mistero e all’ignoto. [...] La stupidità è ormai una modalità di vedere il mondo in superficie, di fare le cose senza pen-sarci troppo»; un uomo doppio, diviso: è in rap-porto alle circostanze; un uomo infantile; un uomo anfotero: è attratto da tutti, uomini e don-ne; un uomo che si porta dentro il dramma del tempo che scorre inesorabile; un uomo che ha smarrito il senso di colpa; un uomo vuoto, che ha il bisogno, l’impulso, la compulsione ad agi-re, a fare, a non fermarsi, a sentirsi vivo... per non scoprire che è morto. Quale immagine di telefonino? «Il telefonino è il personaggio della digital life, lo strumento per un’esistenza digitale centrata non sulla parola, non sulle labbra, ma sui polpastrelli delle dita». E attraverso le operazioni e gli accessori del tele-fonino e l’utilizzazione che ne fa l’uomo tratteg-gia ancora l’uomo. Un uomo frammentato. Un uomo incapace di pensiero, di sintesi, di astra-zione. Un uomo incapace di silenzio. Dopo la presentazione dell’uomo al telefonino e viceversa l’Autore procede con un’analisi delle tipologie di relazione che si stabiliscono tra i due dividendole in tre gruppi: generali (minimalista, maniacale, strategica, intrusiva, ecc.), di genere (maschile e femminile), d’età. Infine, passa a considerare le malattie della rela-zione uomo-telefonino: l’autismo digitale, la mente digitale, il telefonino come oggetto di culto. La vita digitale non è un testo pessimistico, è un’analisi chiara, lucida e puntuale dell’uomo di oggi e dell’uomo in relazione al telefonino, fatta da un uomo appassionato dell’uomo, che si in-terroga sull’uomo, che ne loda la grandezza, ne constata la miseria, ne tocca il dolore. E all’uomo urla che la tecnologia è creatura dell’uomo, ma l’uomo non è creatura dell’uomo. E su questo vale la pena interrogarsi, ancora.

Sullo scaffale a cura di Anna Asimi

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G. Ostinelli, Motivazione e comporta-mento. Le variabili psico-logiche necessarie per raggiungere obiettivi, Eri-ckson, Gardolo (TN) 2005, pp. 340, € 19,80 Cosa ci spinge la mattina ad alzarci e a raggiungere il posto

di lavoro o la scuola? Perché compiamo alcune scelte e non altre? Donde nasce il desiderio di esplorare aree sconosciute, di rapportarci a persone nuove? Come mai siamo attratti da alcune situazioni mentre evitiamo o rifuggia-mo altre? Domande, tutte, sulla motivazione che soggia-ce alla base dell’essere e dell’agire dell’uomo; domande che da sempre l’essere umano si po-ne: dai filosofi greci ad Agostino, da Descartes e Spinoza a Bentham e Stuart Mill a Kant fino a Wundt, con cui lo studio della motivazione abbandona la filosofia e diventa uno degli ar-gomenti portanti della psicologia. Il testo di Ostinelli offre una panoramica com-pleta delle più importanti teorie della motiva-zione del Novecento. Il volume nasce da un’osservazione: oggi a-ziende, scuole, società sportive, organizzazioni sono preoccupate della motivazione ideale dei soggetti che le “popolano”, dunque si fanno promotrici di corsi, meeting, consulenze atti a provocare, rinforzare, sostenere la motivazio-ne; intenzione nobilissima e positiva, ma biso-gna constatare che spesso gli interventi sono fragili e inadeguati a mantenere un risultato a lungo termine, soprattutto perché si ignorano o si conoscono solo molto superficialmente gli studi prodotti su tale argomento per tutto il Novecento. Di qui la necessità di proporre un testo che presenti tali studi in maniera chiara e compren-sibile anche per coloro che non sono specialisti del settore, ma mantenendo un’impostazione rigorosa. L’Autore divide il suo lavoro in otto capitoli: Gli inizi; Il paradigma comportamentista; Bisogni, mente e individuo; Modelli di tipo tematico e moti-vazione alla riuscita; La motivazione da un punto di vista cognitivista; L’uomo al centro; Una visione

sistemica della motivazione; Motivazione e lavoro. Ogni capitolo propone un quadro dell’argomento trattato, uno sviluppo dello stesso, strumenti d’indagine che il lettore può utilizzare per analizzare e migliorare la moti-vazione. Infine le Conclusioni, in cui si fa il punto su dove è giunta la ricerca in tema di motivazione e vengono presi in considerazione anche gli studi più recenti, fermo restando l’assunto che la ricerca non ha mai punti di arrivi, ma tappe da cui partire e ripartire per costruire altre teo-rie motivazionali.

