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Le modifiche alla disciplina sull’OPA:
passivity rule, regola di neutralizzazione e clausola di reciprocità
Autore: Laura Schermi
Indice
Introduzione pag. 2
1. Passivity Rule >> 2
2. Regola di neutralizzazione >> 8
3. Clausola di reciprocità >> 11
Bibliografia >> 14
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Introduzione
Uno dei profili più controversi della disciplina dell’OPA è rappresentato dalla
c.d. passivity rule. Si tratta cioè di stabilire se e a quali condizioni, la società
oggetto dell’offerta possa adottare tecniche di difesa, in ipotesi di lancio di
un’offerta ostile sui propri titoli.
Anche storicamente il problema è stato variamente affrontato e risolto nelle più
significative esperienze estere: gli orientamenti non sono univoci. Posto che
dipende da una generale diversità di impostazione in merito alla disciplina
dell’Opa e delle sue finalità, ad un estremo si collocano soluzioni volte ad
impedire il ricorso a tecniche e strumenti di difesa da parte della società-
bersaglio (in tal caso la disciplina favorisce evidentemente l’offerente e rende
più agevole la scalata della società che deve assistere inerme all’aggressione);
all’altro estremo, di contro, si collocano gli ordinamenti che consentono un
ampio ricorso alle tecniche di difesa, lasciando che siano il mercato e le società
a raggiungere un soddisfacente grado di equilibrio.
1. Passivity Rule
La passivity rule trova origine nell’esigenza di bilanciare i poteri esistenti
all’interno delle società quotate, conferendo ai soci il potere di valutare
l’opportunità di “accettare” un’offerta proveniente da un terzo offerente, ovvero
adottare delle misure difensive, definite dal TUF come “qualsiasi atto od
operazione che possa contrastare il conseguimento degli obiettivi dell’offerta”. Il
problema del bilanciamento dei poteri tra organo di amministrazione e
assemblea dei soci è da sempre al centro di dibattiti tra i cultori del diritto
societario.
Da un lato vi sono i sostenitori della teoria secondo la quale i membri degli
organi di amministrazione sono meri agenti degli azionisti, ai quali deve essere
affidata la gestione quotidiana della società, lasciando le decisioni riguardanti
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aspetti di particolare rilevanza (come ad esempio la decisione se opporsi ad
un’offerta di acquisto) direttamente ai soci. I sostenitori di questa teoria
sottolineano inoltre come gli amministratori siano normalmente restii a favorire
l’esito positivo di un’offerta pubblica di acquisto in virtù del fatto che questa
comporta nella maggior parte dei casi un cambiamento del management da parte
dell’acquirente.
Dall’altro lato troviamo invece coloro i quali ritengono i componenti degli
organi di amministrazione essere i più competenti a prendere decisioni
riguardanti aspetti di particolare criticità come l’opporsi o meno ad una scalata
ostile. Secondo questi ultimi, infatti, i soci sono carenti di informazioni
aggiornate e complete sulla gestione della società, e perciò non adatti a valutare
l’opportunità di opporsi all’ingresso nel capitale sociale di un azionista di
maggioranza terzo.
Il legislatore comunitario ha impiegato oltre vent’anni per giungere ad un testo
definitivo di direttiva sulle offerte pubbliche di acquisto. Varie bozze di direttiva
sono state bocciate sin dal 1974, anno in cui fu conferito al prof. Robert
Pennington l’incarico di predisporre un documento che uniformasse la disciplina
sulle offerte pubbliche di acquisto dei vari stati membri.
La maggiore difficoltà incontrata dal legislatore comunitario è stata proprio
quella di far conciliare sistemi economici dissimili, nei quali differenti sono gli
assetti proprietari delle società quotate.
In sede di elaborazione della Direttiva, il legislatore comunitario è stato incapace
di trovare un punto di incontro tra gli Stati membri, e ha dunque scelto una
soluzione di compromesso che si è rivelata insufficiente, oltre che complessa e
farraginosa. In questo senso la Direttiva 2004/25 CE ha in realtà mancato il
proprio obiettivo (l’armonizzazione della legislazione degli Stati membri) e
soltanto una revisione dei testi comunitari avrebbe potuto porre rimedio alla
situazione.
