203
INDICE INTRODUZIONE…………………………………………………...3 CAPITOLO I: L’IDENTIFICAZIONE E RELATIVA DISCIPLINA DEGLI ENTI PUBBLICI 1.1) L’INDIVIDUAZIONE DI UN ENTE PUBBLICO…………………...9 1.2) LE LIMITAZIONI DI CAPACITÀ DELL’ENTE PUBBLICO E LA POSIZIONE DI PRIVILEGIO DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI…………………………………………………….17 1.3) L’EQUIPARAZIONE TRA SOGGETTI PUBBLICI E SOGGETTI PRIVATI CHE SVOLGONO ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA……….28 1.4) LE DIVERSE TIPOLOGIE DI ENTI………………………………..33 CAPITOLO II: LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI PUBBLICI 2.1) INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI LOCALI: LA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE……………………………………………….42 2.2) LA GESTIONE FINANZIARIA DELLE REGIONI……………….53 2.3) LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI LOCALI…………..57 2.4) LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI AUTARCHICI…………………………………………………………...75 CAPITOLO III: IL SISTEMA DEI CONTROLLI DELLO STATO SUGLI ENTI LOCALI 3.1) IL CONTROLLO DELLO STATO SUGLI ENTI LOCALI……...…79 3.2) IL CONTROLLO SUGLI ATTI……………………………………..88 3.3) IL CONTROLLO SUGLI ORGANI…………………………………98 1

TESI DI ZUCCALA' - venus.unive.itvenus.unive.it/diruniv/files/TESI DI ZUCCALA'.pdf · controllo preventivo sugli atti degli enti locali. Ma la soppressione dell’art. 130 è stata

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INDICE

INTRODUZIONE…………………………………………………...3

CAPITOLO I: L’IDENTIFICAZIONE E RELATIVA

DISCIPLINA DEGLI ENTI PUBBLICI

1.1) L’INDIVIDUAZIONE DI UN ENTE PUBBLICO…………………...9

1.2) LE LIMITAZIONI DI CAPACITÀ DELL’ENTE PUBBLICO E LA

POSIZIONE DI PRIVILEGIO DELLE PUBBLICHE

AMMINISTRAZIONI…………………………………………………….17

1.3) L’EQUIPARAZIONE TRA SOGGETTI PUBBLICI E SOGGETTI

PRIVATI CHE SVOLGONO ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA……….28

1.4) LE DIVERSE TIPOLOGIE DI ENTI………………………………..33

CAPITOLO II: LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI

PUBBLICI

2.1) INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA GESTIONE

FINANZIARIA DEGLI ENTI LOCALI: LA RIFORMA DEL TITOL O V

DELLA COSTITUZIONE……………………………………………….42

2.2) LA GESTIONE FINANZIARIA DELLE REGIONI……………….53

2.3) LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI LOCALI…………..57

2.4) LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI

AUTARCHICI…………………………………………………………...75

CAPITOLO III: IL SISTEMA DEI CONTROLLI DELLO

STATO SUGLI ENTI LOCALI

3.1) IL CONTROLLO DELLO STATO SUGLI ENTI LOCALI……...…79

3.2) IL CONTROLLO SUGLI ATTI……………………………………..88

3.3) IL CONTROLLO SUGLI ORGANI…………………………………98

1

3.4) I CONTROLLI SULLA GESTIONE ED IL RUOLO DELLA CORTE

DEI CONTI………………………………………………………………109

CAPITOLO IV: IL CONTROLLO SUGLI ENTI PUBBLICISOVVENZIONATI DALLO STATO E IL CONTROLLOSULLE SOCIETÀ PRIVATE PER LE QUALI LO STATOPARTECIPA AL CAPITALE4.1) LA DISCIPLINA NORMATIVA…………………………………..1254.2) LE PRINCIPALI QUESTIONI IN MATERIA DI ENTI………..…134

4.3) IL PROBLEMA DELL’INDIVIDUAZIONE DEGLI ENTI….……148

4.4) LE DELIBERE DELLA SEZIONE CONTROLLO ENTI………....153

CONCLUSIONI…………………………………………………..160

BIBLIOGRAFIA………………………………………………….163

2

INTRODUZIONE

Nel presente lavoro cercheremo di ricostruire un quadro normativo,

giurisprudenziale e dottrinario completo in merito alla gestione ed al

controllo degli enti pubblici finanziati dallo Stato.

All’indomani dell’entrata in vigore della l. cost.n. 3 del 2001, il primo

interrogativo che si pose agli interpreti e alle stesse istituzioni a proposito di

controlli sugli enti locali riguardò la portata dell’abrogazione dell’art. 130

Cost. Ci si chiese se l’art. 9, secondo comma, l.cost. n. 3 del 2001, col

limitarsi a disporne la soppressione, determinasse del pari l’immediata

abrogazione della legislazione attuativa. Venne ad esempio sostenuto che il

controllo sugli atti non assurgeva più “a dignità costituzionale”, essendo

previsto solo a livello di legislazione ordinaria, il che costituiva il primo

passo per l’abrogazione della relativa normativa1.

1 A. ZUCCHETTI, Spunti di riflessione sul sistema dei controlli, in Dipartimentogiuridico-politico dell’Università di Milano, Incontri di studio n. 5, Problemi delfederalismo, Milano, 2001, 438.

3

La tesi avrebbe potuto giustificarsi se l’art. 130 fosse stato abrogato

tacitamente o implicitamente ai sensi dell’art. 15 disp.prel.cod.civ., giacché

in tal caso sarebbe stato almeno possibile ipotizzare un’abrogazione

parziale, e dunque una sopravvivenza, per qualche profilo, dell’istituto del

controllo preventivo sugli atti degli enti locali. Ma la soppressione dell’art.

130 è stata come si è detto esplicita, anche se non accompagnata, a

differenza della corrispondente disposizione del d.d.l. Amato-D’Alema,

dalla espressa sottrazione degli atti degli enti locali a “controlli preventivi

esterni di legittimità o di merito”.

A questo punto, occorreva solo fare ricorso a criteri pacificamente

accolti di risoluzione delle antinomie, alla cui stregua la previgente

legislazione attuativa dell’art. 130 Cost., statale e regionale, doveva

ritenersi abrogata2.

Gli orientamenti espressi in sede istituzionale sono stati univoci in tal

senso. Il Ministro per gli affari regionali, con nota del 5 dicembre 2001, ha

2 G.C. DE MARTIN, Corte dei Conti e sistema delle autonomie (territoriali) dopo lariforma del Titolo V, Intervento alla Tavola rotonda su Coordinamento della finanzapubblica e sistema delle autonomie: attualità del ruolo della Corte dei Conti, Roma,4.12.2002, ed E. GIANFRANCESCO, L’abolizione dei controlli sugli atti amministrativie la scomparsa della figura del commissario del governo, in T.Groppi-M.Olivetti (a curadi), La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V, II ed.,Giappichelli, 2003, 229, con indicazione della dottrina favorevole a tale ipotesi. SecondoF. PINTO, Diritto degli enti locali, I, Giappichelli, 2003, 375, le leggi regionali attuativedell’art. 130 Cost. avrebbero dovuto ritenersi affette da illegittimità costituzionale, poichél’abrogazione opererebbe solo tra fonti collocate sullo stesso piano gerarchico. Ma apartire dal dibattito sul trattamento giurisdizionale delle leggi anteriori alla Costituzione,risolto dalla Corte nella sua prima pronuncia con una scelta non obbligata (sent.n. 1 del1956), è noto come l’antinomia tra fonte di grado inferiore e fonte sovraordinatasopravvenuta possa comporsi alla stregua del criterio cronologico non meno che delcriterio gerarchico; inoltre, l’ipotesi dell’illegittimità costituzionale sopravvenutadovrebbe comunque riferirsi, in primo luogo, alla disposizione di legge statale chenell’istituire i Comitati Regionali di Controllo attribuiva taluni ambiti di disciplina alleleggi regionali (art. 128 d.lg. n. 267 del 2000 (T.U. delle leggi sull’ordinamento degli entilocali)).

4

subito preso atto della cessazione dell’operatività dei controlli previsti

dall’art. 130 Cost. In seguito la Corte costituzionale ha incidentalmente

rilevato, in almeno due occasioni, la medesima circostanza (sentt.nn. 106

del 2002 e 43 del 2004). Infine, nella sua Relazione finale del 6 febbraio

2004, il Comitato di indirizzo e coordinamento tecnico-scientifico per

l’attuazione della delega ex articolo 2 legge n. 131/2003 (Comitato Vari) ha

osservato come “L’abrogazione dell’articolo 130 della Costituzione,

facendo venir meno l’organo regionale di controllo sugli atti degli enti

locali, ha travolto necessariamente anche la disciplina attuativa contenuta

nel T.U.E.L., con riferimento alle competenze di detto organo; disciplina

attuativa ritenuta, infatti, immediatamente inefficace, proprio perché

incompatibile con l’attuale normativa costituzionale”.

Ben più complesso appare il compito di individuare le tipologie di

controlli costituzionalmente ammissibili sugli enti locali. Il diritto

costituzionale vigente prevede ormai espressamente il solo controllo

sostitutivo del Governo nelle fattispecie e secondo i princìpi enunciati

dall’art. 120, secondo comma, nonché, implicitamente anche se con

certezza, il controllo sugli “organi di governo” attribuito alla legislazione

esclusiva dello Stato dall’art. 117, secondo comma, lett. p).

Per il resto la Costituzione tace: se ne deve desumere la tassatività

delle tipologie di controllo ivi previste?

La risposta affermativa è stata desunta dal principio, che l’art. 114

Cost. avrebbe sancito, che “l’amministrazione italiana è ormai in gran parte

una amministrazione autonoma”, per cui i condizionamenti esterni

all’esercizio delle funzioni degli enti autonomi sarebbero da “riconoscere

solo se, e nei limiti in cui, la stessa Costituzione ne operi un esplicito

5

richiamo”: se si fosse seguito tale principio, si soggiunge, “sarebbe apparso

subito chiaro che eliminate le ragioni di specifica compressione

dell’autonomia legate al controllo preventivo sugli atti delle Regioni e degli

enti locali, quest’ultima non poteva che riespandersi recuperando per intero

la propria ampiezza e dunque rispondendo della legittimità dei propri

provvedimenti nella sede più naturale, quella della giurisdizione”3. Le

stesse forme di controllo esterno sui risultati delle politiche pubbliche

intestate alla Corte dei conti dalla l.n. 20 del 1994 dovrebbero restarne

travolte, vista anche la difficoltà di concepire, in un sistema nel quale il

pluralismo paritario sancito dall’art. 114 Cost. si ispira al principio di

differenziazione dell’art. 118 Cost., un unico soggetto in grado di garantire

il buon andamento dei pubblici uffici; in questa prospettiva residuerebbero

soltanto, alla luce dell’art. 119, i controlli della Corte dei conti finalizzati a

garantire l’equilibrio della finanza pubblica4.

Altri studiosi hanno invece fatto notare come il nuovo Titolo V non

abbia fatto venir meno l’univoco indirizzo della giurisprudenza

costituzionale che ammetteva forme di controllo sugli enti locali e sulle

amministrazioni regionali ulteriori rispetto a quelle testualmente previste

dalla Costituzione, purché “sia rintracciabile in Costituzione un adeguato

fondamento normativo o un sicuro ancoraggio a interessi

3 M. CAMMELLI, Principio di sussidiarietà e sistema delle amministrazioni pubbliche,in Le Regioni tra riforma amministrativa e revisione costituzionale. Atti dell’VIIIConvegno Nazionale di Studi regionali, Consiglio Regionale della Liguria, 25-26 gennaio2002, Maggioli, 2002, 95.

4 M. CAMMELLI, Principio di sussidiarietà, cit., 96.

6

costituzionalmente tutelati” (sent. n. 29 del 1995, che richiama, fra le altre,

sentt.nn. 219 del 1984, 452 del 1989)5.

La seconda ipotesi pare maggiormente persuasiva. Non si tratta di

scegliere fra una lettura della legislazione e degli indirizzi giurisprudenziali

anteriori alla luce del nuovo Titolo V o viceversa6, risultando ben chiaro

che i termini del procedimento interpretativo non vanno invertiti. Ciò che

piuttosto è in discussione è il significato stesso del potenziamento delle

autonomie territoriali operato dal nuovo Titolo V. Il problema della

compatibilità della disciplina delle forme di controllo anteriormente

previste con le disposizioni della l.cost. n. 3 del 2001 può esaurirsi nella

trattazione del profilo formale con riguardo alla disposta abrogazione

dell’art.130 Cost., ma richiede una rilettura di ordine sistematico ove si

discuta di tipologie di controllo non espressamente previste nemmeno dal

vecchio testo, e tuttavia ad esso riconducibili in via interpretativa. Si tratterà

di accertare, in particolare, in cosa consista l’autonomia riconosciuta agli

enti locali dal nuovo Titolo V rispetto a controlli esterni che traggano

fondamento da princìpi costituzionali il cui vigore è rimasto immutato, a

partire da quelli affermati negli artt. 97 ed 81, non meno che dalle nuove

regole sulla finanza degli enti autonomi fissate dall’art. 119.

5 A. CORPACI, Revisione del titolo V della parte II della Costituzione e sistemaamministrativo, in Le Regioni, 2001, e R. BIN, La funzione amministrativa, inAssociazione Italiana dei Costituzionalisti, Il nuovo Titolo V della Parte II dellaCostituzione. Primi problemi della sua attuazione, Bologna, 14.1.2002, Milano, 2002,125.

6 Come ritiene M. CAMMELLI, Principio di sussidiarietà, cit., 96.

7

L’ammissibilità dei soli controlli interni, oltre a quelli sulla finanza,

presuppone una visione ‘insulare’ dell’autonomia, che non pare

corrispondere alla nuova configurazione costituzionale degli enti locali. La

quale ha sì accentuato, per taluni aspetti, gli elementi di garanzia, ma senza

per ciò perdere di vista il momento relazionale, come dimostra la stessa

enunciazione dell’art. 114 là dove annovera Comuni, Province e Città

metropolitane fra gli enti di cui la Repubblica è costituita, e che anche per

questo verso costituisce una “positiva eco” dell’art. 5 Cost. (sent.n. 106 del

2002).

Quanto al principio di differenziazione, sono anch’io persuaso che

esso non abbia finora avuto, né in dottrina né tantomeno nella

giurisprudenza costituzionale, tutta l’attenzione che avrebbe meritato quale

cardine di una visione specularmente opposta al rovinoso culto per

l’uniformità che ha da sempre caratterizzato disciplina e modus operandi

delle autonomie locali. Ma esso va riferito all’organizzazione

amministrativa, non ai risultati dell’azione, i quali possono e debbono

formare oggetto di controllo alla stregua di standard uniformi, pur se

opportunamente calibrati anche sulla base delle diverse realtà territoriali.

Questo è un punto qualificante del riassestamento del rapporto fra i princìpi

di eguaglianza e unità ed il principio di differenziazione: ad organizzazioni

diverse debbono corrispondere standard uniformi sui risultati dell’azione e

dei servizi pubblici, così come, per altro verso, la “determinazione” con

legge di livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali

non significa “gestione” centralizzata, ma autonoma e perciò anche

differenziata, di quei livelli, salva la sostituzione in caso di loro mancata

tutela (cfr. artt. 117, secondo comma lett. m) e art. 120, secondo comma).

In linea di principio, l’attribuzione della funzione di controllo esterno

sulla gestione degli enti locali a un organo unico come la Corte dei conti,

che sempre più la normazione positiva ha caratterizzato come organo della

8

Repubblica nella pregnante accezione dell’art. 1147, facendole perdere i

residui connotati di organo ausiliario del Governo centrale, non solo non

contrasta ma è complementare con il potenziamento delle autonomie locali

e con il principio di differenziazione.

Nel prosieguo approfondiremo i succitati argomento cercando di

condurre un indagine partendo innanzitutto dalla identificazione di tali enti,

per poi passare alla gestione ed al controllo degli enti locali e concludendo,

infine, la nostra trattazione con un capitolo dedicato agli enti pubblici

sovvenzionati dallo Stato ed alle società a partecipazione statale.

7 Nello stesso senso G.C. DE MARTIN, Corte dei Conti, cit., e F. STADERINI, Ilcontrollo sulle Regioni e gli enti locali nel nuovo sistema costituzionale italiano, inQuaderni regionali, 2003, 846.

9

CAPITOLO I

L’IDENTIFICAZIONE E RELATIVA DISCIPLINA DEGLI

ENTI PUBBLICI

1.1) L’INDIVIDUAZIONE DI UN ENTE PUBBLICO

Prima di entrare nel vivo dell’argomento oggetto del presente lavoro,

ovvero la gestione ed il controllo finanziario degli enti finanziati dallo stato,

si rende opportuno, per non dire necessario, una identificazione di quelli

che sono gli enti pubblici.

Come è noto, l’organizzazione pubblica nel suo complesso consta di

una pluralità di organizzazioni, in genere dotate di propria personalità

giuridica, e come tali idonee ad essere titolari di poteri amministrativi.

Per Amministrazioni pubbliche (in senso soggettivo) possono

intendersi gli apparati che svolgono le attività che costituiscono

l’Amministrazione pubblica in senso oggettivo, cioè le attività svolte

nell’interesse dei cittadini, in attuazione dell’indirizzo degli apparati politici

10

e nel rispetto di specifici principi costituzionali e di una articolata disciplina

che ne costituisce svolgimento8.

Una elencazione abbastanza esaustiva delle pubbliche

Amministrazioni nel nostro ordinamento è quella contenuta nell’art. 1,

comma 2, del D. Lgs.vo 30 marzo 2001 n. 165, recante “norme generali

sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni

pubbliche”, laddove, nel dichiarato fine di disciplinare “l’organizzazione

degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle

amministrazioni pubbliche”, si precisa che “per amministrazioni pubbliche

si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e

scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed

amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le

Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni,

le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di

commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli

enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le

amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale,

l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni

(ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300”.

Come si vede, si tratta di una elencazione di una serie di figure

soggettive previste dal sistema, nell’ambito della quale si fa un generico

riferimento, tra l’altro, a “tutti gli enti pubblici non economici”, la cui

individuazione dovrebbe essere effettuata dall’ordinamento positivo. Il

problema dell’individuazione dell’ente pubblico da parte dell’interprete non

dovrebbe quindi sorgere nelle ipotesi in cui sia il diritto positivo ad

affermare espressamente la natura giuridica di un soggetto.

8Cfr. D. SORACE, Diritto delle Amministrazioni pubbliche, Bologna, 2000, p. 225.

11

Tuttavia, neppure la qualificazione operata dalla legge risulta sempre

decisiva, tanto è vero che Corte Cost., 28 dicembre 1993 n. 4669, ha

dichiarato la spettanza alla Corte dei Conti del potere di controllo sulla

gestione finanziaria delle società per azioni costituite a seguito di

trasformazione di enti pubblici economici (Iri, Ina, Eni, Enel), fino a

quando sussista una partecipazione esclusiva o maggioritaria dello Stato al

capitale azionario. Vale a dire che la pubblicità, che è il naturale

presupposto del controllo della Corte dei Conti (la quale, ex art. 100 Cost.,

“partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla

gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria”),

permane anche in presenza di una persona giuridica formalmente privata.

In quel caso, la cui soluzione è risultata poi determinante per lo

sviluppo successivo in tema di responsabilità erariale, il problema si poneva

per l’applicazione della L. 21 marzo 1958 n. 259, relativa alla

“partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria

degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria”, il cui art. 12 dispone

che “il controllo previsto dall'art. 100 della Costituzione sulla gestione

finanziaria degli enti pubblici ai quali l'Amministrazione dello Stato o

un'azienda autonoma statale contribuisca con apporto al patrimonio in

capitale o servizi o beni ovvero mediante concessione di garanzia

finanziaria, è esercitato…da un magistrato della Corte dei conti, nominato

dal Presidente della Corte stessa, che assiste alle sedute degli organi di

amministrazione e di revisione”.

In sostanza, la Corte Costituzionale ha dovuto risolvere la questione se

gli enti, sebbene privatizzati, nella loro forma giuridica possano essere

ancora oggetto di quel controllo previsto dalla citata norma del 1958 per gli

9 In Cons. Stato, 1993, II, 2116.

12

“enti pubblici”, precisando a tal fine che “le ragioni che stanno alla base

del controllo spettante alla Corte dei conti sugli enti pubblici economici

sottoposti a trasformazione non possono…considerarsi superate in

conseguenza del solo mutamento della veste giuridica degli stessi enti, ove

a tale mutamento formale non faccia seguito anche una modifica di

carattere sostanziale nell'imputazione del patrimonio (ora trasformato in

capitale azionario) tale da sottrarre la gestione finanziaria degli enti

trasformati alla disponibilità dello Stato” 10.

Per quanto riguarda poi il dato letterale, la Corte rileva che “se é vero

che l'art. 12 della legge n. 259 riferisce il controllo in questione agli "enti

pubblici", é anche vero che la disposizione espressa con tale articolo non

può non richiedere un'interpretazione adeguata al dettato costituzionale,

anche in relazione alla funzione propria di questo tipo di controllo ed alla

evoluzione subita, rispetto al tempo dell'enunciazione della norma, dalla

10Per una ricostruzione del problema in esame, vedi C. JAMBRENGHI, Azione ordinariadi responsabilità ed azione di responsabilità amministrativa in materia di società in manopubblica. L’esigenza di tutela degli interessi pubblici, in Atti del LI convegno di studi diScienza dell’Amministrazione (Varenna, settembre 2005) su Responsabilitàamministrativa e giurisdizione contabile ad un decennio dalle riforme, Milano, 2006. Aproposito dei danni arrecati al patrimonio di enti pubblici vedi anche S. BUSCEMA,Funzioni di controllo e di giurisdizione. La giurisdizione in materia di responsabilitàamministrativa e contabile, in Atti del convegno internazionale di studi su “La Corte deiConti nei paesi del Mediterraneo. Funzioni giurisdizionali in materia di contabilitàpubblica” (Agrigento, 16 e 17 aprile 2004), Verona, 2005, 24: “le norme civilistiche sullaresponsabilità (artt. da 2392 a 2395) trovano applicazione anche nei confronti diamministratori e di dirigenti che gestiscono le azioni di società formalmente privatistiche.Il mancato esercizio dell’azione di responsabilità dinanzi al giudice ordinario fa scattare ilmeccanismo della responsabilità per danno derivante al patrimonio dello Stato o di altroente pubblico, dinanzi alla Corte dei Conti in sede giurisdizionale. Occorre constatare chetale meccanismo è stato furbescamente raggirato – con l’avallo della classe politica – conla creazione di s.p.a. con la partecipazione dominante di società a loro volta create dalloStato o da altri enti comunitari”. Vedi anche M. OREFICE, Percorsi del controllo (dalcontrollo di legittimità sugli atti alle diverse e più recenti forme di controllo sullagestione), Roma, 2003, 156 e passim.

13

stessa nozione di ente pubblico”. Inoltre, “l'art.100, secondo comma, della

Costituzione, pur rinviando alla legge ordinaria la determinazione dei casi e

delle forme del controllo, riferisce il controllo stesso agli "enti a cui lo Stato

contribuisce in via ordinaria", senza porre distinzione alcuna tra enti

pubblici ed enti privati”.

Ed è la stessa Corte a ricordare come “la stessa dicotomia tra ente

pubblico e società di diritto privato si sia andata, di recente, tanto in sede

normativa che giurisprudenziale, sempre più stemperando: e questo in

relazione, da un lato, all'impiego crescente dello strumento della società per

azioni per il perseguimento di finalità di interesse pubblico (…); dall'altro,

agli indirizzi emersi in sede di normazione comunitaria, favorevoli

all'adozione di una nozione sostanziale di impresa pubblica (art.2 direttiva

CEE n. 80/723, in tema di trasparenza delle relazioni finanziarie tra gli Stati

membri e le loro imprese pubbliche; art. 1 direttiva CEE n. 90/531, in tema

di procedure di appalto degli enti erogatori di servizi)”.

E oltre al fatto che “le società per azioni derivate dalla trasformazione

dei precedenti enti pubblici conservano connotazioni proprie della loro

originaria natura pubblicistica, quali quelle, ad esempio, che si collegano

alla assunzione della veste di concessionarie necessarie di tutte le attività in

precedenza attribuite o riservate agli enti originari o che mantengono alle

nuove società le attribuzioni in materia di dichiarazione di pubblica utilità e

di necessità ed urgenza già spettanti agli stessi enti (…)”, un elemento nel

senso sostenuto dalla Corte è dato infine dalla “natura di "diritto speciale"

che va riconosciuta a dette società e che viene a emergere dal complesso

della disciplina adottata al fine di regolare il processo di "privatizzazione":

natura che risulta connotata…sia dalla costituzione che dalla struttura e

dalla gestione delle nuove società e che viene a specificarsi attraverso la

previsione di norme particolari – differenziate da quelle proprie del regime

tipico delle società per azioni – sia in tema di determinazione del capitale

sociale (…), sia in tema di esercizio dei diritti dell'azionista (spettanti al

14

Ministro del tesoro, ma previa intesa con altri Ministri…), sia infine, in

tema di patti sociali, poteri speciali, clausole di gradimento, modifiche

statutarie, quorum deliberativi nelle assemblee, limiti al possesso di quote

azionarie da parte dei terzi acquirenti (…)”; senza considerare “il vincolo

esterno connesso al fatto che i ricavi derivanti dalla cessione dei cespiti da

dismettere vanno destinati alla riduzione del debito pubblico (…)”11.

Ma come non lo è quando un ente viene espressamente definito

privato, la qualificazione operata dalla legge non risulta decisiva neppure

nei casi in cui di un ente viene sancita la pubblicità12.

11 F. CARINGELLA, Corso di Diritto Amministrativo, IV ed., I, Milano, 2005, 705,ribadisce che “la disciplina dettata per tali enti si caratterizza per la previsione di regole difunzionamento che, se da un lato costituiscono una consistente alterazione del modellosocietario tipico, comportando una compressione della autonomia funzionale degliorganismi societari, dall’altro, rivelano la completa attrazione nell’orbita pubblicisticadell’ente societario”. A. VIRGILIO, Il regime dei beni, in Atti del convegno di studi su“Le società pubbliche”, (Firenze, 20 maggio 2005), in Giust. amm., 21 ss. – rileva comenelle privatizzazioni, sia solo formali che sostanziali, così come nelle privatizzazioni nelsettore dei pubblici servizi (pagg. 60 s.s.), “anche sotto il profilo del regime dei beni lasituazione, dal punto di vista sostanziale, rimane tutto sommato immutata. Invero, i benidestinati al pubblico servizio e già qualificati come demaniali o patrimoniali indisponibili,continuano per lo più, e non di rado per legge, a restare assoggettati alla medesimadestinazione pubblica malgrado sia mutata la veste giuridica del proprietario che, aseconda dei casi, passa da un soggetto pubblico (Stato o altro ente pubblico territoriale onon) ad un soggetto, almeno nella forma, privato. Peraltro, come già accennato, sullesocietà pubbliche erogatrici di servizi succedute agli enti di gestione (o scorporate daivari Ministeri) e sul regime dei beni strumentali da esse possedute o ad esse attribuite inseguito alla privatizzazione (anche se solo formale) incide profondamente il dirittocomunitario e, in particolare, due principi”, di cui “il primo è la liberalizzazione deipubblici servizi e la conseguente libertà di concorrenza e di stabilimento, ed il secondo èil divieto di aiuti di Stato”. Per Corso, L’attività amministrativa, Torino, 1999, 156,“quelle che comunemente vengono chiamate società a partecipazione pubblica non sonouna terza specie di enti pubblici: sono invece società per azioni nelle quali azionista,unico, di maggioranza o di minoranza, è l’ente pubblico. Si tratta, cioè, di una species delgenus società per azioni (di diritto privato)”.

15

Il carattere sostanziale della distinzione tra enti pubblici ed enti

privati, con la possibilità quindi del contrasto con tale carattere della

qualificazione che eventualmente la norma dia dell’ente in modo esplicito,

emerge infatti anche da Corte Cost., 7 aprile 1988 n. 39613, che ha dichiarato

l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della L. 17 luglio 1890 n. 6972

("Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza" – IPAB),

nella parte in cui non prevede che le IPAB regionali e infraregionali

possano continuare a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto

privato, qualora abbiano i requisiti di un'istituzione privata.

Emerge quindi che ente pubblico è quello che, al di là della

definizione normativa, possa comunque essere ritenuto tale14, nel senso che

le definizioni legislative non vincolano l’interprete, il quale dovrà

determinare la natura dell’ente indipendentemente dalla sua denominazione,

12 V. OTTAVIANO, Ente pubblico, in Enc dir., XIV, 1965, precisa che “poiché lapubblicità è relativa ad una certa regolamentazione, la dichiarazione della natura pubblicadi un ente che sia in contrasto con la disciplina in effetti disposta, da sola non sarebbesufficiente a farlo qualificare pubblico. Normalmente, però, con il dichiarare che un enteè pubblico il legislatore intende indicare la regolamentazione pubblica che vuoleapplicare all'ente, sicché tale dichiarazione vale come espressione riassuntiva di siffattanormativa”.

13 In Foro Amm., 1988, 3141.

14 Cfr. E. CASETTA, Manuale di Diritto Amministrativo, Milano, 2006, p. 71.

16

per cui la stessa qualificazione esplicita è irrilevante se in contrasto con

l’effettiva natura15.

Ma l’ordinamento non sempre afferma esplicitamente la natura

pubblica di un soggetto, facendo sorgere così il problema di stabilire, a

fronte di determinate figure soggettive, se esse siano ascrivibili al genere

degli enti pubblici ovvero delle persone giuridiche private; oppure, in altri

casi, di stabilire, a fronte di determinate figure soggettive, certamente di

15 Cfr. G. VIRGA, Diritto Amministrativo, I principi, Milano, 1989, p. 14; V. CERULLIIRELLI, Ente pubblico: problemi di identificazione e disciplina applicabile, in V.CERULLI IRELLI – MORBIDELLI (a cura di), Ente pubblico ed enti pubblici, Torino,1994, p. 89 – ribadisce che “non basta una mera disposizione del legislatore per dire cheun ente è pubblico. Ovvero, la disposizione del legislatore che attribuisce o che nega lapubblicità di un ente può essere ritenuta a sua volta illegittima, sotto il profilocostituzionale ovvero comunitario”. Per Cass., sez. Un., ord. 22 dicembre 2003 n. 19667,in Foro amm. – CdS, 2004, 685, “sono attribuiti alla Corte dei conti i giudizi diresponsabilità amministrativa,…anche nei confronti di amministratori e dipendenti di entipubblici economici (restando invece per tali enti esclusa la responsabilità contabile),essendo irrilevante il fatto che detti enti – soggetti pubblici per definizione, istituiti per ilraggiungimento di fini del pari pubblici attraverso risorse di eguale natura – perseguanole proprie finalità istituzionali mediante un'attività disciplinata in tutto o in parte daldiritto privato” (nella specie, il giudizio di responsabilità per danno erariale era statopromosso nei confronti del presidente e degli altri componenti del consiglio diamministrazione nonché di dipendenti di un consorzio comprensoriale per la gestione diopere acquedottistiche – istituito tra vari comuni ai sensi dell'art. 25 L. n. 142/90 – perfatti attinenti allo svolgimento di un'operazione finanziaria dell'ente, e dunque all'attivitàimprenditoriale dello stesso). Cass. sez. Un., 26 febbraio 2004 n. 3899, in Foro amm. –CdS, 2004, 375, va ancora oltre, affermando che “l'affidamento, da parte di un Comune(nella specie: quello di Milano) ad un ente privato esterno (nella specie, una società perazioni, avente un capitale detenuto in misura assolutamente maggioritaria dallo stessoComune), della gestione del servizio relativo agli impianti e all'esercizio dei mercatiannonari all'ingrosso, integra una relazione funzionale incentrata sull'inserimento delsoggetto privato controllato nell'organizzazione funzionale dell'ente pubblico e neimplica, conseguentemente, l'assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti inmateria di responsabilità patrimoniale per danno erariale, non rilevando, in contrario, nèla natura privatistica dell'ente stesso, nè la natura privatistica dello strumento contrattualecon il quale si sia costituito ed attuato il rapporto in questione”. Per Cass., Sez. Un., 2luglio 2004 n. 12192, in Foro it., 2006, 1518, “spetta alla Corte dei conti la giurisdizionein ordine all’accertamento della responsabilità degli agenti contabili (nella specie, unasocietà per azioni e una società a responsabilità limitata) in relazione ai danni da essiprodotti ad un ente locale (il Comune di Roma) per la gestione della sosta a pagamentosul suolo comunale e dei parcheggi a pagamento”.

17

carattere pubblico, se esse siano ascrivibili al genere degli enti pubblici non

economici (perché per quelli economici la disciplina applicabile è diversa,

ed è riconducibile quasi interamente all’area del diritto privato).

In questi casi si pone cioè il problema di individuare il carattere,

pubblico o privato, economico o non economico, di una singola figura

soggettiva.

Ora, “l’identificazione in concreto dell'ente pubblico (la predicabilità

in concreto di un determinato ente come pubblico), laddove incerta, deve

essere fatta analizzando la disciplina giuridica propria di esso (gli elementi

di disciplina certi); ricavando da questi elementi, in base a parametri

normativi predeterminati, l'essere pubblico dell'ente; ciò da cui a sua volta

deriva l'applicabilità all'ente stesso di altri elementi di disciplina, che

viceversa sono incerti e che sono quelli propri degli enti pubblici in quanto

tali. …Ma se si scende al concreto e si vede come avviene questa

identificazione, cioè si scende all'applicazione in concreto di questo

procedimento interpretativo, ci si scontra con una difficoltà assai grave: che

non risultano positivamente stabiliti questi "parametri normativi

predeterminati" in base ai quali interpretare gli elementi di disciplina certi

propri di un ente come quelli tali da designarne la pubblicità. Con altre

parole, si può dire che non esistono parametri predeterminati” 16.

16 Così V. CERULLI IRELLIi, Ente pubblico, cit., p. 87, il quale (pag. 85, nota 2) rilevaanche che “la nozione di “ente pubblico” come nozione unitaria (come quella che designauna serie di fattispecie accomunate da una disciplina generale) è frutto dell’elaborazionegiurisprudenziale, pur supportata da una produzione dottrinale assai nota”.

18

Rinviando ad un paragrafo successivo l’esame dei criteri che è

possibile utilizzare per rilevare la pubblicità di un ente, è intanto necessario

precisare che la qualificazione di un ente come pubblico è importante

perché comporta conseguenze giuridiche di rilievo, anche se poi la presenza

di qualcuna di tali conseguenze è spesso considerata come indice rivelatore

della pubblicità, per cui vi è una certa sovrapposizione tra presupposti e

conseguenze.

Alle Amministrazioni pubbliche, infatti, si applica in via generale una

disciplina del tutto propria, che non trova invece applicazione alle figure

riconducibili al diritto privato, nel senso che “esistono norme, o complessi

normativi, alcuni di rilevante spessore, la cui applicazione agli "enti

pubblici" è espressamente prevista da norme dell’ordinamento positivo

ovvero da principi giurisprudenziali ormai consolidati”17.

In primo luogo, la qualificazione di un apparato organizzativo come

Amministrazione pubblica comporta, in generale, che è destinatario

dell’insieme di norme che possono considerarsi svolgimento di quegli

specifici principi costituzionali che fondano il diritto amministrativo, e che

hanno come riferimento il fatto che il compito di ogni Amministrazione

pubblica è la realizzazione di pubblici interessi18. In dottrina si è effettuata

una classificazione in categorie, avente carattere descrittivo, degli istituti

17 Cfr. V. CERULLI IRELLI, Ente pubblico, cit., P. 85.

18 Cfr. D. SORACE, op.cit., p. 226, il quale cita l’art. 11 del cod.civ., ai sensi del quale“gli enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche godono dei diritti secondo le leggie gli usi osservati come diritto pubblico”.

19

positivi, a cui si farà di seguito riferimento citandone alcuni, che formano la

disciplina generale degli enti pubblici19.

1.2) LE LIMITAZIONI DI CAPACITÀ DELL’ENTE

PUBBLICO E LA POSIZIONE DI PRIVILEGIO DELLE

PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

Così, la prima categoria comprende i c.d. “istituti di deminutio della

capacità”, che comportano l’incapacità in capo all’ente a porre in essere

determinati atti, ovvero obblighi di compiere determinati atti od operazioni,

in deroga al diritto comune20.

Tra questi istituti uno dei più importanti (tanto da essere considerato

il carattere più qualificante del regime degli enti pubblici) è la perdita della

capacità di disporre di sé stessa da parte della preesistente organizzazione,

cioè l’indisponibilità della propria esistenza. Tale carattere necessario

dell'ente pubblico comporta innanzitutto l’impossibilità per l’ente di

autoscioglimento, o di decisione autonoma di privatizzazione, come

l’impossibilità di sottrarre i beni alla loro destinazione. Indisponibilità della

19 Per tale classificazione vedi V. CERULLI IRELLI, Ente pubblico, cit., p. 90 ss.

20 Vedi ad es. gli artt. 203, 204 e 207, D. Lgs. 207/2000, relativi rispettivamente alleregole da rispettare, da parte degli enti locali, per il ricorso all’indebitamento, perassumere direttamente mutui, per rilasciare fideiussioni a favore “di aziende da essidipendenti, da consorzi cui partecipano nonché dalle comunità montane di cui fannoparte”.

20

propria esistenza che è soltanto una conseguenza della doverosità del

perseguimento dell’interesse pubblico, perché l’ente pubblico è istituito con

quella che viene definita una precisa “vocazione” allo svolgimento di una

specifica attività di rilevanza collettiva21.

Gli enti pubblici sono tenuti al rispetto di determinate norme per

quanto riguarda redazione del bilancio, utilizzo dei mezzi finanziari,

assunzione di personale.

La loro attività deve conformarsi alle norme del D. Lgs.vo n.

165/2001, recante “norme generali sull'ordinamento del lavoro alle

dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, per quanto riguarda

l’organizzazione degli uffici e i rapporti di impiego.

Le persone fisiche legate da un rapporto di servizio con un ente

pubblico sono soggette ad un particolare regime di responsabilità penale,

civile ed amministrativa, e sono tenute al rispetto del segreto d’ufficio22. Per

esse sono spesso poste specifiche incompatibilità, la cui previsione è tipica

dell’esistenza di funzioni pubbliche delicate, che il legislatore vuole

salvaguardare, nel loro svolgimento, da interferenze e attività che

potrebbero farle deviare dal rispetto delle norme e dei principi costituzionali

che governano ogni attività amministrativa.

Gli enti pubblici sono tenuti al rispetto dei principi applicabili alle

pubbliche Amministrazioni, e alcuni loro beni sono soggetti ad un regime

speciale. Anche l’attività posta in essere utilizzando gli strumenti del diritto

privato è disciplinata da regole speciali, finalizzate ad assicurare che la

21 Cfr. E. CASETTA, op.cit., p. 71, il quale rileva anche che “l’interesse è pubblico nongià perché ontologicamente si possa qualificare come tale, ma in quanto la legge,accertato che esso ha una dimensione collettiva, l’abbia imputato ad una personagiuridica, tenuta giuridicamente a perseguirlo: di qui il riconoscimento della<<pubblicità>> di quella persona giuridica”.

21

scelta del contraente avvenga nel rispetto dei principi di imparzialità e di

economicità.

Nella seconda categoria rientrano i c.d. “istituti di privilegio”, che

sottraggono l’ente all’applicazione di determinate norme di diritto comune,

in genere poste a tutela dei terzi, e finalizzate a consentire all’ente

determinate facoltà derogatorie rispetto alla normativa comune23.

Vi rientra perciò la sottrazione al regime fallimentare, stabilita per gli

enti pubblici che esercitano attività di impresa (art. 2221 c.c.; art. 1 R.D. 16

marzo 1942 n. 267 – L. fallim.).

22 Infatti, Cass. pen, sez. V, 14 aprile 1980, in Cass. pen., 1981, 1541, dopo averprecisato che “Il momento di individuazione della natura pubblica di un ente non varicercato negli scopi da esso perseguiti (dal momento che mentre alcuni enti privatiperseguono finalità cui tende lo Stato stesso, come quelle relative all'istruzione e alcredito, quest'ultimo, a sua volta, interviene frequentemente in concorrenza con i privatiin attività di natura privatistica, come nel campo dell'economia e della produzione), manel regime giuridico dello stesso nonché nella sua collocazione istituzionale in senoall'organizzazione statale, come organo ausiliario necessario al raggiungimento di finalitàdi interesse generale e, in quanto tale, dotato di poteri e prerogative analoghi a quellidello Stato e assoggettato ad un intenso sistema di controlli pubblici”, conclude che “Icaratteri sopra indicati si riscontrano negli automobil clubs provinciali, ai quali pertantodeve riconoscersi la natura di enti pubblici”, con la conseguenza che “i funzionari di talienti sono pubblici ufficiali e pubblici gli atti da essi posti in essere nell'esercizio delle lorofunzioni”.

23 Per una panoramica dei privilegi e delle limitazioni degli enti pubblici nel dirittopositivo, vedi G. ROSSI, Ente pubblico, in Enc. Giur. Treccani, Milano, XII, 1989, 12s.s., il quale rileva (pag. 14) che sussistono “aspetti non marginali che danno corpo ad unostatus pubblicistico connesso alla qualificazione pubblica degli enti, rendendo tutt’altroche evanescente la nozione di enti pubblici e che inducono quindi a ribadire lapermanente necessità di una riflessione sulle ragioni della natura pubblica degli enti”.

22

Ai beni dell’ente, in quanto destinati ad una funzione o servizio

pubblico o alla stessa sua sede, non trovano applicazione tutti quegli istituti

di diritto comune che ne comportino la sottrazione alla destinazione stessa,

e in particolare l’esecuzione forzata da parte dei creditori24.

Tale conclusione viene tratta, innanzitutto, dall’art. 4 della L. 20

marzo 1865 n. 2248, all. E, ai sensi del quale “quando la contestazione

cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell'Autorità

amministrativa, i Tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell'atto

stesso in relazione all'oggetto dedotto in giudizio”, e “l'atto amministrativo

non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle

competenti Autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato

dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso”.

Tale disposizione va poi integrata dal successivo art. 5, secondo cui

“ in questo, come in ogni altro caso, le Autorità giudiziarie applicheranno

gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano

conformi alle leggi” (la c.d. disapplicazione)25.

La norma è stata sempre intesa in modo estensivo dalla

giurisprudenza, come impediente, più in generale, il sindacato e l’ingerenza

del giudice ordinario sull’esercizio della discrezionalità amministrativa26.

24 Cfr., ex multis, Cass. civ., sez. I, 16 novembre 2000 n. 14847, in Giust. civ. Mass.,2000, 2341: “Sia le somme di denaro che i crediti dello Stato sono pignorabili, adeccezione di quelle somme di denaro che abbiano già ricevuto, per effetto di unadisposizione di legge o di un provvedimento amministrativo, una precisa e concretadestinazione ad un pubblico servizio, ossia all'esercizio di una determinata attività rivolta,direttamente o strumentalmente, all'attuazione di una funzione istituzionale della p.a., conl'erogazione della spesa per le strutture necessarie all'esercizio di quell'attività. Solo in talcaso, infatti, le somme di denaro ed i crediti dell'Amministrazione diventano indisponibilie non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggiche li riguardano (art. 828 c.c.), e, quindi, sono impignorabili per il soddisfacimento deicrediti di terzi verso l' Amministrazione”.

23

Inoltre, l’art. 828 cod. civ., relativo alla “condizione giuridica dei

beni patrimoniali”, al comma 2 dispone che “i beni che fanno parte del

patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro

destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano”, e il

successivo art. 830, relativo ai “beni degli enti pubblici non territoriali”, al

comma 2 dispone che “ai beni di tali enti che sono destinati a un pubblico

servizio si applica la disposizione del secondo comma dell'articolo 828”.

La possibilità di ottenere coattivamente quanto dovuto, in caso di

inadempimento di una pubblica Amministrazione, anche laddove possibile

incontra comunque delle limitazioni.

Infatti, l’art. 14 del D.L. 31 dicembre 1996 n. 669, convertito in L.

28 febbraio 1997 n. 30, relativo alla “esecuzione forzata nei confronti di

pubbliche amministrazioni”, dispone, al comma 1, che “le amministrazioni

25 Per un esame dei rapporti tra i due articoli, e dei poteri del giudice ordinario neiconfronti delle pubbliche Amministrazioni, sia consentito rinviare a G. TREBASTONI,La disapplicazione nel processo amministrativo, in Foro amm., 2000, p. 689 ss., nonché aG. TREBASTONI, La tutela giurisdizionale dei dipendenti di pubbliche Amministrazioni,Torino, 2006, 105 ss.

