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Corso di Strade, Ferrovie ed Aeroporti –Laurea Triennale in Ingegneria Civile – Università degli Studi di Trieste Paolo Perco BOZZA – dispense parte I - A.A. 2006/2007 1 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE LAUREA TRIENNALE IN INGEGNERIA CIVILE DISPENSE DEL CORSO DI STRADE, FERROVIE ED AEROPORTI Parte I Geometria dell’asse stradale A.A. 2006/07 Ing. Paolo Perco

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    UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRIESTE

    LAUREA TRIENNALE IN INGEGNERIA CIVILE

    DISPENSE DEL CORSO DI STRADE, FERROVIE ED AEROPORTI

    Parte I

    Geometria dell’asse stradale

    A.A. 2006/07

    Ing. Paolo Perco

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    INDICE

    Introduzione

    Condizioni di rotolamento della ruota – l’aderenza

    Il moto dei veicoli stradali

    Le distanze di visibilità

    L’equilibrio di un veicolo in curva

    La velocità operativa

    La progettazione dell’asse della strada

    L’andamento planimetrico dell’asse

    L’andamento altimetrico dell’asse

    Il diagramma delle velocità

    Il coordinamento planoaltimetrico

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    INTRODUZIONE

    La progettazione di una strada si divide sostanzialmente nello studio del suo asse geometrico e della

    sua sezione trasversale. La presente dispensa, dopo una necessaria panoramica sui principi che

    stanno alla base del moto di un veicolo, affronta la progettazione della linea d’asse presentando i

    principi che la regolano e approfondendo le norme di riferimento italiane per la progettazione

    stradale (“Norme Funzionali e Geometriche per la costruzione delle strade” allegate al D.M.

    05.11.2001). La necessità di definire delle regole per la progettazione dell’asse stradale è dovuta

    innanzitutto alla forte influenza che la geometria d’asse ha sulla sicurezza stradale. Ogni anno in

    Italia gli incidenti stradali causano circa 6000 morti e 320.000 feriti. Questi valori presentano un

    trend decrescente negli ultimi anni grazie agli efficaci interventi che sono stati attuati su tutti tre i

    fattori che, interagendo tra loro, possono causare l’incidente: la strada, il guidatore, il veicolo. La

    progettazione stradale, sia che si riferisca ad una nuova infrastruttura che all’adeguamento di

    un’infrastruttura esistente, può promuovere in modo significativo tale riduzione se correttamente

    condotta.

    L’attività di progettazione dell’asse della strada consiste, in sintesi, nella definizione di un

    andamento planimetrico ed altimetrico della linea d’asse che, nel rispetto delle regole di

    composizione previste dalle norme di riferimento, consenta l’inserimento della strada nell’ambiente

    attraversato. Tale inserimento va inteso nel senso più ampio del termine, ovverosia come orografia e

    geologia del territorio, presenza di altre infrastrutture, urbanizzazione ed antropizzazione,

    salvaguardia ambientale, il tutto nel contesto di un vincolo di tipo economico sostenibile. Il compito

    è complesso e multidisciplinare poiché la linea d’asse della strada è il primo elemento progettuale

    che si definisce nell’affrontare un progetto stradale, subito dopo averne definito la categoria. Solo

    una volta definito l’andamento della linea d’asse possono essere sviluppate le diverse progettazioni

    specialistiche (ponti, viadotti, gallerie, opere idrauliche, opere di ripristino ambientale, ecc…) che

    concorrono al completamento del progetto stradale.

    La presente dispensa deve essere affiancata dalle “Norme Funzionali e Geometriche per la

    costruzione delle strade” allegate al D.M. 05.11.2001 poiché esse rappresentano le norme di

    riferimento e ad esse nel testo si fa spesso riferimento. Queste norme inoltre affrontano anche altri

    aspetti oltre a quelli approfonditi in questa dispensa che sono altrettanto importanti per la corretta

    definizione del progetto stradale.

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    CONDIZIONI DI ROTOLAMENTO DI UNA RUOTA – L’ADERENZA

    L’attrito tra due superfici

    Si supponga un corpo di peso P appoggiato su un piano. Se si applica al corpo una forza Ft parallela

    al piano, il corpo resta fermo fino a che il valore di Ft non supera un certo valore limite Ft lim oltre il

    quale il corpo inizia a strisciare. Ciò significa che il piano è in grado di esercitare una reazione

    avente la componente A, parallela ad esso, capace di opporsi a Ft e di valore massimo Alim uguale a

    Ft lim.

    Risulta che: Alim = fa × Rn

    Dove:

    fa il Coefficiente adimensionale di Attrito Statico dipende dai materiali e dalle condizioni delle

    due superifici a contatto.

    Rn la componente della reazione normale al piano. Se la forza applicata Ft è parallela al piano e

    questo è orizzontale, Rn equivale al peso P del corpo.

    Per cui, affinché non vi sia moto relativo tra le superfici deve valere: Ft = Alim ≤ fa × Rn

    L’attrito tra due superfici a contatto è causata dalle caratteristiche delle due superfici ed alla forza

    con la quale le due superfici sono “schiacciate” l’una contro l’altra. Infatti, le superfici sono in

    realtà irregolari, sia a livello microscopico che a livello macroscopico, e l’area reale di contatto è

    solo una parte di quella apparente totale. Tanto è maggiore la forza di compressione tra le due, tanto

    più le deformazioni elastiche e plastiche delle due superfici aumentano l’area di contatto reale e

    creano una sorta di “incastro” tra queste irregolarità. Dal punto di vista microscopico, esso è dovuto

    alle forze di interazione tra gli atomi dei materiali a contatto.

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    Le condizioni di rotolamento di una ruota

    Il moto di rotolamento di una ruota su un piano risulta dalla composizione del moto di rotazione

    intorno all’asse della ruota e dalla traslazione dell’asse parallelamente al piano.

    Se si considera la ruota motrice di un veicolo, sul suo asse agisce un momento torcente M

    trasmesso dal motore che tende a farla girare attorno all’asse di rotazione O.

    Il momento torcente M può pensarsi sostituito da due forze +T e –T, di valore pari a M/r, applicate

    in O ed in C, punto di contatto ruota-piano.

    P è il carico agente sulla ruota;

    R è la somma di tutte le resistenze al moto che si oppongono all’avanzamento del veicolo;

    A è la reazione tra le due superfici a contatto (pavimentazione e pneumatico) nel punto C.

    La ruota si comporta come un corpo vincolato in O ed in C in cui nascono delle reazioni vincolari le

    cui componenti parallele alla direzione del moto sono rispettivamente R ed A.

    Possono verificarsi tre condizioni diverse:

    T < R

    T < Alim

    T > R

    T < Alim

    T < R

    T > Alim

    Le forze di resistenza R e di reazione A sono superiori alle forze di trazione T applicate alla ruota per cui essa resta in equilibrio e non si muove

    La resistenza R è inferiore alla forza di Trazione T in O ma la reazione A è superiore alla forza di trazione T in C: trasla solo il punto O ed il punto C resta fermo

    La resistenza R è superiore alla forza di trazione T in O ma la reazione A è inferiore alla forza di trazione T in C: il punto O resta fermo e la ruota slitta

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    Pertanto, affinché il veicolo si muova è necessario che ci si trovi nella situazione 2, ovvero si

    verifichi una rotazione istantanea attorno al punto C, detto Centro di Istantanea Rotazione. In questo

    caso il moto della ruota è la composizione contemporanea di due moti: traslazione del punto O e

    contemporanea rotazione attorno al punto O.

    In definitiva, affinché si abbia rotolamento e non slittamento, occorre che lo sforzo di trazione T sia

    almeno pari alle resistenze (M / r =T ≥ R) ma che sia inferiore alla reazione tangenziale della strada

    ((M / r =T < Alim).

    Un esempio può aiutare a comprendere:

    Per far slittare i pneumatici dell’automobile in partenza, a parità di condizioni della pavimentazione e dei pneumatici

    (Alim costante), è necessario accelerare a fondo: ciò significa che a parità di A, ovvero delle condizioni delle due

    superfici, bisogna aumentare T fino a che diviene T > Alim per trovarsi nella condizione 3.

    A parità di pressione sul pedale dell’acceleratore (T costante) sulla pavimentazione asciutta i pneumatici non slittano

    ma sulla pavimentazione bagnata o ghiacciata invece i pneumatici slittano e l’automobile resta ferma: ciò significa che a

    parità di T, ovvero del momento torcente trasmesso dal motore, nel primo caso si ha la condizione T > R e T < Alim,

    mentre nel secondo caso, anche se rimane T > R, ci si trova nella condizione T > Alim.

    Le condizioni di equilibrio della ruota si possono valutare anche in altre due condizioni:

    Ruota Trainata (non motrice): il momento torcente è pari a 0 e vi è una sola forza T applicata nel

    punto O. L’unica forza resistente è l’attrito sui perni della ruota che può essere considerato pari ad

    un momento torcente Ma applicato in senso contrario a quello del moto di rotazione. Affinché

    questo moto di rotazione possa verificarsi, è necessario che Ma sia equilibrato dalla coppia formata

    dallo sforzo di trazione T, applicato in O, e dalla forza di reazione A, applicata in C, questa volta

    diretta in senso opposto a quello del veicolo, ovvero Ma ≤ Alim × r .

    Ruota Frenata: non è presente il momento torcente motore M, mentre viene applicato un momento

    torcente frenante Mf che va ad aggiungersi al momento resistente Ma del caso precedente. Non

    essendoci distinzione fra le ruote motrici e le ruote trainate, le resistenze al moto si distribuiscono in

    modo uguale su tutte le ruote. La ruota inoltre è soggetta ad una forza di inerzia Fi applicata nel

    punto O. Affinché durante la fase di frenatura le ruote non si blocchino è necessario che Ma + Mf sia

    equilibrato dalla coppia formata dalla forza di inerzia Fi e dalla forza di reazione A, anche questa

    volta diretta in senso opposto a quello del veicolo, ovvero che (Ma + Mf) ≤ Alim × r.

