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Università degli Studi di Milano Dipartimento Giuridico-Politico Convegno La tutela multilivello dei diritti: punti di crisi, problemi aperti, momenti di stabilizzazione. Sintesi delle Relazioni ~* ~ (coordinamento editoriale a cura di Federico Gustavo Pizzetti) Milano, 4 aprile 2003

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Università degli Studi di Milano

Dipartimento Giuridico-Politico

Convegno

La tutela multilivello dei diritti: punti di crisi, problemi aperti, momenti di stabilizzazione.

Sintesi delle Relazioni

~* ~

(coordinamento editoriale a cura di Federico Gustavo Pizzetti)

Milano, 4 aprile 2003

La tutela multilivello dei diritti – Sintesi delle Relazioni

Presentazione del Convegno Il 4 aprile 2003, il Dipartimento Giuridico-Politico dell’Università

degli Studi di Milano ha organizzato, presso la Sala Barozzi dell’Istituto dei Ciechi in Milano, con il patrocinio della Rappresentan-za a Milano della Commissione europea e il patronato e sostegno della Regione Lombardia, un Convegno nazionale di studi sul tema della tu-tela multi-livello, coordinato da Eugenio De Marco, Direttore del Di-partimento e da Paola Bilancia, Coordinatrice della Sezione di Diritto Pubblico Europeo.

Lo spunto del Convegno è stato offerto dalla constatazione che or-mai da tempo – ma in maniera sempre più accentuata negli ultimi anni – ai processi di “stratificazione” dei poteri a più livelli, da quelli inter-nazionali e sopranazionali a quelli infrastatali, fanno riscontro crescen-ti differenziazioni del regime dei diritti, con l’affermazione di diversi livelli di tutela che – seppur con punti di crisi, problemi aperti e mo-menti di stabilizzazione – segnano sempre più il superamento del dog-ma del costituzionalismo classico del monopolio statale in materia di diritti.

Il Convegno si è proposto di vagliare aspetti e problemi della tutela “multilivello” de diritti da diversi angoli visuali – dal punto di vista dell’internazionalista, del comunitarista e del comparatista a quello del costituzionalista – sempre nell’ottica peraltro delle connessioni e rela-zioni, ma anche delle antinomie e contraddizioni, tra i diversi livelli di tutela normativa.

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La tutela multilivello dei diritti – Sintesi delle Relazioni

Prima sessione EUGENIO DE MARCO Intervento di apertura Il convegno è stato aperto da Eugenio De Marco, il quale, nel suo

saluto inaugurale, ha ricordato come la tematica relativa alla protezio-ne multilivello dei diritti sia andata progressivamente acquisendo una maggiore visibilità.

Se secondo la concezione classica, la tutela dei diritti rappresenta-va una gelosa prerogativa degli Stati nazionali, con il passare degli an-ni si è assistito ad una graduale nascita di un livello sovranazionale, in-ternazionale e, sia pur, più di recente, quantomeno in Italia, di un livel-lo di tutela infrastatale dei diritti.

Questo fenomeno presenta vantaggi e svantaggi. Sotto il primo profilo, si tratta di offrire una tutela dei diritti partendo da prospettive diverse di modo che vi sia una protezione effettivamente completa.

Sotto il secondo profilo, però, sorgono alcuni problemi, come ben evidenziato da qualche costituzionalista il quale, non a caso, ha parlato di un vero e proprio “giardino dei diritti” (M. Patrono), volendo sotto-lineare con questa espressione antinomie e contraddizioni che possono sorgere da questo fenomeno.

Quale livello di tutela scegliere in modo tale da ottenere una mas-simizzazione del livello di protezione di fronte a situazioni che posso-no apparire contradditorie?

A chiusura del suo intervento, De Marco ha ringraziato il Presiden-te della Regione Lombardia per il contributo dato al convegno, il Ma-gnifico Rettore dell’Università degli Studi di Milano, il Preside della Facoltà di Scienze Politiche, Mario Regini nonché l’Istituto dei Ciechi per la sua disponibilità.

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ROBERTO SANTANIELLO Introduzione Roberto Santaniello, ha sottolineato, nel suo intervento introdutti-

vo in qualità di Direttore della Rappresentanza a Milano della Com-missione europea, come la presenza della Commissione ai lavori con-gressuali si sia resa necessaria per due ordini di ragioni. In primo luo-go, con la sua presenza la Commissione ha inteso evidenziare l’esistenza di un rapporto privilegiato fra la Commissione stessa da un lato, e il mondo accademico dall’altro, in particolare quello milanese, da sempre particolarmente attento ai fenomeni internazionali e comuni-tari. In secondo luogo, non va dimenticato che l’espressione “sistema multilivello” evoca uno degli obiettivi già indicati dalla Commissione nel suo Libro Bianco sulla governance del 25 luglio 2001.

FAUSTO POCAR La tutela dei diritti della persona nell’ordinamento internaziona-le La relazione di Fausto Pocar è stata dedicata a “La tutela dei diritti

della persona nell’ordinamento internazionale”. Nella prima parte del suo intervento, il relatore si è soffermato

sull’esame dei livelli di protezione dei diritti dal punto di vista dell’ordinamento internazionale.

Riguardo questo aspetto, è stato ricordato come l’ordinamento in-ternazionale si limiti a prevedere delle garanzie che sono meramente ulteriori rispetto a quelle previste dallo Stato, posto che la materia dei diritti fondamentali rimane tuttora rimessa alla prerogativa dello Stato nazionale.

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Se da un lato le garanzie presentano, quindi, un carattere meramen-te aggiuntivo, dall’altro lato queste stesse garanzie sono stabilite sulla base di criteri di protezione che prescindono da quelli statali, essendo fissati dal diritto internazionale stesso. Proprio perché prescindono da quelli statali, i criteri del diritto internazionale possono essere rispetto ai primi più o meno ampi. Nella maggior parte dei casi gli standard of-ferti dal diritto internazionale sono meno ampi di quelli previsti a livel-lo statale e questo perché il diritto internazionale, sia esso di natura consuetudinaria o pattizia, tende a trovare un denominatore comune fra gli Stati. Quanto detto è particolarmente evidente per i diritti di natura economica, sociale e culturale dove Paesi che hanno un alto grado di protezione di questi diritti si trovano quasi sempre al di sopra degli standard internazionali, mentre altri Paesi si trovano largamente al di sotto.

Quanto all’applicazione del livello di garanzia, esso varia ampia-mente a seconda della situazione in cui i diritti vengono in considera-zione, ovvero se si tratta di diritti in tempo di pace o di diritti in tempo di guerra. In particolare, di fronte a situazioni diverse da quelle norma-li i criteri di protezione dei diritti si esprimono essenzialmente attra-verso due formule. L’una è quella della distinzione fra diritti inderoga-bili e derogabili; l’altra, solo parzialmente coincidente con la prima, è quella della distinzione fra diritti assoluti e diritti soggetti a limitazio-ni.

In tempo di pace il diritto è inderogabile, ma diventa derogabile in tempo di guerra. Il diritto alla libertà di espressione è un diritto indero-gabile in tempo di pace, ma diventa un diritto che può essere sospeso in tempo di guerra.

I diritti assoluti sono anche diritti inderogabili, e però non sempre la coincidenza fra le due partizioni dei diritti è identica. L’art. 4 del Patto sui diritti civili e politici, così come l’art. 15 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamen-tali (di seguito denominata “CEDU”) prevedono la possibilità di so-

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spensione di tutti i diritti derogabili nel caso di situazioni di eccezione. Lo stesso diritto internazionale consuetudinario non vieta la sospensio-ne dei diritti in tempo di guerra.

Al contrario, i diritti assoluti non possono essere limitati neppure in tempo di guerra. Vero è che si tratta di una categoria limitata di di-ritti: è il caso del diritto a non essere sottoposto a tortura oppure il di-ritto a essere considerato una persona di fronte alla legge.

Il diritto alla vita, ad esempio, non rientra nella categoria dei diritti assoluti. Si tratta certamente di un diritto inderogabile (non si può in tempo di guerra derogare al diritto alla vita) però il diritto alla vita così come è formulato negli standard internazionali è un diritto che ha la possibilità di subire delle limitazioni.

La differenza fra tempo di pace e tempo di guerra risiede, quindi, nel grado delle restrizioni ammesse. In tempo di pace, il diritto alla vi-ta soffre l’eccezione della pena di morte, visto che gli standard interna-zionali a carattere universale non la vietano espressamente. In tempo di guerra, il diritto alla vita soffrirà inevitabilmente delle eccezioni.

L’interrogativo di fondo ha riguardo alle modalità attraverso le quali conciliare questi due aspetti. Secondo l’art. 15 della CEDU il di-ritto alla vita soffre la eccezione degli atti illegittimi di guerra. Meno chiaro è il Patto sui diritti civili e politici (cfr. l’art. 4 in combinato di-sposto con l’art. 6).

Dopo aver stabilito i criteri, il diritto internazionale pone agli Stati l’obbligo di osservarli in vario modo, obblighi che, peraltro, non sono sempre di egual natura. Se da un lato, la CEDU e il Patto sui diritti ci-vili e politici stabiliscono obblighi di carattere assoluto nel senso che in entrambi i casi gli Stati non hanno alcuna possibilità di rimandare l’attuazione di un diritto da essi consacrato, dall’altro lato, diverso è il caso del Patto sui diritti economici, sociali e culturali che prevede per gli Stati un obbligo di procedere, nei limiti del possibile, con il massi-mo di possibilità di cui essi dispongono, ad adottare misure che pro-gressivamente portino al rispetto del Patto medesimo.

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La conseguenza che ne discende è che, in quest’ultimo caso, il di-ritto internazionale interverrà ritenendo lo Stato responsabile della vio-lazione dei diritti soltanto se non avrà fatto il possibile per tutelare i diritti e non già se non li avrà tutelati tout court.

Il diritto internazionale si preoccupa, altresì, che lo Stato rispetti i diritti in maniera puntuale ponendo degli obblighi di risultato. Sia la CEDU, sia il Patto sui diritti civili e politici prevedono che lo Stato, al suo interno, debba sviluppare delle procedure di tutela, in particolare giurisdizionali. Il fatto che il diritto internazionale pensi al risultato piuttosto che al comportamento come tale, fa sì che per il diritto inter-nazionale sia del tutto irrilevante a quale livello (statale, regionale o locale) lo Stato tuteli un diritto.

Ciò pone un problema particolare per gli Stati membri dell’Unione europea. Se lo Stato delega parte delle proprie funzioni ad altri enti ri-mane comunque responsabile verso il diritto internazionale del rispetto dei diritti anche per la parte che abbia delegato ad altri.

Nella seconda parte del suo intervento, Pocar ha affrontato la que-stione relativa ai meccanismi di garanzia offerti dal diritto internazio-nale.

Sotto questo profilo vengono in rilievo strumenti di natura sostan-zialmente procedurale e destinati a costringere lo Stato ad agire per la protezione dei diritti.

Accanto alle procedure azionabili dagli Stati e al ricorso diretto, esperibile dallo stesso soggetto che si ritiene vittima della violazione, sviluppi recenti hanno messo in evidenza un’ulteriore procedura di ga-ranzia la quale tende a superare la barriera statale mettendo in causa in causa la posizione personale dell’individuo che ha commesso mate-rialmente la violazione.

Si tratta delle procedure penali internazionali le quali si aggiungo-no alle procedure rivolte nei confronti dello Stato nel senso che lo Sta-to sarà pur sempre chiamato in causa nel momento in cui si parlerà del-la riparazione a favore della vittima.

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GABRIELLA VENTURINI Intervento Alla relazione di Fausto Pocar ha fatto seguito l’intervento di Ga-

briella Venturini, la quale si è soffermata sugli standards internazionali previsti a tutela della persona umana nel caso di conflitto armato. Si tratta di standard di garanzia minima, in particolare di obblighi di con-dotta molto precisi, della cui attuazione gli Stati sono responsabili, e che hanno per destinatari tutte le vittime di un conflitto. E’ questo il caso delle Convenzioni di Ginevra.

Peraltro, gli standard in oggetto non sono posti solo dal diritto pat-tizio, ma anche dal diritto consuetudinario.

I rapporti fra il diritto pattizio e il diritto consuetudinario sono particolarmente “critici” nel diritto di guerra sol che si consideri che, in caso di conflitto armato, trovano applicazione solo le quattro Convenzioni di Ginevra e poco più.

In realtà, di fronte alle situazioni di massimo rischio per la persona umana un ruolo estremamente significativo è svolto dal diritto consue-tudinario, essendo soprattutto questo a offrire gli standards di prote-zione minima.

Nell’ambito del diritto consuetudinario, il ruolo del giudice, in primo luogo del giudice interno, diventa essenziale non soltanto per l’applicazione, ma anche per la precisazione, attraverso l’interpretazione, degli standard internazionali.

Da ultimo, occorre guardare con favore alle procedure penali inter-nazionali aggiuntive, o, quando necessario, sostitutive delle procedure interne perché gli standard internazionali di protezione dei diritti hanno necessità di un giudice che li possa far applicare.

Vero è che sia il diritto internazionale pattizio sia il diritto interna-zionale consuetudinario poco possono di fronte alla mala fede degli Stati, dei Governi sui quali gravano, in ultima analisi, le responsabilità

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nella fase di negoziazione, ratifica ed esecuzione degli obblighi inter-nazionali.

MASSIMO CONDINANZI La tutela dei diritti del singolo nel diritto comunitario L’intervento di Massimo Condinanzi su “La tutela dei diritti del

singolo nel diritto comunitario” si snoda attorno ad un ideale punto di riflessione: la protezione che l’ordinamento comunitario accorda ai di-ritti fondamentali del singolo non solo si colloca “a mezza strada” tra quella prevista dall’ordinamento internazionale e quella assicurata da ciascun ordinamento costituzionale degli Stati membri, ma, soprattutto, essa è tributaria, nei suoi contenuti, tanto verso il primo livello, quanto verso il secondo.

Vero è che il diritto comunitario prevede alcune libertà fondamen-tali – ad esempio il principio di non discriminazione fondato sulla na-zionalità (art. 12 TCE), tuttavia esso ne limita la rilevanza “al campo di applicazione del Trattato” e, quindi, alle libertà economiche che il Trattato garantisce.

E’altrettanto vero che, nel corso del cammino della propria giuri-sprudenza, la Corte di giustizia ha garantito la tutela dei diritti fonda-mentali dell’uomo attraverso il ricorso ad una fonte autonoma interna all’ordinamento comunitario, ossia attraverso la categoria dei “principi generali del diritto comunitario”, secondo la nota formula “i diritti fondamentali costituiscono parte integrante dei principi generali del di-ritto, di cui la Corte garantisce l’osservanza”.

Ma proprio da questa organizzazione comunitaria della tutela dei diritti fondamentali del singolo deriva - secondo l’Autore -, quale “vi-zio profondo ed ineluttabile”, una forte lesione del principio della cer-tezza del diritto. In tale situazione, la Corte ha individuato tanto a li-

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vello internazionale, quanto a livello statuale i parametri necessari per la ricostruzione di detti principi.

La Corte, infatti, secondo una giurisprudenza consolidata “ è tenu-ta ad ispirarsi alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, i Trattati internazionali cui gli Stati membri abbiano cooperato o aderito possono del pari fornire elementi di cui occorre tenere conto nell’ambito del diritto comunitario”.

Per quanto riguarda il richiamo all’ordinamento internazionale, i giudici del Lussemburgo hanno inteso attribuire un “significato parti-colare” alla CEDU, per quanto non manchino richiami al Patto sui di-ritti civili e politici, al Patto sui diritti economici, sociali e culturali e alla Carta sociale europea. Quanto, invece, al richiamo all’ordinamento costituzionale, il riferimento alle “tradizioni costituzionali comuni” non deve avere come proprio oggetto il dettato testuale delle Carte co-stituzionali.

Attraverso la riconducibilità dei dati di riferimento ai principi ge-nerali, la Corte di giustizia ne manipola il contenuto, per un verso, pre-scindendo dal dato letterale delle singole disposizioni internazionali e/o costituzionali, per altro verso, ampliando la gamma dei riferimenti a testi internazionali ulteriori rispetto alla CEDU.

Condinanzi, inoltre, sostiene che così come le tradizioni costitu-zionali hanno influenzato la protezione dei diritti del singolo nel diritto comunitario, parallelamente è accaduto un fenomeno inverso.

La Corte di giustizia, infatti, valuta il rispetto dei diritti fondamen-tali da parte degli Stati membri sia attraverso un sindacato di legittimi-tà degli atti nazionali che recepiscono il dettato comunitario, sia attra-verso un’analisi delle giustificazioni addotte da uno Stato che prevede, all’interno del proprio ordinamento, norme contrastanti con il sistema comunitario.

Alla luce di tale sistema che – come illustrato – genera problemi di intersecazione dei livelli di tutela e di certezza del diritto, Condi-nanzi ritiene che una possibile soluzione potrebbe derivare

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dall’elaborazione di un catalogo dei diritti fondamentali; elaborazione che, invero, è avvenuta, come noto, con la Carta di Nizza, il cui valore giuridico, però non è ancora vincolante.

Inoltre, tale Carta comprende una molteplicità di diritti tratti, in parte, da alcuni testi comunitari, in parte, da atti delle istituzioni e, in parte ancora, da testi di diritto internazionale pattizio, come la CEDU. E all’interno di questa dinamica interlivello, l’Autore pone particolare attenzione sulle disposizioni orizzontali della Carta (artt. 51-53 della Carta) sia per ciò che riguarda il loro ambito di applicazione sia per quanto concerne la loro portata.

Indubbiamente il sistema comunitario relativamente alla protezio-ne dei diritti del singolo è ancora imperfetto, e lo dimostrano le recenti pronunce sul diritto alla tutela giurisdizionale effettiva che evidenziano problemi nell’applicazione dell’art. 230, c. 4 CE (sent. Jégo-Queré, del 3 maggio 2002, T-117/01 e UPA del 25 luglio 2002; 15 gennaio 2003, Philip Morris, T-377/00) ma, non è certo che il riferimento al livello di tutela garantito dal sistema di Strasburgo sia necessariamente e sempre idoneo ad essere trasportato in ambito comunitario.

Ne è un esempio il diritto al contraddittorio che, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nei casi Lobo Machado e Kress non appare compatibile con il ruolo dell’avvocato generale nel processo e, in tutta franchezza, il tentativo di conciliare i due diversi modelli, quale compiuto dalla Corte di giu-stizia nel caso Emesa Sugar non appare convincente, specie dopo le in-novazioni apportate dal Trattato di Nizza al ruolo e alle funzioni dell’avvocato generale.

ALESSANDRA LANG Intervento L’intervento di Alessandra Lang alla relazione di Massimo Condi-

nanzi su la “Tutela dei diritti del singolo nel diritto comunitario” si

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muove alla luce dei nuovi meccanismi di tutela previsti dall’art. 5 par. 2 del progetto di Trattato costituzionale dell’UE.

Partendo da considerazioni di carattere negativo relativamente al fatto che a livello comunitario è da sempre esistita una protezione “monolivello” dei diritti fondamentali, in quanto di esclusiva compe-tenza della Corte di Lussemburgo, Lang si sofferma sulle soluzioni prospettate dalla Convenzione per colmare siffatta lacuna.

Nel riportare ciò, la relatrice, da una parte, analizza le questioni giuridiche e tecniche di una eventuale adesione della CE/UE alla CE-DU e, dall’altra parte, indaga sulle conseguenze che la clausola di ade-sione alla CEDU comporterebbero, ossia la predisposizione di rimedi giuridici effettivi.

Si ricorda, inoltre, che anche la Corte di Giustizia riconosce il di-ritto ad una tutela effettiva. Ciò è avvenuto attraverso due correnti giu-risprudenziali che hanno evidenziato, sotto un profilo, l’obbligo degli Stati a predisporre rimedi giuridici per i casi di violazione del diritto comunitario, e, sotto altro profilo, il sistema dei ricorsi previsti dai Tribunali nazionali e il diritto ad una tutela effettiva della Corte di giu-stizia e del Tribunale di primo grado.

Diverse le motivazioni ricordate dalla Lang per argomentare la ne-cessità di una riforma: insoddisfazione per la situazione attuale, dovu-ta, ad esempio, ad una assenza di prevedibilità e di sbilanciamento del-la fase della ricevibilità a scapito del merito; incoerenza rispetto alle affermazioni della Corte di Lussemburgo come unico giudice degli atti comunitari; rischio di lasciare i privati privi di rimedi per quegli atti misti quali ad es. quelli apparentemente generali ma con disposizioni di dettaglio; cause pendenti fondate principalmente sulla violazione del diritto ad un ricorso effettivo; ed, infine, il rischio di un esame da parte della CEDU.

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Seconda sessione PAOLA BILANCIA Introduzione

Nell’introdurre le relazioni della seconda sessione, Bilancia sotto-linea che la costituzionalizzazione della Carta dei Diritti nel futuro Trattato costituzionale europeo non potrà non avere un impatto profon-do anche sull’ordinamento costituzionale italiano.

La Carta, ricorda Bilancia, è stata scritta quando non si parlava di un Trattato costituzionale europeo, con il precipuo scopo di creare una sorta di condivisione di valori fondamentali a livello europeo che fosse in grado di contemperare le identità nazionali.

Si tratta di una Carta dal contenuto complesso, che per un verso tu-tela un gran numero di diritti, ma che, per altro verso, stabilisce che al-la sua applicazione sono tenute le Istituzioni comunitarie e gli Stati membri, ma questi ultimi solo nell’attuazione del diritto europeo. Que-sto, se da un lato, sembra comportare che la tutela di molti dei diritti in essa contenuti esuli dalle competenze dell’Unione europea, non signi-fica, dall’altro lato, che la Carta sia inutile: come una recente risolu-zione del Parlamento europeo ha precisato, infatti, essa ha lo scopo di garantire all’interno dello “spazio europeo” un elevato livello di tutela dei diritti.

Sotto questo profilo, sottolinea Bilancia, la Carta introduce nuove forme di tutela dei diritti che hanno riflessi importanti sugli ordinamenti nazionali, in un quadro che si è finora caratterizzato da giurisprudenze delle Corti costituzionali nazionali (italiana, ma anche tedesca con le sentenze Solange) che hanno opposto una sorta di “barrage” alle limitazioni della sovranità nazionale a favore dell’ordinamento comunitario.

La risoluzione del Parlamento europeo precisa che la Carta non si sostituisce ai regimi costituzionali nazionali, ma ne costituisce un

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complemento: questo, però, comporta che, sul piano dei rapporti fra ordinamento comunitario e ordinamenti interni, le diverse tutele po-trebbero ingenerare anche delle frizioni e delle antinomie.

La seconda sessione, che è dedicata alla tutela multilivello dei di-ritti a livello statale e sub-statale, porta quindi il Convegno ad affronta-re i problemi aperti e i punti di resistenza.

PAOLO CARETTI Crisi della sovranità statale e tutela dei diritti: il caso dell’Unione europea Il contributo di Paolo Caretti sottolinea inizialmente come la crisi

della sovranità statale, oggigiorno, non riguarda più solo il versante economico, ma interessa anche il campo dei diritti.

Si evidenzia, quindi, il percorso storico che ha condotto a tale si-tuazione. Se nello Stato liberale ottocentesco i diritti individuali erano riconosciuti e garantiti dallo Stato, che li presupponeva, e la loro tutela spettava alla legge (da qui, la concezione giusnaturalistica dei diritti), nel periodo intercorrente le due Guerre mondiali i diritti erano radicati nella sovranità statale ed era per questo motivo che sempre e solo lo Stato decideva a riguardo della loro tutela (da qui, la teoria dei diritti come autolimitazione dello Stato). Oggi, invece, i diritti nascono in-sieme allo Stato, fino al punto di giustificare la scelta della stessa or-ganizzazione statale: da un modello, quale quello ottocentesco nel qua-le lo Stato “viene dopo i diritti” (che preesistono allo Stato) si è, dun-que, passati ad un modello, quale l’attuale, nel quale lo Stato e i diritti nascono insieme, i secondi legittimando il primo.

La conseguenza di questo processo è che la tutela dei diritti si è andata via via raffinando, fino al punto di prevedere delle Costituzioni rigide con al loro interno un vero e proprio “Statuto dei diritti fonda-mentali”. Non solo. Il possibile abuso del legislatore, tipico dei primi

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due periodi, viene mitigato dalle Corti costituzionali che, con la loro giurisprudenza garantiscono la rigidità delle Costituzioni.

Per approfondire il tema – in base al quale lo Stato non è più il so-lo “tutore” dei diritti – il relatore ricorre alla descrizione del processo di unificazione europea, evidenziando, in particolare, tre aspetti: 1) le caratteristiche del modello di tutela dei diritti nel contesto europeo, 2) le problematiche riguardanti la Carta dei diritti di Nizza e 3) la possibi-le inclusione della stessa Carta nel futuro Trattato costituzionale euro-peo.

Per quanto riguarda il primo aspetto, se è vero che, da un lato, i Trattati istitutivi disciplinavano numerosi diritti (diritto di stabilimen-to, diritto di circolazione ecc…) e libertà (libertà di concorrenza ecc…), è altrettanto evidente che, dall’altro lato, l’atteggiamento ini-ziale della Corte di Giustizia di Lussemburgo in tema di diritti è stato obiettivamente molto prudente.

Questa iniziale posizione della Corte di Giustizia, però, già verso la fine degli anni ’70 muta notevolmente: se nel 1969 si afferma che il rispetto dei diritti fondamentali della persona è dovuto, in quanto costi-tuisce principio generali dell’ordinamento comunitario, nel 1970 si ag-giunge la salvaguardia e la tutela di tali diritti all’interno dell’ambito e della struttura delle Comunità europee.

E’ in questo scenario, quindi, che la concezione funzionalistica dei diritti prende corpo. Ma il problema fondamentale a cui rispondere è il seguente: chi valuta quale tutela assegnare ai diritti e a quali diritti as-segnarla? E’ il giudice comunitario che, di conseguenza, previene i possibili conflitti e contrasti con le Corti costituzionali statali.

Le caratteristiche del modello europeo di tutela dei diritti, perciò, si imperniano tutte sul giudice, che seleziona le fattispecie da tutelare e che determina la misura della tutela attraverso il ricorso al principio di proporzionalità. Ciò che si evidenzia da subito, nel modello europeo, è dunque l’assenza della legge: la tutela dei diritti precede l’implementazione della costituzione economica, ed avviene ad opera

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del giudice; a livello statale, invece, prima si concretizza la costituzio-ne economica e solo successivamente si salvaguardano i diritti, soprat-tutto grazie all’apporto del legislatore.

Caretti passa, dunque, al secondo aspetto, relativo alla Carta dei di-ritti di Nizza. La Carta segna il punto di arrivo dell’evoluzione giuri-sprudenziale in tema di diritti e questo di certo è un suo “pregio”.

Al tempo stesso, però, si tratta di un punto di arrivo, di un riassun-to caratterizzato dalla continuità di contenuti, tant’è vero che i diritti stessi sono catalogati in “sottotitoli” che sono poi gli stessi principi ti-pici del contesto europeo. Ed è questo il primo “difetto” della Carta, vale a dire quello di ricomprendere un elenco di diritti tutt’altro che esaustivo, quasi come se i diritti fossero solo proclamati.

E’ innegabile, ancora, che la stessa Carta affidi un ruolo importan-tissimo al giudice; questo è confermato dal fatto che i dibattiti intorno alla Carta si concentrino quasi tutti sugli effetti non tanto verso i poteri del legislatore della Comunità, ma piuttosto solo e soltanto sugli effetti che la Carta potrà avere nei confronti della giurisprudenza della Corte di Giustizia.

In questo senso, quindi, è giusto affermare che la Carta costituisce un esempio limpido di “restatement of law”: una raccolta dei principi desunti dalla giurisprudenza da affidare nelle mani degli stessi giudici.

Il terzo aspetto – l’inserimento della Carta nel futuro Trattato co-stituzionale europeo – invece potrebbe segnare un tratto di forte di-scontinuità rispetto a quanto sopra affermato.

In primo luogo, priverebbe il giudice comunitario del suo partico-lare “potere” di selezionare le fattispecie da tutelare ed, in secondo luogo, legherebbe e salderebbe la tutela dei diritti con l’organizzazione e la struttura comunitaria, tanto da poter segnare un più marcato rapporto tra le politiche economiche della Comunità e gli stessi diritti.

Successivamente, si descrivono i lavori della “Seconda Convenzio-ne” (dopo quella di Nizza, quella di Laeken), sottolineando, in partico-

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lare, come gli articoli del Progetto di Trattato costituzionale europeo, relativi alle competenze, individuino poche competenze comunitarie, prevedendo invece un numero elevato di competenze concorrenti Co-munità-Stati Membri.

Questo aspetto è valutato di notevolissima importanza, in quanto la previsione della competenza concorrente, su di un numero più elevato di materie, autorizza la stessa Comunità ad intervenire in molte que-stioni e ambiti.

Insomma, la costituzionalizzazione della Carta, prima descritta, in-sieme all’esito della Convenzione in tema di competenze concorrenti, potrebbero certamente significare molto, quasi costituire una futura ve-ra e propria svolta: dalle politiche alle competenze, da una concezione funzionale dei diritti ad una “concezione costituzionale” dei diritti.

Per concludere. Lo scenario descritto e le sue evoluzioni possibili dimostrano come il processo sia certamente originale. Da questo al passo enorme della sovranità europea c’è spazio, ma la direzione è questa: terminato il compito della sovranità statale, scritti nelle Costi-tuzioni e penetrati nelle coscienze sociali, i diritti condurranno prima o poi alla sovranità europea.

Si sa, d’altronde, che i critici sono molti, spinti dalla paura di per-dere le “prerogative nazionali”, ma la previsione delle competenze con-correnti in quel modo proposto dalla Convenzione condurrebbe alla maggiore integrazione dei poteri e, di conseguenza, alla tutela dei dirit-ti maggiormente integrata.

Tutto questo oggi non può più costituite una “immagine avveniri-stica”; ci potranno essere antinomie, differenti cataloghi di diritti e dif-ferenti giurisprudenze, certamente, ma d’altronde non si può non rico-noscere che sono problemi “forti” almeno quanto lo erano quelli degli anni ’70. Insomma, oggigiorno il processo di integrazione europea po-trà condurre certamente non ad una minore tutela dei diritti, ma almeno ad una pari a quella verificatesi negli ordinamenti statali.

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AUGUSTO BARBERA Intervento Riprendendo lo spunto finale della Relazione di Caretti – la Carta

di Nizza si rivolge ai giudici più che ai legislatori – l’intervento di Barbera si apre proponendo il seguente interrogativo: a quali giudici si rivolge la Carta di Nizza? Alla Corti costituzionali nazionali, alla Corte di Giustizia della Comunità Europee di Lussemburgo o alla Corte Eu-ropea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo? Non solo, infatti, ad essere multilivello è la tutela dei diritti, ma anche gli giudici devono essere analizzati in un ottica, appunto, multilivello.

Se da un lato, quindi, si può trarre un indubbio beneficio dalla pre-senza di più giudici, dall’altro lato, però, bisogna considerare attenta-mente il fenomeno per il quale un numero elevato di giudici determina, molto spesso, che si inneschi una “delegittimazione a vicenda” tra que-sti. Il punto da analizzare, di conseguenza, è come ogni Corte interpre-ta il proprio ruolo nei confronti delle altre.

Iniziando dalla Corte di Giustizia di Lussemburgo si possono sotto-lineare tre aspetti.

In primo luogo, la Corte ha “ottenuto” che le Corti nazionali non si interponessero nell’applicazione del diritto comunitario (questa posi-zione si rafforzerà ulteriormente se la Carta di Nizza sarà inserita nei Trattati).

In secondo luogo, essa ha da sempre osteggiato l’adesione della Comunità Europea alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). In terzo luogo, attraverso lo strumento delle questioni pregiu-diziali (art. 234 CE), la Corte di Lussemburgo ha sempre mantenuto un dialogo aperto con i giudici degli Stati membri, sia nell’interpretazione del diritto comunitario, che in quella del diritto statale.

Le reazioni alla giurisprudenza di cui sopra della Corte di Lussem-burgo non si sono fatte attendere. Da un lato, si veda la sentenza Mat-

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La tutela multilivello dei diritti – Sintesi delle Relazioni

thews (cittadina di Gibilterra che non poteva votare per le elezioni del Parlamento europeo) della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in cui la Corte di Strasburgo ha saputo far valere la responsabilità dei singoli Stati dell’Unione su decisioni da imputare all’Unione stessa.

Dall’altro lato, l’atteggiamento delle Corti nazionali, in specie della Corte costituzionale italiana: a) ha rifiutato la concezione monista cercando di mantenere la sovranità dell’ordinamento italiano e b) ha degradato la CEDU solamente a diritto pattizio la cui validità è quella propria della legge di esecuzione della CEDU (posizione abbastanza problematica, in quanto ogni tanto alla Corte “scappa” qualche obiter dictum: per tutti, vedi la sentenza 10/1993 per la quale la legge di ese-cuzione è una fonte atipica; la CEDU è stata usata come fonte integra-tiva del parametro costituzionale e questo ha consentito di stabilizzare il problema). Infine, c) non ha posto questioni pregiudiziali essa stessa, ma è ricorsa ad escamotage: rimetteva gli atti al giudice a quo e lo la-sciava da solo di fronte alla Corte di Lussemburgo.

La coesistenza fra le varie Corti può, a questo punto, entrare in pe-ricolo per contrasti di giurisprudenza che potrebbero ingenerare il fe-nomeno sopra sottolineato della “delegittimazione a vicenda”.

Per la Corte costituzionale italiana, allora, è arrivato il momento di affrontare il problema, specie dopo l’approvazione della Carta di Nizza e l’attivismo crescente della Corte di Strasburgo. In sintesi, sono quat-tro i motivi per i quali la Corte costituzionale italiana dovrebbe prende-re una posizione: 1) effetti dei ricorsi diretti ex Protocollo 11; 2) ri-schio di doversi “auto-condannare” come alcune Corti Supreme degli Stati membri (es. Corte irlandese e Corte spagnola, quest’ultima censu-rata, addirittura, per violazione del contraddittorio); la Corte di Cassa-zione italiana, tra l’altro, nella sentenza Cordova (P.R. di Napoli rite-neva di essere stato leso nel proprio diritto alla dignità personale dalle esternazioni di Cossiga e di Sgarbi) è stata censurata per non aver sol-levato conflitto di attribuzione nei confronti del Parlamento che aveva riconosciuto l’insindacabilità; 3) rischio di essere by-passata anche per

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quanto riguarda la CEDU, specie da parte dei giudici ordinari (es. sen-tenza 419/2000) e della stessa Corte di Cassazione (Caso Medrano) e, quindi, per evitare che si affermi un controllo di “convenzionalità dif-fuso”); 4) art. 117 novellato per il quale vige rispetto “obblighi inter-nazionali” per l’esercizio della competenza legislativa statale e regio-nale; cosa significa? Tutti gli obblighi internazionali vincolano il legi-slatore determinando l’illegittimità costituzionale derivata per norma interposta, oppure il nuovo art. 117 non modifica alcunché del prece-dente panorama giuridico in materia. Esiste, però, una tesi intermedia: non tutti gli obblighi internazionali perché quelli posti in essere dal Governo non possono vincolare anche il legislatore, perciò solamente quelli per i quali è stata posta in essere la legge di ratifica. Se vale que-sta terza interpretazione, finalmente la CEDU potrebbe assumere una posizione forte nel sistema delle fonti italiano, con tutte le problemati-che ulteriori.

FRANCO PIZZETTI La tutela dei diritti nei livelli substatutali Franco Pizzetti ritiene che quando si parla di tutela dei diritti biso-

gna essere consapevoli che si è in presenza di un processo di integra-zione non tanto degli ordinamenti, ma del funzionamento dei sistemi ordinamentali e giuridici molto forte, il quale non si limita a toccare i soli diritti fondamentali.

Dopo aver ricordato che gli Stati non sono più gli unici riconosci-tori, regolatori e garanti dei diritti ai quali i cittadini nella loro diversa situazione hanno diritto alla tutela, evidenzia come ci si trovi sempre più di fronte ad un processo di integrazione tra soggetti regolatori di-versi sia a livello internazionale sia a livello dell’Unione europea.

A questo proposito, Pizzetti sottolinea come attualmente vi siano due prospettive. La prima prospettiva è quella della Carta dei diritti, in

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relazione alla quale bisognerà verificare se sarà inserita nei Trattati e con quale efficacia vincolante.

La seconda prospettiva è quella della governance, la quale procede secondo un itinerario diverso basato sulla costruzione di sedi condivise di regolamentazione in cui sempre meno s’immagina possibile una di-stribuzione e separazione di competenze regolatrici tra i vari livelli.

In questa prospettiva, infatti, si procede sempre di più a sviluppare fenomeni di integrazione del processo di regolamentazione, nella quale si ricercano modalità di regolamentazione non tradizionali, attraverso l’elaborazione di regole non necessariamente e immediatamente vinco-lanti e l’adozione di procedure finalizzate all’individuazione di stan-dards, di parametri e di obiettivi che il sistema integrato deve raggiun-gere, anche attraverso un processo di verifica sul loro rispetto ed attua-zione.

Pizzetti evidenzia come non sia del tutto chiaro se la costruzione di nuovi procedimenti e meccanismi per la verifica del rispetto degli standards e degli obiettivi porterà ad un ampliamento delle competenze dei giudici oppure alla creazione di modalità di controllo e di verifica parallele al ruolo classico attribuito ai sistemi giurisdizionali.

Il relatore ritiene pertanto che si debba tenere presente questo sfondo e queste complessità quando ci s’interroga sul ruolo dei livelli substatuali nella garanzia dei diritti, se non si vuole restringere i diritti ai diritti fondamentali contenuti nei cataloghi delle Costituzioni e della Carta dei diritti.

La riforma del Titolo V, infatti, costituisce la risposta ad un ordi-namento che è immerso in questo processo di governance. Dopo aver ricordato, brevemente, quali sono le principali innovazioni apportate dalla riforma e come si sia passati da un modello fortemente unifor-mizzante ad un modello fortemente differenziante, evidenzia come il compito dei livelli substatuali sia quello di attuazione complessiva de-gli obblighi comunitari o internazionali della normativa costituzionale, in considerazione dall’ampliamento delle loro competenze e del fatto

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che essi svolgono, in virtù del combinato disposto degli artt. 117, 1° c. e 120 Cost., attività regolatrici e di regolazione dei servizi propri dei livelli territoriali amministrativi.

Quanto alla competenza esclusiva dello Stato nella “determinazio-ne dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, esprime dei dubbi circa la possibilità che questi siano sempre e solo positivamente posti da norme giuridiche dello Stato e che l’esercizio della competenza statale nel definire gli stessi si possa tra-durre nei tradizionali strumenti normativi che postulano un giudizio di legittimità alla luce del rapporto tra norme.

Ad avviso di Pizzetti, sarebbe preferibile, più che chiedersi quale sarà l’ambito di questi livelli essenziali, domandarsi come dovranno essere definiti, attraverso quali tipi di procedure e di raccordi con gli enti territoriali ai quali spetterà poi farli rispettare.

Per questa ragione, Pizzetti ritiene che nell’attuazione della tutela dei diritti vi sarà molto più spazio per la costruzione di meccanismi di integrazione e di connessione tra i diversi livelli di governo piuttosto che per un ruolo specifico e riservato all’autorità giurisdizionale nel farli valere. In conclusione, evidenzia come in un quadro in cui sono valorizzati i processi di soft law, di integrazione dei processi decisio-nali, di ricorso a norme tecniche che definiscono gli standards e gli o-biettivi, anche il ruolo dei giudici debba essere ripensato.

BENIAMINO CARAVITA DI TORITTO Intervento Beniamino Caravita ritiene che, a seguito dell’attuazione della ri-

forma del Titolo V, il tema della tutela substatale dei diritti porrà il giurista di fronte a due problemi: il passaggio da un atteggiamento formalista ad uno maggiormente sostanziale ed il passaggio dalla pro-clamazione alla effettività.

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Inoltre, la problematica della tutela dei diritti a livello substatale ha di fronte a sé l’amministrazione, la società, le organizzazioni, il legislatore, ecc.

Caravita ricorda che si è discusso negli anni ’70, e si discute oggi, il problema dell’inserimento delle proclamazioni di principio, degli o-biettivi e delle indicazioni all’interno degli Statuti e come vi siano due linee di riflessione in proposito: una linea tende a considerare tali pre-visioni inutili, mentre un’altra tende a sottolinearne l’incostituzionalità. In realtà, il fatto che queste proclamazioni sono state inserite negli Statuti degli anni ’70 rende difficilmente ipotizzabi-le che non siano inserite anche in quelli in elaborazione. Caravita, tut-tavia, non ritiene che l’influenza di queste proclamazioni sarà di gran-de rilievo per una serie di ragioni.

Innanzitutto, il prolungarsi della vicenda statutaria indica una grande difficoltà del legislatore statutario a svolgere il suo compito. Inoltre, dalle bozze degli Statuti sta emergendo un modello che è quel-lo delle indicazioni, degli obiettivi e dei principi, talvolta delle politi-che, ma non vi sono mai delle formulazioni che assumono la struttura di un vero e proprio diritto; si andrebbe pertanto nella direzione di un reiterarsi di indicazioni e di obiettivi.

Vi sono, tuttavia, due argomenti da tenere presenti rispetto alla tendenziale irrilevanza dell’inserimento delle proclamazioni di princi-pio e degli obiettivi negli Statuti.

Il primo argomento riguarda il possibile uso degli Statuti come in-tegrazione del parametro di costituzionalità, laddove la Corte andrà a discutere di diritti di libertà.

Il secondo argomento riguarda la tendenza a prevedere negli Statuti organismi variamente denominati (Consulta statutaria, Commissione per le garanzie dello Statuto, ecc.); questi organismi, se saranno istitui-ti, oltre ad essere chiamati in merito alla ripartizione delle competenze fra Giunta, Consiglio e Consiglio delle autonomie, potranno essere chiamati pronunciarsi su problemi che toccano, almeno lateralmente, la

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tutela dei diritti, determinando anche a livello regionale possibili con-trasti tra i diversi organi di tutela.

Caravita, premesso che la competenza legislativa delle Regioni in certe

materie porterà queste ultime ad incidere sui diritti, evidenzia comunque

come vi siano quattro tipi di problemi che influiranno in modo determinante

sulla capacità regionale di tutelare gli stessi.

In primo luogo, si chiede a che livello si collocherà la determina-zione dei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” e se tale determinazione permetterà differenziazioni regiona-li.

In secondo luogo, evidenzia l’importanza della disciplina del si-stema di finanziamento delle Regioni. Queste ultime, infatti, avranno competenze fondamentalmente in materia di assistenza, di welfare e di diritti economici, ma sono le modalità di finanziamento che incidono fortemente sulla disciplina di queste competenze e sulla tutela in con-creto dei diritti.

In terzo luogo, si chiede come verranno definiti i rapporti tra le Regioni, come titolari di poteri legislativi, e i soggetti che attuano i diritti. Le Regioni, infatti, potranno legiferare sui meccanismi di tutela dei diritti ma l’attuazione in concreto spetterà in gran parte agli enti territoriali, in attuazione della legislazione regionale.

Infine, dopo essersi chiesto quali saranno gli strumenti previsti per tutelare i diritti, Caravita ricorda che la complessità della riforma im-plica necessariamente un sistema di accordi e di intese per la sua con-creta attuazione. In tal senso, il relatore evidenzia il ruolo che potreb-bero assumere gli accordi e le intese: per Caravita, o gli accordi e le in-tese riusciranno ad assumere, in qualche modo, parametro di costitu-zionalità e di integrazione delle fonti di fronte al giudice costituzionale e al giudice amministrativo, con conseguenze enormi sui diritti di li-bertà, o questi strumenti perderanno la loro efficacia.

In conclusione, Caravita torna ad evidenziare la tesi secondo cui il giurista dovrà porsi di fronte al passaggio dalla proclamazione alla ef-

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fettività; la proclamazione probabilmente perderà di ruolo poiché non servirà a molto la proclamazione degli Statuti, ma si dovrà verificare, alla luce dei quattro parametri considerati, come le Regioni saranno in grado di incidere sul livello substatale.

SILVANO LABRIOLA Sintesi delle Sessioni Labriola inizia il suo intervento di sintesi sottolineando

l’importanza del tema del convegno. In una fase di crisi della sovranità statuale, è infatti assai importante interrogarsi sulla tutela dei diritti dal punto di vista della pluralità degli ordinamenti ma anche dal punto di vista del singolo individuo nel suo territorio.

L’epoca in cui viviamo ci spinge anche ad affrontare temi tradizio-nali in prospettive del tutto nuove. Un tema classico come quello dell’autonomia della magistratura deve oggi valutarsi non più soltanto in relazione agli altri poteri dello Stato, ma anche nei confronti di pote-ri esterni allo Stato medesimo. Altrettanto importante è poi il nesso tra la dimensione individuale e l’esercizio collettivo dei diritti.

Per situazioni giuridiche come la libertà religiosa o il diritto alla propria identità, tanto cruciali in questi tempi, le due dimensioni sono infatti indissolubilmente legate.

Di grande interesse, secondo Labriola, è la pluralità di prospettive affrontate nel convegno. L’importanza della prospettiva internaziona-listica è sotto gli occhi di tutti, in questi giorni di crisi mondiale, che in taluni ordinamenti fanno rinascere istituti che si sperava sepolti nel passato, come la prerogativa regia in materia di politica estera (il rife-rimento è al comportamento del governo italiano nei rapporti con il parlamento, sia nella passata vicenda del Kosovo sia nelle attuali vi-cende).

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Per quanto riguarda la prospettiva comunitaria, non si può fare a meno di sottolineare la novità di questo ordinamento e del suo svilup-po, che tuttavia non deve certo considerarsi concluso. Anche la Carta dei diritti e la Convenzione presieduta da Giscard sono, infatti, soltanto dei passaggi, rispetto ai quali, viste tante “delusioni” del passato, è giusto continuare mantenere un’attenzione vigile.

Una valutazione compiuta è decisamente difficile anche per quanto riguarda la dimensione infra-statuale. La riforma non è stata infatti an-cora pienamente attuata e già è in atto un processo di “riforma della ri-forma”, che c’è da augurarsi perlomeno che non segua tempi e modi analoghi a quelli della prima riforma costituzionale.

Un accenno in particolare lo merita però la questione del “livelli essenziali” di tutela di cui all’art.117. Questa previsione, suggerisce Labriola, ha una genesi molto precisa, che è, come indicano chiaramen-te sia gli atti parlamentari che gli atti della Conferenza Stato-Regioni, quella di giustificare l’istituzione del fondo perequativo.

La garanzia che la tutela dei cittadini non possa andare al di sotto di una soglia ritenuta essenziale è del resto obbligata sia dal principio costituzionale di uguaglianza che dagli obblighi comunitari. Questa previsione esprime del resto il principio secondo cui gli enti regionali, in virtù del vincolo di unità nazionale, devono concorrere alle presta-zioni pubbliche.

Essa però, conclude Labriola, se intesa in maniera sbagliata, po-trebbe causare notevoli problemi finanziari, anche in relazione ai vin-coli di stabilità che operano nel contesto comunitario.

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Tavola Rotonda ALDO LOIODICE Intervento L’intervento di Loiodice si concentra sulla Carta dei diritti fonda-

mentali e sulla questione dell’adesione dell’Unione alla Convenzione europea dei diritti umani. Prendendo spunto dal lavoro della Conven-zione sul futuro dell’Unione, Loiodice sottolinea l’importanza di una eventuale integrazione della Carta nel futuro Trattato costituzionale.

Le indicazioni che provengono dalle relazione dei gruppi di lavoro dedicati a questi temi e dalla prima bozza di articoli, dice Loiodice, sembrano infatti andare in questa direzione.

Nel momento in cui ciò avvenisse, la Carta non sarebbe più soltan-to un documento politico, come è stato finora, anche se utilizzato da diversi giudici a fini interpretativi, ma diventerebbe una base giuridica vincolante, in grado di rappresentare un ulteriore livello di tutela.

Loiodice sottolinea, poi, le modifiche che sono state proposte dalla Convenzione ai cosiddetti articolo “orizzontali” della Carta, sia laddo-ve si specifica che i diritti tratti dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri devono essere interpretati alla luce di quegli ordinamenti, sia laddove viene delineata una possibile distinzione delle disposizioni della Carta tra diritti e principi, con tutte le conseguenze in termini di effettività della tutela.

VALERIO ONIDA Intervento Dopo aver premesso che la tutela dei diritti non si esaurisce nella

tutela giurisdizionale, ma comprende anche altri aspetti, come ad e-

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sempio la tutela amministrativa, la predisposizione delle strutture e degli apparati necessari a rendere effettivo l’esercizio del diritto, Onida si concentra sulla funzione della Corte costituzionale italiana e sul suo rapporto con le altre corti europea.

Per quanto riguarda in particolare la Corte costituzionale italiana, Onida sottolinea come essa, pur non disponendo di strumenti specifici, abbia molto spesso di fatto esercitato una funzione di tutela concreta di diritti, come del resto indica il gran numero di decisioni nel giudizio incidentale.

In molte occasioni, infatti, la Corte ha superato l’assenza di un ri-corso diretto, presente come noto in altri ordinamenti, come quello te-desco e quello spagnolo, finendo per emettere delle sentenze che si prestano fortemente a fornire un criterio di giudizio sul caso concreto.

Tra gli esempi di interventi della Corte che, pur ovviamente diretti a valutare la legittimità di norme, hanno di fatto fornito tutela a diritti, Onida cita diverse recenti decisioni, da quella sulla servitù di passag-gio per il proprietario invalido di un fondo confinante, a quella sull’inammissibilità del disconoscimento di paternità dopo il consenso all’inseminazione eterologa, a quella sul superamento delle soglie di età nelle adozioni internazionali.

Sui rapporti con la Corte europea e con la Corte di Giustizia, Oni-da si dice propenso a non considerare del tutto giustificate le preoccu-pazioni di un eccessiva perdita di terreno delle corti costituzionali na-zionali. Tra le Corti possono certo crearsi dei conflitti, ma si sviluppa-no anche importanti sinergie e si attivano meccanismi di circolazione di idee e di esperienze.

In effetti, sottolinea Onida, i conflitti tra norme risultano abbastan-za marginali, perché i diritti in qualche modo “sono sempre gli stessi”, cioè aspirano ad essere universali, e dunque si differenziano non tanto nella loro sostanza quanto semmai eventualmente nelle modalità di e-spressione.

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Tra le tre Corti possono semmai crearsi conflitti di giurisprudenza, così del resto si creano tra diverse corti di uno stesso ordinamento, e, talvolta, problemi di raccordi procedurali.

Con la Corte di Giustizia, spiega Onida, i rapporti sono inevitabil-mente molto frequenti, per l’integrazione sempre crescente tra gli ordi-namenti nazionali e quello comunitario, tanto che la Corte finirà pro-babilmente nel prossimo futuro a far uso anche dello strumento del rin-vio pregiudiziale.

Con la Corte Europea, l’omogeneità dal punto di vista del contenu-to delle norme da applicare è particolarmente significativa, anche se non mancano alcuni problemi di carattere procedurale. C’è poi la que-stione dello status della Convenzione europea dei diritti nel nostro or-dinamento.

Formalmente essa ha il valore della legge ordinaria, anche se non sono mancate da parte della Corte aperture sulla possibilità di ricono-scerle una forza particolare. Oltre all’indicazione contenuta nella sen-tenza n.10 del 1993, infatti, in altre occasioni la Corte di fatto è entra-ta nel merito delle questioni ad essa sottoposte, riconoscendo implici-tamente alla CEDU la possibilità di integrare il parametro del giudizio.

Resta comunque aperto, conclude Onida, il problema di un ricono-scimento formale del particolare status di una fonte così importante come la Cedu, operazione che può essere compiuta in vario modo, at-traverso il riferimento alle “norme del diritto internazionale general-mente riconosciute” dell’art.10 o piuttosto alle organizzazioni interna-zionali di cui all’art.11 della Costituzione.

VICTOR UCKMAR Intervento Victor Uckmar articola il suo intervento attorno al problema dei

rapporti fra Stati, cittadini e ordinamento comunitari e internazionale

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in merito al diritto tributario, constatando, innanzitutto, la gelosia tipi-ca degli Stati nazionali a conservare il potere impositivo in materia tri-butaria, non volendo cederlo né all’Unione europea, né al sistema delle organizzazioni internazionali.

In modo particolare, sottolinea Uckmar, i punti di «crisi» fra si-stema statale e sistema extrastatale si sono sviluppati attorno alle con-troversie in caso di doppia imposizione, dove l’intervento di omoge-neizzazione della normativa da parte dell’Unione europea si è fatto maggiormente sentire, grazie all’emanazione di due direttive in materia di imposte dirette.

Pur tuttavia, ricorda Uckmar la competenza dell’Unione in materia fiscale è ancora lontana dai livelli tenuti dagli Stati e questo condizio-na le stesse politiche europee che debbono fare i conti con l’assenza di un vero e proprio sistema europeo di imposizione fiscale che possa fornire all’Unione e alla Comunità un gettito che non passa attraverso gli Stati.

Per quanto riguarda il piano del diritto internazionale, Uckmar ri-corda i tentativi in corso per arrivare alla creazione di una organizza-zione internazionale deputata specificatamente alla gestione, a livello internazionale, della materia tributaria e fiscale: una sorta di World Tax Organization, che ricordi, come modello quello dell’attuale WTO: è, infatti, una delle potenziali situazioni di «anomalia» quella che, a fron-te di organizzazioni internazionali dotate di ampi poteri in materia di commercio internazionale, non siano ancora presenti organismi altret-tanto significativi in materia fiscale, pur essendo, come ben noto, la le-va fiscale fortemente incidente sia sul sistema economico in generale, sia sul sistema delle imprese e sulla loro capacità di produzione e di esportazione.

Infine, conclude Uckmar, l’evoluzione dello Stato moderno, che si era costruito anche sul potere di imposizione fiscale, dovrebbe portare ad una progressiva trasformazione di quello che era il power of taxa-tion statale, quale declinazione della sovranità statuale, e basato su un

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sistema di matrice pubblicistica, fortemente regolato, ad un diversa ru-le of taxation che conserva agli organi pubblici il potere di dettare le regole in materia fiscale, armonizzando i vari livelli di intervento, e al-lo stesso livello, le varie esperienze nazionali.

VLADIMIRO ZAGREBELSKY Intervento L’intervento di Vladimiro Zagrebelsky muove dalla constatazione

che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si caratterizza, a differenza delle Corti costituzionali nazionali e, per certi versi, della stessa Corte di Giustizia europea, per avere come oggetto del proprio giudizio non già un atto normativo, ma una condotta, un comportamento (o un «at-teggiamento») tenuto da uno Stato, in una specifica situazione concreta e questo non può che riflettersi sul modo stesso col quale la Corte di Strasburgo opera, costruendo la propria giurisprudenza, ed è in grado di assicurare la tutela effettiva dei diritti.

Da questo punto di vista, ricollegandosi alla relazione di Onida, Zagrebelsky nota che se la Corte costituzionale ha dovuto elaborare la propria giurisprudenza, al fine di offrire un quadro effettivo di tutela dei diritti, partendo da una condizione istituzionale nella quale essa non è dotata del ricorso diretto (per cui dialoga non direttamente coi cittadini i cui diritti appaiono bisognosi di tutela, ma con altri «giudi-ci») e giudica seguendo le coordinate classiche del «giudizio fra nor-me» proprie delle Corti costituzionali di derivazione kelseniana, la Corte di Strasburgo può, invece, conoscere delle violazioni dei diritti umani attraverso l’istanza direttamente presentata dal soggetto leso e basa il proprio giudizio non su un atto, ma su una situazione concreta.

Inoltre, osserva Zagrebelsky, la Corte ha come punti di riferimento la Convenzione e la propria giurisprudenza e tiene per irrilevante che l’atto sottoposto al suo giudizio (o, meglio, la condotta concreta lesiva

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dei diritti dell’individuo) sia giustificabile, o conforme, al diritto inter-no.

Richiamando la sua presente esperienza di giudice presso la Corte, Zagrebelsky si sofferma sul fatto che la Corte si ritiene fortemente vin-colata al proprio precedente (fra l’altro, sono ammessi gli istituti delle opinioni adesive e dissenzienti), e nell’esaminare le questioni che le sono sottoposte, e nel deciderle, molta attenzione presta alla necessità di assicurare la giustizia nel caso concreto: anzi, si è dato un caso nel quale una determinata decisione della Corte, presa all’unanimità, ha poi visto una concurring opinion nella quale, proprio per le peculiarità della decisione adottata e per il suo essere fortemente condizionata dal-la necessità di garantire la giustizia nel caso concreto, il giudice esten-sore metteva in guardia dal considerare come precedente il punto di di-ritto in quell’occasione affermato.

Osservando il meccanismo di accesso alla Corte – che prevede che siano esperiti prima i ricorsi giurisdizionali previsti dal diritto interno nazionale – Zagrebelsky fa notare come questo comporta che, nel si-stema della Convenzione, sono i giudici nazionali, in primo luogo, quelli che devono essere i guardiani del sistema dei diritti dei quali la stessa Convenzione vuole assicurare la protezione ai cittadini.

Eppure, e proprio con particolare riguardo alla situazione italiana, vi sono dei casi nei quali i giudici, attraverso la loro opera di interpre-tazione dei contenuti della Carta e di applicazione di essa, non sono sufficienti, vuoi perché non è possibile, per i giudici stessi, far riferi-mento ad una giurisprudenza consolidata, vuoi perché la violazione del diritto lamentata dal singolo riguarda proprio il comportamento tenuto da un organo giurisdizionale, come avviene per i ricorsi avverso l’eccessiva durata del processo.

Per quanto riguarda il rapporto fra fonte di diritto interno e fonti «convenzionali» (intendendosi con quest’espressione sia la Carte Eu-ropea dei diritti dell’Uomo, sia la giurisprudenza elaborata dalla Corte di Strasburgo nell’applicazione della Carta stessa), Zagrebelsky si in-

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terroga sull’effettivo valore e portata della legge di ratifica della Con-venzione e dei Protocolli annessi, ponendosi l’interrogativo se essa, ri-spetto a fonti del diritto interno che incidono sugli stessi diritti, abbia il valore di canone interpretativo delle norme interne, o non si collochi quasi a mezza strada fra la legge e il diritto costituzionale.

In modo particolare, Zagrebelsky ricorda come una parte della ma-gistratura italiana, soprattutto di merito e soprattutto di primo grado, abbia fatto qualche «sortita» innovativa nel senso della disapplicazio-ne: vale a dire operando, in caso di antinomia fra la norma di diritto in-terno e la CEDU, con gli stessi strumenti che, alla fine di una lunga e controversia «battaglia giurisprudenziale» fra Corte di Giustizia e Cor-te costituzionale italiana, sono oggi previsti per risolvere il contrasto fra una norma di diritto nazionale e una norma comunitaria.

L’istituto della disapplicazione, il quale va visto anche alla luce della recente riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, con l’introduzione, all’art. 117, 1° comma Cost., del vincolo all’esercizio della potestà legislativa, da parte dei legislatori statale e regionali, del-le norme di diritto internazionale, non è stato, tuttavia, finora fatto proprio da tutta la magistratura.

Anzi, Zagrebelsky ricorda come ci siano stati dei casi (come quello relativo alla configurazione del diritto al risarcimento del danno patito per la durata eccessiva del processo) nei quali le Sezioni Unite della Corte di cassazione si sono poste in contrasto con i dettami della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, non solo non ricorrendo all’istituto della disapplicazione, ma neppure considerando la stessa giurisprudenza del-la Corte di Strasburgo come vincolante per il giudice interno.

Questo fenomeno, fa risaltare Zagrebelsky, crea una situazione di notevolissima incertezza, perché consente, per un verso al massimo or-gano di nomofilachia statale, di negare un effettivo valore vincolante alla CEDU, e per l’altro, ai giudici del merito, di configurare addirittu-ra la possibilità del ricorso all’istituto della disapplicazione della nor-ma interna per contrasto con una disposizione convenzionale, ciò che

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darebbe vita ad una sorta di sindacato di «convenzionalità» diffuso del-le leggi statali da parte del giudice ordinario.

Proprio prendendo atto di questo, Zagrebelsky conclude il suo in-tervento auspicando che si arrivi a fare chiarezza, anche alla luce della tutela del valore della certezza giuridica, ma sottolineando come questo comporti per il giudice del merito, e in particolare per quello di legit-timità, la necessità di una rinnovata, maggiore sensibilità alla giuri-sprudenza del giudice soprannazionale e una «apertura al dialogo», all’insegna della leale collaborazione (che non può mancare se si con-divide lo schema che vuole nel giudice interno il primo, e principale, custode dei diritti fondamentali proclamati anche dalla CEDU) fra la Corte di Strasburgo e le magistrature nazionali.

GIORGIO LOMBARDI Intervento conclusivo Nelle linee per una conclusione che ha tracciato a sintesi e chiusu-

ra dei lavori del Convegno, Giorgio Lombardi ha fatto notare come l’epoca presente, che si muove lungo le coordinate del superamento del modello di Stato moderno di derivazione giacobina, verso uno Stato destrutturato, aperto alle interrelazioni con la dimensione soprannazio-nale e internazionale per un verso, e regionale e locale per l’altro, la stessa giurisdizione (in particolare quella costituzionale) venga a muta-re, in modo significativo, il proprio profilo, passando da una giurisdi-zione sulle norme ad una giurisdizione sulle situazioni concrete (ciò che non alieno, né nuovo, per il giudice di Common Law).

Per quanto riguarda la posizione della Corte di Strasburgo, Lom-bardi sostiene che essa si pone necessariamente come una sorta di or-gano giurisdizionale di «chiusura» dell’intero sistema, che racchiude anche le giurisdizioni nazionali.

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Da questo punto di vista, la circolazione della giurisprudenza, non solo fra le magistrature nazionali e la Corte europea dei diritti dell’Uomo, o la Corte europea di Giustizia, ma anche fra le magistratu-re (supreme) dei vari Stati europei, non può che non ricordare la situa-zione propria dell’ordinamento, anch’esso tipicamente destrutturato, medievale all’interno del quale, prima che arrivasse la «chiusura» degli ordinamenti nazionali attorno alla legislazione dello Stato e al Codice, era normale che la giurisprudenza dei «Grandi Tribunali» circolasse diffusamente in tutta Europa, contribuendo alla creazione del «diritto comune» (europeo).

Infine, per quanto riguarda il «ruolo» e il «posto» del giudice eu-ropeo dei diritti nel sistema multi-livello di tutela dei diritti fondamen-tali, Lombardi sottolinea come esso possa esplicare appieno le proprie potenzialità, contribuendo all’effettiva creazione di una rete giurisdi-zionale di garanzie dei diritti, che coinvolga anche il livello sopranna-zionale, solo nel momento in cui sarà fornito anche di un potere espli-cito di annullamento degli atti statali in contrasto con la Convenzione.

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