26 Cfr., ex multis, Cass. civ., sez. un., 19 agosto 2002 n. 12244, in Giust. civ., 2003, I,1582, secondo cui “l'esperibilità di un'azione possessoria nei confronti della p.a. ècondizionata al presupposto che quest'ultima abbia agito "iure privatorum", ovvero abbiaposto in essere un'attività "sine titulo", mentre, ogni qualvolta il comportamentodell'amministrazione si risolva nell'attuazione di una pubblica potestà ovvero di un attoamministrativo (sia pur viziato), la tutela possessoria è inammissibile perché, essendofunzionale al ripristino della situazione modificata o turbata dall'attività denunziata, siattuerebbe con un provvedimento di natura costitutiva che, nell'elidere gli effettidell'azione amministrativa, violerebbe il divieto imposto al giudice ordinario dall'art. 4 L.n. 2248 del 1865

24

dello Stato e gli enti pubblici non economici completano le procedure per

l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi

efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di

danaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo

esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad

esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto” 27.

Di rilievo è anche l’art. 159 (“norme sulle esecuzioni nei confronti

degli enti locali”), del D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 (Testo unico leggi

sull'ordinamento degli enti locali), il quale dispone che: 1) “Non sono

ammesse procedure di esecuzione e di espropriazione forzata nei confronti

degli enti locali presso soggetti diversi dai rispettivi tesorieri. Gli atti

esecutivi eventualmente intrapresi non determinano vincoli sui beni oggetto

della procedura espropriativa”. 2) “Non sono soggette ad esecuzione

forzata, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio dal giudice, le somme di

competenza degli enti locali destinate a: a) pagamento delle retribuzioni al

personale dipendente e dei conseguenti oneri previdenziali per i tre mesi

27 Corte Cost., 30 dicembre 1998 n. 463, in Giust. civ., 1999, I, 1277, ha dichiaratomanifestamente infondata la questione di costituzionalità di tale disposizione, sollevata inriferimento agli artt. 3, 24, 41 e 81 Cost. Il divieto di notificare l’atto di precetto –introdotto dal comma 3 dell'art. 44 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, come modificatodalla relativa legge di conversione, 24 novembre 2003 n. 326 – trova la sua ratio nellacircostanza di fatto che, nella prassi, i creditori, anche prima della scadenza dei 120giorni, procedevano a notificare anche atto di precetto, con conseguente aggravio di speseper le Amministrazioni. C’è da rilevare che se il creditore, contestualmente al titoloesecutivo, notificava all’Amministrazione anche l’atto di precetto, si trovavanell’impossibilità di avviare concretamente l’esecuzione forzata. Infatti, l’art. 481 c.p.c.dispone che “il precetto diventa inefficace, se nel termine di novanta giorni dalla suanotificazione non è iniziata l’esecuzione”. E come precisato, l’esecuzione non puòappunto più iniziare prima che siano trascorsi centoventi giorni dalla notifica del titoloesecutivo. Quindi il creditore deve opportunamente notificare previamente quest’ultimo,per notificare solo in un secondo momento l’atto di precetto; e se questo viene notificatouna volta già decorsi i centoventi giorni, deve anche assegnare l’ulteriore termine dialmeno dieci giorni per adempiere, come previsto dall’art. 482 c.p.c.

25

successivi; b) pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari

scadenti nel semestre in corso; c) espletamento dei servizi locali

indispensabili”. 3) “Per l'operatività dei limiti all'esecuzione forzata di cui

al comma 2 occorre che l'organo esecutivo, con deliberazione da adottarsi

per ogni semestre e notificata al tesoriere, quantifichi preventivamente gli

importi delle somme destinate alle suddette finalità”. 4) “Le procedure

esecutive eventualmente intraprese in violazione del comma 2 non

determinano vincoli sulle somme né limitazioni all'attività del tesoriere” 28.

L’art. 27, comma 13, L. 28 dicembre 2001 n. 448 (legge finanziaria

2002), dispone che “non sono soggette ad esecuzione forzata le somme di

competenza degli enti locali a titolo di addizionale comunale e provinciale

28 Ma Corte Cost., 18 giugno 2003 n. 211, in Foro amm. – CdS, 2003, 1823, ha dichiaratol'illegittimità del citato art. 159, commi 2, 3 e 4, nella parte in cui non prevede che laimpignorabilità delle somme destinate ai fini indicati alle lettere a), b) e c) del comma 2 non operiqualora, dopo la adozione da parte dell'organo esecutivo della deliberazione semestrale dipreventiva quantificazione degli importi delle somme destinate alle suddette finalità e lanotificazione di essa al soggetto tesoriere dell'ente locale, siano emessi mandati a titoli diversi daquelli vincolati, senza seguire l'ordine cronologico delle fatture così come pervenute per ilpagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell'ente stesso.Sulla scia di tale pronuncia, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 4 novembre 2005 n. 2003, in Giust.amm., ha affermato che “poiché il comma 5 del medesimo art. 159 dispone che i provvedimentiadottati dai commissari ad acta nominati in sede di giudizio di ottemperanza devono essere munitidell'attestazione di copertura finanziaria “e non possono avere ad oggetto le somme di cui allelettere a), b) e c) del comma 2, quantificate ai sensi del comma 3”, è evidente che il venir meno delvincolo alla disponibilità di quelle somme deciso dalla Corte Costituzionale – nel caso in cuil’Ente abbia emesso mandati di pagamento “a titoli diversi da quelli vincolati, senza seguirel'ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescrittafattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell'ente stesso” – non può non valere anche per icommissari ad acta, i quali devono quindi preliminarmente verificare se l’Ente abbia rispettato lerigorose procedure previste dalla legge, prima di seguire qualsiasi altra alternativa. Nel caso invecein cui tali procedure non siano state rispettate, e non siano disponibili altre somme, ne consegueche potranno essere utilizzate, al fine dell’esecuzione del giudicato, anche quelle destinate alpagamento delle retribuzioni al personale dipendente e dei conseguenti oneri previdenziali per i tremesi successivi, al pagamento delle rate di mutui e di prestiti obbligazionari scadenti nel semestrein corso, ed all’espletamento dei servizi locali indispensabili”. Corte Cost, 27 marzo 2003 n. 83, inForo amm. – CdS, 2003, 850, ha comunque dichiarato manifestamente infondata, in riferimentoagli art. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale del citato art. 159, nella parte in cuinon ammette procedure di esecuzione e di espropriazione forzata nei confronti degli enti localipresso soggetti diversi dai loro tesorieri, “in quanto deve escludersi che la disposizione censurata,che si limita a fissare una semplice modalità dell'azione esecutiva, evidentemente funzionaleall'esigenza di imprimere una specifica destinazione alle risorse finanziarie dell'ente locale a tuteladell'interesse pubblico, sia di per sé lesiva del diritto di agire in giudizio e del principio dieguaglianza”.

26

all'IRPEF disponibili sulle contabilità speciali di girofondi intestate al

Ministero dell'interno. Gli atti di sequestro e pignoramento eventualmente

effettuati su tali somme non hanno effetto e non comportano vincoli sulla

disponibilità delle somme”.

Ancora, l’art. 1 del D.L. 25 maggio 1994 n. 313, conv. in L. 22 luglio

1994 n. 460, di “disciplina dei pignoramenti sulle contabilità speciali delle

prefetture, delle direzioni di amministrazione delle Forze armate e della

Guardia di finanza”, dispone (comma 1) che “i fondi di contabilità speciale

a disposizione delle prefetture, delle direzioni di amministrazione delle

Forze armate e della Guardia di finanza, nonché le aperture di credito a

favore dei funzionari delegati degli enti militari, destinati a servizi e

finalità di protezione civile, di difesa nazionale e di sicurezza pubblica,

nonché al pagamento di emolumenti e pensioni a qualsiasi titolo dovuti al

personale amministrato, non sono soggetti ad esecuzione forzata, salvo che

per i casi previsti dal capo V del titolo VI del libro I del codice civile

(provvedimenti in materia di separazione dei coniugi), nonché dal testo

unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione

degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche

amministrazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5

gennaio 1950, n. 180”.

Inoltre (comma 3), “non sono ammessi atti di sequestro o di

pignoramento ai sensi del presente articolo presso le sezioni di tesoreria

dello Stato a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio. Gli atti di sequestro

o di pignoramento eventualmente notificati non determinano obbligo di

accantonamento da parte delle sezioni medesime nè sospendono

l'accreditamento di somme nelle contabilità speciali intestate alle prefetture

27

ed alle direzioni di amministrazione ed in quelle a favore dei funzionari

delegati degli enti militari” 29.

Una importante deroga alla normativa comune si ha, per gli enti

pubblici, anche in materia di cessione di crediti.

Secondo la disciplina dettata dall’art. 1260 del codice civile, infatti,

“ il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche

senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere

strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge. Le

parti possono escludere la cedibilità del credito; ma il patto non è

opponibile al cessionario, se non si prova che egli lo conosceva al tempo

della cessione”.

Già l’art. 70, comma 3, del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440

(“disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità

generale dello Stato”), disponeva invece che “per le somme dovute dallo

Stato per somministrazioni, forniture ed appalti” , dovessero “essere

osservate le disposizioni dell'art. 9, allegato E , della legge 20 marzo 1865,

n. 2248 e degli articoli 351 e 355, allegato F , della legge medesima”.

Tale art. 9 disponeva che “sul prezzo dei contratti in corso non potrà

aver effetto alcun sequestro, né convenirsi cessione se non vi aderisca

l'amministrazione interessata”.

29 Corte Cost., 9 ottobre 1998 n. 350, in Cons. St., 1998, II, 1429, ha dichiaratoinfondata, con riferimento agli art. 3, 24, 25, 28, e 113 Cost., la questione di legittimitàcostituzionale del citato art. 1, comma 3, “in quanto la disciplina stabilita per ipignoramenti sulle contabilità speciali non configura una procedura tale da determinarel'impignorabilità dei fondi assegnati alle prefetture, ma tende invece ad adeguare laprocedura di esecuzione forzata alle particolari modalità di gestione contabile dei fondistessi ed alla impignorabilità di quella parte di essi che risulti già destinata a serviziqualificati dalla legge come essenziali. Pertanto risulta giustificata la normativa secondola quale il pignoramento deve essere notificato al funzionario direttamente responsabiledella gestione contabile dei fondi e in grado di conoscere l'ammontare, la disponibilità, ivincoli di destinazione e le cause d'impignorabilità”.

28

Da ultimo, il D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (“Codice dei contratti

pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive

2004/17/CE e 2004/18/CE”), all’art. 117, relativo appunto alla “cessione dei

crediti derivanti dal contratto”, al comma 1 dispone che “le disposizioni di

cui alla legge 21 febbraio 1991, n. 52, sono estese ai crediti verso le

stazioni appaltanti derivanti da contratti di servizi, forniture e lavori di cui

al presente codice, ivi compresi i concorsi di progettazione e gli incarichi

di progettazione. Le cessioni di crediti possono essere effettuate a banche o

intermediari finanziari disciplinati dalle leggi in materia bancaria e

29

creditizia, il cui oggetto sociale preveda l’esercizio dell’attività di acquisto

30

di crediti di impresa” 30.

Inoltre, “ai fini dell’opponibilità alle stazioni appaltanti che sono

amministrazioni pubbliche, le cessioni di crediti devono essere stipulate

mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e devono essere

notificate alle amministrazioni debitrici” (comma 2), “le cessioni di crediti

da corrispettivo di appalto, concessione, concorso di progettazione, sono

efficaci e opponibili alle stazioni appaltanti che sono amministrazioni

pubbliche qualora queste non le rifiutino con comunicazione da notificarsi

al cedente e al cessionario entro quindici giorni dalla notifica della

cessione” (comma 3), “le amministrazioni pubbliche, nel contratto stipulato

o in atto separato contestuale, possono preventivamente accettare la

cessione da parte dell'esecutore di tutti o di parte dei crediti che devono

venire a maturazione” (comma 4), ed infine “in ogni caso

l’amministrazione cui è stata notificata la cessione può opporre al

cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente in base al contratto

relativo a lavori, servizi, forniture, progettazione, con questo stipulato”

(comma 5).

È indubbio che alle pubbliche Amministrazioni sono comunque

conservate alcune posizioni di privilegio anche per quanto riguarda le

obbligazioni pecuniarie che le riguardino, in generale. E questo sia se si

trovino a rivestire i panni del debitore che quelli del creditore. Come

debitore, infatti, si afferma ancora che “il principio espresso dall'art. 1194,

c.c., secondo il quale i pagamenti parziali si imputano prima agli interessi e

poi al capitale, è di dubbia applicazione nei confronti della pubblica

amministrazione, attesa la particolarità del suo procedimento contabile, e,

31

comunque, si applica solo per i pagamenti spontanei e non per quelli

coattivi, come quelli imposti da un giudicato”31.

La giurisprudenza ha tradizionalmente richiesto, al fine di

riconoscere gli interessi moratori, una previa messa in mora, o una domanda

giudiziale, affermandosi che, “con riguardo ai debiti pecuniari delle p.a., per

i quali le norme sulla contabilità pubblica stabiliscono, in deroga al

30 La citata legge 52/91, di “disciplina della cessione dei crediti di impresa”, regolamentauna serie di aspetti, tra cui la “cessione di crediti futuri e di crediti in massa” (art. 3: “1. Icrediti possono essere ceduti anche prima che siano stipulati i contratti dai qualisorgeranno. 2. I crediti esistenti o futuri possono essere ceduti anche in massa. 3. Lacessione in massa dei crediti futuri può avere ad oggetto solo crediti che sorgeranno dacontratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi. 4. Lacessione di crediti in massa si considera con oggetto determinato, anche con riferimentoa crediti futuri, se è indicato il debitore ceduto, salvo quanto prescritto nel comma 3”), la“garanzia di solvenza” (art. 4: “1. Il cedente garantisce, nei limiti del corrispettivopattuito, la solvenza del debitore, salvo che il cessionario rinunci, in tutto o in parte, allagaranzia”), “l’efficacia della cessione nei confronti dei terzi” (art. 5: “1. Qualora ilcessionario abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione ed ilpagamento abbia data certa, la cessione è opponibile: a) agli altri aventi causa delcedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi anteriormente alladata del pagamento; b) al creditore del cedente, che abbia pignorato il credito dopo ladata del pagamento; c) al fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento,salvo quanto disposto dall'articolo 7, comma 1. 2. È fatta salva per il cessionario lafacoltà di rendere la cessione opponibile ai terzi nei modi previsti dal codice civile. 3. Èfatta salva l'efficacia liberatoria secondo le norme del codice civile dei pagamentieseguiti dal debitore a terzi”), la “revocatoria fallimentare dei pagamenti del debitoreceduto” (art. 6: “1. Il pagamento compiuto dal debitore ceduto al cessionario non èsoggetto alla revocatoria prevista dall'articolo 67 del testo delle disposizioni sulladisciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata edella liquidazione coatta amministrativa, approvato con regio decreto 16 marzo 1942, n.267 . Tuttavia tale azione può essere proposta nei confronti del cedente qualora ilcuratore trovi che egli conosceva lo stato di insolvenza del debitore ceduto alla data delpagamento al cessionario. 2. È fatta salva la rivalsa del cedente verso il cessionario cheabbia rinunciato alla garanzia prevista dall'articolo 4”), il “fallimento del cedente” (art.7: “1. L'efficacia della cessione verso i terzi prevista dall'articolo 5, comma 1, non èopponibile al fallimento del cedente, se il curatore prova che il cessionario conosceva lostato di insolvenza del cedente quando ha eseguito il pagamento e sempre che ilpagamento del cessionario al cedente sia stato eseguito nell'anno anteriore alla sentenzadichiarativa di fallimento e prima della scadenza del credito ceduto. 2. Il curatore delfallimento del cedente può recedere dalle cessioni stipulate dal cedente, limitatamente aicrediti non ancora sorti alla data della sentenza dichiarativa. 3. In caso di recesso il

32

principio di cui all'art. 1182, comma 3, c.c.32, che i pagamenti si effettuano

presso gli uffici di tesoreria dell'amministrazione debitrice, la natura

"querable" dell'obbligazione comporta che il ritardo del pagamento non

determina automaticamente gli effetti della mora ex re ai sensi dell'art.

1219, commi 2 e 3, c.c., occorrendo invece la costituzione in mora mediante

intimazione scritta di cui all'art. 1219 cit., affinché sorga la responsabilità da

tardivo adempimento con conseguente obbligo di corresponsione degli

interessi moratori e di risarcimento dell'eventuale maggior danno”33.

Si ritiene inapplicabile alle pubbliche Amministrazioni l’art. 1181

c.c. (“il creditore può rifiutare un adempimento parziale anche se la

prestazione è divisibile, salvo che la legge o gli usi dispongano

diversamente”), cosicché il creditore privato non può rifiutare un

adempimento parziale di una di esse, il che può avvenire quando in bilancio

non sia stanziata una somma sufficiente a pagare l’intero debito.

Gli enti pubblici possono utilizzare procedure privilegiate per la

riscossione delle entrate patrimoniali, come quelle previste dal R.D. 14

aprile 1910 n. 639 (T.U. delle disposizioni di legge relative alla procedura

curatore deve restituire al cessionario il corrispettivo pagato dal cessionario al cedenteper le cessioni previste nel comma 2”).

31 Cfr. Cons. St., sez. IV, 15 aprile 1997 n. 399, in Foro Amm., 1997, 1069.

32 “L'obbligazione avente per oggetto una somma di danaro deve essere adempiuta aldomicilio che il creditore ha al tempo della scadenza”.

33

coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli

altri enti pubblici), che consentono alle pubbliche Amministrazioni di

avvalersi di strumenti privilegiati di riscossione coattiva che, anziché

realizzarsi mediante procedure giurisdizionali, si fondano su atti delle

Amministrazioni stesse (le c.d. ingiunzioni fiscali) 34.

33 Così Cass. civ., sez. I, 28 marzo 1997 n. 2804, in Giust. civ. Mass., 1997, p. 497. Mavedi Cons. Stato, sez. IV, 26 maggio 1998 n. 876, in Foro Amm., 1998, 1380: “le regoledel diritto privato sull'esatto adempimento delle obbligazioni si applicano ai debiti di ogninatura dell'amministrazione pubblica. Pertanto l'eventuale esigenza di adottare leprocedure della contabilità pubblica, l'incertezza sul quantum delle somme dacorrispondere o sull'identificazione dell'amministrazione debitrice non giustificano laderoga al principio della responsabilità del debitore per l'inesatto o tardivo adempimentodella prestazione, né a quello che fa decorrere gli interessi dal giorno della costituzione inmora…”. Ora, per quanto riguarda il termine dell’adempimento in generale, la disciplinadel procedimento contabile contenuta nel D.P.R. 20 aprile 1994 n. 367, Regolamentorecante semplificazione e accelerazione delle procedure di spesa e contabili, stabilisce,all’art. 7, che i pagamenti avvengano “nel tempo stabilito dalle leggi, dai regolamenti edagli atti amministrativi generali”, con la conseguenza, affermata in dottrina, che, “ inogni caso, alla scadenza del termine per il pagamento, il credito liquido si deve quindiritenere senz’altro esigibile”: E. CASETTA, op. cit., 644. Ma vedi ora il D. Lgs. 9 ottobre2002 n. 231, di “attuazione della Direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardidi pagamento nelle transazioni commerciali”. Tale decreto, nel prevedere, all’art. 1, chele disposizioni in esso contenute “si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo dicorrispettivo in una transazione commerciale”, precisa, all’art. 2, lett. a), che pertransazioni commerciali debbano intendersi “i contratti, comunque denominati, traimprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in viaesclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro ilpagamento di un prezzo”. E dopo avere stabilito, all’art. 3, che “il creditore ha diritto allacorresponsione degli interessi moratori, ai sensi degli articoli 4 e 5, salvo che il debitoredimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato dall'impossibilitàdella prestazione derivante da causa a lui non imputabile”, dispone, all’art. 4, commi 1 e2, che “gli interessi decorrono, automaticamente, dal giorno successivo alla scadenza deltermine per il pagamento” (cioè il termine stabilito in contratto) e anche che ciò avviene“automaticamente, senza che sia necessaria la costituzione in mora”. Sull’argomento siaconsentito rinviare a G. TREBASTONI, Pagamenti delle pubbliche Amministrazioni erispetto dei termini, in Foro amm. – CdS, 2003, 3493.

34

Altra regola peculiare è quella relativa alla possibilità, riconosciuta a

favore degli enti pubblici, ma non dei privati nei loro confronti, di operare

compensazioni tra propri crediti e debiti35.

34 Sull’argomento sia consentito rinviare a G. TREBASTONI, Ripetizione di aiuticomunitari e riscossione privilegiata (nota a Cons. St., sez. VI, 8 maggio 2001 n. 2599),in Foro amministrativo – CdS, 2002, 1524. L’art. 2 del citato R.D. dispone che “ilprocedimento di coazione comincia con la ingiunzione, la quale consiste nell'ordine,emesso dal competente ufficio dell'ente creditore, di pagare entro trenta giorni, sottopena degli atti esecutivi, la somma dovuta”. Come specificato dal successivo art. 3,“entro trenta giorni dalla notificazione della ingiunzione, il debitore può contro di questaprodurre ricorso od opposizione avanti il conciliatore o il pretore, o il tribunale delluogo, in cui ha sede l'ufficio emittente, secondo la rispettiva competenza, a norma delCodice di procedura civile”. Lo speciale procedimento ingiunzionale disciplinato dalR.D. 639/1910 è comunemente ritenuto applicabile “non solo per le entrate strettamentedi diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto privato, trovando il suo fondamento nelpotere di autoaccertamento della Pubblica Amministrazione”: così Cass. Sez. I, 15 giugno2000 n. 8162, in Giust. civ. Mass., 2000, 1306. Il presupposto fondamentale richiesto èperò “che il credito in base al quale viene emesso l'ordine di pagare la somma dovuta siacerto, liquido ed esigibile, senza alcun potere di determinazione unilateraledell'amministrazione, dovendo la sussistenza del credito, la sua determinazionequantitativa e le sue condizioni di esigibilità derivare da fonti, da fatti e da parametriobiettivi e predeterminati, e riconoscendosi all'amministrazione un mero potere diaccertamento dei detti elementi ai fini della formazione del titolo esecutivo”: Cass. Sez. I,15 giugno 2000 n. 8162, cit. Una caratteristica fondamentale della c.d. “ingiunzionefiscale” è che essa cumula in sé le caratteristiche del titolo esecutivo e del precetto, eproprio per tale inscindibile cumulo “non può essere scissa e distinta in un titoloesecutivo e in un atto di precetto, ciascuno di essi regolato dalle norme del codice diprocedura civile che lo riguardano, sicché alla stessa non può essere riferito ed applicatol'art. 481 cod. proc. civ., sulla cessazione dell'efficacia del precetto per il decorso deltermine di 90 giorni dalla sua notifica senza che sia stata iniziata l'esecuzione”.

35 Strettamente legato a tale profilo, sebbene inserito in una concezione ormainormativamente superata di Amministrazione dello Stato unitariamente considerata, èl’istituto del c.d. fermo amministrativo, disciplinato dall’art. 69 della legge di contabilità

35

1.3) L’EQUIPARAZIONE TRA SOGGETTI PUBBLICI E

SOGGETTI PRIVATI CHE SVOLGONO ATTIVITÀ

AMMINISTRATIVA

La terza categoria di istituti positivi che formano la disciplina generale

degli enti pubblici è una specificazione della precedente, cioè di quella

relativa agli istituti di privilegio, perché attiene alla titolarità, in capo

all’ente, di poteri amministrativi in senso tecnico (anche se, come si è già

detto, l’espressa attribuzione legislativa di poteri amministrativi è

considerata uno dei sintomi di pubblicità dell’ente, qualora sia incerta)36.

Come in giurisprudenza si è sempre precisato, in ogni caso tutti gli

enti pubblici, in quanto tali, sono titolari di un minimo di poteri

amministrativi37, e in particolare della potestà statutaria38.

Soltanto gli enti pubblici possono emanare provvedimenti che hanno

efficacia autoritativa sul piano dell’ordinamento generale, impugnabili

dello Stato (R.D. 18 novembre 1923 n. 2440). Secondo tale disposizione, qualoraun'amministrazione dello Stato (non quindi una pubblica Amministrazione qualsiasi) –che abbia, a qualsiasi titolo, ragione di credito verso soggetti che vantino crediti neiconfronti di altre amministrazioni – richieda a queste ultime la sospensione delpagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo. Dopol’accertamento dell’esistenza del debito nei confronti del terzo, da partedell’Amministrazione, con provvedimento definitivo potrà avvenire l’effettivoincameramento delle somme dovute dallo Stato al terzo, e la compensazione legale deidebiti con i crediti dello Stato. Come precisato in giurisprudenza, “il provvedimento difermo amministrativo ha natura cautelare ed è assistito, per definizione, da motivi diurgenza, in quanto rivolto a sospendere, in presenza di ragioni di credito, eventualipagamenti dovuti, la cui mancata erogazione, altrimenti, sarebbe ascritta a moradell’amministrazione debitrice; proprio per la sua natura cautelare e intrinsecamenteprovvisoria, può essere adottato non solo quando il diritto di credito a cautela del quale èdisposto sia già definitivamente accertato, ma anche quando il credito sia contestato, masia ragionevole ritenerne l’esistenza, posto che suo presupposto normativo…è la mera<<ragione di credito>> e non la provata esistenza del credito stesso”: così Cons. St., sez.VI, 8 aprile 2002 n. 1909, in Foro amm. CDS, 2002, p. 965.

36

dinanzi al giudice amministrativo, e soltanto ad essi è riconosciuta la

potestà di autotutela, intesa come il potere di risolvere un conflitto di

interessi (vedi l’autotutela demaniale), e di sindacare la validità di propri

atti, con l’emanazione di provvedimenti di secondo grado.

E gli atti attraverso i quali l’ente provvede alla propria organizzazione,

ed esercita la propria attività, sono considerati veri e propri atti

amministrativi, in quanto tali soggetti alla disciplina generale sul

procedimento amministrativo e sul diritto di accesso, di cui alla L. 7 agosto

1990 n. 241, ed alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Per i soggetti formalmente privati (enti pubblici privatizzati, società

miste, ecc.) tale principio vale, quanto meno, per quella parte di attività con

36 Sulle società per azioni a cui “partecipano lo Stato o gli enti pubblici” in G. AULETTA –N. SALANITRO, Diritto commerciale, XIV ed., Milano, 2003, 261 ss. – nell’esaminare leparticolarità di tale disciplina (potere esclusivo di nomina e revoca di amministratori,potere di esprimere il gradimento all’acquisizione di partecipazioni rilevanti ai fini delcontrollo della società, potere di veto all’adozione di delibere di scioglimento o fusionedella società, ecc.), si rileva che “anche tali società rimangono di natura privata, mapoiché alla disciplina di diritto comune sono apportate alcune deroghe, le società conpartecipazione pubblica vengono anche definite <<società di diritto speciale>>”.

37 Cfr., ex multis, Cons. St., Ad. Pl., 7 luglio 1975 n. 5.

38 V. OTTAVIANO, op. cit., rileva che “un ente che sia dotato di poteri pubblici èpubblico. Non vale però la proposizione inversa, giacché…la attività dell'ente può essereregolata come compiuta nell'esercizio di un compito pubblico anche se svolta verso i terzinelle forme del diritto privato”.

37

la quale l’ente realizzi pubblici interessi. Ed infatti, l’art. 1 della L. 241/90,

al comma 1-ter – aggiunto dall'art. 1 L. 11 febbraio 2005 n. 15 – dispone

che “i soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative

assicurano il rispetto dei princìpi di cui al comma 1”, ai sensi del quale

“ l'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta

da criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza

secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni

38

che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai princìpi dell'ordinamento

comunitario” 39.

Il successivo art. 22, poi, nel fornire la definizione di pubblica

amministrazione, al fine dell’esercizio del diritto di accesso, precisa che per

«pubblica amministrazione» si intende “tutti i soggetti di diritto pubblico e

i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico

interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”.

39 Vedi T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. I, 7 febbraio 2005 n. 145, in Foro amm. – T.A.R.,2005, 2, 557, per la precisazione che “la natura giuridica dell'ente resistente (nellafattispecie, società consortile a partecipazione pubblica minoritaria, avente personalitàgiuridica di diritto privato) non implica, di per sè, l'impossibilità di qualificare i relativiatti come provvedimenti amministrativi; pertanto, gli atti con i quali i gruppi di AzioneLocale (cosiddetti Gal), incaricati di gestire sovvenzioni pubbliche da concedere aidestinatari finali del finanziamento, procedono, attraverso un procedimento di evidenzapubblica, all'individuazione delle proposte progettuali più vantaggiose, costituisconoesercizio di funzioni oggettivamente pubblicistiche, per cui sono soggetti allagiurisdizione del g.a.”. Per T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 6 agosto 2002 n. 7010, in Foroamm. – T.A.R., 2002, 2532, gli atti delle Ferrovie dello Stato s.p.a. e della ReteFerroviaria Italiana sono soggettivamente ed oggettivamente amministrativi, “perché,nonostante la veste solo formalmente privatistica, tali società sono concessionarie "exlege" della gestione del servizio di trasporto ferroviario e quindi sostituto ed organoindiretto della p.a.”. Interessanti le considerazioni di A. ROMANO, Relazione alconvegno di studi su “Le nuove regole dell’azione amministrativa” (Catania, 11 e 12novembre 2005), Catania, 2006, 16 – il quale evidenzia che le regole cui sonoassoggettate le pubbliche Amministrazioni hanno “una precisa ragion d'essere e quindi,una radice comune. Conseguono, cioè, da un principio di base: l'attivitàdell'amministrazione che ne è oggetto, deve considerarsi permeata intrinsecamente dallasua funzionalizzazione a fini collettivi; solo da questo punto di vista, mi pare, si puòcomprendere perché la vincolino, e in che modo, sul fondamento del principio dilegittimità. Quindi, la disposizione che sottopone quell'azione di tali soggetti privati, intale loro ruolo, alle medesime regole che le amministrazioni devono osservare quandoagiscano anzitutto pubblicisticamente, ha un chiaro presupposto: che anche questa azionedebba considerarsi del pari così funzionalizzata. È abbastanza generalmente accettato, eda tempo, che così accada, quando tali soggetti privati operino esercitando capacitàpubblicistiche: che, come è tradizionalmente risaputo, possono essere attribuite, peresempio, ai concessionari di funzioni pubbliche, sia pure entro certi limiti e con certicaratteri. Ma, ora, si deve precisare: la medesima funzionalizzazione deve essere rilevatapure in quella attività amministrativa che quei soggetti privati medesimi esercitino con laloro capacità di diritto comune. Certo, è assai problematico distinguere e delimitarequesta attività così funzionalizzata di tali soggetti, dall'altra che per loro è generalmenteconnaturata, che funzionalizzata non è, che è da loro liberamente determinata secondo iloro personalissimi scopi e valutazioni. Ma che la prima esista pare indubbio”.

39

Anche al fine dell’applicazione della normativa in materia di appalti, i

soggetti privati sono ormai equiparati ai soggetti pubblici. Ed infatti, l’art. 3

del D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a

lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e

2004/18/CE), dopo aver premesso, al comma 3, che “i «contratti» o i

«contratti pubblici» sono i contratti di appalto o di concessione aventi per

oggetto l’acquisizione di servizi, o di forniture, ovvero l’esecuzione di opere

o lavori, posti in essere dalle stazioni appaltanti, dagli enti aggiudicatori,

dai soggetti aggiudicatori”, ai commi 29 e 31 precisa che “gli «enti

aggiudicatori»…comprendono le amministrazioni aggiudicatrici, le

imprese pubbliche, e i soggetti che, non essendo amministrazioni

aggiudicatrici o imprese pubbliche, operano in virtù di diritti speciali o

esclusivi concessi loro dall’autorità competente secondo le norme vigenti”,

e che “gli «altri soggetti aggiudicatori»,…sono i soggetti privati tenuti

all’osservanza delle disposizioni del presente codice”.

In base allo stesso criterio, l’art. 244 del medesimo Codice ha disposto

che “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo

tutte le controversie, ivi incluse quelle risarcitorie, relative a procedure di

affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti,

nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa

comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica

previsti dalla normativa statale o regionale” 40.

40 Per un esame delle problematiche legate all’applicazione di tale normativa,riproduttiva della norma di cui all’art. 6 L. 205/2000, vedi R. DE NICTOLIS, Affidamentidi lavori, servizi e forniture, in Caringella-Garofoli, Trattato di Giustizia Amministrativa,Il riparto di giurisdizione, Milano, 2005, vol. I, 823 ss.

40

Gli enti pubblici sono poi soggetti all’applicazione della normativa in

materia di semplificazione amministrativa, di cui al D.P.R. 28 dicembre

2000 n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in

materia di documentazione amministrativa), il cui art. 2 dispone che le

norme del testo unico “disciplinano la formazione, il rilascio, la tenuta e la

conservazione, la gestione, la trasmissione di atti e documenti da parte di

organi della pubblica amministrazione; disciplinano altresì la produzione

di atti e documenti agli organi della pubblica amministrazione nonché ai

gestori di pubblici servizi nei rapporti tra loro e in quelli con l'utenza, e ai

privati che vi consentono”.

Si pone ad esempio il problema se anche alcuni enti privati possano

essere ritenuti equiparabili, al fine dell’applicazione della citata normativa,

“agli organi della pubblica amministrazione”, ai quali possono essere

prodotti atti e documenti ai sensi del citato DPR. Infatti, anche l’art. 19 di

tale DPR, relativo alle “modalità alternative all'autenticazione di copie”,

prevede che “la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà di cui

all'articolo 47 può riguardare anche il fatto che la copia di un atto o di un

documento conservato o rilasciato da una pubblica amministrazione…sono

conformi all'originale”.

In base allo stesso criterio prima enunciato, è da ritenere che anche

quegli enti privati che svolgano attività di pubblico interesse siano soggetti

all’applicazione di quella normativa, e, almeno da quel punto di vista,

debbano essere considerati “organi della pubblica amministrazione”, con la

duplice conseguenza che, da una parte, tali enti sono tenuti a consentire ai

privati la presentazione di dichiarazioni sostitutive e, dall’altra, che i privati

stessi, ad esempio in sede di partecipazione ad una gara d’appalto, possono

attestare con propria dichiarazione sostitutiva la conformità all’originale

anche di copie o di documenti rilasciati da quegli enti41.

41

Infine, come quarta categoria di istituti positivi attinenti alla disciplina

generale degli enti pubblici, vengono individuati i c.d. istituti di ingerenza,

inerenti alla soggezione ad altri poteri amministrativi di cui altri enti sono

titolari. Gli enti pubblici sono infatti soggetti a particolari rapporti o

relazioni (con lo Stato, la Regione, ecc.), la cui intensità (strumentalità,

dipendenza, ecc.) varia in relazione all’autonomia dell’ente. Tra questi

emerge il potere, ritenuto dalla giurisprudenza di portata generale, di

annullamento degli atti amministrativi, ad opera dell’ente titolare del potere

di vigilanza, e il c.d. potere di annullamento straordinario.

Infatti, anche dopo le modifiche al titolo V della Costituzione, resta

salvo quanto previsto dall'art. 2, comma 3, lett. p) della L. 23 agosto 1988 n.

400, ai sensi del quale il Consiglio dei Ministri mantiene il potere di

annullamento straordinario, a tutela dell'unità dell'ordinamento, degli atti

amministrativi illegittimi di qualsiasi Amministrazione42, previo parere del

Consiglio di Stato43.

41 Cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 23 febbraio 2006 n. 265, in Foro amm. T.A.R.,2006, p. 764, che ammette la possibilità di presentare una dichiarazione sostitutiva, alposto dell'attestazione rilasciata da una Società di Attestazione (SOA), in un caso in cui lacommissione aveva escluso dalla gara la ricorrente proprio per non aver prodottol'attestazione, nonostante né il bando né il disciplinare di gara contenessero alcun divietoespresso di sostituire la predetta attestazione con una dichiarazione sostitutiva. Cfr. ancheId., 5 ottobre 2006 n. 16178 (a proposito della presentazione della copiadell’attestazione), e Cons. St., sez. VI, 14 ottobre 2003 n. 6280, in Servizi pubbl. eappalti, 2004, 180.

42 Anche degli enti locali, visto che l’art. 138 del D. Lgs. N. 267/2000 (T.U. enti locali)lo fa salvo.

42

1.4) LE DIVERSE TIPOLOGIE DI ENTI

Al fine di affrontare il discorso relativo al modo di individuare un ente

pubblico, sembrano ancora attuali le considerazioni di Federico Cammeo,

secondo cui “persona giuridica pubblica è quella che ha per scopo

l’esecuzione di una pubblica funzione”, con la precisazione che “pubblica

funzione, positivamente parlando dal punto di vista giuridico, è il

dispiegamento di attività per soddisfare bisogni sentiti da una pluralità di

persone che il diritto reputa in un determinato momento storico e in

determinate contingenze debba esercitarsi dallo Stato o direttamente o

indirettamente a mezzo di altra personalità” 44.

È certamente curioso il fatto che già quasi un secolo addietro lo stesso

Cammeo potesse rilevare che “non vi è un tipo speciale e fisso di persona

giuridica pubblica”, e che “è impossibile determinare a priori quali sono

funzioni pubbliche e quali no per desumere direttamente dalla natura della

funzione la natura dell’ente”45.

43 Corte Cost. 21 aprile 1989 n. 229, in Rass. Avv. Stato, I, 15, ha dichiarato incostituzionale ladisposizione citata, nella parte in cui prevede l'adozione da parte del Consiglio dei Ministri delledeterminazioni concernenti l'annullamento straordinario degli atti amministrativi illegittimi delleRegioni e delle Province autonome.

44 F. CAMMEO, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, Milano, s.d.(ma 1910), p. 650.

45 Cfr. F. CAMMEO, op. cit., 651.

43

La difficoltà di definire l’ente pubblico deriva dal fatto che

l’articolazione della sfera pubblica non consente più di definire il

“pubblico” come concetto omogeneo, perché non esiste, in effetti, un solo

modo di essere “pubblico”, in quanto un soggetto pubblico può essere

manifestazione di un ente territoriale o di un corpo sociale diverso, e può

esercitare o meno poteri autoritativi46.

“Ma dappoichè dalla natura intrinseca della funzione esercitata non si

può desumere se essa sia pubblica o no, e d'altro canto è dalla natura della

funzione che si caratterizza l'organo, per non cadere in una petizione di

principio, bisogna dedurre da un qualche dato estrinseco la natura della

funzione. Questo dato è l'obbligo della persona giuridica verso lo stato o

altra persona giuridica pubblica di adempiere il proprio scopo, obbligo che

deve essere inerente alla stessa natura dell'ente, cioè nascere dalla sua stessa

costituzione indipendentemente da un successivo e speciale vincolo

giuridico e deve esser fondato sopra una norma di legge scritta o di

consuetudine avente forza di legge. Ma siccome quest'obbligo non è

formulato espressamente così bisogna desumerlo anch'esso da altri dati

estrinseci”47.

Vale a dire che occorre individuare diverse radici della natura pubblica

degli enti, e soprattutto compiere analisi dei diversi tipi, anziché forzarli in

un unico schema, che risulterebbe poco rappresentativo48.

46 Cfr. G. ROSSI, Introduzione al Diritto Amministrativo, Torino, 2000, 201.

47 Così F. CAMMEO, op. cit., p. 652.

44

Il problema che allora si pone, e la cui soluzione è variata

storicamente, è quello di stabilire quali possono essere considerati gli

elementi di disciplina, cioè gli istituti positivi, sintomatici della pubblicità

di un ente.

Come evidenziato in dottrina, si è passati nel tempo da una concezione

sostanzialistica di tali elementi sintomatici (individuati ad esempio nella

circostanza che alla persona giuridica fossero attribuiti dalla legge poteri

amministrativi in senso tecnico, o comunque compiti specifici di cura di

interessi pubblici), ad una concezione che, senza abbandonare la prima, si

presenta più formale e organizzatoria di tali indici esteriori (individuati

nella disciplina organizzativa concernente la persona giuridica, e quindi, ad

esempio, nel potere di nomina o revoca degli amministratori, nel potere di

controllo sul funzionamento degli organi o sulla legittimità di certi atti, la

previsione di finanziamenti stabili, ecc.)49.

Avendo però presente, come peraltro da più parti è stato sottolineato,

che di tali indici esteriori, utilizzati in dottrina e giurisprudenza per

riconoscere un ente pubblico, nessuno può essere ritenuto, da solo,

sufficiente, mentre invece essi vengono ritenuti idonei ove considerati nel

loro complesso, cioè combinati tra loro50.

48Cfr. M.S. GIANNINI, Il problema dell’assetto e della tipizzazione degli enti pubblicinell’attuale momento, in Riordinamento degli enti pubblici e funzioni delle loroAvvocature, Napoli, 1974, p. 43.

49 Cfr. V. CERULLI IRELLI, Corso di Diritto Amministrativo, Torino, 2001, p. 116.

50 Per V. OTTAVIANO, op. cit., tali indici “rivelano la natura pubblica dell'ente solo se nedimostrano il dovere istituzionale di agire per la cura di un interesse collettivo”. Cfr., nell’ottica

45

Ed infatti, in giurisprudenza si trova precisato che la natura pubblica

di una persona giuridica dipende dall’inquadramento istituzionale della

stessa nell’apparato organizzativo della p.A., cioè dal rapporto in cui tale

soggetto di diritto, in conseguenza dell’attività espletata, viene a trovarsi

rispetto allo Stato o all’ente territoriale di riferimento; pertanto, la

qualificazione di un ente come pubblico o privato, allorché la sua natura

non sia dichiarata espressamente, costituisce il risultato di una ricerca

ermeneutica che ha per oggetto le norme legislative, regolamentari e

statutarie51.

esposta nel testo, quanto precisato da Cons. St., sez. VI, 25 maggio 1979 n. 384, in Riv. amm. R.It., 1979, p. 643: “Il perseguimento di finalità e di interessi pubblici, da un lato, e la sottoposizioneai poteri di direttiva e di controllo da parte di Enti pubblici, dall'altro, non costituiscono, di per sé,elementi a cui sia necessariamente collegabile la pubblicità del soggetto, com'è dimostrato da unavastissima serie di Istituti (taluni dei quali come i Partiti ed i Sindacati, esercitano addiritturafunzioni di rilevanza costituzionale), di cui è concordemente ammessa la natura privata”; per cui“al fine di affermare la natura pubblica di un Ente non è sufficiente il collegamento dell'Ente stessocon un Ente pubblico esponenziale del sistema organizzatorio di cui esso fa parte, ma è richiestaun'indagine specifica, intesa ad accertare la sussistenza degli elementi sostanziali e formali checostituiscono gli indici necessari della pubblicità”. In termini analoghi Cass. civ., sez. lav., 2dicembre 1977 n. 5245, in Riv. amm. R. It., 1978, 618: “I caratteri distintivi dell'ente pubblico nonstanno nelle finalità da esso perseguite, dal momento che alcuni enti, sicuramente privati,perseguono finalità a cui tende lo Stato stesso mentre quest'ultimo svolge anche attivitàprivatistiche, ma sono dati in modo preminente dalla titolarità di pubblici poteri, diautoorganizzazione, di certificazione e di autotutela, dalla operatività necessaria, ossiadall'impossibilità che i suoi compiti vengano espletati da altri soggetti che non siano altri entipubblici ad essi preposti, e dall'impossibilità che l'ente stesso fallisca o si estingua per propriavolontà, nonché dal controllo e dall'ingerenza dello Stato o di altri enti pubblici sulla formazionedella sua volontà”. Il concetto è ribadito da Cass. civ., sez. un., 19 luglio 1982 n. 4212, in Giust.civ. Mass., 1982: “la natura pubblicistica o privatistica dell'attività di un ente pubblico deve esseredesunta, più che dalla correlazione o meno con le finalità istituzionali dell'ente, dal tipo diorganizzazione con cui essa viene esplicata, dovendosi qualificare attività pubblicistica quella chesi svolga utilizzando un'organizzazione improntata a criteri pubblicistici, indipendentemente dallasua correlazione con il fine primario o con un fine strumentale e secondario del medesimo ente,mentre deve qualificarsi privatistica l'attività che, pur se diretta al perseguimento di una finalitàistituzionale, si svolga mediante un'organizzazione improntata a criteri di economicità, cioè tesa alprocacciamento di entrate remunerative dei fattori produttivi”.