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    Il coefficiente di aderenza

    Quanto detto fino ad ora permette di comprendere l’importanza della reazione A necessaria sia per

    permettere la traslazione del veicolo sia per garantirne la sicurezza in frenatura.

    A prende il nome di forza di aderenza ed il suo valore limite Alim è proporzionale, attraverso un

    coefficiente di aderenza fa, alla componente perpendicolare al piano viabile della forza che grava

    sulla ruota. Questa forza corrisponde normalmente alla quota parte del peso del veicolo agente sulla

    ruota. Ne segue che per aumentare la forza di aderenza è opportuno aumentare più possibile il peso

    gravante sulle ruote.

    Alim = fa × P

    Proprio per aumentare il peso aderente, ovvero il peso che grava sulle ruote motrici, le autovetture sportive sono dotate

    di appendici aerodinamiche che permettono di generare la forza di deportanza che, diretta verso il basso, si aggiunge

    alla forza peso consentendo di aumentare la reazione di aderenza tra pneumatico e pavimentazione. Il fenomeno è

    esattamente lo stesso che genera la forza di portanza che consente il sostentamento dell’aeroplano, con la differenza che

    in questo caso il profilo alare è rovesciato per generare la portanza verso il basso, detta appunto deportanza. Questa

    forza aumenta all’aumentare della velocità con la quale il profilo alare si muove nel fluido (l’aria in questo caso).

    Pertanto, le dimensioni e l’angolo del profilo alare rispetto alla direzione del moto devono essere regolati in modo da

    fornire una sufficiente deportanza alle velocità di percorrenza delle curve, lungo le quali è importante disporre di

    un’elevata aderenza trasversale ma, al contempo, da non penalizzare eccessivamente la resistenza aerodinamica in

    rettifilo che penalizza la massima velocità raggiungibile dall’autovettura.

    Per valutare la reazione di aderenza, ovvero il coefficiente di aderenza fa, è innanzitutto necessario

    rilevare che in realtà, a differenza di quanto visto nel precedente schema teorico dell’attrito radente,

    affinché si sviluppi una reazione di aderenza è necessario che vi sia uno scorrimento relativo tra

    pneumatico e pavimentazione. Le modalità con cui si verifica tale scorrimento sono diverse nel caso

    di ruota motrice e ruota frenata.

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    Ruota motrice

    Durante il rotolamento di una ruota motrice (T>0; a ≥ 0), ad un giro completo della ruota di raggio r

    (circonferenza 2πr), l’avanzamento effettivo del veicolo è dato da (1-ψ)2πr e,

    contemporaneamente, si verifica uno scorrimento della ruota sulla strada di lunghezza 2ψπr ove ψ è

    lo scorrimento (0 ≤ ψ ≤ 1):

    (1-ψ) 2πr = 2πr - 2ψπr

    lunghezza effettivamente percorsa circonferenza della ruota lunghezza “persa” per lo slittamento

    Ciò significa, riferendosi all’unità di tempo, che il prodotto ω·r (velocità angolare · raggio della

    ruota) è maggiore della velocità di traslazione della ruota v. Lo scorrimento ψ si definisce come:

    rv

    rvr

    ⋅−=

    ⋅−⋅

    =Ψωω

    ω 1

    Dove:

    ψ scorrimento

    ω velocità angolare della ruota [rad/s]

    r raggio della ruota [m]

    v velocità di traslazione [m/s]

    Le condizioni limite per la ruota motrice sono:

    ψ = 0 → v = ωr rotolamento puro

    ψ = 1 → v = 0 rotazione intorno all’asse e la ruota non trasla

    Ruota Frenata

    Se si considera una ruota frenata (T=0; a < 0) la situazione si inverte: infatti, durante un giro

    completo di una ruota di raggio r (circonferenza 2πr), l’avanzamento del veicolo è dato da

    (1+ψ)2πr poiché si verifica anche uno scorrimento della ruota sulla strada di lunghezza ψ 2πr ove

    ψ è lo scorrimento:

    (1+ψ) 2πr = 2πr + ψ 2πr

    lunghezza effettivamente percorsa circonferenza della ruota lunghezza “guadagnata” per lo slittamento

    Lo scorrimento ψ in questo caso si definisce come:

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    vr

    vrv ⋅

    −=⋅−

    =Ψωω 1

    Dove:

    ψ scorrimento

    ω velocità angolare della ruota [rad/s]

    r raggio della ruota [m]

    v velocità di traslazione [m/s]

    Le condizioni limite per la ruota motrice sono:

    ψ = 0 → v = ωr rotolamento puro

    ψ = 1 → ω = 0 ruota bloccata che striscia sulla pavimentazione

    Il coefficiente di aderenza fa

    L’andamento del coefficiente di aderenza fa in funzione dello scorrimento ψ è rappresentato in

    figura 1. Le misure sono solitamente condotte in senso longitudinale, cioè nella direzione del moto,

    oppure in senso ortogonale e danno origine ad un diverso andamento del coefficiente in funzione

    dello scorrimento.

    fl longitudinale

    ft trasversale

    Figura 1 L’andamento del coefficiente di aderenza in funzione dello scorrimento misurato in

    senso longitudinale ed in senso trasversale al piano di rotolamento del pneumatico

    Il valore del coefficiente di aderenza fa è molto variabile e dipende innanzitutto dalla natura delle

    superfici di contatto, ovvero dal tipo e dalle condizioni del battistrada (mescola, usura, scolpitura,

    ecc.) e della pavimentazione. Inoltre dipende anche dall’eventuale presenza di uno strato di acqua o

    polvere, dalla pressione del pneumatico e dalla velocità di marcia.

    Le caratteristiche superficiali della pavimentazione sono individuate essenzialmente dalla regolarità

    del piano viabile e dalla sua rugosità o scabrezza (tessitura). Le caratteristiche superficiali si

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    distinguono in funzione dell’osservazione del profilo superficiale della pavimentazione. Tra esse, la

    macrotessitura (h 0.01÷20 mm) e la microtessitura (0,001÷0,5 mm) influiscono essenzialmente

    sull’aderenza sviluppata all’interfaccia tra pneumatico e pavimentazione. La prima è dovuta alle

    asperità superficiali della pavimentazione dovute a forma, dimensione e assortimento

    granulometrico dei diversi elementi lapidei presenti nella superficie della miscela bituminosa,

    mentre la seconda è dovuta alla scabrezza della superficie dei singoli elementi lapidei.

    La figura 2 riporta l’andamento del coefficiente di aderenza fa in funzione della velocità v su

    pavimentazione bagnata con uno spessore del velo idrico pari ad s. Si nota che il valore di fa

    diminuisce al crescere della velocità e all’aumentare dello spessore del velo idrico; inoltre, in

    funzione dello spessore s, esiste un valore della velocità v oltre la quale si verifica il

    “sostentamento” del pneumatico da parte del velo idrico, ovvero si manifesta il fenomeno

    dell’aquaplaning. In tali condizioni si ha un valore di fa pressoché nullo e di conseguenza, il veicolo

    non è più controllabile. Il fenomeno dell’aquaplaning si manifesta quando l’acqua che si raccoglie

    davanti alla ruota, che in condizioni normali viene espulsa di lato e attraverso la scolpitura del

    pneumatico, a causa della alta velocità non riesce più ad allontanarsi e viene compressa fino a

    raggiungere una pressione pari a quella di gonfiaggio del pneumatico. Nel caso di pavimentazione

    asciutta l’andamento del coefficiente di aderenza fa è quasi costante con la velocità v.

    Per tutte le considerazioni sopra esposte, risulta evidente che il coefficiente di aderenza può variare

    significativamente in funzione delle numerose variabili che influiscono sulla sua quantificazione. La

    sua misura sperimentale è strettamente connessa al tipo di apparecchiatura utilizzata ed alle

    modalità operative del test (entità dello scorrimento, inclinazione della ruote rispetto alla direzione

    del movimento, superficie bagnata o asciutta, velocità, ecc..). Pertanto, nei casi in cui è necessario

    assumere un valore del coefficiente aderenza fa, così come avviene ad esempio per calcolare a

    distanza di arresto o l’equilibrio di un veicolo in curva, è necessario utilizzare un opportuno

    coefficiente di sicurezza.

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    Figura 2 L’andamento del coefficiente fa in funzione della velocità per pavimentazione bagnata

    L’ellisse di aderenza

    Su un veicolo in movimento non agiscono solamente forze longitudinali ovvero nel senso del moto,

    come quelle fino ad ora considerate (sforzo di trazione o di frenatura) ma anche forze trasversali,

    ovvero ortogonali al senso del moto, quali la forza centrifuga che agisce su un veicolo quando

    percorre una curva circolare, o la presenza di vento laterale. Ovviamente, anche tali sollecitazioni

    generano sulla superficie di contatto pneumatico-pavimentazione una reazione di aderenza che

    permette al veicolo di non traslare lateralmente. Nel caso di forze longitudinali si parla di aderenza

    longitudinale e quindi di coefficiente di aderenza longitudinale fl, nel caso di forze trasversali si

    parla di aderenza trasversale e quindi di coefficiente di aderenza trasversale ft.

    Il coefficiente di aderenza fa non è, a rigore, uguale in tutte le direzioni , tuttavia la piccola

    differenza tra il valore longitudinale e quello trasversale può essere trascurata nella pratica e si può

    assume l’ipotesi di polarsimmetria (fa = fl = ft) :

    Il legame presente tra il coefficiente di aderenza longitudinale fl e il coefficiente di aderenza

    trasversale ft può essere rappresentato mediante l’ellisse di aderenza che riporta l’andamento del

    coefficiente di aderenza al variare della risultante delle forze longitudinali e trasversali applicate al

    pneumatico:

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    Figura 3 L’ellisse di aderenza.

    La quota parte di aderenza longitudinale y e di aderenza trasversale x che è possibile impegnare

    contemporaneamente è quindi data da (equazione ellisse):

    2

    2

    2

    2

    1lt f

    yfx

    +=

    Il significato dell’ellisse di aderenza è estremamente importante perché permette di calcolare, in

    base al coefficiente di aderenza impegnato in una direzione, quello disponibile nella direzione

    ortogonale.

