16
Un lavoro da manuale Insegnare la storia e la geografìa alla media delPobbligo Mario Pinotti Fulvia Giovannoni Storia Qual è l’attuale stato dell’insegnamento della storia nelle scuole medie inferiori? L’analisi di qualche manuale, tra i più dif- fusi, può fornire un contributo per affron- tare questa domanda. I libri di testo risentono abbastanza fe- delmente degli orientamenti, dei quesiti, delle aspettative, in una parola della conce- zione che gli insegnanti hanno della materia ‘storia’ e dei problemi connessi alla sua mediazione didattica. D’altra parte la gran- de diffusione dei manuali e il loro ruolo nella odierna didattica finiscono col condi- zionare le scelte tematiche e metodologiche degli insegnanti stessi. In questa sede si prendono in considera- zione sei libri di testo, che sono stati ana- lizzati secondo tre prospettive: le scelte te- matiche, l’organizzazione del discorso stori- co, l’addestramento alle operazioni storio- grafiche. I manuali considerati sono: L. Al- terocca-S. Mallarini-V. Morone, Gli uomini nel tempo, Torino, Sei, 1990; Carlo Carti- glia, Uomini, fatti, storia, Torino, Loe- scher, 1988 (terza ed.); Antonio Londrillo, Viaggio nella storia, Milano, Mursia, 1990; Riccardo Neri, Progetto storia, Firenze, La Nuova Italia, 1990; Aa.Vv., La linea del tempo, Bologna, Zanichelli, 1990; Aa.Vv., Le civiltà e la storia, Milano, Bruno Mon- dadori, 1991. Le scelte tematiche Sicuramente il testo, che propone più riferi- menti politico-eventografici e quindi si con- figura in senso più tradizionalista, è Gli uo- mini nel tempo della Sei. Dei sei capitoli dedicati alla storia romana, ben cinque so- no di res gestae, così come dei nove capito- li dedicati all’età di mezzo, ben sette si con- centrano sugli eventi ritenuti canonici dalla storiografia più vetusta. Per esempio nulla si dice della crisi del Trecento, mentre si parla ancora con un certo rilievo della cat- tività avignonese. La prospettiva non muta risalendo a tempi meno remoti. Delle 184 pagine spese per la sezione Restaurazione e Risorgimento, ben 127 pagine possono es- sere considerate ‘politiche’ e anche le 150 pagine riferite al tempo intercorso tra le due guerre mondiali, insistono in questo approccio. Un altro aspetto, complementare al criterio generale con cui è stato costruito questo manuale, è la predominanza euro- centrica e con essa italocentrica. Le rare vol- te in cui si esaminano gli altri universi-mon- do non ci si libera da questo condiziona- mento. Si pensi a un titolo come Africa ed America continenti sconosciuti (vol. II, p. 195). La stagione delle scoperte geografiche è affrontata secondo la vecchia tesi storio- grafica, secondo la quale lo spostamento del Italia contemporanea”, settembre 1992, n. 188

Un lavoro da manuale Insegnare la storia e la geografìa ... · Insegnare la storia e la geografìa alla media delPobbligo ... L’analisi di qualche manuale, ... Gli altri cinque

Embed Size (px)

Citation preview

Un lavoro da manualeInsegnare la storia e la geografìa alla media delPobbligo

Mario Pinotti Fulvia Giovannoni

Storia

Qual è l’attuale stato dell’insegnamento della storia nelle scuole medie inferiori? L’analisi di qualche manuale, tra i più dif­fusi, può fornire un contributo per affron­tare questa domanda.

I libri di testo risentono abbastanza fe­delmente degli orientamenti, dei quesiti, delle aspettative, in una parola della conce­zione che gli insegnanti hanno della materia ‘storia’ e dei problemi connessi alla sua mediazione didattica. D’altra parte la gran­de diffusione dei manuali e il loro ruolo nella odierna didattica finiscono col condi­zionare le scelte tematiche e metodologiche degli insegnanti stessi.

In questa sede si prendono in considera­zione sei libri di testo, che sono stati ana­lizzati secondo tre prospettive: le scelte te­matiche, l’organizzazione del discorso stori­co, l’addestramento alle operazioni storio­grafiche. I manuali considerati sono: L. Al- terocca-S. Mallarini-V. Morone, Gli uomini nel tempo, Torino, Sei, 1990; Carlo Carti­glia, Uomini, fatti, storia, Torino, Loe- scher, 1988 (terza ed.); Antonio Londrillo, Viaggio nella storia, Milano, Mursia, 1990; Riccardo Neri, Progetto storia, Firenze, La Nuova Italia, 1990; Aa.Vv., La linea del tempo, Bologna, Zanichelli, 1990; Aa.Vv., Le civiltà e la storia, Milano, Bruno Mon­dadori, 1991.

Le scelte tematiche

Sicuramente il testo, che propone più riferi­menti politico-eventografici e quindi si con­figura in senso più tradizionalista, è Gli uo­mini nel tempo della Sei. Dei sei capitoli dedicati alla storia romana, ben cinque so­no di res gestae, così come dei nove capito­li dedicati all’età di mezzo, ben sette si con­centrano sugli eventi ritenuti canonici dalla storiografia più vetusta. Per esempio nulla si dice della crisi del Trecento, mentre si parla ancora con un certo rilievo della cat­tività avignonese. La prospettiva non muta risalendo a tempi meno remoti. Delle 184 pagine spese per la sezione Restaurazione e Risorgimento, ben 127 pagine possono es­sere considerate ‘politiche’ e anche le 150 pagine riferite al tempo intercorso tra le due guerre mondiali, insistono in questo approccio. Un altro aspetto, complementare al criterio generale con cui è stato costruito questo manuale, è la predominanza euro- centrica e con essa italocentrica. Le rare vol­te in cui si esaminano gli altri universi-mon­do non ci si libera da questo condiziona­mento. Si pensi a un titolo come Africa ed America continenti sconosciuti (vol. II, p. 195). La stagione delle scoperte geografiche è affrontata secondo la vecchia tesi storio­grafica, secondo la quale lo spostamento del

Italia contemporanea”, settembre 1992, n. 188

516 Mario Pinotti Fulvia Giovannoni

‘centro’ dell’Europa dal Mediterraneo alle coste atlantiche si sia determinata all’inizio del Cinquecento. Sono stati ignorati contri­buti di una ricerca storiografica, che da Braudel arrivano a Wallerstein. Insomma, fin da una prima lettura, questo testo si di­stingue dagli altri cinque qui esaminati come testo coerentemente tradizionale. Altre suc­cessive osservazioni consolideranno questa mia interpretazione, illustrando le conse­guenze didattiche di tale scelta storiografica.

Gli altri cinque manuali fanno parte a sé, nel senso che si segnalano per un’attenzione a temi relativamente nuovi per la didattica della storia e che solo da un quindicennio so­no diventati oggetto di esplorazione. Queste cinque opere, tuttavia, non rappresentano un corpo omogeneo. Alcune si segnalano più di altre nel tentativo di ridimensionare l’otti­ca eurocentrica. È il caso di Uomini, fatti, storia di Franco Cartiglia e Progetto storia di Riccardo Neri, quando dedicano ai quadri di civiltà nell’età del bronzo e del ferro (cfr. vol. I, sez. 2) una descrizione che, oltrepas­sando la regione egiziana e della Mezzaluna fertile, si spinge dall’Africa all’Asia orienta­le, dall’America all’Europa tutta. Nel secon­do volume, ancora, si confrontino i capitoli 8, 10, 11 della proposta della Nuova Italia (con particolare riferimento alla parte docu­mentaria) e i capitoli 16, 17 e 30 della propo­sta della Loescher, anche se — in quest’ulti­mo caso — proprio il capitolo 30 dedicato al­l’India e alla Cina, è posto come appendice finale nel libro ed è liquidato con due sole pagine di “schede di lavoro” . In Viaggio nel­la storia della Mursia va segnalata l’unità di­dattica riferita a “L’America prima degli Eu­ropei” (cfr. vol. II, unità didattica 7, pp. 145 sgg.) ma questo snodo rimane sacrificato in un piano espositivo generale, in cui l’interes­se per gli altri mondi resta prevalentemente condizionato dal punto di vista degli europei (cfr. vol. II, parte III, L ’Europa e gli altri continenti nell’età moderna, pp. 175 e sgg.). Tuttavia più ci si avvicina alla contempora­

