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Università degli Studi di Milano BicoccaTesi di Laurea Magistrale in Fisica

RICERCA DEL BOSONE DIHIGGS NEL DECADIMENTO IN

DUE FOTONINELL'ESPERIMENTO CMS A LHC

Relatore: Prof. Tommaso Tabarelli de Fatis

Correlatore: Dott. Alessio Ghezzi

Candidato: Nicola Fraschini

Matricola n◦: 702417

Anno Accademico 2010 - 2011

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Indice

1 Introduzione teorica 5

1.1 La rottura spontanea di simmetria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

1.2 La teoria elettrodebole e il meccanismo di Higgs . . . . . . . . . . . . 7

1.3 Il bosone di Higgs nel Modello Standard: meccanismi di produzione

e canali di decadimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

1.4 Misure indirette della massa dell'Higgs . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

1.5 La teoria fermiofobica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

1.6 Il canale H → γγ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

2 L'esperimento CMS a LHC 22

2.1 Il tracciatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

2.2 Il calorimetro adronico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

2.3 La rivelazione dei muoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

3 Il calorimetro elettromagnetico 30

3.1 Descrizione generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

3.2 I cristalli di ECAL . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31

3.3 I fotorivelatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34

ii

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3.4 La catena elettronica di lettura del segnale . . . . . . . . . . . . . . . 36

3.5 Sistema di controllo della trasparenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38

3.6 Ricostruzione del tempo in Ecal . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42

4 Ricostruzione dei fotoni in Ecal 44

4.1 Gli algoritmi di supercluster . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44

4.2 Calibrazione e risoluzione di energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47

5 La calibrazione di Ecal 50

5.1 Metodi di intercalibrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52

5.2 Controllo della trasparenza con elettroni . . . . . . . . . . . . . . . . 53

5.2.1 Stabilità temporale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53

5.2.2 Uniformità spaziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59

5.2.3 E�etto della calibrazione sulla risoluzione . . . . . . . . . . . . 61

6 Identi�cazione del vertice primario 64

6.1 E�cienza di identi�cazione del PV . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65

6.2 Selezione del PV con il ranking . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70

6.3 Ricostruzione del vertice con il metodo del timing . . . . . . . . . . . 72

6.3.1 Algoritmo di ricostruzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72

6.3.2 Analisi MC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74

6.3.3 Analisi dei dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76

6.3.4 Possibili sviluppi della tecnica del timing . . . . . . . . . . . . 77

7 Analisi delle selezioni 80

7.1 Studio del background . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80

7.2 Analisi delle variabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82

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7.3 Studio delle selezioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84

7.4 Trigger impiegati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88

7.5 Confronto dati-MC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89

7.6 Modellizzazione del fondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91

8 Limite di esclusione per il canale H → γγ 93

8.1 Test di ipotesi e limite di esclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93

8.2 Incertezze sistematiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96

8.3 Il limite di esclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97

8.4 Conclusioni e prospettive future . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99

Ringraziamenti 102

Bibliogra�a 1

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Sintesi

CMS, acronimo di Compact Muon Solenoid, è uno dei quattro esperimenti costruiti

a Ginevra presso il collisore di protoni Large Hadron Collider (LHC) ed è �nalizzato

alla scoperta di nuova �sica nell'ambito delle interazioni fondamentali. È previsto

che, nella sua fase di pieno funzionamento, LHC raggiunga un'energia nel centro di

massa di 14 TeV. I dati analizzati in questa tesi, raccolti nel corso del 2010 e di parte

del 2011, derivano da collisioni protone-protone avvenute ad un'energia nel centro

di massa di 7 TeV e corrispondono ad una luminosità integrata di 1.079 fb−1.

Uno degli obiettivi principali di CMS è la scoperta del bosone di Higgs, la particella a

spin nullo prevista dal Modello Standard, la cui massa (MH), essendo un parametro

libero della teoria, deve essere determinata sperimentalmente. Gli studi condotti

negli anni passati a LEP2 hanno portato ad escludere con un livello di con�denza del

95% che il bosone di Higgs abbia massa inferiore a 114 GeV/c2, mentre i risultati del

Tevatron hanno escluso una regione dello spettro di massa invariante compresa fra

158 GeV/c2 e 170 GeV/c2. In�ne motivazioni teoriche vincolano la massa dell'Higgs

al di sotto di 1 TeV/c2. Tra i canali di decadimento dell'Higgs, quello in due fotoni

risulta particolarmente promettente per la scoperta dell'Higgs per valori di massa

inferiori a 140 GeV/c2. Esso, pur possedendo un branching ratio molto piccolo

(BR ∼ 10−3), ha il vantaggio di generare nello stato �nale due particelle stabili che

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possono essere rivelate con alta e�cienza, buona risoluzione di energia ed un fondo

di eventi spuri limitato nel calorimetro elettromagnetico di CMS (Ecal). La ricerca

in questo canale prevede l'osservazione nello spettro di massa invariante di un picco

molto stretto che campeggia sopra un fondo continuo. Per questi valori di massa la

risoluzione è dominata dagli e�etti strumentali del rivelatore.

Lo scopo di questa tesi è lo studio del canale H → γγ e, nello speci�co, dei due

principali contributi alla risoluzione del segnale atteso: la risoluzione di energia di

ciascun fotone e l'identi�cazione del vertice di provenienza.

In Ecal la risoluzione di energia dipende da diversi fattori, fra cui uno dei princi-

pali è la correzione della perdita di trasparenza dei cristalli di tungstato di piombo di

cui è composto il calorimetro. Per mantenere costantemente monitorate queste cor-

rezioni si considerano i processi W− → e−ν̄e e W+ → e+νe e si analizza il rapporto

tra l'energia depositata in Ecal dagli elettroni e dai positroni ed il loro momento, mis-

urato con elevata precisione nel tracciatore: poiché elettroni e positroni depositano

tutta la loro energia nel calorimetro tale valore deve essere pari ad uno. Sfruttando

questo semplice principio è possibile controllare l'andamento di E/p nelle diverse

regioni del calorimetro in funzione del tempo e veri�care, così, la stabilità temporale

di Ecal. Confrontando, inoltre, la larghezza del decadimento Z → e+e− ottenuta

dai dati con la larghezza attesa dal MC si può ricavare la risoluzione di energia che

deve essere applicata allo spettro di massa del segnale di H → γγ per riprodurre

le prestazioni del rivelatore. L'attuale precisione delle calibrazioni comporta un ter-

mine costante da aggiungere alla risoluzione di massa invariante dei fotoni compreso

tra 1 % e 2% nel barrel, sensibilmente superiore alle prestazioni nominali (<1 %), e

del 3% negli endcaps. Esistono margini di miglioramento.

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Il secondo contributo è, invece, costituito dall'identi�cazione del vertice di prove-

nienza della coppia di fotoni. In LHC i pacchetti di protoni si scontrano con una

frequenza di 40 MHz e danno luogo in ogni collisione a più vertici di interazione:

questo fenomeno, noto come pile up, si intensi�ca all'aumentare della luminosità

istantanea. Poiché i fotoni, essendo particelle neutre, non generano una traccia nel

tracciatore di CMS il loro vertice di provenienza non può essere assegnato. Risulta,

perciò, fondamentale trovare un algoritmo che selezioni il vertice corretto. Il criterio

classico consiste nell'identi�care il vertice con quello in cui la somma del quadrato

dei momenti trasversi delle tracce (SumPt2 = Σp2T ) è massima: ci si aspetta, infatti,

che la produzione di un oggetto pesante come l'Higgs sia sempre accompagnata da

una attività di rinculo adronico. Questo metodo è stato testato sui dati e su dei

campioni Monte Carlo, utilizzando i decadimenti Z → e+e− e Z → µ+µ−: ciò che si

osserva è che l'e�cienza di selezione del vertice corretto risulta alta (≥ 90%) quando

il pT del bosone è maggiore di 40 GeV/c, ma cala sensibilmente per valori inferiori

(∼ 60%).

Si è pensato, inoltre, di utilizzare altri criteri di selezione del vertice che sfruttino o

la topologia dell'evento con le tracce di rinculo opposte alla direzione dei fotoni o il

tempo di arrivo dei fotoni in Ecal. La risoluzione di massa invariante di due fotoni,

tuttavia, non è attualmente limitata dall'ine�cienza di identi�cazione del vertice.

L'ultima parte della tesi riguarda l'analisi dei dati raccolti da CMS e l'elabo-

razione del limite di esclusione per il canale H → γγ.

I fondi principali che interessano il segnale cercato sono raggruppabili in due cat-

egorie: quelli irriducibili, che generano nello stato �nale due fotoni reali, e quelli

riducibili, in cui jet adronici vengono erroneamente ricostruiti come fotoni. Per

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ridurre il contributo del fondo si eseguono delle selezioni sulle variabili relative al-

l'isolamento dei fotoni ed alla forma dello sciame elettromagnetico. Poiché non si

rivelano eccessi signi�cativi nello spettro di massa invariante si procede, in�ne, al

calcolo del limite di esclusione della sezione d'urto di produzione dell'Higgs al 95 %

di con�dence level con una statistica di 1.079 fb−1. Il risultato ottenuto dimostra che

i dati raccolti non sono ancora su�cienti né per escludere né per osservare il segnale

dell'Higgs previsto dal Modello Standard. Proiezioni indicano che la sensibiltà per

l'esclusione può essere raggiunta con una statistica sedici volte maggiore a parità di

prestazioni. L'analisi dei dati di calibrazione ha tuttavia individuato alcuni limiti

nella procedura di correzione per gli e�etti di trasparenza, e nelle correzioni di scala

locale e regionale del calorimetro, suggerendo margini di miglioramento signi�cativi

in termini di sensibiltà.

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Capitolo 1

Introduzione teorica

1.1 La rottura spontanea di simmetria

La rottura spontanea di simmetria e il meccanismo di Higgs vennero introdotti in

teoria quantistica dei campi per fornire una spiegazione coerente di come le parti-

celle acquistino massa nell'ambito del modello standard. La teoria elettrodebole di

Glashow, Weinberg e Salam era riuscita, infatti, ad uni�care con successo l'inter-

azione nucleare debole e quella elettromagnetica sotto un unico gruppo di simmetria

(SU(2)⊗U(1)): l'introduzione nella lagrangiana fermionica di un termine di massa

(mψψ) comportava, tuttavia, la violazione dell'invarianza rispetto a tale simmetria.

In questo quadro teorico viene ipotizzata la rottura spontanea di simmetria, che ora

cercheremo di spiegare in dettaglio.

Come punto di partenza, consideriamo la lagrangiana di un campo scalare complesso

φ:

L = ∂µφ∗∂µφ− V (φφ∗) (1.1)

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1 � Introduzione teorica

Richiediamo, a�nché la teoria sia rinormalizzabile, che il potenziale sia al più del

quarto ordine in φ e che esista un ground state.

Esplicitando il campo complesso (φ) in funzione di due campi reali (φ1, φ2) possiamo

riscrivere la 1.1 come:

L =1

2∂µφ1∂

µφ1 +1

2∂µφ2∂

µφ2 − V (φ21 + φ2

2) (1.2)

Lo spettro di massa delle particelle associate ai campi φ1 e φ2 si ottiene sviluppando

il potenziale nell'intorno del suo valore minimo (φ0 = 〈0|φ|0〉), noto come valore di

aspettazione del vuoto.

V (φ1, φ2) = V (φ01, φ02) +1

2

∑i,j

(φi − φ0i)(φj − φ0j)∂2V

∂φi∂φj|φ=φ0 (1.3)

Gli autovalori della matrice Mij = ∂2V∂φi∂φj

|φ=φ0 restituiscono la massa dei campi φ1 e

φ2. Per quanto detto in precedenza, il potenziale V avrà la forma:

V (φ21 + φ2

2) =m2

2(φ2

1 + φ22) +

λ

4(φ2

1 + φ22)2 (1.4)

La sua minimizzazione presenta due sottocasi, a seconda del segno di λ:

� λ > 0. Il potenziale è minimo per φ0 = (0,0): esiste perciò un unico stato di

vuoto

� λ < 0. Lo stato di vuoto non è più unico ed è costituito da tutti i punti del

piano (φ1, φ2) appartenenti alla circonferenza di equazione:

φ201 + φ2

02 =m2

λ= v2 (1.5)

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1 � Introduzione teorica

Scegliendo ora uno stato di vuoto che soddis� la condizione 1.5 e diagonalizzando la

matrice di massaMij, si ottiene un campo scalare φ′1 = φ1−v massivo (m =√

2λv2)

ed un campo scalare φ′2 = φ2 privo di massa.

La lagrangiana del nostro sistema diventa:

L =1

2∂µφ

′1∂

µφ′1 − λv2φ′12 +

1

2∂µφ2∂

µφ2 − λvφ′1(φ′12 + φ2

2)− λ

4(φ′1

2 + φ22) (1.6)

Confrontando tale risultato con l'equazione da cui eravamo partiti (1.2), possiamo

osservare che la simmetria iniziale rispetto al gruppo di trasformazione O(2) non è

più visibile, ossia è avvenuta una rottura spontanea di simmetria.

Tale ragionamento può essere facilmente esteso ad un insieme di N campi scalari

reali Φ = (φ1, ....., φN).

1.2 La teoria elettrodebole e il meccanismo di Higgs

Veniamo ora all'applicazione del meccanismo di Higgs alla teoria elettrodebole.

Come già accennato in precedenza il gruppo di uni�cazione è dato da SU(2)⊗U(1).

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1 � Introduzione teorica

Inoltre, è noto che nelle interazioni deboli in corrente carica (mediate dai bosoni vet-

tore W±) solo gli stati left-handed vengono coinvolti: possiamo perciò suddividere

le particelle in un doppietto sinistro

L =1− γ5

2(νe, e

−) = (ν, e)L (1.7)

e in un singoletto destro eR. Lo stato νR non viene indicato in quanto i neutrini right-

handed non sono previsti nel Modello Standard: essi, tuttavia, esistono in natura,

essendo la massa dei neutrini diversa da zero. Identi�cheremo, dunque, SU(2) come

il gruppo di isospin debole e U(1) come il gruppo di ipercarica debole (Y), de�nita

Y = 2(Q− T3).

Possiamo ora scrivere le lagrangiane per i campi di gauge ed i fermioni:

LGF = −1

4F iµνF

iµν − 1

4GµνG

µν (1.8)

LF = Liγµ(∂µ − ig~τ

2~Aµ +

i

2g′Bµ)L+Riγµ(∂µ + ig′Bµ)R (1.9)

Osserviamo subito che nella 1.9 manca il termine mψψ = RL+RL, in quanto esso

viola l'invarianza rispetto a SU(2)L ⊗ U(1)Y : di conseguenza, a questo livello, tutti

i fermioni hanno massa nulla. Un analogo ragionamento vale per i campi di gauge.