Comitato per il Progetto Culturale del-

la Conferenza Episcopale Italiana, Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tut-to. Con un Messaggio di Benedetto XVI, Cantagal-li, Siena 2010, pp. 236, € 15,50

«La questione di Dio è centrale anche per la nostra epoca, nella quale spesso si tende a ri-durre l’uomo ad una sola dimensione, quella “orizzontale”, ritenendo irrilevante per la sua vita l’apertura al Trascendente. La relazione con Dio, invece, è essenziale per il cammino dell’umanità e [...] la Chiesa e ogni cristiano hanno proprio il compito di rendere Dio presente in questo mondo, di cercare di aprire agli uomini l’accesso a Dio». Parole di Benedetto XVI in occasione del Convegno Dio oggi: con lui o senza di lui cambia tutto, svoltosi a Roma dal 10 al 12 dicembre 2009. Il libro raccoglie le relazioni presentate e le articola in quattro parti corrispondenti alle quattro sessioni plenarie del Convegno: Il Dio della fede e della filosofia; Il Dio della cultura e della bellezza; Dio e le religioni; Dio e le scienze. In apertura il Messaggio di Benedetto XVI e il Saluto del cardinale Angelo Bagnasco; in chiu-sura le Conclusioni al Convegno stilate da mons. Rino Fisichella.

Sullo scaffale a cura di Anna Asimi

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C. De Grandis, Francais facíle. Corso di francese essenziale, Eri-ckson, Gardolo (TN) 2005, pp. 385, € 23,50 Un corso base di francese indi-rizzato agli allievi della Secon-daria di Primo Grado. Strutturato come un percorso

porta il ragazzo, attraverso il metodo dello storytelling, ad una consapevolezza essenziale della lingua francese. Il volume è corredato di CD audio.

F. Lasaracina e D. Lunel, Hallo Deutsch! Corso di tedesco essen-ziale, Erickson, Gardolo (TN) 2008, pp. 335, € 24,50 Destinatari del volume sono i ragazzi della Secondaria di Primo Grado. I principi peda-gogici dell’opera sono la cen-

tralità dell’alunno e il suo ruolo attivo nella costruzione del proprio sapere. Al volume è allegato un CD audio.

E. Scala e L. Losi, Simple En-glish. Corso di inglese essenziale, Erickson, Gardolo (TN) 1998, pp. 347, € 24,90 Il volume è rivolto ai ragazzi della Secondaria di Primo Grado e a quelli del biennio

della Secondaria di Secondo Grado. Fornisce le nozioni base della lingua inglese e le presenta in modo graduato. Parte integrante del volume è un CD audio.

E. Scala, Simple English Practi-ce. Attività per consolidare l’inglese essenziale, Erickson, Gardolo (TN) 2004, pp. 289, € 20,00 Il volume integra e approfon-disce alcuni aspetti del testo

Simple English della stessa autrice, ma può esse-

re considerato anche come sussidio a se stante da utilizzarsi per le attività di recupero o con i ragazzi che presentano difficoltà di apprendi-mento.

E. Scala, Simple English Culture. Unità di apprendimento sulla civil-tà anglofona, Erickson, Gardolo (TN) 2005, pp. 304, € 19,50 Il testo propone brani ed eserci-zi sulla civiltà di sei paesi anglo-foni (Gran Bretagna, Irlanda,

Stati Uniti d’America, Australia, Canada, Nuo-va Zelanda). Di ogni paese si presentano la posizione geo-grafica, le caratteristiche fisiche, le città più importanti e varie curiosità. E’ rivolto a ragazzi con qualunque livello di competenza linguistica, anche a quelli con dif-ficoltà.

C. Cornoldi e B. Caponi, Memo-ria e metacognizione. Attività di-dattiche per imparare a ricordare, 2ª ed., Erickson, Gardolo (TN) 1993, pp. 231, € 21,50 Il volume presenta un program-ma per la promozione di cono-

scenze metacognitive relative alla memoria. E’ diviso in due parti. La prima mira a svilup-pare nel bambino una riflessione sul funziona-mento della memoria propria e altrui; la secon-da propone riflessioni più articolate su specifici processi di memoria.

R. Dynes, Il laboratorio della me-moria. Cento giochi per stimolare strategie a breve e lungo termine, Erickson, Gardolo (TN) 2002, pp. 155, € 19,50 Il volume propone più di cento giochi che stimolano le capacità

mnemoniche. Si tratta di giochi semplici, che possono essere utilizzati da persone di tutte le età e con obiettivi diversi.