neità più la tematizzazione delle culture ‘al­tre’ perde la propria specificità. Ovviamente non si tratta di cercare la ragione di questo smarrimento nei possibili limiti soggettivi de­gli autori, imputandolo o a scarsa sensibilità verso questi problemi o a incompetenza. Due altri motivi, ben più consistenti possono spiegare questo ripiegamento: uno di caratte­re storico e uno di carattere storiografico. L’affermazione dell’“universo-mondo” Eu­ropa nell’Ottocento ha inghiottito progressi­vamente le peculiarità degli altri universi­mondo, lasciandole sempre più sullo sfondo o ai margini. Il motivo storiografico è con­nesso, invece, come prospettiva d’analisi, al­l’assunzione della periodizzazione della poli­tica, che con i suoi tempi sempre più accele­rati non consente di sistematizzare in modo soddisfacente i ritmi temporali di altre strut­ture sociali diverse da quelle europee. Sono nodi ancora irrisolti su cui la didattica della storia dovrà interrogarsi a lungo e che nel frattempo si pagano in termini di limitata comprensione dei principali quesiti del no­stro tempo. In ogni caso meritano una segna­lazione il capitolo Paesi ricchi e Terzo Mon­do (vol. Ili, pp. 362 sgg.) di Riccardo Neri e i capitoli 28, 30 e 32 di Carlo Cartiglia.

Allargando lo sguardo all’insieme delle te- matizzazioni si può cogliere meglio la tensio­ne tra ‘vecchio’ e ‘nuovo’, una tensione che rischia di far saltare in mille frammenti il piano espositivo unitario delle varie pro­poste didattiche. Irrompono nella narrazio­ne, accanto a oggetti più tradizionali, l’eco­nomia (in modo particolare nel testo di An­tonio Londrillo), la vita quotidiana, l’imma­ginario collettivo, i rapporti sociali, tutti fi­loni che persistentemente attraversano la storia dall’antichità a oggi. Colpisce in Pro­getto storia la particolare sensibilità per le categorie marginali: i pauperes dell’alto medioevo, le minoranze religiose (ebrei, mu­sulmani, eretici, streghe), le donne (lavora­trici, bigotte, casalinghe), i malati (appesta­ti, lebbrosi). C’è però un testo che si distin­

Un lavoro da manuale 517

gue forse più degli altri nello sforzo di ga­rantire unitarietà alla propria esposizione, e questo è il testo della Bruno Mondadori. I riferimenti, sparsi tra le diverse unità, alla tecnologia, ai rapporti sociali, all’econo- mia, alla demografia, alla politica, alla mentalità vengono messi a fuoco dalla gri­glia (posta subito dopo l’indice generale), in cui si richiamano tutti i materiali iconogra­fici e i dossier secondo una classificazione per variabili tematiche, e dagli esercizi di ri­capitolazione — in coda a ogni sezione di lavoro —, che suggeriscono la compilazione di quadri sinottici, da intendere come em­brionali modelli di documentazione archivi­stica o di mappe concettuali. In altri termini l’apertura a nuovi campi di indagine, fino a qualche tempo fa consuetudinariamente ignorati dalla storia insegnata, obbliga gli estensori di un manuale a interrogarsi sui criteri ordinatori con cui esporre i propri profili storici e a riflettere sulle categorie fondanti del discorso storiografico. Senza questa riflessione si rifluisce nel seno della storiografia tradizionale. Si prenda ad esempio l’età contemporanea. Anche in questo caso il ‘nuovo’ appare, ma con mag­giore difficoltà; esso stenta a caratterizzare il quadro storico e rimane come soffocato in una materia in cui ha, tuttavia, un peso quantitativamente rilevante. Ma per discu­tere tale problema non ci si deve più limita­re a una ricognizione delle tematiche illu­strate, bensì indagarne i caratteri di orga­nizzazione interna.

L’organizzazione della conoscenza storica

La disavventura più grande, in cui possa in­correre un insegnante, è quella di procedere giorno dopo giorno senza aver chiari gli obiettivi didattici del proprio insegnamento. I manuali giocano la propria credibilità nel­l’essere garanzia contro questo pericolo. Fi­no a quando si è conservato un discorso

storico in qualche modo codificato nei suoi momenti informativi e nelle sue modalità espositive, i manuali non hanno incontrato grosse difficoltà nell’assolvere tale funzio­ne. Tra di essi le differenze andavano ricer­cate solo nella maggiore o minore puntuali­tà nel cogliere i momenti cronologici essen­ziali e nel rendere accattivante la narrazio­ne. Ma la recente inondazione di nuovi orizzonti di ricerca, di nuove tipologie di fonte, di nuove contiguità con altre discipli­ne sociali ha reso la vita più difficile ai libri di testo. Come comporre questo diluvio di novità senza rimanerne sommersi e senza ri­durle a semplificazioni banalizzanti? E co­me comportarsi nei riguardi del ‘vecchio’? Come guidare alla lettura di fonti tanto di­verse per matrici linguistiche? Come resiste­re alla tentazione di redigere pubblicazioni troppo voluminose? E soprattutto come sti­molare nei destinatari una motivazione sem­pre più fragile nei confronti della storia?

Per affrontare queste domande si esami­nerà il problema della periodizzazione e del rapporto narrazione-documentazione.

Per la chiarezza delle scansioni periodiz- zanti mi soffermo su Le civiltà e la storia. Fin dal secondo volume la centralità del­l’Europa non viene ripercorsa alla luce del tempo breve della politica eventografica, ma alla luce delle lunghe fluttuazioni cicli­che delle congiunture proprie della civiltà feudale-mercantile. Questa millenaria strut­tura europea, configurantesi tra il VII e il XVIII secolo, è ripartita in sei momenti (cfr. unità didattiche 8-13), che coincidono con le grandi fasi congiunturali dell’alto medioevo, della ripresa urbana dell’XI seco­lo, della crisi del Trecento, dell’ascesa del Cinquecento, della stagnazione del XVII e del rilancio del XVIII secolo. L’ultima unità è dedicata alla cesura tra la storia della socie­tà feudale-mercantile e la storia della società contemporanea. Questa impostazione viene riproposta anche nel terzo volume, se pur con minor decisione. Anche qui sono indivi-

518 Mario Pinotti Fulvia Giovannoni

duate le tre grandi fasi espansive della so­cietà contemporanea, quella coincidente con la prima rivoluzione industriale (prima metà dell’Ottocento), quella della seconda fase dell’industrializzazione (fine Ottocento- inizio Novecento) e quella del secondo do­poguerra. A parte una ricognizione specifi­camente dedicata all’Italia postunitaria, le restanti unità sono dedicate alle crisi e alle cesure (guerre mondiali e rivoluzioni), che segnano il passaggio attraverso queste tre fasi dell’età contemporanea. Tale organiz­zazione fornisce i parametri per poter inda­gare entro ogni periodo vari aspetti della realtà sociale, rielaborabili con gli strumenti ordinatori che ricordavo poco sopra (griglie ed esercizi). Questo approccio consente di eludere una grande difficoltà, che è quella di organizzare in successione cronologica fenomeni irriducibili a questa operazione, poiché segnati da un diverso statuto tempo­rale. Il vantaggio didattico è evidente. Una tale distribuzione della materia consente al­l’insegnante di costruirsi un percorso, che può essere contemporaneamente elastico ed essenziale; essenziale perché può riferirsi ad alcuni momenti paradigmatici della storia contemporanea ed elastico perché all’occor- renza può affrontarli con maggiore o mino­re estensione analitica.

Anche in Progetto storia si profila la me­desima impostazione, sebbene la sua propo­sta si presenti in modo più schematico.