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Infatti, in meno di tre anni, la regola di passività nella disciplina dell’Opa è stata
cambiata tre volte. Nel novembre del 2007, il legislatore italiano ha deciso di
recepire la regola di passività ed ha quindi previsto l’obbligo per le società
quotate italiane di ottenere l’autorizzazione per l’adozione di misure difensive in
caso di offerta pubblica di acquisto. Il D.lgs. 229/2007 rinominava la rubrica
dell’art. 104, integrando il TUF con gli artt. 104-bis e 104-ter e affidando la
passivity rule all’autonomia degli statuti che possono derogarvi in attuazione
della direttiva.
L’art. 104 del Testo Unico della Finanza, difatti, prevedeva l’obbligo di
astenersi dall’adottare misure difensive che potessero frustrare il risultato di
un’offerta pubblica di acquisto, salva autorizzazione rilasciata dall’assemblea
dei soci, concessa con il voto favorevole di tanti soci rappresentanti almeno il
30% del capitale sociale. Tale obbligo di astensione sorgeva contestualmente
alla comunicazione di voler promuovere un’offerta di acquisto o di scambio
effettuata dalla società offerente ai sensi dall’articolo 102 comma 1 del TUF, ed
era valido anche per quelle misure difensive che, pur se deliberate prima della
comunicazione, non erano ancora state completamente poste in attuazione.
L’adozione della regola di passività nella sua accezione più restrittiva aveva
posto le società quotate italiane in condizione di poter divenire facile preda di
investitori stranieri allettati dalle favorevoli condizioni di mercato.
In tale contesto nel novembre del 2008 sono intervenute le modifiche al TUF
introdotte dal D.L. 185/2008 c.d. decreto anticrisi che completa l’iter rendendo
la passivity rule del tutto facoltativa, in quanto le società italiane quotate
possono prevedere nello statuto il divieto di adottare misure difensive senza
l’autorizzazione dell’assemblea ed eliminando del tutto il quorum deliberativo
del 30% previsto dall’art. 104 TUF (testo previgente).
Se lo statuto prevede la passivity, gli amministratori non possono compiere atti
od operazioni che possono contrastare gli obiettivi dell’offerta, senza aver
ottenuto preventivamente l’autorizzazione dell’assemblea ordinaria o
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straordinaria per le delibere di competenza, secondo i quorum ordinari previsti
dagli artt. 2368 e 2369 c.c..
Nella precedente formulazione dell’articolo 104, comma 1, il quorum
deliberativo aveva la funzione di limitare la possibilità per l’azionista di
maggioranza relativa di assumere decisioni autonome, tutelando in questo modo
gli azionisti di minoranza delle società a proprietà diffusa. Da un punto di vista
operativo, l’eliminazione del quorum speciale e la contestuale applicazione dei
quorum generali previsti dal codice civile, avrebbero dovuto rendere più agevole
l’adozione di misure difensive, anche a un socio di maggioranza relativa la cui
partecipazione sia inferiore al 30%.
La soluzione adottata, quindi, conferisce agli azionisti il potere di decidere se
subordinare le scelte dell’organo di amministrazione riguardanti l’adozione di
misure difensive alla propria preventiva autorizzazione, garantendo comunque,
in caso di inserimento della regola di passività, una maggiore celerità
nell’adozione della delibera garantita dall’eliminazione del quorum minimo
deliberativo.
Quanto all’ambito di applicazione temporale della passivity, l’obbligo di
astensione imposto dalla regola di passività decorre dalla comunicazione, alla
Consob e al pubblico, della decisione di promuovere l’offerta ovvero dal sorgere
dell’obbligo di promuovere l’offerta. L’offerente è poi tenuto a promuovere
l’offerta tempestivamente e comunque non oltre venti giorni dalla
comunicazione di cui sopra, presentando alla Consob il documento d’offerta
destinato alla pubblicazione. In caso di mancato rispetto del termine, il
documento di offerta è dichiarato irricevibile e l’offerente non può promuovere
un’ulteriore offerta avente a oggetto prodotti finanziari del medesimo emittente
nei successivi dodici mesi.