Giunti in redazione a cura di Anna Asimi

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1. Un cocchio fu per me la tua Legge che [mi] rivelò il paradiso. E la chiave fu per me la tua croce: fu essa ad aprire il paradiso. Dal giardino di delizie portai, raccolsi e recai dal paradiso rose e fiori eloquenti. Eccoli sparsi durante la tua festa, negli inni, sull’umanità. Benedetto Colui che incorona e fu coronato! 2. Ecco la festa gioiosa che è tutta bocche e lingue. Donne e uomini casti furono in essa come trombe e corni. Bambine e bambini furono in essa come arpe e cetre. Si intrecciarono le voci nelle voci, salirono e giunsero tutte al cielo, diedero gloria al Signore della gloria. Benedetto Colui nel quale i muti hanno tuo-nato! 3. Ecco, tuonò la terra dal basso e il cielo dall’alto tuonò. Nisan mescolò voci nelle voci, terrestri e celesti. Si mescolarono le voci della santa Chiesa ai tuoni della divinità, e nei bagliori delle lampade il balenare dei lampi è mescolato; alla pioggia le lacrime della passione, e al pascolo il digiuno pasquale.

4. Nell’arca risuonarono similmente tutte le voci da tutte le bocche. Fuori da essa flutti terribili, e dentro di essa voci deliziose. Le lingue, a due a due, modulavano in essa insieme, in purezza, tipo di questa nostra festa ove uomini e donne vergini hanno cantato, in santità, «gloria» al Signore dell’arca. 5. In questa festa ove ciascuno presenta le proprie buone azioni come le sue offerte ho pena di me, Rabbuli, nel vedere quanto poveramente io stia. E’ umettato dalla tua rugiada il mio spirito, per lui è stato un secondo Nisan. I suoi fiori sono stati per me offerte: ecco, corone intrecciate a corone e poste alla porta delle orecchie. Benedetta la nube che mi ha asperso! 6. Chi mai ha visto fiori colti dai libri come dai monti, dai quali le donne caste hanno colmato i grembi spaziosi del loro spirito? Ecco, la voce è come il sole: sulle folle ha sparso fiori. Sono fiori santi: accoglieteli con i vostri sensi come il nostro Signore [accolse] l’unguento di Maria. Benedetto Colui che fu coronato dalle sue ancelle!

Efrem il Siro Sulla risurrezione

Inno II

(Tratto da Efrem il Siro, Inni pasquali. Sugli azzi-mi. Sulla crocifissione. Sulla risurrezione, Introdu-zione, traduzione e note di Ignazio De France-sco, Letture cristiane del primo millennio 31, Milano, Ed. Paoline, 2001, pp. 342-349 )

a cura di Anna Asimi

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7. Fiori magnifici ed eloquenti sparsero i bambini davanti al Re. Un puledro ne fu coronato; la strada ne era piena. Sparsero lodi come fiori e inni come gigli. Anche ora, durante la festa, una folla di bambini ha sparso per te, o Si-gnore, alleluia come fiori. Benedetto Colui che è lodato nei fanciulli! 8. Ecco, il nostro udito, come un’insenatura, è riempito dalle voci dei bimbi. E sono pieni i grembi delle nostre orecchie, o Signore, degli inni delle donne caste. Ciascuno raduni tutti i fiori e vi aggiunga i propri, i fiori cresciuti nella sua terra, affinché in questa grande festa una grande corona intrecciamo per lui. Benedetto Colui che ci ha convocati alla sua ghirlanda! 9. Il grande pastore vi intrecci come suoi fiori le sue interpre-tazioni, i presbiteri le loro buone opere, i diaconi le loro letture, i giovani i loro alleluia, i bimbi i loro salmi, le donne caste i loro inni, i principi le loro gesta, i semplici [fedeli] la loro condotta. Benedetto Colui che ha molti-plicato per noi le buone opere! 10. Invitiamo e convochiamo gli illu-stri: i martiri, gli apostoli e i profeti, i cui fiori sono come loro: splendenti sono i loro fiori e ricche sono le loro rose, dolce il profumo dei loro gigli. Nel giardino di delizie li raccolgo-no e fanno giungere la bellezza dei

fiori alla incoronazione della nostra bella festa. A te la gloria dai beati! 11. Le corone dei re sono immiserite di fronte alla ricchezza della tua corona poiché è intrecciata in essa la purezza, splende in essa la fede, brilla in essa l’umiltà, è intessuta in essa la santità, splende in essa un grande amore. O Re grande dei fiori, ecco, è perfetta la bellezza della tua corona. Benedetto Colui che ci ha dato di intrecciar-la! 12. Accetta, nostro Re, la nostra offerta e dacci in cambio la salvezza. Pacifica le terre devastate, edifica le chiese incendiate affinché, quando vi sarà pace grande, una gran corona possiamo intrecciarti di fiori e ghirlande provenienti da ogni parte, perché sia incoronato il Signore della pace. Benedetto Colui che agì e che può agire!