La contemporaneità viene ridotta a tre momenti essenziali: l’Ottocento, i decenni del secondo dopoguerra, gli anni scanditi dalle due guerre mondiali. Pure in questo caso la prima e l’ultima partizione sono ana­lizzate con un approccio che ricorda quello strutturale secondo le variabili canoniche (economia, rapporti sociali, politica, menta­lità-ideologia); alla sezione di mezzo è attri­buito il compito di spiegare le cesure e le continuità tra i periodi che la racchiudono.

Al contrario La linea del tempo e soprat­tutto Uomini, fatti e storia offrono una divi­

sione troppo frammentata, in cui è difficile recuperare una chiara periodizzazione in cui plasmare flessibilmente l’oggetto dell’inse­gnamento. Chi è nella scuola conosce bene quanto sia necessario organizzare attorno a pochi punti fermi il proprio itinerario didat­tico, dal momento che le settimane a dispo­sizione sono solo 34 in ogni anno scolastico, sempre che qualche emergenza particolare non ne diminuisca ancora di più il numero. Ma anche nel caso di un ottimale svolgimen­to dell’anno scolastico, Uomini, fatti e sto­ria, offrendo 37 capitoli (cfr. vol. Ili) uno in successione all’altro senza interni raggrup­pamenti, mette in difficoltà quell’insegnante che debba decidere da solo la ‘taratura’ del programma. C’è il rischio di un ripiegamen­to su una scelta di consuetudine (arrestarsi a ridosso della prima guerra mondiale) o su una scelta che, per arrivare oltre la seconda guerra mondiale, privilegi la storia politica (perdita della complessità fornita dallo stes­so libro) oppure che, nel tentativo di costrui­re un percorso originale, si smarrisca.

Narrazione e documentazione

Alla storia ‘racconto’, intendendo con rac­conto la narrazione e l’argomentazione al tempo stesso, si affida decisamente Gli uo­mini nel tempo. Ma non solo; è evidente an­che la volontà di servirsi di un linguaggio ‘alto’. Prendendo come campione analitico il tema del risorgimento, ora e in tutto il re­sto del paragrafo, si notano termini quali “illuminismo”, “romanticismo”, “liberali­smo moderato”, “liberalismo democratico” , “federalismo”, termini che negli altri testi esaminati o non compaiono o compaiono infrequentemente e corredati da una scheda di approfondimento semantico. Questo les­sico ‘alto’, usato correntemente, offre il vantaggio di risparmiare lunghe e generiche perifrasi e di impegnare il racconto a un li­vello analitico assai denso. Tale opzione,

Un lavoro da manuale 519

tuttavia, non garantisce la trasmissione del discorso storico da un doppio pericolo in cui il testo tende a cedere: l’eccessivo nozioni­smo e la presenza di affermazioni inesplica­bili. Nel primo pericolo gli autori della Sei incorrono quando spiegano perché l’armisti­zio di Salasco si è chiamato in tal modo, quando affermano che Garibaldi fermò i francesi davanti al Gianicolo nel 1849 o quando segnalano che il primo parlamento italiano era costituito da 443 deputati senza spiegare, se non un bel po’ di pagine dopo, quale fosse il sistema elettorale. Nel secondo pericolo incorrono o quando usano soggetti discutibili (il Veneto — p. 112 — a proposi­to delle vicende militari del 1848), o quando non spiegano l’avversione dei contadini ai patrioti italiani nel 1848-1849 in Toscana (p. 118) o i motivi della repressione attuata dai garibaldini in Sicilia nel 1860 (p. 148). Que­sta ‘deificazione’ del racconto, poi, ha il suo contraltare nello scarsissimo rilievo affidato alle capacità comunicative della iconografia e della cartografia o di altre fonti dirette.

Del tutto antitetica è stata la scelta com­piuta da Franco Cartiglia. La narrazione è relegata a un ruolo men che marginale e ha il compito di fornire una cronologia schele­trica e così priva di commento da risultare senza valore informativo, se non ci fosse una parte del testo, le “schede di lavoro”, in cui l’alunno è guidato a riflettere e a utiliz­zare quelle informazioni attraverso opera­zioni volte a dotarle di senso. Le fonti docu­mentarie scritte (coeve e non), la cartografia e la parte illustrativa rappresentano lo sfon­do entro cui quella cronologia può recupera­re il suo significato conoscitivo. Uomini, fatti e storia si presenta come un libro di te­sto che non può essere usato in modo passi­vo dall’insegnante che lo adotta, poiché co­munica una conoscenza storica non imme­diatamente data, ma da recuperare attraver­so una complessa operatività storiografica.

Gli altri quattro volumi compiono una scelta intermedia, distribuendosi attorno a

questi due poli. Riccardo Neri è più vicino a Cartiglia per la concisione del testo nar­rativo mentre Antonio Londrillo si distin­gue per un racconto dalla forte ambizione informativa. Il viaggio nella storia della Mursia a un primo livello di narrazione molto stringata, ma che vuole soddisfare un livello informativo essenziale, accompa­gna delle integrazioni direttamente inserite nel testo (distinguibili per il diverso caratte­re a stampa), che sono veri approfondi­menti di parole-chiave. Un ulteriore mate­riale informativo sono le ricognizioni mo­notematiche, su sfondo giallo, pensate co­me digressioni o parentesi utilizzabili all’oc- correnza in nome di ciò che appare in ulti­ma analisi centrale nel manuale: la narra­zione politica. Del resto anche queste di­gressioni in campo giallo non rappresenta­no il momento della documentazione come alternativa al racconto, ma una integrazio­ne del racconto stesso. Esse sono piene di citazioni, usate per consolidare l’autorità del discorso e per garantirgli maggiore og­gettività.

Dall’altro lato l’indirizzo proprio di Pro­getto storia, il tentativo di ridurre il più pos­sibile la narrazione della “politica”, conduce l’autore a notevoli semplificazioni, che ren­dono povera e talvolta imprecisa la descri­zione delle vicende. Sempre rispetto al cam­po d’analisi del risorgimento, Neri, lungi dal proporre un nuovo approccio a questo mo­mento cruciale della storia d’Italia, sembra ridurlo alla questione dell’indipendenza de­gli stati italiani dall’Austria. Perdono di spessore le differenti posizioni politiche al­l’interno del movimento patriottico italiano, sì da rendere incomprensibile l’articolazione del liberalismo moderato prequarantottesco (cfr. vol. Ill, cap. 1, p. 28). Più avanti, par­lando del biennio 1946-1947 in Italia, ci si ri­ferisce ad “alcune riforme” senza specificare quali o si usano espressioni come “la bor­ghesia liberale e nazionalista”, equiparando il significato di “nazionale” e “nazionalista”

520 Mario Pinotti Fulvia Giovannoni

(cfr. vol. Ill, cap. 1, p. 31). Uno dei proble­mi più difficili da chiarire sembra essere il giudizio sulla condotta di casa Savoia, di cui si vuole accreditare al tempo stesso la voca­zione patriottica e le mire espansionistiche sull’Italia settentrionale. Altre imprecisioni non mancano. A p. 142, ad esempio, si affer­ma che i due ex ducati danesi dello Schles­wig e dello Holstein si sono staccati dalla Danimarca, mentre si sa che furono conqui­stati da una azione militare congiunta della Prussia e dell’Austria. Imprecisioni come queste, per certi aspetti intrinseche alla nar­razione eventografica, vengono messe in ombra dal restante apparato del testo nelle parti dedicate a “lavorare sul testo” e a “le fonti della storia” . Vi sono raccolte, oltre alle fonti documentarie tradizionali, fonti dirette, distinte per tipologia: iconografi­che, quantitative, orali, musicali, cartogra­fiche. Mediante questa via viene integrata la carenza informativa ed esplorata la struttu­ra sociale nelle più varie direzioni temati­che. La linea del tempo, scegliendo anch’es- so di contenere il nozionismo, si scontra con il problema della chiarezza della infor­mazione. Un evidente limite di molti ma­nuali è il continuo inserimento con funzione esplicativa di digressioni sulla economia, la cultura, le dinamiche sociali, che finiscono per frammentare il racconto. Rimane così irrisolto il problema di individuare una sod­disfacente periodizzazione capace di conci­liare le diverse stratificazioni della storia. A questa difficoltà il manuale della Zanichelli vuole rispondere in diversi modi. Le “strisce del tempo” alleggeriscono il racconto e fun­gono da scheda cronologica, consultabile all’occasione e a cui consegnare certi passi della narrazione. Un secondo strumento so­no “le parole per capire”, un archivio con­cettuale in cui si sedimenta l’essenzialità della conoscenza storica. Le immagini infi­ne intervengono diffusamente. Esse non so­no solo un altro modo per comunicare gli stessi contenuti, ma sono usate sovente per

dire ciò che le parole non sono in grado di esprimere con pari efficacia.