    Infatti, tra il pneumatico e la pavimentazione si può sviluppare al massimo una forza di aderenza

    Alim = fa × P in qualsiasi direzione (a meno della piccola differenza che, come sopra già accennato,

    può essere trascurata), ma questa va scomposta tra le sue due componenti (lungo la direzione del

    moto Al e trasversalmente ad essa At) per valutare l’effettiva aderenza disponibile per effettuare una

    specifica manovra.

    Ad esempio, se tutta l’aderenza disponibile (Alim = fa × P) è utilizzata in senso longitudinale per

    frenare (Alim = Al) non esiste una riserva di aderenza trasversale (ponendo nell’equazione dell’ellisse

    y = fl ne segue x = 0) per compensare eventuali forze trasversali. Ciò significa che nel caso queste si

    presentino (ad es. un colpo di vento o la necessità di una sterzata improvvisa), esse provocheranno

    la perdita del controllo del veicolo. Viceversa, se tutta l’aderenza disponibile (Alim = fa × P) è

    utilizzata in senso trasversale (Alim = At), ad esempio per percorrere una curva, non esiste una riserva

    di aderenza longitudinale (ponendo nell’equazione dell’ellisse x = ft ne segue y = 0) per compensare

    eventuali forze longitudinali. Anche in questo caso pertanto, se queste si presentano (ad es la

    necessità di una frenata improvvisa) provocheranno la perdita del controllo del veicolo.

    Ne consegue che nei calcoli (ad es. per la distanza di arresto o per l’equilibrio del veicolo in curva)

    si utilizza sempre solo una “quota parte” del coefficiente di aderenza longitudinale fl o,

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    rispettivamente, trasversale ft al fine di garantire una “riserva” di aderenza a disposizione per altre

    eventuali manovre di emergenza.

    In particolare, il D.M. 05.11.2001 ipotizza di utilizzare lo 0,9 dell’aderenza disponibile in senso

    longitudinale per l’azione di frenatura; la quota parte che rimane disponibile per compensare

    eventuali forze tangenziali si può ottenere dall’equazione dell’ellisse:

    2

    2

    2

    2

    1lt f

    yfx

    +=

    poiché si assume fa = fl = ft

    ( )2

    2

    2

    2 9.01

    a

    a

    a ff

    fx ⋅

    +=

    da cui

    ( ) 2222 19.09.0 aaa fffx ⋅=⋅−= e pertanto la quota parte x disponibile trasversalmente è pari a:

    x = 0.44 ⋅ fa

    I coefficienti di aderenza impegnabili longitudinalmente fl previsti dal D.M. 05.11.2001 per tutte le

    strade ad eccezione della categoria A (autostrade) sono riportati in tabella 1. Da essi si possono

    ricavare i coefficienti di aderenza impegnabili trasversalmente ft [~ (fl / 0.9)×0.44] previsti dallo

    stesso D.M. 05.11.2001 e riportati in tabella 2.

    Velocità km/h 25 40 60 80 100 120 140 fl (cat. B-C-D-E-F) 0,45 0.43 0.35 0.30 0.25 0.21 0.18*

    *interpolato dai valori precedenti Tabella 1 Il coefficiente di aderenza impegnabile longitudinalmente (D.M. 05.11.2001).

    Velocità km/h 25 40 60 80 100 120 140 ft (cat. A-B-C-F extraurbane) - 0,21 0,17 0,13 0,11 0,10 0,09 ft (cat. D-E-F urbane) 0,22 0,21 0,20 0,16 - - -

    Tabella 2 Il coefficiente di aderenza impegnabile trasversalmente (D.M. 05.11.2001).

    La ripartizione del coefficiente di aderenza tra la componente longitudinale e quella trasversale

    prevista dal D.M. 05.11.2001 garantisce pertanto che è sempre possibile percorrere una curva alla

    Velocità di Progetto e contemporaneamente avere una “riserva” di aderenza sufficiente per frenare

    con le modalità previste nello stesso D.M..

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    IL MOTO DEI VEICOLI STRADALI

    Le resistenze al moto

    Come già osservato, se ad una ruota motrice di un veicolo è applicato un momento motore M il cui

    corrispondente sforzo di trazione è T (T × r = M) e sulla ruota grava il peso aderente P, il

    rotolamento della ruota si avrà solo se fa × P ≥ T ≥ R ove R rappresenta l’insieme delle resistenze

    che si oppongono al moto. In particolare:

    moto uniforme (velocità costante) T = R

    moto accelerato T > R

    moto decelerato (solo se velocità iniziale > 0) T < R

    La resistenza R è data dalla somma di diverse resistenze:

    2VSkag

    PRPiPR c ⋅⋅+⋅⋅±+⋅±⋅=βμ [kg]

    Dove:

    P peso [kg]

    μ coefficiente per le resistenze al rotolamento

    i pendenza longitudinale in valore assoluto [%/100]

    V velocità [km/h]

    g accelerazione di gravità 9,81 [m/s2]

    β coefficiente per le resistenze di inerzia

    a accelerazione [m/s2]

    Rc Resistenza in curva [kg]

    In particolare, le resistenze che intervengono sono:

    Resistenza al rotolamento μP

    La resistenza al rotolamento è direttamente proporzionale al peso P ed è dovuta alla deformazione

    del pneumatico, agli slittamenti tra le due superfici ed al movimento dell’aria tra le due superfici.

    Dipende dalle condizioni del pneumatico e della pavimentazione, dalla pressione di gonfiaggio e

    cresce al crescere della velocità. Valori orientativi del coefficiente μ per le autovetture:

    μ = 0,015 [kg/kg] per V = 20 [km/h]

    μ = 0,020 [kg/kg] per V = 100 [km/h]

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    Resistenza della pendenza longitudinale iP

    La resistenza dovuta alla pendenza longitudinale è dovuta alla componente del peso P diretta nel

    verso contrario al senso del moto (in salita) con i pendenza longitudinale espressa in valore assoluto

    (sen β ≈ tg β = i). Ovviamente nel caso la componente del peso P sia diretta nel verso del moto

    (discesa) il suo contributo alle resistenze sarà negativo (ovvero si somma allo sforzo di trazione T).

    Resistenza aerodinamica dell’aria KSV2

    La resistenza che l’aria oppone all’avanzamento del veicolo è dovuta alle sovrapressioni che si

    generano di fronte al veicolo. Questa resistenza è direttamente proporzionale alla sezione maestra

    del veicolo S (~ 1,2 ÷ 2,2 m2 per le autovetture) ed alla velocità V (in km/h), attraverso un

    coefficiente K (0,0015 ÷ 0,0025 per le autovetture).

    ( ) xCgK ⋅⋅⋅⋅= ρ26.321

    dove:

    Cx coefficiente che dipende dalla forma del corpo

    ρ massa volumica dell’aria [kg/m3]

    Resistenza d’inerzia P/g β a

    Ogni variazione della velocità (accelerazione a) induce una resistenza dovuta all’inerzia a cui

    contribuisce anche la presenza di masse rotanti per tener conto delle quali è utilizzato il coefficiente

    β (1,05 ÷ 1,10). Come nel caso della pendenza longitudinale, anche questa resistenza può assumere

    un valore negativo nel caso il moto sia decelerato.

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    Resistenze addizionali in curva Rc

    Un veicolo che percorre una curva è soggetto a delle forze resistenti dovute alle deformazioni in

    senso trasversale del pneumatico ed inversamente proporzionali al raggio della curva. Tuttavia,

    questa resistenza, direttamente proporzionale al peso P attraverso il coefficiente di aderenza

    trasversale ft impegnato, per le autovetture che percorrono raggi superiori a 100m è trascurabile

    rispetto alle altre resistenze.

    Tutte le resistenze, ad eccezione di quella aerodinamica, sono proporzionali al peso P. Pertanto,

    l’Equazione delle Resistenze al Moto può essere scritta come:

    2)( VSkdtdv

    giPR c ⋅⋅+⋅⋅±+±⋅=

    βμμ [kg]

    Mentre la corrispondente Equazione Generale del Moto

    2)( VSkdtdv

    giPRT c ⋅⋅+⋅⋅±+±⋅==

    βμμ [kg]

    Le prestazioni dei veicoli stradali

    Pendenza limite all’avviamento

    La pendenza massima imax di una livelletta sulla quale un veicolo inizialmente fermo può avviarsi si

    può ricavare direttamente dall’Equazione Generale del Moto:

    2max )( VSkdt

    dvg

    PTPi c ⋅⋅−⋅++⋅−=⋅βμμ

    Da cui, trascurando il termine KVS2 poiché nelle fasi iniziali di avviamento la velocità è molto

    bassa, e ipotizzando di avviarsi in rettilineo:

    )(max dtdv

    gPTi ⋅+−= βμ

    Dall’equazione è possibile osservare che il valore di imax dipende dal massimo valore che può

    raggiungere il rapporto T/P. Questo valore può essere limitato dalla sforzo di trazione del veicolo T:

    Ad esempio:

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    autovettura: peso P = 1400 kg

    sforzo di trazione (a 20 km/h) T = 1000 kg (~10 KN)

    accelerazione a = 0,4 m/s2

    %6565.0)4.081.905.102.0(

    14001000

    max ==⋅+−=i

    Autoarticolato medio: peso P = 32000 kg

    sforzo di trazione (a 20 km/h) T = 6000 kg (~60 KN)

    accelerazione a = 0,3 m/s2

    %1212.0)3.081.906.103.0(

    320006000

    max ==⋅+−=i

    D’altra parte è necessario che lo sforzo di trazione non sia superiore alla reazione dell’aderenza

    poiché in caso contrario le ruote motrici slitterebbero senza far avanzare il veicolo (T = fa × Pa):

    )(max dtdv

    gPPf

    i aa ⋅+−⋅

    =βμ

    Assumendo un coefficiente di aderenza fa = 0,45 (pneumatico e pavimentazione in buono stato,

    pavimentazione bagnata, velocità inferiore a 40 km/h)

    autovettura: peso P = 1400 kg

    peso aderente Pa = 750 kg

    accelerazione a = 0,4 m/s2

    %1818.0)4.081.905.102.0(

    140075045.0

    max ==⋅+−⋅

    =i

    Autoarticolato medio: peso P = 32000 kg

    peso aderente Pa = 10000 kg

    accelerazione a = 0,3 m/s2

    %808.0)3.081.906.103.0(

    320001000045.0

    max ==⋅+−⋅

    =i

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    Pendenza limite a velocità costante

    La massima velocità costante che un veicolo può mantenere su una livelletta di pendenza costante o

    viceversa, la massima pendenza di una livelletta che può essere affrontata ad una velocità costante

    possono essere ricavate a partire dall’Equazione Generale del Moto:

    2max )( VSkdt

    dvg

    PTPi c ⋅⋅−⋅++⋅−=⋅βμμ

    Da cui, eliminando il termine dtdv

    gP ⋅⋅ β relativo alla resistenza di inerzia poiché la velocità è

    costante:

    μ−⋅⋅−=P

    VSkTi2

    max

    Come nel caso dell’avviamento in salita, anche in questo caso la pendenza massima dipende dallo

    sforzo di trazione T che però non può superare il limite dell’aderenza fa × Pa.