51 Così Cons. St., sez. VI, 23 ottobre 1973 n. 397. Anche T.A.R. Lombardia, 15 luglio 1981 n.796, in Tributi, 1981, p. 819, afferma che “nei casi in cui sia difficile accertare la natura – pubblicao privata – di un ente, diviene decisivo l'aspetto formale attinente al regime delle norme, di dirittopubblico o privato, in cui l'ente, in virtù degli atti che ne disciplinano l'attività, è tenuto a operare”.Vedi anche A.M. SANDULLI, Manuale di Diritto Amministrativo, Napoli, 1989, pp. 193-194:“l’elemento al quale occorre rifarsi per stabilire, nei casi dubbi (e cioè nei casi in cui un ente nonsia definito pubblico, direttamente o indirettamente, dalle leggi), se si sia in presenza di un ente

46

Tenendo presente che deve dirsi comunque pubblico un ente tutte le

volte che dalla ricostruzione sistematica della sua disciplina legislativa

risulti che le situazioni giuridiche che l’ordinamento gli attribuisce, e la sua

stessa soggettività che tale ordinamento istituisce o riconosce, siano

causate, o improntate al principio di necessaria funzionalità dell’attività

amministrativa rispetto ai fini pubblici che la legge gli impone di

perseguire. Mentre non può che dirsi privato, viceversa, un ente per il quale

una tale funzionalizzazione non sia riscontrabile52.

pubblico, non può essere cercato tanto negli interessi (generalmente collettivi, ma non semprepropri dell’Ente superiore, Stato o Regione, legittimato ad istituire un tale ente) che l’entepersegue, quanto nel regime (trattamento) che ai singoli enti faccia il diritto positivo (e cioènell’aspetto formale). Ciò che occorre determinare è unicamente se l’ente del quale si tratti siacollocato dall’ordinamento in una posizione giuridica particolare, differenziata da quella propriadei soggetti di diritto comune, o, meglio, se l’ente sia assoggettato ad un regime giuridico il qualegli conferisca poteri e prerogative di diritto pubblico, che in qualche modo lo assimilino a quellidegli enti che sicuramente hanno natura pubblica, facendone perciò un «pubblico potere». Lapeculiarità di tale posizione fatta agli enti pubblici trova la sua ragion essere nel fatto che essi, nelperseguire i propri fini, soddisfano interessi che stanno particolarmente a cuore all’ordinamentogenerale, e anzi talvolta hanno per compito addirittura la cura di interessi propri dell’Entesuperiore, Stato o Regione (enti strumentali). È infatti appunto in considerazione di tali circostanzeche l’ordinamento fa, di tali enti, dei soggetti pubblici, inserendoli così nel sistema delle pubblicheAmministrazioni. Il momento di individuazione della categoria degli enti pubblici va perciòcercato in elementi estrinseci e formali: e precisamente proprio nel regime giuridico, enell’inserimento istituzionale degli enti stessi nell’organizzazione amministrativa pubblica, chepuò avere carattere multiforme, per cui si parla di atipicità degli enti pubblici e della loro capacitàgiuridica”. A proposito degli orientamenti giurisprudenziali in materia di indici di riconoscibilità diun ente pubblico vedi anche B. MOLLICA, Gli enti pubblici non economici, in Falcone-Pozzi (acura di), Il Diritto Amministrativo nella giurisprudenza, I, Torino, 1998, 183.

52 A. VIRGILIO, op.cit., p. 86, cita la Patrimonio dello Stato s.p.a., costituita – ex art. 7,1° comma, D.L. 63/2002, conv. in L. 15 giugno 2002 n. 112 – allo scopo di“valorizzazione, gestione ed alienazione del patrimonio dello Stato”: “societàformalmente privata, ma sostanzialmente pubblica con funzioni tipiche di entestrumentale, poiché il capitale non può essere che pubblico ed opera secondo direttiveministeriali previa delibera del CIPE”.

47

Necessaria funzionalità del suo essere e del suo agire, con riferimento

ai valori di cui all’art. 97 Cost., che impedisce all’Amministrazione, anche

all’interno dei limiti con i quali l’ordinamento generale le attribuisce i

poteri, di esercitarli in modo libero, nel senso nel quale i privati possono

esplicare liberamente la loro capacità negoziale, perché quel principio le

impone di esercitare tali poteri per il perseguimento dei fini per i quali

l’ordinamento generale glieli ha attribuiti53.

Precisazione, questa, che vale anche per tutte le ipotesi in cui non di

veri e propri poteri si tratti, ma di svolgere l’attività per la quale l’ente è

stato previsto. Infatti, come si crede di aver già precisato, la mancata

attribuzione ad un ente di poteri pubblicistici non esclude affatto che, ciò

nonostante, esso debba essere così qualificato, perché quel che è essenziale,

per la sua pubblicità, è appunto tale sua funzionalizzazione, che non deve

inerire necessariamente a poteri pubblicistici.

Sembra quindi cogliere nel segno la tesi secondo cui, anziché

ricostruire una figura unitaria di ente pubblico, deve piuttosto individuarsi il

minimo comune denominatore delle varie figure pubbliche, cioè il criterio

base sottostante alle diverse qualificazioni pubblicistiche54, individuabile,

per ciascuna figura giuridica pubblica, nella valutazione, da parte dell’ente

di riferimento (Stato o Regione), della necessità dell’esistenza di tale figura,

nel senso che va considerato pubblico l'ente la cui esistenza è considerata

53 Cfr. A. ROMANO, Introduzione, in Mazzarolli, Pericu, A. ROMANO, RoversiMonaco, Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, III ed., Bologna, 2001, 55 ss., p. 276.

54 Cfr. G. ROSSI, Introduzione, cit., 203.

48

necessaria dall’ente territoriale, che vi intrattiene quindi rapporti connessi a

tale valutazione. Le valutazioni circa il carattere necessario dell'ente hanno,

ovviamente, carattere politico e quindi sono non solo storicamente

determinate ma anche variabili, in connessione ai diversi indirizzi politici.

Le finalità che portano alla istituzione di enti pubblici, o al conferimento

della natura giuridica pubblica a organismi già esistenti, possono essere le

più varie, e vanno dalla volontà di disporre di un organismo volto a

realizzare gli stessi fini che potrebbero essere perseguiti

dall’Amministrazione diretta, ma che si ritiene preferibile realizzare con

strumenti organizzativi più flessibili, fino alla volontà di tutelare interessi

che non sono propri dell'ente territoriale ma ai quali si ritiene di dover

accordare una tutela rafforzata. È chiaro che tale valutazione dell'ente

territoriale non è effettuata discrezionalmente dagli amministratori dell'ente,

ma è manifestata con atto normativo.

È infine da sottolineare come l’individuazione formale dell'ente

pubblico nel nostro ordinamento sia in parte superata, o comunque ridotta

ad una rilevanza molto inferiore, a fronte della nozione di origine

comunitaria, ma pienamente accolta nell'ordinamento nazionale, degli

“organismi di diritto pubblico”, “istituiti per soddisfare specificatamente

bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o

commerciale, e avente personalità giuridica e la cui attività è finanziata in

modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da organismi di diritto

pubblico, oppure la cui gestione è soggetta al controllo di questi ultimi,

oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza è

costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli

enti locali o da altri organismi di diritto pubblico” [cfr. art. 3, commi 25 e

26, D. Lgs.vo 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a

lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e

2004/18/CE), laddove, nel definire le «amministrazioni aggiudicatrici», tali

organismi sono equiparati alle amministrazioni dello Stato, agli enti

49

pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici, alle associazioni,

unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti]55.

Ora, mentre in ambito nazionale si è tradizionalmente tentato di

elaborare, nei termini sopra evidenziati, una concezione tendenzialmente

unitaria di soggetto pubblico, nell’ordinamento comunitario, invece, la

nozione di soggetto pubblico non è intesa come categoria unitaria.

Come è stato infatti rilevato56, “al contrario, per affermazione della

stessa Corte di Giustizia, tale nozione viene elaborata settore per settore,

tanto sul piano normativo quanto nell'interpretazione giurisprudenziale,

adattandola, quindi, alle esigenze sottese alla normativa delle singole

materie nelle quali il riferimento al soggetto pubblico è necessario ed

obbligato, sì da estenderne o ridurne, caso per caso, l’ampiezza”.

Così, ad esempio, al fine di stabilire l'ambito di operatività della

deroga al principio della libera circolazione dei lavoratori all'interno della

Comunità (ex art. 39, par. 4, relativo al potere degli Stati membri di

riservare ai propri cittadini gli impieghi nella “pubblica amministrazione”, e

art. 45, par. 1, del Trattato CE, che prevede una deroga alla libertà di

55 Cfr., ex multis, Corte giustizia CE, sez. VI, 15 maggio 2003 n. 214, in Foro amm. –CdS, 2003, 1489: “il carattere privatistico di un organismo non costituisce motivo perescludere la qualificazione dello stesso come amministrazione aggiudicatrice ai sensidell'art. 1 lett. b) delle direttive 92/50, 93/36 e 93/37 e, pertanto, dell'art. 1 n. 1 delladirettiva 89/665. L'effetto utile della direttiva 89/665 non sarebbe preservato qualoral'applicazione della relativa disciplina potesse essere esclusa con riferimento a quegliorganismi che, in base alla disciplina nazionale, sono costituiti e regolati nelle forme esecondo il regime del diritto privato”. Per un esame della nozione di organismo pubblicovedi F. CARINGELLA, Corso, cit., p. 801 ss.

56 Cfr. F. CARINGELLA, op.ult.cit., p. 798 s.s.

50

stabilimento quando l’attività comporti l’<<esercizio anche occasionale di

pubblici poteri>>), il giudice comunitario ha sostenuto in modo restrittivo

che la nozione di pubblica amministrazione debba essere elaborata

ricorrendo ai criteri della “partecipazione diretta o indiretta all’esercizio dei

pubblici poteri e alle mansioni che hanno ad oggetto la tutela degli interessi

generali dello Stato e delle altre collettività pubbliche”57.

Mentre allo scopo di individuare gli apparati degli ordinamenti dei

singoli Stati membri nei cui confronti devono considerarsi operanti gli

obblighi e i divieti previsti dal diritto comunitario, in modo da poter

imputare ai relativi Stati di appartenenza le eventuali violazioni commesse,

si è affermato, più genericamente, “che fa comunque parte degli enti ai

quali si possono opporre le norme di una direttiva idonea a produrre effetti

diretti un organismo che, indipendentemente dalla sua forma giuridica, sia

stato incaricato, con un atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il

controllo di quest'ultima, un servizio di interesse pubblico e che dispone a

questo scopo di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme

che si applicano nei rapporti fra singoli”58.

L’accennata evoluzione, registrabile nell’ordinamento italiano, sia del

concetto di ente pubblico che della stessa tipologia di enti considerabili

quali soggetti pubblici, nonché il modo in cui è intesa nell’ordinamento

comunitario la nozione di “pubblico potere” o di “pubblica

57 Cfr., ex multis, Corte Giust. CE, 30 maggio 1989, causa C-33/88, in Racc., 1989,1591.

58 Così Corte Giust. CE, 12 luglio 1990 n. 188, causa C-188/89, in Dir. lav., 1991, II, 44.Vedi anche Cass. Civ., sez. III, 23 gennaio 2002 n. 752, in Giur. it., 2002, 1273.

51

amministrazione”, consentono di individuare, in entrambi gli ambiti

normativi, un minimo comune denominatore, costituito dalla visione

sostanzialistica del fenomeno: nel senso che all’individuazione dei soggetti

pubblici non si procede con riferimento a precisi criteri formali di

definizione, bensì sulla base di parametri di tipo sostanziale, dati in

particolare, per quanto riguarda l’ambito comunitario, dalla sottoposizione

del soggetto ad un controllo pubblico, di carattere funzionale o strutturale, e

per l’ordinamento nazionale dalla funzionalizzazione dell’attività della

persona giuridica alla realizzazione di finalità di interesse generale e

dall’inquadramento istituzionale della stessa, sebbene in senso lato, in

quello che una volta, quando era ancora possibile una concezione unitaria di

pubblica Amministrazione, poteva essere definito l’apparato organizzativo

della p.A., che adesso si estrinseca in una tipologia diversificata sia dei

soggetti (pubblici e privati) che del modo di realizzare interessi pubblici. E

anche quando nella realizzazione di tali interessi sono coinvolti soggetti

formalmente privati, questi sono ormai ritenuti obbligati, in quanto

“preposti all'esercizio di attività amministrative”, a perseguire “i fini

determinati dalla legge”, ed a conformare la propria azione a “criteri di

economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza”, nonché ai

“princìpi dell'ordinamento comunitario” 59 (art. 1 L. 241/90).

59 Cioè i principi di imparzialità, partecipazione, diritto di accesso, obbligo dimotivazione, risarcibilità dei danni prodotti dall’amministrazione, termine ragionevolenel quale le pubbliche amministrazioni debbono pronunciarsi, proporzionalità, legittimaaspettativa.

52

CAPITOLO II

LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI PUBBLICI

2.1) INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA GESTIONE

FINANZIARIA DEGLI ENTI LOCALI: LA RIFORMA DEL

TITOLO V DELLA COSTITUZIONE

53

Nel presente capitolo tratteremo della gestione degli enti locali

finanziati dallo Stato, un argomento che per essere compreso al meglio

necessita di una introduzione riguardante il c.d. “principio di sussidiarietà”

apportata dalla Riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, in quanto

ciò ha comportato uno stravolgimento degli assetti anche dal punto di vista

economico e finanziario, avendo le regioni assunto decisamente una

maggiore autonomia.

Del principio di sussidiarietà la Costituzione italiana60 fa uso in tre

diversi contesti: ai fini della distribuzione delle funzioni amministrative tra i

livelli di governo territoriale e i relativi enti, nei quali si articola la

Repubblica61; come principio ispiratore delle attività dei pubblici poteri (gli

enti del governo territoriale nei quali si articola la Repubblica) intese a

favorire lo svolgimento di attività di interesse generale da parte dei

cittadini, singoli ed associati62; come principio che, unitamente al principio

di leale collaborazione, deve essere seguito nell’esercizio dei poteri

60 Alla luce delle modifiche del 2001, v. legge cost. n.3 del 2001.

61 La distribuzione delle competenze deve avvenire sulla base del principio disussidiarietà unitariamente ai principi di differenziazione ed adeguatezza, v. art.118,comma 1, Cost.

62 V. art.118 , comma 4, Cost.

54

sostitutivi da parte del Governo nei confronti degli enti territoriali e deve

essere rispettato dal legislatore nel dettare la disciplina di detti poteri63.

In tutti questi contesti, come si vede, il principio di sussidiarietà viene

ad incidere sulla dislocazione o sull’esercizio della funzione amministrativa

o comunque sullo svolgimento di attività di carattere amministrativo.

Mentre è assente ogni menzione del principio stesso nella disciplina

costituzionale dell’attività normativa, sia legislativa che regolamentare

quale contemplata dall’art.117. Ciò almeno stando alla lettera del testo.

Invero, come si vedrà nei paragrafi successivi, il principio viene ad incidere

anche sull’esercizio della funzione normativa, in virtù della stretta

connessione tra le due funzioni64.

Il principio di sussidiarietà, nella sua accezione originaria e a

prescindere dalle diverse applicazioni positive, esprime due concetti, l’uno

palese, dal significato stesso dell’espressione letterale, e l’altro dal primo

presupposto. Un’organizzazione di governo, è legittimata, e nello stesso

tempo tenuta, a intervenire con la sua azione, in ausilio, o in favore, di

un’altra, evidentemente dotata di minore capacità di governo, in generale

ovvero con riferimento a circostanze contingenti, in quanto non

sufficientemente dotata di mezzi o di dimensione organizzativa; pur in

settori di attività che sarebbero di competenza di quest’ultima. Il principio

così formulato presuppone che l’ente, l’organizzazione di governo inferiore

(subsidiata) abbia una vasta sfera di azione, in principio estesa a far fronte

63 V. art. 120, comma 2, Cost.

64 Sul punto cfr. Corte cost. sent. n. 303 del 2003.

55

ad ogni esigenza della propria comunità di riferimento, restando confinata,

appunto, l’azione dell’ente superiore al subsidio di essa, laddove necessario.

Insomma, il principio di sussidiarietà trova la sua ragione di essere in una

concezione della società in quanto tale e del suo sistema di governo, intesa

a valorizzare al massimo, le autonome capacità di governo delle

articolazioni organizzative della società stessa, operanti sul territorio e nella

vita di relazione, di fronte allo Stato, o comunque alle organizzazioni

superiori di governo. Due significati, dunque, contiene nella sua accezione

originaria il principio di sussidiarietà, un significato negativo, nella parte in

cui limita l’azione delle organizzazioni di governo maggiori, di livello

superiore, e segnatamente dello Stato, nei confronti delle organizzazioni

minori e delle stesse autonome organizzazioni sociali. E un significato

positivo, laddove consente e in qualche misura impone, alle organizzazioni

di governo di livello superiore di intervenire con la propria azione in favore

e a sostegno delle organizzazioni minori. Spesso, il significato negativo del

principio tende a prevalere nell’accezione corrente e nelle stesse

applicazioni legislative, venendo a configurare il principio di sussidiarietà

come una sorta di nuova declinazione del vecchio principio del

decentramento65.

E nella stessa formulazione del principio, nei documenti del magistero

ecclesiastico, tende a prevalere l’accezione negativa, quella del limite,

piuttosto che l’accezione positiva, quella del necessario intervento delle

organizzazioni maggiori in favore delle minori, ovvero delle articolazioni

proprie della vita sociale: “Non è lecito sottrarre ai privati per affidarlo

alla comunità ciò che essi possono compiere con le proprie iniziative e con

la propria industria, così è un’ingiustizia, un grave danno e un turbamento

65 V. CERULLI IRELLI, Art. 8 Attuazione dell’art. 120 della Costituzione sul potere sostitutivo inLegge La Loggia a cura di C. Cittadino, cit. 2003

56

del giusto ordine attribuire ad una società maggiore e più elevata quello

che possono compiere e produrre le comunità minori e inferiori. Infatti,

qualsiasi opera sociale in forza della sua natura deve aiutare i membri del

corpo sociale, mai distruggerli e assorbirli” 66. Il principio, come si vede,

anche nella sua accezione originaria, opera egualmente tanto sul versante

delle organizzazioni pubbliche, nei rapporti tra quelle centrali e quelle locali

(e perciò esso è direttamente correlato con quelli di decentramento e di

autonomia locale già fissati dall’art. 5, Cost.) sia nei rapporti tra

organizzazioni pubbliche e ambito di azione riservato ai cittadini e alle loro

organizzazioni o formazioni sociali (in ciò esso si correla al principio

personalistico già fissato dall’art. 2, Cost.)67. E perciò, nel primo senso, che

con terminologia alquanto impropria viene definito come sussidiarietà

verticale, il principio si oppone a quello di accentramento, proprio

dell’organizzazione pubblica nella prima lunga fase di formazione dello

Stato moderno68; mentre nella seconda accezione, che con terminologia

altrettanto impropria viene denominata come sussidiarietà orizzontale, il

principio si oppone a quello panpubblicistico che a sua volta ha dominato a

lungo nell’esperienza positiva dello Stato moderno, sino a tempi

66 Pio XI, Quadragesimo anno, 1931

67 Cfr. A. D’ATENA, Il principio di sussidiarietà nella costituzione italiana, in Riv. It. Dir.pubbl. Com., 2/1997, 603 e ss.

68 A. D’ANDREA, La prospettiva della Costituzione italiana ed il principio di sussidiarietà, inIus, 2/2000, p. 228.

57

recentissimi, attraverso l’idea che a ogni esigenza o bisogno di carattere

collettivo, cui far fronte con attività di interesse generale, di

amministrazione, dovesse provvedere lo Stato o comunque una

organizzazione pubblica. L’affermazione del principio porta a ribaltare

questa idea, consentendo e anzi favorendo e auspicando, che ad attività di

interesse generale, alla cura di bisogni collettivi, provvedano anche

direttamente i cittadini, con loro proprie iniziative, dotandosi

dell’organizzazione e dei mezzi adeguati e usufruendo, laddove è possibile

o necessario, dell’aiuto, del subsidio appunto, delle organizzazioni

pubbliche, nel loro agire. In questa accezione, come si vede, il principio

viene a inserirsi nei rapporti tra pubblico e privato, se si vuole, per dirla con

Giannini, nella dialettica tra autorità e libertà. Tradotto il principio sul

versante dell’amministrazione pubblica, esso dà luogo dunque, ad una

riaffermazione, più forte, dei principi di decentramento e di autonomia

locale, già presenti nel nostro sistema costituzionale, tuttavia fortemente

innovativi rispetto all’ordinamento precostituzionale, da una parte; e

dall’altra, rende flessibili i rapporti tra organizzazioni pubbliche, dal punto

di vista funzionale, pur nell’ambito di delimitazioni di competenze stabilite

dalla legge in base ai principi costituzionali. Nell’ambito

dell’amministrazione pubblica il principio è strettamente connesso a quelli

di differenziazione e adeguatezza, da una parte (art. 118) e a quello di leale

cooperazione, dall’altra (art. 120). Sul versante dei rapporti tra

amministrazione pubblica e iniziativa privata, tra pubblico e privato se si

vuole, il principio opera come quello inteso a valorizzare la sfera privata,

laddove questa si possa proficuamente esercitare nell’interesse generale,

salvo l’intervento pubblico a subsidio di essa; e opera perciò, a sua volta,

come quello inteso a contenere l’espansione della sfera pubblica, la

presenza del pubblico, sia sul versante organizzativo che su quello

funzionale, laddove essa è necessaria, a contenerne perciò la pervasività,

che aveva caratterizzato un lungo periodo della nostra esperienza. Il

58

principio presenta nella sua accezione originaria un significato e una

valenza fondamentalmente unitaria e trova invero nei fondamentali

documenti pontifici, che ne costituiscono la più alta formulazione, una

espressione unitaria: lo Stato, per dirla in breve, è tenuto a limitare la sua

azione per favorire l’autonoma espressione dei corpi sociali nella cura dei

loro propri interessi, sia che si tratti dei corpi sociali che si identificano in

comunità territoriali dotate di proprie organizzazioni di carattere pubblico, i

comuni, le province; sia che si tratti di corpi sociali espressione diretta della

società civile aventi carattere privatistico non collegati direttamente alla

sfera pubblica, che si fanno carico da sé medesimi della cura dei propri

interessi, anche nell’esercizio di quei doveri di solidarietà richiamati

dall’art. 2 della Costituzione. Limitazione dello Stato in favore dei corpi

minori, dunque, ma obbligo dello Stato di intervenire a favore di essi

laddove sia necessario.

Tuttavia, questo significato unitario, questo concetto si potrebbe dire

del principio di sussidiarietà nella sua accezione originaria, si articola poi

sul piano positivo in una serie di norme e di applicazioni differenti,

incidendo in maniera differente su molteplici istituti positivi; ciò che ne

rende necessaria una trattazione differenziata.

Sebbene la nascita delle Regioni coincida, almeno sotto il profilo

formale, con l’approvazione della Costituzione Repubblicana del 1948, il

dibattito giuridico sull’autonomia e sul decentramento italiano ha radici

risalenti addirittura all’unificazione del Regno. Già insigni giuristi come

Gioberti e Cattaneo avevano immaginato una soluzione federale o

confederale che tenesse in considerazione le caratteristiche del territorio

italiano, da sempre caratterizzato dalla profonda differenziazione storica di

popoli, tradizione e realtà locali particolari69.

69 V. L. VANONI, Federalismo regionalismo e sussidiarietà, Torino, 2009, p. 44 e ss.

59

Duranti i lavori dell’Assemblea costituente le Regioni venivano

definite come enti autarchici (cioè capaci di svolgere attività proprie per il

conseguimento dei propri fini), autonomi (cioè dotati, nell’ambito delle

competenze loro attribuite, del potere legislativo), rappresentativi di

interessi locali e muniti di <<sufficiente>> autonomia finanziaria. A partire

da queste caratteristiche comuni – e distinguendo gli enti regionali a statuto

speciale (dotati di una più estesa autonomia) da quelli a statuto ordinario, la

Commissione si preoccupò di elaborare un progetto che riconoscesse alle

Regioni autonomia statuaria, legislativa, amministrativa e finanziaria.

L’idea portante dell’intero progetto fu quella di coniugare il valore

costituzionale del principio autonomistico con quello dell’unità del

territorio nazionale. Anche in Italia, dunque, l’architettura costituzionale

dello Stato regionale si articola attorno ad una norma per certi aspetti

contraddittoria, che tenta di far coesistere un certo grado di indivisibilità

dell’ordinamento con l’esigenza di valorizzare il più possibile le realtà

territoriali di cui esso si compone. Una contraddizione, questa, che ha

condizionato la lenta attuazione del regionalismo italiano costituendo il

punto di riferimento di tutte le riforme che, nel corso degli anni, hanno

provato a risolvere l’irriducibile tensione tra unità e differenziazione, tra

indivisibilità e decentramento70.

L’entrata in vigore della Costituzione nel 1948 non poteva da sola

avviare il complicato processo di riorganizzazione dello Stato prospettato

dall’art. 5 Cost. e – più ampiamente – dalle norme contenute nel Titolo V

della Carta fondamentale. Per completare il progetto, infatti, era necessaria

l’approvazione di una serie di leggi che provvedessero alla organizzazione e

alla elezione dei Consigli regionali, al riordino delle funzioni statali e

70 S. BARTOLE, Riflessioni sulla comparsa nell'ordinamento italiano del principio disussidiarietà, in Studium juris, 1999.

60

amministrative attribuite agli enti regionali, alla definizione dei rapporti

finanziari tra questi e lo Stato centrale. A tal fine, i Costituenti stabilirono

nella VIII disposizione transitoria e finale il termine di un anno per la

creazione dei Consigli regionali, ma, nonostante le buone intenzioni,

l’attuazione del regionalismo italiano subì gravi ritardi, e il termine

contenuto in Costituzione fu dapprima prorogato, poi semplicemente

ignorato. Così, mentre gli statuti delle Regioni speciali furono quasi tutti

approvati dalla stessa Assemblea costituente, l’istituzione delle Regioni

ordinarie si fece attendere per oltre vent’anni e, solo a partire dagli anni

Settanta, la riforma regionalista voluta dai padri costituenti cominciò

lentamente ad essere attuata. Molteplici furono le ragioni di questo ritardo,

tra cui l’esigenza di ricostruire un Paese gravemente colpito dal conflitto

mondiale e la necessità di rilanciare l’economia nazionale facilitarono

l’espandersi di un assetto istituzionale fortemente centralizzato, in cui gli

organi burocratici e amministrativi dello Stato esercitavano un potere forte e

compatto71. Così, sul versante delle Regioni ad autonomia differenziata <<le

norme attuative degli statuti trasferirono alle Regioni funzioni molto ridotte

e condizionate, nel loro concreto esercizio, dallo Stato>>. Infatti, la legge n.

62 del 1953 disciplinò <<in maniera assai dettagliata il contenuto degli

statuti>>, e subordinò l’esercizio delle funzioni legislative alla

approvazione, da parte del Parlamento, di apposite “leggi-cornice” che

determinassero i principi fondamentali di ciascuna delle materie affidate

alla competenza concorrente Stato-Regioni72.

71 G. TARLI BARBIERI, Diritto regionale, I ed., Torino, 2007.

72 P. CARETTI, Il principio di sussidiarietà e i suoi riflessi sul piano dell'ordinamentocomunitario e sul piano dell'ordinamento nazionale, Milano, 1996.

61

Originariamente, e secondo quanto emerge dai lavori dell’Assemblea

costituente, le Regioni avrebbero dovuto avere tre tipi di potestà legislativa;

una primaria, esercitabile nei limiti dei principi generali dell’ordinamento e

degli interessi nazionali, una concorrente o ripartita con lo Stato, una

meramente integrativa e attuativa delle leggi statali. Secondo la

formulazione originaria dell’art. 117 Cost., la potestà legislativa spetta, di

regola allo Stato, tranne che in alcune materie (rigorosamente elencate dallo

stesso articolo della Costituzione) in cui la Regione <<emana norme

legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello

Stato e sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse

nazionale e con quello di altre Regioni>>. Questa scelta ha fatto sì che non

vi sia alcuna materia in cui il legislatore statale è privo di competenza,

potendo egli sempre intervenire a statuire i principi fondamentali73.

Il primo trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni fu disposto

dai decreti delegati approvati nel 1972, che operarono numerosi “ritagli”

all’interno delle materie di competenza regionale e furono giustificati sulla

base della rilevanza degli interessi nazionali riguardanti tali materie; la

Corte costituzionale, dal canto suo, contribuì a avallare una lettura

restrittiva del sistema. Il modesto trasferimento di funzioni disposto dai

decreti del 1972 fu giudicato inconsistente dallo stesso Parlamento che

pochi anni più tardi, conferì al Governo l’incarico di approvare un nuovo

decreto legislativo per completare il progetto regionalista74. Tuttavia anche

73 V. ONIDA, Viva vox Constitutionis. Temi e tendenze nella giurisprudenza costituzionaledell’anno 2002, Milano, 2003.

62

questo secondo decentramento75 risultò inconsistente e la sua portata fu,

comunque, decisamente limitata. Durante gli ani Settanta e Ottanta la

situazione del regionalismo italiano rimase così sospesa in un limbo di

sostanziale ineffettività. Si era venuta a costituire una situazione

controproducente per l’intero apparato pubblico che, a causa dell’istituzione

degli enti regionali, veniva appesantito da nuovi (e costosi) organi incapaci

però di affermarsi come efficaci livelli di governo.

Queste contraddizioni emersero in tutta la loro portata all’inizio degli

anni Novanta. In tutta Europa, infatti (anche in conseguenza

dell’accelerazione del processo di integrazione voluto dal Trattato di

Maastricht) pressioni e stimoli per una riforma degli assetti tra centro e

periferia avevano animato il dibattito politico in molti Stati Membri. Il

sempre maggiore rafforzamento delle istituzioni europee portarono così

<<alla progressiva erosione della sovranità degli Stati membri, aprendo

spazi per il coinvolgimento attivo dei governi subnazionali, chiamati, ad

esempio, a dare attuazione delle politiche e delle direttive europee>>76. In

Italia, inoltre, la crisi politica conseguente al crollo della prima Repubblica

aveva generato un diffuso malcontento popolare per le istituzioni e un

74 D. Lgs. n. 616 del 1977.

75 A. RUGGERI – C. SALAZAR, Lineamenti di diritto regionale, Milano, 2002.

76 V. L. VANONI, Federalismo regionalismo e sussidiarietà, op. cit., p. 44 e ss.

63

desiderio di riforma complessiva dell’ordinamento in cui trovarono spazio

anche le istanze regionaliste.

A partire dalla metà degli anni Novanta furono istituite le

Commissioni bicamerali ad hoc, in un ampio progetto di riforma della

seconda parte della Costituzione. Dapprima la Commissione De Mita-Iotti77,

poi la Commissione D’Alema78 provarono, senza successo, ad ideare

progetti di riforma dell’ordinamento. Tuttavia i lavori della Commissione

D’Alema ebbero il pregio di portare all’attenzione delle istituzioni il

principio di sussidiarietà, ovvero di quel criterio di ripartizione delle

funzioni che influenzerà, di lì a poco, il modello di decentramento adottato

dalle leggi Bassanini prima, e dalla riforma costituzionale del 2001 poi. In

realtà il successo della sussidiarietà in Italia era iniziato, almeno a livello

dottrinale, già qualche anno prima, in conseguenza dell’approvazione del

Trattato di Maastricht. Inoltre, secondo parte della dottrina, l’impianto della

Costituzione del ’48 già riconosceva implicitamente tale principio in alcuni

suoi articoli; la struttura dell’art. 5 Cost., infatti, indicherebbe una <<logica

sussidiaria>> che orienta i rapporti tra Stato centrale e autonomie territoriali

minori, <<esprimendo non solo una decisione di preferenza in favore di tali

autonomie, ma anche il proposito che le competenze originariamente loro

accordate fossero destinate ad ampliarsi per effetto degli interventi del

legislatore ispirati al principio della promozione>>79. Solo con

77 Legge cost. n. 1 del 1993.

78 Legge cost. n. 1 del 1997.

64

l’approvazione della legge Bassanini80 la sussidiarietà è stata introdotta in

modo significativo nell’ordinamento giuridico italiano, infatti viene

utilizzata come principio cardine della riforma, e viene recepita nella sua

duplice dimensione, verticale e orizzontale81. Da questo momento in poi il

ricorso alla sussidiarietà è divenuto sempre più diffuso82. Tutte queste

norme, ed in particolare la legge Bassasini, sono state la risposta ad una

domanda di cambiamento fortemente condivisa dalla realtà sociale e

politica italiana, che avrebbe portato di lì a poco a riscrivere le norme

contenute nel Titolo V della Costituzione.

La stagione delle riforme costituzionali si aprì nel 1999 con

l’approvazione della legge cost. 22 novembre, n. 1 , cui fece seguito la

legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2., attraverso la quale il legislatore

si preoccupò di ampliare la potestà statuaria delle Regioni italiane sia dal

79 Cfr. A. D’ATENA, Il principio di sussidiarietà nella costituzione italiana, op. cit., 603 e ss.

80 L. n. 59 del15 marzo 1997 (c.d. legge Bassanini).

81 Cfr. A. MOSCARINI, Competenza e sussidiarietà nel sistema delle fonti, Padova, 2003.

82 In tal senso meritato di essere ricordati: il Testo unico delle leggi sull’ordinamentodegli enti locali (cfr. D.lgs. n. 267 del 18 agosto 2000, art. 3); la Legge quadro per larealizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (L. n. 328 del 8 novembre2000).

65

punto di vista formale che sostanziale. Qualche tempo dopo ci si è

preoccupati di completare la riforma del Titolo V con l’approvazione della

legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3. Se il primo intervento si era limitato a

ridisegnare la disciplina dei rapporti politici tra organi regionali, la legge n.

3/2001 ha modificato profondamente il riparto di competenze fra Stato e

Regioni, ampliando l’autonomia non solo politica ma anche legislativa,

amministrativa e (almeno sulla carta) finanziaria delle Regioni italiane. Tale

riforma è senza dubbio rivoluzionaria, in quanto ha segnato il superamento

del modello ideato dalla Assemblea costituente83, discostandosene

profondamente e dando un ruolo fondamentale al principio di sussidiarietà.

In questa prospettiva, il nuovo art. 11484 pone per la prima volta le

diverse autonomie territoriali sullo stesso piano85. L’art. 117, invece, viene

“capovolto” rispetto a quello precedente, in quanto quest’ultimo conferisce

una potestà legislativa allo Stato in merito a materie elencante

tassativamente ed alle Regione in via residuale (il vecchio art. 117

prevedeva il contrario). Ciò sta a significare che il nuovo sistema attribuisce

una generale e più consistente potestà legislativa alle Regioni.

83 Cfr. A. D’ATENA, op. cit., 603 e ss.

84 Art. 114 Cost.: <<la Repubblica è costituita da Comuni, dalle Province, dalle Cittàmetropolitane, dalle Regioni e dallo Stato>>.

85 M. OLIVETTI, La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V,Torino, 2001.

66

L’art. 118, invece, in linea con la riforma Bassanini, abbandona il

parallelismo tra funzioni amministrative e legislative e riconosce sia la

dimensione verticale che quella orizzontale. In merito alla dimensione

verticale, l’art. 118 valorizza i livelli di governo più prossimi ai cittadini,

stabilendo che le funzioni amministrative siano attribuite ai Comuni, e che

solo per esigenze di carattere unitario esse possano essere avocate in

sussidiarietà dai livelli di governo superiori86. Anche la dimensione

orizzontale del principio ha trovato esplicito riconoscimento nel nuovo

assetto costituzionale, impegnando tutti i livelli di governo del territorio a

favorire <<l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo

svolgimento di attività di interesse generale>>87.

Merita un cenno, infine, la nuova disciplina contenuta nel nuovo art.

119 Cost., che garantisce alle Regioni e agli enti locali (almeno in via di

principio) un’autonomia finanziaria di entrata e di spesa>> che si esprime

attraverso la possibilità di istituire <<tributi propri>> e di ottenere

<<conpartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al loro

territorio>>.

2.2) LA GESTIONE FINANZIARIA DELLE REGIONI

86 D. D'ALESSANDRO, Sussidiarietà solidarietà e azione amministrativa, Napoli, 2004.

87 Art. 118, comma 4.

67

La legge dello Stato si preoccupa di uniformare gli ordinamenti

contabili regionali, almeno a livello di impostazioni fondamentali, lasciando

all’autonomia organizzativa delle singole regioni di adottare, sulla base dei

rispettivi statuti ed altri atti normativi, il necessario completamento.

Attualmente la materia è oggetto del decreto legislativo 28 marzo

2000 n. 76, contenente i “Principi fondamentali e norme di coordinamento

in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione

dell’articolo 1, comma 4, della legge 25 giugtno 1999, n. 208” 88.

Dall’esame della suddetta legge si evince la conformazione della

disciplina de qua con quella omologa dello Stato.

Il consiglio regionale approva ogni anno con leggi – nell’ambito di

una manovra complessiva e comunque nei modi e nei termini previsti dallo

statuto e dalle leggi regionali – il bilancio annuale di previsione e il bilancio

pluriennale.

L’esercizio provvisorio del bilancio può essere autorizzato, nei modi,

nei termini e con gli effetti previsti dagli statuti e dalle leggi regionali, e non

può protrarsi, comunque, oltre i quattro mesi.

Le impostazioni delle previsioni di entrata e di spesa del bilancio della

regione si ispirano al metodo della programmazione finanziaria.

A tale fine la regione adotta ogni anno, insieme al bilancio annuale, un

bilancio pluriennale, le cui previsioni assumono come termini di riferimento

quelli della programmazione regionale e comunque di durata non superiore

al quinquennio. Il bilancio pluriennale è allegato al bilancio annuale.

La regione può altresì adottare, in connessione con le esigenze

derivanti dallo sviluppo della fiscalità regionale, una propria legge

88 Cfr. M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, Milano, 2009, pp. 220 ess.

68

finanziaria, contenente il quadro di riferimento finanziario per il periodo

compreso nel bilancio pluriennale. Essa contiene esclusivamente norme tese

a realizzare effetti finanziaria con decorrenza dal primo anno considerato

nel bilancio pluriennale ed è disciplinata con legge regionale, in coerenza

con quanto previsto dall’art. 11 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e

successive modificazioni.

Il bilancio pluriennale indica, per ciascuna ripartizione dell’entrata e

della spesa, oltre la quota relativa all’esercizio iniziale, quella relativa

all’esercizio successivo89.

L’adozione del bilancio pluriennale non comporta autorizzazione a

riscuotere le entrate, né ad eseguire le spese in esso contemplate.

Tutte le somme assegnate, a qualsiasi titolo, dallo Stato alla regione

confluiscono nel bilancio regionale, senza vincolo a specifiche destinazioni,

salvo il caso di assegnazioni in corrispondenza di deleghe di funzioni

amministrative a norma dell’articolo 118, secondo comma, della

Costituzione, nonché di assegnazioni vincolate per calamità naturali e per

interventi di interesse nazionale. In tale ultimo caso la regione ha facoltà di

stanziare e di erogare somme eccedenti quelle assegnate dallo Stato, ferme,

nel caso di delega, le disposizioni delle leggi statali che disciplinano le

relative funzioni.

89 Cfr. Cfr. M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., pp. 220 ess.: Esso è elaborato con riferimento alla programmazione regionale e rappresenta ilquadro delle risorse che la regione prevede di acquisire e di impiegare nel periodoconsiderato, esponendo separatamente l’andamento delle entrate e delle spese in base allalegislazione statale e regionale in vigore (bilancio pluriennale a legislazione vigente) e leprevisioni sull’andamento delle entrate e delle spese tenendo conto degli effetti deiprevisti nuovi interventi legislativi (bilancio pluriennale programmatico). Il bilanciopluriennale a legislazione vigente costituisce sede per il riscontro della coperturafinanziaria di nuove o maggiori spese stabilite da leggi della regione a carico di esercizifuturi.

69

Le previsioni di bilancio annuale della regione sono formulate in

termini di competenza e di cassa ed articolate, per l’entrata e per la spesa, in

unità previsionali di base. Queste ultime sono determinate con riferimento

ad aree omogenee di attività, anche a carattere strumentale, in cui si

articolano le competenze delle regioni. Le contabilità speciali sono

articolate in capitolo sia quanto all’entrata che alla spesa.

Per ogni unità previsionale di base sono indicati (art. 4, comma 3):

a( l’ammontare presunto dei residui attivi o passivi alla chiusura

dell’esercizio precedente a quello cui il bilancio si riferisce; b) l’ammontare

delle entrate che si prevede di accertare o delle spese di cui si autorizza

l’impegno nell’esercizio cui il bilancio si riferisce; l’ammontare delle

entrate che si prevede di riscuotere o delle spese di cui si autorizza il

pagamento del medesimo esercizio, senza distinzioni fra riscossioni e

pagamenti in conto competenza e in conto residui. L’eventuale saldo

finanziario, positivo o negativo, presunto, al termine dell’esercizio

precedente è iscritto fra le entrate o le spese di cui alla lettera b), del comma

3, mentre l’ammontare presunto della giacenza di cassa all’inizio

dell’esercizio cui il bilancio si riferisce è iscritto fra le entrate di cui alla

lettera c) del comma 3.

Anche per le regioni è previsto un bilancio analitico per capitoli.

Infatti in apposito allegato al bilancio le unità previsionali di base sono

ripartite in capitoli ai fini della gestione; nello stesso allegato sono altresì

indicati, disaggregati per capitolo, i contenuti di ciascuna unità previsionale

di base e il carattere giuridicamente obbligatorio o discrezionale della spesa,

con l’evidenziazione delle relative disposizioni legislative. I capitoli sono

determinati in relazione al rispettivo oggetto per l’entrata e secondo

l’oggetto e il contenuto economico e funzionale per la spesa.

Formano oggetto di specifica approvazione del consiglio regionale le

previsioni di cui ai commi 1, 2, 3, lettera a), b), e c), e dei commi 4 e d. le

contabilità speciali sono approvate nel loro complesso.

70

Gli stanziamenti di spesa di competenza sono determinati

esclusivamente in relazione alle esigenze funzionali ed agli obiettivi

concretamente perseguibili nel periodo cui si riferisce il bilancio, restando

esclusa ogni quantificazione basata sul criterio della spesa storica

incrementale.

Il quadro generale riassuntivo del bilancio riporta, distintamente per

titoli e funzioni e per funzioni-obiettivo, rispettivamente, i totali delle

entrate e delle spese.

Nel bilancio generale sono iscritti fondi di riserva (art. 13)90, nonché

possono essere iscritti uno o più fondi speciali, destinati a far fronte agli

oneri derivanti da provvedimenti legislativi regionali che si perfezionano

dopo l’approvazione del bilancio (art. 14).

Entro il 30 giugno di ogni anno poi la regione approva, con legge,

l’assestamento del bilancio, mediante il quale si provvede

all’aggiornamento delle previsioni iniziali (art. 15).

La legge di approvazione del bilancio regionale può autorizzare

variazioni al bilancio medesimo, da apportare nel corso dell’esercizio

mediante provvedimenti amministrativi, per l’istruzione di nuove unità

previsionali di entrata, per l’iscrizione di entrate derivanti da assegnazioni

vincolate a scopi specifici da parte dello Stato e dell’Unione europea,

nonché per l’iscrizione delle relative spese, quando queste siano

tassativamente regolate dalla legislazione in vigore (art. 16).

Contestualmente all’approvazione della legge di bilancio o

dell’autorizzazione all’esercizio provvisorio, la giunta regionale provvede a

ripartire le unità previsionali di base per capitoli ai fini della gestione e

90 a) un fondo di riserva per spese obbligatorie dipendenti dalla legislazione in vigore; b)un fondo di riserva per le spese impreviste; c) il fondo di riserva per le autorizzazioni dicassa (Cfr. Cfr. M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., p. 222).

71

rendicontazione e ad assegnare ai dirigenti titolari dei centri di

responsabilità amministrativa le risorse necessarie al raggiungimento degli

obiettivi individuati per gli interventi, i programmi e i progetti finanziati

nell’ambito dello stato di previsione delle spese.

Vengono affermati i principi di equilibrio del bilancio (art. 5), in

quanto il totale dei pagamenti autorizzati non può essere superiore al totale

delle entrate di cui si prevede la riscossione sommato alla presunta giacenza

iniziale di cassa91, nonché, in analogia allo Stato, quelli dell’annualità del

bilancio (art. 6), dell’universalità ed integrità (art. 7).

La legge regionale stabilisce le modalità e determina le competenze

per la gestione delle spese, in modo da assicurare adeguati controlli anche a

carattere economico-finanziario nell’ambito di ciascuna unità operativa di

un servizio, di un settore o di un programma o progetti della regione (art.

20).

La legge statale uniforma le procedure di gestione del bilancio

regionale a quelle dello Stato, per quanto riguarda i procedimenti

dell’entrata e della spesa, nonché dei residui.

Le regioni, sulla base delle norme dei rispettivi statuti, assicurano

l’autonomia contabile del consiglio regionale, nell’ambito dei principi

stabiliti dalla legge 6 dicembre 1973, n. 853, ferma la competenza

regolamentare interna attribuita al consiglio medesimo (art. 30).

91 Il totale delle spese di cui si autorizza l’impegno può essere superiore al totale delleentrate che si prevede di accertare nel medesimo esercizio, purché il relativo disavanzosia coperto da mutui e altre forme di indebitamento autorizzati con la legge diapprovazione del bilancio nei limiti di cui all’articolo 23.