Questa caratteristica, così evidente anche in Progetto storia, non lo è altrettanto in Le civiltà e la storia, che colpisce per il rilievo assegnato alle immagini. Le fonti iconogra­fiche fiancheggiano il testo narrativo allo scopo dichiarato di trattare vari filoni tema­tici (la società e la politica, la vita quotidia­na, ecc.), stimolando “un uso diretto delle fonti” e avvicinando “alla comprensione del contesto storico attraverso il linguaggio visi­vo” (cfr. le pagine introduttive del primo volume). Questo scopo a mio parere non viene pienamente raggiunto. Le didascalie, che accompagnano le immagini, non forni­scono sufficienti informazioni sulle fonti (autore, data, luogo di conservazione), né forniscono gli strumenti per la loro analisi (assenza di scheda operativa).

L’addestramento alle operazioni storiogra­fiche

La risposta alla questione va cercata nel modo in cui vengono proposte le fonti e gli esercizi necessari a leggerle correttamente.

Nel manuale della Sei l’opzione per un ‘racconto forte’ ha posto in secondo piano l’attenzione per la documentazione e di con­seguenza per l’operare dell’alunno sulle fonti. Gli esercizi, posti in coda ai capitoli, non sono strutturati secondo una tassono­mia di operazioni cognitive generali crescen- temente gradutate, tanto meno per opera­zioni storiche. Cito come esempio la richie­sta un po’ generica di cercare due fonti cele­brative e non scritte di Garibaldi (vol. Ili, cap. 10, p. 187), che appare fine a se stessa, e l’esercizio di comprensione dei messaggi impliciti nel dialogo fra Tancredi e il princi­pe di Salina ne II Gattopardo (cfr. vol. Ili, cap. 8, p. 152). Non discuto il valore in sé di quest’ultima richiesta, ma il fatto che es­sa non sia inserita in una strategia operazio-

Un lavoro da manuale 521

naie convintamente assunta. Assai più este­so è il campo di osservazione che offrono gli altri libri di testo. Sarebbe troppo lungo pas­sare in rassegna analiticamente tutti i ma­nuali e anche ripetitivo. Mi limito a scegliere le proposte che più si distinguono. Rispetto alle immagini il modo più rigoroso di pre­sentazione è quello fornito dal manuale del­la Zanichelli. Ognuna di esse è accompagna­ta da una didascalia, che oltre a indicare l’oggetto, specifica anche l’autore (nel caso si tratti di riproduzioni di quadri noti) e il luogo in cui l’originale è depositato. I testi della Bruno Mondadori e della Nuova Italia segnalano raramente gli autori delle raffigu­razioni e il luogo di conservazione. Questa differenza deriva dalla diversa funzione che viene assegnata all’iconografia; proprio per questo stupisce la ridotta attenzione di Ric­cardo Neri alla intenzionalità della fonte iconografica, trascurando di insistere su ciò che può informare sulle circostanze della sua produzione. E ciò nonostante egli la usi in modo rilevante. L’autore attira ad esempio opportunamente, con domande guidate, l’osservazione su una foto, che ufficialmen­te raffigura la cattura di briganti meridionali da parte delle guardie regie nei primissimi anni dell’Unità, ma che in realtà è stata scat­tata dopo che i prigionieri erano già stati uc­cisi (cfr. vol. Ili, p. 203).

Rispetto alle operazioni suggerite si av­verte l’attenzione verso tassonomie cogniti­ve di valenza generale, ma non mancano suggerimenti inerenti ad abilità tipicamente disciplinari. Accanto alle inconsuete e irri­nunciabili operazioni di comprensione te­stuale, di analisi, di correlazione tra infor­mazioni o tra concetti, meritano una parti­colare segnalazione gli esercizi di traduzio­ne da un linguaggio a un altro senza perdi­te di significato: da un quadro a un testo scritto, da una carta tematica a una tabella. Più schematiche appaiono le richieste di correlazione tra cause ed effetti dei feno­meni sociali (cfr. A. Londrillo, Viaggio nel­

la storia, vol. Ill, u.d. 1, p. 39 e Neri III, cap. 7, p. 230) che danno un sapore troppo deterministico alla interpretazione delle re­lazioni antropiche. Non convincono molto neppure certi esercizi di controllo delle in­formazioni secondo il sistema del test chiu­so (vero o falso; scelta multipla). Troppo insistente su questo punto è il manuale del­la Mursia, a conferma dell’esistenza in esso di vincoli ancora molto stretti con la tradi­zionale concezione del manuale come stru­mento esaustivo dell’informazione storica. Infine un’ultima segnalazione da Le civiltà e la storia. I dossier si presentano come un microrepertorio di fonti e di schede infor­mative, che inducono alla costruzione di brevi unità didattiche. Oltre a riproporre operazioni già sperimentate in altre parti del libro, essi spingono verso il confronto tra storia generale e storia locale e la valu­tazione dei diversi volti che possono assu­mere i fenomeni sociali in rapporto ai di­versi punti di osservazione.

Considerazioni conclusive

L’aspetto più appariscente di questi manua­li è la permanenza del ‘vecchio’ nelle vesti della storia eventografica. In maggiore o minore misura permangono tutti i luoghi delle res gestae (si veda la ricostruzione del­le vicende risorgimentali). Accanto al ‘vec­chio’ però hanno fatto irruzione le temati­che di più recente indagine. Ciò che distin­gue a mio avviso un manuale dall’altro è il rilievo assegnato al ‘vecchio’ e al ‘nuovo’, rispettivamente, nella consapevolezza che nessuno è riuscito a ricomporre convincen­temente l’uno e l’altro. Chi ha tentato di percorrere la via della innovazione tematica si è scontrato con la forma stessa del ma­nuale ed è stato costretto a rompere, anche visivamente, l’unità del messaggio trasmes­so; si pensi alle diverse partizioni utilizzate. Manuali come quelli della Loescher, della

522 Mario Pinotti Fulvia Giovannoni

Bruno Mondadori, della Zanichelli, della Nuova Italia sembrano più dei labirinti, en­tro cui aggirarsi per ricostruire percorsi di­dattici, che letture lineari. Del resto l’edito­ria scolastica, se vuole reggere la sfida dei tempi e garantire all’insegnante rigore ope­rativo e creatività operazionale, deve batte­re proprio questa strada; diversamente si avranno testi come quello della Sei, che, pur nella rispettabilità del suo vetusto con­servatorismo, si espone al rischio della ina­deguatezza informativa. Questi limiti, a mio avviso, non dipendono tanto dalla im­perizia degli autori, bensì dalla pretesa di esaurire nella narrazione il sapere storico, ma non si risolvono riducendo la narrazio­ne ai minimi termini come è stato tentato nell’opera di Cartiglia. Sono ancora nume­

Geografia

Quando, sul finire degli anni settanta, Mas­simo Quaini si pronunciava sui manuali di geografia, denunciava in essi due gravi limi­ti1: sul piano dei contenuti, il permanere del vecchio paradigma ambientalista di stampo positivistico; sul piano didattico, l’insistere sulla trasmissione nozionistica ed enciclope­dica di un sapere fatto solo di nomi di mari, di fiumi, di monti, di luoghi. L’arretratezza dunque era duplice: a livello scientifico, le conoscenze trasmesse si rifacevano ancora all’idea che l’ambiente fisico naturale deter­

rosi i problemi da affrontare. L’apertura a nuovi campi di indagine obbliga a fare i conti con la periodizzazione non più com­ponibile nella linearità del tempo breve de­gli eventi. Il moltiplicarsi delle fonti apre la questione del rapporto tra le scienze antro­piche e la storia a partire dai diversi lin­guaggi delle diverse discipline. Su tutt’altro versante rimane aperto infine il “problema dei problemi” : come motivare l’alunno allo studio della storia.