    Lo sforzo di trazione T è direttamente proporzionale alla velocità del veicolo:

    VNT 6,3⋅=

    Dove:

    T sforzo di trazione [kN]

    N potenza effettiva alla ruota [kW]

    V velocità [km/h]

    Si ricorda in proposito che la potenza [Watt] è data dal lavoro [Joule] svolto nell’unità di tempo:

    potenza [W] = lavoro [J] / tempo [s]

    Lavoro [J] = Forza [N] × Spostamento [m]

    Ad esempio:

    autovettura: peso P = 16 KN

    potenza alle ruote N = 60 KW

    velocità V = 100 km/h

    Sezione maestra S = 2,0 m2

    Coefficiente aerodinamico K = 1,8 × 10-5

    %8.8088.0025.016

    100108.10.2100

    606.3 25

    max =≅−⎟⎠⎞

    ⎜⎝⎛ ⋅⋅⋅−

    =

    i

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    Considerando invece il limite dato dal coefficiente di aderenza fa

    autovettura: peso P = 16 KN

    peso aderente Pa = 8,80 KN

    coefficiente di aderenza fa = 0,26

    velocità V = 100 km/h

    Sezione maestra S = 2,0 m2

    Coefficiente aerodinamico K = 1,8 × 10-5

    ( ) %3.9093.0025.016

    100108.10.280.826.0 25max =≅−

    ⋅⋅⋅−⋅=

    i

    Pendenze inferiori al 6,0% hanno poca influenza sulle prestazioni delle autovetture. Al contrario, i

    veicoli pesanti, che dispongono di un rapporto potenza/peso (N/P) più sfavorevole, sono fortemente

    penalizzati dalla presenza di pendenze elevate che li costringono a significativi rallentamenti.

    Allo scopo di fornire al progettista un utile strumento che consenta di valutare, sulla base del

    rapporto potenza/peso dei veicoli pesanti e della pendenza della livelletta, la massima velocità di

    marcia raggiungibile e lo spazio percorso al variare della velocità, sono disponibili (ad esempio

    nella Norma Svizzera o nel Highway Capacity Manual) degli appositi diagrammi simili a quello qui

    di seguito riportato.

    Variazione della velocità in funzione della pendenza e della lunghezza della livelletta per autocarro

    pesante (W/N = 0,83 pari a 11 CV/t)

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    LE DISTANZE DI VISIBILITA’

    Distanza di visibilità per l’arresto

    La distanza di visibilità per l’arresto è pari al minimo spazio necessario perché un conducente possa

    arrestare il veicolo in condizioni di sicurezza davanti ad un ostacolo imprevisto (definizione D.M.

    05.11.2001). Questa distanza di visibilità deve essere garantita lungo tutto lo sviluppo del tracciato.

    La distanza di visibilità per l’arresto è data dalla somma dello spazio percorso durante il tempo di

    percezione e reazione e dallo spazio percorso durante l’effettiva fase di frenatura:

    fpra stvD +⋅= [m]

    Dove:

    v velocità iniziale [m/s]

    tpr tempo di percezione e reazione [s]

    sf spazio di frenatura per passare dalla velocità iniziale v alla velocità 0 [m]

    il tempo di percezione e reazione, che rappresenta il tempo che trascorre dal momento in cui il

    conducente percepisce l’ostacolo al momento in cui è applicata l’effettiva forza frenante, dipende

    dalla velocità è può essere calcolato come:

    Vt pr ⋅−= 01.08.2 [s]

    Dove:

    V velocità [km/h]

    Lo spazio percorso durante l’azione di frenatura sf si può ricavare direttamente dall’Equazione

    Generale del Moto, considerando che non vi è lo sforzo di trazione (T=0) mentre è presente una

    resistenza aggiuntiva dovuta al momento frenante Mf.

    0)( =++⋅−+±⋅r

    MR

    dtdv

    giP fac

    βμμ

    Dove:

    Ra resistenza aerodinamica = k S V2

    Mf momento frenante

    r raggio della ruota

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    Il segno negativo della resistenza di inerzia è dovuto al fatto che tale forza, nella fase di frenatura,

    tende a far proseguire il veicolo nel suo moto e quindi si oppone alla diminuzione della velocità.

    Volendo calcolare lo spazio minimo in cui arrestare il veicolo senza che le ruote si blocchino, è

    necessario effettuare la frenatura al limite dell’aderenza. In particolare è corretto utilizzare la

    componente longitudinale fl del coefficiente di aderenza fa (vedi ellisse di aderenza):

    Pfr

    Ml

    f ⋅=

    Dove:

    Mf momento frenante

    r raggio della ruota

    fl coefficiente di aderenza longitudinale

    P peso sulla ruota

    Pertanto l’Equazione Generale del Moto in fase di frenatura può scriversi nella forma:

    0)( =++⋅−+±⋅ alc Rfdtdv

    giP βμμ

    Si può ora ricavare la decelerazione dtdv , tenendo presente che, oltre alla resistenza aerodinamica Ra,

    anche la resistenza al rotolamento μ ed il coefficiente di aderenza longitudinale fl dipendono dalla

    velocità mentre che la resistenza in curva μc per le autovetture può essere trascurata:

    ⎟⎠⎞

    ⎜⎝⎛ ++±⋅=

    PvR

    vfivgdtdv a

    l)(

    )()(μβ

    Ricordando che dtdsv = e che

    dtdva = ne consegue che:

    advvds = dv

    avds

    v

    v

    s

    ∫∫ =1

    0

    1

    0

    quindi la distanza di arresto sf a partire dalla velocità vi può essere calcolata come:

    dv

    PvRavfivg

    vsiv

    l

    f ∫⎥⎦⎤

    ⎢⎣⎡ ++±⋅

    −=0 )()()(μβ

    Il segno – è dovuto al fatto che dtdv è una decelerazione.

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    In conclusione, esprimendo la velocità v in km/h, la pendenza longitudinale i in % e trascurando il

    coefficiente β che tiene conto dell’inerzia delle masse rotanti, si ottiene la formula della distanza di

    visibilità per l’arresto riportata dal D.M. 05.11.2001:

    dV

    PVRaVfiVg

    VtV

    DV

    l

    pra ∫⎥⎦⎤

    ⎢⎣⎡ ++±⋅

    ⋅−⋅=0

    02

    0

    )()(100

    )(6.31

    6.3 μ

    Il D.M. 05.11.2001 prevede che la velocità V0 sia assunta pari alla velocità di progetto Vp desunta

    puntualmente dal diagramma della velocità.

    Il D.M. 05.11.2001 presenta una tabella ed un abaco che riportano i valori che possono essere

    utilizzati per il coefficiente di aderenza longitudinale fl per le autostrade e per tutte le altre categorie

    di strade. Tali valori sono compatibili anche con superficie stradale leggermente bagnata (spessore

    del velo idrico 0,5 mm).

    Per le autostrade sono stati adottati valori maggiori in considerazione del fatto che su tale

    categoria di strade, caratterizzati da standard geometrici elevati nonché da piani viabili di qualità,

    l’utente tende ad impegnare l’aderenza disponibile in misura maggiore. (estratto dal D.M.

    05.11.2001).

    Si sottolinea inoltre che il D.M. 05.11.2001 definisce il coefficiente fl , richiamando i concetti legati

    all’ellisse di aderenza, come:

    quota limite del coefficiente di aderenza impegnabile longitudinalmente per la frenatura.

    Figura 5.1.2.a del D.M. 05.11.2001

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    Velocità [km/h] 25 40 60 80 100 120 140 fl Autostrade - - - 0.44 0.40 0.36 0.34 fl Altre strade 0,45 0.43 0.35 0.30 0.25 0.21 -

    Tabella 1 Il coefficiente di aderenza impegnabile longitudinalmente (D.M. 05.11.2001)

    Figura 5.1.2.b del D.M. 05.11.2001 Figura 5.1.2.c del D.M. 05.11.2001

    Distanza di visibilità per il sorpasso

    La distanza di visibilità per effettuare in sicurezza una manovra di sorpasso può essere stimata sulla

    base di un modello schematico di questa manovra. In particolare, questo modello può essere di due

    tipi:

    Sorpasso in velocità: il veicolo sorpassante sopraggiunge a velocità costante e, raggiunto il veicolo

    più lento, lo sorpassa senza modificare la propria velocità poiché la strada nel senso opposto è

    libera.

    Sorpasso in accelerazione: il veicolo più veloce raggiunge il veicolo più lento ed è costretto ad

    accodarsi ad esso rallentando; quando la strada in senso opposto è libera esso inizia la manovra di

    sorpasso accelerando a partire dalla velocità del veicolo più lento.

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    Entrambi i modelli calcolano la distanza di visibilità per effettuare in sicurezza il sorpasso come

    somma della distanza percorsa dal veicolo sorpassante per effettuare la manovra di sorpasso e

    rientrare nella corsia, più la distanza percorsa nel medesimo tempo da un veicolo sopraggiungente

    in senso opposto, più una eventuale ulteriore distanza di sicurezza.