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Dopo gli studi al Carnegie Institute of Techno-logy, Andy Warhol (al secolo Andrew Warho-la, Pittsburgh, Pennsylvania 1930 – New York 1987) lavora per tutti gli anni Cinquanta come grafico pubblicitario a New York. All’inizio degli anni Sessanta egli inizia a riprodurre, in maniera ripetitiva, la realtà del suo ambiente: dagli alimenti in scatola come le minestre Campbell’s alle lattine della Coca Cola, dai volti delle star del cinema (Marilyn Monroe, Elvis Presley, Liz Taylor) nelle loro fotografie più note ai personaggi dei fumetti, tutte imma-gini già ampiamente diffuse dai mezzi di co-municazione di massa e massicciamente fruite dalla collettività. Il lavoro di Warhol, esposto nei più grandi musei americani ed europei, viene solitamente collegato alla Pop Art nella sua linea di social criticism, di critica alla società dei consumi, degli hamburger, delle auto, dei fumetti, di riflessione sulla condizione e sulle contraddizioni dell’uomo contemporaneo. In questo senso, egli è il primo a scoprire nell’oggetto banale e quotidiano impensati poteri comunicativi ed a vedervi in nuce l’opera d’arte senza intervento alcuno da parte dell’artista se non una spiazzante decontestua-lizzazione, caratterizzandosi per il suo linguag-gio privo di emozioni e di stile personale. L’artista ripropone immagini visibili a tutti per sottrarle all’invisibilità, poiché tutto ciò che viene sovraesposto rischia di sfuggire alla per-cezione consapevole per sprofondare facilmen-te nell’anonimato, cadendo nel flusso continuo del “bombardamento iconico” dei mass-media. Ironicamente, l’oggetto-merce viene così “sacralizzato”: ritraendo in maniera ossessiva le icone del mondo dello spettacolo, della sce-na politica mondiale e dei consumi in modo seriale e meccanico, Warhol si allontana dall’atteggiamento individualistico degli artisti

dell’espressionismo astratto, dei dadaisti e dell’action painting, che rispolveravano l’idea romantica dell’artista-demiurgo. Dal 1962 in poi egli comincia a serigrafare su tela immagini (per lo più fotografie) prese dai mass-media, ritraendo “ciò che si vede ogni giorno”, in par-ticolare tutto ciò che diventa oggetto di “devozione” collettiva e proprio in quest’ottica vanno lette le sue rappresentazioni di perso-naggi famosi come Marlon Brando, Jackie Ken-nedy, Mao Tse-tung, Liz Taylor e Marilyn, tutti riprodotti più volte ed in più versioni, con inte-resse quasi ossessivo, a colori, in bianco e nero, con il metodo del riporto fotografico, ottenen-do tra le varie versioni differenziazioni spesso minimali e solo cromatiche, nell’intenzione del massimo appiattimento dei tratti identificativi. Non tutti conoscono il lato spirituale dell’artista, la sua religiosità cattolica, nascosta a tutti tranne che ai familiari e amici intimi. Egli, infatti, frequentava la chiesa, pregava a casa insieme a sua madre e accanto al letto aveva un libro di preghiere. La sua religiosità, però, non era solo un fatto personale ma si è riflessa sulla sua opera. Un paio d’anni prima della morte, Warhol realizzerà, con la tecnica della serigrafia e acrilico su tela, il suo Christ $9.98 (negative and positive), mentre gli U.S.A. erano nel bel mezzo della Guerra Fredda. In questo contesto emergono tre temi nel dipinto: guerra, morte e religione. L’artista era sensibile all’iconografia religiosa, ma nel dittico in que-stione l’uso del negativo/positivo può essere letto come un’eco del conflitto nell’ambito del-la Guerra Fredda. Gli anni ‘80, fino alla morte, furono caratterizzati dall’insistenza di Warhol su L’ultima cena di Leonardo, riletta in maniera modernissima sul piano dell’arte, ma soprat-tutto colta nei suoi valori religiosi.

* Serigrafia e acrilici su tela, 50.80 x 40.60, National Gallery of Scotland, Edimburgo

In quarta di copertina

Andy Warhol

Christ $9.98, 1985-1986 * di Grazia Ricciardi

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