Se l’editoria scolastica non saprà affron­tare questi nodi, modificando veste e stra­tegia, correrà il rischio di diventare un ostacolo per il rinnovamento didattico in quanto strumento inutile per l’insegnamen­to della storia.

Mario Pinotti

minasse in modo meccanico le condizioni di vita dell’uomo sulla Terra; sul piano peda­gogico, si disattendevano i richiami degli stessi programmi scolastici, laddove essi consigliavano di muovere dall’esperienza vissuta degli alunni per costruire le prime ri­cerche d’ambiente.

A quindici anni di distanza, sappiamo che molte cose sono cambiate. Nuovi paradigmi scientifici hanno dimostrato l’inconsistenza dell’ambientalismo geografico2; recenti pro­grammi ministeriali hanno posto con sempre

1 Massimo Quaini, La geografia nella scuola e nella società italiana, in Aa.Vv., Problemi di didattica della geogra­fia, Torino, Loescher, 1978, pp. 15-45.2 II determinismo o ambientalismo geografico, dopo essere stato il paradigma dominante in geografia per tutta la seconda metà dell’Ottocento, è entrato in crisi agli inizi del nostro secolo, a opera di geografi quali Paul Vidal de la Blache, Max Sorre, Maurice Le Lannou e Jean Brunhes, che vi hanno sostituito il cosiddetto “possibili­smo”). (cfr. Paul Claval, L ’evoluzione storica della geografia umana, Milano, Angeli, 1980). Nella geografia contemporanea Attilio Celant e Adalberto Vallega riconoscono quattro paradigmi: il possibilistico, il marxista, il funzionalistico, il sistemico. Cfr. Attilio Celant e Adalberto Vallega (a cura di), Il pensiero geografico in Italia, Mi­lano, Angeli, 1984. Secondo Vincenzo Vagaggini, invece, i paradigmi che si stanno delineando nel contesto della ri­cerca geografica sono almeno cinque: il marxista, l’esistenzialista, il normativo-analitico, il sistemico, il compor-

Un lavoro da manuale 523

maggior forza l’accento sullo sviluppo delle capacità di costruzione attiva delle cono­scenze, anziché sulla trasmissione passiva di un insieme di nozioni preconfezionate3. E dei manuali, cosa ne è stato? Sono usciti fi­nalmente dal loro isolamento o il solco che li separava dalla ricerca scientifica o dalla so­cietà si è approfondito? In che modo hanno interpretato il rinnovamento epistemologico che ha caratterizzato la geografia e le rifles­sioni che psicopedagogisti ed esperti di di­dattica sono andati svolgendo intorno agli scopi e alle modalità di attuazione dei pro­cessi educativi?

I cinque manuali di geografia per la scuo­la media inferiore assunti come campione per l’indagine, rappresentano, dal punto di vista quantitativo, una realtà circoscritta ri­spetto a un mercato editoriale che proprio negli ultimi due anni ha moltiplicato le sue proposte, anche solo nel tentativo di rincor­rere i mutamenti geopolitici e sociali occorsi al blocco dei paesi socialisti. Si ritiene tutta­via che questi testi, per la loro recente data di edizione o per essere stati di frequente adottati nelle scuole, possano rappresentare un campionario sufficientemente significati­vo. Essi sono: Gianni Sofri (a cura di), Cor­so di geografia, Bologna, Zanichelli, 1989, 3 voli. (I ed. 1976); Alida Ardemagni, France­sco Mambretti, Giovanni Silvera, Geo. Fare geografia, Milano, Principato, 1987, 3 voli.; Aa.Vv., Geografia, Milano, Bruno Monda- dori, 1991, 3 voli.; Giulio Mezzetti, Geogra­fia, Firenze, La Nuova Italia, 1979; C. Cas- sinotti, G. Airoldi, M. Brambilla, F. Leoni, Una finestra aperta sul mondo. Corso di educazione geografica per la scuola media, Torino, Paravia, 1990.

Più difficile sarà rispondere alla doman­da: perché i manuali sono cambiati o sono rimasti ancorati a vecchi schemi culturali? A quali motivazioni possono essere fatte risali­re le scelte didattiche e di contenuto operate dagli autori? Le variabili che concorrono al­la produzione di un manuale sono infatti molteplici e non tutte riconducibili allo sta­tuto epistemologico della disciplina da un la­to o al campo psicopedagogico dall’altro. La matrice culturale degli autori, le valuta­zioni di mercato, i giudizi degli insegnanti sulle edizioni precedenti sappiamo che in­fluiscono sul prodotto finale, ma non sap­piamo ancora come e in quale grado. Una sociologia del manuale di geografia è ancora tutta da costruire. Essa richiederebbe di ‘uscire’ dal testo, per esplorarne il contesto di produzione e di uso. Per questi motivi, la lettura dei volumi solleva domande cui è possibile rispondere solo in via di ipotesi.

Analizzati dal punto di vista dei contenu­ti, i cinque testi si possono raggruppare se­condo due differenti tipologie, alla prima delle quali appartiene unicamente il manuale di Airoldi-Brambilla, mentre della seconda fanno parte, pur con diverse connotazioni, i rimanenti quattro. Il testo della casa editrice Paravia esordisce, nel primo volume, con una voluminosa trattazione di geografia fisi­ca, relativa alla posizione della Terra nell’u­niverso e alla sua storia geologica; prosegue con lo studio dell’atmosfera e del clima, dei mari, dei venti, dei vulcani e dei terremoti, sempre a scala planetaria4. La scelta di que­sta scala per studiare i fenomeni fisici, anche quando nel primo volume l’oggetto del cor­so di studi è l’Italia, ha un importante ri­svolto: l’ambiente fisico vive di vita propria,

tamentistico. Cfr. Vincenzo Vagaggini, Le nuove geografie. Logica, teoria e metodi della geografia contempora­nea, Genova-Ivrea, Herodote edizioni, 1982.3 Cfr. Dm 9 febbraio 1979. Programmi, orari di insegnamento e prove di esame per la scuola media statale; Dpr 12 febbraio 1985, n. 104. Approvazione dei nuovi programmi didattici per la scuola primaria.4 C. Cassinotti-G. Airoldi, Una finestra aperta sul mondo. Corso di educazione geografica per la scuola media, Torino, Paravia, 1990, vol. I, pp. 34-112.

524 Mario Pinotti Fulvia Giovannoni

senza nessun rapporto con le società umane che vi abitano, che abitandovi lo trasforma­no. A riequilibrare il testo non basta ad esempio la sezione dedicata nel primo volu­me ai paesaggi italiani, poiché questi vengo­no dopo le regioni amministrative, che signi­ficativamente rappresentano il secondo cri­terio organizzatore dei contenuti, dopo quello fisico5.

Geografia fisica e geografia politica sono i due poli fondamentali del percorso didattico proposto: da un lato la natura con i suoi processi fisici, dall’altro l’uomo degli Stati e delle regioni amministrative; tra le due geo­grafie non vi è alcun rapporto. Quando poi si individua un legame, questo si rivela di ti­po ambientalistico: nel secondo volume, in­fatti, ci vengono spiegati “gli elementi fisici del successo europeo”, rintracciabili nella centralità del continente rispetto alle altre terre emerse dell’emisfero settentrionale, nell’abbondanza di pianure e nel clima mi­te6. Queste le caratteristiche fondamentali del testo della Paravia, che lo qualificano come una permanenza nella manualistica contemporanea di quel vecchio modello de­terministico, già criticato negli anni Set­tanta.

Completamente diversa l’impostazione degli altri quattro manuali, i quali, per alcu­ne analogie di fondo, possono essere ricon­dotti a un medesimo modello di geografia. Ciò è riconoscibile già nelle prime battute delle singole introduzioni, quando gli autori spiegano le finalità conoscitive della geogra­fia o gli scopi del testo. Scrivono gli autori del testo curato da Sofri:

La geografia [...], più che la Natura, studia l’am­biente degli uomini e i rapporti degli uomini con il loro ambiente. [...] Per questo, la geografia non è solo una scienza della Natura, ma anche e

soprattutto una scienza dell’uomo, che ha molti punti di contatto con la natura, con l’economia, con le altre scienze che riguardano gli uomini (vol. I, p. 8).

Mezzetti sottolinea da subito che “lo stu­dio e la conoscenza dell’ambiente hanno sempre origine da una necessità concreta” (vol. I, p. 6), e precisa che “lo stesso territo­rio può essere usato in modi diversi da grup­pi sociali che hanno scopi diversi” (vol. I, p. 10).

Anche il programma di lavoro del manua­le della Bruno Mondadori è simile:Sul nostro pianeta i fattori umani e quelli natura­li si combinano sempre. Infatti, da quando gli uomini si sono diffusi in ogni parte della Terra e da quando la società si è industrializzata, gli uo­mini hanno modificato tutti i paesaggi. Alcuni sono stati modificati molto, altri meno. In questo libro si mostra quanto questi paesaggi sono cam­biati e perché sono cambiati (vol. I p. 13).

Tale programma di lavoro, centrato sul­l’analisi e la spiegazione delle trasformazio­ni degli ambienti naturali in territori abitati dalle società umane, viene puntualmente ri­spettato nel corso dei capitoli, secondo una scansione che può essere sinteticamente rias­sunta in quattro punti: illustrazione dei qua­dri ambientali (morfologia, clima, acque, vegetazione); analisi dei paesaggi umani, cioè delle modificazioni apportate nel tempo agli ambienti naturali a opera degli uomini riuniti in società; spiegazione delle trasfor­mazioni avvenute; situazione attuale, pro­cessi e dinamiche ancora in corso. Per l’Ita­lia, ad esempio, i quadri ambientali fatti og­getto di studio sono le Alpi, la Pianura Pa­dana, gli Appennini, le zone costiere.

È bene aggiungere che ciascun manuale interpreta il modello a livelli diversi di ap­profondimento, o lo fa precedere da parti

5 C. Cassinotti-G. Airoldi, Una finestra aperta sul mondo, vol. I, cit., pp. 130-271.6 C. Cassinotti-G. Airoldi, Una finestra aperta sul mondo, vol. I, cit., pp. 58-67.

Un lavoro da manuale 525

introduttive su problemi generali di geogra­fia fisica e umana7; né va taciuto il fatto che in nessun caso (tranne che in Mezzetti) è sta­ta abbandonata la trattazione delle regioni italiane e degli stati del mondo, che tuttavia sono posti alla fine dei singoli volumi, a indi­care la diminuita importanza dell’argomento neH’economia complessiva dell’opera.

Le implicazioni epistemologiche di un ap­proccio di questo tipo sono evidenti. Innan­zitutto l’ambiente fisico è visto e studiato non di per sé, ma per quello che ha significa­to e significa per gli uomini che lo hanno ri­modellato perché rispondesse ai bisogni espressi dalle diverse società che vi si sono insediate. Di conseguenza il dato fisico, na­turale, non viene percepito come una costri­zione cui l’uomo si è dovuto adattare, come una qualunque altra specie vivente sulla Ter­ra; esso è piuttosto interpretato come una gamma di possibilità, cui gli uomini hanno attribuito significati e valori, tratti dalla loro cultura e civiltà in senso lato. Infine l’uomo, gli uomini, non sono ingenuamente conside­rati come un’entità omogenea e immutabile, ma come un insieme di classi e gruppi socia­li, che sul territorio hanno proiettato i loro bisogni, ma anche le loro contraddizioni e lotte per cambiare gli assetti preesistenti.

Il modello enunciato ora nelle sue caratte­ristiche generali, lo si può ritrovare e riper­correre, a titolo di esempio, in una unità te­matica: la Vaipadana. Questa pianura, mo­dellata durante le ere geologiche dal corso del fiume Po e dai suoi affluenti, viene di­stinta, per la natura dei terreni, in una parte alta, asciutta, e in una parte bassa, irrigua. L’ambiente originario, fatto di boschi e di li

paludi, è stato profondamente trasformato dall’azione dell’uomo in tre direzioni princi­pali: disboscamento e messa a coltura dei ter­reni, regolamentazione dei corsi d’acqua me­diante la costruzione di argini e di una fitta re­te di canali per l’irrigazione, creazione di una trama di centri abitati e di vie di comunicazio­ne, che ai nostri giorni, nell’alta pianura, ha preso la forma e le funzioni della conurbazio­ne. Lo sviluppo, nell’alta pianura, dell’indu­stria e della megalopoli milanese è messo in re­lazione con fattori storici, quali il successo del­la gelsibachicoltura nella piccola azienda a conduzione mezzadrile o con opportunità of­ferte dall’ambiente, quali la presenza di minie­re e la possibiltà di usare l’acqua per far muo­vere le ruote dei mulini. Il tipo di agricoltura, altamente specializzata e meccanizzata, tipico invece della bassa pianura, viene correlato di volta in volta alla grande disponibilità di ac­que per scopi irrigui, ai massicci investimenti di capitali che a partire dal Settecento furono impiegati per costruire opere di canalizzazio­ne, ai più generali processi innescati dalla ri­voluzione industriale nei paesi europei.

Il quadro si completa con l’analisi degli sviluppi recenti e delle trasformazioni anco­ra in corso: la meccanizzazione sempre più spinta ha eliminato anche gli ultimi residui del paesaggio agrario della piantata; l’uso di fertilizzanti e antiparassitari inquina sempre più l’ambiente, con effetti anche gravi sulla vita dell’uomo; le abitazioni, in campagna, somigliano a quelle di città; nelle aree rurali penetrano attività di tipo industriale, che danno vita al paesaggio della campagna ur­banizzata8. Anche quando si fa ricorso ai caratteri fisici dell’ambiente, questi non so­

li manuale della Principato ad esempio, in ciascun volume fa precedere ai quadri ambientali una sezione dedicata all’esame di alcuni problemi e strutture si carattere generale, intitolata “Città e campagna” nel primo e secondo vo­lume, “Sviluppo e sottosviluppo” nel terzo.8 Sulla Vaipadana: Aa.Vv., Geografia, vol. I, cit., pp. 58-81; Gianni Sofri (a cura di), Corso di geografia, Bolo­gna, Zanichelli, 1989, vol. I, pp. 100-130; Alida Ardemagni-Francesco Mambretti-Giovanni Silvera, Geo. Fare geografia, Milano, Principato, 1987, vol. 1, pp. 166-181; Giulio Mezzetti, Geografia, Firenze, La Nuova Italia, 1979, vol. I, pp. 100-106 e 121-144.

526 Mario Pinotti Fulvia Giovannoni

no mai concepiti in modo deterministico, bensì sono messi in relazione con il tipo di società che li ha posti in valore. Si nota chia­ramente che il modello funziona grazie al­l’apparato conoscitivo ed esplicativo messo a punto dalle scienze umane: geografia, storia ed economia, compenetrandosi a vicenda, aiutano a ricostruire le strutture di fondo di un ambiente rimodellato da civiltà diverse che vi si sono avvicendate nel tempo9.

Se comuni sono gli ambiti di indagine e i modelli esplicativi che ricorrono nei quattro manuali, comune deve esserne la matrice cul­turale. Essa va rintracciata, per l’Italia, in quel movimento di svecchiamento culturale che ha investito la geografia negli anni sessan­ta e settanta, e che rivendicava, nello studio dei rapporti tra l’uomo e l’ambiente, il ricorso ai modelli e alle strumentazioni delle scienze umane o sociali, di contro al vecchio modello positivista che trattava le collettività umane alla stregua delle altre specie viventi sulla Ter­ra. Muovendo dalle riflessioni dei geografi “possibilisti” francesi, l’indirizzo in questio­ne si è arricchito dei contributi critici del mar­xismo, dando vita a un panorama di ricerche e di posizioni complesso e articolato10.

Sappiamo però che in anni recenti altri paradigmi hanno fatto la loro comparsa in geografia, da quello normativo-analitico a quello fenomenologico; di essi non reca traccia la didattica dei libri di testo, segno di una loro debolezza all’interno della comuni­tà scientifica oppure di una loro intrinseca difficoltà di traduzione didattica per la scuo­la media, dove la geografia è insegnata dal professore di lettere11; dato che i due motivi non si escludono, è possibile che essi intera­giscano rafforzandosi a vicenda.

Sarà interessante seguire in futuro lo svi­luppo dei contenuti nei manuali di geogra­fia, per verificare se si avranno dei tentativi di traduzione didattica di altri paradigmi scientifici, tenuto conto anche del fatto che quello attualmente più diffuso e che si è cer­cato di illustrare nelle pagine precedenti, è stato di recente messo in discussione in am­bito storiografico, per la sua eccessiva preoccupazione di distinguere l’ambito dei fenomeni naturali da quello dei processi so­ciali, in una fase storica in cui vi è bisogno di ripensare i rapporti tra l’uomo e l’am­biente in modo unitario12.

La riflessione richiede ora che ci si sposti

9 II tipo di trattazione della pianura padana svolto nei quattro manuali citati può essere fatto risalire, nell’ambi­to della ricerca, ai seguenti contributi: Emilio Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Roma-Bari, Laterza, 1987 (prima edizione 1961); Lucio Gambi, Critica ai concetti geografici di paesaggio umano, in Una geografia per la storia, Torino, Einaudi, 1973, pp. 148-174; Lucio Gambi, I valori storici dei quadri ambientali, in Storia d ’Italia, vol. I, Torino, Einaudi, 1972, pp. 5-60; Cesare Saibene, La Padania, in Aa.Vv., Ipaesaggi umani, Mi­lano, Tei, 1977, pp. 52-73; Aa.Vv., Paesaggio. Immagine e realtà, Milano, Electa, 1981 (in particolare la sezione intitolata: Il paesaggio della pianura Padana, con contributi di Lucio Gambi, Carlo Poni e altri); Guido Crainz, La cascina padana, in Storia dell’agricoltura italiana in età contemporanea. Spazi e paesaggi, Venezia, Marsilio, 1989.10 Per limitarsi agli anni sessanta e settanta, si vedano: Lucio Gambi, Geografia fisica e geografia umana di fronte ai concetti di valore, in Id., Questioni di Geografia, Napoli, Esi, 1964, pp. 17-50; Id., Geografia regione depressa, in Id., Una geografia per la storia, Torino, Einaudi, 1973, pp. 38-64; Mario Ortolani, La geografia umana, in Aa.Vv., Introduzione allo studio della storia, Milano, Marzorati, 1975, pp. 129-169; Massimo Quaini, Marxismo e geografia, Firenze, La Nuova Italia, 1974; Massimo Quaini, La costruzione della geografia umana, Firenze, La Nuova Italia, 1975; Aldo Pecora, Ambiente geografico e società umane, Torino, Loescher, 1977.11 Non si può sottovalutare, negli indirizzi normativo-analitico e sistemico, il massiccio uso di modelli matematici, che ne rendono quanto meno problematico un loro uso per chi sia sprovvisto di basi adeguate. Per un ‘assaggio’ si veda: Richard Fluggett, Analisi dei sistemi e spazio geografico, Milano, Angeli, 1983.12 Cfr. Alberto Caracciolo, L ’ambiente come storia. Sondaggi e proposte di storiografia dell’ambiente, Bologna, Il Mulino, 1988.

Un lavoro da manuale 527

dal piano dei contenuti a quello della tradu­zione didattica, per esaminare le modalità di trasmissione o di costruzione del sapere geo­grafico adottate dai cinque manuali. A livel­lo generale, si può affermare che i contenuti di apprendimento sono ancora organizzati in un testo scritto che, obbedendo alle regole della descrizione, della narrazione e dell’ar- gomentazione, rappresenta per l’alunno la fonte principale delle conoscenze. In questo modo gli argomenti tematizzati, siano essi i quadri ambientali, il popolamento umano o le regioni amministrative, difficilmente pos­sono attivare nello studente quelle operazio­ni cognitive messe in atto dal geografo quando costruisce le proprie conoscenze: te- matizzazione di un problema, ricerca di fon­ti, estrapolazione ed elaborazione delle in­formazioni, critica delle fonti, ricostruzione di un modello interpretativo del problema iniziale, concettualizzazione dello spazio. Soltanto Mazzetti adotta un sistema misto che, pur senza rinunciare al testo scritto co­me veicolo principale delle conoscenze, pro­blematizza gli argomenti e guida il lettore al­la soluzione con molta gradualità.

Sotto questo profilo i manuali odierni non si discostano di molto da quelli che li hanno preceduti; i motivi di tale rigidità didattica possono essere diversi e vengono segnalati qui in veste di ipotesi da verificare. La di­dattica della geografia non ha ancora pro­dotto, a livello di riflessione teorica e di ri­cerca sul curricolo, risultati paragonabili ad esempio alla didattica della storia. Dagli an­ni settanta, dopo che è stato denunciato il suo stato di arretratezza e si è propugnata

una didattica della ricerca, non si sono fatti sostanziali passi in avanti nell’individuare le categorie fondanti della ricerca geografica, né sono state costruite proposte articolate di curricoli disciplinari verticali, graduati per obiettivi e strategie di apprendimento. I po­chi progetti che possediamo si sono limitati a ritrovare nelle strutture della conoscenza geografica gli obiettivi della tassonomia di Bloom, quando da parte di alcuni psicope­dagogisti si metteva in discussione l’adatta­bilità di quelle griglie tassonomiche a tutte le discipline e ambiti di conoscenza13. In secon­do luogo vi è forse una domanda di “didat­tica delle operazioni e delle abilità cogniti­ve” assai debole da parte degli insegnanti, i quali, non esistendo praticamente in Italia corsi di laurea specifici in geografia, proven­gono da altre lauree e hanno in genere soste­nuto pochi esami di geografia. Tali inse­gnanti, per la formazione che hanno ricevu­to, non hanno mai avuto occasione di svol­gere una ricerca geografica e quindi non co­noscono i modelli teorici, né tanto meno le fonti della geografia.

Tuttavia al filo conduttore costituito dal testo scritto, si affiancano in questi manuali alcuni importanti elementi che è interessante analizzare dal punto di vista didattico; li possiamo raggruppare in tre categorie: il materiale fotografico, l’apparato cartografi- co, gli eserciziari. Sulla funzione e l’uso del­la fotografia nel libro di testo, avevano provveduto Giorgio Bergami e Tonino Bet- tanini a toglierci l’illusione che essa fosse la rappresentazione iconica oggettiva della realtà descritta nel testo: quando negli anni

13 La rielaborazione della tassonomia di Bloom (Benjamin S. Bloom, Tassonomia degli obiettivi cognitivi. La clas­sificazione delle mete dell’educazione, Teramo, Giunti e Lisciani, 1983, edizione inglese: Taxonomy o f Educational Objectives: the Cognitive Domain, London, 1956) si trova in Franco Frapponi, Dal curricolo alla programmazio­ne. La scuola di base tra riforma e innovazione didattica, Teramo, Giunti e Lisciani, 1987. Ha trasferito queste tas­sonomie nella didattica della geografia: Dario Ghelfi, Didattica della geografia, Milano, 1987, pp. 6-76. Per alcune critiche ai modelli tassonomici: Clotilde Pontecorvo, La ricerca sul curricolo: teoria e pratica dell’innovazione, in Aa.Vv., Curricolo e scuola. Innovazione educativa e sviluppo sociale, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1978 (in particolare pp. 103-109).

528 Mario Pinotti Fulvia Giovannoni

settanta i quadri ambientali e le concentra­zioni urbane mostravano già evidenti segni di degrado a livello sia ecologico che sociale, i manuali insistevano a pubblicare foto-car­toline di bei paesaggi incontaminati e di mo­derne città, ordinate e operose14.