    Il modello utilizzato dal D.M. 05.11.2001 prevede un sorpasso in velocità ed ipotizza che il veicolo

    sorpassante e quello proveniente in senso opposto viaggino alla stessa velocità v:

    ( )321314321 tttvtvvll

    vtvddddD bas ++⋅+⋅+Δ+

    ⋅+⋅=+++=

    Dove:

    v velocità del veicolo sorpassante [m/s]

    t1 tempo necessario per effettuare il cambio corsia: 4 secondi

    t2 vll

    t baΔ+

    =2 tempo necessario per sopravanzare il veicolo sorpassato: 2 secondi

    t3 tempo necessario per effettuare la manovra di rientro: 4 secondi

    la lunghezza del veicolo sorpassante

    lb lunghezza del veicolo sorpassato

    Δv differenza di velocità tra il veicolo sorpassante ed il veicolo sorpassato

    Il tempo t2 è assunto pari a 2 secondi in considerazione del fatto che se lb è grande (veicolo pesante)

    è ragionevole presumere che anche Δv sia grande. Per esempio:

    due autovetture la = lb = 5 m ; Δv = 5 m/s (18 km/h) si ottiene t2 = 2 secondi

    autovettura la = 5 m ; mezzo pesante lb = 15 m ; Δv = 10 m/s (36 km/h) si ottiene t2 = 2 secondi

    Pertanto la distanza di visibilità per il sorpasso si può assumere pari a:

    ( ) 5.520424424 ⋅≅⋅=++⋅+⋅+⋅+⋅= VvvvvvDs

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    Dove:

    v velocità del veicolo sorpassante [m/s]

    V velocità del veicolo sorpassante [km/h]

    Il D.M. 05.11.2001 prevede che la velocità V sia assunta pari alla velocità di progetto Vp desunta

    puntualmente dal diagramma della velocità.

    Distanza di visibilità per la manovra di cambiamento di corsia

    La distanza di visibilità per la manovra di cambiamento di corsia serve per garantire all’utente la

    necessaria visuale libera per il passaggio da una corsia a quella adiacente in corrispondenza di punti

    singolari del tracciato quali incroci, deviazioni, piste di uscita, ecc… Tale distanza di visibilità deve

    essere garantita in presenza di più corsie per senso di marcia e permette all’utente che viaggia in

    corsia di sorpasso di vedere con un adeguato preavviso la situazione particolare (ad esempio l’uscita

    di uno svincolo a livelli sfalsati) in modo da poter rientrare nella corsia di marcia prima di compiere

    la manovra appropriata (ad esempio affrontare l’uscita). Si calcola come somma di un tempo

    psicotecnico, necessario a percepire e riconoscere la situazione che può essere anche complessa (ad

    esempio la lettura di segnaletica di indicazione), pari a 5 secondi, e di un tempo necessario a

    compiere l’effettiva manovra di cambiamento corsia, pari a 4,5 secondi. Pertanto, la distanza di

    visibilità per la manovra di cambiamento di corsia richiesta dal D.M. 05.11.2001 è pari a:

    Dc = 9,5 × v = 2,6 × V

    Dove:

    v velocità del veicolo sorpassante [m/s]

    V velocità del veicolo sorpassante [km/h]

    Il D.M. 05.11.2001 prevede che la velocità V sia assunta pari alla velocità di progetto Vp desunta

    puntualmente dal diagramma della velocità.

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    L’EQUILIBRIO DI UN VEICOLO IN CURVA

    Velocità limite di sbandamento

    Un veicolo di peso P che percorre una traiettoria circolare, di raggio R, a velocità costante v è

    soggetto ad una forza centrifuga pari a Rv

    gPFc

    2

    ⋅= .

    In questo caso interviene la reazione di aderenza trasversale. Infatti, se non essa non si sviluppasse

    tra pneumatico e pavimentazione il veicolo sarebbe spinto dalla forza centrifuga verso l’esterno

    della curva. Pertanto, affinché ciò non avvenga, è necessario che la forza centrifuga Fc non sia

    superiore alla massima reazione di aderenza che dipende dal coefficiente di aderenza trasversale ft

    (ellisse di aderenza), poiché la forza è trasversale rispetto alla direzione del moto della ruota.

    ft × P ≥ Fc

    Pertanto, la velocità limite di sbandamento è pari a:

    tsb fRgv ⋅⋅=lim

    Velocità limite di ribaltamento

    La forza centrifuga è applicata al baricentro del veicolo mentre la reazione di aderenza è applicata

    nel punto di contatto pneumatico – pavimentazione. Pertanto, il veicolo è soggetto ad un momento

    Mr che tende a ribaltare il veicolo a cui si oppone la forza peso P. Al limite del ribaltamento vale:

    2DPhFM cr ⋅=⋅=

    Dove:

    h altezza del baricentro del veicolo dal piano viabile

    D Distanza trasversale tra i due pneumatici

    Pertanto:

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    Rgh

    Dv ri ⋅⋅= 2lim

    Confrontando le due velocità limite si nota che esse sono uguali per h

    Dft 2= ; tuttavia le autovetture

    moderne presentano un baricentro molto basso e per esse si può assumere D ≈ 2h da cui ne segue

    che vlim-ri = vlim-sb per ft = 1. Poiché tale valore del coefficiente di attrito trasversale non è

    raggiungibile, ne consegue che vale sempre vlim-ri > vlim-sb e pertanto un autovettura normalmente

    sbanda prima di ribaltarsi.

    La sopraelevazione trasversale

    Le due velocità limite sono state calcolate presupponendo il piano viabile orizzontale. In realtà, per

    aumentare la velocità in curva o, a parità di velocità, per diminuire la quota parte di forza centrifuga

    compensata dalla reazione dell’aderenza, è possibile sopraelevare il piano viabile rialzando il ciglio

    esterno della pavimentazione. In tal modo la componente della forza peso P parallela al piano si

    oppone alla componente della forza centrifuga parallela al piano.

    Le forze P e Fc che agiscono su un veicolo che percorre a velocità costante una curva circolare di

    raggio R e con una sopraelevazione α possono scomporsi nelle due componenti parallela e

    perpendicolare al piano viabile. L’equazione di equilibrio nella direzione parallela al piano può

    quindi scriversi come:

    ( )αααα senFPfsenPF ctc ⋅+⋅⋅=⋅−⋅ coscos

    Sostituendo Rv

    gPFc

    2

    ⋅= e semplificando il peso P si ottiene:

    ⎟⎟⎠

    ⎞⎜⎜⎝

    ⎛⋅+⋅=−⋅ αααα sen

    gRvfsen

    gRv

    t

    22

    coscos

    Ovvero, dividendo tutto per cosα:

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    29

    ⎟⎟⎠

    ⎞⎜⎜⎝

    ⎛⋅+⋅=− αα tg

    gRvftg

    gRv

    t

    22

    1

    Trascurando il termine αtggRv

    ⋅2

    poiché molto piccolo rispetto all’unità (l’angolo α assume valori

    modesti nella progettazione stradale):

    )(2

    αtgfgRv

    t +⋅=

    Esprimendo le velocità in km/h (v × 3,6 = V), assumendo g = 9,81 m/s2 e ponendo tgα ≈ q poiché α

    è molto piccolo, si ottiene:

    )(1272

    qfR

    Vt +⋅=

    Questa equazione rappresenta la relazione che lega V, R, q ed ft al limite dello sbandamento ed è

    utilizzata dal D.M. 05.11.2001.

    L’equazione proposta, ottenuta sulla base di un modello teorico semplificato, consente la

    determinazione della velocità di percorrenza V di una curva di raggio R e pendenza trasversale q, in

    funzione del coefficiente di aderenza trasversale ft adottato. Come è già stato esposto ai paragrafi

    precedenti, il valore ft può variare sensibilmente in funzione delle modalità con le quali è stato

    valutato che, peraltro, non corrispondono mai alle reali condizioni di esercizio di un veicolo.

    Pertanto, la velocità che si ottiene da tale equazione è una velocità teorica che dipende sia dalle

    modalità di valutazione di ft che dal coefficiente di sicurezza adottato per questa valutazione.

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    30

    LA VELOCITA’ OPERATIVA

    Le velocità istantanee dei singoli veicoli su una sezione stradale non sono tutte uguali ma seguono

    una distribuzione normale. L’andamento di tale distribuzione è ovviamente influenzato da

    molteplici fattori e può variare sensibilmente in funzione delle condizioni ambientali, del traffico

    presente e della sua composizione nel periodo di osservazione. Tutti questi fattori influenzano

    infatti il guidatore nella scelta della velocità che avviene sulla base di una valutazione soggettiva del

    livello di rischio in funzione della situazione “percepita”. Tuttavia, esiste una velocità che, in

    assenza di condizionamenti esterni, cioè quando il guidatore non è condizionato dalla presenza di

    altri veicoli (sia nel proprio senso di marcia che in quello opposto) né dalle condizioni ambientali

    (pioggia, neve, nebbia, ecc…) egli ritiene adeguata in base alle sole condizioni geometriche del

    tracciato e, più in generale, dell’ambiente stradale (distanza di visibilità disponibile, ostacoli laterali,

    orografia, ecc..). Ovviamente, tale velocità varia da guidatore a guidatore, in base alla capacità

    sensoriale (vista, udito), alla propensione al rischio, all’aggressività, alla fretta, alla stanchezza, e a

    tutte le altre capacità o condizioni emotive che caratterizzano un soggetto. Anche la distribuzione su

    una sezione stradale di queste velocità “desiderate” segue un andamento normale. E’ quindi

    possibile identificare un indicatore proprio della loro distribuzione che le “rappresenti”.

    L’indicatore utilizzato per rappresentare tale distribuzione in campo stradale è l’85° percentile,

    ovvero il valore della velocità al di sotto del quale rimangono l’85% delle velocità osservate. In

    pratica, scegliendo tale indicatore solo il 15% dei veicoli è più veloce della velocità presa a

    riferimento della distribuzione. L’85° percentile delle velocità osservate sulla sezione è detta

    velocità operativa e rappresenta il indicatore internazionalmente riconosciuto per rappresentare la

    “reale” velocità tenuta dai veicoli su una sezione stradale in condizioni di flusso libero.