Su questa scelta erano piovute numerose critiche. Da un lato, si osservava come
la regola di passività dava voce agli azionisti in occasione di operazioni delicate
e corrispondendo, dunque, a un più alto grado di “democrazia azionaria”. Ma
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soprattutto si criticava l’eliminazione ope legis di un potere riservato ai soci. A
favore dell’abolizione della regola di passività si argomentava che la maggiore
libertà degli amministratori, e dunque dei gruppi di controllo di cui sono
espressione, di respingere scalatori indesiderati avrebbe avuto un effetto virtuoso
sul mercato, eliminando la necessità, da parte delle società, di utilizzare
strutture piramidali, patti di sindacato e altre note tecniche per bloccare il
mercato del controllo.
Nel settembre 2009 il Governo ha approvato il D.lgs. 146/2009 correttivo della
disciplina sulle offerte pubbliche d’acquisto, ove spicca, tra le novità introdotte,
il ripristino della passivity rule come regola (applicabile solo in quanto gli
statuti delle società non vi abbiano derogato), a partire dal mese di luglio 2010.
In sostanza, qualora i titoli della società da loro gestita siano oggetto di
un’offerta pubblica d’acquisto "ostile", gli amministratori non potranno più
compiere nessuna azione difensiva senza aver prima ottenuto l’autorizzazione
dell’assemblea.
Se lo statuto non dispone nulla al riguardo, si applicherà la regola in forza della
quale, successivamente, al lancio di un’OPA la società target ha l’obbligo di
astenersi dal compiere atti od operazioni che possano contrastare il
conseguimento degli obiettivi dell’offerta, salvo che l’atto o l’operazione sia
autorizzata dall’assemblea (ordinaria o straordinaria a seconda della natura o
oggetto dell’atto o dell’operazione). Inoltre, l’autorizzazione assembleare è
richiesta anche per l’attuazione di ogni decisione presa prima dell’annuncio
dell’offerta, che non sia stata in tutto o in parte attuata, che non rientri nel corso
normale delle attività della società e la cui attuazione possa contrastare il
conseguimento degli obiettivi dell’offerta.
La mera ricerca di altre offerte non costituisce ostacolo all’offerta.
L’efficacia integratrice della legge è di nuovo possibile ma senza il quorum
deliberativo del 30%; si permette cosi all’azionista di maggioranza relativa di
deliberare “per conto proprio”. Gli azionisti di minoranza non hanno quindi più
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voce; il principio di passività sopravvive ma perde del tutto la sua ratio:
dell’obiettivo originario di creare un mercato del controllo con regole certe, resta
soltanto la primigenia certezza del controllo dell’azionista di maggioranza
relativa, dalla cui volontà viene fatto dipendere il grado di efficacia delle regole
di mercato sul merito di scelte gestionali (per di più sotto la “spada di Damocle”
della clausola di reciprocità, ovvero della non applicabilità della passivity nel
caso in cui il promotore dell’offerta o il suo controllante non ne sia a sua volta
sottoposto per statuto o per legge).
Così, è prevista, in primo luogo, la possibilità per gli statuti di derogare, in tutto
o in parte, a tale previsione, nel senso che le singole società sono chiamate
ancora una volta a compiere nei loro statuti scelte in grado di incidere in misura
determinante sulla contendibilità. In questo caso, tuttavia, il segno della scelta è
l’opposto di quello precedente, in quanto è data la possibilità di disapplicare una
regola che, altrimenti, è direttamente efficace e lo rimane sino all’eventuale
modifica statutaria. Tali scelte saranno condizionate da diversi fattori, quali ad
esempio gli assetti proprietari e le strategie di investimento in Italia e all’estero.
In considerazione degli incentivi derivanti dall’applicazione della regola di
passività si può forse immaginare che saranno poche le società ad avvalersi di
questa possibilità di disapplicazione: una società che non applica la regola della
passività potrebbe, infatti, vedersi eccepita la reciprocità dalla società target, la
quale sarebbe legittimata ad adottare misure difensive senza l’autorizzazione
dell’assemblea. Allo stesso tempo, peraltro, non è da escludere che si arrivi
all’attenuazione/eliminazione della regola di passività da parte di società che, al
momento, temono scalate ostili e non hanno alcuna intenzione di giocare ruoli
“aggressivi” nel mercato.
Le disposizioni del Decreto concernenti la passivity rule sono entrate in vigore a
partire dal 1° luglio 2010. Entro tale data, le società italiane quotate sono state
chiamate ad esaminare le regole del mercato del loro controllo ed assumere le
decisioni più opportune, avuto riguardo alla propria struttura proprietaria e ai
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propri obiettivi strategici. In particolare, le società che prevedono di procedere
ad acquisizioni mediante OPA in stati membri dell’UE (inclusa l’Italia)
dovranno considerare che l’eventuale disapplicazione per statuto della passivity
rule le esporrebbe alla possibile invocazione della c.d. clausola di reciprocità da
parte della società target.
A prescindere comunque dal contenuto di questa ennesima riforma, emerge, con
evidenza, l’atteggiamento “schizofrenico” del legislatore italiano.
Siamo di fronte ad un “diritto ad intermittenza”, con decisioni non supportate da
una logica razionale e soprattutto lesive della fiducia degli investitori.
In termini ancora più chiari: se l’eliminazione della regola di passività nel
gennaio 2009 era fondata solo su poco approfondite considerazioni “difensive”,
questo parziale ritorno al passato in così breve tempo (e senza che la
capitalizzazione delle nostre società più strategiche abbia registrato significativi
aumenti) altro non sembra che l’ammissione di un errore. Resta il messaggio
agli investitori italiani (pochi) e stranieri (potenzialmente importanti) che le
regole del “mercato del controllo” in Italia sono incerte, cambiano rapidamente e
senza effettive giustificazioni. E questo non è certo un contributo alla
competitività del “sistema Paese”.
2. Regola di neutralizzazione
In sede di attuazione della Direttiva OPA, l’Italia è stata uno dei pochi Paesi a
scegliere di rendere obbligatoria la breakthrough rule.
La regola di neutralizzazione prevista dall’art. 104-bis ha per obiettivo quello di
neutralizzare eventuali “barriere” che si possono frapporre al successo
dell’offerta, rappresentate tipicamente da limiti statutari al trasferimento di titoli,
da limitazioni al diritto di voto, da regole speciali in materia di nomina degli
amministratori: insomma una regola volta ad aumentare la contendibilità del
controllo societario.
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Come per la passivity rule, anche su questa materia il dibattito in sede
comunitaria è stato molto articolato, tant’è che l’adesione della regola di
neutralizzazione è stata, alla fine, configurata come una opzione per gli Stati
membri: risulta, peraltro, che soltanto pochissimi Stati (tra cui l’Italia) l’abbiano
adottata.
La regola di neutralizzazione, introdotta nell’art. 104-bis TUF in attuazione della
direttiva, prevede che: a) nel periodo di adesione all’offerta non hanno effetto
nei confronti dell’offerente le limitazioni al trasferimento di titoli previste nello
statuto né hanno effetto, nelle assemblee chiamate a decidere sull’autorizzazione
alle misure, difensive, le limitazioni al diritto di voto previste nello statuto o da
patti parasociali; b) quando a seguito dell’offerta, l’offerente venga a detenere
almeno il 75% del capitale con diritto di voto nelle deliberazioni riguardanti la
nomina o la revoca degli amministratori o dei componenti del consiglio di
gestione o di sorveglianza, nella prima assemblea che segue la chiusura
dell’offerta, convocata per modificare lo statuto o per revocare o nominare gli
amministratori o i componenti del consiglio di gestione o di sorveglianza, non
hanno effetto le limitazioni al diritto di voto previste nello statuto o nei patti
parasociali nonché qualsiasi diritto speciale in materia di nomina o revoca degli
amministratori o dei componenti del consiglio di gestione o di sorveglianza
previsto nello statuto.
Come nel caso della passivity rule, anche la regola di neutralizzazione, sulla
base dell’esercizio dell’opzione prevista dalla Direttiva Opa, è stata resa
meramente facoltativa e si applica unicamente alle società italiane quotate che la
introducono nel proprio statuto sociale.
L’applicazione della regola di neutralizzazione fa sorgere in capo all’offerente
l’obbligo di corrispondere un equo indennizzo per l’eventuale pregiudizio
patrimoniale subito dai titolari dei diritti “neutralizzati”, qualora l’offerta abbia
avuto esito positivo.
La richiesta dell’indennizzo deve essere presentata all’offerente, a pena di
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decadenza, entro novanta giorni dalla chiusura dell’offerta oppure entro novanta
giorni dalla data dell’assemblea che segue la chiusura dell’offerta. In mancanza
di accordo, l’ammontare dell’indennizzo eventualmente dovuto deve essere
fissato dal giudice in via equitativa, avendo riguardo, tra l’altro, al raffronto tra
la media dei prezzi di mercato del titolo nei dodici mesi antecedenti la prima
diffusione della notizia dell’offerta e l’andamento dei prezzi successivamente
all’esito positivo dell’offerta.
Anche in questo caso, si ripropongono riflessioni analoghe a quelle svolte in
relazione alla possibilità di prevedere nello statuto l’applicazione della regola di
passività. Le società sono adesso chiamate a fare scelte precise in relazione al
loro grado di contendibilità, di fronte alla possibilità di adottare regole statutarie
e di governance prima imposte dalla legge.
L’impatto della regola di neutralizzazione deve essere comunque valutato in
relazione a due fattori: da un lato, la presenza di altre regole di diritto societario,
che di fatto limitano la possibilità di adottare barriere preventive (ad esempio, il
divieto posto a carico delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di
rischio di tetti al diritto di voto o suoi scaglionamenti, art. 2351, comma 3, c.c.);
dall’altro, la circostanza che non tutte le barriere preventive sono rese inefficaci
dalla regola di neutralizzazione (ad esempio le strutture piramidali).
Il decreto anti-crisi ha invece mantenuto il principio previsto dall’art. 123,
comma 3, del TUF in base al quale il socio che intende aderire a un’OPA
totalitaria o un’OPA preventiva parziale può recedere senza preavviso da uno
dei patti parasociali indicati nell’art. 122; in questo caso, non è prevista la
corresponsione di alcun indennizzo. La dichiarazione di recesso non produce
effetto se non si è perfezionato il trasferimento delle azioni.
Il D.lgs. 146/2009 non ha modificato l’articolo 104-bis relativo alla
breakthrough rule (o regola di neutralizzazione), la quale rimane applicabile
solo alle società che scelgano di introdurla nei propri statuti.
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3. Clausola di reciprocità
La possibilità concessa dalla Direttiva sulle offerte pubbliche di acquisto di
recepire la regola di passività e quella di neutralizzazione ha creato un possibile
squilibrio a livello europeo. Una società di uno stato membro che ha reso
obbligatorie una o entrambe le regole potrebbe essere penalizzata rispetto ad
un’altra con sede in un diverso stato che non le ha invece recepite. Al fine di
porre rimedio a tale distorsione, il legislatore europeo ha previsto la clausola di
reciprocità, ovvero la possibilità per gli stati membri di inserire una previsione
in base alla quale le regole di passività e neutralizzazione non si applicano nel
caso in cui l’offerente abbia la propria sede legale in uno stato che non ha
recepito tali regole.
Il Decreto Anticrisi, così come convertito dalla legge n. 2/2009, ha modificato
anche il testo dell’art. 104-ter TUF, in base al quale ora si prevede che la
passivity rule e la regola di neutralizzazione, quand’anche introdotte nello
statuto della target, non saranno applicabili qualora l’offerente (ovvero la sua
controllante) non applichi le medesime disposizioni, ovvero disposizioni
equivalenti.
In caso di offerta promossa di concerto, è sufficiente che a tali disposizioni non
sia soggetto anche uno solo tra gli offerenti.
Il decreto ha quindi confermato il principio di reciprocità e ha introdotto tre
modifiche all’art. 104-ter.
La prima, contenuta nel primo comma, è volta ad allineare la previsione con la
circostanza che l’applicazione delle regole di passività e neutralizzazione
discende da una previsione statutaria e non più dalla legge.
La seconda, che prevede la soppressione del comma 2 dell’art. 104-ter, è dovuta
all’abrogazione dei quorum speciali per l’autorizzazione all’adozione delle
misure difensive di cui all’art. 104.
La terza, prevista al quarto comma dell’art. 104-ter, riguarda la competenza
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dell’assemblea chiamata ad autorizzare l’adozione di misure difensive in
applicazione della clausola di reciprocità. Prima si richiedeva la delibera di
autorizzazione dell’assemblea straordinaria; ora si parla genericamente di
assemblea. Questa modifica lascia pensare che la competenza sarà
dell’assemblea ordinaria o straordinaria a seconda della competenza a deliberare
le misure da adottare.
La clausola di reciprocità introdotta dall’art. 104-ter consente che la regola di
passività e/o la regola di neutralizzazione non si applichino alla società target se
l’offerente, o un soggetto controllato dall’offerente, non sia soggetto a tali
disposizioni o a disposizioni equivalenti. In ogni caso, il potere dell’organo
amministrativo di ricorrere a misure difensive in applicazione del principio di
reciprocità richiede la preventiva autorizzazione da parte dell’assemblea,
espressa nei diciotto mesi precedenti la pubblicazione dell’offerta.
La norma è stata introdotta per garantire un level playing field pur in presenza di
diverse norme nazionali di trasposizione della direttiva. L’efficacia della norma
rispetto all’obiettivo appare però limitata, con particolare riferimento alla regola
di neutralizzazione che rende inefficaci solo alcune, ma non tutte, le possibili
difese preventive all’OPA. Infatti, l’adozione di misure strutturali anti-scalata
estranee all’ambito di applicazione della regola di neutralizzazione non rilevano
per invocare la clausola di reciprocità. Restano dunque margini di concorrenza
tra gli ordinamenti a seconda di quanto il diritto societario nazionale consente in
materia di misure difensive preventive.
Sul piano applicativo, la clausola di reciprocità presenta alcune difficoltà.
In primo luogo, occorre valutare se all’offerente si applichino le stesse misure
antidifesa della società target. La verifica non risulta agevole, dato che il regime
dell’offerente risulterà, nella maggior parte dei casi, da una combinazione di
regole legislative e di regole statutarie. Essa dovrà essere effettuata anche con
riferimento alla società che controlla direttamente o indirettamente l’offerente,
dovendo così ricostruire anche i rapporti di controllo.
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Il legislatore italiano, nel recepire la direttiva, ha previsto che la reciprocità
possa essere invocata quando l’offerente non è soggetto alle stesse regole di
passività e/o neutralizzazione ovvero a regole equivalenti a quelle applicate alla
società target. Non ha però indicato criteri per valutare tale equivalenza.
Il compito di verificare l’equivalenza del regime applicabile alle società
coinvolte nell’OPA è stato affidato alla Consob, la quale deve pronunciarsi con
provvedimento motivato e impugnabile secondo le regole generali, su istanza
delle parti ed entro venti giorni dalla presentazione della stessa. La Consob deve
stabilire con proprio regolamento, non ancora adottato, i contenuti e le modalità
di presentazione dell’istanza.
Quanto all’ambito soggettivo di applicazione, la clausola di reciprocità sembra
invocabile solo quando l’offerente sia una società quotata, alla quale si applica
la direttiva, oppure sia una società non quotata controllata però, direttamente o
indirettamente, da una società quotata che non applica la regola della passività
e/o della neutralizzazione.
Il decreto legislativo di trasposizione della direttiva sembra ampliare l’ambito di
applicazione della reciprocità; utilizza, infatti, una formula molto ampia,
prevedendo che tali regole non si applicano in caso di offerta promossa da “chi”
non sia soggetto a tali disposizioni o a disposizioni equivalenti.
La norma precisa inoltre che, in caso di offerta promossa di concerto, è
sufficiente che anche uno solo degli offerenti non sia soggetto alla regola della
passività e/o della neutralizzazione o a regole equivalenti.
La reciprocità non opera automaticamente: la società che intende avvalersene
deve autorizzare le misure difensive con una delibera dell’assemblea assunta
non più di diciotto mesi prima dell’OPA. Sul piano operativo, si potrebbe
pensare di inserire nell’ordine del giorno dell’assemblea annuale la proposta di
autorizzazione per consentire agli amministratori di adottare misure difensive.
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Bibliografia
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societario – Mercato dei capitali Circolare n. 18 del 18/04/2009, Le
modifiche alla discipina dell’OPA (www.assonime.it).
CARPIGLIONE Francesco – L’ordinamento finanziario italiano,
Seconda Edizione CEDAM 2010.
CONSOB – Allegato n. 3 Quadro normativo in materia di OPA.
PELLICANÒ Aldo Alessandro – L’accordo delle parti nella
conclusione del contratto. Le applicazioni della Giurisprudenza,
Seconda Edizione 2010.
TOMBARI Umberto – NARDONE Gaia – Finanza – Pasivity Rule:
un ritorno al passato repentino? 07/10/2009
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