I manuali odierni sembrano aver ricono­sciuto l’intenzionalità del messaggio di cui è portatrice la fotografia, e mostrano di ser­virsene soprattutto per rappresentare le tra­sformazioni del territorio a opera delle so­cietà umane, anche nei loro aspetti più con­traddittori e dunque criticabili. Le foto di paesaggi agrari, quando in esse siano rico­noscibili la geometria dei campi, il tipo di colture, la maglia viaria, le forme del popo­lamento, permettono di formulare interes­santi ipotesi sulle strutture agrarie caratte­rizzanti le località rappresentate15. Le foto dei centri urbani, anziché risolversi nell’im­magine di qualche monumento o panorami­ca dall’alto, riescono a cogliere le diverse funzioni cui assolvono le città (abitativa, in­dustriale, del terziario)16. Non mancano neppure, in questi testi più recenti, crude rappresentazioni del degrado dei suoli, del­l’inquinamento atmosferico, dello squallore di certe periferie urbane17.

Escluso da questi processi di innovazione dell’uso della fotografia a scopo didattico è il volume della Paravia, che presenta foto­grafie in formato troppo piccolo per poter essere lette adeguatamente, e i cui colori, nonché i soggetti rappresentati, hanno un aspetto vecchio e superato. Per questo ma­nuale l’ipotesi che si può fare è che il manca­to svecchiamento dei contenuti si accompa­gni a un’altrettanto sensibile arretratezza sul piano didattico.

Ma dove la fotografia riesce a esplicare maggiormente la sua valenza didattica di fonte per lo studio della geografia, è in quei testi nei quali è accompagnata da arti­colate e puntuali didascalie, che guidano lo studente all’interpretazione della rappresen­tazione iconica.

Questo risultato è pienamente raggiunto nel Mezzetti, nel Sofri e nel testo di Bruno Mondadori; del tutto inutili invece le dida­scalie di Paravia, come si può ricavare dal­l’esempio a p. 136 del I volume: “Le colli­ne del Viterbese, uno dei numerosi aspetti paesaggistici del Lazio” .

L’uso della fotografia a scopo didattico, tuttavia, potrebbe tendere a risultati ben più significativi se fosse finalizzato a co­struire nell’alunno la capacità di interrogar­la come fonte. Infatti l’offerta sia pur di ampie didascalie non fa che accrescere la funzione di trasmettitore di conoscenze, già riconosciuta da tempo al manuale: la dida­scalia spiega ciò che è importante vedere. Più significativa, dal punto di vista didatti­co, sarebbe l’operazione di guidare il ragaz­zo a riconoscere da solo gli elementi rile­vanti di una foto, rispetto a un problema dato. E non solo, poiché la fotografia co­me fonte implica le operazioni di critica della fonte e quindi la sua contestualizza­zione (chi l’ha prodotta, quando, dove, a che scopo). Ma i manuali, anche in questo caso, non fanno che riflettere una debolez­za più complessiva della didattica della geo­grafia, trascurando due aspetti: che per in­terrogare la fonte si deve individuare un problema iniziale, a partire dal quale pos­siamo porre domande alla fonte stessa; che la fonte va criticata per la connaturata par-

14 Giorgio Bergami, Tonino Bettanini, Fotografia geografica/geografia della fotografia, Firenze, La Nuova Italia, 1975.15 Cfr. il testo della Zanichelli, vol. I, pp. 89, 116, 121 e quello della Bruno Mondadori, vol. I, pp. 133, 168, 169.16 Cfr. il testo della Principato, vol. Ili, pp. 73-95.17 Cfr. il testo del Mezzetti, vol. Ili, pp. 182, 186, 189 e quello della Principato, vol. I, p. 76.

Un lavoro da manuale 529

zialità del suo punto di vista18. Molte delle osservazioni compiute a proposito delle foto­grafie, andrebbero ripetute per l’apparato cartografico. Il numero e la varietà di tipi di carte (topografiche, fisiche e politiche, tema­tiche) presenti nei testi o offerte in appositi atlanti, denotano una sempre maggiore sen­sibilità nei riguardi di una didattica attiva, operativa, che sa usare la carta come uno strumento di conoscenza fra tanti. Ma anche in questo caso vi è il rischio di considerare la rappresentazione cartografica come la tra­sposizione oggettiva della realtà su carta, poiché manca un approccio critico alla carta come fonte, che evidenzi il nesso, mai neu­trale, bensì sempre ideologico, tra il contenu­to rappresentato e il soggetto che lo rappre­senta19.

Si segnalano infine, al termine di ogni ca­pitolo o di ogni unità di lavoro, gli esercizia­ri, volti a rendere didatticamente più attivo il rapporto con la disciplina insegnata. Si tratta di test di vario tipo. I più semplici e i meno originali costituiscono una verifica delle co­noscenze apprese: domande relative ai conte­nuti dei capitoli. Una maggiore operatività è richiesta invece dagli esercizi di ricerca di in­formazioni desunte da carte, grafici o tabel­le; altri esercizi ancora sviluppano la capaci­tà di traduzione dei dati statistici in rappre­sentazioni grafiche o cartografiche, la capa­cità cioè di passare da un linguaggio a un al­tro. Infine sono presenti verifiche che impil- cano l’acquisizione di “obiettivi superiori convergenti e divergenti”, per usare una ter­minologia tratta dalla tassonomia di Bloom:

si chiede allo studente, dopo aver raccolto una serie di dati e di informazioni intorno a un problema, di avanzare ipotesi di spiega­zione, discutendone con il ‘gruppo-classe’. Tale proposta è interessante e va valutata positivamente. Il corso della Paravia invece non ne reca traccia, a ulteriore conferma dell’esistenza di un nesso fra trattazione di contenuti ormai superati e arretratezza sul piano dell’organizzazione didattica.

Viene da chiedersi rispetto agli eserciziari se essi siano usati dall’insegnante in classe, come strumenti per costruire conoscenze in­sieme agli alunni, oppure se vengono distrat­tamente assegnati come compito da svolgere a casa. Più in generale sarà interessante se­guirne l’evoluzione in futuro, per verificare se la loro introduzione nei manuali scolastici è da interpretarsi come un primo, ancora ti­mido passo verso la costruzione di una di­dattica integralmente attiva, che sviluppi nei ragazzi le abilità di base della ricerca geogra­fica; oppure se essi si cristallizzeranno in una serie di test, da svolgersi meccanica- mente.

In conclusione possiamo affermare che si sono verificati dei mutamenti nei manuali di geografia per la scuola media; a un radicale rinnovamento dei contenuti, concretizzatosi nella fine del paradigma determinista e nella sua sostituzione con alcuni dei temi più clas­sici della geografia umana del nostro secolo (meno che nel caso di Paravia), si accompa­gna il tentativo di fare del manuale uno stru­mento di lavoro, che attivi nello studente al­cune operazioni cognitive della ricerca geo-

18 Cfr. Andrea Bissanti, La fotografia come strumento di lettura del paesaggio, “Scuola e Didattica”, 1986, n. 8, pp. 35-38.19 Massimo Quaini, L ’Italia dei cartografi, in Storia d ’Italia, Torino, Einaudi, 1976, vol. VI, pp. 3-24; Franco Fa­rinelli, La cartografia della campagna nel Novecento, in Storia d ’Italia, vol. VI, cit., pp. 626-636; Franco Farinelli, Dallo Spazio bianco allo spazio astratto: la logica cartografica, in Aa.Vv., Paesaggio. Immagini e realtà, cit.; Aa.Vv., Arte e scienza per il disegno del mondo, Torino, Electa, 1983; Aa.Vv., Cartes et cartographes. Les arpen­teurs de la Terre, “Le courrier de l’Unesco”, Juin 1991; J.B. Harley-Dawid Woodward (a cura di), The History of Cartography, Chicago, University o f Chicago Press, 1987.

530 Mario Pinotti Fulvia Giovannoni

grafica. Vi è da augurarsi che il processo continui, soprattutto per quel che riguarda il secondo punto; non basta infatti aggiungere al testo qualche esercizio per pensare di ri­percorrere in classe le fasi del lavoro del geografo. Il grande assente è ancora una

volta la fonte, e primo ancora, il problema per il quale si va alla ricerca di fonti. Ma un testo che sviluppasse a pieno queste catego­rie, non sarebbe forse già più un manuale.

Fulvia Giovannoni