    Così come le velocità dei singoli utenti dipendono dalle caratteristiche geometriche della strada,

    anche la velocità operativa , che “rappresenta” la loro distribuzione, dipende da esse. In particolare,

    è possibile individuare delle relazioni tra la velocità operativa e le caratteristiche geometriche

    dell’elemento (curva o rettifilo) su cui è stata rilevata. Tali relazioni sono di natura empirica poiché

    si ricavano mediante un’analisi statistica (analisi di regressione) condotta sulle velocità operative e

    le caratteristiche geometriche di un campione di siti opportunamente scelto e quindi hanno validità

    solo in condizioni analoghe a quelle in cui è stato raccolto il campione di dati (categoria della

    strada, strada urbana o extraurbana, numero di corsie per senso di marcia, rettifilo o curva, ecc…).

    Tuttavia, il loro utilizzo è estremamente utile poiché, se utilizzate correttamente, permettono di

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    31

    stimare il valore della velocità operativa, ovvero della reale velocità tenuta dagli utenti, in base alle

    sole variabili geometriche della strada.

    Nel caso di una curva circolare (il caso più studiato) la variabile che ha la maggior influenza sulla

    velocità operativa è il raggio, sebbene anche altre variabili presentano una correlazione significativa

    con la velocità operativa (tra cui: lunghezza della curva, larghezza della piattaforma, velocità di

    avvicinamento, distanza di visibilità disponibile, ecc…).

    Figura La velocità operativa in curva in funzione del raggio per le strade extraurbane secondarie

    (60 siti - R2 = 0.80) (Perco, 2006); La velocità ambientale in funzione del CCR per le

    strade extraurbane secondarie (11 siti - R2 = 0.85) (Crisman, Marchionna, Perco, Robba,

    Roberti, 2005).

    Nel caso dei lunghi rettifili, ovvero quelli per i quali la lunghezza è tale da consentire al guidatore di

    raggiungere e mantenere una velocità costante, la velocità operativa, detta in questo caso velocità

    ambientale, dipende principalmente dal CCR (Curvature Change Rate) del tronco di strada

    omogeneo, ovvero con simili caratteristiche geometriche lungo tutto il suo sviluppo, a cui il rettifilo

    appartiene. Il CCR rappresenta la “tortuosità” del tracciato ed è ottenuto dal rapporto tra la somma

    degli angoli di deviazione delle curve del tratto e la lunghezza del tratto stesso (∑gon/m). Anche in

    questo caso vi sono altre variabili che influiscono sulla velocità operativa (tra cui: larghezza della

    piattaforma, distanza di visibilità disponibile, ecc…).

    Questo approccio di tipo sperimentale, produce delle relazioni tra la velocità operativa e una o più

    variabili geometriche della curva, che sono un’interessante alternativa all’equazione di equilibrio

    del veicolo in curva ottenuta dal modello teorico semplificato presentata nel precedente paragrafo.

    Numerose norme hanno adottato relazioni di questo tipo e le hanno poste a base di modelli più o

    meno complessi, per legare la velocità di percorrenza alle caratteristiche geometriche del tracciato.

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    32

    LA PROGETTAZIONE DELL’ASSE DELLA STRADA

    La progettazione della linea d’asse di una strada si realizza studiando separatamente l’andamento

    planimetrico (o tracciato orizzontale) e l’andamento altimetrico (o profilo longitudinale).

    L’andamento planimetrico é la proiezione dell’asse della strada sul piano orizzontale.

    L’andamento altimetrico è la linea piana in cui si trasforma l’asse stradale disegnato su una

    superficie cilindrica a generatrici verticali avente come direttrice il tracciato orizzontale. Insieme

    all’andamento altimetrico si rappresenta l’intersezione della superficie cilindrica con il terreno.

    Sebbene questi due andamenti siano studiati separatamente essi concorrono a creare un’unica linea

    d’asse tridimensionale che si sviluppa nello spazio e devono pertanto essere adeguatamente

    coordinati e compatibili. Inoltre, il progetto dell’andamento planimetrico, che è il primo ad essere

    sviluppato, deve essere affrontato valutando da subito le conseguenze che esso avrà sul successivo

    andamento altimetrico. Infatti, un andamento planimetrico sviluppato senza considerare l’altimetria

    del territorio attraversato può non consentire la sovrapposizione di un accettabile andamento

    altimetrico.

    In generale, per le strade ad unica carreggiata si assume come linea d’asse proprio l’asse della

    carreggiata (che nella pratica è rappresentato dalla linea bianca di mezzeria). Nelle strade a due

    carreggiate complanari e ad un’unica piattaforma l’asse si colloca a metà del margine interno. Negli

    altri casi occorre considerare due assi distinti.

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    33

    ANDAMENTO PLANIMETRICO DELL’ASSE

    Il tracciato planimetrico è costituito da una successione di elementi geometrici che possono essere

    di tre tipi: rettifili, curve circolari, raccordi a raggio variabile. Tra due elementi a raggio costante

    (curva circolare o rettifilo) è necessario inserire un raccordo a raggio variabile lungo il quale si

    ottiene la graduale modifica della piattaforma stradale cioè della pendenza trasversale e della

    larghezza.

    Le definizione degli elementi costituenti il tracciato planimetrico è connessa soprattutto a esigenze

    di sicurezza della circolazione. Tale definizione riguarda sia il singolo elemento geometrico (ad

    esempio il raggio di una curva circolare o la lunghezza di un rettifilo), sia la sequenza di due

    elementi geometrici che si susseguono lungo il tracciato (ad esempio il raggio della curva che segue

    un rettifilo in funzione della lunghezza di quest’ultimo). Infatti, le caratteristiche geometriche degli

    elementi del tracciato planimetrico influiscono in modo significativo sulla velocità di percorrenza e

    quindi, sulla sicurezza della circolazione. Al contrario, numerose ricerche hanno dimostrato che

    l’andamento altimetrico non ha un’influenza significativa sulla velocità fino a che le pendenze non

    superano valori del ±5÷6 %. Poiché le caratteristiche geometriche degli elementi planimetrici

    influenzano la velocità di percorrenza, è logico porre a base della progettazione di questi elementi

    una velocità da assumere quale riferimento per le scelte progettuali. In tal modo è possibile

    garantire che tutti gli elementi del tracciato siano dimensionati coerentemente con questa velocità e

    che le sue variazioni lungo il tracciato non presentino pericolose incongruenze. Questa velocità di

    riferimento prende il nome di Velocità di Progetto nel D.M. 05.11.2001.

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    34

    La velocità di progetto

    Il D.M. 05.11.2001, conformemente a quanto previsto dall’art. 2 D.Lgs. n.285/1992 e s.m.i. (Codice

    della Strada), classifica le strade, per quanto riguarda le loro caratteristiche costruttive, tecniche e

    funzionali, nelle seguenti categorie:

    A - Autostrade (extraurbane ed urbane) B - Strade extraurbane principali C - Strade extraurbane secondarie D - Strade urbane di scorrimento E - Strade urbane di quartiere F - Strade locali (extraurbane ed urbane)

    Per ogni categoria il D.M. 05.11.2001 indica un Intervallo della Velocità di Progetto Vp che

    definisce il campo dei valori della velocità in base ai quali devono essere definite le caratteristiche

    dei vari elementi planimetrici (rettifili, curve circolari, curve a raggio variabile) ed altimetrici

    (livellette, raccordi verticali) del tracciato della strada.

    La Velocità di Progetto Vp può essere definita come la massima velocità con la quale un veicolo

    isolato può percorrere un elemento geometrico planimetrico (curva), in assenza di condizionamenti

    dovuti al traffico e in buone condizioni metereologiche, quando la velocità è limitata dalle sole

    caratteristiche geometriche dell’elemento stesso.

    Il limite superiore dell’intervallo, detto Massima Velocità di Progetto Vp max, è il limite di

    riferimento per la progettazione degli elementi meno vincolanti del tracciato (rettifili, curve di

    grande raggio) ed è pari alla velocità massima consentita dal D.Lgs. n.285/1992 e s.m.i. (Codice

    della Strada) per quella categoria di strada (limiti generali di velocità) aumentata di 10 km/h.

    Il limite inferiore dell’intervallo, detto Minima Velocità di Progetto Vp min, è il limite di riferimento

    per la progettazione degli elementi plano-altimetrici più vincolanti. In particolare, la minima

    velocità di progetto definisce il Minimo Raggio Planimetrico Rmin che può essere utilizzato per la

    categoria di strada prescelta. Il valore di questo raggio influisce direttamente sull’inseribilità del

    tracciato nell’ambiente da attraversare poiché più esso è piccolo, più il tracciato può essere

    plasmato per seguire la naturale conformazione del territorio ed evitarne i vincoli esistenti. D’altro

    canto, più il tracciato è tortuoso, meno si adatta a flussi di traffico elevati ed a spostamenti di lunga

    percorrenza, che prevedono alte velocità di marcia. Per tale ragione al diminuire della funzione

    della strada diminuisce il limite inferiore dell’intervallo della Velocità di Progetto e quindi

    diminuisce anche il raggio minimo.

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    Il rettifilo

    La lunghezza di un rettifilo deve essere limitata poiché lunghezze eccessive hanno conseguenze

    negative sulla sicurezza della circolazione. Infatti, lungo un rettifilo il guidatore è soggetto ad un

    basso carico di lavoro (workload) e pertanto l’effetto di monotonia che ne consegue porta ad un

    aumento progressivo della velocità e ad una diminuzione dell’attenzione. Inoltre, in rettifilo il

    guidatore valuta con maggiore difficoltà le distanze e la velocità di un veicolo in avvicinamento.

    Infine lungo il rettifilo si pone il problema dell’abbagliamento durante la guida notturna. Per tutte

    queste ragioni il D.M. 05.11.2001 limita la lunghezza del rettifilo a:

    Lp = 22 × Vp max

    Dove:

    Vp max limite superiore dell’intervallo della velocità di progetto della strada [km/h]

    Il D.M. 05.11.2001 richiede anche una lunghezza minima per un rettifilo affinché possa essere

    percepito come tale dall’utente. La lunghezza minima si desume dalla seguente tabella; la velocità è

    la massima raggiunta sul rettifilo considerato desunta dal diagramma di velocità.