Applichiamo ora il meccanismo di Higgs introducendo un doppietto scalare comp-

lesso φ = (φ+, φ0) di lagrangiana:

LS = Dµφ†Dµφ− V (φφ†) (1.10)

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1 � Introduzione teorica

Notiamo che è adesso possibile inserire un nuovo termine gauge invariante, chiamato

termine di interazione di Yukawa:

LY uk = −Ge(LφR +Rφ†L) (1.11)

Sviluppiamo il campo complesso φ intorno allo stato di vuoto e parametrizziamo in

coordinate polari:

φ(x) = expi~τ ~ξ

v(0,

v +H(x)√2

) (1.12)

Poiché ogni campo è de�nito a meno di una trasformazione di gauge, scegliamo il

cosiddetto gauge unitario dato dalla trasformazione:

U(~ξ) = exp(−i~τ~ξ

v) (1.13)

I nuovi campi sono:

φ′(x) = U(~ξ)φ(x) = (0,v +H(x)√

2) (1.14)

L′ = U(~ξ)L (1.15)

R′ = R (1.16)

La lagrangiana di Yukawa diventa:

LY uk = −Ge(e′Le′R

1√2

(v +H) + e′Re′L

1√2

(v +H)) = (1.17)

= −Gev√2

(e′Le′R + e′Re

′L)− Ge√

2H(e′Le

′R + e′Re

′L) = (1.18)

= −Gev√2

(e′e)− Ge√2H(e′e) (1.19)

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1 � Introduzione teorica

Il primo termine nella 1.19 non è altro che il termine di massa per l'elettrone (me =

Gev√2), mentre il secondo è un termine di accoppiamento fra il campo di Higgs e quello

fermionico.

Analogamente, sviluppando LS e considerando solo i termini di massa troviamo:

LM =v2

8(g2 ~A′µ

~A′µ + g′2BµBµ + 2gg′BµA

′3µ) = (1.20)

=v2

8(g2A′1µA

′1µ + g2A′2µA′2µ + (gA′3µ − g′Bµ)2 + 0(g′A′3µ + gBµ)2) (1.21)

Ride�nendo i campi nella maniera seguente:

W±µ =

1√2

(A′1µ ∓ iA′2µ ) (1.22)

Zµ =(gA′3µ − g′Bµ)√g2 + g′2

(1.23)

Aµ =(g′A′3µ + gBµ)√g2 + g′2

(1.24)

si arriva alla formula:

LM =1

2M2

ZZµZµ +M2

WW+µ W

µ− (1.25)

Grazie al meccanismo di Higgs siamo giunti ad avere un campo privo di massa

(Aµ) che identi�chiamo con il fotone e due campi vettoriali massivi, corrispondenti

ai bosoni mediatori dell'interazione debole (W±, Z). Notiamo che, diversamente

da quanto accade per il settore fermionico, la rottura spontanea di simmetria nel

settore di gauge non lascia completa arbitrarietà alle masse dei bosoni, ma ne vincola

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1 � Introduzione teorica

il rapporto alle costanti di accoppiamento. Si ha, infatti, che:

MZ

MW

=

√√√√1 +

(g′

g

)2

(1.26)

Per concludere il ragionamento, sviluppiamo ora i termini relativi al campo di Higgs

nella 1.10. Si ottiene:

Ls =1

2(∂µH)2 − µ2H2 − λvH3 − λ

4H4 +

g2

8(H2 + 2Hv)

(1

cos2 θwZµZ

µ + 2W+µ W

µ−)

(1.27)

=1

2(∂µH)2 − µ2H2 − λvH3 − λ

4H4 +

M2Z

2v2H2ZµZ

µ +M2

Z

vHZµZ

µ (1.28)

+M2

W

v2H2WµW

µ +1

2

M2W

vHWµW

µ (1.29)

θw indica l'angolo di Weinberg, detto anche angolo di mixing elettrodebole, ed è

de�nito dalla relazione:

tan θw =g′

g(1.30)

Di grande interesse �sico è il termine di massa del campo di Higgs: esso implica,

infatti, l'esistenza di un bosone massivo a spin nullo, noto come bosone di Higgs.

Dalle formule 1.19 e 1.29 possiamo osservare che il termine di accoppiamento della

materia al campo di Higgs è proporzionale alla massa per i fermioni e al quadrato

della massa per i bosoni vettori W,Z: ci si attende, dunque, che i decadimenti del-

l'Higgs in particelle pesanti siano più favoriti rispetto a quelli in particelle leggere.

Un'ultima ri�essione riguarda la scelta di un campo scalare per la rottura spontanea

di simmetria. Essa è motivata dal fatto che, in teoria di campo, lo stato di vuoto

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1 � Introduzione teorica

deve essere invariante per trasformazioni di Lorentz: ne consegue che il valore di

aspettazione del vuoto di un generico campo vettoriale o spinoriale non può che

essere nullo. [3]

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1 � Introduzione teorica

1.3 Il bosone di Higgs nel Modello Standard: mec-

canismi di produzione e canali di decadimento

Da quanto visto nel paragrafo precedente, il meccanismo di Higgs comporta l'e-

sistenza di una particella massiva, neutra e con spin nullo detta bosone di Higgs:

analogamente agli altri parametri del Modello Standard, il valore della sua massa

non è previsto dalla teoria e deve essere, perciò, ricavato sperimentalmente.

Per quanto riguarda i collisori elettrone-positrone, per energie nel centro di massa

inferiori a 500 GeV il meccanismo principale di produzione è la Higgs-strahlung, ossia

il processo:

e+e− → ZH (1.31)

Il meccanismo concorrente, che domina ad energie più elevate, è la vector boson

Figura 1.1. Processo di Higgs-strahlung

fusion, cioè la creazione dell'Higgs dalla fusione di due W o di due Z virtuali.

Nel caso, invece, di collisori adronici come LHC sono presenti più meccanismi di

produzione, di cui il principale risulta essere la gluon fusion (�g. 1.2); accanto ad

esso troviamo la W/Z bremsstrahlung e la W/Z fusion.

La �gura 1.3 mostra i rapporti di diramazione per il decadimento del bosone

di Higgs in funzione della sua massa: per masse inferiori ai 140 GeV/c2 il canale

dominante è il bb̄, mentre per valori più elevati prevalgono i canali WW , ZZ e tt̄.

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1 � Introduzione teorica

Figura 1.2. Processo di gluon fusion

Figura 1.3. Canali di decadimento del bosone di Higgs nel Modello Standard

In questo lavoro di tesi studieremo in maniera approfondita il canale H → γγ:

sebbene abbia un BR molto piccolo (∼ 10−3), esso costituisce uno dei segnali più

promettenti per la scoperta del bosone di Higgs nell'intervallo di massa 90 GeV/c2 ≤

mH ≤ 150 GeV/c2. Ciò si spiega osservando che, in un collisore protone-protone

come LHC, la gran parte dei prodotti di interazione è di natura adronica e, di con-

seguenza, un canale che produce due fotoni isolati nello stato �nale è più facilmente

rivelabile. Inoltre, l'intervallo di masse interessato risulta particolarmente signi�ca-

tivo alla luce dei risultati correnti: gli esperimenti di LEP2, il collisore e+e− in

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1 � Introduzione teorica

funzione presso il Cern di Ginevra prima della costruzione di LHC, hanno, infatti,

portato a stabilire un valore inferiore per la massa dell'Higgs di 114 GeV/c2, men-

tre quelli del Tevatron, il collisore pp̄ del Fermilab, hanno escluso una regione tra

158GeV/c2 e 175GeV/c2. La �gura 1.4 mostra un gra�co del luglio 2010 per una lu-

minosità integrata di 6.7fb−1: il limite osservato risulta in accordo con le previsioni

teoriche del MS.

Figura 1.4. Plot del limite di esclusione di Tevatron al 95% CL.

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1 � Introduzione teorica

1.4 Misure indirette della massa dell'Higgs

Accanto alle misure dirette della massa dell'Higgs di cui ci occuperemo in questa

tesi, esistono delle misure indirette basate sullo studio delle correzioni radiative del

Modello Standard.

I parametri liberi della teoria elettrodebole esposta nei paragra� precedenti sono

tre: le costanti di accoppiamento g e g' ed il valore di aspettazione del vuoto del

campo di Higgs (v). Per convenzione vengono scelte tre grandezze ad essi associate

che possono essere misurate sperimentalmente:

� la costante di Fermi, de�nita come GF = 1√2v2

� la costante di accoppiamento elettromagnetico αe = gg′

4π(g2+g′2)

� la massa del bosone Z, MZ =√

(g2+g′2)v2

2

In realtà il concetto di costante �sica riferito alle quantità appena elencate risul-

ta improprio; la teoria elettrodebole è, infatti, una teoria perturbativa in cui, per

ottenere precisioni elevate, risulta indispensabile tener conto anche delle correzioni

successive al primo ordine dello sviluppo perturbativo: un'analisi dettagliata [4] di-

mostra che le correzioni radiative dipendono in maniera quadratica dalla massa del

quark top (Mt) e logaritmicamente dalla massa dell'Higgs. E�ettuando delle misure

di alta precisione della massa del bosone W o di altri parametri noti del Modello

Standard presso gli acceleratori di particelle è, dunque, possibile confrontare i risul-

tati sperimentali con le previsioni fornite dallo sviluppo perturbativo. Ciò consente

di porre in maniera indiretta dei limiti sulla massa del bosone di Higgs.

Il gra�co in �g. 1.5 mostra la combinazione tra le misure indirette degli esperimenti

di LEP1 e SLD (SLAC Large Detector) e quelle dirette di LEP2 e del Tevatron. La

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1 � Introduzione teorica

banda verde indica la predizione del Modello Standard per diversi valori della massa

dell'Higgs. Questi dati vincolano la massa dell'Higgs al di sotto di 1 TeV/c2.

Figura 1.5. Risultati combinati di Mt e MW

1.5 La teoria fermiofobica

La teoria del meccanismo di Higgs presentata nei paragra� precedenti non è l'unica

in grado di fornire una spiegazione per i termini di massa delle particelle. In par-

ticolare, sono state proposte delle teorie più complesse che vanno oltre il Modello

Standard: di queste quella fermiofobica prevede un basso livello di accoppiamento

dell'Higgs ai fermioni.

Per illustrarne il senso, osserviamo che la rottura spontanea di simmetria può essere

ottenuta utilizzando una coppia di doppietti scalari al posto del singolo doppietto

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1 � Introduzione teorica

presente nella formula 1.1: tale ipotesi, chiamata anche modello I, fa sì che il pri-

mo doppietto scalare (φ1) sia responsabile dei termini di massa dei bosoni vettore,

mentre il secondo (φ2) di quelli dei fermioni. I calcoli che portano alla formula del

potenziale sono piuttosto complicati e possono essere trovati in [7].

Dal punto di vista sperimentale è fondamentale osservare che tale modello compor-

ta l'esistenza di ben cinque nuove particelle: un campo neutro CP-dispari (A), due

campi carichi (H±) e due campi scalari CP-pari (h0, H0). Di questi h0 è l'Higgs

fermiofobico, ossia il campo totalmente disaccoppiato dai fermioni. La �gura 1.6

Figura 1.6. Branching ratios dell'Higgs fermiofobico in funzione della sua massa

mostra come variano i BR dell'Higgs fermiofobico in funzione della sua massa: noti-

amo che la probabilità di decadimento in due fotoni è fortemente innalzata rispetto

al MS.

Osserviamo, in�ne, che la teoria fermiofobica modi�ca anche i meccanismi di pro-

duzione dell'Higgs: la gluon fusion e la tt̄ fusion vengono soppressi, mentre soprav-

vivono la WW/ZZ fusion e la Higgs-strahlung.

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1 � Introduzione teorica

1.6 Il canale H → γγ

Come si è già detto, il decadimento in due fotoni risulta essere uno dei segnali più

promettenti per la scoperta del bosone di Higgs a CMS: pur avendo un branching

ratio molto basso, esso presenta, infatti, il vantaggio di dar luogo a due particelle sta-

bili, i fotoni, che possono essere facilmente rivelate in Ecal. Questo processo avviene

attraverso un diagramma di Feynman a triangolo, nel quale la particella virtuale

favorita dal termine di accoppiamento dell'Higgs è il quark più pesante, ossia il top.

La tabella 1.1 mostra le sezioni d'urto di produzione dell'Higgs, calcolate al Next to

Figura 1.7. Decadimento del bosone di Higgs in due fotoni

Leading Order per diversi valori di MH .

La formula che esprime la massa dell'Higgs in funzione dell'energia dei due fotoni

MH 115GeV/c2 120GeV/c2 130GeV/c2 140GeV/c2 150GeV/c2

σ gluon fusion 39.2 pb 36.4 pb 31.6 pb 27.7 pb 24.5 pbσ VBF 4.7 pb 34.5 pb 4.1 pb 3.8 pb 3.6 pb

σ WH,ZH,tt̄H 3.8 pb 3.3 pb 2.6 pb 2.1 pb 1.7 pbσ totale 47.6 pb 44.2 pb 38.3 pb 33.6 pb 29.7 pb

BR. H → γγ 0.00208 0.00220 0.00224 0.00195 0.00140

Tabella 1.1. I meccanismi di produzione dell'Higgs e le relative sezioni d'urto

può essere facilmente ricavata dalla cinematica del decadimento e si trova che:

mH =√

2E1E2(1− cos θ) (1.32)

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1 � Introduzione teorica

dove θ rappresenta l'angolo tra i due fotoni.

Figura 1.8. Larghezza di decadimento dell'Higgs nel Modello Standard in fun-zione della sua massa invariante. Come si può osservare, nel range che riguarda ildecadimento in due fotoni ΓH < 10 MeV

Poiché la larghezza intrinseca del segnale cercato è molto piccola (v. �g. 1.8), la

risoluzione totale sarà dominata dagli e�etti strumentali del detector. In particolare

dalla 1.32 si deducono i requisiti indispensabili che un esperimento come CMS deve

essere in grado di soddisfare per ottenere una ricostruzione accurata della massa

dell'Higgs:

� in primo luogo un'ottima risoluzione sull'energia dei singoli fotoni (E1, E2)

� in secondo luogo una corretta identi�cazione del vertice di provenienza dei due

fotoni, che consenta di conoscere l'angolo θ con precisione elevata

Su tali argomenti sarà incentrato il seguito di questa tesi sperimentale: dopo un'in-

troduzione generale alle caratteristiche del rivelatore (cap. 2) ed una descrizione più

speci�ca del calorimetro elettromagnetico di CMS (cap. 3-4), passeremo a studiare

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1 � Introduzione teorica

la calibrazione di Ecal e la stabilità delle correzioni laser (cap. 5), per continuare,

poi, con lo studio degli algoritmi di ricostruzione del vertice (cap. 6).

Nel capitolo 7 analizzeremo i fondi dell'H → γγ, indicando le strategie seguite per

la loro soppressione: poiché il segnale cercato è dato da un picco molto stretto (v.

�g. 1.9), questo argomento risulta di cruciale importanza ed in�uisce pesantemente

sul calcolo �nale del limite di esclusione (cap. 8).

Figura 1.9. Esempio dello spettro �nale di massa invariante per l'H → γγ. In rossoviene riportato il segnale atteso moltiplicato per un fattore 10: dall'immagine risultachiaro come la soppressione dei fondi rivesta un'importanza cruciale nell'analisi.

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Capitolo 2

L'esperimento CMS a LHC

Il Large Hadron Collider è stato progettato per la ricerca di nuova �sica ad una

scala di energia superiore a 1 TeV, �no ad oggi mai esplorata dagli acceleratori di

particelle attualmente in uso: nella fase di pieno funzionamento dovrà raggiungere

un'energia nel centro di massa di 14 TeV ed una luminosità di 1034 cm−2s−1. Nel

complesso esso si compone di 1232 dipoli magnetici superconduttori che generano un

campo di ben 8.4 T per con�nare ciascun fascio di protoni sulla traiettoria circolare

dell'anello di accumulazione.

Dei quattro esperimenti collocati ad LHC CMS (Compact Muon Solenoid) ha tra i

suoi scopi principali la scoperta del bosone di Higgs e di nuove particelle previste

nei modelli teorici supersimmetrici: daremo ora una descrizione generale delle sue

componenti, so�ermandoci poi in dettaglio sul calorimetro elettromagnetico.

Per ottimizzare la ricerca dell'Higgs nel canale H → (ZZ)∗ → 4µ, CMS deve fornire

una buona identi�cazione dei muoni e una misura del loro momento con risoluzione

elevata: per raggiungere questo risultato è indispensabile un alto potere di curvatura

delle particelle nel campo magnetico. Come indica il nome stesso dell'esperimento,

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2 � L'esperimento CMS a LHC

si è deciso di impiegare un campo di 4 T generato da un solenoide di magneti

superconduttori (v. �g. 2.1): la corrente al suo interno è di 19.5 kA e l'energia

immagazzinata pari a 2.7 GJ.

Per inciso, tale scelta progettuale è ciò che di�erenzia maggiormente CMS dall'altro

esperimento di LHC con le medesime �nalità, ATLAS. In quest'ultimo si è, infatti,

optato per l'uso di due campi magnetici di�erenti: il primo di 2 T per il tracciatore

e un campo magnetico toroidale esterno appositamente dedicato alla rivelazione dei

muoni.

Figura 2.1. schema della struttura interna di CMS

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2 � L'esperimento CMS a LHC

2.1 Il tracciatore

Il primo stadio di rivelazione in un detector di �sica delle alte energie è costituito dal

tracciatore, il cui compito consiste nella misura del momento delle particelle cariche

che lo attraversano. Al �ne di ottenere un'elevata risoluzione e granularità, il tracker

di CMS è suddiviso in tre regioni che sfruttano tecniche di rivelazioni di�erenti:

� la prima (r = 20 cm) è quella sottoposta al massimo �usso di particelle ed è

basata su rivelatori a pixel di silicio

� la seconda, corrispondente alla regione intermedia di occupazione del rivelatore

(20 cm < r < 55 cm), utilizza microstrip al silicio con celle di dimensione

minima di 10 cm × 80 µm

� nella terza (r > 55 cm) il minor �usso consente l'utilizzo di microstrip al silicio

con celle di dimensione maggiore (25 cm × 180 µm)

Nel complesso il tracciatore risulta formato da 13 strati successivi, in grado di fornire

altrettante misure del momento con alta risoluzione: come mostra il gra�co 2.2,

quando pT = 100GeV δpTpT

rimane inferiore al 4% anche per η vicino a due.

2.2 Il calorimetro adronico

Il calorimetro adronico (Hcal) di CMS è collocato tra il calorimetro elettromagnetico

ed il solenoide: il barrel di Hcal (HB) è suddiviso in 2304 torri di granularità ∆η ×

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2 � L'esperimento CMS a LHC

Figura 2.2. Variazione in funzione di η della risoluzione sul momento trasverso deimuoni per tre diversi valori di pT

∆φ = 0.087×0.087 e copre la regione di pseudorapidità 1 |η| < 1.4, mentre l'endcap

(HE) la parte restante �no ad |η| = 3. La struttura di Hcal è quella di un dispositivo

a campionamento che utilizza come materiale assorbitore dei piatti di ottone dello

spessore di 5 cm in HB e 8 cm in HE e come elementi attivi delle mattonelle di

1La pesudorapidità è una grandezza impiegata in �sica delle alte energie e de�nita come:

η = −log[tg

2

)](2.1)

dove θ indica l'angolo compreso fra il momento della particella e l'asse del fascio. In termini delmomento ~p e della sua componenete longitudinale pL essa può essere riscritta:

η =12log

(|~p|+ pL)(|~p| − pL)

(2.2)

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2 � L'esperimento CMS a LHC

scintillatori plastici. Il segnale luminoso viene raccolto attraverso dei �ber wave-

lenght shifter (WLS).

Un calorimetro adronico deve minimizzare le code non gaussiane nella risoluzione

in energia e, al tempo stesso, fornire un buon contenimento per la misura della

MET (missing transverse energy): per tale ragione Hcal massimizza la quantità di

materiale assorbitore all'interno del magnete in termini di lunghezze di interazione

e viene seguito, nel barrel, da un ulteriore strato di scintillatori che compongono

l'hadron outer detector (HO). Quest'ultimo si divide in 5 anelli lungo η ed incrementa

lo spessore e�ettivo �no a dieci lunghezze di interazione.

In�ne, in aggiunta ad Hcal ed al HO, per garantire la copertura della regione di

pseudorapidità 3 < |η| < 5 è presente un terzo detector, l'hadron forward (HF).

Esso è collocato nei punti di CMS sottoposti alla massima intensità di radiazione:

in media, per ogni evento, i due HF ricevono un'energia pari a 760 GeV, sette volte

maggiore di quella depositata nella restante parte del calorimetro adronico (100

GeV).

2.3 La rivelazione dei muoni

Come già accennato in precedenza, l'identi�cazione e la misura del momento dei

muoni è di cruciale importanza per quei processi di decadimento che coinvolgono

leptoni nello stato �nale (ad es. H → 4µ). Il sistema impiegato da CMS sfrutta tre

tecniche di rivelazione basate su diverse tipologie di gas detector :

� nel barrel, dove il �usso dei muoni è piuttosto basso (1 cm−2s−1) come pure il

fondo dei neutroni, vengono impiegate delle drift tube chambers. La super�cie

è suddivisa longitudinalmente in 5 anelli, ciascuno dei quali si articola in 12

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2 � L'esperimento CMS a LHC

Figura 2.3. Sezione del calorimetro adronico

settori: per ogni settore sono montate 4 camere a deriva contenenti una miscela

di argon (85%) e anidride carbonica (15%). Ciascuna delle camere apparte-

nenti ai tre anelli più interni compie due misure indipendenti delle coordinate

polari θ e φ con una precisione di circa 1 mrad

� negli endcaps, dove il tasso di muoni e neutroni incidenti è elevato, la rive-

lazione avviene tramite delle cathode strip chambers (CSCs), ossia delle camere

proporzionali a multi�lo che consentono di avere una risoluzione angolare in

φ di 10 mrad. Il segnale di corrente indotto nei �li è veloce (4.5 ns) e viene,

perciò, impiegato nel trigger di primo livello

� in�ne, sia nel barrel che nell'endcap vengono inserite delle Resistive plate

chambers (RPC): esse sono formate da due strati contenenti due piatti di

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2 � L'esperimento CMS a LHC

bakelite riempiti con una miscela di gas. Grazie alla rapida risposta ed al-

la buona risoluzione temporale esse garantiscono un'ottima assegnazione di

bunch crossing

Figura 2.4. Le drift tube chambers di CMS

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2 � L'esperimento CMS a LHC

Figura 2.5. Sistema di rivelazione dei muoni

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Capitolo 3

Il calorimetro elettromagnetico

3.1 Descrizione generale

Il calorimetro elettromagnetico di CMS (ECAL) occupa un volume cilindrico di

lunghezza totale pari a circa 8 metri e raggio interno di 1.29 metri. Esso si suddi-

vide geometricamente in due aree: il barrel (EB), la super�cie laterale di ECAL,

che copre la regione di pseudorapidità |η| < 1.442 e gli endcaps (EE), ossia le basi

circolari del calorimetro, che coprono la regione 1.56 < |η| < 3. Essendo i punti sot-

toposti alla massima dose di radiazione, gli endcaps sono preceduti da un calorimetro

a campionamento, il preshower (ES), dello spessore di circa 70 cm: dato l'elevato

a�ollamento è, infatti, indispensabile una granularità superiore per identi�care i fo-

toni isolati e separarli dai π0, particelle che decadono prevalentemente in coppie di

fotoni.

A�nché sia possibile e�ettuare misure di alta precisione nella �sica degli acceler-

atori, i due principali requisiti che un calorimetro deve soddisfare sono un'ottima

risoluzione di energia e, al contempo, un'elevata granularità: la prima richiesta

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3 � Il calorimetro elettromagnetico

riveste un'importanza fondamentale per la ricerca del decadimento dell'Higgs in due

fotoni e sarà discussa in seguito. La seconda è, invece, indispensabile per ridurre gli

e�etti di pile up nella misura dell'energia: quando si genera uno sciame elettromag-

netico il 95 % del suo sviluppo trasversale è contenuto in un cono di raggio pari al

doppio del raggio di Molière (RM = 21MeVEc

X0[ gcm2 ]).

La super�cie frontale di 2.2 × 2.2 cm2 ed il piccolo raggio di Molière, RM = 2.19 cm,

dei cristalli di tungstato di piombo (PbWO4) di cui è composto Ecal assicurano

che l'energia totale rilasciata da una particella venga depositata in una regione del

calorimetro non eccessivamente estesa.

3.2 I cristalli di ECAL

I cristalli del calorimetro elettromagnetico devono essere in grado di tollerare con-

dizioni di irraggiamento estreme, �no ad oggi mai raggiunte negli acceleratori di

particelle; accanto alla richiesta di radiation hardness che ne consegue, si ha poi

la necessità di sviluppare cristalli il più possibile trasparenti e con una costante di

tempo di scintillazione breve (le collisioni ad LHC avvengono, infatti, ogni 25 ns).

Dopo numerosi test, si è scelto come materiale di costruzione il tungstato di piombo,

un cristallo a struttura tetragonale sintetizzato partendo da una miscela di ossido di

piombo (PbO) e di ossido di tungsteno (WO3). La fabbricazione avviene ponendo

i materiali grezzi in un crogiolo di platino ad una temperatura di oltre mille gradi;

una volta ra�reddati e tagliati, i cristalli sono stati sottoposti ad accurati test di con-

trollo, per veri�care l'uniformità longitudinale della raccolta di luce, la trasparenza

e la resistenza alla radiazione. Per quest'ultima, in particolare, si è osservato che

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3 � Il calorimetro elettromagnetico

l'irraggiamento non altera in alcun modo il meccanismo di scintillazione del cristal-

lo, ma ne modi�ca la trasparenza: per tale ragione, essa deve essere costantemente

monitorata tramite un sistema di calibrazione basato su luce laser.

Bisogna, in�ne, osservare che la resa in luce dei cristalli è fortemente dipendente

Figura 3.1. Variazione di light yield in funzione della temperatura

dalla temperatura, come mostrato nel gra�co in �gura 3.1: ad una variazione di

1°corrisponde una variazione della light yield del 2 %. Per tale ragione Ecal possiede

un impianto di ra�reddamento ad acqua che mantiene la temperatura dei cristal-

li e degli APD stabile in un range di ±0.05 �, evacuando una potenza di circa 12 kW.

Nel Barrel i cristalli sono raggruppati in una struttura alveolare, il sottomodulo,

formata da 5 elementi lungo η e due lungo φ, del peso complessivo di circa 12 kg.

Ciascun array di cristalli viene progettato in maniera tale che la geometria del sis-

tema non punti precisamente al centro di Ecal, ma abbia un'inclinazione angolare di

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3 � Il calorimetro elettromagnetico

3°in φ rispetto ad esso (v. �g 3.2): questo accorgimento consente di ridurre la prob-

abilità che le particelle giungano nello spazio di separazione tra cristalli adiacenti.

Nel barrel i sottomoduli vengono raggruppati in unità più estese, dette moduli, e 4

di questi moduli compongono un supermodulo. La tabella 3.1 raccoglie le proprietà

fondamentali dei cristalli e le coordinate geometriche di Ecal.

Figura 3.2. Inclinazione di 3°dei cristalli in EB

Densità 8.28g/cm3

Lunghezza di radiazione 0.89 cmRaggio di Molière (cm) 2.2 cm

Lunghezza cristallo 23 cmSuper�cie frontale 2.2× 2.2 cm2

Picco di emissione di luce 425 nmTempo di emissione 5-15 ns

Light Yield relativo a NaI(Tl) 0.3%Indice di rifrazione 2.2

Coe�ciente di temperatura di L.Y. -1.9 %/�

Tabella 3.1. Principali proprietà dei cristalli di Ecal

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3 � Il calorimetro elettromagnetico

N. cristalli Disposizione φ × ηSottomodulo 10 5×2

Modulo 1 500 20×25Moduli 2 3 4 400 20×20Supermodulo 1700 20×85

Torri di trigger 25 5×5

Tabella 3.2. Struttura del Barrel di Ecal

Figura 3.3. struttura interna del barrel

3.3 I fotorivelatori

Gli ostacoli fondamentali da a�rontare per ottenere una buona raccolta del segnale

luminoso emesso dai cristalli sono, principalmente, l'elevato campo magnetico (4

T) e i livelli estremi di radiazione. Essendo l'irraggiamento nell'endcap superiore a

quello nel barrel si è deciso di utilizzare due tipi diversi di fotorivelatori: i fotodiodi

a valanga (APD) in EB e i fototriodi a vuoto in EE (VPT).

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3 � Il calorimetro elettromagnetico

Figura 3.4. Confronto tra tre diversi tipi di cristallo. Il CsI, usato inBaBar, corrisponde a 16 X0, il BGO usato in L3 a 22 X0 e il PbWO4 a 23X0. Dalle dimensioni relative si comprende perché CMS sia un esperimentoparticolarmente compatto

I primi hanno uno spessore totale inferiore a 2 mm, un'elevata e�cienza quantica

(70-80%) e un rapido tempo di risposta (2 ns): sulla super�cie posteriore di ciascun

cristallo sono applicati due APDs di area 25mm2. Essi presentano una struttura a

quattro strati, illustrata in �gura 3.5. I fotoni ottici convertono nella regione ad alto

Figura 3.5. Schema di un fotodiodo a valanga

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3 � Il calorimetro elettromagnetico

drogaggio di lacune (p++); le cariche così generate passano nella giunzione p-n dove

si innesca il processo di moltiplicazione a valanga. Il guadagno di un APD, detto

anche fattore moltiplicativo (M), è de�nito come il rapporto tra il numero di cariche

secondarie generate ed il numero di cariche primarie ottenute per fotoconversione:

esso cresce esponenzialmente all'aumentare del voltaggio di bias, giungendo ad una

fattore 100 quando Vbias = 200 V .

Come si è già detto, negli endcaps vengono, invece, impiegati dei fototriodi a vuoto

che, pur avendo la stessa e�cienza quantica e lo stesso guadagno degli APDs, o�rono

una maggiore tolleranza alla radiazione e sono insensibili al campo magnetico. Un

VPT è formato da un fotocatodo di vetro, un anodo collocato a 5 mm dal fotocatodo

e da un dinodo posto subito dopo.

3.4 La catena elettronica di lettura del segnale

Il segnale in corrente generato dai fotomoltiplicatori deve essere digitalizzato in un

tempo pari alla frequenza di bunch crossing di LHC (40 MHz) e successivamente

condotto ai sistemi di trigger. La catena di lettura è illustrata nello schema in �g.

3.6. Il segnale di corrente uscente dall'APD giunge ad un preampli�catore che lo

converte in un segnale di tensione; la conversione analogico-digitale avviene grazie

ad un �oating point ADC (�g. 3.7). Il preampli�catore presenta più uscite con

guadagni di�erenti, di cui quella con guadagno unitario è utilizzata come feedback;

contemporaneamente un circuito logico consente di codi�care qual è il preampli�ca-

tore di guadagno più alto non saturato.

Terminata questa fase i dati digitalizzati sono condotti tramite delle �bre ottiche

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3 � Il calorimetro elettromagnetico

Figura 3.6. Catena elettronica di acquisizione del segnale

Figura 3.7. Schema del �oating point ADC

all'elettronica o� detector di livello superiore che svolge quattro compiti fondamen-

tali:

� somma le energie corrispondenti ai cristalli delle torri di trigger

37

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3 � Il calorimetro elettromagnetico

� immagazzina i dati per il tempo necessario al processo di decisione del trigger

(3µs)

� trasmette i dati al DAQ

� funge da interfaccia per l'elettronica on detector

Poiché lo spazio di memoria disponibile per ciascun evento in Ecal (100 kB) è infe-

riore di circa un fattore 20 allo spazio mediamente richiesto, risulta indispensabile

e�ettuare una lettura selettiva del segnale, eliminando le informazioni di scarso in-

teresse �sico. Per tale scopo vengono impiegati degli algoritmi che catalogano le

torri di trigger in tre classi di�erenti, sulla base dell'energia depositata: le torri con

energia superiore a 2 GeV sono considerate di elevato interesse, quelle con energia

compresa fra 2 e 1 GeV di medio interesse e quelle con energia inferiore a 1 GeV di

basso interesse. Nel caso in cui una torre rientri nella prima categoria, vengono letti

tutti i suoi cristalli insieme a quelli di una matrice 3× 3 di torri vicine; nel secondo

caso vengono letti soltanto i cristalli della torre, mentre nel terzo caso è applica-

ta la soppressione degli zeri standard. Quest'ultima comporta che le informazioni

del cristallo vengano salvate solo nel caso in cui il segnale superi di 3 σ il rumore

elettronico medio dei canali.

3.5 Sistema di controllo della trasparenza

Come già a�ermato in precedenza, la trasparenza dei cristalli di Ecal varia con

l'irraggiamento e deve essere, perciò, costantemente controllata tramite un sistema

di laser. In ciascun cristallo vengono iniettati due fasci di luce con lunghezza d'onda

di�erente: il primo (laser blu, λ = 440 nm) corrisponde al picco di emissione del

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3 � Il calorimetro elettromagnetico

PbWO4, mentre il secondo (laser infrarosso, λ = 796 nm) è utilizzato per veri�care

la stabilità della risposta. Dato che i VPT non sono sensibili all'infrarosso, negli

endcaps vengono utilizzati dei LED arancioni e blu. Il processo di distribuzione

della luce si articola in due stadi successivi: la sorgente luminosa viene inizialmente

suddivisa con un sistema di �bre ottiche e portata a gruppi di 200 cristalli in EB e 36

cristalli in EE. Successivamente, grazie al fanout di secondo livello, il laser raggiunge

i singoli cristalli. Il parametro che veri�ca la trasparenza del cristallo ad ogni istante

t è de�nito come il rapporto fra la luce raccolta nell'APD e l'intensità dell'impulso

laser in ingresso, misurata attraverso un diodo PN al silicio:

R(t) =APD(t)

PN(t)(3.1)

Bisogna, tuttavia, osservare che il laser e la luce di scintillazione presentano cammini

ottici e spettri di�erenti, ragione per cui anche le risposte del cristallo nei due casi

saranno diverse. La relazione che le lega è espressa dalla seguente legge di potenza:

S(t)

S(t0)=

(R(t)

R(t0)

)α(3.2)

dove S(t) indica la risposta alla luce di scintillazione, R(t) quella al laser, mentre il

parametro α è proprio di ciascun cristallo e vale 1.0 per i cristalli fabbricati in Cina

(SIC) e 1.53 per quelli costruiti in Russia (BCTP).

La precisione nel determinare i coe�cienti di correzione della trasparenza dipende

da quattro fonti di errore:

� la dispersione di α tra i cristalli: il valore di α ricavato per i cristalli SIC e

BCTP ha, infatti, un'incertezza relativa rispettivamente del 5% e del 10%. A

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3 � Il calorimetro elettromagnetico

ciò si deve aggiungere il fatto che tale parametro è stato misurato direttamente

solo per un campione ristretto dei 75848 cristalli che compongono Ecal.

� una seconda sorgente di errore è costituita dalla stabilità del sistema di mon-

itoring

� in terzo luogo troviamo la variazione della lunghezza temporale degli impulsi

laser. La forma dell'impulso all'uscita degli APD e dei PN è descritta come la

convoluzione dell'impulso laser e della risposta elettronica dei rispettivi siste-

mi di lettura: negli APD ciò che si nota è una variazione dell'altezza dell'im-

pulso in funzione della sua larghezza temporale. Tale dipendenza, mostrata

nel gra�co 3.8, si ripercuote direttamente sulla precisione dei coe�cienti di

correzione.

� in�ne, un'ultima fonte di errore è costituita dalle variazioni del guadagno dei

dispositivi elettronici. In particolare, negli APD esso dipende fortemente dal

voltaggio e dalla corrente di buio: un cambiamento di 1 V equivale ad una

variazione del 3% del guadagno operativo scelto (50). Per ovviare a questo

problema il sistema di HV di Ecal è stato progettato in maniera tale che la

massima variazione nell'arco temporale di 30 giorni sia di 66 mV

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3 � Il calorimetro elettromagnetico

Figura 3.8. Rapporto tra l'altezza degli impulsi all'uscita dell'APD e del PN infunzione della larghezza temporale

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3 � Il calorimetro elettromagnetico

3.6 Ricostruzione del tempo in Ecal

Un ultimo argomento che tornerà utile nell'ambito di questa tesi è la modalità di

ricostruzione dei tempi nei cristalli di Ecal. Come si è visto, l'elettronica front-end

del calorimetro elettromagnetico ampli�ca il segnale uscente dai fotorivelatori: una

volta giunto agli ADC tale impulso viene campionato in dieci punti successivi che

forniscono altrettante misure dell'ampiezza (�g.3.9). Per convenzione lo zero è posto

in corrispondenza del massimo dell'ampiezza. La risoluzione temporale è espressa

Figura 3.9. Misura temporale di un impulso in Ecal

come la somma in quadratura di tre termini:

σ2(t) =(NσnA

)2

+

(S√A

)2

+ C2 (3.3)

dove A indica l'ampiezza misurata, σn lo smearing legato al rumore in ciascun cam-

pionamento, N, S, C i coe�cienti di noise, del termine stocastico e del termine

costante. Dagli studi e�ettuati con simulazioni MC si è ottenuta una stima di N

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3 � Il calorimetro elettromagnetico

= 33 ns per σn = 42 (140) MeV in EB (EE), mentre si è osservato che il termine

stocastico, dovuto alla �uttuazioni dei tempi di raccolta del segnale luminoso, risulta

trascurabile.

Per misurare la risoluzione temporale intrinseca di Ecal è stato usato un test beam

di elettroni con energia tra 15 e 250 GeV: il valore di σ(t) viene estratto dalla dis-

tribuzione delle di�erenze fra i tempi dei cristalli adiacenti di un supercluster. Dalla

3.3 avremo che:

σ2(t1 − t2) =

(NσnAeff

)2

+ 2C̄2 (3.4)

con Aeff = A1A2√A2

1+A22

, N = (35.1 ± 0.2) ns e C̄ = (20 ± 4) ps. Per valori di

Aeffσn

> 400 la risoluzione risulta inferiore a 100 ps: ciò dimostra che, con un'atten-

ta calibrazione e sincronizzazione dei cristalli, è possibile raggiungere delle ottime

prestazioni temporali nel calorimetro.

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Capitolo 4

Ricostruzione dei fotoni in Ecal

Gli elettroni ed i fotoni generano all'interno di Ecal degli sciami elettromagnetici,

la cui energia viene depositata in una matrice di cristalli di dimensione variabile:

in media si può a�ermare che il 94% dell'energia è contenuto in un array 3 x 3 e il

97% in un array 5 x 5. La corretta identi�cazione delle particelle nel calorimetro è

complicata dal fatto che sia gli elettroni sia i fotoni possono interagire nel tracciatore,

rispettivamente per bremsstrahlung e conversione; inoltre il campo magnetico di 4T

provoca uno spread lungo φ del rilascio di energia.

Analizzeremo ora gli algoritmi impiegati per la ricostruzione.

4.1 Gli algoritmi di supercluster

In generale, uno shower dovrebbe apparire come un massimo locale (seed) all'inter-

no di un array di depositi energetici minori: la ricostruzione inizia, perciò, con la

ricerca di tale seed e prosegue estendendosi ai cristalli adiacenti. In Ecal vengono

utilizzate due tipologie diverse di algoritmi, denominati Hybrid algorithm e Island

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4 � Ricostruzione dei fotoni in Ecal

algorithm. L'hybrid algorithm si basa sulla geometria η−φ del barrel: in particolare,

Figura 4.1. rappresentazione del funzonamento dell'algoritmo ibrido

esso parte dalla conoscenza della forma laterale dello sciame lungo η, compiendo poi

una scansione dinamica in φ. Il suo funzionamento è schematizzato in �gura 4.1.

Vengono creati dei domini 1x3 il cui centro ha la stessa η del seed: se il cristallo

centrale ha energia maggiore di quelli laterali, allora si passa ad un dominio 1x5.

Successivamente i domini sono raggruppati in clusters e questi ultimi in superclus-

ters.

L'island algorithm, invece, ricerca i seeds, li ordina per energia decrescente ed elim-

ina quelli adiacenti ad altri con energia superiore. Lo schema è illustrato in �g. 4.2:

partendo dalla posizione del seed, l'algoritmo si muove lungo φ in entrambe le di-

rezioni, raggruppando i cristalli �no a che non incontra un innalzamento di energia;

allo stesso modo avviene per η.

L'unico parametro su cui si basa l'island algorithm è l'energia di soglia (ET ) del seed:

la scelta del suo valore deve essere un buon compromesso tra la necessità di tagliare

il rumore ed il pile-up a bassa energia ed il bisogno di mantenere una risoluzione

ottimale. Osserviamo che, con questa tecnica, i cristalli con energia inferiore ad ET

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4 � Ricostruzione dei fotoni in Ecal

non vengono inclusi nel cluster. Per quanto riguarda la misura della posizione di uno

Figura 4.2. schema dell'island algorithm

sciame, una stima approssimativa può essere fornita dalla media pesata sull'energia

della posizione dei singoli cristalli che compongono il cluster. Esistono, tuttavia,

delle correzioni di cui bisogna tenere conto: in primo luogo la geometria dei cristalli

non punta direttamente al centro di Ecal e, quindi, l'asse dei cristalli varia con la

profondità (e l'energia) dello sciame. In secondo luogo, poiché la densità di energia

decresce esponenzialmente con la distanza dall'asse dello sciame, la semplice media

pesata comporta uno shift dello posizione verso il cristallo contenente il massimo

valore di energia.

Tenendo conto di tutto ciò, la posizione x è espressa come:

x =Σi xiwiΣi wi

(4.1)

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4 � Ricostruzione dei fotoni in Ecal

dove i pesi wi sono

wi = w0 + logEi

ΣjEj(4.2)

4.2 Calibrazione e risoluzione di energia

La calibrazione di Ecal costituisce uno dei punti più delicati e cruciali per la corretta

ricostruzione dell'energia rilasciata nel calorimetro: per raggiungere una precisione di

10−3 nella determinazione di E è indispensabile che tutti i contributi alla calibrazione

siano attentamente monitorati. Essi sono illustrati nella formula 4.3:

Eγ,e = F (η)γ,e ΣiG(GeV/ADC)× Si(T, t)× ci × Ai (4.3)

Il termine F (η)γ,e indica un fattore di correzione legato al tipo di particella incidente

(elettrone o fotone) e varia in funzione di η, dell'energia trasversa (ET ) e della

frazione di energia persa per bremsstrahlung. La sommatoria che segue opera su

tutti i cristalli che formano il supercluster e contiene più contributi:

� G(GeV/ADC) è la scala di energia di Ecal, ossia il fattore di conversione in

GeV dell'output dell'ADC

� Si è funzione del tempo e del canale di lettura e rappresenta la correzione per

la perdita di trasparenza del cristallo

� ci sono le costanti di intercalibrazione

� Ai sono le ampiezze misurate in ciascun canale

L'incertezza sistematica nella determinazione dell'energia è dominata, soprattutto,

dal termine F (η) e dalle correzioni della trasparenza. Per quanto riguarda, invece,

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4 � Ricostruzione dei fotoni in Ecal

l'intercalibrazione, essa può essere studiata attraverso tecniche di�erenti: nella fase

di assemblaggio di Ecal si sono sfruttati i raggi cosmici e dei test-beam, ora, in

presenza di fascio, è possibile ottenere un'intercalibrazione diretta con fotoni ed

elettroni derivanti dai processi di decadimento (π0 → γγ, η → γγ, W → eν). In

seguito ritorneremo su questi metodi di calibrazione, in particolare sulla calibrazione

con elettroni isolati.

Ora, per concludere, riportiamo alcune considerazioni sulla risoluzione in energia di

Ecal. (σ

E

)2

=

(S√E

)2

+(N

E

)2

+ C2 (4.4)

Essa è parametrizzata come la somma in quadratura di tre contributi: il primo

termine nella 4.4 è quello stocastico dovuto alle �uttuazioni statistiche nella pro-

duzione di luce di scintillazione, il secondo è il termine di rumore legato al noise

dell'elettronica e al pile up, il terzo è il contributo costante causato da errori di

intercalibrazione.

La �gura 4.3 mostra come varia la risoluzione in funzione dell'energia per un beam

test di elettroni.

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4 � Ricostruzione dei fotoni in Ecal

Figura 4.3. Risoluzione in funzione dell'energia, misurata per una matrice dicristalli 3× 3. La linea tratteggiata rappresenta il caso particolare in cui si richiedeche gli eventi cadano in una regione di 4× 4mm2

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Capitolo 5

La calibrazione di Ecal

Il primo contributo che in�uisce direttamente sulla risoluzione del segnale cercato è

costituito dalla risoluzione dei singoli fotoni. Come già mostrato nella formula 4.3,

il calcolo dell'energia in Ecal dipende da più fattori, in particolare dalle correzioni

laser che compensano la perdita di trasparenza dei cristalli; tale perdita è casuata

dalla formazione di centri di colore che assorbono una frazione della luce trasmessa,

modi�cando la trasparenza: nel momento in cui l'esposizione alla radiazione cessa,

i centri di colore annichiliscono ed i cristalli tornano lentamente nella condizione

iniziale.

In generale, i requisiti che un calorimetro deve essere in grado di soddisfare sono

essenzialmente due: da un lato un'elevata stabilità di risposta nel tempo, dall'altro

uniformità di risposta nello spazio. Una prima misura della risoluzione di energia

di Ecal eseguita utilizzando dei fasci di elettroni di test ha portato ad ottenere i

seguenti valori ([20]):

E

)2

=

2.8%√E(GeV )

2

+(

0.12GeV

E

)2

+ 0.3% (5.1)

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5 � La calibrazione di Ecal

Ciò dimostra che, per fotoni non convertiti con energia superiore a 100 GeV, il ter-

mine dominante risulta quello costante: le prestazioni globali di Ecal dipenderanno,

perciò, principalmente dalla qualità dell'intercalibrazione e dal monitoraggio delle

correzioni laser. Lo scopo �nale consiste nel mantenere il termine costante della

risoluzione di energia intorno allo 0.5%: per raggiungere una tale precisione si deve

tener conto anche di quegli e�etti che in prima approssimazione risultano trascur-

abili. Tra questi ricordiamo la di�erenza del tempo di formatura del segnale esistente

fra APD (VPT) e PN e la non linearità dei fotodiodi PN.

La stabilità di un canale viene de�nita come la r.m.s. dell'ampiezza misurata dal-

l'APD normalizzata all'ampiezza del PN, dopo che tutte le correzioni sono state

applicate. In �g. 5.1 è riportato un gra�co che illustrata la stabilità nel tempo di

un singolo canale.

In questo capitolo descriveremo brevemente le tecniche di intercalibrazione attual-

mente in uso e passeremo, poi, a discutere in dettaglio il controllo della trasparenza

dei cristalli: ci so�ermeremo, in particolare, sulla stabilità temporale delle correzioni

laser e sullo studio delle correzioni regionali.

Figura 5.1. Plot di stabilità per un singolo canale di Ecal: il colore dei puntiindica l'evolversi temporale

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5 � La calibrazione di Ecal

5.1 Metodi di intercalibrazione

Precedentemente all'installazione in CMS, Ecal è stato precalibrato con delle mis-

ure di laboratorio basate sui raggi cosmici e su fasci di elettroni di test; in seguito

all'avvio di LHC, si è riusciti a migliorare la precisione di precalibrazione raggiun-

gendo, nel barrel, una precisione di 1.6%. Per accrescere ulteriormente questo valore

vengono oggi impiegate diverse tecniche di calibrazione fra loro indipendenti:

� il metodo φ-simmetry si basa sull'assunzione che l'energia trasversa totale

depositata da eventi di minimum bias in un anello di Ecal con pseudorapidità

�ssata deve essere uguale per tutti i cristalli; in tal modo è stato possibile

raggiungere una precisione di 1.4% nella regione |η| < 0.8 (v. �g. 5.2). Il

fatto che la precisione decresca per |η| > 1 è dovuto all'aumento del materiale

interposto fra il calorimetro e il centro di interazione

Figura 5.2. Precisione di intercalibrazione in funzione di η nel barrel: i pun-ti rossi indicano il limite di precisione raggiungibile, quelli blu la precisioneottenuta con 18 milioni di eventi simulati

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5 � La calibrazione di Ecal

� un secondo metodo molto e�cace consiste nell'utilizzare le coppie di fotoni

non convertiti derivanti dal decadimento del π0: nella regione |η| < 0.8 la

precisione scende ulteriormente a 1.2 %

5.2 Controllo della trasparenza con elettroni

5.2.1 Stabilità temporale

Le correzioni laser sono de�nite come il rapporto fra la quantità di luce che viene

raccolta dal fotodiodo a valanga e la luce e�ettivamente emessa dal laser, misurata

con un diodo PN:

LC =APD/PN(t)

APD/PNref

(5.2)

dove il termine APD/PNref indica il riferimento al tempo t = 0.

La tecnica impiegata per monitorare la trasparenza dei cristalli sfrutta gli elettroni ed

i positroni derivanti dai decadimenti W− → e−ν̄ e W+ → e+ν; la variabile studiata

è data dal rapporto fra il modulo del momento della particella e l'energia che essa

deposita nei cristalli di Ecal: trattandosi di entità relativistiche, tale quantità deve

essere uguale ad uno. Poiché il momento di una particella carica viene misurato

con elevata precisione nel tracciatore, il rapporto Epconsente di testare in maniera

diretta la validità della calibrazione energetica del calorimetro.

La procedura seguita è riassumibile così:

� in primo luogo si costruisce un riferimento, ossia un istogramma contenente i

valori di Epche verrà successivamente impiegato per eseguire i �t: i valori di

input forniti a questo template possono derivare sia dal Monte Carlo, sia dai

dati stessi

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5 � La calibrazione di Ecal

� si suddivide poi la regione di interesse, barrel o endcap, in un numero di bins

tale che la statistica in ciascuno di essi sia circa la stessa e sia su�cientemente

elevata

� in�ne, in ogni bin, si esegue il �t con la funzione di template ottenuta dall'is-

togramma di riferimento. Nel nostro caso speci�co essa è una doppia Crystal

Ball (v. �g. 5.3) de�nita come:

f(x) = N

A(B − (x−x̄)

σ

)−nse (x−x̄)

σ> |α|

A1

(B1 − (x−x̄)

σ

)−n1

se (x−x̄)σ

< −|α1|

exp(− (x−x̄)2

2σ2

) (5.3)

dove A =(n|α|

)n× exp

(− |α|

2

2

), B = n

|α| − |α|, A1 =(n1

|α1|

)n1 × exp(− |α1|2

2

),

B1 = n1

|α1| − |α1|.

I gra�ci 5.4, 5.5, 5.6, 5.7 mostrano l'andamento di Epin funzione del tempo e delle

correzioni laser. I punti rossi rappresentano i valori in cui la correzione del laser

non è presente, mentre i verdi sono quelli con la correzione applicata: come si può

osservare le perdite di trasparenza vengono compensate e il rapporto Eptorna ad

essere uno. Questi plot devono essere costantemente aggiornati nel corso del tempo

per veri�care che, sia nelle fasi successive agli stop tecnici di LHC sia durante il suo

funzionamento, il trend di Eprimanga sotto controllo: in caso contrario è indispens-

abile rielaborare un nuovo modello di correzioni.

A tale proposito un'analisi più approfondita condotta sulla presa dati del Maggio

2011 ha portato alla luce delle patologie presenti negli endcaps: ci si attende, infat-

ti, che, all'aumentare del modulo di η, anche le correzioni laser crescano, essendo

maggiore la quantità di radiazione cui il calorimetro viene sottoposto. I gra�ci in

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5 � La calibrazione di Ecal

�g. 5.8 mostrano, invece, un comportamento contrario: per |η| > 2 le correzioni

laser diminuiscono notevolmente. Ciò signi�ca che il modello adottato non descrive

adeguatamente la realtà e deve essere, perciò, sostituito: nel momento in cui si ap-

plica un nuovo modello di costanti di calibrazione (�g. 5.9) si riottiene l'andamento

previsto.

Questo esempio illustra da un lato le di�coltà sperimentali a cui si è soggetti nella

calibrazione del calorimetro, dall'altro l'importanza che un attento lavoro di mon-

itoraggio della trasparenza riveste nell'accrescere le prestazioni del rivelatore.

Figura 5.3. Esempio di istogramma di riferimento: l'area complessiva vienenormalizzata ad uno in maniera tale che la funzione di �t ottenuta possaessere utilizzata come likelihood

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5 � La calibrazione di Ecal

Figura 5.4. Variazione di E/p in funzione delle correzioni laser per elettroni nel Barrel

Figura 5.5. Variazione di E/p in funzione delle correzioni laser perelettroni negli Endcaps

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5 � La calibrazione di Ecal

Figura 5.6. Andamento temporale di E/p nel Barrel

Figura 5.7. Andamento temporale di E/p negli Endcaps

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5 � La calibrazione di Ecal

Figura 5.8. Correzioni laser in funzione di η per EE- ed EE+

Figura 5.9. Correzioni laser in funzione di η per la presa dati del Maggio 2011(sinistra) e per la presa dati del Maggio 2011 in cui è stato applicato un nuovomodello di costanti di calibrazione (destra)

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5 � La calibrazione di Ecal

5.2.2 Uniformità spaziale

Accanto al controllo della stabilità temporale, un altro settore di interesse per la

calibrazione di Ecal riguarda lo studio degli e�etti regionali e la conseguente elab-

orazione di un modello di costanti di correzione. Col termine e�etti regionali si fa

riferimento alle perdite di energia che si registrano nel calorimetro in corrispondenza

dei punti di giunzione fra due moduli e, ad una scala inferiore, fra sottomoduli e

cristalli adiacenti. Per quanti�care l'incidenza che tali perdite hanno sulla risoluzione

di energia si procede analizzando l'andamento della variabile E/p degli elettroni in

maniera del tutto analoga a quanto fatto precedentemente per la stabilità temporale:

in questo studio i bins di tempo verranno sostituiti da bins nello spazio η− φ. L'in-

tento �nale del lavoro è quello di estrarre dai dati delle nuove correzioni applicabili

anche ai fotoni che consentano di migliorare la risoluzione del segnale H → γγ.

L'analisi regionale viene condotta separatamente lungo η e lungo φ: per riprodurre

le medesime condizioni dei fotoni non convertiti, si considerano solo gli elettroni in

cui la variabile R9, de�nita come il rapporto tra l'energia depositata nella matrice

3 × 3 intorno al seed e l'energia rilasciata in tutto il supercluster, è maggiore di

0.94. La �g. 5.10 mostra l'andamento di E/p in funzione di η nel barrel, mentre la

�gura 5.11 illustra lo stesso andamento in funzione di φ per un singolo modulo: in

entrambi i casi è chiaramente visibile la modulazione dovuta ai singoli cristalli. Per

veri�care che le correzioni ricavabili dallo studio degli elettroni siano e�ettivamente

applicabili anche ai fotoni, si utilizza un campione MC dell'Higgs e si va a studiare

il rapporto tra l'energia reale del fotone de�nita nel MC a livello generatore (Etrue)

e l'energia ricostruita nel supercluster (E): se gli andamenti di E/Etrue ed E/p in

funzione di η e φ coincidono, signi�ca che i due modelli risultano confrontabili.

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5 � La calibrazione di Ecal

Figura 5.10. Andamento di E/p in funzione di η nel barrel per gli elettroni(rosso) ed i positroni (verde)

Figura 5.11. Andamento di E/p in funzione di φ in un modulo del barrel per glielettroni (rosso) ed i positroni (verde)

Il gra�co 5.12 riproduce l'andamento in φ di E/Etrue per un modulo del barrel: an-

che in questo caso si può osservare la modulazione dei cristalli. I punti verdi sono

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5 � La calibrazione di Ecal

quelli in cui vengono applicate delle correzioni locali ([21]): in tal caso il rapporto

ritorna ad essere mediamente più vicino ad uno.

In sintesi possiamo concludere che lo studio delle correzioni regionali è ancora in fase

di sviluppo e non si hanno per il momento dei risultati de�nitivi: quanto appena

mostrato suggerisce, tuttavia, che l'e�etto non deve essere trascurato se si desidera

calibrare Ecal con una precisione elevata.

Figura 5.12. Andamento di E/Etrue in funzione di φ in un modulo delbarrel: in rosso vengono riportati i valori non corretti, in verdi quelli con lacorrezione applicata

5.2.3 E�etto della calibrazione sulla risoluzione

Per quanti�care l'e�etto della perdita di trasparenza sulla risoluzione di energia �-

nale, si studia nei dati una risonanza nota con precisione, in questo caso la Z → e+e−,

e si confronta la larghezza ottenuta sperimentalmente con quella prevista dalla simu-

lazione MC. Nella tabella 5.1 vengono comparati i risultati relativi ai dati, in assenza

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5 � La calibrazione di Ecal

ed in presenza di un nuovo modello di costanti laser e di intercalibrazione: come si

può notare nel secondo caso lo smearing aggiuntivo, de�nito ∆σ =√

2MZ

√σ2dati − σ2

MC ,

diminuisce sensibilmente.

Riassumendo, i fattori che contribuiscono al termine costante della risoluzione di

energia di Ecal sono i seguenti:

� i coe�cienti di intercalibrazione, la cui precisione percentuale attuale è di 0.5-

1% nel barrel e di 2-3% negli endcaps. Dato che l'elettrone deposita la sua

energia in un cluster di cristalli l'incertezza dell'intercalibrazione contribuisce

alla risoluzione di energia con un fattore di diluizione di 0.7. Il contributo

apportato è, dunque, inferiore all'1% nel barrel e pari a circa il 2% negli

endcaps. Poiché nel MC si assume un'imprecisione di intercalibrazione pari a

quella attesa dai dati essa non costituisce una fonte di smearing aggiuntivo

� un secondo termine è dato dalla stabilità temporale di Ecal, studiata in det-

taglio in questo capitolo. Nella simulazione MC si assume che le correzioni

laser per la perdita di trasparenza dei cristalli abbiano una precisione di 0.3%.

In realtà gli studi di E/p mostrano che tale valore risulta eccessivamente ot-

timistico e il contributo aggiuntivo al termine costante della risoluzione può

essere, dunque, ascritto alle instabilità temporali non perfettamente corrette

dal sistema di monitoring

� in�ne troviamo le correzioni di scala locale e regionale. Le prime riguardano la

dipendenza della scala di energia dalla posizione in η e in φ. Sebbene questo

e�etto sia di circa 0.5% esse non contribuiscono allo smearing aggiuntivo, in

quanto sia nei dati che nel MC non vengono prese in considerazione.

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5 � La calibrazione di Ecal

Le correzioni regionali riguardano, invece, la non omogeneità della risposta dei

dati in funzione di η e della variabile R9: esse sono ancora oggetto di studio e

possono apportare un miglioramento signi�cativo della risoluzione di energia.

Risultati preliminari mostrano che le correzioni di scala locale e regionale nel

barrel migliorano la risoluzione di energia di 0.7 GeV in quadratura, portando

la risoluzione in massa dei due fotoni da 1.5 GeV/c2 a 1.3 GeV/c2.

Dataset Categoria σMC σdati ∆σMay10 Elettroni in EB 1.52 GeV 1.83 GeV 1.56%

May10+new LC+new IC Elettroni in EB 1.52 GeV 1.7 GeV 1.19%May10 Elettroni in EE 2.20 GeV 2.96 GeV 3.08%

May10+new LC+new IC Elettroni in EE 2.20 GeV 2.46 GeV 1.70%

Tabella 5.1. Confronto tra la risoluzione MC e quella misurata nei dati perdue datasets di�erenti

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Capitolo 6

Identi�cazione del vertice primario

Come accennato in precedenza, l'identi�cazione del vertice di provenienza dei due

fotoni è di fondamentale importanza per ottenere una buona risoluzione sulla massa

dell'Higgs. Il problema della presenza di più vertici di interazione nella collisione

fra due bunch di protoni è chiamato pile up e tende ad aumentare con la luminosità

di LHC: nel 2011, con L = 2 × 1033 cm−2s−1, il valore medio di pile up atteso è di

5.6. Le posizioni dei vertici sono distribuite in maniera gaussiana intorno al centro

di Ecal (0,0,0) e presentano una RMS di 5.8 cm.

Da un punto di vista quantitativo, l'e�etto di una errata localizzazione del primary

vertex (PV) può essere stimato dalla formula della massa invariante:

mH =√

2E1E2(1− cos θ) (6.1)

Se l'angolo di apertura tra i fotoni ha un valore di 30°, un errore di 3°nella sua

determinazione comporta una variazione di mH dell'8%.

Il processo di produzione di oggetti pesanti come l'Higgs è sempre accompagnato da

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6 � Identi�cazione del vertice primario

un'alta attività e, di conseguenza, le tracce associate al vertice di produzione devono

possedere un elevato momento trasverso. Per testare l'e�cienza di ricostruzione del

vertice si procede nella maniera seguente:

� si sceglie un decadimento a due corpi in cui il vertice è noto con precisione

(Z → e+e−, Z → µ+µ−)

� nell'algoritmo di ricostruzione del vertice si rimuovono le tracce degli elettroni

e dei muoni, così da simulare il processo di decadimento dell'Higgs in due

fotoni

� si applica l'algoritmo di identi�cazione del PV e se ne veri�ca l'e�cienza,

contando il numero di casi in cui l'identi�cazione del vertice è avvenuta cor-

rettamente

6.1 E�cienza di identi�cazione del PV

Una prima variabile cinematica utile per l'identi�cazione del PV è data dalla somma

del quadrato dei momenti trasversi di tutte le tracce associate a ciascun vertice

(SumPt2 = Σ p2T ): per quanto detto in precedenza, viene scelto come PV quello col

massimo valore di SumPt2. Questo metodo viene applicato sia per i dati che per

il Monte Carlo nei processi di decadimento Zee e Zµµ: i gra�ci seguenti mostrano

i risultati ottenuti. La statistica complessiva cui si fa riferimento corrisponde ai

dati raccolti nell'anno 2010 (36 pb−1): per poter confrontare in maniera diretta

dati e MC (�g. 6.1), in quest'ultimo la distribuzione del numero di vertici viene

ripesata in maniera tale da simulare lo scenario di PU atteso. In generale, si ha,

infatti, che il numero di vertici ricostruiti non coincide necessariamente col numero

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6 � Identi�cazione del vertice primario

di interazioni di PU, in quanto due vertici vicini possono essere identi�cati come un

vertice singolo e, viceversa, un vertice con elevata attività può essere sdoppiato: il

ripesamento avviene, dunque, utilizzando la distribuzione del numero di interazioni

di PU ricavata dai dati.

Figura 6.1. E�cienza di identi�cazione del PV in funzione del nu-mero di vertici di PU (MC)

Osservando i plot si può notare che l'e�cienza di identi�cazione del PV risulta

superiore al 90% per valori di Pt del bosone maggiori di 40 GeV/c, mentre per valori

inferiori decresce �no a raggiungere circa il 50%: tale di�erenza si spiega osservando

che ad un basso pT bosone corrisponde una bassa attività di rinculo adronico ed è,

dunque, più di�cile distinguere fra l'evento primario cercato e gli eventi derivanti

da collisioni so�ci. Inoltre, come è prevedibile, l'e�cienza diminuisce all'aumentare

del numero di vertici di pile up, essendo, in tal caso, maggiore la probabilità di una

errata identi�cazione del PV. Per colmare queste lacune è indispensabile individuare

dei nuovi criteri di selezione.

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6 � Identi�cazione del vertice primario

Figura 6.2. E�cienza di identi�cazione del PV in funzione del mo-mento trasverso del bosone (MC)

Figura 6.3. E�cienza di identi�cazione del PV in funzione del nu-mero di vertici di PU (Dati)

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6 � Identi�cazione del vertice primario

Figura 6.4. E�cienza di identi�cazione del PV in funzione del momen-to trasverso del bosone (Dati)

Figura 6.5. Confronto fra i dati e il MC per Zee

Il fatto che gli andamenti delle e�cienze siano analoghi sia per Zee che per Zµµ

testimonia, in�ne, che l'algoritmo di selezione del PV risulta indipendente dal tipo

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6 � Identi�cazione del vertice primario

Figura 6.6. Confronto fra i dati e il MC per Zµµ

Num. Vertici PU E�. MC E�. Dati1 98.0± 0.012 98.1± 0.062 82.9± 0.22 82.8± 0.113 74.1± 0.26 74± 0.134 68± 0.33 67.5± 0.175 63± 0.48 62.9± 0.256 57.7± 0.74 58.3± 0.387 56.2± 1.2 55.5± 0.638 53.8± 2 52.1± 1.19 52.5± 3.5 49.4± 1.910 43.1± 5.8 47.1± 3.411 47.4± 11 39.2± 6.8

Tabella 6.1. E�cienza di selezione del PV ottenuta per dati e MC utilizzando comevariabile discriminante SumPt2

di processo �sico studiato e può essere, perciò, impiegato in maniera a�dabile anche

per l'H → γγ.

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6 � Identi�cazione del vertice primario

6.2 Selezione del PV con il ranking

La tecnica di identi�cazione del vertice primario impiegata nell'analisi u�ciale dell'H →

γγ e di cui si farà uso anche in questa tesi prende il nome di ranking. Essa consente

di classi�care i vertici sfruttando le informazioni derivanti dall'attività associata a

ciascun vertice e dalla cinematica del vertice stesso: la produzione di un oggetto

pesante come l'Higgs comporta, infatti, la presenza di una correlazione fra il sistema

dei due fotoni e le tracce di rinculo. L'elenco completo delle variabili dipendenti

dall'attività e dalla cinematica può essere trovato in [14]. Utilizzando come segnale

un campione di Higgs alla massa di 120 GeV/c2 per di�erenti scenari di pile up, si

è concluso che le variabili in grado di fornire la migliore localizzazione del PV sono

le seguenti:

� ptbal: −Σi ( ~pTi ~pT

γγ

| ~pT γγ |)

� ptasym: (ptvtx − pγγT )

(ptvtx + pγγT )

� sumpt2: Σi | ~pT i|2

L'indice delle sommatorie agisce su tutte le tracce associate al vertice. L'algoritmo

impiegato calcola il rank in maniera distinta per ciascuna variabile e, successiva-

mente, ne esegue il prodotto; se in un evento vengono ricostruiti N vertici di PU, il

rank varia da 1 a N ed il suo valore minimo corrisponde al vertice che ha la maggior

probabilità di coincidere col vertice primario di interazione dura.

In �gura 6.7 il criterio di selezione basato su sumPt2 viene comparato con il ranking:

come si può notare quest'ultimo comporta un aumento dell'e�cienza nella regione

a basso PT del bosone. L'incremento del numero medio di vertici di pile up causa

una diminuzione dell'e�cienza complessiva.

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6 � Identi�cazione del vertice primario

Come si è fatto precedentemente per l'algoritmo basato su SumPt2, il ranking è

stato testato sui dati del decadimento Z → µ+µ−; nel momento in cui si passa a

studiare l'H → γγ è, tuttavia, necessario tener conto della di�erenza esistente tra i

due eventi �sici: per tale ragione si riscala l'e�cienza del processo Z → µ+µ− rica-

vata dai dati per il rapporto tra le e�cienze dell'H → γγ e dello Z → µ+µ− stimate

dal MC. L'incertezza sistematica per l'H → γγ associata all'e�cienza complessiva

di selezione del vertice integrata su tutto lo spettro di pT deriva dall'incertezza sta-

tistica nella misura dell'e�cienza di Z → µ+µ− (0.4%) e dall'imprecisione che si ha

nel descrivere lo spettro in pT dell'Higgs (0.3%).

Figura 6.7. Confronto tra l'e�cienza di ricostruzione del vertice per diversiprocessi �sici nel caso in cui si usi come variabile discriminante SumPt2 o ilranking. Il gra�co a sinistra è una simulazione MC con < NPU >= 6, quelloa destra con < NPU >= 10

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6 � Identi�cazione del vertice primario

6.3 Ricostruzione del vertice con il metodo del tim-

ing

6.3.1 Algoritmo di ricostruzione

Una delle possibili tecniche di ricostruzione del vertice di interazione consiste nel-

l'utilizzare le informazioni salvate nei dati, riguardanti, in particolare, il tempo di

arrivo nel calorimetro elettromagnetico dei prodotti di decadimento. L'origine del

Figura 6.8. Ricostruzione geometrica del PV in EB

nostro sistema di riferimento è il centro di simmetria di ECAL, come mostrato in

�gura 6.8: i parametri noti sono la posizione del supercluster (l0), alla quale, per

convenzione è associato un tempo t = 0, e la di�erenza di tempo rispetto ad essa

(∆t). Ciò che si vuole trovare è la posizione del vertice V lungo l'asse z, sapendo che

il vettore che lo individua ha lunghezza l = l0+c∆t. Dallo studio della geometria del

sistema si ottengono gli algoritmi di ricostruzione del vertice, rispettivamente per

i casi in cui la particella arrivi nel barrel o nell'endcap del calorimetro. Indicando

con R=1.29 m il raggio di ECAL e con D = 3 m la distanza fra l'origine e l'endcap,

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6 � Identi�cazione del vertice primario

avremo per l'EB:

zvertex = zSC ±√l2 −R2 (6.2)

mentre per l'EE:

zvertex = D ±√l2 − r2

SC se η > 0 (6.3)

zvertex = −D ±√l2 − r2

SC se η < 0 (6.4)

Si osservi che per ogni vertice esistono due possibili soluzioni che soddisfano l'algorit-

mo: viene scartata quella più lontana dal vertice primario di interazione. In�ne, in

questo studio abbiamo implicitamente assunto che le particelle viaggino alla velocità

della luce: date le elevate energie nel centro di massa di LHC tale approssimazione

risulta sicuramente corretta.

Prima di passare all'analisi vera e propria, è bene speci�care come viene calcolato

il tempo. Nei dati a disposizione sono, infatti, salvati i tempi relativi alla matrice

3x3 di cristalli il cui centro è il seed, ossia il cristallo con massima quantità di ener-

gia. Poiché la risoluzione temporale su ciascun tempo dipende dall'energia, faremo

la media pesata dei nove tempi a disposizione parametrizzando la risoluzione nella

maniera seguente:

σt =

√A2

E2+B2 (6.5)

con A = 2.4 (ns GeV) per eventi nell'endcap, A = 1.1 (ns GeV) per eventi nel barrel

e B = 0.25 ns in entrambi i casi. Si osservi che la risoluzione sul singolo tempo non

può mai essere migliore di 250 ps. Il valore �nale è perciò espresso dalla formula:

t̄ =

∑3×3i

tiσ2i∑

i1σ2i

(6.6)

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6 � Identi�cazione del vertice primario

Nei paragra� che seguono viene illustrata l'analisi condotta su eventi Monte Carlo

e sui dati.

6.3.2 Analisi MC

Ci proponiamo di testare la validità del timing come tecnica di ricostruzione del

vertice di interazione a partire da dei sample MC che simulano il decadimento del-

l'Higgs in due fotoni (mH = 120GeV/c2). Nel MC i tempi vengono digitizzati a step

di 1 ns: la risoluzione non può, dunque, essere migliore di 300 ps e i valori forniti

risultano ina�dabili. Per ovviare questo problema si ricostruiscono i tempi a partire

dalle informazioni sulla posizione del supercluster (l0) e del vertice MC (l). Si avrà

infatti che:

∆t =l − l0c

(6.7)

A questo valore viene aggiunto uno smearing gaussiano dipendente dall'energia, sec-

ondo la parametrizzazione espressa nella formula 6.5. La procedura seguita prende

il nome di toy Monte Carlo.

I risultati ottenuti sono illustrati nei gra�ci seguenti.

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6 � Identi�cazione del vertice primario

Figura 6.9. Risoluzione spaziale del singolo fotone in funzione di eta

Figura 6.10. Risoluzione spaziale per coppie di fotoni

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6 � Identi�cazione del vertice primario

Il plot 6.9 mostra la variazione della risoluzione spaziale in funzione del valore

di η: per bassi η la risoluzione peggiora, in quanto, essendo il vettore l più corto,

l'incertezza dovuta al tempo è dominante. Osserviamo che il punto con η ∼ 1.5,

corrispondente alla transizione tra barrel ed endcap, si discosta dall'andamento com-

plessivo.

Nel gra�co 6.10 troviamo, invece, la media pesata delle risoluzioni dei due fotoni: il

valore �nale è σ = (4.37 ± 0.05) cm. Confrontato con lo spread lungo l'asse z dei

vertici primari (6 cm), esso costituisce già un buon risultato.

Il medesimo studio può essere condotto ipotizzando una risoluzione temporale migliore

(100 ps): in tal caso la risoluzione dei vertici scende a soli 2.31 cm.

6.3.3 Analisi dei dati

L'analisi condotta sui sample Monte Carlo ha mostrato come il timing possa essere

una tecnica valida di identi�cazione del vertice: per stabilire se esso costituisca una

strada sperimentalmente perseguibile è, tuttavia, necessario testarlo sui dati. Per

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6 � Identi�cazione del vertice primario

fare ciò utilizzeremo il decadimento della Z in elettrone e positrone: sebbene queste

siano particelle cariche di cui è nota la traccia e il vertice di origine, �ngeremo di

considerarle al pari dei fotoni, applicando l'algoritmo di ricostruzione del vertice

illustrato precedentemente.

Il confronto tra il tempo dei dati e quello di volo porta ad una prima incongruenza,

come mostrato in �gura 6.11. Si può, infatti, osservare che i tempi dei dati sono

mediamente in anticipo rispetto al MC (439 ps) e la di�erenza tra i due ha uno

spread elevato (441 ps): questo si traduce in una ricostruzione del vertice del tutto

ina�dabile (�g. 6.12).

6.3.4 Possibili sviluppi della tecnica del timing

L'attuale risoluzione temporale di Ecal non consente l'utilizzo della tecnica del timing

per la selezione del vertice primario, tuttavia, come mostrato dalle simulazioni MC,

essa risulta molto e�cace per σt ∼ 100 ps: in particolare, le informazioni temporali

possono essere combinate con quelle cinematiche in una rete neurale, in una likelihood

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6 � Identi�cazione del vertice primario

Figura 6.11. Di�erenza tra il tempo dei dati e il valore atteso nel MC

Figura 6.12. Di�erenza tra il vertice vero e quello ricostruito per i dati Zee

o nella tecnica del ranking per ottenere il vertice di provenienza dei fotoni.

Una seconda osservazione riguarda il fatto che il tempo di arrivo delle particelle

in Ecal dipende dall'istante in cui ha luogo l'interazione fra i due bunch di protoni:

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6 � Identi�cazione del vertice primario

esiste, cioè, uno sfasamento rispetto al tempo nominale che non può essere trascurato

nell'identi�cazione del vertice. Per liberarsi da tale dipendenza è su�ciente studiare

la di�erenza temporale fra i tempi delle due particelle (∆t), in maniera tale che lo

sfasamento si annulli. Come mostra il gra�co 6.13 la posizione del PV è direttamente

proporzionale a ∆t.

Figura 6.13. Correlazione tra la di�erenza temporale delle due particelle e laposizione del PV per l'H → γγ

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Capitolo 7

Analisi delle selezioni

Il lavoro presentato in questo capitolo verrà articolato in più fasi: dopo una breve

discussione teorica sulle diverse tipologie di background che coinvolgono il canale

H → γγ, illustreremo le selezioni e�ettuate per ottimizzare il rapporto fra i con-

teggi di segnale e di fondo in una data �nestra di massa. In�ne, descriveremo la

modellizzazione del background ottenuta con un metodo data driven, ossia basandosi

direttamente sui dati raccolti da CMS.

7.1 Studio del background

Uno dei maggiori problemi da a�rontare nello studio di eventi a bassa sezione d'urto

è costituito dalla discriminazione fra il segnale cercato ed il fondo dovuto ad altri

processi �sici. Nel nostro caso, ossia nel decadimento dell'Higgs in due fotoni, sono

presenti due tipologie di background: una riducibile ed un'altra irriducibile. La

prima componenente è formata da tutti quegli eventi che vengono identi�cati e

ricostruiti come fotoni pur non essendo tali, mentre la seconda da quelli che generano

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7 � Analisi delle selezioni

due fotoni reali ad alto momento trasverso nello stato �nale.

Nello speci�co, il fondo riducibile è dato dai diagrammi di Feynman illustrati in

�gura 7.1. Il primo fotone del γ + jet è un fotone reale, mentre il secondo può essere

Figura 7.1. Diagramma del fondo γ + jet

sia un fotone fasullo (fake) dovuto ad una cattiva identi�cazione del jet, sia un fotone

reale irraggiato durante la frammentazione del jet stesso. Il fondo QCD è l'analogo

Figura 7.2. Diagrammi di Feynman dei fondi born e box

del γ + jet nel caso in cui entrambi i supercluster del calorimetro elettromagnetico

siano dei fotoni fake: la probabilità che si veri�chi è chiaramente inferiore, tuttavia

la sua elevata sezione d'urto lo rende un background tutt'altro che trascurabile.

Il fondo irriducibile viene, invece, generato attraverso i diagrammi box e born (�g.

7.2). In�ne, a questi quattro fondi deve essere aggiunto un quinto dovuto al processo

di Drell-Yan: nel decadimento Z → e+e− alcune coppie sfuggono, infatti, il pixel

veto e vengono erroneamente identi�cate come fotoni. Per valori di massa invariante

superiori ai 100 GeV questo contributo è, però, del tutto trascurabile.

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7 � Analisi delle selezioni

7.2 Analisi delle variabili

Una buona analisi deve essere in grado di massimizzare il rapporto tra i conteggi

di segnale (S) e di fondo (B) in un dato range di massa. A questo scopo il primo

approccio è costituito da una analisi cut-based, nella quale, attraverso delle simu-

lazioni Monte Carlo, si studiano gli andamenti delle variabili cinematiche e di shape

del segnale atteso e del background: su di esse si e�ettuano, poi, delle selezioni che

ottimizzino la quantità S/B.

Per l'H → γγ il segnale che ci si attende è costituito da due fotoni isolati con alto

pT . Le variabili prese in considerazione sono, perciò, le seguenti:

� il momento trasverso dei fotoni: si e�ettua un taglio asimmetrico, separando il

fotone con pT maggiore (leading photon) da quello con pT minore (subleading

photon)

� σiη,iη: questa variabile descrive la forma longitudinale del supercluster di

Ecal. Matematicamente è de�nita come la varianza sui valori di η dei cristalli

appartenenti alla matrice 5× 5:

σ2iη,iη =

∑5×5i wi(ηi − η̄5×5)2∑5×5

i wi, wi = max(0, 4.7 + log

EiE5×5

) (7.1)

Il peso wi tiene conto della dipendenza logaritmica della profondità del cluster

dall'energia

� IsoECAL e IsoHCAL: sono le variabili di isolamento rispettivamente per il

calorimetro elettromagnetico e per quello adronico.

La prima è calcolata come la somma delle energie trasverse depositate in un

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7 � Analisi delle selezioni

cono di dimensione ∆R < 0.3 1, il cui asse viene centrato intorno alla posizione

del supercluster di Ecal, escludendo un cono interno delle dimensioni di 3.5

cristalli: questo veto viene posto per non tagliare il deposito energetico dei

fotoni del segnale.

La seconda variabile riguarda, invece, l'energia depositata in Hcal in un cono

di dimensione ∆R < 0.4

� IsoTracker: la variabile di isolamento delle tracce è de�nita come la somma dei

momenti trasversi di tutte le tracce che hanno origine nel vertice primario di

interazione e che stanno all'interno di un cono di dimensione ∆R < 0.3

� H/E (H over E ): è il rapporto tra l'energia depositata in Hcal in un cono di

dimensione ∆R < 0.15 centrato intorno alla posizione del supercluster e l'en-

ergia del supercluster stesso. Essendo la lunghezza di Ecal pari a 25 lunghezze

di radiazione, ci attendiamo un valore molto vicino a zero

� un'ultima variabile riguardante la forma dello sciame elettromagnetico è R9,

ossia il rapporto tra l'energia depositata nella matrice 3 × 3 intorno al seed

e l'energia rilasciata in tutto il supercluster: i fotoni che non convertono nel

tracker hanno un valore di R9 > 0.94

Preliminarmente all'analisi delle quantità appena elencate, si richiede un taglio in

η, accettando i fotoni con |η| < 2.5: tale valore coincide, infatti, con la �ne del

preshower.

Un'ultima osservazione riguarda la dipendenza delle variabili di isolamento dal pile-

up: all'aumentare del numero di vertici di interazione aumenta, infatti, l'occupazione

1La quantità adimensionale ∆R è de�nita come ∆R =√

(∆η)2 + (∆φ)2

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7 � Analisi delle selezioni

del rivelatore, comportando una diminuzione dell'e�cienza di isolamento. Per cor-

reggere questo e�etto in ciascun evento si sottrae alla somma degli isolamenti un

termine dato dal prodotto fra la densità di energia e il valore dell'area e�ettiva (cono

di isolamento):

ΣIsocorr = ΣIso− ρAeff (7.2)

La spiegazione dettagliata di come siano calcolate Aeff e ρ può essere trovata in [22]

e [23]; l'idea generale si basa sullo studio dei jet che caratterizzano un evento. La

de�nizione di area di un jet costituisce un concetto non banale, in quanto ogni jet

risulta composto di particelle puntiformi che non possiedono un'area intrinseca: si

procede, dunque, aggiungendo in ciascun evento un numero in�nitamente grande di

particelle so�ci, in maniera tale che le caratteristiche dei jets reali non siano modi�-

cate. Queste tracce aggiuntive vengono, poi, incluse nell'algoritmo di ricostruzione

e l'area e�ettiva del jet è identi�cata con la regione occupata dalle particelle so�ci

clusterizzate nei jets.

Seguendo lo stesso principio, la densità di pT è de�nita, evento per evento, come la

media della distribuzione della variabile PT j/Aj, dove l'indice j corre su tutti i jets

presenti nell'evento.

7.3 Studio delle selezioni

Per lo studio delle selezioni si utilizzano i sample MC riportati nella tabella 7.1,

generati col simulatore PYTHIA 6.4: nella terza colonna è indicato il numero totale

di eventi creati, mentre nella quarta viene riportata l'e�cienza di �ltro, de�nita

come la frazione di eventi che passa il �ltro a livello generatore applicato ad alcuni

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7 � Analisi delle selezioni

samples e che viene successivamente processata [16]. Per conoscere la luminosità

integrata corrispondente a ciascun sample è su�ciente dividere il numero di eventi

per la sezione d'urto e�ettiva del processo, data dal prodotto fra la sezione d'urto a

livello generatore e l'e�cienza di �ltro:

LMC =Nev

σgen εfilter(7.3)

Il coe�ciente di riscalamento del MC è il rapporto tra la luminosità desiderata e

LMC . In�ne, poiché in PYTHIA il fondo γ + jet include per costruzione anche il

processo born, preliminarmente all'analisi si richiede la soppressione del processo

identi�cato in PYTHIA come 18 (fif̄i → γγ).

I gra�ci seguenti mostrano l'andamento delle diverse variabili per i quattro fondi

principali e per il segnale atteso. Si può subito osservare che per le variabili di

isolamento i background irriducibili (born e box) presentano un andamento analo-

go a quello dell'Higgs, mentre i fondi riducibili si discostano maggiormente: questo

perché i fotoni fake derivanti dalla frammentazione dei jet sono mediamente meno

isolato di quelli prompt.

Le selezioni scelte per l'analisi dell'H → γγ sono indicate nella tabella 7.2: poiché

i valori dell'isolamento cambiano in funzione dell'energia trasversa del fotone, l'ot-

timizzazione e�ettuata riguarda soltanto il termine costante.

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7 � Analisi delle selezioni

Figura 7.3. Momento trasverso del fotone leading e del subleading

Figura 7.4. Isolamento in Ecal ed in Hcal

Sample Sez.urto (pb) N. eventi E�. �ltroDiPhotonBorn_Pt10to25_2011PU 236.4 522865 1.0DiPhotonBorn_Pt25to250_2011PU 22.37 537445 1.0DiPhotonBorn_Pt250toinf_2011PU 0.008072 546355 1.0DiPhotonBox_Pt10to25_2011PU 358.2 797975 1.0DiPhotonBox_Pt25to250_2011PU 12.37 777725 1.0DiPhotonBox_Pt250toinf_2011PU 0.000208 789470 1.0

GJet_Pt20_2011PU 1182075 77100 0.0064QCD_Pt30to40_2011PU 41800000 3550408 0.00023QCD_Pt40_2011PU 18700000 21276029 0.00216

GluGlu_M120_2011PU 0.0374175 105132 1.0

Tabella 7.1. Sample MC usati nell'analisi

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7 � Analisi delle selezioni

Figura 7.5. Isolamento delle tracce e variabile R9

Figura 7.6. σiη,iη nel barrel e nell'endcap

Variabile TaglioPT leading 40 GeV/c

PT subleading 30 GeV/cEcal Iso 2.0 + 0.006ETHcal Iso 2.0 + 0.0025ET

Tracker Iso 1.5 + 0.001ETHoE 0.02

σiη,iη EB 0.01σiη,iη EE 0.028

Tabella 7.2. Le selezioni applicate nell'analisi

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7 � Analisi delle selezioni

7.4 Trigger impiegati

In questa studio si richiede che gli eventi analizzati passino un processo di decisione

di trigger riguardante la coppia di fotoni. Un sistema di trigger risulta e�ciente se

non scarta degli eventi che sopravviverebbero alle selezioni dell'analisi o�ine: da

ciò consegue che l'ine�cienza aumenta quanto più le richieste dell'high level trigger

(HLT) divengono stringenti. In termini matematici l'e�cienza è de�nita come il

rapporto fra il numero di eventi che soddisfano l'HLT e che sopravvivono ai tagli

o�ine e quelli che entrano nell'analisi stessa:

εHLT =Nev(offline&HLT )

Nev(offline)(7.4)

Una discussione dettagliata delle e�cienze e delle strategie di trigger per i diversi

canali di decadimento dell'Higgs può essere trovata in [14] e in [17].

La procedura impiegata per H → γγ consiste nel richiedere almeno un oggetto

elettrone/fotone che funga da seed nel trigger di primo livello (L1); successivamente,

se esiste un cluster in Ecal corrispondente a tale seed, si procede e�ettuando dei tagli

sulle variabili di isolamento, sulle variabili calorimetriche (H/E, σiη,iη) e sull'energia

trasversa. La scelta di richiedere un solo candidato elettrone/fotone in L1 anziché

due è �nalizzata a ridurre la dipendenza dell'e�cienza dell'HLT dall'ine�cienza di

L1.

I paths dei trigger applicati in questa analisi sono i seguenti:

HLT_Photon26_CaloIdL_IsoVL_Photon18_CaloIdL_IsoVL_v*

HLT_Photon20_R9Id_Photon18_R9Id_v*

Il pre�sso HLT_Photon26 (HLT_Photon20) indica il valore della selezione in ET

applicata ai fotoni, mentre il signi�cato degli altri su�ssi è esplicitato nella tabella

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7 � Analisi delle selezioni

7.3.

IsoVL EcalIso < 6.0GeV + ET ∗ 0.012HcalIso < 4.0GeV + ET ∗ 0.005TrackIso < 4.0GeV + ET ∗ 0.002

CaloIdL σiη,iη < 0.014 (0.035) in EB (EE)H/E < 0.15 (0.1) in EB (EE)

Tabella 7.3. Selezioni relative ai trigger impiegati

7.5 Confronto dati-MC

Ci proponiamo di veri�care l'accordo tra i fondi MC ed i dati raccolti per una

luminosità integrata di 1.079fb−1.

Il confronto fra le distribuzioni risulta buono e non sono osservabili degli eccessi

signi�cativi: in particolare l'accordo è migliore quando entrambi i fotoni si trovano

nel barrel.

Figura 7.7. Spettri di massa invariante. Dall'alto a sinistra in senso orariotroviamo: spettro totale, spettro per fotoni EB-EB, spettro per fotoni EB-EE,spettro per fotoni EE-EE

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7 � Analisi delle selezioni

Figura 7.8. Momento trasverso della coppia di fotoni

Figura 7.9. Distribuzione di η dei singoli fotoni

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7 � Analisi delle selezioni

7.6 Modellizzazione del fondo

Al termine dell'analisi dell'H → γγ lo spettro di massa atteso è costituito da un

segnale gaussiano molto stretto che sorge sopra un fondo. La modellizzazione del

background, ossia la ricerca di una funzione analitica che ne descriva con precisione

l'andamento, costituisce una fonte di errore sistematico di cui tener conto nell'elab-

orazione del limite di esclusione. In linea di principio le simulazioni MC possono

essere impiegate per tale scopo, tuttavia le incertezze presenti nel calcolo delle sezioni

d'urto di�erenziali dei decadimenti in due fotoni prompt suggeriscono di sfruttare

direttamente i dati raccolti.

Per stimare questo contributo, per una data ipotesi di massa, partiamo, dunque,

dallo spettro dei dati ed eseguiamo un �t esponenziale (y = A exp (−Bx)) nella

regione 100− 200GeV/c2, escludendo dal range di �t una �nestra di massa compat-

ibile con la risoluzione del segnale cercato. Al �ne di stabilire quale sia l'incertezza

legata ad un tale modello, generiamo dei nuovi spettri, riempiendo ciascun bin con

un numero casuale di entries distribuito poissonianamente intorno al valore reale ed

analizziamo come cambia l'integrale della curva di �t nella �nestra di massa in cui

ci attendiamo il picco dell'Higgs. Il gra�co 7.10 mostra la dispersione del numero di

conteggi ottenuta con mille pseudoesperimenti: l'incertezza percentuale è di 1.46%.

Lo stesso studio può essere compiuto utilizzando come funzione di �t la somma di

due esponenziali (y = A exp (−Bx) + C exp (−Dx)): in tal caso l'errore è del 2.0%.

Per stabilire quale modello deve essere utilizzato, si analizzano le distribuzioni del

χ2 nei due casi: il fatto che l'andamento sia analogo signi�ca che l'aggiunta di un nu-

mero maggiore di parametri liberi (doppio esponenziale) non comporta un aumento

della precisione del �t. Nel seguito si modellizzerà, dunque, il background con un

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7 � Analisi delle selezioni

Figura 7.10. Integrale nel range 120± 2GeV/c2, usando come �t il singolo esponenziale

esponenziale singolo.

Figura 7.11. Integrale nel range 120± 2GeV/c2, usando come �t il doppio esponenziale

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Capitolo 8

Limite di esclusione per il canale

H → γγ

Alla luce dell'analisi condotta sul decadimento dell'Higgs in due fotoni con una

statistica complessiva di 1.079 fb−1, non sono evidenziabili degli eccessi signi�cativi

nello spettro di massa invariante. Si procede, pertanto, al calcolo del limite di

esclusione per questo canale con un con�dence level (CL) del 95%. Descriveremo

brevemente la procedura seguita, passando poi a discutere nel dettaglio le incertezze

sistematiche di cui bisogna tener conto nel calcolo �nale.

8.1 Test di ipotesi e limite di esclusione

Eseguire un limite di esclusione in �sica delle alte energie equivale a compiere un test

di ipotesi fra due possibili alternative (H0, H1): nel nostro caso vogliamo discriminare

tra l'ipotesi di solo fondo (H0) e l'ipotesi in cui sia presente anche il segnale per un

dato valore di massa (H1). Arrivare ad escludere il segnale previsto dal Modello

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8 � Limite di esclusione per il canale H → γγ

Standard al 95% di CL signi�ca avere una probabilità α = 5% di ri�utare l'ipotesi

vera, ossia di commettere un errore di prima specie. La quantità α è detta livello di

signi�canza del test, mentre β = 1− α è il potere del test di rigettare l'ipotesi H1.

Nella teoria dell'inferenza statistica possono essere seguiti due approcci di�erenti per

la stima di un parametro: quello bayesiano e quello frequentista. Come indicato dal

nome stesso, il primo fa riferimento al teorema di Bayes, secondo cui la probabilità

che un evento A, noto un evento B, si veri�chi è esprimibile nella maniera seguente:

P (A|B) =P (B|A)P (A)

P (B)(8.1)

dove P(A|B), P(B|A) sono le probabilità condizionate e P(A), P(B) le probabilità a

priori degli eventi A, B.

Supponiamo ora che il risultato di un esperimento sia un vettore di dati x la cui

distribuzione di probabilità dipende da un parametro θ: siamo interessati a deter-

minare quale sia la probabilità di θ, dato x. In tal caso il teorema di Bayes si scriverà

come:

p(θ|x) =L(x|θ)π(θ)∫L(x|θ′)π(θ′)dθ′

(8.2)

L(x|θ) rappresenta la likelihood, ossia la funzione densità di probabilità (p.d.f.) as-

sunta dai dati per un certo valore di θ, mentre π(θ) è la p.d.f. a priori di θ: l'approccio

bayesiano non stabilisce un metodo univoco per la sua determinazione. In generale,

quando non si hanno informazioni circa l'esatta forma funzionale di π(θ) si ricorre

ad una p.d.f. uniforme.

Ritornando ora al calcolo del limite di esclusione per H → γγ, la variabile a cui

siamo interessati è la sezione d'urto di produzione dell'Higgs, moltiplicata per il

branching ratio del decadimento in due fotoni (σ ×BR H→γγ).

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8 � Limite di esclusione per il canale H → γγ

Se si e�ettua un semplice esperimento di conteggio, le p.d.f. per l'ipotesi di solo

fondo e di segnale più fondo saranno delle poissoniane:

L(σ|n)H0 =e−BBn

n!(8.3)

L(σ|n)H1 =e−(S+B)(B + S)n

n!(8.4)

B e S sono rispettivamente il numero di eventi di fondo e di segnale attesi in una

data �nestra di massa, mentre n è il numero di conteggi osservati.

Uno dei metodi solitamente impiegati per il calcolo del limite di esclusione della

sezione d'urto è detto CLs. Esso è de�nito come:

CLs =CLs+bCLb

(8.5)

Il procedimento consiste nel calcolare, per ciascuna ipotesi di massa, la distribuzione

del log likelihood ratio (logΛ) nelle due ipotesi di solo fondo e di segnale più fon-

do attraverso degli pseudoesperimenti (v. �g. ). A questo punto, per il limite

atteso, si considera il valore di logΛ in corrispondenza del quale l'area della p.d.f.

nell'ipotesi di solo fondo risulta divisa in due sottoaree identiche: il CLs è de�nito

come il rapporto fra l'integrale della distribuzione di H1 che sta alla sinistra di tale

valore (CLs+b) e l'integrale della distribuzione H0 che ne sta alla sinistra (CLb).

Per de�nizione si a�erma che un'ipotesi di segnale viene esclusa con un livello di

con�denza del 95% se CLs < 0.05 ([25]).

Per il calcolo del limite osservato il ragionamento è del tutto analogo, tuttavia

anziché considerare il valore di logΛ che dimezza l'area si utilizza il valore cor-

rispondente ai conteggi osservati. In questa analisi per il calcolo del limite di esclu-

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8 � Limite di esclusione per il canale H → γγ

Figura 8.1. Statistica di test per l'ipotesi di fondo (B) e di segnale (S+B)

sione si fa ricorso ad un metodo simile al CLs detto pro�le likelihood : esso utilizza

come statistica di test il pro�le likelihood ratio anziché il semplice rapporto delle

likelihoods.

8.2 Incertezze sistematiche

Le incertezze sistematiche di cui è necessario tener conto nel calcolo del limite sono

principalmente legate all'imprecisione del Monte Carlo nel riprodurre i processi �sici

e le prestazioni del rivelatore. Le incertezze comuni a più canali, come l'incertezza

sulla luminosità integrata e quella relativa all'e�cienza di trigger, sono state studiate

in dettaglio dalla collaborazione di CMS. I valori qui impiegati sono quelli u�cial-

mente forniti dalla collaborazione. In aggiunta, come si è discusso ampiamente in

questa tesi, bisogna considerare i contributi fondamentali alla risoluzione di mas-

sa del segnale dell'Higgs cercato. Per quanto riguarda l'incertezza sull'e�cienza di

identi�cazione del vertice rimandiamo alla sezione relativa al metodo del ranking : il

valore �nale stimato e di 0.5 % (v. par. 6.2). Nella tabella 8.1 vengono elencate le

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8 � Limite di esclusione per il canale H → γγ

incertezze percentuali associate a ciascuna fonte di errore.

Il termine relativo alla risoluzione di energia (∆σ/EMC) indica l'errore sullo smear-

ing percentuale che deve essere aggiunto alla risoluzione del segnale dell'Higgs: esso

viene stimato studiando il decadimento Z → e+e− e confrontando la larghezza del

picco ottenuta dai dati con quella prevista dal MC. Un analogo ragionamento vale

per la scala energetica.

Sezione d'urto di produzione dell'Higgs (gluon fusion) 12.5 %E�cienza di trigger 1.0 %

E�cienza di identi�cazione del PV 0.5 %Luminosità integrata 6 %

Risoluzione di energia EB (∆σ/EMC) 0.2 %Risoluzione di energia EE (∆σ/EMC) 0.45 %

Scala di energia EB ( (Edati − EMC)/EMC ) 0.2 %Scala di energia EE ( (Edati − EMC)/EMC ) 0.26 %

Tabella 8.1. Elenco delle incertezze sistematiche

8.3 Il limite di esclusione

Il limite di esclusione per l'H → γγ viene ricavato utilizzando il metodo del pro�le

likelihood il cui algoritmo di calcolo è implementato nel software RooStats messo a

disposizione dalla collaborazione di CMS ([26]). Per ciascuna ipotesi di massa (M) il

limite può essere ottenuto attraverso un counting experiment, ossia stimando il nu-

mero di conteggi attesi per il segnale ed il fondo dall'integrale delle distribuzioni MC

in un range intorno ad M compatibile con la risoluzione dell'Higgs, oppure attraver-

so una binned shape analysis. Quest'ultima procedura consiste nell'uso diretto degli

spettri di massa dei dati osservati e delle simulazioni MC e consente di raggiungere

una maggior sensibilità nel calcolo �nale: per tale ragione seguiremo questo secondo

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8 � Limite di esclusione per il canale H → γγ

approccio.

Il plot 8.2 mostra il risultato ottenuto con il metodo appena descritto: i samples

MC del segnale per le ipotesi di massa considerate sono elencati nella tabella 8.2.

Il parametro r = σ95%CL

σSM, detto signal strength, è de�nito come il rapporto fra la

sezione d'urto che siamo in grado di escludere al 95 % di CL con la statistica a dis-

posizione e la sezione d'urto di produzione dell'Higgs prevista dal Modello Standard:

nel nostro caso questo valore risulta, in media, vicino a 4. I punti in cui il limite

osservato è inferiore all'atteso stanno ad indicare che, per quella ipotesi di massa, il

numero di conteggi nei dati è minore della somma dei conteggi di segnale e di fondo

attesi dal MC: si è, perciò, più vicini all'esclusione. La linea rossa, corrispondente

ad r = 1, rappresenta la soglia al di sotto della quale è possibile escludere il segnale

dell'Higgs.

)2Higgs mass (GeV/c110 115 120 125 130 135 140

SM

σ /

95%

CL

σr

=

2

4

6

8

10

12

Graph 95% CL exclusion: mean expected

95% CL exclusion: 68% band95% CL exclusion: 95% band95% CL exclusion: observed

Graph

Figura 8.2. Plot di esclusione della sezione d'urto di produzione del-l'Higgs al 95 % di CL nel canale di decadimento in due fotoni per unastatistica complessiva di 1.079 fb−1

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8 � Limite di esclusione per il canale H → γγ

Sample Sez.urto (pb) N. eventi/GluGluToHToGG_M-110_7TeV-powheg-pythia6/ 19.84 109993/GluGluToHToGG_M-115_7TeV-powheg-pythia6/ 18.13 109989/GluGluToHToGG_M-120_7TeV-powheg-pythia6/ 16.63 105132/GluGluToHToGG_M-130_7TeV-powheg-pythia6/ 14.12 109994/GluGluToHToGG_M-140_7TeV-powheg-pythia6/ 12.13 109995

Tabella 8.2. Campioni MC del segnale usati nell'analisi

8.4 Conclusioni e prospettive future

L'analisi del canale di decadimento dell'Higgs in due fotoni presentata in questa tesi

sperimentale è stata dedicata in modo particolare all'ottimizzazione dei contributi

alla risoluzione di massa del segnale cercato.

Per quanto riguarda la risoluzione di energia dei singoli fotoni sono state studiate

nel dettaglio le correzioni della perdita di trasparenza dei cristalli di Ecal: il metodo

basato sull'uso della variabile E/p si dimostra valido al �ne di veri�care la stabilità

temporale del calorimetro. Ulteriori miglioramenti alla risoluzione di energia pos-

sono essere apportati studiando l'uniformità di risposta del calorimetro nelle diverse

regioni spaziali.

I metodi di selezione del vertice primario da cui proviene la coppia di fotoni hanno

condotto ad un signi�cativo aumento dell'e�cienza di selezione del vertice corretto.

Un'ultima ri�essione riguarda il risultato ottenuto al termine dell'analisi. Con l'at-

tuale statistica non sono rilevabili degli eccessi signi�cativi nello spettro �nale di

massa invariante e il limite di esclusione non consente di escludere il segnale pre-

visto dal Modello Standard. Tuttavia è possibile valutare quale sia, con le attuali

prestazioni del rivelatore, la luminosità integrata necessaria per poter giungere al-

l'esclusione. Il gra�co in �g. 8.3 mostra come varia il parametro r in funzione della

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8 � Limite di esclusione per il canale H → γγ

luminosità integrata, per l'ipotesi di massa mH = 120GeV/c2. Si deduce che l'esclu-

sione è possibile con una statistica di circa 16 fb−1.

In�ne, per comprendere quanto la risoluzione di massa del segnale in�uisca sul-

l'esclusione si esegue il medesimo studio applicando al campione MC dell'Higgs la

risoluzione nominale di energia del rivelatore ([8]). Il gra�co 8.4 mostra il confronto

fra i due risultati: in condizioni ottimali l'esclusione può essere raggiunta con una

statistica di circa 12 fb−1.

Figura 8.3. Variazione del parametro di esclusione r in funzione della luminositàintegrata per l'ipotesi di massa mH = 120 GeV/c2

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8 � Limite di esclusione per il canale H → γγ

Figura 8.4. Variazione del parametro di esclusione r in funzione della luminositàintegrata per l'ipotesi di massa mH = 120 GeV/c2 nel caso in cui si utilizzi larisoluzione attuale di energia (nero) e quella nominale (blu)

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8 � Limite di esclusione per il canale H → γγ

Ringraziamenti

Al termine di questo lavoro desidero esprimere la mia riconoscenza a Tommaso per

avermi dato la possibilità di approfondire un ambito della �sica delle particelle tanto

ricco e complesso e di conoscere da vicino un ambiente così stimolante come quello

del Cern di Ginevra. Grazie per la passione incondizionata alla ricerca scienti�ca che

ha saputo trasmettere nel corso di quest'anno. Grazie ad Alessio, per la competenza,

la pazienza e la simpatia con le quali mi ha guidato e consigliato durante il percorso

di tesi. Grazie a tutti i dottorandi del gruppo di Milano Bicocca e in maniera

particolare a Federico per avermi supportato (e sopportato) nei momenti di dubbio,

senza mai sottrarsi alle mie in�nite domande. Grazie a tutti i compagni di studio

ed agli amici con i quali ho condiviso ogni momento di questi cinque anni.

Un grazie speciale, in�ne, va ai miei genitori per avermi aiutato e incoraggiato in

qualsiasi situazione, spingendomi sempre a dare il meglio.

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Bibliogra�a

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