72

2.3) LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI LOCALI

Il bilancio dell’ente locale è un bilancio pubblico previsionale

finanziario. Esso – strumento essenziale per i processi di programmazione,

previsione, gestione e rendicontazione – tende a fornire informazioni in

merito ai programmi futuri, a quelli in corso di realizzazione ed

all’andamento dell’ente a favore dei soggetti interessati al processo di

decisione politica, sociale ed economico-finanziaria (art. 13 del D.P.R. n.

170/2006). Quindi, il bilancio – già istituto giuscontabile per la gestione e

controllo dei mezzi finanziari da utilizzare per l’esercizio di pubbliche

funzioni tese al raggiungimento dei pubblici fini ovvero di interessi generali

– è ormai inteso come fondamentale strumento di programmazione. Esso

così è divenuto “sistema”92 di atti ed insieme di metodologie di

rappresentazione in termini descrittivi, finanziari, economici e contabili

delle attività e finalità contenute nella programmazione, i cui obiettivi sono

stati tradotti in termini economici attraverso le entrate e le spese riportate

nell’elaborato contabile93.

92 Così M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., p. 225.

93 <<Il sistema di bilancio di un Ente locale è composto da una serie di documenti chetendono ad evidenziare da un lato la necessità di una accurata programmazionepluriennale e di una previsione annuale, sia in termini di competenza che in termini dicassa, dall’altro l’importanza della presenza di un articolato conto consuntivo, dal quale sipossa prendere visione dei risultati dell’azione amministrativa effettuata dall’Ente,confrontati, per evidenziarne gli scostamenti, con i valori delle corrispondenti voci delbilancio pluriennale e di quello preventivo annuale. Il tutto deve realizzarsi, oltre chenell’ottica finanziaria, anche in quella economica, per far si che anche negli Enti locali

73

In tal modo il bilancio di previsione, nel complesso dei suoi atti, è il

frutto del programma politico-amministrativo dell’amministrazione.

Detto programma ha invero ad oggetto il complesso coordinato di

attività, anche normative, relative alle opere da realizzare, e di interventi

diretti ed indiretti, non necessariamente solo finanziari, per il

raggiungimento di un fine prestabilito, nel più vasto piano generale di

sviluppo dell’ente, secondo le indicazioni dell’articolo 151 T.U. 267 (può

essere compreso all’interno di una sola delle funzioni dell’ente, ma può

anche estendersi a più funzioni); esso: a) esprime in termini finanziari le

decisioni di politica generale e di politica economica adottate dagli organi

rappresentativi; b) fissa i limiti dell’attività di gestione entro i quali gli

organi esecutivi possono operare, secondo l’autorizzazione contenuta nella

deliberazione di bilancio; c) predetermina razionalmente tutte le operazioni

finanziarie occorrenti per conseguire tutte le finalità di interesse pubblico94.

Tutto l’insieme degli atti della manovra finanziaria deve riguardare il

disegno di sviluppo della comunità locale, non escluso, ma piuttosto come

ultimo fine, il miglioramento della qualità della vita e quindi il buon

rendimento del danaro pubblico.

Appare evidente come “il sistema bilancio”, cioè il complesso degli

atti costituenti il bilancio di previsione e quelli costituenti il rendiconto,

vengano adottate (e con la legge n. 142/90 si gettano delle basi affinché ciò diventi unobbligo vero e proprio) le più importanti tecniche di controllo di gestione per realizzareun sempre più valido ed oculato utilizzo delle risorse a disposizione>>. F. ZORZET – P.PADRINI, Il bilancio degli enti locali, EBC, 1991.

94 V. RUSSO, L’ordinamento contabile degli enti locali, Apollonio – ICA.

74

rappresenti lo strumento: a) di attività gestoria intesa ad acquisire le risorse

economiche da erogare per la produzione di beni e servizi di utilità

pubblica; b) di programmazione della attività che gli organi deliberativi

prevedono di svolgere nel breve o medio periodo in relazione agli obiettivi

di politica generale dell’ente; c) di rappresentazione delle funzioni

dell’organo volitivo95.

Si è così costretti a fare i conti con la realtà, ovvero a partire dal debito

pubblico e, attraverso le spese consolidate, giungere alla definizione delle

risorse pubbliche attivabili nel periodo considerato.

Il complesso degli interventi operanti attraverso la programmazione e

la conseguente manovra finanziaria – paragonabile alla legge finanziaria

dello Stato – fa sì che essa incida sulla situazione esistente, proiettandola

verso il futuro.

La programmazione e la susseguente manovra finanziaria hanno la

capacità di modificare la corrente politica delle entrate e delle spese,

cancellando le relative decisioni precedentemente assunte, incidendo in tal

modo sui contenuti del bilancio di previsione con decisioni che

condizionano l’andamento finanziario, indicando i programmi e progetti

che possono essere finanziati.

In tal modo, con un unico atto legislativo, vengono modificate

decisioni di entrata e di spesa già assunte dall’ordinamento.

Per assicurare il rispetto in itinere di quanto già oggetto degli atti di

bilancio, è previsto che il regolamento di contabilità individui i casi di

inammissibilità e di improcedibilità delle deliberazioni di Consiglio e di

Giunta che non sono coerenti con le previsioni ed i programmi, di cui alla

relazione previsionale e programmatica.

95 V. RUSSO, op. cit.

75

La manovra di bilancio rende possibile la modifica, attraverso

l’approvazione di un unico atto, delle correnti decisioni di entrata e di

spesa, disponendo nel contempo di un sicuro collegamento tra

programmazione e bilancio – in quanto i programmi debbono essere

recepiti dal bilancio ed in esso tradotti in meri dati numerici –, atto

obbligatorio la cui mancata adozione comporta (con le procedure di legge)

lo scioglimento del Consiglio Comunale.

Un problema connesso all’introduzione della relazione previsionale e

programmatica e, quindi, alla creazione del sistema di atti, riguardo la

modificabilità del suo contenuto necessario nel corso dell’anno e la

connessa procedura, in mancanza di una specifica disposizione – anche se

comunque tutti i cambiamenti devono conseguenzialmente essere inseriti

nel bilancio annuale ed in quello pluriennale.

Nulla impedisce in corso d’esercizio di adottare un intervento talmente

consistente da costituire una nuova vera e propria manovra finanziaria. Va,

inoltre, osservato, che modifiche alla programmazione globale o settoriale

dell’ente comporta necessariamente la correzione degli strumenti contabili96.

Il legislatore delegato, con D.P.R. 12 aprile 2006 n. 170, nel procedere

all’armonizzazione dei bilanci pubblici97, a proposito degli enti locali, al

capo III ha dettato la normativa circa la programmazione finanziaria, la

96 Il ricorso alla variazione di bilancio sic et simpliciter senza l’adeguamento dellarelazione programmatica non appare ammissibile, oltre che corretto, specie se avvienecon il ricorso a delibere d’urgenza da parte dell’esecutivo, eludendo il dibattito politico,stante l’espresso dettato del comma 8 dell’art. 175 T.U.E.L. L’adozione di deliberatid’urgenza, ove vengano utilizzati ai fini di modificare i contenuti necessari della relazioneprogrammatica (quindi della programmazione) appare illegittima in quanto essi sonoparte integrante del “sistema di bilancio”, sistema modificabile solo con atto consiliare.M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., p. 228.

97 La delega al Governo è stata conferita dall’art. 1, co. 4, legge 5 giugno 2003, n. 131.

76

rendicontazione ed i principi di bilancio. La disciplina non è del tutto

innovativa, anche perché il suddetto provvedimento legislativo aveva i

limiti posti dalla delega, scontentando chi si aspettava delle novità

profonde; essa precisa, però, che il bilancio è costituito non da un mero

documento contabile, ma da un sistema di atti tra loro collegati da un nesso

di interdipendenza e di coerenza interna.

Gli articoli 13 e 14 del D.P.R. n. 170/2006, superano la laconica ed

irreale formulazione degli articoli 150 e 151 del T.U. n. 267/200098,

prevedono che il sistema di bilancio degli enti locali è lo strumento

essenziale per il processo di programmazione, previsione, gestione e

rendicontazione e che le sue finalità sono quelle di fornire informazioni in

merito ai programmi in corso di realizzazione, all’andamento dell’ente a

favore dei soggetti interessati al processo di decisione politica, sociale ed

economico-finanziaria, nonché in merito ai programmi futuri.

Conseguentemente , gli atti di programmazione e previsione hanno valenza

pluriennale/annuale e devono essere tra loro coerenti e interdipendenti.

Gli atti della programmazione di mandato99 sono costituiti dalle linee

programmatiche e dal piano generale di sviluppo. La manovra si articola

poi in termini economico-finanziari mediante i bilanci di previsione

98 Legge 5 giugno 203 n. 131 art. 1 comma 4. In sede di prima applicazione, perorientare l’iniziativa legislativa dello Stato e delle Regioni fino all’entrata in vigore delleleggi con le quali il Parlamento definirà i nuovi principi fondamentali che si traggonodalle leggi vigenti, nelle materie previste dall’articolo 117, terzo comma, dellaCostituzione, attenendosi ai principi della esclusività, adeguatezza, chiarezza,proporzionalità ed omogeneità e indicando, in ciascun decreto, gli ambiti normativi chenon vi sono compresi.

77

(pluriennale ed annuale) e la relazione previsionale programmatica annuale

e pluriennale.

Gli enti locali sono tenuti a deliberare annualmente il bilancio

finanziario di previsione per l’anno successivo nel rispetto dei principi di

unità, coerenza, annualità, universalità, integrità, veridicità, attendibilità e

pubblicità. Esso è deliberato in pareggio finanziario complessivo, nel senso

che le previsioni di spesa corrente, sommate alle quote di capitale (delle rate

di ammortamento dei mutui-prestiti obbligazionari-aperture di credito), non

possono essere complessivamente superiori alle previsioni delle entrate

correnti.

Il bilancio di previsione è costituito dai seguenti atti: – Linee

programmatiche per azioni e progetti; – Piano generale di sviluppo; –

Relazione previsionale programmatica; – Bilancio di previsione annuale; –

Bilancio di previsione pluriennale.

Del bilancio di previsione fanno parte gli allegati (obbligatori)100 di cui

all’art. 172 T.U.E.L.

Il potere di iniziativa per predisporre gli atti di bilancio e presentarli al

Consiglio ai fini dell’esame e dell’approvazione spetta alla Giunta101, cui

99 Di fatto, benché nel D.Lgs n. 170/2006 si parli di programmazione di mandato, questaè impedita dalla disposizione che prevede che il bilancio pluriennale e la relazione hannoriguardo ad un arco temporale triennale e comunque pari a quello stabilito dalla regionedi appartenenza.

100 Cfr. M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., p. 229.

78

incombe l’onere di far redigere la proposta di bilancio nel pieno rispetto dei

principi contabili102.

La relazione previsionale e programmatica, introdotta

nell’ordinamento contabile locale dall’art. 1-quater comma 3 del D.L. 28

febbraio 1983, n. 55, convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131, e

confermata dai commi 2 e 3 dell’art. 55 della legge n. 142/90, è attualmente

disciplinata dall’art. 170 T.U.E.L.

Tali disposizioni, però, non hanno stabilito modelli standard per la

redazione di questo strumento di determinazione degli obiettivi che l’ente

intende perseguire; obiettivi che si traducono in termini numerici nei singoli

capitoli del bilancio annuale e nelle previsioni del bilancio pluriennale.

A tale relazione – relativa ad un periodo pari a quello del bilancio

pluriennale –, che è allegata al bilancio annuale di previsione, però non è

riconosciuto il giusto valore di atto presupposto ed indispensabile per la

elaborazione del bilancio stesso.

101 Articolo 174 co. 1. Lo schema di bilancio annuale di previsione, la relazioneprevisionale e programmatica e lo schema di bilancio pluriennale sono predispostidall’organo esecutivo e da questo presentati all’organo consiliare unitamente agli allegatied alla relazione dell’organo di revisione.

102 C. Conti, sez. II, 19/06/1996, n. 36/A, che ha ravvisato la responsabilità deicomponenti della giunta i quali, nel predisporre lo schema di bilancio dell’ente,sottostimano le necessità per fronteggiare le spese (prevedendo stanziamenti meramentesimbolici o palesemente insufficienti), mantenendo, poi, un comportamento inerte difronte ad un fenomeno debitorio in crescita dando luogo a debiti fuori bilancio. Adanaloga responsabilità può invero dar luogo la sovrastima ingiustificata di entrate o,peggio, la previsione di entrate fittizie.

79

Essa ha contenuto programmatico e finanziario, ed illustra le

caratteristiche generali della popolazione, del territorio, dell’economia

insediata e dei servizi dell’ente, precisandone le risorse (umane,

strumentali, tecnologiche e finanziarie). Comprende, per la parte entrata,

una valutazione generale sui mezzi finanziari, individuando le fonti di

finanziamento ed evidenziando l’andamento storico degli stessi coi relativi

vincoli. Per la parte spesa è redatta per programmi indicati nel bilancio

annuale e nel bilancio pluriennale, rilevando l’entità e l’incidenza

percentuale della previsione con riferimento alla spesa corrente consolidata,

a quella di sviluppo ed a quella di investimento.

Per ciascun programma viene specificata la finalità che si intende

conseguire e le risorse umane e strumentali ad esso destinate, distintamente

per ciascuno degli esercizi in cui si articola il programma stesso, ed è data

specifica motivazione delle scelte adottate.

La funzione della relazione previsionale e programmatica è quella di

fornire la motivata dimostrazione delle variazioni intervenute rispetto

all’esercizio precedente, fornendo adeguati elementi che dimostrino la

coerenza delle previsioni annuali e pluriennali con gli strumenti urbanistici

PRG, Piani esecutivi, PPA103.

La relazione ed i bilanci di previsione degli enti locali devono, infine,

tener conto (nel rispetto del T.U. n. 267) delle leggi della regione di

appartenenza, per quanto riguarda l’esercizio delle funzioni delegate, in

modo tale da consentirne il controllo sulla destinazione dei fondi assegnati e

103 È contenuta una verifica della quantità e qualità delle aree e fabbricati da destinarsialla residenza, alle attività produttive e terziarie – ai sensi delle leggi n. 167/1962, n.865/1971, e n. 457/1978, – che potranno essere ceduti in proprietà od in diritto disuperficie, stabilendone contestualmente il prezzo di cessione per ciascun tipo di area o difabbricato. La relazione indica anche gli obiettivi che si intendono raggiungere, sia intermini di bilancio che in termini di efficacia, efficienza ed economicità del servizio.

80

l’omogeneità delle classificazioni delle poste di bilancio con quelle del

bilancio regionale.

L’attuazione dei programmi approvati dal consiglio dell’ente e

racchiusi nella relazione previsionale e programmatica, e tradotti in termini

numerici nei bilanci di previsione (annuale e pluriennale), è attribuita dalla

legge ai responsabili dei servizi o dirigenti.

Pertanto, sulla base del bilancio di previsione, l’organo esecutivo

ovvero la giunta definisce, prima dell’inizio dell’esercizio, il piano

esecutivo ovvero la giunta definisce, prima dell’inizio dell’esercizio, il

piano esecutivo di gestione (P.E.G.), determinando gli obiettivi della

gestione ed affidando ai dirigenti (o responsabili dei servizi) i reparti

organizzativi (semplici o complessi), composti da persone e mezzi

strumentali, nonché i mezzi finanziari, specificati negli interventi assegnati.

Il vigente ordinamento offre uno schema di relazione previsionale e

programmatica e stabilisce il suo contenuto104.

La relazione previsionale e programmatica deve, inoltre, fornire

adeguati elementi che dimostrino la coerenza delle previsioni (annuali e

pluriennali) con riguardo a dati aspetti105.

La relazione, infine, deve dare atto della reale situazione economica

(di deficitarietà strutturale o meno) secondo parametri stabiliti dal Ministro

dell’Interno e che si è tenuto conto del tasso di inflazione programmato.

Dall’esame degli articoli 169, 170, 171, 172 e 174 T.U.E.L., e degli

articoli 13 e 14 D.P.R. n. 170/2006 risulta che: – gli enti locali deliberano

104 Poiché la relazione dovrà indicare (in termini di economicità, efficienza ed efficacia)gli obiettivi che devono essere soddisfatti e raggiunti, coloro che sono preposti allagestione (dirigenza o responsabili dei servizi) vengono responsabilizzati per ilraggiungimento degli obiettivi; raggiungimento che giustifica l’attribuzione e pagamentodella retribuzione accessoria ed eventuale.

81

annualmente il bilancio di previsione finanziario, redatto in termini di

competenza, per l’anno successivo, osservando i già indicati principi di

unità, annualità, universalità, integrità, veridicità, pareggio finanziario106 e

pubblicità, previsti dall’art. 151 T.U. n. 267/2000, ed i principi di

attendibilità e coerenza previsti dall’art. 14 D.P.R. n. 170/2006; – l’unità

temporale della gestione è l’anno finanziario, che inizia l’1 gennaio e

termina il 31 dicembre dello stesso anno; – è vietata la gestione di entrate e

di spese che non siano iscritte in bilancio107; il bilancio di previsione deve

essere redatto nel rispetto dei principi sopra riportati, ed ogni previsione

deve essere sostenuta da analisi riferite ad un adeguato arco di tempo o, in

mancanza, da altri idonei parametri di riferimento, per cui ogni scostamento

dalla previsione dell’anno precedente dev’essere giustificato; – il bilancio di

105 Agli strumenti urbanistici e coi relativi piani di attuazione; al programma triennaledei lavori pubblici di cui ala legge 11 febbraio 1994 n. 109; alla verifica della quantità equalità di aree e fabbricati da destinarsi alla residenza, alle attività produttive e terziarie,che potranno essere ceduti in proprietà od in diritto di superficie; a quanto deliberato, perl’esercizio successivo, in materia di tariffe, aliquote d’imposta ed eventuali maggioridetrazioni, di variazioni dei limiti di reddito per i tributi locali e per i servizi locali,nonché, per i servizi a domanda individuale, dei tassi di copertura in percentuale del costodi gestione dei servizi stessi.

106 La salvaguardia degli equilibri di bilancio è disciplinata dall’art. 194 T.U. 267/2000,che va correlato ai commi 4 e 6 dell’art. 153.

107 Il riconoscimento della legittimità ed il pagamento di debiti fuori bilancio può averluogo solo nei casi e con la procedura di cui all’art. 194 T.U. 267/2000.

82

previsione annuale ha carattere autorizzatorio, costituendo limite agli

impegni di spesa, fatta eccezione per i servizi per conto di terzi; – il

bilancio di previsione annuale assicura il finanziamento degli impegni

pluriennali assunti nel corso degli esercizi precedenti; – i documenti di

bilancio devono essere redatti in modo da consentirne la lettura per

programmi108, servizi ed interventi; – la parte spesa deve essere leggibile

anche per programmi, dei quali va fatta analitica illustrazione in apposito

quadro di sintesi del bilancio e nella relazione previsionale e

programmatica, con l’indicazione delle scelte gestionali.

Al fine della verifica della coerenza dell’azione amministrativa nel suo

complesso, al bilancio di previsione sono allegati alcuni documenti109.

Dai punti che precedono risulta che il bilancio di previsione non è un

mero documento contabile, ma è costituito invero da un complesso di atti,

tutti finalizzati ad un unico scopo: l’ordinato e programmato svolgimento

della vita amministrativa per lo sviluppo della comunità nel suo complesso.

Si avverte, allora, come la programmazione dell’ente locale non è un

momento dell’attività locale, ma un metodo di governo della comunità

rappresentata, governo che coinvolge tutta la comunità e tutti gli aspetti

della vita cittadina.

Per quanto riguarda più particolarmente il comune, esso deve essere

dotato di: – piano regolatore generale per la gestione del territorio; –

Programma Pluriennale di attuazione (P.P.A.) per lo sviluppo ed attuazione

108 V. art. 165 comma 7 T.U.E.L.

109 Cfr. M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, op. cit., p. 233.

83

del P.R.G.; – Programmazione commerciale; – Programmazione esercizi

pubblici; – Piano degli insediamenti produttivi.

Senza i suindicati strumenti (specialmente in assenza di P.R.G.)110 non

è possibile infatti redigere un programma politico-amministrativo né tanto

meno le linee programmatiche (altrimenti dette strategiche) relative alle

azioni e ai progetti da realizzare nel corso del mandato111.

Del resto tutti i suindicati atti sono legati all’identico fine dell’ordinato

sviluppo della comunità insediata sul territorio considerato112.

Per dare effettivo impulso e concretizzare quanto indicato negli atti di

programmazione, l’ente deve dotarsi degli strumenti giuridici, nonché di

risorse umane e finanziarie, programmando (prima ancora delle opere e

lavori pubblici) l’assunzione del personale occorrente, per il tempo che si

prevede di utilizzarlo.

110 V. a sua conferma il contenuto del P.R.G. ex art. 7 legge 17 agosto 1942 n. 1150.

111 Art. 46 comma 3 T.U.E.L. Entro il termine fissato dallo statuto, il sindaco o ilpresidente della provincia, sentita la Giunta, presenta al consiglio le lineeprogrammatiche relative alle azioni e ai progetti da realizzare nel corso del mandato.

112 Ad esempio: gli artt. 13della legge n. 426/1971 (abrogata dal D.Lgs n. 114/1998)stabilivano il raccordo tra programmazione urbanistica e programmazione commerciale.

84

Il bilancio di previsione pluriennale è stato introdotto

nell’ordinamento contabile locale dall’art. 1 del D.P.R. 19 giugno 1979 n.

421113, come un allegato al bilancio annuale di previsione.

Solo con l’art. 13 del D.Lgs. n. 170/2006 è stato affermato il concetto

di sistema di bilancio114, correlando tra loro gli atti contabili e dichiarando

che il sistema di bilancio è strumento di programmazione.

Il bilancio pluriennale deve essere redatto tenendo conto delle linee

programmatiche, del piano generale di sviluppo e degli indirizzi

programmatici indicati nella relazione previsionale e programmatica.

Gli stanziamenti previsti nel bilancio pluriennale – che per il primo

anno coincidono con quelli del bilancio annuale di competenza – hanno

113 Art. 1 comma 1 D.P.R. 421/1979.

114 Sistema della programmazione finanziaria e della rendicontazione: 1. Il sistema di bilanciodegli enti locali costituisce lo strumento essenziale per il processo di programmazione, previsione,gestione e rendicontazione. Le sue finalità sono quelle di fornire informazioni in merito aiprogrammi futuri, a quelli in corso di realizzazione ed all'andamento dell'ente a favore dei soggettiinteressati al processo di decisione politica, sociale ed economico-finanziaria. 2. I documenti diprogrammazione e previsione hanno valenza pluriennale ed annuale ed i loro contenutiprogrammatici e contabili sono coerenti e interdipendenti. 3. Gli strumenti della programmazionedi mandato sono costituiti dalle linee programmatiche per azioni e progetti e dal piano generale disviluppo. 4. Il bilancio di previsione e' composto dalla relazione previsionale e programmatica, dalbilancio annuale e dal bilancio pluriennale ed e' deliberato entro il 31 dicembre dell'annoprecedente quello cui si riferisce. 5. Sulla base del bilancio di previsione annuale, deliberato dalconsiglio, l'organo esecutivo definisce, ove previsto, il piano esecutivo di gestione, determinandogli obiettivi ed affidando gli stessi, unitamente alle dotazioni necessarie, ai responsabili dei servizi.

85

carattere autorizzatorio115, costituendo il limite agli impegni di spesa, e sono

aggiornati annualmente in sede di approvazione del bilancio di previsione.

Il bilancio pluriennale, in coerenza con i vincoli della

programmazione, deve recepire i contenuti del programma che il governo

locale intende realizzare nel triennio di riferimento116.

Il bilancio pluriennale per la parte di spesa è redatto per programmi

titoli, servizi ed interventi, ed indica per ciascuno l’ammontare delle spese

correnti di gestione consolidate e di sviluppo, anche derivanti

dall’attuazione degli investimenti, nonché le spese di investimento ad esso

destinate, distintamente per ognuno degli anni considerati.

Tutto ciò in applicazione del principio che le spese in conto capitale

possono trovare il loro finanziamento nella contrazione di mutui e che le

spese con le quali si finanzia la spesa corrente (che è rigida e non crea

ricchezza) non possono essere più finanziate con mutuo a pareggio, ma solo

con il coacervo delle entrate117.

115 Art. 171 comma 4 T.U.E.L. Gli stanziamenti previsti nel bilancio pluriennale, che peril primo anno coincidono con quelli del bilancio annuale di competenza, hanno carattereautorizzatorio, costituendo limite agli impegni di spesa, e sono aggiornati annualmente insede di approvazione del bilancio di previsione.

116 Quindi la redazione del bilancio pluriennale necessariamente presuppone l’esistenzadi una precisa volontà politica di attuazione di un programma (inteso in senso lato), ilquale deve essere chiaro, ma non può essere preciso e stabile, in quanto le sue previsionisono necessariamente soggette a variazioni dipendenti dall’ampio margine di incertezzadovuto all’adattamento della programmazione ai fatti intervenienti in itinere, ma, d’altrocanto, sono autorizzatorie di spesa nei limiti degli stanziamenti.

117 Va tenuto presente che le cifre riportate nel bilancio pluriennale sono indicative(anche se autorizzatorie – come già detto – nei limiti della previsione legislativa) e

86

Il bilancio di previsione pluriennale118 ha assunto, a partire dalla

riforma del 1990, un ruolo decisivo nella programmazione dell’ente locale,

giacché riassume in sé l’intera manovra finanziaria, superando nel

contempo l’erronea convinzione di un inutile allargamento del novero degli

atti contabili.

La verità è che ci si avvia dal 1990 a considerare l’intervento pubblico

nel suo complesso, a partire dai soggetti minori che sono invero i più vicini

alla comunità.

la legge, inoltre, ha posto in capo al consiglio dell’ente l’obbligo di

verifica annuale – salva diversa periodicità prevista dal regolamento di

contabilità dell’ente –, dello stato di attuazione dei programmi,

contestualmente alla verifica degli equilibri di bilancio119. Quindi con

delibera consiliare occorre provvedere: 1) alla ricognizione sullo stato di

attuazione dei programmi; 2) alla verifica circa la permanenza degli

equilibri generali di bilancio; 3) all’adozione, in caso di accertamento

devono essere adeguati annualmente.

118 Ciò in ragione delle sue caratteristiche di atto con aggiornamento a cadenza almenoannuale, obbligatorio e necessario per legge, per il ruolo che esso ha nel processo diattuazione del programma del governo locale, ed unito funzionalmente in unicuminscindibile previsionale-annuale-pluriennale-relazione programmatica (alla cuiapprovazione quest’ultima è preordinata, costituendo la giustificazione in relazione adogni singola posta allocata nei due bilanci.

119 V. art. 193 T.U.E.L. Salvaguardia degli equilibri di bilancio.

87

negativo, dei provvedimenti necessari al ripiano degli eventuali debiti fuori

bilancio (riconoscibili o nei limiti della riconoscibilità) o dell’eventuale

disavanzo di amministrazione prevedibile in base ai dati della gestione

finanziaria, che siano stati comunicati, ripristinando, così, il pareggio.

A supporto di tale attività è funzionale il controllo di gestione.

La mancata adozione dei provvedimenti di riequilibrio – la cui

necessità sia stata evidenziata in sede di verifica dello stato di attuazione dei

88

programmi o di controllo di gestione o altrimenti – provoca la sanzione

89

dello scioglimento del consiglio, e, quindi, dell’intera amministrazione120.

La verifica più pregnante dell’azione amministrativa dovrebbe essere

effettuata, in sede di rendiconto, dalla giunta.

Per una corretta attività gestionale e per evitare la creazione di debiti

fuori bilancio la legge, dopo aver stabilito le regole per l’assunzione di

impegni e per l’effettuazione di spese (Parte II Titolo III Capo II T.U. n.

267/2000 ed art. 20 D.lgs. n. 170/2000), ha dettato le regole per la

salvaguardia degli equilibri di bilancio (artt. 193 e 194 T.U. n. 267/200),

introducendo stabilmente nell’ordinamento contabile locale l’istituto del

riconoscimento dei debiti fuori bilancio, ponendo a carico del consiglio

comunale o provinciale l’obbligo di ristabilire il riequilibrio di bilancio,

procedendo prioritariamente alla spesa in considerazione ed al

riconoscimento dei debiti fuori bilancio.

Con l’espressione di debito fuori bilancio,m <<che è sicuramente

ellittica, devono intendersi quei residui passivi di fatto che derivano da

impegni assunti irritualmente (cioè senza deliberazione dell’organo

collegiale e/o oltre il limite dell’autorizzazione a spendere contenuta e

quantificata nel bilancio di previsione) oppure impegni effettivamente tali

in senso giuridico (ma non contabile) in quanto atti ad esporre l’ente

90

all’azione vittoriosa del creditore>>121. Quanto alla genesi, i debiti fuori

bilancio erano sin dall’origine individuati in <<puri fatti (ad esempio

produttori di danno e quindi del debito di risarcimento) o di pronunce

giudiziarie, anche se sommarie (decreto ingiuntivo) o non definitive

(sentenze non passate in giudicato)>>, riconoscendo, poi, che solo in alcuni

casi può sussistere la discrezionalità <<in ordine alla riconoscibilità di un

120 L’art. 193 TUEL impone che l'intera gestione contabile degli enti locali sia ispirata almantenimento degli equilibri inizialmente fissati dal consiglio in sede di approvazione del bilanciodi previsione incentrato sul pareggio finanziario e sull'equilibrio economico. Nello specifico, sitratta di verificare che gli accertamenti delle risorse iscritte nei primi tre titoli delle entrate sianosufficienti a finanziare le spese correnti e le quote di capitale per rimborso di prestiti impegnate oda impegnarsi al titolo terzo della spesa e che il finanziamento degli investimenti iscritti al titolosecondo della spesa siano effettivamente finanziati con le entrate specifiche (avanzo di gestione,mutui, prestiti, conferimenti per trasferimenti in c/capitale) che si erano ipotizzate in preventivo eche le medesime si siano effettivamente concretizzate o realizzate. Ai fini del mantenimento degliequilibri generali di bilancio durante la gestione, l’attuale ordinamento finanziario e contabile,accanto alla scadenza del 30 settembre e relativa alla salvaguardia degli equilibri di bilancio,prevede un secondo momento di verifica che, disciplinato dal comma 8 dell’articolo 175 del Tuel,impone al Consiglio comunale di deliberare, entro il 30 novembre di ciascun anno, una variazionedi assestamento generale di tutte le voci di entrata e di spesa, compreso il fondo di riserva.L’assestamento generale del bilancio rappresenta un momento importante della gestionefinanziaria dell’ente perché consente di realizzare le ultime verifiche di bilancio e, nel caso dinecessità, di porre in essere le dovute manovre correttive sull’andamento finanziario dellagestione, in relazione alle indicazioni fornite dai vari responsabili dei servizi e dal responsabile delservizio finanziario dell’ente. L’assestamento costituisce un bilancio di verifica della gestione,contenente anche una previsione delle entrate e delle spese proiettate al 31 dicembre. Per quantoriguarda le entrate, in sede di assestamento si provvederà ad iscrivere in bilancio una nuovatipologia di risorsa non prevista in sede di predisposizione del bilancio di previsione. Infatti nonoccorre procedere a variazioni nel caso di maggiori accertamenti rispetto a quelli previsti, attesoche l’ordinamento finanziario e contabile non impone per le entrate alcun limite alla lorocontabilizzazione. A differenza delle entrate, la variazione di assestamento sarà necessaria per farfronte a nuove o maggiori spese, dal momento che la previsione aggiornata del bilancio diprevisione il limite invalicabile per l’assunzione degli impegni di spesa. Le nuove e/o maggiorispese troveranno copertura finanziaria nell’accertamento di nuove entrate o in una revisione degliinterventi di spesa, anche se nella pratica quotidiana è alquanto difficile “sottrarre” risorse airesponsabili che pur di mantenere intatti i propri stanziamenti non esitano a determinare icosiddetti “impegni generici” o “impegni di massima”. Nelle valutazioni da farsi in sede diassestamento generale, occorre prestare particolare attenzione al fondo di riserva il cuistanziamento dovrà essere tale da garantire l’ente dal verificarsi, nel mese di dicembre, di eventinon prevedibili che potrebbero compromettere il buon esito della gestione. Infatti dopo il 30novembre l’amministrazione può disporre unicamente delle variazioni al piano esecutivo digestione, entro il 15 dicembre e, dei prelevamenti dal fondo di riserva, entro il 31 dicembre. Ilfondo di riserva ha la natura di accantonamento di risorse per dare elasticità alla gestione dell'entelocale in relazione al carattere autorizzatorio dei bilanci di previsione. Le cause economiche chegiustificano la formazione del fondo di riserva vanno individuate nella possibilità che nel corsodella gestione "si verifichino esigenze straordinarie di bilancio o le dotazioni degli interventi dispesa corrente si rilevino insufficienti" (art. 166, d.lgs. n.267/2000).Il DPR 421/79 prevedeva l'iscrizione in bilancio di tre fondi di riserva:1) il fondo diriserva ordinario, per integrare stanziamenti di spesa che nel corso della gestione si fossero resiinsufficienti. Esso veniva utilizzato attraverso prelevamenti in favore di altri capitoli iscritti in

91

determinato debito fuori bilancio>>, ovvero che in alcuni casi il

riconoscimento era atto dovuto122. La figura del debito fuori bilancio è stata,

poi, introdotta nell’ordinamento giuridico dall’art. 24 L. aprile 1989 n. 144

123, il quale dispone che << … i comuni e le Comunità montane provvedono,

entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di

conversione del presente decreto, all’accertamento dei debiti fuori bilancio

bilancio e la detta utilizzazione era consentita sino alla data di chiusura dell'esercizio; 2) il fondo diriserva per spese impreviste, da utilizzare esclusivamente per l'istituzione di nuovi capitoli relativia spese aventi carattere di assoluta necessità e che non si sarebbero potuti prorogare senza evidentedetrimento di pubblici servizi o senza danno patrimoniale per l'ente. Anche per detto fondo eraconsentita l'utilizzazione entro il termine temporale del 31 dicembre e il fondo stesso non potevaessere imputato direttamente, ma solo stornato. 3) il fondo di riserva di cassa, anch'esso rientrantenel termine temporale del 31 dicembre, per integrare l'eventuale insufficienza di stanziamenti dispesa del bilancio di cassa. Con il nuovo ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, ilfondo di riserva di cassa è stato abolito in seguito all'abolizione del bilancio di cassa. Inoltre, in luogo del fondo ordinario e di quello per spese impreviste, viene previsto un unicofondo di riserva, per il quale è mantenuto il limite di importo massimo nella medesima misura del2% delle spese correnti ed è aggiunto, però, anche un limite di importo minimo nella misura dello0.30% delle stesse spese. Il fondo può essere utilizzato soltanto al fine di prelevare le relativedisponibilità e di stornarle su altri stanziamenti di bilancio: questa caratteristica è implicita nellanatura del fondo, poiché si tratta di un accantonamento di risorse su cui non possono essereimputati atti di spesa. Generalmente, il fondo di riserva viene utilizzato per: - integrazione degliinterventi iscritti nella parte corrente del bilancio, allorché si dimostrino insufficienti; -finanziamento di esigenze straordinarie di spesa: maggiori o nuovi interventi da collocare inbilancio, sia di parte corrente che in conto capitale. Il fondo è stanziato nella parte corrente delbilancio, ed in particolare costituisce oggetto di un apposito intervento iscritto tra le "funzionigenerali di amministrazione, gestione e controllo" e, nell'ambito di queste, tra gli stanziamentidegli "altri servizi generali". Si tratta del servizio con codifica "0108" che prevede anchel'intervento per il "Fondo svalutazione crediti". Tale servizio si risolve in un centro solamentecontabile, di imputazione transitoria di voci di spesa che non sono associabili in bilancio ai singoliservizi. A consuntivo il "fondo di riserva" non apparirà poiché verrà stornato a favore di altriinterventi, o costituirà un’economia di spesa, concorrendo alla formazione del risultato contabile diamministrazione. Le variazioni al bilancio sono di competenza dell’organo consiliare e possonoessere deliberate, come detto, non oltre il 30 novembre di ciascun anno. Per effetto dell’articolo42, comma 4, TUEL le variazioni di bilancio possono essere altresì adottate, nel rispetto dideterminate norme giuscontabili, anche dalla Giunta. Infatti, l’organo esecutivo può variare ilbilancio di previsione e i suoi allegati soltanto in via d’urgenza e salvo ratifica, a pena didecadenza, da parte dell’organo consiliare entro i sessanta giorni seguenti e comunque entro il 31dicembre dell’anno in corso se a tale data non sia scaduto il predetto termine. In caso di mancata oparziale ratifica del provvedimento di variazione adottato dall’organo esecutivo, l’organoconsiliare è tenuto ad adottare, nei successivi trenta giorni e comunque sempre entro il 31dicembre dell’esercizio in corso, i provvedimenti ritenuti necessari nei riguardi dei rapportieventualmente sorti sulla base della deliberazione non ratificata. La competenza a deliberare lavariazione generale di assestamento è del consiglio e si ritiene che la stessa non possa essereadottata come "qualunque variazione" dall'organo esecutivo in via d'urgenza. L'atto diassestamento riguarda l'impostazione definitiva del bilancio di previsione annuale del quale attuala verifica generale di tutte le voci di entrata e di uscita: si inserisce nel processo di controllo e diverifica di stretta competenza consiliare che si è svolto nel corso dell'esercizio e che si concludecon l'adozione dell'assestamento finale di bilancio. L'organo competente a utilizzare il fondo diriserva è la Giunta che, ai sensi dell’art. 176 TUEL, può deliberare i prelevamenti dal fondo di

92

esistenti alla predetta data e, con deliberazioni dei rispettivi consigli,

provvedono al relativo riconoscimento>> e che << … con la deliberazione

suddetta il consiglio indica i mezzi di copertura della spesa ed impegna in

bilancio i fondi necessari>>.

Una prima riflessione è che il riconoscimento dei debiti fuori bilancio,

al momento della sua introduzione, costituiva un istituto temporaneo, cioè

riserva entro il 31 dicembre dell’anno in corso. Tuttavia, l'organo esecutivo deve portare aconoscenza del Consiglio le variazioni avvenute, nei tempi stabiliti dal regolamento di contabilità.Da un punto di vista operativo, l'eventuale sovrastima di entrate o sottostima di spese, cioè inpresenza di minori entrate o maggiori spese, la gestione corrente presumibilmente chiuderà con undisavanzo di competenza, che inciderà negativamente sul risultato complessivo diamministrazione. Dal punto di vista della gestione dei residui dovrà appurarsi che i residui attiviconservati non riguardino crediti di dubbia esigibilità o di difficile esazione, si valutinocontemporaneamente le ragioni del loro mantenimento ed il loro grado di realizzazione,stimandone i tempi. L'eventuale insussistenza di residui attivi, infatti, inciderà negativamente sullagestione dei residui con influenza sul risultato contabile di amministrazione. Riguardo alle regolecontabili da rispettare in fase di variazione del bilancio, alle province, ai comuni, alle cittàmetropolitane e alle unioni di comuni è fatto divieto di effettuare prelievi dagli stanziamenti per gliinterventi finanziati con le entrate iscritte nei titoli quarto e quinto, al fine di aumentare glistanziamenti per gli interventi finanziati con le entrate dei primi tre titoli. Per le comunità montane,invece, sono vietati i prelievi dagli stanziamenti per gli interventi finanziati con le entrate iscrittenei titoli terzo e quarto per aumentare gli stanziamenti per gli interventi finanziati con le entratedei primi due titoli. Sono vietati, altresì, gli spostamenti di dotazioni dai capitoli iscritti nei serviziper conto di terzi in favore di altre parti del bilancio e gli spostamenti di somme tra residui ecompetenza.

121

C. Conti sez. enti locali, 24 novembre 1986 n. 30.

122

Ibidem

123

Art. 24 Riconoscimento dei debiti fuori bilancio.

93

limitato nel tempo, previsto per ricondurre tutte le spese effettuate dagli enti

locali territoriali nell’alveo del bilancio, sanando le spese aventi requisiti di

riconoscibilità, che costituivano dei <<residui passivi di fatto>>, causati dal

<<mancato rispetto in passato delle regole, giuridiche in genere e

giuscontabili in particolare, proprie della gestione degli enti locali>>124.

I comuni e le province, in applicazione delle disposizioni della citata

disposizione di cui all’art. 24, avrebbero dovuto provvedere al

riconoscimento dei debiti fuori bilancio, ove gli stessi avessero avuto i

requisiti della riconoscibilità. Quindi, si era alla presenza di un vero e

proprio dovere giuridico consistente nell’obbligo di procedere

all’accertamento delle spese prive di copertura finanziaria, della loro presa

in considerazione, del riscontro dell’esistenza dei requisiti per la loro

riconoscibilità e nel conclusivo obbligo di riconoscerli (ovvero di imputarli

all’ente), indicando le relative fonti di finanziamento125.

Successivamente, il termine di scadenza per il riconoscimento dei

debiti fuori bilancio veniva più volta126, e con varie giustificazioni,

prorogato, sino alla definitiva introduzione in modo stabile

nell’ordinamento degli enti locali dell’istituto del riconoscimento dei debiti

124

C. conti sez. enti locali, 24 novembre 1986 n. 30

125

Tutto questo era il frutto della politica legislativa riconducibile al decreto legge 1 luglio1986, n. 318, dettato per il <<ripanamento bilanci deficitari e mutui agli enti locali>>,convertito in legge 9 agosto 1986 n. 4888, che introduceva l’art. 1-bis controllo dellagestione.

94

fuori bilancio con l’art. 37 del decreto legislativo 25 febbraio 1995 n. 77, la

cui lettera e) del primo comma, che originariamente prevedeva il

riconoscimento di debiti fuori bilancio derivanti <<da fatti e provvedimenti

ai quali non hanno concorso, in alcuna fase, interventi o decisioni di

amministratori, funzionari o dipendenti dell’ente>>, veniva sostituita,

consentendosi il riconoscimento di debiti fuori bilanci derivanti da

<<acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai

commi 1, 2 e 3 dell’art. 35, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed

arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche

funzioni e servizi di competenza>>.

In definitiva, mentre originariamente il Legislatore consentiva che

potessero essere riconosciuti dall’amministrazione locale i debiti fuori

bilancio per i quali non era ipotizzabile una responsabilità da parte di

funzionari e/o amministratori nell’ordinazione della spesa in violazione

delle norme giuscontabili che regolano l’impegno di spesa, quella

successiva, recependo gli indirizzi giurisprudenziali in materia di

responsabilità per danno patrimoniale, conferiva la facoltà agli enti locali di

riconoscere i debiti fuori bilancio derivanti da <<acquisizione di beni e

servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 35, nei

limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento…>>. Veniva,

così, modificata la disposizione di cui all’articolo 35 circa la non

imputabilità all’ente dell’obbligazione scaturente da impegno di spesa

126

Ai sensi dell’art. 2 D.L. 25 maggio 1996 n. 287, non convertito ma fatto salvo, quantoagli effetti, dall’art. 1 comma 169 l. 23 dicembre 1996 n. 662, gli enti locali potevanoprovvedere sino al 31 dicembre 1996 al riconoscimento e finanziamento, ai sensi dell’art.37 D.lgs. 25 febbraio 1995 n. 77, dei debiti fuori bilanci maturati anteriormente al 13giugno 1990, la cui conoscenza, riferita sia al “quantum” che all’”an”, sia intervenutadopo il 15 luglio 1991 (T.A.R. Sardegna 30 maggio 97 n. 691).

95

assunto irritualmente per la parte del debito non riconoscibile, nei limiti

suindicati.

L’innovazione è stata di grande momento, in quanto ha permesso di

sanare permanentemente i debiti fuori bilancio, ponendo la parte non

riconoscibile del debito a carico di chi avesse reso possibile la formazione

dell’obbligazione, intercorrendo il rapporto obbligatorio tra il privato

creditore e il soggetto della P.A., che avesse agito in violazione delle

disposizioni normative concernenti l’effettuazione delle spese dell’ente

locale. Quindi, nell’ipotesi di cui alla lettera e) la violazione degli obblighi

ex art. 35 è un presupposto e non più un limite al riconoscimento del debito.

Del resto, nonostante le norme cogenti in materia di procedura di

spesa, la formazione dei debiti fuori bilancio ancora resta una realtà

patologica nella vita dell’ente locale, per cui è necessario adottare tutti gli

accorgimenti affinché non si verifichi.

Con la riformulazione della lettera e) del comma 1, dell’articolo 37 si

è recepita soprattutto l’elaborazione giurisprudenziale della Corte dei conti,

ma anche del giudice ordinario, sicché per gli enti locali territoriali è

divenuto essenziale il momento dell’accertamento del debito fuori bilancio;

infatti il riconoscimento presuppone la dimostrazione dell’effettiva utilità

che l’ente ha tratto dalla prestazione altrui, che non è circoscritta

al’arricchimento, inteso soltanto come accrescimento patrimoniale, potendo

consistere anche in un risparmio di spesa127, tenendo comunque conto di

tutti i vantaggi che l’ente ha ricevuto dal comportamento irrituale.

127

Cfr. Cass. civ., sez. I, 12 luglio 1996, n. 6332.

96

2.4) LA GESTIONE FINANZIARIA DEGLI ENTI

AUTARCHICI

La ripartizione di base tra gli enti pubblici è tra autarchici ed

economici, che si riferiscono allo svolgimento di attività amministrativa o

imprenditoriale con applicazione di formazione diversa.

Gli enti autarchici a loro volta si distinguono in territoriali – quali

regioni, province, città metropolitane e comuni – e non territoriali, a

seconda che il territorio sia considerato o meno elemento costitutivo

dell’ente.

Questi ultimi si distinguono poi in enti istituzionali – quali l’INPS,

l’INPDAP, ecc. – e associativi – quali il CONI, gli ordini ed i collegi

professionali, ecc. –, a seconda che prevalga nella loro struttura l’elemento

patrimoniale o personale.

Va osservato che gli enti pubblici non territoriali si trovano tutti in

situazione di correlazione di vario grado e tipo con lo Stato o altro ente

territoriale in modo da realizzare il collegamento anche indiretto con le

varie comunità.

Sotto tale profilo si possono distinguere enti indipendenti, strumentali

ed ausiliari.

I primi sono centri di riferimento di interessi di gruppi che esistono

nella collettività e per il loro rilievo generale sono elevati al rango di enti

pubblici, quali gli ordini ed i collegi professionali 128.

Gli enti strumentali sono quelli che esercitano funzioni e servizi

rientranti tra quelli propri di altri enti, in genere territoriali, quali l’INPS,

Università degli studi, Istituti statali di istruzione, gli enti subregionali, le

128

M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1979, pp. 186 e ss.

97

aziende municipalizzate, gli enti economici gestori di servizi, ecc.: si tratta

del fenomeno del decentramento autarchico129.

Gli enti ausiliari, invece, sono quelli che svolgono compiti di enti

pubblici territoriali, ancorché ne completino l’azione, affiancandosi ad essa

o integrandola: si tratta del fenomeno del policentrismo autarchico130, che

comprende le Università non statali, gli Istituti di credito di diritto pubblico

e alcuni enti economici.

Per porre ordine nel variegato panorama dell’entificazione pubblica a

livello nazionale, è intervenuta la legge 20 marzo 1975, n, 70, che ha tra

l’altro individuato vari tipi di ente pubblico131 relativamente ai quali ha

inteso fissare alcune disposizioni comuni, che sono espressamente escluse

per altri.

Al fine di uniformare l’ordinamento finanziario e contabile degli enti

pubblici nazionali, di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, il regolamento

contenuto nel D.P.R. 27 febbraio 2003 n. 97 pone principi e disposizioni di

129

A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1984, p. 186.

130

A.M. SANDULLI, op. cit., p. 186.

131

Enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e assistenza, enti di assistenzagenerica, enti di promozione economica, enti preposti a servizi di pubblico interesse, entiscientifici di ricerca e sperimentazione e enti culturali e di promozione artistica.

98

massima, che però possono essere integrati con regolamenti degli enti

stessi, in ragione dell’assetto dimensionale ed organizzativo132.

Viene affermata chiaramente la separazione tra direzione politica e di

controllo, da un lato, e attuazione della programmazione e gestione delle

risorse, dall’altro.

L’assetto organizzativo dell’ente si compone di centri di

responsabilità, determinati con riferimento ad aree omogenee di attività,

anche di carattere strumentale, inerenti alle competenze istituzionali, cui è

preposto un dirigente o altro funzionario.

Il titolare del centro di responsabilità è responsabile della gestione e

dei risultati derivanti dall’impiego delle risorse umane, finanziarie e

strumentali assegnategli.

Il processo di pianificazione, programmazione e budget si articola nei

seguenti documenti: – la relazione programmatica, redatta ogni anno

dall’organo di vertice, descrive le linee strategiche dell’ente da

intraprendere o sviluppare in un arco temporale definito (normalmente

coincidente con la durata del mandato); – il bilancio pluriennale, con

caratteristiche analoghe a quello dello Stato; – il bilancio di previsione,

predisposto dal direttore generale, è deliberato dal precedente cui il bilancio

stesso si riferisce, salvo diverso termine previsto da norme di legge o di

statuto; quindi è approvato, salvo diverso termine previsto da norme di

legge o di statuto; quindi è approvato, salva diversa disposizione normativa,

dall’amministrazione vigilante, sentito il Ministero dell’economia e delle

finanze. Esso, nel rispetto dei principi previsti per il bilancio dello Stato, è

132

Il regolamento di contabilità, deliberato dall’organo di vertice, è trasmessoall’amministrazione vigilante e al Ministero dell’economia e delle finanze –Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato.

99

composto dai seguenti documenti: a) il preventivo finanziario133, b) il

quadro generale riassuntivo della gestione finanziaria, c) il preventivo

economico134. Ad esso sono poi collegati: a) il bilancio pluriennale, b) la

relazione programmatica, c) la tabella dimostrativa del presunto risultato di

amministrazione, d) la relazione del collegio dei revisori dei conti; –la

tabella dimostrativa del presunto risultato di amministrazione, – il budget

(finanziario ed economico) dei centri di responsabilità di 1° livello.

Deve essere utilizzata altresì la contabilità analitica, la quale – in uno

con la contabilità generale – costituisce il sistema informativo aziendale135.

Gli enti pubblici di piccole dimensioni hanno la facoltà di redigere il

bilancio di previsione ed il rendiconto generale in forma abbreviata (art.

48), quando nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi

133

Il preventivo finanziario, in particolare, si distingue in “decisionale” e “gestionale” ed èformulato in termini di competenza e di cassa. Esso si articola, per le entrate e per leuscite, in centri di responsabilità di 1° livello, stabiliti in modo che a ciascun centrocorrisponda un unico responsabile con incarico dirigenziale, o funzionario, cui è affidatala relativa gestione.

134

Il preventivo economico, invece, è costituito dalla somma dei budget economici deicentri di responsabilità di 1° livello, che a loro volta sono elaborati come sintesi deibudget economici di tutti i centri di responsabilità ad essi subordinati.

135

Essa mira essenzialmente ad orientare le decisioni aziendali secondo criteri diconvenienza economica, assicurando che le risorse siano impiegate in maniera efficienteed efficace per il raggiungimento dei fini istituzionali dell’ente, anche attraverso l’analisidegli scostamenti tra obiettivi fissati in sede di programmazione e risultati conseguiti.

100

consecutivi, non superano due dei seguenti parametri dimensionali, desunti

dagli ultimi rendiconti generali approvati, ossia a) totale dell’attivo dello

stato patrimoniale136, b) totale delle entrate accertate, con esclusione delle

partite di giro137, c) dipendenti in servizio al 31 dicembre di ciascun anno

considerato138.

Se per il secondo esercizio consecutivo vengono superati due dei

suddetti limiti, gli enti devono redigere il bilancio in forma ordinaria.

Il bilancio di previsione in forma abbreviata – redatto in guisa da

rendere praticabile il monitoraggio, la verifica ed il consolidamento dei

conti pubblici – si compone, in particolare, dei seguenti tre documenti: a)

preventivo finanziario gestionale; b) quadro generale riassuntivo della

gestione finanziaria; c) preventivo economico in forma abbreviata.

Quanto agli enti subregionali, la normativa concernente le gestioni

finanziarie è contenuta nella legislazione regionale e nei relativi statuti, non

trovando applicazione diretta quella surriferita. I bilanci di essi sono

approvati annualmente nei termini e nelle forme stabiliti dallo statuto e

136

Nella fattispecie 2,5 milioni di euro.

137

1 milione di euro.

138

25 unità.

101

dalle leggi regionali e sono pubblicati nel bollettino ufficiale della

regione139.

CAPITOLO III

IL SISTEMA DEI CONTROLLI DELLO STATO SUGLI

ENTI LOCALI

3.1) IL CONTROLLO DELLO STATO SUGLI ENTI LOCALI

Il termine controllo è stato usato sia dal legislatore che in dottrina per

indicare attività eterogenee, così che a rigore non appare possibile

individuare una funzione di controllo come tale, con peculiari caratteri

distintivi140.

La stessa nozione di controllo sulla pubblica amministrazione, se

finora è stata intesa, in conformità al significato etimologico del termine

(dal francese contre rôle), come ricomprendente qualsiasi attività di

riscontro o vigilanza attuata alla stregua di un precedente parametro di

139

Cfr. D.Lgs. n. 76/2000, art. 12 “Bilanci degli enti dipendenti dalla regione e spese degli entilocali”: 1. I bilanci degli enti e degli organismi, in qualunque forma costituiti, dipendenti dallaregione sono approvati annualmente nei termini e nelle forme stabiliti dallo statuto e dalle leggiregionali e sono pubblicati nel bollettino ufficiale della regione. 2. Nei bilanci degli enti e degliorganismi di cui al comma 1, le spese sono classificate e ripartite in conformità quanto dispostonell'articolo 10. 3. La legge regionale detta norme per assicurare, in relazione alle funzionidelegate dalle regioni agli enti locali, la possibilità del controllo regionale sulla destinazione deifondi a tale fine assegnati dalle regioni agli enti locali.

102

valutazione ed in vista di una possibile misura sanzionatoria, viene sempre

più spesso estesa fino ad includere le fattispecie concettualmente diverse

del controllo-direzione o indirizzo, in cui la verificazione funzionale

all’esercizio della potestà di direzione.

Sono principalmente le esigenze provocate dalle tecniche

contemporanee d’amministrazione (gestione per obiettivi, sistemi di

programmazione di bilancio, ecc.) mutuate dal management privato, a far

assumere al controllo questo nuovo contenuto, che si caratterizza come

attività rivolta a confrontare i risultati di una gestione con gli obiettivi

prefissati, il tutto in un processo continuo che permetta di tener conto di

questi risultati per raggiustare i programmi in funzione delle possibilità e

delle circostanze sopravvenute141.

Ma è stata anche l’inidoneità dei controlli tradizionali, sprofondati nel

formalismo e divenuti incompatibili per la loro lentezza con le esigenze di

un’amministrazione moderna, a spingere alla ricerca di nuovi sistemi di

controllo e a tentare, pur tra gli inevitabili insuccessi, il trapianto di tecniche

ideate per operare in contesti organizzativi ben diversi.

Fondamentale classificazione dei controlli sull’amministrazione

statale è quella che distingue i controlli interni, che l’amministrazione –

intesa sia come singolo ministero che come potere esecutivo nel suo

140

Sul concetto di controllo v. M.S. GIANNINI, Controllo: nozione e problemi, in Riv.Trim. dir. pubbl., 1974, p. 1264 e ss.; F. TRIMARCHI BANFI, Il controllo di legittimità,Padova, 1984; F. GARRI, La tipologia dei controlli e il problema del loro coordinamento,in Foro Amm., 1986, p. 1978.

141

Sul punto v. O. SEPE, L’efficienza dell’azione amministrativa, Milano, 1975, p. 181 e ss.

103

complesso – esercita su se stessa, dai controlli esterni, provenienti da

organismi ad essa estranei.

Tra i controlli interni, all’inizio ha avuto la maggiore diffusione il

controllo c.d. gerarchico: costituisce attributo tipico dei poteri di

supremazia gerarchica quello di controllare l’azione dei subordinati per

garantire il miglior funzionamento dei servizi. Spesso nell’esercizio di

questa funzione l’autorità gerarchicamente sovraordinata gode dell’ausilio

di appositi corpi ispettivi – quali si riscontrano, ad esempio,

nell’amministrazione della pubblica istruzione o delle finanze – incaricati di

compiere accertamenti in loco.

Un’altra forma di controllo interno da tempo radicatasi nella nostra

esperienza istituzionale è quello di bilancio; esso è stato introdotto in molti

ordinamenti simili al nostro nel periodo storico tra le due guerre mondiali,

con la finalità essenziale di porre un freno alla spesa pubblica, limitando

l’autonomia di spesa dei singoli ministri a favore di uno di loro preposto ad

una amministrazione finanziaria (del bilancio, delle finanze o del tesoro).

Questo controllo si esercita primariamente nella formazione del bilancio,

prima che sia sottoposto al parlamento.

Negli ultimi anni il nostro ordinamento ha conosciuto un’ulteriore - e

più ampia e generalizzata – forma di controllo interno, di tipo gestionale,

esercitato da ogni amministrazione al proprio interno; tale ultima forma di

controllo interno è stata, da ultimo, sistemata e regolamentata dal D. Lgs.

30 luglio 1999, n. 286. In seguito all’entrata in vigore di detta normativa,

tutte le pubbliche amministrazioni, nell’ambito della rispettiva autonomia,

devono dotarsi di <<strumenti adeguati a: a) garantire la legittimità,

regolarità e correttezza dell'azione amministrativa (controllo di regolarità

amministrativa e contabile); b) verificare l'efficacia, efficienza ed

economicita' dell'azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche

mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati

(controllo di gestione); c) valutare le prestazioni del personale con

104

qualifica dirigenziale (valutazione della dirigenza); d) valutare

l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani,

programmi ed altri strumenti di determinazione dell'indirizzo politico, in

termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti

(valutazione e controllo strategico)>> (art. 1 del D.Lgs. in esame)142.

I controlli esterni si presentano in forme e con caratteri diversi a

seconda dei soggetti che li pongono in essere.

Rientra tra questi, in primo luogo, il controllo esercitato dal

parlamento, mediante l’approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi

dello Stato e gli altri strumenti, propri del sindacato parlamentare (inchieste,

interrogazioni, interpellanze, ecc.) rivolti a condizionare l’azione del

governo ed a rendere operante la sua responsabilità politica. Esterno è, poi,

naturalmente anche il controllo esercitato dagli organi giurisdizionali, sia

ordinari che amministrativi; esso si esercita attraverso la risoluzione di

controversie tra l’amministrazione e gli amministrati e può comportare

l’annullamento o la disapplicazione di atti amministrativi lesivi di diritti o

interessi legittimi degli stessi.

Infine, controllo esterno è (in moltissimi Stati) quello esercitato dalla

corte dei conti, che rappresenta, ovunque sia stata prevista, anche se con le

inevitabili diversità nelle modalità di funzionamento e nella collocazione

istituzionale e configurazione giuridica, il massimo organo di controllo

della pubblica amministrazione.

Nell’ambito dei controlli esterni fondamentale è la distinzione tra

controlli sugli atti e controlli sugli organi o le persone: nel primo caso

142

Vedasi, amplius, sull’argomento, AA. VV., Controlli, strategici, controlli direzionali econtrolli di valutazione. Prime riflessioni sul decreto legislativo n. 286 del 1999, Atti delconvegno tenutosi a Roma il 23 settembre 1999, a cura della corte dei conti-Seminariopermanente sui controlli, Roma, 2001.

105

oggetto del riesame sono i singoli atti compiuti dall’organo; nel secondo è il

comportamento delle persone fisiche preposte agli uffici o la condotta

dell’organo come tale che viene fatta oggetto del sindacato.

I controlli sugli atti mirano ad evitare la formazione o l’efficacia di atti

illegittimi o inopportuni; i controlli sugli organi mirano ad influenzare il

comportamento degli amministratori titolari degli organi, cui può accadere

di essere sospesi, rimossi o (per gli organi collegiali) sottoposti a

scioglimento da parte del soggetto controllante.

I controlli sugli atti a loro volta, si possono distinguere in: –

preventivi; – successivi; – di legittimità; – di merito.

Preventivi sono i controlli che vengono esercitati prima che l’atto sia

formato o dopo la formazione dell’atto stesso, ma prima della sua

esecuzione. Successivi sono i controlli che intervengono dopo che l’atto ha

già dispiegato in tutto o in parte i suoi effetti e mirano ad impedirne,

eventualmente, l’ulteriore produzione143.

La distinzione tra controlli di legittimità e di merito attiene invece alla

diversità del parametro alla cui stregua è operato il riesame dell’atto da

parte dell’organo di controllo: nel primo caso tale parametro è costituito

dalle norme di legge o di regolamento; nel secondo da criteri di opportunità

o di buona amministrazione. All’assoluta oggettività del primo parametro fa

riscontro la parziale soggettività del secondo, che lo stesso controllore

contribuisce a formulare. In altri termini: – il controllo di legittimità mira ad

accertare la presenza nell’atto di vizi di legittimità, che si riassumono nella

formula della <<violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere>>;

– il controllo di merito comporta un’indagine più penetrante, in quanto

143

Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, XII ed., Padova, 2009, p. 266 e ss.

106

estesa ad accertare, oltre ai vizi suddetti, anche quelli desumibili dalla

semplice inopportunità o idoneità dell’atto.

La sospensione, la rimozione e lo scioglimento sono, come abbiamo

visto, le più importanti manifestazioni del controllo sugli organi, dobbiamo

ora accennare ai principali provvedimenti cui dà luogo l’esercizio del

controllo sugli atti144.

Innanzitutto, le autorizzazioni e le operazioni, che sono entrambe

espressione di un controllo preventivo al merito. Le differenze, peraltro, tra

i due atti, almeno in teoria (la pratica ci offre anche esempi di autorizzazioni

ex post, concesse in sanatoria, sono nette: mentre l’autorizzazione, infatti,

rimuove un limite posto da una norma giuridica all’esercizio di un potere,

con l’approvazione, invece, si attribuisce efficacia ad un atto già compiuto e

perfetto, ma inefficace. Il carattere preventivo dell’autorizzazione deriva dal

fatto che precede il realizzarsi dell’atto, in quanto rientra tra i presupposti

oggettivi del suo procedimento di formazione: l’approvazione, invece,

costituisce un controllo preventivo perché precede e condiziona

l’esecuzione dell’atto.

Altro atto di controllo è il visto: esso aveva natura non diversa

dall’approvazione nei casi in cui era attribuito alla competenza del prefetto

ed esteso al merito; è espressione, invece, di un controllo di sola legittimità

il visto della corte dei conti sugli atti del governo.

Da ricordare, infine, l’annullamento, che rappresenta lo strumento per

l’esercizio del controllo generale di legittimità sugli atti degli enti locali.

Una posizione a sé stante riveste il controllo sostitutivo, che consegue

alla inerzia, alla impossibilità di funzionare o al cattivo funzionamento

dell’organo controllato e comporta la sostituzione dell’organo di controllo o

144

Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, op. cit., p. 267 e ss.

107

di un suo delegato (commissario) nel compimento di uno o più atti di

competenza dell’organo controllato e nell’esercizio esclusivo di tutte le sue

attribuzioni. Quando la sostituzione è parziale e si concreta nell’esclusione

della legitimatio agendum dell’organo controllato, il controllo sostitutivo

viene fatto rientrare tra i controlli sugli atti; oggetto del controllo

consideratosi, anziché un atto positivo, l’omissione di un atto obbligatorio.

La sostituzione totale, che comporta la esclusione della legitimatio ad

officium dei titolari degli organi ordinari sostituiti da organi straordinari, più

che un nuovo controllo rappresenta l’effetto da organi straordinari, più che

un nuovo controllo rappresenta l’effetto dell’intervenuto esercizio del

controllo sulle persone.

Ritornando all’argomento oggetto di trattazione, possiamo dire che, la

Costituzione Repubblicana, prima della recente riforma costituzionale (l.

cost. n.3/2001145) disciplinava i controlli sugli atti degli enti locali minori

nell’art. 130 – ora abrogato dall’art. 9 della legge costituzionale 18 ottobre

2001, n. 3 – che così recitava: <<Un organo della regione, costituito nei

modi stabiliti dalla legge della Repubblica, esercita, anche in forma

decentrata, il controllo di legittimità sugli atti delle province, dei comuni e

degli altri enti locali.

In casi determinati dalla legge può essere esercitato il controllo di

merito nella forma richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare la

loro deliberazione>>.

Tra le più importanti caratteristiche di tale sistema costituzionale vi

era l’attribuzione del controllo ad <<un organo della regione>>146.

145

Supra, Cap. II, par. 1.

146

108

Al riguardo, va evidenziato che la dottrina tradizionale aveva sempre

concepito il controllo sugli enti pubblici in genere ed enti locali in

particolare come tipica funzione statale. Questa opinione dottrinale

conseguiva logicamente alla concezione che si aveva della natura dello

Stato e degli enti pubblici: lo Stato, personificazione dell’ordinamento

giuridico e solo soggetto abilitato a qualificare tutto ciò che esiste nel suo

ambito; gli enti pubblici, individuabili come tali proprio in forza della

particolare relazione in cui si trovano con lo Stato.

Ente pubblico, in particolare – secondo la dottrina dominante quando è

entrata in vigore la Costituzione – è l’ente che persegue fini che sono propri

anche dello Stato, così che nel suo agire cura contemporaneamente il

proprio interesse e l’interesse statuale147. Ne consegue che lo Stato non può

restare indifferente sia all’an che al quomodo dell’azione degli enti pubblici

e risulta chiara, allora, la titolarità, da parte dello Stato, di più o meno ampi

poteri di controllo, rivolti a garantirlo dell’esercizio, legittimo ed

opportuno, dei suoi compiti da parte dell’ente pubblico. attraverso il

controllo lo Stato recepisce nel suo ordinamento gli atti degli enti locali,

Sul sistema costituzionale dei controlli sugli enti locali: T. MIELE, Il sistema deicontrolli da parte degli organi regionali sui comuni e sulle province, in Nuova rassegna,1965, p. 3049; F. BENVENUTI, I controlli sostitutivi nei confronti dei comuni el’ordinamento regionale, in Riv. amm., 1956, p. 242; D. SERRANI, Il controllo delleregioni sugli enti locali, in Foro amm., 1971, III, 44; M. SCUDIERO, I controlli sulleregioni, sulle province e sui comuni nell’ordinamento costituzionale italiano, Napoli,1964; U. DE SIERVO, Tensioni e tendenze sui controlli sugli enti locali, in Riv. trim. dir.pubbl., 1972, p. 1053; G. SPERANZA, Ricognizione dei controlli sugli elementi localinelle regioni a statuto ordinario, in Foro amm., 1973, II, p. 38; A.M. SANDULLI, Icontrolli sugli enti territoriali nella Costituzione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1972, p. 575,L.A. MAZZAROLLI, I controlli sugli atti degli enti locali, in Dir. e soc., 1979, n.1.

147

Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, XII ed., op. cit., p. 268.

109

cioè, attribuisce loro l’idoneità ad esplicare i propri effetti come atti

dell’amministrazione statale148.

Secondo questa dottrina, l’assegnazione alla regione del controllo

sugli enti locali operata dall’art. 130 Cost., rappresentava <<una deviazione

dai principi>>, una stortura logico-giuridica, tale da obbligare l’interprete a

considerare questa funzione, nonostante la dizione costituzionale, come

funzione statale esercitata dalla regione149. La funzione di controllo sugli

enti locali, in quanto tipica funzione statale, non poteva – secondo questa

opinione dottrinale – essere esercitata dalla regione se non per conto e

nell’interesse dello Stato, ad evitare l’errore dell’interprete di considerare

gli enti locali minori come enti dipendenti dalla regione.

Peraltro, la tesi ora esposta, anche se autorevole non è condivisa da

altra parte della dottrina150. In effetti, il costituente operò una scelta, per

quanto rivoluzionaria potesse apparire, a ragion veduta: dalla relazione,

infatti, all’assemblea costituente della commissione per la riforma

dell’amministrazione (di cui era autorevole membro lo Zanobini) è

148

Su questo punto si veda l’analisi di G. BERTI, La responsabilità pubblica (Costituzione eAmministrazione), Padova, 1997, p. 5 e ss.

149

Così T. MIELE, op. cit., p. 3501 e ss.; v. anche A. ZENOBINI, La norma dellaCostituzione intorno ai controlli sugli enti locali, In scritti vari di diritto pubblico,Milano,1955, p. 397.

150

Contra F. STADERINI, Diritto degli enti locali, XII ed., op. cit., p. 269 e ss.

110

possibile notare come la tesi della statualità del controllo, accanto a quella

della sua necessità, sia stata chiaramente prospettata al costituente, ma non

incontrò il favore dell’apposita Sottocommissione dell’assemblea, presso la

quale l’unica alternativa avanzata al controllo della regione fu quella

dell’autocontrollo degli enti locali. È quindi necessario pensare che la scelta

a suo tempo operata con l’art. 130 Cost. si giustificasse col nuovo disegno

costituzionale circa la posizione e i rapporti reciproci dello Stato e degli alti

enti pubblici, disegno che aveva il suo punto di forza nella solenne

proclamazione delle autonomie locali, contenuta nell’art. 5.

Ad un sistema politico caratterizzato da uno Stato accentratore al

quale si affiancavano enti ausiliari, strumento per un’amministrazione

statale indiretta, la Costituzione Repubblicana ha sostituito cioè un

ordinamento pluralistico, in cui nell’ambito della <<Repubblica, una e

indivisibile >>, trovano posto, accanto allo stato, gli enti comunitari locali,

la cui autonomia, preesistente nella realtà sociale, viene riconosciuta e non

creata dallo Stato.

Ma qual’era, allora, il significato concreto dell’attribuzione del

controllo ad un “organo della regione”?

Innanzitutto, tale organo doveva avere sede presso l’amministrazione

regionale ed avvalersi, per i servizi ausiliari ed esecutivi e per l’attività

istruttoria, di un apparato burocratico fornito dalla regione;

secondariamente la costituzione formale dell’organo andava riservata ad un

atto della regione; infine doveva anche escludersi che l’organo di controllo

potesse essere composto in prevalenza da elementi designati dallo Stato-

persona.

La regionalità dell’organo, in altri termini, era da riferire soltanto ad

aspetti organizzativi e strutturali, mentre sotto il profilo funzionale l’organo

doveva godere di piena indipendenza dalla regione ed a tal fine si

111

suggeriva, ad es., di estrarne i componenti da categorie espressione dello

Stato-comunità, cioè tra i magistrati151.

L’altra innovazione più saliente, dopo quella relativa alla titolarità

della funzione, risultante dall’art. 130 Cost., concerneva il modo in cui

veniva formulato il controllo di merito. Analogamente a quanto prescriveva

L’art. 125 per il controllo sulle regioni (norma anch’essa abrogata

dall’art. 9 L. Cost. 2/2001, cit.), la norma in esame prevedeva la possibilità

che anche sugli enti locali minori venisse esercitato un controllo di merito e,

anziché lasciare alla piena discrezionalità del legislatore ordinario di

disciplinare i modi di esercizio, stabiliva direttamente che esso dovesse aver

luogo nella <<forma di richiesta motivata agli enti deliberanti di

riesaminare la loro deliberazione>>.

Il controllo di merito, quale era esercitato dallo Stato nel sistema dei

controlli precostituzionali, era infatti lesivo della autonomia degli enti

locali, comportando nella sostanza uno spostamento dell’ordine formale

delle competenze; per questo in seno all’assemblea costituente si era

manifestata una forte opposizione alla permanenza di questo controllo di

merito, che poté, invece, essere superata attraverso l’adozione della formula

della richiesta di riesame. Tale istituto consisteva in un invito alla

rimeditazione della deliberazione adottata che l’organo di controllo

rivolgeva all’ente controllato, accompagnando la sua richiesta con

l’esposizione dei motivi e delle considerazioni alla luce dei quali non si

giustificava la scelta operata dall’ente. Nella sostanza si trattava di una

forma di collaborazione svolta allo scopo di rendere possibile all’ente locale

di assolvere meglio ai suoi compiti; tutto ciò nel pieno rispetto

151

A.M. SANDULLI, I controlli, op. cit., p. 583.

112

dell’autonomia dell’ente che restava libero di insistere nel proprio

convincimento e di portare ad esecuzione il proprio deliberato.

La stessa dottrina152 è dell’avviso che, così configurato, il controllo di

merito avesse una sua giustificazione nei confronti degli enti locali di

piccola dimensione (quanto a popolazione e a rilevanza degli interessi

curati); nei confronti degli enti locali di piccola dimensione153; nei confronti

degli enti più importanti, forniti di rappresentanze politico-amministrative

più selezionate e dotati di apparati burocratici più efficienti, era invece assai

difficile che l’organo di controllo potesse prospettare considerazioni e

argomentazioni sfuggite all’esame dell’organo deliberante. Ad ogni buon

conto la norma costituzionale rimetteva alla discrezionalità del legislatore

non soltanto individuare gli atti da sottoporre al controllo di merito, ma

anche decidere se applicare o meno questo ulteriore controllo, oltre quello

di legittimità.

3.2) IL CONTROLLO SUGLI ATTI

In attuazione dell’art. 130 della Costituzione fu emanata la legge

Scelba154, n. 62 del 1953, la quale ha dettato, al capo III, una serie di

disposizioni rivolte a disciplinare l’esercizio dei controlli sugli atti delle

province, dei comuni e dei consorzi.

152

Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, XII ed., op. cit., p. 271 e ss.

153

Relativamente alla popolazione e alla rilevanza degli interessi curati.

113

L’art. 55 di detta legge prevedeva l’istituzione nel capoluogo di ogni

regione di un comitato per il controllo sulla provincia, composto: 1) da tre

esperti nelle discipline amministrative, eletti dal consiglio regionale; 2) da

un membro nominato dal commissario del governo; 3) da un giudice del

tribunale regionale amministrativo, designato dal presidente dello stesso

tribunale.

Il comitato era formalmente costituito con atto del presidente della

giunta regionale e durava in carica quanto il consiglio regionale (cioè 5

anni, salvo il caso di anticipato scioglimento del consiglio stesso ai sensi

dell’art. 126 della Costituzione).

Secondo l’articolo 56 della Legge n. 62 del 1953 spettava allo statuto

regionale stabilire se il controllo sugli atti dei comuni dovesse essere

esercitato dallo stesso comitato incaricato del controllo sulle province

ovvero svolgersi in forma decentrata nei capoluoghi di provincia. Questa

seconda soluzione comportava la costituzione di speciali sezioni del

comitato.

Lo statuto regionale poteva anche prevedere che talune sezioni

esplicassero le loro funzioni nei capoluoghi (od in alcuni di essi) dei

circondari.

Circa l’oggetto del controllo in questione, l’art. 59 della legge n. 62

del 1953 stabiliva che il controllo di legittimità dovesse essere esercitato nei

confronti degli stessi atti già sottoposti, nel regime precostituzionale, al

154

Mario Scelba (Caltagirone, 5 settembre 1901 – Roma, 29 ottobre 1991) è stato un politicoitaliano, presidente del Consiglio dei ministri italiano dal 10 febbraio 1954 al 2 luglio 1955.Membro della prima ora del Partito Popolare. Con le elezioni del 1948 diventò deputato alParlamento Italiano. Fu ministro dell'interno dal 2 febbraio 1947 al 7 luglio 1953 (dall'11 luglio al18 settembre 1952 si fece sostituire da Giuseppe Spataro perché colpito da malattia), dal 10febbraio 1954 al 2 luglio 1955 e dal 26 luglio 1960 al 21 febbraio 1961; fu Presidente delConsiglio dal 10 febbraio 1954 al 2 luglio 1955.

114

controllo prefettizio. Ed aggiungeva, disciplinando il procedimento di

controllo, che <<l’annullamento delle deliberazioni illegittime deve essere

pronunciato entro venti giorni dal ricevimento dei processi verbali, con

ordinanza motivata in cui venga enunciato il vizio di legittimità riscontrato

nella deliberazione>>. <<Il termine suddetto>> – proseguiva la norma –

<<rimane sospeso se, prima della scadenza, l’organo di controllo chieda

chiarimenti o elementi integrativi di giudizio alla provincia od al comune.

In tal caso, la deliberazione diviene esecutiva se l’organo di controllo non

ne pronuncia l’annullamento entro 20 giorni dal ricevimento delle

controdeduzioni della provincia e del comune>>.

Disciplinava invece il controllo di merito sugli enti locali l’art. 60

della Legge n. 62 del 1953.

La legge di riforma del 1990 disciplinava i controlli sugli atti nel capo

XII, artt. 41-50, norme successivamente modificate dalla legge 15 maggio

1997, n. 127, che ha totalmente abrogato gli artt. 45, 46 e 48, concernenti,

rispettivamente, l’oggetto, il procedimento di controllo e il potere

sostitutivo.

Il legislatore del ’90 preferì muoversi su un piano di razionalizzazione

più che di natura rispetto al precedente sistema; in genere la nuova

disciplina sembrò soprattutto preoccuparsi di correggere gli aspetti più

marcatamente criticati ed ormai insostenibili del vecchio regime, con

interventi di razionalizzazione ma in una linea di sostanziale continuità

dell’indirizzo precedente.

In particolare, per quel che riguarda l’oggetto del controllo, l’abrogato

art. 45 della l. 142, sotto il titolo <<deliberazioni soggette al controllo

preventivo di legittimità>>, individuava l’oggetto del controllo in misura

assai più ridotta che nel passato ed in forme diversificate, che

comprendevano sia un controllo necessario che uno eventuale, da esercitarsi

a seguito di iniziativa esterna all’organo di controllo.

115

Il controllo necessario riguardava tutte le deliberazioni del consiglio,

che nel nuovo ordinamento è <<l’organo di indirizzo e di controllo

politico-amministrativo dell’ente locale>> ed ha competenze, come si è

visto, per gli atti normativi, di indirizzo e programmatici nonché per alcuni

atti di natura più direttamente gestionale ritenuti particolarmente importanti.

L’istituto del controllo eventuale, la cui introduzione era stata

largamente auspicata nel dibattito politico-dottrinale precedente alla riforma

per ragioni soprattutto di snellezza operativa, rappresentava una novità

assoluta nell’ordinamento comunale e provinciale ed aveva caratteri

peculiari che lo differenziavano anche da precedenti modelli in vigore per

altri enti. Esso non era successivo ma preventivo, e, soprattutto, la sua

attivazione non era rimessa all’iniziativa del controllore (né di altri soggetti

estranei all’amministrazione locale), ma dagli stessi amministratori secondo

una articolata modulazione di interventi155.

Era, innanzitutto, previsto che, a richiesta di un terzo o un quinto dei

consiglieri, fatta entro dieci giorni dall’affissione all’albo pretorio, in forma

scritta e motivata con l’indicazione delle norme violate, dovessero essere

sottoposte al controllo le deliberazioni della giunta rientranti nelle seguenti

materie: a) acquisti, alienazioni, appalti ed in generale tutti i contratti; b)

contributi, indennità, compensi, rimborsi ed esenzioni ad amministratori, a

dipendenti o a terzi; c) assunzioni, stato giuridico e trattamento economico

del personale (art. 45, comma 2).

In secondo luogo, sempre su richiesta scritta e motivata dello stesso

numero di consiglieri, qualsiasi deliberazione della giunta, a prescindere dal

suo oggetto, doveva essere sottoposta al controllo qualora se ne contestasse

155

Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, XII ed., op. cit., p. 274.

116

la legittimità sotto il profilo dell’incompetenza o del contrasto con atti

fondamentali del consiglio )art. 45, comma 4).

Infine su iniziativa dell’organo consiglio, e non più soltanto di un

certo numero di suoi componenti, poteva essere sottoposta al controllo

qualsiasi deliberazione della giunta, senza preclusioni né con riguardo

all’oggetto né ai vizi di legittimità rilevabili (art. 45, comma 1).

Come accennato, la legge n. 127 del 1997 ha innovato notevolmente la

materia. In particolare, disponeva l’art. 17, comma 33 della succitata

norma: <<il controllo preventivo di legittimità sugli atti degli enti locali si

esercita esclusivamente sugli statuti dell’ente, sui regolamenti di

competenza del consiglio, esclusi quelli attinenti all’autonomia

organizzativa e contabile, sui bilanci annuali e pluriennali e relative

variazioni, sul rendiconto della gestione>>.

Accanto a questo controllo, che doveva essere necessariamente

esercitato perché condizionava gli atti ad esso soggetti, la normativa in

esame, nel comma successivo, prevedeva anche un controllo eventuale sulle

deliberazioni della giunta subordinando alla sua iniziativa ed anch’esso

preventivo.

Infine era prevista un’altra forma di controllo eventuale, con

caratteristiche diverse per l’oggetto e, soprattutto per il soggetto ed il

procedimento di controllo156.

La suddetta normativa sul controllo preventivo aveva carattere

generale e non escludeva che per fattispecie particolari potessero coesistere

discipline specifiche: così la nomina di un commissario ad acta a cura del

prefetto era (ed è tuttora) prevista da diverse leggi di settore oltre che da

altri articoli della l. 142/90 (cfr. artt. 36, comma 4 e 38, comma 7). Controlli

156

Cfr. F. STDERINI, Diritto degli enti locali, op. cit., p. 442 e ss.

117

sostitutivi sono stati anche introdotti per casi particolari da leggi regionali di

conferimento di funzioni ex D.lgs. n. 112/1998.

Il controllo di merito, quale previsto dalla Costituzione e disciplinato

dalla l. n. 62 del 1953, rappresentava una forma di collaborazione, offerta

nei modi più rispettosi dell’altrui potere decisionale, al solo scopo di

rendere possibile all’ente locale di assolvere meglio ai suoi compiti.

La normativa innanzi descritta è stata trasfusa nel T.U. n. 267/2000

con pochissime modifiche; le relative norme sono contenute nel capo I

(articoli da 124 a 140) del titolo VI del T.U., dedicato appunto ai controlli.

Le norme suddette hanno sostanzialmente confermato la previgente

struttura del controllo preventivo di legittimità su atti, limitandosi più che

altro a dare sistemazione organica ad una normativa frammentaria e frutto

di una stratificazione decennale157.

In sintesi, il sistema dei controlli sugli atti delineato dal Testo Unico

comprende, in primo luogo, il controllo necessario di cui all’art. 126 del

T.U., che così recita al primo comma: <<Il controllo preventivo di

legittimità di cui all’art. 130 della Costituzione sugli atti degli enti locali si

esercita esclusivamente sugli statuti dell’ente, sui regolamenti di

competenza del consiglio, esclusi quelli attinenti all’autonomia

organizzativa e contabile dello stesso consiglio, sui bilanci annuali e

pluriennali e relative variazioni, adottate o ratificate dal consiglio, sul

rendiconto della gestione, secondo le disposizioni del presente Testo

Unico>>.

Si noti che, tra gli atti da sottoporre a controllo preventivo di

legittimità, vi sono i regolamenti di competenza del consiglio, con

esclusione di quelli riguardanti l’autonomia organizzativa e contabile del

157

Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, op. cit., p. 277 e ss.

118

consiglio medesimo. Analogamente, è precisato che vanno sottoposte a

controllo le delibere di variazione di bilancio, predisposte dalla giunta, solo

però se ratificate dal consiglio.

L’art. 127 del T.U. prevede le due tipologie di controllo eventuale,

quello su iniziativa della giunta (comma 3) o dei consiglieri (commi 1 e 2).

In tale ultimo caso, precisa la norma che il controllo è esercitato dal

difensore civico comunale o provinciale solo se istituito, altrimenti opera il

119

Co.Re.Co.158 (insomma, non si dà più per scontata, a differenza di quanto

riteneva l’art. 17, comma 39 dalla l. 127/97, l’istituzione del difensore

civico da parte dei comuni o delle province).

L’art. 135, comma 2 del T.U. regolamenta infine – l’ipotesi di richiesta

di controllo preventivo su atti da parte del prefetto, nei casi di rischi di

infiltrazioni di tipo mafioso. In sostanza, il prefetto può chiedere che siano

sottoposte al controllo preventivo di legittimità le deliberazioni degli enti

158

CORECO, sigla che sta per Comitato regionale di controllo, erano, uno per ogni regioneitaliana, gli enti di controllo dell'amministrazione e della contabilità delle regioni; sono statiaboliti nel 2001 per effetto della L. cost. 18-10-2001, n. 3. Il CORECO, che era un organoistituzionale e non politico, si occupava di accertare anche l'efficienza e la qualità dell'attivitàdell'ente territoriale. Il Coordinamento nazionale degli organi regionali di controllo coordinava, alivello nazionale, l'azione dei Comitati regionali. Sebbene non avesse carattere costituzionale,come i CORECO, ma fosse solo un'associazione senza personalità giuridica, di fatto assicurava unorientamento uniforme dei CO.RE.CO. Attraverso corsi di aggiornamento, elaborati tecnico-giurici e conferenze tenute in ogni parte d'Italia, il Coordinamento Nazionale dei Coreco forniva aisingoli Comitati regionali un concreto supporto utile e prezioso per lo svolgimento delle lorofunzioni istituzionali. Presidente del Coordinamento Nazionale dei Coreco era il prof.avv. FrancoBALLI di Bologna, componenti il direttivo nazionale erano l'avv. Giorgio Bortone, l'avv.AlfredoLonoce, l'avv. Lorenzoni, l'avv.Modesti ed il dott.Punzi. L'associazione del CoordinamentoNazionale dei Coreco non è stata mai sciolta, ma ha sospeso ogni attività alla fine del 2002 dopoche, a seguito della entrata in vigore della revisione della Costituzione, che aveva abrogatol'art.130 (norma da cui derivava la valenza costituzionale degli organi di controllo) molte regionihanno sciolto i vari comitati di controllo. Il 16 gennaio del 2002 il Senato della Repubblica,nell'ambito dei lavori di revisione del Titolo V della parte II della Costituzione, in sede diaudizione, ascoltò i componenti del Coordinamento Nazionale dei Comitati di Controllo. Èvisionabile in appresso il resoconto stenografico dell'audizione. Nonostante il segnale l'allarmelanciato in quella sede dai membri che rappresentavano il Direttivo del Coordinamento Nazionaledi Controllo, i quali ribadirono la necessità dei controlli sulla legittimità degli atti degli EntiLocali, il legislatore regionale eliminò totalmente ogni forma di controllo affidato ad un organoterzo ed imparziale, conferendo, in nome del principio dell'autonomia, ogni potere di controlloresiduale all'interno degli stessi uffici regionali, provinciali e comunali, con la conseguenza di farcoincidere la figura del controllato con quella del controllore. In Europa, invece, in stati federali,quali l'Austria, la Germania e la Spagna, i controlli esterni da parte di organi terzi ed imparzialicontinuano ad esistere, garantendo il corretto impiego delle risorse economiche e che gli atti dellapubblica amministrazione rispondano sempre ai requisiti dell'economia, dell'efficienza edell'economicità. L'art. 41 terzo comma della Costituzione italiana prevede che "La leggedetermina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possaessere indirizzata e coordinata a fini sociali". Con l'abrogazione dei Co.re.co. è sostanzialmenterimasta priva di controllo l’attività economica delle amministrazioni locali, ormai in continuaespansione.

120

locali relative ad acquisti, alienazioni, appalti ed in generali a tutti i

contratti; le predette deliberazioni sono comunicate al prefetto e

contestualmente all’affissione all’albo.

Il problema della permanenza e dell’estensione dei controlli esterni di

legittimità è stato oggetto di un ampio dibattito dottrinale, iniziato già

alcuni decenni orsono.

La commissione parlamentare per le riforme costituzionali, di cui alla

legge costituzionale 24 gennaio 1997, n. 1, incaricata di mettere a punto il

nuovo testo della parte seconda della Costituzione, esprimeva una chiara

opzione per l’abolizione di ogni forma di controllo preventivo di legittimità

e di merito sugli atti e per il mantenimento di un limitato controllo

successivo sulla gestione; più in particolare essa prevedeva, all’ultimo

comma del riformulato art. 56 Cost., che <<gli atti dei comuni, delle

province e delle regioni non sono sottoposti a controlli preventivi di

legittimità o di merito>> e puntualizzava, al secondo comma dell’art. 83,

che <<la corte dei conti è organo di controllo dell’efficienza e

dell’economicità dell’azione amministrativa. Partecipa, nei casi e nelle

forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti

a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle

camere e alle Assemblee regionali sul risultato del controllo eseguito

nonché sulla gestione finanziaria del bilancio dello Stato e delle

regioni>>159.

La tematica dei controlli esterni è stata poi ripresa in esame in

occasione della riforma introdotta con la legge costituzionale 18 ottobre

159

Come noto, i lavori della cennata commissione parlamentare non hanno avuto seguito.

121

2001, n. 3. Tale ultima normativa ha sancito, al comma e dell’art. 9,

l’abrogazione degli articoli 125, primo comma, e 130 della Costituzione,

cioè delle norme che prevedevano, rispettivamente, l’esercizio da parte di

organi dello Stato e delle regioni del controllo di legittimità sugli atti delle

amministrazioni regionali e degli enti locali.

Fra l’abolizione espressa dei controlli di legittimità e di merito sugli

atti e l’abrogazione delle norme che tali controlli prevedevano sul sistema

delle autonomie territoriali, il legislatore costituzionale si è quindi orientato

per quest’ultima soluzione.

Si è molto discusso su quali fossero le conseguenze pratiche della

modifica costituzionale in esame.

Così, per alcuni le leggi ordinarie che hanno disciplinato i controlli

sugli atti delle regioni e degli enti locali nonché istituito organi chiamati in

concreto ad esercitare le relative funzioni si atteggerebbero come norme di

attuazione del dettato costituzionale, per cui, una volta travolto

quest’ultimo, cadrebbero, sia pure in via di interpretazione, con effetti

preclusivi della reiterazione dei controlli stessi.

Da parte di altri si è invece argomentato come il nuovo assetto

costituzionale non possa comportare alcuna implicita abrogazione delle

norme in materia, che resteranno allora in vigore, in attesa o che intervenga

una esplicita pronuncia da parte del giudice delle leggi, a seguito di giudizio

incidentale di legittimità costituzionale, ovvero dello stesso legislatore. In

particolare, si è fatto notare che l’abrogazione per incompatibilità di una

norma può avvenire, nel nostro ordinamento, solo per l’insanabile ed

esplicito contrasto con altra norma e non già per il suo contrasto con

122

principi costituzionali, non essendo ammesso il sindacato diffuso da parte

dell’interprete160.

Sul piano concreto, è accaduto che, dopo l’entrata in vigore delle

nuove norme costituzionali, alcune regioni (ad es. la Campania ed il

Veneto) hanno immediatamente approvato delibere di presa d’atto della

cessazione dell’attività del Co.Re.Co., mentre in altre si continuava a

sottoporre gli atti degli organi secondo la disciplina del T.U. 267/2001.

Per porre fine a tale situazione di vero e proprio caos normativo, il 7

novembre 2001 è stata raggiunta un’intesa di massima tra governo, regioni

ed autonomia locali, in base alla quale si è preso atto che i controlli già

previsti dagli abrogati articoli 125 primo comma e 130 della Costituzione

sono cessati a decorrere dall’entrata in vigore della Legge costituzionale n.

3/2001 e che pertanto, dal 19 novembre 2001, le amministrazioni regionali

e locali non sarebbero più tenute a trasmettere i loro atti amministrativi agli

organi statali e regionali di controllo. Dei contenuti di una tale intesa,

illustrata dal ministro per gli affari generali, il consiglio dei ministri ha

successivamente preso atto nella seduta del 21 novembre 2001161.

Gli orientamenti espressi in sede politica hanno trovato immediato

riscontro nella pratica e sono stati recepiti in alcune leggi regionali

160

In tal senso G. VIRGA, i nuovi principi costituzionali non possono abrogare perimplicito le disposizioni di legge previgenti, in www.giust.it, n.10/2001; T. MIELE, Lariforma costituzionale del titolo V della seconda parte della Costituzione: gli effettisull’ordinamento, in www.giust.it, n. 11/2001 e, infine, G. DE MARTIN, Primi elementidi lettura della riforma del titolo V della Costituzione, inwww.amministrazioneincammino.luiss.it/riforma/commenti/costituzioneV_10.ht e E.BALBONI, Le garanzie esterne per la sana gestione finanziaria, in Autonomie locali,garanzie di legalità e sana gestione (a cura di DE MARTIN), Roma, 2005, p. 67.

123

intervenute in materia162 e, sia pure incidentalmente, anche in alcune

sentenze della Corte costituzionale.163

Problema diverso e più delicato è quello concernente gli effetti

dell’abrogazione dell’art. 130 Cost. nei confronti dei controlli sugli atti

degli enti locali delle regioni a statuto speciale. Al riguardo occorre tener

presente, da un lato, che queste regioni godono di competenza legislativa

esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali e, dall’altro, che la

norma transitoria di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 prevede

l’applicazione, fino all’adeguamento dei rispettivi statuti, anche alle regioni

a statuto speciale (e province di Trento e Bolzano) delle nuove disposizioni

che prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle cedenti.

161

La vicenda ha interessato anche i mass-media, specie la stampa specializzata. Vedansi,tra i tanti, Stop immediato ai controlli sugli atti di comuni e province, in Il sole-24 ore del10/11/2001; Al capolinea i controlli sui comuni, in Italia oggi del 10/11/2001; Enti nelcaos dopo la fine dei controlli, in Italia oggi del 16/11/2001; Corte dei conti e Co.Re.Co.non controllano più ma manca l’alternativa, in Il Piccolo del 28/11/2001.

162

Si vedano, tra le prime, la Legge reg. Toscana 2 gennaio 2002, n. 2, e Lombardia 9maggio 2002, n. 8.

163

Si vedano le sentenze n. 106 del 2002 e n. 43 del 2004. Per la dottrina, tra gli altri: E.GIANFRANCESCO, L’abolizione dei controlli sugli atti amministrativi e la scomparsadella figura del Commissario del governo, op. cit., p. 229; F. PINTO, Diritto degli entilocali, op. cit., p. 375; S. RODRIGUEZ, I controlli sugli atti degli enti locali nel mutatoassetto costituzionale, in Giur. It., 2004, p. 1296; C. PINELLI, Quali controlli per gli entilocali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2005, n. 1-2, p. 165.

124

Allo stato va rilevato che la Corte costituzionale in due sentenze, la n.

202 del 2005, relativa alla Regione Sardegna, e la n. 203 sempre del 2005,

relativa alla Regione Friuli-Venezia Giulia, ha dichiarato inammissibili

questioni di costituzionalità sul punto proposte senza operare alcun

riferimento ai parametri statutari sulla esclusiva competenza legislativa

nella materia.

3.3) IL CONTROLLO SUGLI ORGANI

Nell’ordinamento precostituzionale erano previsti per antica tradizione

legislativa controlli repressivi sui principali organi comunali e provinciali,

rivolti a privarli, in presenza di motivi di ordine pubblico o per persistenti

violazioni di legge, della loro legitimatio ad ufficium con la nomina di un

commissario.

L’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, con l’ampio

riconoscimento delle autonomie locali, ha fatto sorgere dubbi sulla

legittimità costituzionale di tale disciplina, che il legislatore ordinario non si

era curato di abrogare e neppure in qualche misura di modificare in

occasione della riforma dei controlli sugli atti attuata con la legge Scelba n.

62 del 1953. Le perplessità sollevate riguardavano sia la compatibilità di

tali controlli con l’autonomia comunale e provinciale sia, in via

subordinata, la titolarità statale o regionale dei controlli medesimi164.

164

Cfr. F. BENVENUTI, I controlli sostitutivi nei confronti dei comuni e l’ordinamentoregionale, op. cit., p. 243.

125

La Costituzione del 1948 si limitò a prevedere, attribuendolo ad un

organo della regione, il controllo sugli atti degli enti locali, senza disporre

nulla riguardo agli organi. Parimenti, la Legge n. 62 del 1953 non dettò una

nuova disciplina sui controlli sulle persone, lasciando inalterata la

normativa di cui al T.U. del 1915.

Nella legge di riforma n. 142 del 1990, la materia del controllo sugli

organi era disciplinata da due articoli, 39 e 40, di un apposito capo, l’XI;

peraltro riguardavano la materia anche altre norme collocate in altri capi e

principalmente gli articoli 38 (che prevedeva un potere ispettivo e un potere

di sostituzione del prefetto al sindaco nell’adempimento dei compiti quale

ufficiale di governo); 49 (che estendeva ad altri enti locali i controlli, anche

sugli organi, previsti per i comuni e province) e 64, in tema di abrogazione

di norme, che faceva sopravvivere l’art. 19 del T.U. comunale e provinciale

del 1934.

La disciplina in esame – la quale riproduceva quella precedente

contenuta nel T.U. comunale e provinciale del 1915 (modificato con R.D. n.

2839 del 1923)165 – non è stata sostanzialmente modificata dalle riforme

degli anni successivi, venendo trasferita pressoché identica nel Testo Unico

del 2000.

Le prime ipotesi di scioglimento previste dall’art. 141, comma primo,

lettera a) del Testo Unico, hanno come causa: <<atti contrari alla

Costituzione>>, <<gravi e persistenti violazioni di legge>> e <<gravi

motivi di ordine pubblico>>. Ciò che accomuna queste ipotesi, elencate

insieme nel testo normativo, è l’esercizio di un’attività contraria alle regole

165

Una circostanziata illustrazione di questa normativa era contenuta nella circolare delministro dell’interno n. 17102/127/I del 7 giugno 1990. I dottrina, si veda l’accuratatrattazione di C. GELATI, I controlli sugli organi degli enti locali, in Nuova Rassegna,1998, 1.

126

poste dall’ordinamento da parte di organi in grado di funzionare

normalmente.

Gli atti contrari alla Costituzione rappresentano il comportamento più

spiccatamente irregolare degli amministratori locali, trattasi di una causa di

scioglimento non prevista espressamente dal precedente ordinamento, ma

che la Costituzione individua direttamente quale causa di analogo

intervento sui consigli regionali. Ed in effetti, questa condotta illegittima, da

intendersi soprattutto come grave sconfinamento dal proprio ambito

costituzionale di competenza, è più facilmente configurabile per le regioni

che non per le minori amministrazioni locali.

Le gravi e persistenti violazioni di legge rappresentano un’ipotesi di

scioglimento già prevista dalla precedente disciplina del 1915; la nuova

formulazione, peraltro, si differenzia per la qualificazione come gravi delle

violazioni di legge e per la mancata espressa previsione del previo

esperimento della diffida a provvedere.

La prima innovazione non fa che richiamare giustamente

l’orientamento giurisprudenziale e la prassi prevalente, che richiedeva la

violazione di norme non solo vincolanti, operanti, cioè, al di fuori

dell’ambito della libera scelta e discrezionalità che riguarda gli enti

autonomi, ma anche di un certo rilievo politico-amministrativo. La seconda

innovazione è invece soltanto apparente: in effetti la previa diffida

rappresenta lo strumento ordinario per accertare formalmente la persistenza

della violazione di legge; oltre a ciò, si può anche pensare che corrisponda

ad un principio generale in materia di procedimenti sanzionatori166167.

166

Per la giurisprudenza in materia, vedasi C. Stato, sezione I, parere n. 550 del 19 aprile1989.

127

I gravi motivi di ordine pubblico ripetono integralmente la precedente

ipotesi di scioglimento, sulla quale è intervenuta un’antica ed ormai

consolidata elaborazione giurisprudenziale che conserva quindi attualità.

Al riguardo, è opportuno ricordare che per la Corte costituzionale è

necessario far riferimento alla nozione di ordine pubblico quale sicurezza e

quiete pubblica, con esclusione di ogni più lata accezione che consenta di

ricomprendere anche fattispecie di cattivo funzionamento degli organi168. Ed

il consiglio di Stato, a sua volta, ha avuto occasione di precisare che non

può giustificare da solo lo scioglimento una situazione di grave attrito

167

Nell'espletamento della sua funzione consultiva, il Consiglio di Stato fornisce pareri preventivicirca la regolarità e la legittimità, il merito e la convenienza degli atti amministrativi dei singoliministeri, del Governo come organo collegiale o delle Regioni. I pareri possono essere facoltativio obbligatori. I pareri facoltativi possono essere richiesti dalla Pubblica Amministrazione, nel casolo ritenga opportuno. Essi non sono mai vincolanti: l'Amministrazione richiedente, può semprediscostarsi dandone motivazione. Sono sempre facoltativi i pareri richiesti dalle Regioni. In altricasi la Pubblica Amministrazione deve richiedere un parere al Consiglio di Stato. Si parla allora dipareri obbligatori. Ai sensi della L. 127/97, il parere del Consiglio è obbligatorio per:l'emanazione di atti normativi (regolamenti) del Governo o dei singoli ministeri; l'emanazionedei testi unici; la decisione sui ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica;l'approvazione degli schemi generali di contratti-tipo, accordi e convenzioni predisposti daiMinisteri. La stessa legge 127/97 ha abrogato ogni diversa disposizione legislativa che preveda ilparere del Consiglio di Stato in via obbligatoria, tenendo fermo il combinato disposto dell'articolo2, comma 3, della L. 23 agosto 1988, n. 400, e dell'articolo 33 del testo unico delle leggi sulConsiglio di Stato, approvato con r.d. 26 giugno 1924, n. 1054. I pareri obbligatori si distinguono,inoltre, in vincolanti o non vincolanti, a seconda che l'Amministrazione richiedente, in sede diemanazione dell'atto per il quale è stato emesso il parere, sia tenuta o meno a seguirli.

168

Cfr. C. Cost., 11 luglio 1961, n. 40, in Giur. cost., 1961, p. 935.

128

verificatasi tra consiglieri169; né un qualsiasi altro comportamento che non si

traduca in grave pregiudizio alla tranquillità e sicurezza della collettività170.

Va evidenziato, in proposito, come anche il legislatore, proprio

ultimamente, nel D.Lgs. n. 112 del 1998, abbia dettato un ampio concetto di

ordine pubblico, indicato come <<il complesso dei beni giuridici

fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata

e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle

istituzioni, dei cittadini e dei loro beni>> (art. 159).

Le ulteriori ipotesi di scioglimento previste dal primo comma dell’art.

141, alla lettera b), attendono alla impossibilità di assicurare il normale

funzionamento degli organi e dei servizi per: 1) impedimento permanente,

rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della provincia;

2) dimissioni del sindaco o del presidente della provincia; cessazione dalla

carica per dimissioni contestuali (ovvero rese anche con atti separati purché

contemporaneamente presentati al protocollo dell’ente), della metà più uno

dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco o il presidente

della provincia; riduzione dell’organo assembleare per impossibilità di

surroga alla metà dei componenti del consiglio.

169

Cfr. C. Stato, 15 gennaio 1957, n. 2247, in Corr. amm., 1959, n. 1104.

170

Cfr. C. Stato, 9 ottobre 1956, n. 1705. Cfr., inoltre, sempre in ordine allo scioglimentoper gravi motivi di ordine pubblico, C. Stato, sezione IV, 29 gennaio 1958, n. 85; IDEM,28 giugno 1988, n. 554.

129

Nel precedente ordinamento queste fattispecie non erano

espressamente previste, ma la giurisprudenza le faceva rientrare nella

persistente violazione di legge171.

L’ultima ipotesi di scioglimento prevista dalla norma in esame (art.

141, lett. c)) è costituita dalla mancata approvazione del bilancio.

Nel precedente regime già si era interpretato l’art. 323 del T.U. del

1915 nel senso che ricomprendesse tra le fattispecie di persistente

inosservanza di legge anche la mancata approvazione del bilancio,

naturalmente previa diffida e assegnazione di un termine per provvedere172.

Successivamente è intervenuto il legislatore, con l’art. 4 della legge 22

dicembre 1969, n. 964, a indicare in modo esplicito tale ipotesi come causa

di scioglimento. Ora la norma in esame riconferma la stessa disposizione,

aggiungendo una opportuna disciplina puntuale, che accoglie anche

l’insegnamento giurisprudenziale in materia.

Il comma 2 dell’art. 141 dispone, infatti, che, trascorso il termine entro

il quale il bilancio deve essere approvato senza che sia stato predisposto

dalla giunta il relativo schema, l’organo regionale di controllo nomina un

commissario affinché lo predisponga d’ufficio per sottoporlo al consiglio.

In tal caso, e comunque quando il consiglio non abbia approvato nei termini

di legge lo schema di bilancio predisposto dalla giunta, l’organo regionale

171

V. C. Stato, parere 21 febbraio 1961, n. 249 e dec. 29 gennaio 1964, n. 86, in Il consigliodi Stato nel quinquennio 1961-1965, Roma, 1969, vol. II, p. 283. Più recentemente siveda T.A.R. Campania, 21 novembre 1995, n. 708, che esclude dall’ordinamentopubblico la tutela del buon funzionamento e del prestigio degli organi elettivi.

172

Cfr. C. Stato, 26 aprile 1961, n. 263, in Riv. amm., 1961, p. 572.

130

di controllo assegna al consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri,

un termine non superiore a 20 giorni per la sua approvazione, decorso il

quale si sostituisce, mediante apposito commissario, all’amministrazione

inadempiente. Del provvedimento sostitutivo è data comunicazione al

prefetto, che inizia la procedura per lo scioglimento dei consiglio.

Lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali è disposto con

decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del ministro

dell’interno (art. 141, comma 1, cit.). il decreto di scioglimento è

accompagnato da una relazione del ministro sui motivi del provvedimento e

di esso è data immediata comunicazione al parlamento (art. 146, comma 6).

Con il decreto di scioglimento viene nominato un commissario, che

provvede alla gestione temporanea dell’ente; il rinnovo del consiglio deve

avere luogo con il primo turno elettorale utile previsto dalla legge. A tale

ultimo proposito, si ricorda che la L. 120/ 1993 prevedeva l’accorpamento

dei turni elettorali in due turni l’anno, mentre la legge 23 aprile 1999, n. 120

ha introdotto un turno unico previsto tra il 15 aprile e il 15 giugno.

Non si fa, invece, luogo alla nomina del commissario in caso di

scioglimento per impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso

del sindaco o del presidente della provincia (ossia per le ipotesi di

cessazione non volontaria, di cui alla lettera b) dell’art. 141; in tal caso

consiglio e giunta rimangono in carica e le funzioni del sindaco/presidente

sono esercitate dal vice.

Questa differenziazione tra cause di cessazione volontaria e

involontaria, in relazione all’effetto consequenziale dell’assunzione della

gestione provvisoria, trova la sua spiegazione nell’intento di evitare

manovre politiche all’insaputa degli elettori (es. patteggiamento di una

staffetta nella carica tra due diversi aspiranti) favorite dalla maggior durata

della gestione provvisoria, che potrebbe raggiungere e superare l’anno.

Come effetto dello scioglimento tutti i consiglieri cessano dalla carica,

restando il commissario unico amministratore con le attribuzioni

131

espressamente conferitegli. È, però, previsto che i consiglieri cessati

possano conservare gli incarichi esterni loro eventualmente attribuiti, cioè

quelle cariche presso enti o istituzioni diverse dal comune o provincia che

ricoprono in conseguenza di designazione di questi enti (art. 141, comma

5).

Possono ricorrere al T.A.R. per motivi di legittimità i consiglieri

appartenenti al disciolto consiglio, lesi nel loro diritto all’ufficio; no è

invece consentito il ricorso del consiglio stesso, che ha cessato di esistere,

né di privati cittadini, che sarebbero carenti del necessario diretto interesse.

Secondo un’antica giurisprudenza del consiglio di Stato non sarebbero

impugnabili gli atti di scioglimento motivati con ragioni di ordine pubblico,

ma non sembra che tale indirizzo possa essere mantenuto nel vigente

ordinamento costituzionale173.

Con decreto del ministro dell’interno, il sindaco, il presidente della

provincia, i presidenti dei consorzi e delle comunità montane, i componenti

dei consigli e delle giunte, i presidenti dei consigli circoscrizionali possono

essere rimossi dalle loro cariche, per atti contrari alla Costituzione e per

gravi e persistenti violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico

(art. 142 T.U.).

La nuova disciplina non prevede la pubblicazione del decreto di

rimozione sulla Gazzetta ufficiale, né la sua comunicazione al parlamento;

c’è da chiedersi se questo regime formale, che, come per lo scioglimento,

corrisponde ad un’antica tradizione legislativa che si ricollega ai principi

173

In tal senso A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, 1982, vol. I, p. 479 eM. SCUDIERO, I controlli sulle regioni sulle province e sui comuni nell’ordinamentocostituzionale, Napoli, 1963, p. 232 e ss. Per una rassegna della giurisprudenzasull’argomento, vedasi L. VANDELLI, in AA. VV., Controlli – Commento al T.U.sull’ordinamento delle autonomie locali, vol. 6, Rimini, 2001, p. 212.

132

propri del sistema di governo parlamentare, non possa ritenersi ugualmente

ancora in vigore.

Il provvedimento di rimozione, come quello di scioglimento, deve

essere adeguatamente motivato e contenere l’indicazione dei fatti concreti e

obiettivi, che legittimano la sanzione174; è stata, peraltro, consentita anche

una motivazione ob relationem, mediante riferimento alla proposta175.

Contro il decreto di rimozione l’interessato può ricorrere alla giustizia

amministrativa, quale che sia, secondo la giurisprudenza più recente, il

motivo a base del provvedimento (anche l’ordine pubblico).

Nell’attesa che si concluda l’iter procedimentale, non semplice,

necessario per l’emanazione, con decreto del Capo dello Stato, dei

provvedimenti di scioglimento e rimozione, sono previste dalla normativa

apposite misure cautelari, che ricalcano quelle già in vigore.

In particolare, in attesa del decreto di scioglimento, il prefetto, sempre

che ricorrano motivi di grave e urgente necessità, può sospendere per un

periodo non superiore a novanta giorni i consigli comunali e provinciali e

nominare un commissario per l’amministrazione provvisoria dell’ente (art.

141, comma 7).

Analogamente, per le stesse ragioni di urgente e grave necessità,

possono essere sospesi dal prefetto gli amministratori nei cui confronti si è

iniziato il procedimento per la rimozione (art. 142, comma 2). Data la sua

174

Cfr. C. Stato, 7 giugno 1952, n. 905, in Riv. amm., 1952. p. 1510 e 8 marzo 1955, n. 157,in Corr. amm., 1955, p. 111.

175

Cfr. C. Stato, 17 ottobre 1952, n. 1170, in Riv. amm., 1953, p. 342.

133

natura cautelare il decreto prefettizio di sospensione deve durare solo il

tempo necessario a provvedere in via definitiva; ove, entro limiti di tempo

ragionevoli, e comunque abbastanza brevi, non sia intervenuto il

provvedimento di rimozione, il sindaco sospeso deve essere reintegrato176.

Contro decreto di sospensione è ammesso il ricorso al T.A.R.177

Oltre nei casi e per i motivi ora visti, un generale potere di intervento

sulle amministrazioni locali – peraltro, più di ordine organizzatorio che

repressivo178 – appartiene al prefetto ai sensi dell’art. 19 del T.U. del 1934

(così come modificato dalla legge 8 marzo 1949, n. 277). Secondo questa

norma, infatti, egli può inviare <<appositi commissari presso le

amministrazioni degli enti locali territoriali e istituzionali… per reggerle,

per il periodo di tempo strettamente necessario, qualora non possano, per

qualsiasi ragione, funzionare>>.

Ai sensi dell’art. 273, comma 5 del T.U. 267/2000, la norma

continuerà ad applicarsi – nonostante l’intervenuta abrogazione del R.D. n.

383/1934 ai sensi del successivo art. 274, lett. a) – fino all’entrata in vigore

di specifica disposizione in materia, nei limiti della sua compatibilità con

176

Cfr. C. Stato, 23 ottobre 1963, n. 624, in Mass. amm., 1953, II, p. 385.

177

La giurisprudenza ha riconosciuto la sospensione di un sindaco che aveva dato segni dialienazione mentale (C. Stato, 8 febbraio 1952, n. 148, in Nuova Rass., 1953, p. 145).

178

Così A.M. SANDULLI, op. cit., p. 480.

134

l’ordinamento vigente. In precedenza la Corte costituzionale aveva ritenuto

che non fosse venuto meno con l’entrata in funzione degli organi di

controllo regionali, cui invece è stato devoluto, come si è visto, il controllo

sostitutivo per omissioni di atti obbligatori, già attribuito anch’esso ai

prefetti. Come ricorda la circolare ministeriale del 7 giugno 1990 la norma

in esame continuerà, in particolar, ad essere applicata nelle ipotesi di cui

all’art. 85 del D.P.R. n. 570 del 1960 (annullamento delle elezioni,

mancanza di candidature, nullità delle elezioni per partecipazione ad esse di

un numero di elettori inferiore alla metà degli iscritti).

L’art. 15 della legge 19 marzo 1990 n. 55, nel testo novellato dalla

legge 18 gennaio 1992, n. 16, dettava una serie di restrizioni al diritto di

elettorato passivo e più genericamente alla capacità della previsione della

delinquenza di tipo mafioso per assicurare la trasparenza nella pubblica

amministrazione. Il fatto impeditivo dell’assunzione e/o esercizio del

mandato era individuato, di volta in volta, in atti che rappresentano fasi

diverse del processo penale e che, quindi, presentano diversa gravità, quali

il rinvio a giudizio per i delitti di associazione di tipo mafioso e concernenti

il traffico di stupefacenti e la condanna anche non definitiva per i reati

contro la P.A.; viene, infine, ritenuta sufficiente l’applicazione anche

provvisoria di una misura di prevenzione per appartenenza ad associazione

mafiosa.

Successivamente, con il D.L: 31 maggio 1991, n. 164 (legge conv. n.

221/1991) veniva inserito nella l. n. 55 del ’90 l’art. 15-bis, che disciplinava

lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali in conseguenza di

fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso. I fatti posti

a base dello scioglimento, diversi da quelli previsti dall’art. 39 della legge

142/90, erano individuati dal legislatore in collegamenti diretti o indiretti

degli amministratori con la criminalità organizzata o in altre forme di

condizionamento che compromettono l’imparzialità degli organi eletti e il

135

buon andamento delle amministrazioni locali ovvero arrechino grave e

perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.

La disciplina speciale in questione è stata recepita dal nuovo

ordinamento nell’art. 143 del T.U.

Prevede la norma che, oltre ai casi di scioglimento che potremmo

definire ordinario, di cui all’art. 141, i consigli comunali e provinciali sono

sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati dal prefetto,

emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori

con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli

amministratori stessi, che compromettano la libera determinazione degli

organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e

provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi delle stesse

affidati ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio

per lo stato della sicurezza pubblica. In tali casi lo scioglimento del consigli

comunale o provinciale comporta (a differenza dell’ipotesi ordinario di

scioglimento, di cui all’art. 141, appena ricordato) la cessazione della carica

di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia e di componente

delle rispettive giunte – anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti

in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti – nonché

di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte.

Le stessa procedura di scioglimento risulta essere aggravata rispetto a

quella dettata per le ipotesi ordinarie, con intento garantistico in rapporto

all’eccezionalità dell’intervento, il quale, similmente ad altri previsti dalla

legislazione antimafia, potrebbe prestarsi ad uso distorto e repressivo

dall’autonomia locale. Oltre al decreto del Capo dello Stato su proposta del

Ministro dell’Interno si richiede, infatti, la deliberazione del Consiglio dei

Ministri ed è anche prescritta la comunicazione alle due camere.

L’amministrazione straordinaria è poi affidata ad una commissione

composta da tre membri scelti tra funzionari dello Stato e magistrati, che

resta in carica per un periodo da dodici a diciotto mesi, più il tempo

136

occorrente per il rinnovo degli organi che deve avvenire nei novanta giorni

successivi (art. 146).

La normativa illustrata (che prevede altresì la sospensione a cura del

prefetto in attesa del decreto di scioglimento) trova applicazione anche nei

confronti delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, di consorzi, unioni di

comuni, comunità montane, aziende municipalizzate e consigli

circoscrizionali (art. 146)179.

La nuova disciplina del Titolo V della Costituzione, mentre ha fatto

venir meno, con l’abrogazione dell’art. 130, il tradizionale controllo sugli

atti degli locali180, nulla dice in ordine al controllo sugli organi, per cui

potrebbe sembrare giustificato dubitare della compatibilità con il nuovo

ordinamento dei precedenti controlli prefettizi. Ma, a prescindere da ogni

ulteriore argomento, per risolvere affermativamente il quesito basta la

considerazione della permanenza, anche nell’attuale quadro costituzionale

riformato, dell’art. 126, che prevede, al primo comma (nel testo riformato

dalla l. cost. n. 1 del ’99), lo scioglimento del consiglio regionale e la

rimozione del presidente della giunta, per <<atti contrari alla Costituzione

o gravi violazioni di legge>>, nonché <<per ragioni di sicurezza

nazionale>>.

È fuor di dubbio che, almeno entro questi limiti, sia legittima, se non

altro per il pari livello di autonomia riconosciuta dall’art. 114, la previsione

di controlli sugli organi anche degli enti locali e la competenza legislativa

179

Cfr. F. STADERINI, Diritto degli enti locali, op. cit., p. 290 e ss.

180

V. par. 2.

137

esclusiva dello Stato in tema di organi di governo, ex art. 117, secondo

comma, lett. p), rappresenta lo strumento corretto per intervenire.

Oltre ai controlli sugli organi il precedente ordinamento prevedeva

vari controlli sostitutivi. Tra questi particolare importanza, per il suo

carattere generalizzato e l’antica origine, rivestiva l’annullamento d’ufficio

in ogni tempo degli atti illegittimi da parte del Governo, sentito il Consiglio

di Stato. La Corte costituzionale181 ne aveva dichiarato l’illegittimità per

quanto riguardava gli atti amministrativi regionali, ma si era ritenuto

potesse ancora essere mantenuto per gli enti locali ed era recepito, nella

formulazione tradizionale, a tutela dell’unità dell’ordinamento, dall’art. 138

del T.U. n. 267/2000.

La recente riforma costituzionale, particolarmente con l’equiparazione

tra gli enti territoriali posta dall’art. 114, ha alimentato i dubbi della dottrina

sulla costituzionalità di questa norma, di cui, peraltro, il Governo ha

continuato a far applicazione con il conforto consultivo del Consiglio di

Stato.

La riforma costituzionale ha anche inciso sui poteri sostitutivi in caso

di mancata approvazione nei termini del bilancio. Come si è visto182 l’art.

142, comma 2 del T.U. sugli enti locali assegnava all’organo regionale di

controllo il potere di nominare il commissario ad acta per provvedere in via

sostitutiva. Il venir meno del Co.Re.Co, dopo l’abrogazione dell’art. 130

Cost., ha provocato un intervento legislativo d’urgenza (D.L. 29 febbraio

181

C. Cost., sent. n. 229 del 1989.

182

Vedi supra

138

2002, n. 13) che, limitatamente al bilancio degli enti locali per il 2002, ha

trasferito al Prefetto la competenza per la nomina del commissario e tale

disposizione è stata mantenuta anche per gli anni successivi fino al 2005,

estendendo la procedura anche nell’ipotesi di scioglimento per mancata

adozione di provvedimenti di riequilibrio di cui all’art. 193 del T.U.

predetto.

3.4) I CONTROLLI SULLA GESTIONE ED IL RUOLO DELLA

CORTE DEI CONTI

La nozione tradizionale del controllo sulla pubblica amministrazione,

quale verificazione della legittimità e, talvolta, della opportunità di singoli

atti, alla stregua di un persistente parametro di valutazione ed in vista di una

misura sanzionatoria, è entrata in crisi un po’ dovunque, fin dall’immediato

dopoguerra, tra gli Stati più evoluti183.

Anche in Italia già da qualche decennio si è sviluppato un vasto

movimento di opinione rivolto all’introduzione nell’ambito

dell’amministrazione statale, sulla base delle esperienze già maturate

all’estero, di controlli di efficienza del tipo di quelli in vigore nelle

organizzazioni private.

Il sistema di controlli sui ministeri è rimasto sostanzialmente, fino al

1993, quello introdotto dalla legge 14 agosto 1862, n. 800; imperniato sulla

Corte dei conti, la quale doveva apporre il suo visto di legittimità su tutti i

decreti del Capo dello Stato e su tutti gli atti di spesa, al di sopra di un certo

183

Cfr. F. STADERINI, La riforma dei controlli nella pubblica amministrazione, Padova,1985, cap. I.

139

limite (quasi irrisorio) di valore, perché diventassero efficaci. Questo

ordinamento ha subìto nel tempo solo marginali modifiche: l’unica

innovazione di rilievo è stata l’istituzione con R.D. 28 gennaio 1923, n.

126, del controllo delle Ragionerie centrali, incardinate nell’ambito della

Ragioneria Generale dello Stato.

Alla base del sistema in discorso sta la natura meramente cartolare del

controllo, che si svolge unicamente su singoli atti amministrativi. Ciò

comporta che la situazione presa in esame dal controllore – e confrontata

col parametro normativo – non è necessariamente quella reale, ma soltanto

quella che emerge dai documenti che la rappresentano; documenti che

generalmente provengono dalla stessa amministrazione controllata e

possono entro certi limiti anche essere adattati a fornire la rappresentazione

che più serve.

Tutto questo spiega perché sia potuto accadere che procedimenti

amministrativi sfociati in giudizi penali, che hanno accertato responsabilità,

provocando clamorose reazioni nell’opinione pubblica, non abbiano dato

luogo a rilievi in sede di controllo di legittimità, essendo risultati i relativi

atti, nella loro consistenza cartolare, ineccepibili.

Ma, oltre ad essere scarsamente efficace, tale sistema comporta anche

costi notevolissimi, sia in termini di spesa per il funzionamento degli

apparati di controllo, sia in termini di rallentamento dei tempi, già di per sé

assai lunghi, dell’azione amministrativa.

Ecco, quindi, l’esigenza di controlli-impulso, rivolti a favorire il

conseguimento degli obiettivi programmatici, in contrapposto ai controlli-

freno, che tendono a disincentivare l’azione, avendo di mira soltanto gli atti

positivi o, al più, le omissioni di atti obbligatori.

Con riguardo a questa nuova forma di sindacato, si parla di controllo

sulla gestione o di gestione per indicare che il suo oggetto non è più l’atto

amministrativo singolarmente considerato, ma tutta una gestione

amministrativa globalmente intesa, caratterizzata non solo dagli atti emanati

140

(o dalle operazioni compiute), ma anche da quelli omessi e, soprattutto, dai

risultati raggiunti. Dell’attività amministrativa si tratta di valutare

l’ efficacia e l’efficienza: la prima esprime l’idoneità a raggiungere gli

obiettivi prefissati, la seconda attiene al rapporto tra risorse impiegate e

risultati conseguiti.

L’espressione controllo sulla gestione (o controllo di gestione) assume

due diversi significati negli orientamenti dottrinali: se ne parla, da un lato,

per individuare un’attività di valutazione critica dell’azione amministrativa

già espletata, al fine di informare dall’esterno o, comunque, da una

posizione neutrale l’organo competente a fissare gli obiettivi e disciplinare

le modalità principali per il loro conseguimento; dall’altro essa è anche

usata per indicare quella funzione che si svolge all’interno

dell’amministrazione controllata, in posizione di compartecipazione e

corresponsabilità, al fine di dirigere e indirizzare l’attività amministrativa,

durante il suo svolgimento (ed è forse più corretto limitare a queste ipotesi

la dizione controllo di gestione).

Passiamo ora ad analizzare, in conclusione di capitolo, il centrale

ruolo che occupa la Corte dei conti all’interno del sistema di controllo degli

enti locali.

L’abrogazione degli artt. 125 e 130 della Costituzione ad opera della

legge costituzionale n. 3/2001 non ha coinvolto il controllo successivo sulla

gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche,

attribuito alla Corte dei conti dall'art. 3 della legge 14 gennaio 1994 n. 20.

Tale impostazione è stata – oltre che condivisa pressoché

unanimemente dalla dottrina, come sopra accennato – pienamente recepita

dalla legge n. 131/2003.

Ai temi del controllo sono dedicati i commi 7, 8 e 9 dell’art. 7 della

legge. Il settimo comma dell'articolo 7 affida alla Corte dei conti, ai fini del

coordinamento della finanza pubblica, i compiti di verifica del rispetto degli

equilibri di bilancio da parte di comuni, province, città metropolitane e

141

regioni, in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti

dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.

La Corte dei conti è cioè chiamata a verificare il rispetto degli

equilibri di bilancio da parte di comuni, province, città metropolitane e

regioni, anche in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti

dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. In particolare, alle Sezioni

regionali di controllo della Corte dei conti è conferito il compito di

verificare, “… nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla

gestione”: – il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi regionali

di principio e di programma; – la sana gestione finanziaria degli enti locali;

– il funzionamento dei controlli interni.

La relazione governativa al d.d.l. precisa in proposito che le Sezioni

regionali di controllo dovranno assolvere tali funzioni in coerenza con le

disposizioni vigenti (identificate appunto nel già ricordato articoli 3 della

legge 14 gennaio 1994, n. 20, e nell’art. 13 del decreto-legge 22 dicembre

1981, n. 786, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n.

51184). Il successivo comma 8 consente, poi, a ciascuna regione di richiedere

ulteriori forme di collaborazione alla Sezione di controllo, ai fini della

regolare gestione finanziaria e dell'efficienza ed efficacia dell'azione

amministrativa, nonché pareri in materia di contabilità pubblica; analoghe

richieste potranno poi essere formulate, di norma tramite il Consiglio delle

autonomie locali, se istituito, anche da comuni, province e Città

metropolitane. Tale facoltà è stata esercitata da alcune amministrazioni

regionali, talché sono state concluse vere e proprie convenzioni tra le

singole sezioni regionali della Corte dei conti e la regione185.

184

Norma istitutiva, presso la Corte dei conti, della Sezione enti locali.

142

È stata inoltre prevista, dal comma 9 dell’art. 7, la possibilità che le

Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti siano integrate con

componenti designati dalle regioni e dagli enti locali, nella misura di due

componenti aggiuntivi per ciascuna Sezione, dei quali uno designato dal

consiglio regionale e l'altro dal Consiglio delle autonomie locali186 oppure,

ove tale organo non sia stato istituito, dal presidente del Consiglio

regionale, su indicazione delle associazioni rappresentative dei comuni e

delle province a livello regionale. I predetti componenti dovranno essere

scelti tra persone che, per gli studi compiuti e le esperienze professionali

acquisite, sono particolarmente esperte nelle materie aziendalistiche,

economiche, finanziarie, giuridiche e contabili; i medesimi durano in carica

cinque anni e non sono riconfermabili. Lo status dei predetti componenti è

equiparato a tutti gli effetti, per la durata dell’incarico, a quello dei

consiglieri della Corte dei conti, con oneri finanziari a carico della regione.

Quest’ultima previsione, successivamente abrogata dall’art. 3, c. 61, della

legge n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008), è stata di recente

reinserita con l’art. 11, comma 4 della legge 4 marzo 2009, n. 15 (che ha

185

Vedasi, in proposito, la convenzione del 27 marzo 2007 della Sezione di controllo Emilia-Romagna con il Presidente Regione Emilia-Romagna e Coopresidente Conferenza Regione -Autonomie Locali dell’Emilia-Romagna, sulle attività di collaborazione in merito all’eserciziodella funzione di controllo. Più in generale, si osserva che le modalità attraverso le quali tali formedi collaborazione possono realizzarsi non sono state dalla legge tipizzate e potrebbero, in teoria,consistere in un’ampia gamma di attività, che vanno da referti su temi specifici e dalla richiesta diaudizione di magistrati della Sezione presso l’organo consiliare, fino alla previsione di forme dicertificazione della affidabilità dei bilanci.

186

Quest'ultimo organo è stato espressamente previsto dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, che hasul punto novellato l'articolo 123, ultimo comma della Costituzione (art. 7 della legge cost. n. 3):"In ogni regione, lo statuto disciplina il consiglio delle autonomie locali, quale organo diconsultazione fra la regione e gli enti locali".

143

aggiunto a tal fine un apposito comma 8-bis all’art. 7 della legge n.

131/2003).

La Corte, dunque, opera in ciascuna regione, mediante proprie

articolazioni decentrate (le Sezioni regionali di controllo), come organo sia

dello Stato che della regione stessa e delle altre autonomie locali.

L’appartenenza delle Sezioni allo stesso organo, pur nella sua

complessità, consente lo stesso approccio culturale e professionale nelle

diverse realtà territoriali e, quindi, identico metro di giudizio,

particolarmente prezioso nell’esercizio di un’attività, comprendente

valutazioni, sul buon andamento e la sana gestione amministrativa,

largamente discrezionali e soggettive. Sarà, inoltre, molto più facile ed

efficace il coordinamento, così come il confronto di esperienze e lo scambio

di opinioni; al riguardo sono già stati disciplinati appositi procedimenti e

strutture di coordinamento in sede di autorganizzazione della Corte, proprio

allo scopo di rendere compatibile l’autonomia delle singole Sezioni con

l’esigenza di parametri comuni, tecniche e criteri operativi conformi.

La Corte dei conti può poi, in tal modo, svolgere un ruolo propulsivo

nell'affermazione di una convinta “coscienza finanziaria” da parte di tutti i

soggetti chiamati al risanamento dei conti pubblici; contribuire alla

costruzione di nuovi strumenti procedurali che assicurino governabilità al

bilancio; concorrere alla definizione di criteri di monitoraggio dei fatti

finanziari sulla base di parametri definiti, anche a livello europeo, e diretti

ad assicurare trasparenza alle gestioni finanziarie, nonché il controllo dei

comportamenti incoerenti e devianti degli agenti responsabili delle gestioni

finanziarie187.

187

A. VILLA, La verifica dell’equilibrio complessivo della finanza pubblica: evoluzione delleattribuzioni della Corte dei conti, in Rivista della Corte dei conti, n. 6/2002, pag. 386 e segg..

144

Per quanto attiene, in particolare, al controllo sulla gestione, che

comprende anche la verifica del funzionamento dei servizi di controllo

interno, esso si esplica, quanto alle regioni, in analisi dirette a verificare il

perseguimento degli obiettivi posti sia dalle leggi regionali di principio e di

programma (la più importante delle quali è sicuramente la legge di bilancio)

sia dalle leggi statali che abbiano uguale valenza.

Quanto agli enti locali, il controllo demandato alle Sezioni regionali è

diretto a verificare la correttezza della gestione finanziaria, sotto il profilo

dell’efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa

dell’ente.

E’ stata la stessa Corte Costituzionale, nella già più volte ricordata

sentenza n. 29 del 1995, che – nel dichiarare compatibile con l’autonomia

delle regioni tale tipo di controllo – ha tratteggiato le sue caratteristiche

essenziali, ponendo in particolare l’accento sulla natura collaborativa di tale

controllo, in quanto appunto ”… posto al servizio di esigenze pubbliche

costituzionalmente tutelate, e precisamente volto a garantire che ogni

settore della Pubblica amministrazione risponda effettivamente al modello

ideale tracciato dall’art. 97 della Costituzione, quello di un apparato

pubblico realmente operante sulla base dei principi di legalità, imparzialità

ed efficienza”.

Natura collaborativa del controllo vuol dire che le finalità di tale

funzione non sono censorie, ma dirette essenzialmente a rendere edotta

l’amministrazione controllata del suo eventuale malfunzionamento e a

stimolare doverose correzioni della sua azione (art. 4, comma 6° della L. n.

20 del 1994). La Corte dei conti, cioè, deve sicuramente accertare non solo

quali illegittimità inficino le gestioni e quali siano le irregolarità riscontrate,

ma anche se gli obiettivi indicati dalla legge siano stati raggiunti attraverso

un’azione amministrativa efficiente ed efficace, da valutarsi sulla base

dei dati obiettivi dei modi, dei tempi e dei costi, posti a raffronto

comparativo.

145

Da un controllo di tale tipo le amministrazioni devono allora

attendersi stimoli a promuovere misure autocorrettive, quando dal referto

ricevuto siano emerse deficienze gestionali o malfunzionamenti dei

controlli interni abbisognevoli di messa a punto: una funzione, quindi,

essenzialmente collaborativa al servizio della comunità, che ha diritto di

essere informata da un organo imparziale su come le risorse pubbliche siano

state utilizzate dai propri rappresentanti, nella cura degli interessi pubblici

cui sono preposti. Lo stesso passaggio istituzionale da sistemi elettorali

proporzionali a quelli maggioritari, implica una maggiore esigenza di un

organo indipendente che informi i cittadini in modo imparziale su come le

risorse sono state gestite188.

Le indagini delle Sezioni, secondo i caratteri propri del controllo

collaborativo sulla gestione, non hanno immediati effetti sanzionatori né

producono alcuna conseguenza negativa a carico degli amministratori e

funzionari responsabili della gestione controllata; l’incidenza del controllo è

soltanto indiretta ed è legata ai successivi interventi che saranno attuati

dagli organi di governo e dalle assemblee elettive, destinatari delle

informative della Sezione di controllo. Insomma, la motivata denuncia di

eventuali illegittimità o irregolarità procedurali, di condotte

inefficienti o antieconomiche, accompagnate anche da raccomandazioni e,

ove possibile, suggerimenti e proposte, dovrebbe favorire, nella logica del

sistema, processi virtuosi di autocorrezione di prassi e procedure. A questo

scopo, è prassi della Corte dei conti favorire e promuovere analisi

comparative su fenomeni gestionali comuni (es., sui trasporti locali, la

sanità, gli acquisti di beni e servizi, etc.).

188

Cfr. F. PITERA’, Evoluzione dei controlli negli enti territoriali in attuazione del nuovo titolo Vdella Costituzione, in Rivista della Corte dei conti, n. 6/2002, pag. 385. Vedasi anche, sul tema, F.TROMBETTA, Vincoli comunitari e controlli: legge costituzionale n. 3/2001, in Rivista italianadi diritto pubblico comunitario, n. 6/2002, pag. 1451 e segg..

146

Il monitoraggio della finanza pubblica, il controllo del rispetto dei

vincoli costituzionali e degli standard europei rappresentano i momenti nei

quali ricomporre, sulla base di criteri differenziati rispetto le singole ed

eterogenee gestioni esaminate, ad unità gli esiti gestionali degli enti

chiamati a condividere gli obiettivi di contenimento del disavanzo e nei

quali adoperarsi in vista della salvaguardia dell'equilibrio finanziario

complessivo. In tal senso, il controllo unitario esercitato dalla Corte dei

conti non contrasta con la sua diffusione strutturale sul territorio, ma anzi

rende più agevole la definizione di criteri di monitoraggio e controllo

diversificati in funzione delle singole gestioni esaminate. La stessa presenza

di professionalità ulteriori rispetto a quelle “interne”, rappresentate dagli

esponenti delle realtà locali, dovrebbe poi scongiurare il rischio di definire

un sistema disordinato (con riferimento ai soggetti intestatari, alle tecniche

di misurazione e controllo, all'oggetto e agli esiti dell’attività di controllo)

che potrebbe comportare lacune o duplicazioni nei programmi e nelle

attività di valutazione.

L’importanza e la centralità di una tale funzione di verifica e

monitoraggio da parte della Corte, è stata tenuta particolarmente presente

dal Legislatore anche dopo il 2003, ed ha formato oggetto di recenti

interventi normativi, finalizzati appunto a rendere maggiormente efficace

tale attività. Si ricordano, a tale proposito, tra gli ultimi, l’art. 1, commi da

166 a 173 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il

2006), l’art. 3, commi da 53 a 65 della legge 24 dicembre 2007, n. 244

147

(legge finanziaria per il 2008) e l’art. 11 della recentissima legge 4 marzo

2009, n. 15189.

La natura collaborativa del controllo esterno sulla gestione trova

corrispondenza, dal versante delle amministrazioni interessate, nel preciso

dovere di cooperazione da parte di queste ultime; dovere che risulta

connaturale allo stesso potere di accertamento intestato alla Corte dei conti

dalla legge n. 20/1994190.

Tale collaborazione dovrà sostanziarsi tanto nella fase istruttoria,

quanto in quella successiva alla presentazione del referto della Corte dei

conti: ed infatti, all’esito di detto referto, in capo alle amministrazioni sorge

il preciso obbligo di comunicare alla Corte dei conti, e agli organi elettivi,

189

Si riportano i commi 2 e 3 della norma: “[2.] La Corte dei conti, anche a richiesta dellecompetenti Commissioni parlamentari, può effettuare controlli su gestioni pubbliche statali incorso di svolgimento. Ove accerti gravi irregolarità gestionali ovvero gravi deviazioni daobiettivi, procedure o tempi di attuazione stabiliti da norme, nazionali o comunitarie, ovvero dadirettive del Governo, la Corte ne individua, in contraddittorio con l’amministrazione, le cause eprovvede, con decreto motivato del Presidente, su proposta della competente sezione, a darnecomunicazione, anche con strumenti telematici idonei allo scopo, al Ministro competente. Questi,con decreto da comunicare al Parlamento e alla presidenza della Corte, sulla base delle proprievalutazioni, anche di ordine economico-finanziario, può disporre la sospensione dell’impegno disomme stanziate sui pertinenti capitoli di spesa. Qualora emergano rilevanti ritardi nellarealizzazione di piani e programmi, nell’erogazione di contributi ovvero nel trasferimento di fondi,la Corte ne individua, in contraddittorio con l’amministrazione, le cause, e provvede, con decretomotivato del Presidente, su proposta della competente sezione, a darne comunicazione al Ministrocompetente. Entro sessanta giorni l’amministrazione competente adotta i provvedimenti idonei arimuovere gli impedimenti, ferma restando la facoltà del Ministro, con proprio decreto dacomunicare alla presidenza della Corte, di sospendere il termine stesso per il tempo ritenutonecessario ovvero di comunicare, al Parlamento ed alla presidenza della Corte, le ragioni cheimpediscono di ottemperare ai rilievi formulati dalla Corte. [3.] Le sezioni regionali di controllodella Corte dei conti, di cui all’articolo 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131, previoconcerto con il Presidente della Corte, possono fare applicazione delle disposizioni di cui alcomma 2 del presente articolo nei confronti delle gestioni pubbliche regionali o degli enti locali.In tal caso la facoltà attribuita al Ministro competente si intende attribuita ai rispettivi organi digoverno e l’obbligo di riferire al Parlamento è da adempiere nei confronti delle rispettiveAssemblee elettive.”

190

Anche tale aspetto è stato a suo tempo evidenziato dalla sentenza n. 29/1995 della CorteCostituzionale.

148

le misure conseguenzialmente adottate (art. 3, comma 6, della legge n.

20/1994, cit.). E proprio tale fase del procedimento di controllo sulla

gestione rappresenterà, in prospettiva, il banco di prova della validità del

controllo stesso; a tale proposito, anzi, la dottrina e gli stessi operatori

dovrebbero, in futuro, focalizzare la rispettiva attenzione sull’evoluzione e

maturazione dei processi di autocorrezione da parte delle pp.aa., valutando

in tale ottica la misura in cui l’attività valutativa è riuscita a raggiungere i

fini assegnati.

L’art. 7, comma 8 della L. n. 131 del 2003, appena ricordato, prevede

che le Regioni, ma anche «comuni, province e città metropolitane, di norma

tramite il Consiglio delle autonomie locali, se istituito» possano rivolgere

richieste di pareri sulle materie di contabilità pubblica alla Sezione

regionale del controllo della Corte dei conti. Tale funzione trova un lontano

precedente nell’art. 13 del r.d. 9 febbraio 1939, n. 273, che intesta alle

Sezioni riunite della Corte dei conti la competenza a pronunciarsi, in via

preventiva, rispetto ai disegni di legge riguardanti l’ordinamento della Corte

stessa.

La competenza intestata alla Corte dei conti dall’art. 7 della l. n. 131

del 2003, appare eccentrica rispetto alle attività di controllo, rientrando,

semmai, all’interno della funzione collaborativa191.

Sebbene sia la consulenza che il controllo siano ispirati al principio

del buon andamento dell’amministrazione, la Corte dei conti ha tratteggiato

con cura i confini di tale competenza, al fine di evitare pericolose

interferenze con le tradizionali funzioni di controllo e giurisdizione.

L’incapacità del Consiglio delle autonomie di ergersi ad effettivo

rappresentante della amministrazioni locali, ha indotto la Corte dei conti a

191

A. BALDANZA, in AA.VV. (a cura di V. Tenore), La nuova Corte dei conti, Milano 2008, pag.1067.

149

fare a meno di tale filtro, talché si è instaurato un rapporto diretto con le

amministrazioni locali. Tale situazione ha indotto la Sezione delle

autonomie a delineare le caratteristiche dell’istituto, individuando i soggetti

legittimati ad avanzare la richiesta di parere, la collocazione del parere

all’interno dell’iter procedimentale e ciò che debba intendersi per ‘‘materia

di contabilità pubblica’’192.

La legittimazione a presentare la richiesta di parere e` stata intestata in

capo al vertice politico (Sindaco o Presidente della provincia): tale scelta ha

inteso evitare che la richiesta di parere in materia di contabilità pubblica

possa integrare un elemento di dialettica con l’apparato burocratico.

L’attività consultiva potrebbe infatti agevolmente piegarsi a

strumentalizzazioni, talché la presentazione da parte del legale

rappresentante dell’ente integra presupposto di ammissibilità.

Conseguentemente sono state dichiarate inammissibili per difetto di

legittimazione soggettiva le richieste formulate dal Vice Sindaco

(deliberazione Sez. Piemonte n. 8 del 2007); dagli assessori comunali

(deliberazione Sez. Piemonte, n. 17 del 2005); dai Consiglieri comunali

(deliberazione Sez. Campania, n. 4 del 2006), dal capogruppo consiliare

(deliberazione Sez. Basilicata, n. 6 del 2006) o dal Collegio dei revisori

(deliberazione Sez. Campania, n. 3 del 2004).

La Corte dei conti ha altresì circoscritto la platea degli enti legittimati

ad avanzare istanze di pareri ai soggetti espressamente individuati dalla

disposizione normativa.

Si è così ritenuta inammissibile la richiesta avanzata da parte delle

Comunità montane o dai Consigli delle autonomie locali, ritenendosi

legittimati a chiedere pareri “… solo gli enti espressamente indicati nella

192

25 26 Corte dei conti, Sez. autonomie, delibera 27 aprile 2004.

150

norma, la cui elencazione va ritenuta tassativa, in quanto riproduce

letteralmente quella dell’articolo 114 della Costituzione, di cui l’art. 7,

comma 8, della L. n. 131/2003 costituisce attuazione” 193.

La disposizione normativa non ha assegnato una generalizzata

competenza consultiva, cosicché la Corte dei conti può legittimamente

pronunciarsi solo nell’ambito delle questioni inerenti la ‘‘contabilità

pubblica’’. Sebbene la Corte dei conti abbia affermato che ‘‘i pareri

dovrebbero concentrarsi preferibilmente su atti generali, atti o schemi di

atti di normazione primaria (leggi, statuti) o secondaria (regolamenti,

circolari), o inerenti all’interpretazione di norme vigenti; o a soluzioni

tecniche rivolte ad assicurare la necessaria armonizzazione nella

compilazione dei bilanci e dei rendiconti; la preventiva valutazione di

formulari o scritture contabili che gli enti intendessero adottare’’ 194, le

amministrazioni hanno avanzato richieste di pareri di ogni genere.

Cosı` anche se la materia della contabilità pubblica e` stata definita

come “l’attivita` finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di

settore, ricomprendendo in particolare la disciplina dei bilanci e i relativi

equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziaria-

contabile, la disciplina del patrimonio, la gestione delle spese,

l’indebitamento, la rendicontazione e i relativi controlli ” (Corte dei conti,

Sez. autonomie, delibera 2006, n. 5), le amministrazioni hanno sollecitato

193

27 Corte dei conti, Sez. autonomie, delibera 17 dicembre 2007, n. 13.

194

28 Corte dei conti, Sez. Aut., Coordinamento delle Sezioni regionali di controllo, Rassegnadell’attività consultiva delle Sezioni regionali di controllo anno 2007, in www.corteconti.it

151

pronunce anche su materie ritenute estranee come il pubblico impiego

(deliberazioni della Sez. Basilicata, n. 8 del 2007, Sez. Emilia-Romagna, n.

41 del 2007; Sez. Lombardia n. 41 del 2007; Sez. Marche, nn. 53-55 del

2007; Sez. Puglia n. 3 del 2007; Sez Sardegna n. 5 del2007 e Sez. Veneto,

nn. 13-17 e 19 del 2007); la contrattazione collettiva (deliberazione Sez.

Toscana, n. 5 del 2007; sez. Veneto n. 10 del 2007), la pensionistica

(deliberazione Sez. Campania, n. 6 del 2005), gli emolumenti al personale

(deliberazione Sez. Sardegna, nn. 7-10 del 2007) e le indennità di funzioni

degli amministratori locali (deliberazione Sez. Puglia n. 6 del 2007 e Sez.

Sardegna n. 8 del 2007), ovvero i lavori pubblici (deliberazione Sez.

Molise, n. 33 del 2007; Sez. Sardegna, n. 5 del 2007). Ciò ha comportato

che, nel 2007, su 263 pareri resi dalle sezioni della Corte dei conti, le

dichiarazioni di inammissibilità o di non ritualità delle richieste siano state

133 (ossia il oltre il 50,%)195.

Sotto il profilo procedimentale, la Corte dei conti ha precisato che la

richiesta di parere non può riguardare un provvedimento già formalmente

adottato, atteso che, altrimenti, la funzione consultiva si tradurrebbe in

un’istanza di riesame della legittimità. La funzione collaborativa impone,

invece, che il parere sia prodromico alla scelta discrezionale, in quanto

diretto a corroborare l’organo di amministrazione attiva (deliberazione Sez.

Basilicata, nn. 12,13 e 18 del 2007; Sez. Campania, nn. 2 e 13 del 2007;

Sez. Lombardia, n. 34 del 2007; Sez. Riunite Sicilia, n. 10 del 2007; Sez.

Toscana, n. 12 del 2007 e Sez. Veneto, n. 7 del 2007).

Particolare attenzione è stata posta alle possibili interferenze con

l’attività giurisdizionale. Il rischio paventato e` quello di un uso strumentale

della funzione consultiva, finalizzata ad influenzare l’atteggiamento

processuale, ovvero le decisioni delle sezioni giurisdizionali. Da qui la

195

A. BALDANZA, in AA.VV. (a cura di V. Tenore), La nuova Corte dei conti, op. cit., pag. 1067.

152

dichiarazione di inammissibilita` in merito a “… quesiti che implichino

valutazioni di comportamenti amministrativi oggetto di eventuali iniziative

giudiziarie proprie della Procura regionale o di altri giudici al fine di

evitare che i pareri stessi prefigurino soluzioni non conciliabili con

successive pronunce sia della sezione giurisdizionale che della sezione di

controllo”.

La Corte dei conti ha provveduto immediatamente ad adeguare la

propria organizzazione ai nuovi compiti ad essa assegnati dalla legge

131/2003, sopra tutto nell’ottica di garantire efficaci strumenti di raccordo

dell’attività di controllo finanziario di competenza di ciascuna Sezione

regionale, con quelle funzioni, da svolgersi a livello centrale, di referto

generale sull’intera finanza regionale e locale di cui è destinatario il

Parlamento e che debbono necessariamente avvalersi dei risultati delle

analisi finanziarie effettuate nelle sedi periferiche.

L’esigenza prioritaria è così apparsa quella di individuare uno

strumento organizzativo in grado di assicurare un coordinamento agevole

ed efficace e nello stesso tempo rispettoso dell’autonomia delle singole

Sezioni regionali di controllo; un coordinamento tale, cioè, da consentire la

definizione di metodologie e di linee comuni di indirizzo nel controllo

successivo sulla gestione, per poter effettuare quei raffronti e quelle

comparazioni che contraddistinguono le indagini comuni a più Sezioni.

E’ stata in tal modo istituita, con la deliberazione delle Sezioni riunite

n. 2/DEL/2003 del 3 luglio 2003 (assunta nell’esercizio del potere

regolamentare riconosciuto alla Corte dei conti dall’art. 3 del D.Lgs. n.

286/1999, cit.) un’apposita Sezione delle autonomie.

La nuova Sezione delle autonomie, definita come “espressione delle

Sezioni regionali di controllo” dovrà, ai fini del coordinamento della

finanza pubblica, riferire al Parlamento, almeno una volta l’anno, sugli

andamenti complessivi della finanza regionale e locale per la verifica del

rispetto degli equilibri di bilancio da parte di comuni, province, città

153

metropolitane e regioni, in relazione al patto di stabilità interno e ai vincoli

che derivano dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, anche sulla

base dell’attività svolta dalle Sezioni regionali. Infine, essa deve esaminare,

ai fini del coordinamento, ogni tema e questione che rivesta interesse

generale o che riguardi le indagini comparative su aspetti gestionali comuni

a più Sezioni.

La Sezione delle autonomie è presieduta dal presidente della Corte dei

conti ed è composta da due presidenti di Sezione che lo coadiuvano, nonché

dai presidenti delle Sezioni regionali di controllo e dai magistrati già facenti

parte della precedente, analoga articolazione della Corte; l’Organo di

autogoverno della magistratura contabile (il Consiglio di presidenza)

individua, sulla base di criteri predeterminati, un magistrato in servizio

presso ciascuna Sezione regionale di controllo quale supplente del

presidente ai fini della partecipazione al collegio. Il presidente della Sezione

delle autonomie, per l’esame di specifiche questioni che involgono anche le

competenze di altre Sezioni di controllo, può infine invitare a partecipare

alle adunanze i presidenti delle Sezioni di volta in volta interessati ai temi

da trattare.

La Sezione delle autonomie si avvale di un servizio di supporto, cui è

assegnato personale amministrativo, che svolge compiti di collaborazione e

istruttori, anche nel settore delle analisi tecnico-economiche, esecutivi e di

segreteria. Al servizio sono assegnati dirigenti il cui numero e posizione

funzionale sono definiti con decreto del presidente della Corte dei conti,

sentito il segretario generale. Il servizio è organizzato per la ricezione, la

verifica e l’elaborazione dei dati trasmessi su supporto elettronico e il loro

inserimento nel sistema conoscitivo di finanza delle autonomie, a

disposizione delle Sezioni regionali di controllo.

La particolare composizione della Sezione delle autonomie – è

presieduta dal presidente della Corte e ne fanno parte tutti i presidenti delle

Sezioni regionali di controllo – consente appunto di qualificare l’organo

154

come espressione di tutte le Sezioni regionali, così che le funzioni di

coordinamento assumano, in tale sede, una valenza che non nasce dalla

gerarchia di rapporti, ma da scelte condivise per una migliore finalità dei

compiti da svolgersi nelle sedi sia centrali che periferiche196.

Una simile rimodulazione dell’assetto istituzionale, che si riflette nella

stessa rivisitazione della formula strutturale ed organizzativa rappresenta, al

momento, in piena conformità alle scelte attuative operate dal legislatore

ordinario con la legge n. 131/2003, il giusto punto di composizione tra la

conservazione di un modello unitario di Corte dei conti e le istanze, sempre

più incalzanti, dell’emergente Stato delle autonomie197.

CAPITOLO IVIL CONTROLLO SUGLI ENTI PUBBLICISOVVENZIONATI DALLO STATO E IL CONTROLLOSULLE SOCIETÀ PRIVATE PER LE QUALI LO STATOPARTECIPA AL CAPITALE.4.1) LA DISCIPLINA NORMATIVA

196

F. STADERINI, Diritto degli enti locali, op. cit., p. 267. Vedasi poi, per un primo commento delladeliberazione n. 2/2003, E. RACCA, Sezione delle autonomie più forte. La svolta nel segnodell’efficienza, in Guida agli enti locali – Il sole 24 ore, n. 31/2003, pag. 47 e seg..

197

G. GINESTRA, Le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti dopo la legge 5 giugno2003, n. 131, in Diritto & diritti (www.diritto.it/articoli/amministrativo/ginestra.htm).

155

Scorrendo la “Dichiarazione di Lima sui principi guida del controllo

delle finanze pubbliche”, elaborata nel 1977 dall’ INTOSAI,

Organizzazione Internazionale delle Istituzioni Superiori di Controllo, alla

Sezione 24, del paragrafo VII, rubricata “Controllo degli enti

sovvenzionati”198, si legge che: ”L’Istituzione superiore di controllo deve

essere autorizzata a controllare l’impiego dei fondi forniti da sovvenzioni

pubbliche. Quando le sovvenzioni sono particolarmente elevate, sia come

valore assoluto sia in relazione alle entrate e al capitale dell’ente, il

controllo può, se così stabilito, essere esteso fino ad includere l’intera

gestione finanziaria dell’organismo sovvenzionato.” Nello stesso

documento, alla sezione 23, rubricata “Controllo delle imprese a

partecipazione statale”, si legge: “L’espansione dell’attività economica

dello Stato determina di frequente la costituzione di imprese regolate dal

diritto privato. Anche queste imprese devono essere sottoposte al controllo

delle Istituzioni superiori di controllo, qualora vi sia una rilevante

partecipazione statale – specialmente quando la partecipazione è

maggioritaria – o qualora si concretizzi una influenza dominante dello

Stato. Il controllo a posteriori costituisce la forma di controllo più

appropriata; tale controllo concerne gli aspetti dell’economicità,

dell’efficienza, e dell’efficacia. Le relazioni presentate al Parlamento ed

all’opinione pubblica su queste imprese devono osservare le limitazioni

richieste dalla tutela del segreto commerciale e industriale.”

È sembrato opportuno riportare, in via introduttiva all’argomento in

esame, queste due disposizioni, riferite ai principi internazionali in materia

198

A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli entipubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo èesercitatile in materia dlala Corte dei conti( parte I e II ) ,in Riv. C. conti, n. 3/96, pag.277 ss. e n.4/96, pag. 268 ss.

156

di controllo per sottolineare l’importanza e l’attualità del tema, anche in

rapporto alla disciplina vigente nel nostro Paese.

In Italia, il controllo sulla gestione finanziaria degli enti199 a cui lo

Stato contribuisce in via ordinaria è esercitato dalla Corte dei conti a mezzo

della “Sezione del controllo Enti ”, istituita ai sensi dell’art. 9 della legge 21

marzo 1958 n. 259200.

Questa attribuzione della Corte dei conti si ricollega direttamente alla

Costituzione, che all’art. 100 prescrive che “La Corte dei conti partecipa,

nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo sulla gestione

finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce

direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguit0”. Pertanto la

legge 21 marzo 1958 n. 259 ( così come la successiva conferma di tale

funzione fatta salva dall’art. 3, comma 7, della legge di riforma generale dei

controlli affidati alla Corte, legge 14 gennaio 1994 numero 20) costituisce,

oltre dieci anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione , attuazione del

dettato costituzionale.

La legge n. 259 del ‘58 contiene la disciplina, le condizioni e le

modalità di esercizio del controllo sulla gestione finanziaria degli enti

pubblici e privati “a valenza nazionale”201 da parte della nuova Sezione,

199

R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, Bologna 1991.

200

G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazionedegli enti pubblici privatizzati, in Riv. C. conti “, n. 1/2002, pag. 311 e ss.

201

A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli entipubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo è

157

contestualmente istituita ed individuata dall’ordinamento per riferire al

Parlamento circa l’esito dei controlli eseguiti su questi enti che richiedono

una contribuzione dello Stato in via ordinaria. La successiva legge n. 20 del

1994, relativa alla riforma generale dell’attività di controllo della Corte dei

conti202, ha inoltre attribuito a questa stessa Sezione il controllo su tutti gli

altri enti nazionali non rientranti nell'area applicativa della menzionata

legge 259 del 1958 e non riconducibili nel novero delle pubbliche

amministrazioni non statali.

Per gli enti ai quali lo Stato contribuisce “in via ordinaria”, è previsto

l’affidamento alla Corte dei conti di un controllo di tipo referente, vale a

dire che riferisce (in questo caso, al Parlamento) sull’andamento delle loro

gestioni. Si tratta degli enti che godono di contribuzione periodica a carico

dello Stato, degli enti che si finanziano con imposte, contributi, tasse che

sono autorizzati ad imporre, degli enti che godono di un apporto al

patrimonio in capitale, servizi, beni ovvero mediante concessione di

garanzia, nonché delle società derivanti dalla trasformazione degli enti

pubblici economici in società per azioni con capitale in maggioranza

pubblico.

Una prima questione riguarda, dunque, la preliminare individuazione

dei soggetti sottoposti a tale forma di controllo della Corte dei conti203. Tra

esercitatile in materia dlala Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss.

202

G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazionedegli enti pubblici privatizzati, op. cit., pag. 311 e ss.

203

M. CIACCIA, Il controllo referente della Corte dei conti sugli enti a cui lo Statocontribuisce in via ordinaria, in Amministrazione e Contabilità dello Stato e degli enti

158

l’altro, l’art. 13 della legge 259/58 ne esclude l’applicazione alle Regioni,

alle Province, ai Comuni, alle istituzioni pubbliche di assistenza e

beneficenza regolate dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972 e successive

modificazioni, ed agli Istituti di credito sottoposti a vigilanza

dell'Ispettorato del credito.

Gli enti, oltre ad una prima elencazione contenuta in allegati alla legge

259/58, distintamente per quelli sottoposti al controllo ai sensi dell’art . 2 e

per quelli sottoposti al controllo ai sensi dell’art. 12, vengono individuati

per legge o mediante decreto governativo di assoggettamento emesso anche

su segnalazione della stessa Corte dei conti. Ad esempio, nel 2004, sono

state trasformate in enti pubblici economici le stazioni sperimentali

dell'industria, che sono state trasferite nell'area applicativa della legge 259

del 1958, nel novero degli enti assoggettati al controllo.

Attualmente, sono sottoposte al controllo per specifico disposto

normativo ed a seguito di decreto governativo, le singole gestioni di circa

360 enti, (la delibera n.4 del 27 febbraio 2006 indica in 333 gli enti

controllati in base alla legge 259/58 e 31 in base alla legge 20/94: il totale è

variabile in relazione anche ai provvedimenti di assoggettamento

governativi) spesso – come precisato dalla stessa Sezione controllo enti

nelle proprie delibere – aventi natura e forme eterogenee e con differenziata

disciplina ordinamentale , che possono essere raggruppati , in una prima

approssimazione, nelle seguenti categorie: enti previdenziali, enti di

assistenza e protezione sociale, enti che svolgono attività di impresa, enti di

studio, insegnamento, prestazione d’arte, enti di incentivazione, regolazione

,enti di ricerca enti portuali, enti operanti sul territorio.

L’art. 2 della legge n. 259 del 1958, al fine di stabilire quali siano gli

enti a contribuzione ordinaria, assume che devono essere considerate

pubblici, luglio-agosto 2003.

159

contribuzioni ordinarie: – i contributi che, con qualsiasi denominazione, una

pubblica amministrazione o un’azienda autonoma statale (questo tipo di

organizzazione, peraltro, non è più attuale) abbia assunto a proprio carico,

con carattere di periodicità, per la gestione finanziaria di un ente, o che da

oltre un biennio siano iscritti nel suo bilancio; – le imposte, tasse e

contributi che con carattere di continuità gli enti siano autorizzati ad

imporre o che siano comunque ad essi devoluti.

L’esistenza delle contribuzioni statali ordinarie sopradescritte

rappresenta, dunque, il fondamento del controllo ex lege n. 259 del 1958 e il

riferimento per la individuazione dei soggetti che debbono esservi

sottoposti.

La legge definisce, inoltre, all’art. 3 quali siano le forme di

contribuzioni escluse perché troppo tenui o perché l’ente rivesta

esclusivamente carattere locale (art. 3, comma due:” Dal controllo sono

esclusi gli enti d'interesse esclusivamente locale e quelli per i quali la

contribuzione dello Stato sia di particolare tenuità, in relazione alla natura

dell'ente ed alla sua consistenza patrimoniale e finanziaria, nonché gli enti

ai quali la contribuzione dello Stato sia stata concessa in applicazione di

provvedimenti legislativi di carattere generale); all’art 4, definisce la natura

consuntiva del controllo (“Gli enti sottoposti alla disciplina della presente

legge debbono far pervenire alla Corte dei conti i conti consuntivi ed i

bilanci di esercizio col relativo conto dei profitti e delle perdite corredati

dalle relazioni dei rispettivi organi amministrativi e di revisione, non oltre

quindici giorni dalla loro approvazione e, in ogni caso, non oltre sei mesi e

quindici giorni dalla chiusura dell'esercizio finanziario al quale si

riferiscono. Egualmente sono trasmesse alla Corte dei conti le relazioni

degli organi di revisione che vengano presentate in corso di esercizio”);

agli art 5 e 6 prevede l’obbligo di fornire alla Corte204 tutte le informazioni

204

160

da essa ritenute necessarie (di cui le principali vengono indicate nella

determinazione che viene adottata dalla Sezione a seguito dell’emanazione

del decreto di sottoposizione a controllo per gli enti ex art. 2 ovvero a

seguito della previsione normativa per gli enti ex art. 12 della legge

medesima) e quale sia la forma in cui avviene il “controllo cartolare”. La

Sezione di controllo, in sede istruttoria, può comunque richiedere agli enti

controllati e ai ministeri competenti, informazioni, notizie, atti e documenti

concernenti le gestioni finanziarie. In ogni caso, la giurisprudenza della

Corte ritiene ammissibile il ricorso anche ai più penetranti strumenti

istruttori di cui alla legge n. 20 del ’94. Il risultato del controllo eseguito va

poi comunicato entro sei mesi dalla presentazione dei conti alle Presidenze

della Camera dei Deputati e del Senato, per l’esame, da parte delle

Commissioni competenti per materia, secondo le disposizioni dei rispettivi

regolamenti parlamentari, delle relazioni della Corte dei conti sugli enti

sovvenzionati dallo Stato con la possibilità anche per le Commissioni delle

Camere di richiedere alla Corte ulteriori informazioni ed elementi di

giudizio.

La legge, inoltre, prevede all’art. 8 la possibilità di segnalare specifici

rilievi al Ministro del Tesoro ( allora così denominato, oggi è il Ministero

dell’economia e delle finanze) ed a quello competente.

Questa disposizione abilita la Corte dei conti ad effettuare su singoli

atti rilievi che, pur non influendo sulla relativa efficacia, generano un onere

di conformazione da parte degli enti destinatari e stimolano opportune

iniziative degli organi di vigilanza ed era stata in un primo tempo abrogata

dal primo comma dell’art. 3 del d.lgs. n. 286 del 1999 e poi ripristinata

dalla Corte costituzionale.

R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionatidallo Stato, in Riv. C. conti, n. 4/89.

161

La Corte costituzionale, infatti, con sentenza n. 139 del 17 maggio

2001, ha accolto il ricorso della Corte dei conti per violazione, tra l’altro,

degli articoli 76 e 100 della Costituzione, annullando la norma che

abrogava l’art. 8 della legge n. 259 del ‘58, rilevando che “L’estraneità

della materia del controllo sugli enti cui lo Stato contribuisce in via

ordinaria alla delega conferita con l’art. 11, comma 1, lettera c), risulta

confermata dai principi e dai criteri direttivi, previsti in materia dall’art.

17 della stessa legge, che contiene tutte previsioni che, all’evidenza, non

possono che riguardare “le amministrazioni" in senso proprio e che

risulterebbero incongrue se riferite indifferenziatamente alla categoria

degli enti cui lo Stato contribuisce invia ordinaria, enti che non fanno di

per sé parte della pubblica amministrazione e costituiscono un genus che

comprende le più svariate tipologie”.

(L’abrogazione dell'art. 8, l. 21 marzo 1958, n. 259 era avvenuta ad

opera del primo comma dell’art.3 del D.Lgs 30 luglio 1999 n.286

““Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e

valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle

amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della l. 15 marzo 1997,

n. 59”, la Corte costituzionale, con la sentenza citata, ha dichiarato che non

spetta al Governo adottare tale disposizione e per conseguenza la ha

annullata).

Nei confronti degli enti che rientrano nella categoria di cui al predetto

art. 2, la Sezione esercita il controllo in maniera “indiretta”.

Il controllo svolto dalla Corte dei conti sugli enti si articola, infatti, in

due distinte tipologie: – la prima, prevede l’affidamento dell’istruttoria e la

redazione del referto ad un magistrato della Sezione, il quale si avvale dei

poteri previsti dagli artt. 5 e 6 della legge n. 259 del’58 nei confronti

dell’amministrazione interessate o degli organi di vigilanza e revisione; il

referto verrà poi discusso e sarà da approvarsi in sede collegiale da parte

della Sezione. – la seconda (la cd. forma “diretta”) prevede la

162

partecipazione di un magistrato delegato al controllo, alle sedute degli

organi di amministrazione e di revisione dell’ente ( ex art. 12 della legge n.

259 del ‘58 )205.

È bene ribadire, ad ogni buon conto, che la diversità nel modulo di

controllo adottato (art. 2 o art. 12) non comporta una diversità o

alternatività dello stesso: in entrambi i casi il controllo, che è sia di

legittimità che di merito, è concomitante, cioè si svolge nel corso della

gestione dell’ente, e ha per oggetto l’intera gestione finanziaria e

amministrativa dell’ente stesso. Il controllo sugli enti sovvenzionati

differisce sia dal controllo di legittimità - preventivo o successivo - su atti,

sia dal controllo sulla gestione, essendo partecipe dei caratteri sia dell’uno

che dell’altro.

Al termine di ogni esercizio finanziario la Corte dei conti206 adotta una

pronuncia nella quale svolge le proprie valutazioni sulla gestione finanziaria

dell’ente controllato. La relazione viene inviata al Parlamento per

l’esercizio del suo controllo politico finanziario; la relazione viene anche

inviata all’ente controllato ed ai Ministeri vigilanti per far loro adottare i

provvedimenti necessari a rimuovere le eventuali irregolarità contabili,

amministrative e gestionali riscontrate.

205

Va detto, peraltro, che si trovano nella dottrina e nella giurisprudenza indicazioni contrastanti neldefinire ora “diretta” ora “indiretta” ciascuna delle due forme di controllo ex art . 2 ed ex art. 12.

206

M. CIACCIA , Il controllo referente della Corte dei conti sugli enti a cui lo Statocontribuisce in via ordinaria, op. cit.

163

Questo tipo di controllo referente spetta unitariamente alla Sezione

enti della Corte di conti che lo esercita nel suo naturale circuito istituzionale

con Governo e Parlamento.

Va aggiunto che Il controllo in forma di referto al Parlamento, trova

anche un adeguato riscontro, come accennato in precedenza, nella

previsione nei regolamenti della Camera dei deputati e del Senato

dell’esame delle relazioni inviate dalla Corte, da svolgersi da parte delle

Commissioni competenti per materia.

Nella forma di controllo ex art. 2, 3 e 6 della legge n. 259 del ’58) gli

enti hanno l’obbligo di inviare i conti consuntivi e i bilanci di esercizio col

relativo conto dei profitti e delle perdite corredati dalle relazioni dei

rispettivi organi amministrativi e di revisione, non oltre quindici giorni dalla

loro approvazione ed, in ogni caso, non oltre sei mesi e quindici giorni dalla

chiusura dell’esercizio finanziario al quale si riferiscono.

Attualmente, gli enti sottoposti a tale forma di controllo sono oltre

duecento, tra i quali si annoverano: le Ferrovie dello Stato s.p.a, la RAI-

radiotelevisione italiana, il C.N.R. – Consiglio nazionale delle ricerche,

l’A.C.I. – Automobil club italiano, il CONI – Comitato olimpico nazionale,

l’ AS.I.- Agenzia spaziale italiana, l’E.N.A.V.- Ente nazionale per

l’assistenza al volo, l’E.N.A.C. – Ente nazionale per l’aviazione civile,

l’E.N.E.A.,– Ente nazionale per l’energia e l’ambiente, le autorità portuali, i

consigli di diversi ordini professionali, etc. per citare quelli di maggior

rilievo.

L’altra forma di controllo esercitata dalla Corte207 (quella “ex articolo

12”) è riservata ad un’altra categoria di enti, individuata dalla legge n. 259

207

R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionatidallo Stato, op. cit.

164

del ‘58, ed è quella degli enti nei confronti dei quali lo Stato contribuisce

con apporti di patrimonio in capitale o di servizi o di beni ovvero mediante

concessione di garanzia finanziaria. Nei loro confronti il controllo di cui

all’art. 100 della Costituzione è esercitato, oltre che con l'invio dei

consuntivi e dei bilanci, mediante la presenza diretta di un magistrato della

Corte, legittimato ad assistere alle sedute degli organi di amministrazione o

di revisione.

Tale magistrato è designato dal Consiglio di Presidenza della Corte dei

conti (organo di autogoverno dei magistrati contabili, assimilabile al

Consiglio Superiore della Magistratura, dei magistrati ordinari) e nominato

dal Presidente della Corte stessa.

Attualmente, gli enti sottoposti a controllo, ex art.12, sono circa

sessanta, tra cui vanno menzionati, fra quelli più noti per la loro rilevanza:

l’I.N.P.S- Istituto nazionale della previdenza sociale , l'I.N.P.D.A.P- Istituto

nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica,

l’I.N.A.I.L - Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul

lavoro e le malattie professionali , l’ISTAT- Istituto centrale di statistica,

l’ANAS- Azienda autonoma per le strade statali, l’ENEL s.p.a, l’ENI s.pa.

Dunque, riassuntivamente su questo punto, se l’ente pubblico o

privato fruisce di contribuzioni continuative o periodiche, il controllo è

meramente cartolare in base all’ art. 2, sugli atti trasmessi dall’ente alla

Corte. Se invece l’ente è destinatario di un “apporto al patrimonio” o

di”garanzie finanziarie”, il controllo avviene, ex art. 12 della legge n. 259

del ‘58, ad opera di un magistrato della Sezione di controllo, che assiste alle

sedute degli organi di amministrazione e di revisione, quali sono il consiglio

di amministrazione e i collegi sindacali o di revisione.

La legge 20 del 1994 ha confermato, come già accennato, all’art. 3

settimo comma, la persistenza di tale forma di controllo sugli enti di cui alla

legge 259 del ‘58 ed anzi le Sezioni riunite della Corte dei conti nella

deliberazione n. 2 del 18 gennaio 1995 , hanno ulteriormente affermato che

165

spetta alla Sezione controllo enti il controllo sugli enti pubblici, ”nei modi,

nei tempi e nelle forme da essa determinati, sugli enti pubblici non

economici nazionali, vale a dire tutti quegli enti pubblici che ovunque

abbiano la sede non perseguono fini racchiusi in un particolare ambito

territoriale, non hanno la cura degli interessi di popolazioni locali e non

traggano sostegno da finanze locali”.

4.2) LE PRINCIPALI QUESTIONI IN MATERIA DI ENTI

Attraverso l’esame delle delibere di programma della Sezione

controllo enti, della Corte, si possono ricostruire i principali temi di

discussione in dottrina e giurisprudenza e ripercorrere le connesse vicende

legislative che hanno portato, ad esempio, alla riorganizzazione di

numerose categorie di enti pubblici e che hanno coinvolto, di riflesso, anche

le competenze della Corte dei conti208 nella materia.

Un primo impulso per il riordino degli enti pubblici , si è avuto con la

legge 15 marzo 1997 n 59 ( di delega al Governo per il conferimento di

funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica

Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), con la

previsione209 della soppressione o della fusione di enti ovvero della

208

G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazionedegli enti pubblici privatizzati, op. cit., pag. 311 e ss.

209

v. art. 11

166

trasformazione in enti economici o società di diritto privato, al fine di

razionalizzare e qualificare le risorse pubbliche utilizzate (“…riordinare gli

enti pubblici nazionali operanti in settori diversi dalla assistenza e

previdenza, le istituzioni di diritto privato e le società per azioni,

controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, che operano, anche

all'estero, nella promozione e nel sostegno pubblico al sistema produttivo

nazionale … riordinare e potenziare i meccanismi e gli strumenti di

monitoraggio e di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati

dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche ... riordinare e

razionalizzare gli interventi diretti a promuovere e sostenere il settore della

ricerca scientifica e tecnologica nonché gli organismi operanti nel settore

stesso .. “210).

Per taluni enti (C.N.R. - Consiglio nazionale delle ricerche; E.N.E.A.

– Ente per le nuove tecnologie l’energia e l’ambiente; A.S.I. – Agenzia

spaziale italiana; I.N.A.F.- istituto nazionale di astrofisica ) nel 1999 , con

una serie di decreti legislativi (nn.19, 27 e 36 del 30 gennaio 1999 e n. 296

del 23 luglio 1999) veniva infatti disposto un controllo della Corte211

limitato al solo esame dei conti consuntivi , vale a dire, senza l’esame della

regolarità contabile, finalizzato alla sola relazione annuale al Parlamento. Si

è trattato in tal caso di un indirizzo legislativo che ha inteso parificare i

210

A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli entipubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo èesercitatile in materia della Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss.

211

R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionatidallo Stato, op. cit.

167

grandi enti di ricerca al trattamento riservato alle autonomie universitarie.

Tale indirizzo subiva successivamente un ripensamento con i decreti

legislativi del 4 giugno 2003 (nn. 127 ” riordino del Consiglio nazionale

delle ricerche (C.N.R.)”, 128 “riordino dell'Agenzia spaziale italiana

(A.S.I.) e 138 – “riordino dell'Istituto nazionale di astrofisica (I.N.A.F.) e n.

257 del 3 settembre 2003 (“riordino della disciplina dell'Ente per le nuove

tecnologie, l'energia e l'ambiente – E.N.E.A., a norma dell' art .1 della legge

6 luglio 2002, n. 137” di delega per la riforma dell'organizzazione del

Governo e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché di enti

pubblici).

Ma più rilevante, per le conseguenze che successivamente

determinarono un conflitto fra la Presidenza del Consiglio dei ministri e la

Corte dei conti, (poi risolto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 466

del 17-28 dicembre 1993) era stata la vicenda legislativa conseguente alla

trasformazione in società per azioni di IRI, ENI, INA ed ENEL, avvenuta in

base alla disposizione dell’art. 15 del decreto legge 11 luglio 1992 n. 333,

convertito con modifiche dalla legge 8 agosto 1992 n. 359, che sottraeva

alla Corte dei conti il controllo su tali enti, poiché i magistrati non venivano

invitati a partecipare alla sedute dei consigli di amministrazione e il

Ministro del tesoro , unitamente alla Presidenza del consiglio ritenne che le

nuove società non rientrassero nel rapporto con lo Stato, presupposto del

controllo della Corte.

La Corte costituzionale ritenne invece , nella sentenza n. 466 del 1993,

che alla Corte dei conti continuasse a rimanere assegnato il controllo su tali

società, fino a che permaneva una partecipazione esclusiva o maggioritaria

dello Stato nel capitale azionario. D’altra parte, come è stato precisato,

“non è….. la veste formale dell’organismo di diritto pubblico (s.p.a.) che

può escludere il controllo della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 100 della

Costituzione, giacché è la natura sostanziale dell’organismo che deve

essere analizzata ed i modi di contribuzione da parte dello Stato alla sua

168

gestione”. L’elemento formale della semplice trasformazione degli enti

pubblici in enti pubblici economici non veniva, dunque, ritenuto dalla Corte

costituzionale sufficiente a determinare l’estinzione del controllo

finanziario dello Stato perché soltanto una modifica di carattere sostanziale

nell’imputazione, tale da sottrarre la gestione finanziaria degli enti

trasformati alla disponibilità dello Stato, avrebbe potuto determinare

l’eliminazione di tale forma di controllo. La Corte costituzionale ha

precisato:”…Il controllo in questione verrà, invece, a perdere la propria

ragione d'essere, legata alla sua specifica funzione, nel momento in cui il

processo di "privatizzazione", attraverso l'effettiva "dismissione" delle

quote azionarie in mano pubblica, avrà assunto connotati sostanziali, tali

da de terminare l'uscita delle società derivate dalla sfera della finanza

pubblica”. Inoltre, “la “semplice trasformazione degli enti pubblici

economici di cui all’art. 15 della legge n. 359 del 1992 non può essere,

infatti, ritenuto motivo sufficiente a determinare l’estinzione del controllo

finanziario dello Stato alla struttura economica dei nuovi soggetti” in

quanto soltanto laddove al mutamento formale “faccia seguito anche una

modifica di carattere sostanziale nell’imputazione del patrimonio (….) tale

da sottrarre la gestione finanziaria degli enti trasformati alla disponibilità

dello Stato” possono venire meno le ragioni che sono alla base del

controllo in questione siccome disciplinato dall’art. 12 della L. n. 259 del

1958 che risulta incluso nell’ambito della sfera disciplinata dall’art. 100,

secondo comma, della Costituzione”.

D’altra parte, la pronuncia della Corte Costituzionale risulta in linea

con quanto dalla stessa precedentemente affermato circa ”la funzione

propria del controllo previsto dall'art. 100, secondo comma, della

Costituzione, che é stata da questa Corte collegata all'interesse preminente

dello Stato (costituzionalmente rilevante per l'art. 100 Cost.) che siano

soggette a vigilanza le gestioni relative ai finanziamenti che gravano sul

proprio bilancio, sottoponendole in definitiva al giudizio del Parlamento"

169

(sent. n. 35 del 1962)212. Ora, é proprio la considerazione di tale finalità

primaria che può giustificare la permanenza del controllo in questione

anche nei confronti delle nuove società, se e fino a quando la gestione delle

stesse resti nella disponibilità dello Stato e sia suscettibile, di conseguenza,

di incidere, sia pure indirettamente, sul bilancio statale “.

Nel caso degli enti di ricerca C.N.R., A.S.I., E.N.E.A., la Corte

costituzionale213 aveva poi dichiarato non spettare alla Corte dei conti il

controllo su di essi nella forma diversa da quella prevista dai decreti

legislativi del 1999, che prevedono il controllo solo sui conti consuntivi,

con esclusione, quindi, del controllo di regolarità amministrativo-contabile

e sui singoli atti di gestione, finalizzandolo invece al referto al Parlamento.

La Corte costituzionale, infatti, aveva ancorato tale controllo ai principi di

cui all’ art. 3, sesto comma, della legge n. 20 del 1994 (di riforma generale

dei controlli della Corte dei conti) adeguando ad essa il controllo della

Sezione enti. Il ripristino del controllo della legge n. 259/1958 sui grandi

enti di ricerca, per l’E.N.E.A., veniva poi disposto nella forma più incisiva

di cui all’art. 12 della legge stessa. La sentenza della Corte costituzionale n.

457 del 14-23 dicembre 1999, ribadiva l’ambito di discrezionalità del

legislatore ordinario con riferimento anche all’art. 100, comma 2, della

Costituzione – sia pure con taluni limiti – Ha ritenuto, infatti, la Corte

costituzionale che – poiché la determinazione dei casi e delle forme di

partecipazione al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato

212

R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, op. cit..

213

C. Cost., sent. n. 457 del 14-23 dicembre 1999.

170

contribuisce in via ordinaria è rimessa alla legge – “le norme dei decreti

legislativi in questione ( …) rappresentano per l’appunto una forma

possibile della partecipazione al controllo che la Costituzione rimette alle

discrezionali determinazioni legislative (…) che (…) costituisce un

legittimo svolgimento del rinvio che l’art. 100, secondo comma, fa alla

legge la quale non può incontrare un suo limite nelle disposizioni dettate

dalla L. n. 259 del 1958 le quali non possono condizionare scelte

legislative successive le quali, in attuazione anch’esse dell’art. 100,

secondo comma, della Costituzione, in generale o con riferimento a casi

particolari, ridefiniscono i casi e le forme del controllo”.

La stessa Corte, peraltro, ha fatto richiamo all’applicabilità dei

principi della legge n. 20 del 1994 ed al controllo della Corte dei conti

europea . In particolare, quanto agli ulteriori rapporti di collaborazione da

instaurarsi con le amministrazioni interessate circa l’invio delle relazioni

della Corte, la formulazione in qualsiasi momento delle sue osservazioni, la

comunicazione alla Corte stessa delle misure conseguenzialmente adottate

dalle amministrazioni (cfr. il sesto comma dell’art. 3 della legge n. 20 del

‘94), essi hanno una loro autonoma ragion d'essere rispetto alla relazione al

Parlamento e configurano, nell'insieme, un sistema non privo di una propria

logica (si veda, per la Corte dei conti europea, l'analogo sistema previsto

dall'art. 248, par. 4, del Trattato della Comunità Europea). Non essendo

incisi dalle norme dei decreti legislativi, – secondo la Corte costituzionale –

tali rapporti restano pertanto salvi, in forza del richiamo fatto dall'art. 14

della legge n. 59 del 1997 allo stesso comma 6 dell'art. 3 della legge n. 20.

Va ricordato peraltro, che anche nella sentenza n. 29 del 1995

(divenuta famosa e citata più volte in diversi contesti riguardanti il controllo

delle Corte dei conti in generale) , la Corte costituzionale aveva più volte

posto in rilievo i nuovi principi di collaborazione del controllo (ivi definito,

171

appunto, “collaborativo”) della Corte dei conti214 e delle caratteristiche del

controllo sulla gestione, finalizzato ad una visione complessiva degli

andamenti e degli impieghi delle risorse pubbliche in riferimento ai principi

del buon andamento, indicato nella Costituzione, dell’ efficacia, dell’

efficienza e dell’economicità della azione amministrativa.

Dalla giurisprudenza formatasi sulla attività della Sezione enti, si

rileva come l’affermata legittimità costituzionale del controllo sulla

gestione delle pubbliche amministrazioni svolto dalla Corte dei conti215, (di

cui alla citata sentenza n.29 del 1995 e alla n. 470 del 1997, entrambe della

Corte costituzionale) che prescinde dal decreto governativo di

individuazione dell’ente, abbia tuttavia lasciato irrisolto il problema

dell'ambito soggettivo dei destinatari di questa forma di controllo.

In particolare nella sentenza n. 470 del 1997, la Corte costituzionale

aveva dichiarato infondata la questione di incostituzionalità dell'art. 3,

comma 4, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di

giurisdizione e controllo della Corte dei conti), sollevata dalla Corte di

Cassazione con ordinanze emesse a seguito di ricorsi per regolamento

preventivo di giurisdizione, proposti dalla Federazione nazionale

dell'Ordine dei farmacisti italiani, dalla Federazione nazionale degli Ordini

dei medici, dei chirurghi e degli odontoiatri, dal Consiglio nazionale degli

ingegneri, dal Consiglio nazionale del notariato, dal Consiglio nazionale

214

M. CIACCIA, Il controllo referente della Corte dei conti sugli enti a cui lo Statocontribuisce in via ordinaria, op. cit.

215

G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazionedegli enti pubblici privatizzati, op. cit., pag. 311 e ss.

172

degli architetti e dal Consiglio nazionale forense, nell'ambito di giudizi

pendenti innanzi al TAR Lazio per l'annullamento della determinazione n.

43 del 20 luglio 1995, con la quale la Sezione controllo enti della Corte dei

conti aveva sottoposto gli enti menzionati ai riscontri di cui alla legge 20

del ’94 nella parte in cui affida alla Corte dei conti l'individuazione (non

automatica e caratterizzata dalla ricerca di parametri di riferimento e di

criteri valutativi) degli enti assoggettabili al controllo, per contrasto con

l'art. 100 della Costituzione, in riferimento anche agli artt. 103 e 113 della

Costituzione.

Secondo la Cassazione, suscitava perplessità il fatto che non fosse

stato esteso, al più ampio ambito di controllo contemplato dalla citata legge

n. 20 del 1994, il procedimento già previsto dalla legge n. 259 del 1958 per

l'individuazione degli enti da assoggettare alle verifiche della Corte dei

conti, secondo un meccanismo affidato all'autorità di governo ed espresso

nella forma del decreto presidenziale. che l'individuazione degli enti

assoggettabili a controllo avvenga sulla base di un'attività "non automatica e

caratterizzata dalla ricerca di parametri di riferimento e di criteri valutativi"

e quindi, in definitiva, attraverso una procedura non conforme all'art. 100

della Costituzione. Inoltre, secondo la ricorrente, la procedura apprestata

dalla disposizione censurata faceva sì che il provvedimento di

individuazione venisse attratto nella sfera di insindacabilità che caratterizza

gli atti di controllo della Corte dei conti216, con conseguente vanificazione di

ogni garanzia giurisdizionale nei confronti degli enti assoggettati al

controllo stesso,contrariamente a quanto disposto dagli articoli 103 e 113

della Costituzione.

216

R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionatidallo Stato, op. cit.

173

Sul primo punto, la Corte costituzionale osservò che la disposizione

denunciata non prefigurava, in realtà, nessuna specifica procedura,

“ limitandosi ad enunciare un criterio generale che, facendo leva sulla

nozione di pubblica amministrazione, è di per sé sufficiente a definire

l'ambito delle competenze affidate alla Corte, alla stregua del potere

proprio di ciascun organo dotato di garanzie procedimentali di accertare le

situazioni che, in base alla legge, costituiscono il presupposto per

l'esercizio delle sue funzioni”217. D'altro canto è fondatamente da escludere

che le modalità stabilite dalla legge n. 259 del 1958, per l'individuazione

degli enti ai quali lo Stato contribuisce in via ordinaria, costituiscano un

modello di riferimento costituzionalmente obbligato anche per il controllo

previsto dalla disposizione dell'art. 3, comma 4, della legge n. 20 del 1994 e

che l'istituto qui in esame, “lungi dal ricollegarsi all'art.100 della

Costituzione, si pone, in effetti, come espressione della discrezionalità di

cui gode il legislatore ordinario. A sostegno del denunciato vizio dell'art. 3,

comma 4, della legge n. 20 del 1994, non pare, dunque, possibile

argomentare dal controllo contemplato dalla legge n. 259 del 1958 che, pur

introducendo fondamentali innovazioni, è venuta a ricalcare, quanto alle

modalità di individuazione degli enti e alla imputazione della funzione, le

linee ispiratrici di un ordinamento (legge 19 gennaio 1939, n. 129; regio

decreto 8 aprile 1939, n. 720 e regio decreto 30 marzo 1942, n. 442) in

base al quale, già prima della Costituzione, la Corte dei conti concorreva

alla funzione di controllo su enti individuati da un provvedimento del

Ministro delle finanze (art. 1 del menzionato regio decreto n. 720 del 1939),

previo accertamento delle condizioni stabilite dalla legge”. La legge n. 259

del 1958 – in attuazione dell'art. 100, secondo comma, della Costituzione,

217

R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, op. cit.

174

secondo il quale la Corte dei conti "partecipa nei casi e nelle forme stabiliti

dalla legge al controllo sulla gestione finanziaria" dei c.d. enti

sovvenzionati dallo Stato – prevede, come presupposto per

l'assoggettamento a controllo, l'esistenza della c.d. contribuzione statale

ordinaria (intendendosi per tale, l'assegnazione di contributi corrisposti con

carattere di periodicità ovvero la fruizione, con carattere di continuità, da

parte degli enti, di imposte, tasse e contributi, ai sensi di quanto

contemplato dall'art. 2, ovvero, ancora, l'apporto al patrimonio in capitale

da parte dello Stato, giusta l'art. 12) e, al tempo stesso, l'assenza di ipotesi

configurate come ostative (art. 3, secondo comma), quali quelle di enti di

"interesse esclusivamente locale" ovvero di enti destinatari di contribuzioni

di "particolare tenuità", "in relazione alla natura dell'ente ed alla sua

consistenza patrimoniale e finanziaria".

La varietà e molteplicità di situazioni considerate giustifica, perciò, -

sempre secondo la Corte costituzionale - la previsione, da parte del primo

comma del medesimo art. 3 della legge n. 259 del 1958, di una specifica

procedura di ricognizione e valutazione che si conclude con un apposito

decreto, mentre analoga necessità non si riscontra per l'individuazione degli

enti soggetti al controllo previsto dalla disposizione denunciata, risultando

quest'ultimo subordinato al solo presupposto della riconducibilità dei

medesimi enti alla nozione generale di pubblica amministrazione218.

Circa la questione della presunta insindacabilità delle determinazioni

della Corte dei conti219, sì da non consentire agli enti stessi alcun rimedio

giurisdizionale contro l'illegittimo assoggettamento a controllo, la Corte

costituzionale ebbe inoltre ad affermare che: “dal richiamo fatto

218

A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli entipubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo èesercitatile in materia della Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss.

175

dall'ordinanza stessa a quella giurisprudenza che ha ritenuto gli atti della

Corte dei conti non impugnabili in via giurisdizionale, non può farsi

discendere il corollario dell'insindacabilità anche della verifica delle

condizioni e dei presupposti di esistenza del potere esercitato. Ne discende

che le determinazioni della Corte dei conti, in ordine all'individuazione

degli enti da assoggettare a controllo, non escludono, per gli enti stessi, la

garanzia della tutela innanzi al giudice (art. 24 della Costituzione),

restando, perciò, in discussione non già l'an, ma solo il quomodo di detta

tutela e, quindi, un problema di interpretazione della normativa vigente, la

cui soluzione, ovviamente, esula dall'oggetto del presente giudizio. Anche

sotto questo profilo la questione è da ritenere, dunque, infondata, non

essendo dato scorgere nella disposizione denunciata alcun vulnus del

diritto di agire in giudizio, da reputarsi comunque garantito”.

La questione dell'ambito soggettivo dei destinatari di questa forma di

controllo costituisce tuttora oggetto di attenzione e di approfondimento da

parte della Sezione controllo enti , poiché per gli enti è spesso incerta la

natura giuridica pubblica, cosicché le iniziative di estensione dei programmi

di controllo rimangono esposte al rischio di possibile impugnazione. In

particolare per gli ordini e collegi professionali dopo la pronuncia della

Corte di Cassazione che ha attribuito la competenza giudice ordinario, sono

intervenute sentenze di merito che hanno fermato la legittimità delle

determinazioni adottate dalla Sezione controllo enti della Corte dei conti220.

Con riguardo agli effettivi destinatari del controllo, l'incompleta

adozione dei prescritti decreti governativi di assoggettamento – si legge

nelle recenti delibere di programma della Sezione enti – continua tuttavia ad

219

R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionatidallo Stato, op. cit.

176

escludere dal controllo e dal conseguente referto al Parlamento numerose

gestioni sovvenzionate dallo Stato, fra le quali alcune importanti imprese

pubbliche che manifestano un ulteriore sviluppo e spesso assumono la

forma di società partecipate in tutto in parte comunque posizione dominante

dallo Stato. A tale proposito, i più recenti documenti della Sezione hanno

ripetutamente sottolineato l'esigenza , per un compiuto esercizio del

controllo finanziario di propria competenza, di una aggiornata generale

ricognizione da parte del Governo e l’adozione dei richiesti decreti da parte

della Presidenza del Consiglio ed il previo sollecito esercizio del potere –

dovere di proposta, spettante ai Dicasteri vigilanti o titolari dei diritti di

azionista e quindi, principalmente, al Ministero dell’economia e delle

finanze, per le società in mano pubblica, per l’assoggettamento al controllo

delle gestioni sovvenzionate di più rilevante impatto sulle finanze pubbliche

da individuare sulla base di predeterminati parametri obiettivi.

L’esigenza del controllo e del referto della Corte, funzionali al

compiuto esercizio del controllo politico e finanziario spettante al

Parlamento, è risultata evidenziata , del resto, anche nei resoconti delle

Camere (ad esempio, in particolare con riguardo alla “Sviluppo Italia” s.p.a.

ed al vasto “arcipelago” delle sue partecipate) dove viene sottolineato che

restano ancora sottratte al controllo ed al conseguente referto al Parlamento,

numerose gestioni sovvenzionate dallo Stato e, in particolare, talune

importanti "imprese pubbliche".

Negli stessi documenti programmatici della Sezione del controllo è

stato altresì rammentato come, nell’ambito del progressivo processo di

220

Cass. civ., Sez. Un., 9 agosto 1996, n. 7327. Afferma la sussistenza della giurisdizione del giudiceordinario in sede di regolamento di giurisdizione per la Società italiana autori ed editori per undiritto soggettivo dell'ente a non veder compressa la propria sfera giuridica nell’ambito delcontrollo sulla gestione della Corte dei Conti.

177

entificazione, siano state ricondotte nell’area di applicazione della legge n.

259/1958, gestioni statali in precedenza rientranti in quella della legge n.

20/1994: ad esempio, la Cassa depositi e prestiti, in base ad espresse e

dirette disposizioni legislative e l’Agenzia del demanio, in esito all’esplicita

attribuzione legislativa della natura di ente pubblico economico; l’Istituto

superiore di sanità e l’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del

lavoro, mediante specifici decreti governativi di assoggettamento.

Significativa, al riguardo è stata, ad esempio, la vicenda della

costituzione di Ferrovie dello Stato S.p.A. derivata dalla scissione parziale

della società per azioni subentrata all’Ente pubblico Ferrovie quale nuova

Capogruppo del settore ferroviario. La Sezione controllo enti, assunse la

determinazione n. 28 del 30 aprile 2004 – ai fini dell’adozione del decreto

del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui alla legge n. 259 del 1958 –

dando formalmente atto al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al

Ministro dell’economia e delle finanze della sussistenza delle condizioni

per l’assoggettamento di Ferrovie dello Stato s.p.a. al controllo della Corte

dei conti ai sensi dell’art. 12 della legge n. 259 del 1958, con permanenza

del controllo previsto dall’art. 19 della legge 17 maggio 1985, n. 210, sul

“nucleo” residuo della precedente Capogruppo, e cioè su Rete Ferroviaria

Italiana s.p.a.

Non essendo stato emesso, fino al febbraio 2006 dalla Presidenza del

Consiglio il richiesto provvedimento dichiarativo dell’assoggettamento, la

Corte ha riferito sulla gestione di Ferrovie dello Stato s.p.a. per gli esercizi

2003 e 2004 con le modalità precedenti, in attuazione degli articoli da 5 a 9

della legge 21 marzo 1958, n. 259 e con ampi riferimenti alla gestione del

Gruppo, sulla base dei dati del bilancio consolidato.

L’elenco degli enti sottoposti a controllo subisce di anno in anno delle

variazioni: ad esempio, a seguito delle trasformazioni in enti pubblici

178

economici delle stazioni sperimentali per l’industria, tali soggetti si sono

aggiunti ai ricordati precedenti221.

Nei casi in cui sono consentite comparazioni, i referti riguardano

congiuntamente una pluralità di enti, ricompresi in una medesima categoria:

enti lirici; stazioni sperimentali dell’industria; enti parchi nazionali; enti di

sperimentazione agricola; automobil club nazionale e locali; consorzi

fluviali; società di navigazione di preminente interesse nazionale;

associazioni combattentistiche; casse militari di assistenza e previdenza.

Sempre dalle delibere della Sezione si ricava come nel sistema dei

controlli, quello sulla gestione finanziaria degli enti sovvenzionati abbia

assunto una connotazione particolare rispetto a quello preventivo, su singoli

atti tassativamente individuati ed a quello successivo, sulla gestione delle

pubbliche amministrazioni, di tipo generalizzato, che postula un esercizio

selettivo e secondo criteri previamente definiti222. Il controllo della legge n.

259 del’58 resta infatti preordinato ad assicurare, anche nel corso

dell’esercizio, una compiuta azione di verifica su particolari gestioni

sovvenzionate, che vengono – di volta in volta – singolarmente individuate,

in ragione del loro impatto sulle finanze pubbliche e che si svolge con

continuità, nella permanenza dei prescritti requisiti.

221

R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, op. cit.

222

A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli entipubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo èesercitatile in materia della Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss.

179

Deve pertanto ribadirsi che la funzione programmatoria della Sezione

della Corte223 per l’attuazione della legge non ha la finalità – propria del

controllo generalizzato – di selezionare gli stessi soggetti destinatari e le

singole aree di volta in volta prescelte, ma piuttosto quella di identificare,

nell’ambito dell’indeclinabile attività di controllo sulla intera gestione di

ciascun ente, materie, temi e aspetti, sui quali focalizzare specifiche analisi

e verifiche. Resta quindi fondamentale obiettivo prioritario la produzione di

referti tempestivi ed attuali , sino a poter comprendere i preconsuntivi e le

situazioni trimestrali di esercizio che evidenzino sinteticamente i profili di

maggiore criticità emersi nell’attività di controllo, nonché le più rilevanti e

significative valutazioni, sui risultati programmati ed effettivamente

conseguiti, sulle principali voci di costo e sugli equilibri di bilancio, sul

funzionamento dei controlli interni e sulle misure conseguenziali

comunicate ed adottate in esito alle osservazioni della Corte dei conti.

La programmazione, d’altra parte, si rende indispensabile considerato

che, come rilevato dalla stessa Corte costituzionale, le verifiche della Corte

dei conti non possono estendersi sulla generalità delle amministrazioni

dovendosi, quindi, operare necessariamente controlli “a campione”.

La Sezione controllo enti svolge , come detto, anche il controllo

generale e per programmi, di cui alla legge n.20 del 1994 ex art. 3, comma

4, su enti pubblici selezionati in sede di programmazione annuale,diversi da

quelli soggetti a contribuzione ordinaria dello Stato sulla gestione degli enti

pubblici nazionali non rientranti nell’area applicativa della legge n. 259 del

1958, fatta eccezione per gli organismi facenti parte delle strutture

ministeriali e delle Autorità indipendenti.

223

M. CIACCIA, Il controllo referente della Corte dei conti sugli enti a cui lo Statocontribuisce in via ordinaria, op. cit.

180

Da tale orientamento non può farsi derivare una estensione

generalizzata a tutte le amministrazioni del modello di controllo in

argomento. La legge 20 del ‘94, e in particolare la disposizione dell’ art. 3,

comma terzo (“ Le Sezioni riunite della Corte dei conti possono, con

deliberazione motivata, stabilire che singoli atti di notevole rilievo

finanziario, individuati per categorie ed amministrazioni statali, siano

sottoposti all'esame della Corte per un periodo determinato. La Corte può

chiedere il riesame degli atti entro quindici giorni dalla loro ricezione,

ferma rimanendone l'esecutività. Le amministrazioni trasmettono gli atti

adottati a seguito del riesame alla Corte dei conti, che ove rilevi

illegittimità, ne dà avviso al Ministro”) va comunque coordinata con la

legge 259 del 1958 .

La Sezione competente ha indirizzato negli anni scorsi questi controlli

su tre categorie di enti: stazioni sperimentali dell’industria; istituti culturali

di livello nazionale; ordini e collegi professionali.

Tra gli aspetti generali oggetto di indagine da parte della Sezione,

comuni a diverse categorie di enti si segnalano: la funzionalità complessiva

e quella delle principali articolazioni organizzative; gli esiti dei processi di

razionalizzazione degli organi e degli apparati; la costituzione di strutture

unitarie, per un più coordinato ed efficiente svolgimento di funzioni e

servizi comuni a più enti; lo sviluppo della informatizzazione e

dell’innovazione tecnologica e le risorse ad esso dedicate; le iniziative di

esternalizzazione dei servizi, anche attraverso società partecipate e la

comparazione dei relativi costi e benefici; la rilevazione dei costi del

personale e del lavoro, e di quelli di formazione, nonché del loro

andamento; il ricorso ad incarichi esterni, verificandone anche il rispetto dei

tetti di spesa e dei prescritti requisiti di conferimento ed esecuzione; il

contenimento delle spese per acquisti di beni e servizi e di quelle per i

consumi intermedi, e la verifica dei tetti di spesa per autovetture, relazioni

pubbliche e rappresentanza; il grado di conformazione ai principi

181

desumibili dal D.Lgs 30 luglio 1999, n. 286 (sui controlli interni), le

modalità applicative e le risultanze conseguite; l’applicazione dei principi di

riforma in materia contabile e di bilanci; il tasso di copertura, mediante la

politica tariffaria, dei costi dei servizi finali resi all’utenza.

4.3) IL PROBLEMA DELL’INDIVIDUAZIONE DEGLI ENTI.

Per riprendere il problema accennato in precedenza dell’ambito

soggettivo dei destinatari, soprattutto quando manchi una espressa

qualificazione normativa che riguardi anche il livello nazionale e cercare di

chiarire, poi, quale sia l’ampiezza dell’espressione “amministrazioni

pubbliche” di cui all’ art 3 comma terzo, va ricordato che il riferimento alle

“pubbliche amministrazioni” è contenuto in numerose leggi e disposizioni e

una definizione legislativa è rinvenibile nel decreto legislativo del 3

febbraio 1993 n. 29 (ora sostituito dal d.lgs 30 marzo 2001, n. 165). All’art.

2 primo comma, si legge(va): “ Per amministrazioni pubbliche si intendono

tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni

ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni

dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le

comunità montane, e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni

universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio,

industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti

pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le

182

aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale.” (ora vedasi comunque,

il secondo comma dell’art. 1, del d.lgs n. 165 del 2001: ” Per

amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato,

ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni

educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento

autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro

consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi

case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura

e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali

e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario

nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche

amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio

1999, n. 300”).

Le Sezioni riunite della Corte dei conti224, nella deliberazione n. 2 del

gennaio 1995 oltre a delineare il procedimento per la formazione del

programma di controllo e i criteri di riferimento, hanno elencato i soggetti

che rientrano nella categoria delle amministrazioni pubbliche ai fini del

controllo, facendo ricorso alla definizione di cui al D.Lgs n. 29 del ‘93,

tuttavia, restringendone l’utilizzabilità, nel senso di escludere che potessero

considerarsi ai fini dell’applicabilità della legge n.20 del ‘94, le

amministrazioni regionali “espunte normativamente” dalla categoria

generale delle amministrazioni pubbliche ed assoggettate ad un particolare

controllo, che tenga conto dell'ampia autonomia costituzionalmente

attribuita alle regioni (quello della verifica dei risultati degli obiettivi

224

G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazionedegli enti pubblici privatizzati, op. cit., pag. 311 e ss.

183

stabiliti dalle leggi regionali di piano e di programma : quinto comma

dell’art. 3)225.

Sempre le Sezioni riunite della Corte dei conti chiarirono che

“amministrazione pubblica” non è sinonimo di “amministrazione statale”

sia perché nel comma quarto dell’art. 3 della legge n. 20 del ’94 si fa

riferimento esplicito alle amministrazioni statali e nel comma quinto a

quelle regionali , differenziando queste ed escludendole dalla categoria

delle pubbliche amministrazioni ai fini del controllo , sia per la ratio della

norma, dal momento che il legislatore ha voluto chiaramente espandere il

controllo successivo a tutte le gestioni “ i cui risultati possano incidere

direttamente sulla finanza pubblica e indirettamente sull’economia

nazionale”, mentre quando ha inteso limitare l’ambito di applicazione ha

distinto specificamente le amministrazioni statali.

Con riguardo agli enti pubblici, in particolare agli enti pubblici non

statali, non di rilievo nazionale la citata delibera n.2 del’ 95 delle Sezioni

riunite individuava i criteri permanenti per individuare la competenza delle

strutture della Corte dei conti226 a svolgere il relativo controllo sulla

gestione, nell'elemento del territorio e in quello della “strumentalità

finanziaria” rispetto all’ ente territoriale che definisce programmi di attività

e che ha poteri di vigilanza (Regione , Province o Comune) . La

competenza a svolgere il controllo da parte della Corte, veniva individuata

nelle (allora) Delegazioni regionali (ora Sezioni regionali di controllo) con

225

R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, op. cit.

226

R. COLTELLI, L’oggetto del controllo della Corte dei conti sugli enti sovvenzionatidallo Stato, op. cit.

184

funzioni anche di collaborazione con le Sezioni riunite della Corte che

riferiscono al Parlamento nazionale e alla (allora) Sezione Enti locali (ora

Sezione delle Autonomie) per quegli enti che “gravitano nell'ambito di

legge territoriale locale e che perseguono anche con le sovvenzioni

quest'ultimo lo scopo di promuovere lo sviluppo economico e sociale delle

comunità locali” .

Con riguardo alle società costituite o partecipate prevalentemente da

regioni ed enti locali ed aventi scopi sociali di carattere spiccatamente

territoriale, le quali non beneficino in genere ordinariamente ed in modo

diretto di contributi statali, le Sezioni riunite della Corte dei Conti in sede di

controllo, deliberazione n. 16/01 del 26 luglio 2001 hanno successivamente

affermato che il controllo su queste società può essere esercitato

esclusivamente in via indiretta, sulla base delle norme della legge n.

20/1994227. Vi provvederanno, pertanto, la Sezione delle Autonomie e le

Sezioni regionali nei rispettivi ambiti di competenza, nel contesto dei

controlli ad esse spettanti sulle amministrazioni pubbliche territoriali e

limitatamente a quegli aspetti delle gestioni societarie, che hanno impatto

sugli equilibri di bilancio degli enti regionali e locali e concorrono a

determinarne le politiche di settore.

Interessanti sono alcune notazioni generali sul sistema delle Autorità

portuali, per i risvolti in ordine all’avvenuto assoggettamento al controllo

della Corte dei conti (da parte della Sezione enti).

L’art. 105, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112,

recante conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle

227

A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli entipubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo èesercitatile in materia della Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss.

185

Regioni ed agli enti locali, ha sancito espressa deroga a detto conferimento

in ordine alle attribuzioni proprie delle Autorità portuali che, dunque,

continuano ad esercitarle in materia sia portuale sia di amministrazione del

demanio marittimo. Da tale disposto è derivata la prosecuzione dei controlli

sulle Autorità portuali da parte delle Amministrazioni statali, come definiti

dalla legge 28 gennaio 1994, n. 84, nonché da parte della Corte dei conti,

secondo le modalità dell’art. 8 bis della legge 27 febbraio 1998, n. 30 sulle

autorità portuali, ai sensi dell’art. 6, quarto comma, della legge n. 84/1994,

nel testo sostituito dall’art. 8 bis, lettera c), della legge n. 30/1998, secondo

il quale la Corte dei conti esercita il controllo sui rendiconti della gestione

finanziaria.

Le altre leggi principali che hanno innovato il sistema sono: il decreto

legge 21 ottobre 1996, n. 535, convertito, con modificazioni, dalla legge 23

dicembre 1996, n. 647 e il decreto legge 30 dicembre 1997, n. 457,

convertito, con modificazioni, dalla già citata legge 27 febbraio 1998, n. 30.

Da tale quadro normativo discende per le Autorità portuali la

compresenza di una duplice natura. La prima, prevalente, deriva dai poteri

pubblicistici di regolamentazione e di controllo delle attività di impresa

nell’ambito portuale, volta ad assicurare l’assoluta neutralità e la parità tra

le imprese impegnate nelle operazioni portuali; esse infatti vigilano

sull’applicazione della legislazione comunitaria e nazionale in materia di

concorrenza intervenendo, nei confronti dei concessionari o dei soggetti

autorizzati, per imporne il rispetto pena la decadenza o la revoca. La

seconda consente loro, come detto, di esercitare direttamente o

indirettamente attività accessorie o strumentali rispetto ai compiti

istituzionali affidati. Si verifica, pertanto, la singolare contitolarità di dette

ultime attività economico-commerciali con le funzioni autoritative e di

garanzia.

Sulla natura giuridica delle Autorità portuali il Consiglio di Stato (Sez.

III, n.1641/02 del 9 luglio 2002) ha avuto modo di affermare che “la

186

prevalenza nell’organizzazione di un Ente delle attività destinate a

soddisfare bisogni di carattere industriale o commerciale non preclude la

sua qualificazione come organismo di diritto pubblico, quando ne sussistano

altre in relazione alle quali ricorrano i requisiti stabiliti dalla normativa

comunitaria per tale qualificazione”, e che “la circostanza che le Autorità

portuali, oltre allo svolgimento delle funzioni istituzionali, percepiscano

anche compensi da terzi per servizi resi, non trasforma la loro natura di

organismi di diritto pubblico, atteso che i relativi proventi rappresentano

soltanto un mezzo per concorrere al finanziamento degli oneri sostenuti per

la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture, affinché non ricadano

interamente sull’erario e non già un utile di impresa”228.

Anche la Commissione europea , ha rilevato che in molti casi le

Autorità esercitano una doppia funzione, e cioè quella di ente gestore del

porto e quella di fornitore di servizi portuali. Per tali ipotesi, nelle quali

l’Autorità portuale operi sul piano commerciale, la Commissione – pur

senza voler restringere le funzioni di gestione di cui le Autorità sono titolari

– ha evidenziato la necessità che la stessa non occupi una posizione

privilegiata nei confronti degli altri fornitori di servizi.

4.4) LE DELIBERE DELLA SEZIONE CONTROLLO ENTI

Si può affermare – traendo spunto dalla delibera programmatica della

Sezione enti – che nel sistema dei controlli, quello della legge 259 del ‘58 si

posiziona ormai come strumento intermedio tra il controllo di legittimità sui

singoli atti e quello successivo sulla gestione di tipo generale e per

228

R. PEREZ, La disciplina finanziaria e contabile degli enti pubblici, op. cit.

187

programmi e settori di attività preordinato ad assicurare un'azione di

verifica, continuativa e compiuta, su ciascuna delle gestione sovvenzionate,

previamente individuate singolarmente o a volte per categoria in ragione del

impatto sulla finanza pubblica.

In proposito, è significativo richiamare il ripristino del controllo della

legge 259 del ‘58 sui grandi enti di ricerca: in particolare, sulla questione

che esso viene disposto direttamente dal legislatore (ad esempio, col decreto

legislativo 3 settembre 2003, n. 257) nella più incisiva forma prevista

dall'articolo 12 della legge 259 del ’58. Una pari significatività assume,

inoltre, lo spostamento dall'area applicativa della legge 20 del ‘94 a quella

della legge 259 del ‘58 operato per la “Cassa depositi e prestiti” a causa

della sua trasformazione in società per azioni ( in base all’art. 5 comma 17 –

relativamente al controllo della Corte dei conti229 – del decreto legge 30

settembre 2003, n. 269 convertito dalla legge 24 novembre 2003 , n. 326 ) e

attraverso altri decreti governativi per l'Istituto superiore di sanità e per

l'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro. Per

l'attuazione della legge 259 del ’58 la determinazione annuale degli

indirizzi di programma del controllo – come si legge nelle delibere di

programma della Sezione controlli enti – “si atteggia di conseguenza non

tanto quale autolimite quanto piuttosto quale mezzo per individuare le

materie interne e gli aspetti delle singole gestioni sui quali focalizzare

analisi e verifiche”.

L'attività di controllo da svolgere da parte della Corte dei conti230 deve

mantenere quindi tra gli obiettivi prioritari quello di rendere un referto

sempre più aggiornato al Parlamento , che evidenzi sinteticamente per

ciascuno degli enti controllati “i profili gestionali di maggiore criticità ed

229

G. OTTAVIANO, Il controllo della Corte dei conti sulle società risultanti dalla trasformazionedegli enti pubblici privatizzati, op. cit., pag. 311 e ss.

188

attualità sino ai dati di preconsuntivo , delle situazioni trimestrali

dell'esercizio in corso e le più importanti e significative valutazioni sui

risultati conseguiti, sui costi, sul funzionamento dei controlli interni e sulle

misure consequenziali comunicate da adottare in essi dall'osservazione

della Corte dei conti”.

Sia nella sentenza n. 457 del 23 dicembre 1999, che nella sentenza n.

466 del 28 dicembre 1993, la Corte costituzionale ha ritenuto che la Corte

dei conti nell’esercizio della funzione di controllo sugli enti, rappresentata

dal Presidente della Corte dei conti, sia potere dello Stato legittimato a

sollevare conflitto di attribuzione con gli altri poteri dello Stato.

Va ricordato, altresì, che importanti innovazioni sono state recate dal

decreto del Presidente della Repubblica 27 febbraio 2003 n. 97 sulla nuova

disciplina concernente l'amministrazione e la contabilità degli enti pubblici

di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70 e dalle norme di riforma del diritto

societario (iniziata con la legge delega 3 ottobre 2001 n. 366 e i dd.lgs 5 e 6

del 17 gennaio 2003 e proseguita col d.lgs 30 dicembre 2003 n.394 e col

d.lgs 28 febbraio 2005 n. 38). Va inoltre ricordato il decreto legislativo 8

giugno 2001, n. 231, che reca la disciplina sulla responsabilità

amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni

anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29

settembre 2000, n. 300 e delle associazioni non riconosciute, come

conseguenza di determinate categorie di reato poste in essere nel loro

interesse o a loro vantaggio da persone fisiche facenti parte degli stessi enti

in posizione apicale o subordinata, attribuendo il potere di accertamento

della responsabilità stessa al giudice penale, con profili che potrebbero

230

M. CIACCIA, Il controllo referente della Corte dei conti sugli enti a cui lo Statocontribuisce in via ordinaria, op. cit.

189

rifluire anche in ipotesi di danno erariale – di competenza della

giurisdizione contabile della Corte dei conti – quali l'irrogazione di una

sanzione pecuniaria, che ne riduca sensibilmente le risorse finanziarie,

compromettendone il funzionamento o l’esistenza231.

In tal modo, si giustifica anche per la Sezione controllo enti della

Corte dei conti , l'esigenza di vigilare attentamente sulle modalità di

applicazione delle disposizioni recate dal citato decreto, in particolare

sull'applicazione delle disposizioni rivolte alla prevenzione dei reati,

all'esonero dalla responsabilità amministrativa ed alla riduzione degli effetti

sanzionati.

Vanno, per completezza , ricordate anche le seguenti norme modificate

o contenute nei commi 172 e 173 della legge n. 266 del 2005: – art 3

comma 6 legge n. 20 del ’94, modificato dal comma 172 dell’art.1 della

legge n. 266 del 2005:” La Corte dei conti riferisce, almeno annualmente,

al Parlamento ed ai consigli regionali sull'esito del controllo eseguito. Le

relazioni della Corte sono altresì inviate alle amministrazioni interessate,

alle quali la Corte formula, in qualsiasi altro momento, le proprie

osservazioni. Le amministrazioni comunicano alla Corte ed agli organi

elettivi, entro sei mesi dalla data di ricevimento della relazione, le misure

conseguenzialmente adottate.” – comma 173 dell’ art. 1 della legge n. 266

del 2005:” Gli atti di spesa relativi ai commi 9, 10, 56 e 57 (si tratta di

spese per studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei

all'amministrazione, sostenute dalle pubbliche amministrazioni di cui

all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e

231

A. MINGARELLI, Il controllo pubblico sul processo di privatizzazione degli entipubblici economici e sulle società di capitali derivanti. In particolare: quale controllo èesercitatile in materia della Corte dei conti( parte I e II ), op. cit., pag. 268 ss.

190

successive modificazioni, esclusi le università, gli enti di ricerca e gli

organismi equiparati e di spese per relazioni pubbliche, convegni, mostre,

pubblicità e di rappresentanza, nonché di spese per indennità, compensi,

retribuzioni o altre utilità comunque denominate, corrisposti per incarichi di

consulenza, e i contratti di consulenza) di importo superiore a 5.000 euro

devono essere trasmessi alla competente sezione della Corte dei conti per

l'esercizio del controllo successivo sulla gestione.”

Altro tema d’indagine in ambito societario è costituito dalla nuova

disciplina sulla tutela del risparmio (di cui alla legge 28 dicembre 2005, n.

262) che prevede – tra l’altro – un maggiore spazio alla rappresentanza

delle minoranze nel collegio dei sindaci; l’istituzione della figura del

dirigente responsabile della redazione dei documenti contabili societari; la

rotazione dei responsabili della revisione e alcuni divieti per lo svolgimento

di altri servizi professionali, nonché alcune limitazioni al cumulo degli

incarichi di amministrazione e controllo.

A fronte del descritto assetto ordinamentale, in continua

trasformazione, i principali parametri di riferimento del controllo che viene

svolto a campione in relazione alle concrete disponibilità della Sezione,

sono, comunque, tuttora identificabili: nelle norme nazionali ed in quelle

comunitarie sugli equilibri di bilancio, sulla concorrenza, sugli aiuti di Stato

ed in materia di appalti; nelle disposizioni generali e settoriali e negli

strumenti programmatici governativi, volti a contenere indebitamento e

debito ed a riqualificare la spesa del settore pubblico; nelle norme di

riforma e di razionalizzazione degli enti pubblici e delle loro strutture

organizzative ed in quelle dirette, sia ad introdurre una generalizzata

applicazione della contabilità economico analitica, sia ad elevare il livello

qualitativo dei prodotti e servizi finali resi all'utenza. Fermo restando il

controllo sul rispetto degli indicati parametri, oltre ai più generali riscontri

di legalità e sulla regolarità delle procedure amministrative e contabili ed

alle valutazioni di attendibilità e di affidabilità dei bilanci, da potenziare e

191

sviluppare con metodologia a campione , le indagini – si legge sempre nelle

delibere programmatiche della Sezione – “saranno focalizzate sulla

corrispondenza dei risultati agli obblighi normativi ed alle linee

programmatiche, accertando il grado di realizzazione delle "missioni"

assegnate a ciascun Ente. Nei casi ove sia possibile e ritenuto significativo,

verranno implementate analisi comparative e relazioni unitarie su più enti,

applicando indicatori di misurazione delle attività o dei prodotti ( output )

o delle realizzazioni o di impatto (outcome)”.

Conclusivamente, si può anche affermare che sia stata proprio la legge

259 del ‘58, anche se intervenuta a dieci anni di distanza dalla previsione

costituzionale, ad iniziare ad introdurre i concetti del controllo sulla

gestione considerata nel suo insieme e che si svolgesse temporalmente in un

momento successivo al suo compimento senza effetti interdittivi della

efficacia del singolo atto. Con tale tipo di controllo si evidenziano gli esiti

della gestione, in una valutazione complessiva dell’azione e dell’efficacia

della attività monitorata, di una sua efficiente ed economica realizzazione,

attraverso la verifica di documenti economico finanziari, oltre che contabili,

quali sono i bilanci d’esercizio ed i conti consuntivi. La Corte dei conti

vigila affinché gli enti che gestiscono ingenti quote di risorse pubbliche, si

attengano a parametri di legittimità ed improntino la loro gestione a criteri

di efficacia ed economicità.

Nell’esercizio della funzione di controllo sulla gestione finanziaria

previsto dall’art. 100 della Costituzione e dalla legge 21 marzo 1958 n. 259,

la Corte controlla, come detto: – gli enti che godono di contribuzione

periodica a carico dello Stato; – gli enti che si finanziano con imposte,

contributi, tasse che sono autorizzati ad imporre; – gli enti che godono di un

apporto al patrimonio in capitale, servizi, beni ovvero mediante concessione

di garanzia; – le società derivanti dalla trasformazione degli enti pubblici

economici in società per azioni, fino a quando permanga la partecipazione

192

maggioritaria dello Stato o degli altri pubblici poteri al capitale sociale

(sentenza 28 dicembre 1993 n. 466 della Corte costituzionale ).

Le deliberazioni delle relazioni ad opera della Sezione controllo enti

in sede collegiale, che possono riportare i principali rilievi formulati nelle

singole relazioni e le determinazioni e le relazioni vengono comunicate ai

Presidenti delle Camere, al Presidente del Consiglio, al ministero dell’

economia e finanze, e ai ministeri ai quali è attribuito il potere di vigilanza ,

nonché agli enti alle quali si riferiscono , proprio allo scopo di fornire

indicazioni per la riqualificazione della spesa pubblica e di riflesso per la

migliore ripartizione delle risorse finanziarie complessive.

Poter disporre di un patrimonio ricco di informazioni derivanti dallo

svolgimento corretto ed adeguato dei controlli sui fenomeni e sulla

complessiva attività gestoria, è strumentale a fornire al Parlamento il quadro

necessario per assumere le decisioni utili per il controllo della finanza

pubblica e, quindi, assumere anche le necessarie decisioni in termini di

corretta allocazione delle risorse per il perseguimento dei pubblici interessi

e per l’erogazione dei beni e servizi da parte degli enti preposti, nell’opera

di ottimizzazione delle risorse e di definizione anche degli strumenti

generali di “fiscal policy”.

193

CONCLUSIONI

Il nostro è un periodo di non facile transizione verso un sistema degli

enti locali più efficiente. In altri termini è necessario aumentare la

produttività della spesa pubblica. La scelta non è solo fra aumentare le

imposte o ridurre le spese. Vi è anche la via di produrre di più con la stessa

spesa (aumentare la produttività del lavoro) e di rendere più redditizio il

patrimonio pubblico (aumentare la redditività dell’attivo investito).

Questa scelta comporta una vera e propria rivoluzione culturale e

operativa. Gli amministratori locali debbono affrontare problematiche

sconosciute fino a qualche anno fa: i livelli quantitativi e qualitativi dei

servizi pubblici non dipendono solamente dal volume dei trasferimenti

erariali, ma sono ormai in funzione delle contribuzioni dei cittadini con

imposte, tasse e tariffe. Questo implica una crescita professionale dei

responsabili nella gestione dell’ente locale.

Gli sviluppi della normativa finanziaria e contabile degli enti locali,

che abbiamo approfondito nel presente lavoro, mette in luce due linee di

tendenza innovative e particolarmente rilevanti: – Una maggiore attenzione,

194

rispetto al passato, ai temi della programmazione e del controllo, nella

separazione tra poteri politici e competenze della gestione; – La presenza di

vincoli macroeconomici in grado di influenzare le politiche di bilancio

anche degli enti di minori dimensioni.

Il termine Controllo di Gestione viene definito, come abbiamo visto,

dalla dottrina come “il processo mediante il quale la direzione garantisce

che le risorse siano disponibili e siano utilizzate efficacemente ed

efficientemente per il raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione

stabiliti in sede di pianificazione strategica”, dove per efficacia si intende il

grado con cui gli obiettivi prestabiliti sono raggiunti, e per efficienza il

rapporto tra risorse impegnate e risultati ottenuti.

Negli enti locali il termine “controllo” è stato finora causa di

interminabili dibattiti e di non pochi equivoci. Esso ha assunto spesso due

significati:

Il controllo inteso come momento giuridico-istituzionale è quello che

finora ha trovato più largo riscontro negli enti locali. Esso si sostanzia

soprattutto in ispezioni, verifiche, riscontri operativi da organi esterni, al

fine di accertare la conformità giuridica dell’operato degli enti locali sotto il

profilo della legittimità e talvolta anche del merito.

In ogni caso, il controllo di gestione si avvale di un proprio sistema

informativo e in particolare si fonda su un sistema di dati quantitativi e

monetari, che formano quello che nel settore privato, è chiamata la

“contabilità direzionale”. Quest’ultima nasce dalle contabilità adottate

nell’amministrazione ed e’ costituita dall’insieme degli strumenti di

misurazione delle risorse e dei risultati. La trasposizione agli enti locali di

uno strumento nato e sviluppato nell’ambito delle aziende private non può

avvenire in modo diretto perché ogni ente locale ha delle caratteristiche

peculiari.

195

La prima caratteristica distintiva delle organizzazioni pubbliche, che le

differenzia nettamente da quelle private, è l’assenza del mercato.

Il controllo di gestione come già detto rappresenta un processo che

deve coinvolgere in maniera diffusa tutte le responsabilità dell’ente che lo

attua.

In conclusione, riassumendo, il controllo di gestione è uno strumento

organizzativo, che presuppone delle scelte specifiche per ogni ente. Tali

scelte riguardano: – Il modello di ente locale scelto sulla base delle

politiche diverse di “governance” adottate; – L’organizzazione dell’ente,

mediante la definizione dei centri di responsabilità si rimodella

l’organizzazione e i pesi delle varie funzioni organizzative; – Le risorse

umane dell’ente che debbono acquisire maggiori competenze gestionali; –

La scelta dei sistemi contabili dell’ente; ogni ente deve scegliere e decidere

le modalità di svolgimento del proprio controllo di gestione, in base alle

necessità informative, al grado di esternalizzazione dei servizi, al rapporto

costi e benefici, alla sua situazione specifica; – Il sistema di valutazione del

personale dell’ente, che deve essere collegato al Piano Esecutivo di

Gestione e al Controllo Operativo di gestione e interagire con questi.

Infine, indipendentemente dal sistema di controlli, di gestione e di

finanziamento degli enti pubblici in generale, è auspicabile che le persone

che ricoprono le cariche più importanti di tali enti operino al meglio e con

onestà, soprattutto considerando che la via intrapresa per gli enti locali è

quella di una sempre maggiore autonomia finanziaria e non.

196

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