    Velocità [km/h] 40 50 60 70 80 90 100 110 120 130 140

    Lunghezza minima [m] 30 40 50 65 90 115 150 190 250 300 360

    Tabella 1 La lunghezza minima del rettifilo in funzione della massima velocità su di esso

    raggiunta (D.M. 05.11.2001).

    La curva circolare

    Il parametro geometrico che caratterizza le curve circolari è il raggio di curvatura R. Il raggio è

    l’elemento geometrico che maggiormente condiziona la velocità e, di conseguenza, la sicurezza

    della circolazione. Il legame tra raggio e velocità sarà analizzato ai paragrafi successivi. Il secondo

    parametro geometrico importante per la curva circolare è lo sviluppo dell’arco di cerchio. Infatti,

    affinché la curva possa essere correttamente percepita è necessario che l’arco presenti uno sviluppo

    Lc maggiore dello sviluppo minimo Lc min che il D.M. 05.11.2001 fissa pari alla distanza percorsa in

    2,5 secondi alla velocità di progetto della curva:

    Lc ≥ Lc min = 2,5 × vp

    Dove:

    vp velocità di progetto della curva [m/s]

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    I criteri di composizione dell’asse stradale

    Il D.M. 05.11.2001 riporta alcuni criteri di composizione dell’asse stradale che regolano la

    sequenza con la quale elementi geometrici diversi possono essere accostati. Tali criteri sono

    necessari per evitare che la successione di elementi caratterizzati da velocità di percorrenza

    sensibilmente diverse richieda riduzioni di velocità non compatibili con la normale condotta di

    guida. Infatti, gli elementi caratterizzati da un’elevata velocità di approccio rispetto alla propria

    velocità di percorrenza sono caratterizzate da un’elevata incidentalità. Il caso più evidente è quello

    della curva di piccolo raggio che segue un lungo rettifilo sui cui possono essere raggiunte velocità

    elevate. Proprio per evitare il verificarsi di tale condizione il D.M. 05.11.2001 stabilisce, per la

    sequenza rettifilo-curva, una relazione tra la lunghezza del rettifilo LR ed il raggio R della curva:

    R > LR per LR < 300 m

    R ≥ 400 m per LR ≥ 300 m

    Per limitare la variazione di velocità tra due elementi successivi, nonché per promuovere

    un’adeguata regolarità del tracciato, il D.M. 05.11.2001 stabilisce una relazione tra i raggi R1 ed R2

    di due curve circolari che, con l’inserimento di un raccordo a raggio variabile, si susseguono lungo

    il tracciato di strade di categoria A, B, C, D, F extraurbane. Tale relazione si deduce dalla seguente

    figura. Il rapporto tra i raggi R1 e R2 deve collocarsi nella zona “buona” dell’abaco per le strade di

    categoria A e B, mentre può collocarsi anche nella zona “accettabile” per le strade di categoria C, D

    ed F extraurbane.

    Figura figura 5.2.2.a (D.M. 05.11.2001)

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    Il legame VP – R – q

    Il D.M. 05.11.2001 utilizza l’equazione di equilibrio del veicolo in curva per stabilire il legame tra

    le grandezze geometriche che intervengono nel dimensionamento della curva planimetrica, ovvero:

    la Velocità di progetto Vp, il raggio R e la pendenza trasversale q:

    )(1272

    qfR

    Vt +⋅= eq. (1)

    In particolare, tale equazione trova applicazione per il calcolo del raggio minimo Rmin.

    Il D.M. 05.11.2001 fornisce due abachi che legano Vp, R e q:

    Figura 5.2.4.a del D.M. 05.11.2001

    Figura 5.2.4.b del D.M. 05.11.2001

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    L’utilizzo di questi abachi, realizzati in scala bilogaritmica, avviene procedendo nel modo di

    seguito descritto:

    1. In funzione della categoria di strada, e quindi della minima velocità di progetto Vp min e della

    massima velocità di progetto Vp max, si individua la curva da utilizzare.

    2. Nel tratto compreso tra Rmin ed R*, la pendenza trasversale rimane costante, verso l’interno della

    curva, pari alla massima pendenza trasversale qmax ammessa per la categoria di strada prescelta;

    Si utilizza l’equazione (1) per calcolare la relativa velocità di progetto Vp che in questo

    intervallo passa da Vp min (per Rmin) a Vp max (per R*).

    3. Per raggi superiori a R* la velocità di progetto non può più aumentare, essendo stato raggiunto il

    limite superiore dell’intervallo della velocità di progetto Vp max; pertanto tra R* e R2,5 al crescere

    del raggio cala la pendenza trasversale fino ad arrivare allo 0,025 verso l’interno della curva in

    corrispondenza di R2,5.

    4. Per raggi superiori a R2,5, ormai fuori dall’abaco, e fino al valore di R’ (tabellati nel D.M.

    05.11.2001), la pendenza rimane costante, pari allo 0,025 sempre verso l’interno della curva.

    5. Per raggi superiori a R’ può essere mantenuta la sagoma della piattaforma presente in rettifilo,

    cioè può essere mantenuta per la corsia esterna una pendenza dello 0,025 verso l’esterno della

    curva.

    L’utilizzo dell’equazione (1) e le modalità con le quali questi abachi sono stati ottenuti sono esposte

    nei successivi paragrafi.

    La pendenza trasversale q

    La pendenza trasversale in rettifilo nasce dall’esigenza di allontanamento dell’acqua meteorica dalla

    piattaforma stradale. A seconda della categoria di strada il D.M. 05.11.2001 adotta per la

    piattaforma stradale le sistemazioni riportate in figura 5.2.3.a.

    STRADE TIPO PIATTAFORMA PENDENZE TRASVERSALI A, B, Da due o piu' corsie per carreggiata

    Ea quattro corsie

    altre strade

    Figura 5.2.3.A del D.M. 05.11.2001

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    Indipendentemente dal tipo di strada, la pendenza minima delle falde della piattaforma, qmin, è dello

    0,025 (2,5%). Valori inferiori sono utilizzati, con gli accorgimenti previsti nel D.M. 05.11.2001,

    solo nei tratti di transizione tra elementi di tracciato caratterizzati da diverse pendenze trasversali

    (es. rettifilo-curva).

    In curva la piattaforma è inclinata verso l’interno e la pendenza è la stessa su tutto l’arco di cerchio.

    Solo nel caso il raggio sia maggiore al valore R’, riportato in tabella, è possibile mantenere la

    sagoma in contropendenza, come in rettifilo.

    Categoria strada

    A B C F extraurbane

    D E F urbane

    R’ [m] 10250 7500 5250 2000 1150

    TABELLA 1 (D.M. 05.11.2001)

    Il D.M. 05.11.2001 fissa il valore massimo della pendenza trasversale qmax in funzione della

    categoria della strada:

    Strade categoria A, B, C, F extraurbane e relative strade di servizio qmax = 0,070

    Strade categoria D qmax = 0,050

    Strade categoria E, F urbane qmax = 0,035

    Nel caso le strade siano soggette a frequente innevamento il D.M. 05.11.2001 richiede di limitare la

    pendenza trasversale massima qmax allo 0,06.

    La pendenza trasversale massima qmax si utilizza nell’intervallo tra Rmin e R*. Per raggi superiori a

    R* la pendenza trasversale q diminuisce al crescere del raggio secondo una legge che sarà esposta

    nei prossimi paragrafi.

    La scelta di una pendenza trasversale massima qmax minore per le strade urbane rispetto a quelle

    extraurbane è dovuta al fatto che al margine delle strade urbane possono essere presenti edifici,

    marciapiedi, accessi carrai ecc…Di conseguenza, una eccessiva differenza di quota tra i due lati

    della strada potrebbe comportare difficoltà di inserimento della strada nell’ambiente attraversato.

    La pendenza massima qmax pari allo 0,07 deriva dalla condizione di equilibrio di un veicolo fermo in

    curva in condizioni di bassa aderenza trasversale (es. presenza di ghiaccio). In questo caso infatti la

    forza centrifuga Fc è nulla e quindi, per evitare che il veicolo scivoli verso l’interno, tutta la

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    40

    componente della forza peso P parallela al piano viabile deve essere compensata dalla reazione di

    aderenza:

    αα cos⋅⋅=⋅ PfsenP t

    Ovvero:

    αtgf t =

    In tale situazione si è ritenuto adeguato un coefficiente di aderenza trasversale ft = 0,07, che

    corrisponde all’aderenza disponibile nelle peggiori condizioni (es. ghiaccio).

    Il coefficiente di aderenza trasversale ft

    Il D.M. 05.11.2001 presenta una tabella con il coefficiente di aderenza trasversale da utilizzare

    nell’equazione (1) in funzione della velocità e della categoria della strada. Lo stesso D.M. definisce

    il coefficiente ft, richiamando i concetti legati all’ellisse di aderenza, come: quota parte del

    coefficiente di aderenza impegnato trasversalmente

    In particolare il testo riporta (estratto dal D.M. 05.11.2001):

    Per quanto riguarda la quota limite del coefficiente di aderenza impegnabile trasversalmente ft

    max, valgono i valori di seguito riportati. Tali valori tengono conto, per ragioni di sicurezza, che

    una quota parte dell’aderenza possa essere impegnata anche longitudinalmente in curva.

    Velocità km/h 25 40 60 80 100 120 140 aderenza trasv. max imp. ft max per strade tipo A, B, C, F extra urbane, e relative strade di servizio

    - 0,21 0,17 0,13 0,11 0,10 0,09

    aderenza trasv. max imp. ft max per strade tipo D, E, F urbane, e relative strade di servizio

    0,22 0,21 0,20 0,16 - - -

    TABELLA 2 coefficiente di aderenza impegnabile trasversalmente (D.M. 05.11.2001)

    Per le velocità intermedie fra quelle indicate si provvede all’interpolazione lineare.

    L’equazione (1), e quindi i coefficienti ft riportati in questa tabella, sono utilizzati per calcolare il

    valore del raggio in funzione della velocità di progetto Vp nell’intervallo tra Rmin e R*. Per raggi

    superiori a R* l’impegno di aderenza trasversale diminuisce al crescere del raggio e non valgono

    più i coefficienti ft tabellati.

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    41

    Il raggio minimo Rmin

    Il D.M. 05.11.2001 fissa, per ogni categoria di strada, un intervallo della velocità di progetto Vp.

    Pertanto, per ogni categoria di strada è possibile calcolare il Raggio Minimo Rmin con l’equazione

    (1) utilizzando la minima velocità di progetto Vp min, la massima pendenza trasversale qmax della

    categoria di strada prescelta ed il coefficiente trasversale ft corrispondente a Vp min desunto dalla

    tabella 2 riportata nello stesso D.M..

    )(127 maxlimmaxmin

    2min qf

    RV

    imptp +⋅=

    Per esempio, per una strada di categoria C2:

    Vp min = 60 km/h

    ft max lim imp = 0,17

    qmax = 0,07

    da cui ne segue che ( ) mR 11807.017.0127602

    min =+⋅=

    Il raggio minimo R* per la massima velocità di progetto Vmax

    Il raggio R* è il minimo raggio planimetrico che può essere percorso alla massima velocità di

    progetto Vmax. Per ogni categoria di strada è possibile calcolare il R* con l’equazione (1) utilizzando

    la massima velocità di progetto Vp max, la massima pendenza trasversale qmax della categoria di strada

    prescelta ed il coefficiente trasversale ft corrispondente a Vp max desunto dalla tabella 2 riportata

    nello stesso D.M.

    )(127* maxlimmax

    2max qf

    RV

    imptp +⋅=

    Per esempio, per una strada di categoria C2:

    Vp min = 100 km/h

    ft max lim imp = 0,11

    qmax = 0,07

    da cui ne segue che ( ) mR 43707.011.01271002

    min =+⋅=

    Per un valore R del raggio compreso tra Rmin e R* (Rmin ≤ R < R*), la pendenza trasversale rimane

    constante e pari a qmax, mentre variano la velocità di progetto Vp, tra Vp min e Vp max, ed il coefficiente

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    di aderenza trasversale limite impegnabile ft in funzione di Vp secondo la tabella 2. In questo

    intervallo del raggio il legame tra queste variabili è rappresentato dall’equazione (1).

    Il raggio R2,5

    Il D.M. 05.11.2001 definisce il raggio R2,5 come il raggio per il quale la pendenza trasversale q è

    pari allo 0,025 inclinata verso l’interno della curva. Il raggio R2,5 varia in funzione della Vp max della

    categoria di strada e può essere calcolato come:

    R2,5 = R* × 5

    Tale rapporto deriva dalle considerazioni che saranno affrontate nei prossimi paragrafi.

    Per valori del raggio R compresi tra R2,5 ed R’ (R2,5 ≤ R < R’) la pendenza rimane costante, pari allo

    0,025 verso l’interno della curva.

    Variazione della pendenza q tra R* e R2,5

    Per raggi maggiori di R* la velocità di progetto Vp rimane costante, pari alla Vp max, mentre cala la

    pendenza trasversale q, che passa dalla qmax alla qmin (0,025). Tale riduzione della pendenza

    trasversale avviene imponendo un aumento relativo della accelerazione centrifuga compensata dalla

    sopraelevazione rispetto a quella compensata dall’aderenza trasversale.

    L’accelerazione centrifuga R

    V 2 dell’equazione (1) si può scomporre nelle due componenti

    compensate rispettivamente dalla pendenza trasversale q e dall’aderenza trasversale ft, dette z e w:

    )(1272

    qfR

    Vt +⋅= eq. (1)

    Da cui

    1127127)(1271 222 =+=⋅⋅+⋅⋅=+⋅⋅= zwqVRf

    VRqf

    VR

    tt

    Dove:

    tfVRw ⋅⋅= 2127 componente dell’accelerazione centrifuga compensate dall’aderenza

    qVRz ⋅⋅= 2127 componente dell’accelerazione centrifuga compensate dalla sopraelevazione

    Il D.M. 05.11.2001 ricava il valore del raggio R2,5 imponendo che il rapporto tra la frazione di

    accelerazione centrifuga compensata dalla pendenza trasversale in corrispondenza di R2,5 e la

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    frazione di accelerazione centrifuga compensata dalla pendenza trasversale in corrispondenza di R*

    sia uguale a 1,785 cioè:

    785,1070,0

    *127

    025,0127

    2

    25,2

    0,7

    5,2 =⋅⋅

    ⋅⋅=

    VRVR

    zz

    Da cui si ottiene il rapporto già visto:

    *0,55,2 RR ⋅=

    Il D.M. 05.11.2001 impone per z una variazione crescente del tipo: nRkz ⋅= con 0 < n < 1

    Imporre una funzione crescente per z all’aumentare del raggio significa imporre, a velocità V

    costante, un aumento relativo di z rispetto a w, e quindi dall’accelerazione compensata dalla

    pendenza trasversale rispetto a quella compensata dall’aderenza.

    Sostituendo questa funzione nell’equazione di z si ottiene:

    12

    1127 −⋅=⋅⋅ nRkqV

    eq. (2)

    Si nota immediatamente che deve valere:

    n < 1 perché (n-1) deve essere negativo poiché all’aumentare di R, q decresce per V costante

    n > 0 poiché nRkz ⋅= deve essere una quantità crescente per l’ipotesi che z (R2,5) > z (R*),

    cioè che la quota parte di accelerazione centrifuga compensata dalla pendenza deve

    crescere rispetto a quella compensata dall’aderenza (vale z + w = 1 costante)

    L’equazione (2) può essere scritta come:

    ( ) RnVkq log1127

    loglog2

    ⋅−+⎟⎟⎠

    ⎞⎜⎜⎝

    ⎛ ⋅=

    Ovvero:

    Rbaq loglog ⋅+=

    Che è l’equazione di una retta nel piano bilogaritmico R-q

    Il coefficiente angolare b = (n-1) si ottiene calcolando la retta, per ogni Vp max, nei due punti

    (R*;qmax) e (R2,5;qmin):

    *loglogloglog

    15,2

    maxmin

    RRqq

    n−−

    =−

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    Sostituendo i valori nell’equazione si ottiene:

    n - 1 = - 0,64 → n = 0,36 per tutti i valori di Vp max cioè le rette sono tutte parallele

    Il termine k si calcola dall’equazione (2)

    1max2

    max

    *1127 −⋅=⋅⋅ np

    RkqV

    Da cui si ottiene, per le categorie di strade previste dal D.M. 05.11.2001:

    Vp max = 60 km/h - qmax = 0,035 – R* = 121 m k = 0,0266

    Vp max = 80 km/h - qmax = 0,050 – R* = 240 m k = 0,0331

    Vp max = 100 km/h - qmax = 0,070 – R* = 437 m k = 0,0435

    Vp max = 120 km/h - qmax = 0,070 – R* = 667 m k = 0,0396

    Vp max = 140 km/h - qmax = 0,070 – R* = 964 m k = 0,0368

    Calcolando anche il termine costante ⎟⎟⎠

    ⎞⎜⎜⎝

    ⎛ ⋅=

    127log

    2Vkb è possibile tracciare nel piano bilogaritmico

    R-q le rette tra R* e R2,5 per ogni Vp max . Tali rette sono quelle riportate negli abachi di Figura

    5.2.4.a e 5.2.4.b del D.M. 05.11.2001.

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    LE CURVE A RAGGIO VARIABILE

    Nel passaggio tra due elementi caratterizzati da una curvatura costante ma diversa tra loro, ad

    esempio un rettifilo ed una curva, vi è una variazione puntuale della curvatura 1/R e quindi anche

    dell’accelerazione trasversale V2/R a cui sarebbe sottoposto un veicolo che dovesse muoversi

    seguendo rigidamente questi due elementi. Tale problema è particolarmente rilevante per i veicoli

    ferroviari poiché essi sono vincolati alla rotaie attraverso il bordino della ruota e la loro inscrizione

    in curva avviene con una serie di urti contro la rotaia esterna. Pertanto, fin dall’origine della

    trazione ferroviaria, si sentì la necessità di inserire tra due elementi a curvatura costante un

    elemento caratterizzato da una curvatura progressivamente variabile da quella dell’elemento

    precedente a quella dell’elemento successivo. Questo elemento è detto curva di raccordo o curva a

    raggio variabile. In campo stradale questo problema riveste una minore importanza poiché il veicolo

    non è vincolato alla strada ed il guidatore, sfruttando la larghezza della corsia, percorre una

    traiettoria a raggio variabile durante la rotazione dello sterzo. Tuttavia anche in campo stradale,

    derivando l’esperienza dalla progettazione ferroviaria, sono utilizzate le curve a raggio variabile per

    raccordare elementi caratterizzati da diversa curvatura.

    La clotoide multiparametro

    La curva normalmente utilizzata è la clotoide, che fa parte della famiglia delle spirali, la cui

    equazione intrinseca è: 1+=⋅ nn Asr

    Dove:

    r raggio di curvatura

    s ascissa curvilinea

    A parametro o fattore di scala

    n fattore di forma

    Le curve appartenenti a questa famiglia aventi 0 < n < ∞ sono convenzionalmente definite clotoidi

    multiparametro. Il fattore di forma n determina il modo con cui varia la curvatura 1/R:

    n = -1 r = s Spirale

    n = 0 r = A Cerchio

    n = 1 r × s = A2 Clotoide

    n = ∞ r = ∞ Retta

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    La lunghezza ridotta l e la curvatura ridotta ρ, sono definite come:

    l = s / L

    ρ = R / r

    dove R il raggio di curvatura in corrispondenza dell’ascissa curvilinea finale L. 1+=⋅ nn Asr nel punto generico r; s 1+=⋅ nn ALR nel punto finale R; L

    Dividendo le due equazioni:

    1=⎟⎠⎞

    ⎜⎝⎛⋅

    n

    Ls

    Rr

    Da cui, sostituendo le variabili: