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Università degli Studi Roma Tre Facoltà di Architettura Corso Progettazione e pianificzaine sostenibile A.A 2006/2007 Prof. Alessandro Giangrande INTEGRAZIONE DELLE PRATICHE DI PARTECIPAZIONE NEI PROCESSI DI PIANIFICAZIONE E PROGETTAZIONE SOSTENIBILE

Università degli Studi Roma Tre Facoltà di Architettura · Università degli Studi Roma Tre Facoltà di Architettura Corso Progettazione e pianificzaine sostenibile A.A 2006/2007

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Università degli Studi Roma TreFacoltà di Architettura

CorsoProgettazione e pianificzaine sostenibile

A.A 2006/2007

Prof. Alessandro Giangrande

INTEGRAZIONE DELLE PRATICHE DI PARTECIPAZIONE NEI PROCESSI DIPIANIFICAZIONE E PROGETTAZIONE SOSTENIBILE

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1. Premessa

Ai nostri giorni sembra che le persone non siano più disposte a scambiare la loro libertà — intesacome autonomia, diritto all’autoaffermazione, diritto di essere se stessi — con i benefici chederivano dal fare parte di una comunità tradizionale quali sicurezza, solidarietà ecc. Al contrario,sono ormai in molti a pensare che la metropoli, con tutta la sua durezza e violenza, sia ancora lospazio che dà la possibilità di essere più liberi1.Nel corso degli ultimi anni la crisi della comunità si è aggravata ulteriormente perché le classidominanti, che hanno fatto della liberalizzazione e della deregolamentazione le parole d’ordine e ilprincipio strategico più osannato e perseguito, non hanno più interesse a controllare direttamenteogni mossa dei propri governati per costringerli all’obbedienza. Per mantenere l’ordine sociale essepreferiscono poggiarsi su un nuovo fondamento, meno problematico e meno costoso: lo stato dicostante precarietà — insicurezza del proprio status sociale, incertezza del futuro e fortissimasensazione di non essere padroni del presente — che impedisce ad ognuno di elaborare e attuareprogrammi a lungo termine. In questo stato di precarietà generalizzata i legami comunitari appaionosempre meno indispensabili perché non riescono più a svolgere un ruolo di assicurazione collettivacontro le incertezze vissute a livello individuale2.

Le libertà esercitate dall’abitante della metropoli — libertà di occupare e attraversare territori, diconsumare, di assumere diverse identità, di non partecipare — rappresentano, secondo MassimoIlardi, una forma di rifiuto radicale della comunità e di quell’ordine sociale che impedisceall’abitante stesso di affermare la propria individualità. Nell’esercizio di queste libertà gli abitantiagiscono in modo non coordinato, secondo un’ottica nichilista che non ha altri fini se non quello disoddisfare il desiderio individuale di arricchirsi e di consumare. La metropoli diventa allora “lospazio costruito dall’individuo”, uno spazio che si configura come “un insieme di segmenti,traiettorie, linee disegnate dai liberi movimenti dei singoli, che s’incontrano e s’incrociano creandosincretismi e polifonie che si accendono e si spengono come cerini”3. All’ordine dell’agire politicosubentra il mercato che fa “dell’assenza di fini comuni, dell’esaltazione dei desideri di ognunocome assoluti e inderogabili, e infine dell’annientamento del senso storico, disertato alla stessastregua dei valori e delle istituzioni sociali, le nuove forme di un ordine astratto che non hanno altroscopo che quello di accrescere le possibilità di raggiungimento dei singoli fini”4.L’integrazione di individui che perseguono scopi diversi é resa in parte possibile dal mercato, chediventa l’istituzione centrale della socializzazione, il luogo della costituzione ‘sociale’dell’individuo. L’abitante della metropoli non contesta il mercato: al contrario, ne accetta di fatto leregole (ad esempio, l’imperativo di consumare) anche quando esse rispecchiano la logicaautoreferenziale della produzione e dell’accumulazione capitalistica. La carica eversiva della

1 Ilardi M., Intervista (a cura di M. M. Sambo), Sgrunt, n. 5, Università degli Studi Roma Tre, dicembre 2001 - gennaio2002, p. 6.2 Bauman Z., Voglia di comunità, Editori Laterza, Bari 2001, pp. 39-48.3 Ilardi M., La politica, il mercato, l’individuo ovvero la chiacchiera, l’ordine, la distruzione , in ‘Attraversamenti’ (acura di P. Desideri e M. Ilardi), Costa & Nolan, Genova 1997, p. 12.4 Ivi, p. 10.

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violenza che è intrinseca alle libertà metropolitane5 non è dunque rivolta deliberatamente contro chigestisce il potere. Interessati esclusivamente alla ricerca del loro particolare, gli abitanti non sonopiù disposti a lottare con gli altri per la loro vita quotidiana, né ad avviare un progetto comune per ilsuperamento dell’ordine sociale gerarchico. Come scrive Vaneigem, “manca al nichilismo lacoscienza del superamento possibile” 6.

Il pessimismo di quest’analisi può essere attenuato in parte.Per molti abitanti il consumo non è un esercizio violento7 di libertà teso all’affermazione dellapropria individualità, ma piuttosto uno strumento di socializzazione, un’attività che può consentireall’individuo di superare la propria alienazione, di riappropriarsi dello spazio organizzato dalletecniche di produzione8. Un’esigua minoranza, per ridurre l’impatto sull’ambiente, è anche dispostaa rinunciare al possesso o all’uso di determinati beni (ad esempio, dell’automobile privata);subordina l’acquisto di alcuni prodotti al rispetto dei principi del ‘consumo critico’9; investe ilproprio denaro nella finanza etica. In questa stessa prospettiva si colloca la crescita costante delleattività di volontariato e soprattutto la nascita del Movimento che da alcuni anni opera a scalamondiale per cercare di contrastare i fenomeni negativi collegati alla globalizzazione dell’economiae della finanza.

Queste tendenze, sebbene minoritarie, rappresentano una speranza per quanti pensano che siapossibile perseguire l’autonomia individuale attraverso forme di partecipazione e cooperazionefondate sull’autogoverno delle società locali dove “il desiderio umano per la libertà non viene piùsoddisfatto da conquiste private guidate dal mercato”10.Personalmente ritengo che ogni tentativo di raggiungere quest’obiettivo attraverso riformeistituzionali e legislative finalizzate a modificare e regolamentare direttamente i comportamentiindividuali e i meccanismi di scelta sociale non solo sia autoritario (e dunque deprecabile), maanche destinato all’insuccesso. Al contrario, sono convinto che esso potrà realizzarsi solo se settorisempre più ampi della popolazione si convinceranno che partecipare alla costruzione di nuovispazi e forme di convivenza non implica necessariamente una rinuncia alla propriasoggettività, un restringimento dei propri margini di libertà.Partecipare non deve significare rinunciare alle proprie idee e ai propri interessi in omaggio aqualche ideologia buonista. Paradossalmente, ogni sforzo fatto di interessarci agli altri rischia infatti

5 “La stessa vita sociale di tutte le grandi città non è più organizzata in grandi classi ideologicamente legate, ma è invecefrantumata in piccoli gruppi, in bande, in piccole lobby che hanno ognuna un loro linguaggio, un loro modo di vivere,un loro modo di organizzare interessi che non si integrano assolutamente ma anzi si scontrano fino ad arrivare a unaguerra civile strisciante” (Ilardi M., Intervista (a cura di M. M. Sambo), Sgrunt, n. 5, Università degli Studi Roma Tre,dicembre 2001 - gennaio 2002, p. 4).6Vaneigem R., Trattato del saper vivere ad uso delle giovani generazioni , Malatempora, Roma 1999, p. 168 (titolooriginale: Traité de savoir-vivre à l’usage des jeunes ganerations, Peter Parker, Paris, 1967)7 La violenza nasce soprattutto dalla frustrazione dovuta al divario tra disponibilità economiche e volontà di consumare.8 Le tesi di alcuni sociologi e antropologi contemporanei contrastano con quelle della Scuola di Francoforte o di altristudiosi che, come Braudillard, considerano le pratiche di consumo una minaccia per l’autonomia del soggetto, per lasua interiorità e dunque per la sua stessa libertà. Secondo queste tesi le pratiche di consumo possono essere assimilate aun’attività poietica, creativa, di “costruzione di sé” (Miller D., Material Culture and Mass Consumpion, BlackwellPub., London 1994) nella misura in cui il consumo stesso non viene più limitato allo scambio sul mercato, ma si estendeal momento dell’acquisto, dell’uso, alle pratiche di ricontestualizzazione e appropriazione simbolica del bene da partedell’individuo. Di fatto si riconosce nel consumo una possibile via d’uscita dall’alienazione che ha origine nel momentodi produzione industriale: al tradizionale concetto di “autenticità” fondato su un processo di produzione propria (siconsuma solo ciò che si produce personalmente, controllando l’intero processo di produzione), se ne contrappone unaltro che si basa sulla capacità di appropriazione simbolica attraverso l’uso, sulla propensione delle merci a staccarsi dalprocesso produttivo industriale e ad essere personalizzato, riconosciuto come qualcosa di proprio.9 Sul consumo critico vedi ad esempio i lavori pubblicati dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo: Boycott! Manuale delconsumatore etico (Macro Edizioni, S. Martino di Sarsina 1992) e Nuova guida al consumo critico (E.M.I. dellaCooperativa SERMIS, Bologna, 2000).10Barman Z., La libertà, Oasi Editrice s.r.l. – Città Aperta Edizioni, Triona, 2002, p. 155.

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di fallire se non troviamo in noi stessi la forza di tale interesse. “Bisogna che quanto mi lega aglialtri appaia attraverso quanto mi lega alla parte più ricca ed esigente della mia volontà di vivere.Non l’inverso. Negli altri è sempre me stesso che cerco, é il mio arricchimento, la miarealizzazione. Che ciascuno ne prenda coscienza e il ‘ciascuno per sé’, portato alle sue ultimeconseguenze, sfocerà sul ‘tutti per ciascuno’. La libertà di ciascuno sarà la libertà di tutti. Unasocietà che non si edifichi a partire dalle esigenze individuali e dalla loro dialettica non può cherafforzare la violenza oppressiva del potere”11.Partecipare vuol dire allora attuare quel ‘rovesciamento di prospettiva’ (détournement12) checonsiste nel cessare di vedere le cose con gli occhi degli altri ed imparare a prendere solidamentepossesso di sé, a scegliersi come punto di partenza e come centro, ad acquisire un “insaziabiledesiderio di vivere”13 e una sempre maggiore creatività. Solo dopo aver realizzato questo‘rovesciamento’ potremo cercare di risolvere i nostri conflitti — mettendo in evidenza le cose cheuniscono piuttosto che quelle che dividono14 — e contrastare con efficacia le decisioni e le sceltedei ‘poteri forti’. Scrive Vaneigem: “Per povera che sia, la mia creatività mi è guida più sicura ditutte le conoscenze acquisite per costrizione. Nella notte del potere, il suo debole chiarore tiene adistanza le forze ostili: condizionamento culturale, specializzazioni d’ogni genere,Weltanschauungen inevitabilmente totalitarie”.

Chi opera nel territorio (architetti, urbanisti, planners, ecc.) dovrebbero contrastare la tendenza chenei processi di pianificazione e progettazione privilegia sistematicamente le conoscenze scientifico-disciplinari e quelle di parte, cioè le rappresentazioni del contesto e le norme in base alle qualiragionano ed operano i tecnici e i portatori di interessi ‘attivi’, mentre ignora o trascura laconoscenza diffusa — ovverosia la rappresentazione del contesto di cui sono portatori gli abitanti —e la conoscenza interattiva, frutto del processo di apprendimento reciproco che coinvolge (odovrebbe coinvolgere) tutti.L’attuale pianificazione urbanistica, ad esempio, è regolata da procedure complicate che sembranofatte apposta per escludere a priori ogni forma di conoscenza diffusa e interattiva: chi non possiedecompetenze tecniche specifiche non è generalmente in grado di decodificare i contenuti di un pianoesistente né tanto meno di partecipare in modo propositivo alla formazione di un nuovo piano. Lacomplicazione delle procedure è funzionale al mantenimento dei poteri, dei ruoli15 e dei privilegieconomici di coloro che sono tradizionalmente interessati alla gestione della città e del territorio:dai politici ai tecnici, dai proprietari dei suoli ai costruttori, ecc. Anche nei rari casi in cui èesplicitamente prevista dalle procedure, la partecipazione è concepita solo come strumento

11 Vaneigem R., op. cit, p. 42.12 Il détournement è una rimessa in gioco globale, una tecnica capace di svalorizzare e ricostruire significati. “La dueleggi fondamentali del détournement sono la diminuzione d’importanza, fino alla perdita del primo senso di ognielemento autonomo detourné; e nello stesso tempo, l’organizzazione di un altro insieme significante, che conferisce adogni elemento la sua nuova portata” (Debord G., Rapporto sulla creazione di situazioni, Torino, El PasoAutoproduzioni, Faetherstone 1990).13 Questa ipotesi configura una sorta di 'egocentrismo costruttivo': il soggetto promuove azioni che sono di sua pienasoddisfazione (anche per i loro effetti positivi sul contesto sociale, culturale, ecc., di cui lui stesso è parte) rifiutandoogni 'spirito di sacrificio'. In questa chiave possono essere interpretati i comportamenti di molti personaggi che hannosvolto e svolgono importanti attività sociali e umanitarie.14 Nell’ambito di un processo di negoziazione, ad esempio, i conflitti spesso possono essere superati evitando latrappola degli accordi minimali, di basso profilo, e stabilendo accordi che producano un reale vicendevole guadagno.Produrre tale guadagno non significa conseguire una duplice (ma spesso ingannevole) vittoria: quella nostra e quella delnostro avversario. Occorre invece capire che per conseguire congiuntamente dei vantaggi le parti che si confrontanodevono saper sfruttare le loro differenze, devono in altre parole trarre vantaggio dalle loro diverse priorità per realizzare‘guadagni congiunti’. Ma sfruttare le differenze non significa aiutare l’altro per aiutare noi (do ut des), nè aiutare l’altroa soddisfare i suoi obiettivi prioritari affinché noi possiamo dopo soddisfare i nostri (più semplicemente: fare unoscambio), ma significa innanzi tutto imparare a riconoscere ed accettare le priorità di entrambi.15 L’attaccamento al ruolo s’identifica spesso con quello all’immagine che di noi hanno gli altri e alla quale noi siamofin troppo affezionati, fino a lavorare senza posa per abbellirla e conservarla, anche a discapito del nostro essereautentico.

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utilizzabile per attenuare i conflitti sociali e acquisire consenso: di fatto essa rafforza la strutturagerarchica del potere.L’integrazione effettiva della conoscenza diffusa e interattiva in tutti i processi dipianificazione e progettazione è condizione necessaria per attuare quel ‘rovesciamento’ checonsente di cambiare il senso di tutto ciò che serve il potere e lo mantiene in vita16. Ma questaintegrazione non potrà aver luogo senza procedure che siano intrinsecamente idonee arealizzarla. Queste procedure oggi non esistono o non vengono utilizzate nella pratica urbanisticacorrente. Un’analisi critica diretta ad individuare le ragioni dell’inefficacia degli strumentiurbanistici attuali e dei paradigmi sui quali essi si basano ci consentirà di capire se esistanoprocedure efficaci che integrano la conoscenza diffusa e interattiva nel processo di pianificazione;o, in alternativa, se e come sia possibile modificare le procedure attuali in modo da renderepossibile tale integrazione. Solo dopo aver individuato e sperimentato queste procedure saràpossibile formulare un’ipotesi di regolamento e di normativa della partecipazione.

2. Un nuovo paradigma della pianificazione

I concetti e i metodi del planning hanno evoluto nel corso nell’ultimo secolo. I lavori di Friend andJessops (1968), Mastop (1984), Faludi (1987), Friend and Hickling (1987 e 1997) (cfr. AppendiceA, bibliografia) hanno contribuito più di altri ad individuare i limiti dei metodi e dei modelli chehanno dominato la teoria e la prassi urbanistica fino agli inizi degli anni ’90: in particolare hannomesso in evidenza l’inefficacia del modello razional-comprensivo, una forma di rational planningmodel che amplifica a dismisura la responsabilità sociale del pianificatore, chiamato a regolare tuttii processi di trasformazione della città e del territorio.Dalle loro analisi emerge un nuovo paradigma del planning le cui caratteristiche, espresse sottoforma di prescrizioni, sono state così riassunte da Rosenhead17

• Non ottimizzare. Cerca soluzioni alternative che siano accettabili in relazione a diversi criteri,senza effettuare trade-off.

• Riduci la richiesta di informazioni e persegui una maggiore integrazione tra dati, hard e soft, egiudizi sociali.

• Persegui la semplicità e la trasparenza in modo da rendere chiare le cause di conflitto.• Concettualizza le persone come soggetti attivi.• Favorisci le forme di pianificazione bottom-up.• Accetta l’incertezza e sforzati di mantenere ‘aperte’ le opzioni in vista di una loro futura

attuazione.L’approccio che rispecchia più fedelmente questo paradigma è forse Strategic Choice (cfr.Appendice B). Il modo in cui esso gestisce la partecipazione può essere messo in evidenzamediante un confronto con la proposta di riforma della legge urbanistica che è stata elaborata inambito INU alcuni anni fa18.

3. La proposta di riforma della legge urbanistica e Strategic Choice

16 La condizione è necessaria ma non sufficiente. Come si è detto, il ‘rovesciamento’ potrà aver luogo se una parte nonirrilevante degli abitanti si convincerà che partecipare alla costruzione dei propri spazi di vita è importante e nonimplica una rinuncia alla propria soggettività, né una riduzione dei propri margini di libertà.17 Rosenhead J.(1989), Introduction: old e new paradigms of analysis, in ‘Rational Analysis for a Problematic World’,Wiley & Sons, Chichester, p. 12.18 Da questa proposta discendono alcuni disegni di legge che saranno (forse) approvati a breve dal Parlamento. Questoconfronto è tuttavia significativo perché la sostanza di questa proposta è stata già accolta in molte delle leggiurbanistiche regionali approvate in questi ultimi anni.

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La proposta INU è soprattutto il frutto delle esperienze maturate in campo urbanistico nella primametà degli anni ’90. Essa appare soprattutto interessata a migliorare le procedure in senso tecnico edefficientistico, anche se alcuni dei suoi estensori hanno dichiarato esplicitamente che imiglioramenti non dovranno essere fine a sé stessi bensì mezzi atti a perseguire obiettivi disostenibilità ambientale e di equità.Nella proposta vengono identificati due possibili livelli della pianificazione comunale: il pianostrutturale e il piano-programma (o piano comunale operativo). Al piano strutturale spetterebbe ilcompito di stabilire i vincoli incontrovertibili e non negoziabili che dipendono dalla natura deiluoghi, dalle permanenze geografiche-ambientali, ecc. mentre al piano-programma sarebbe affidatala gestione della componente programmatica, operativa e regolativa19.Le scelte strategiche sarebbero soprattutto attinenti ai livelli più alti della pianificazione: quadro diriferimento territoriale per lo Stato e le regioni, piano strutturale per la provincia. Nel pianocomunale la dimensione ‘strategica’ dovrebbe essere gestita in una fase “precedente allaconclusione del percorso tecnico di formazione del piano e alla sua adozione (o approvazione) daparte del soggetto istituzionale che ha il dovere (o potere) di formare tale piano”: in pratica, sitratterebbe di redigere nell’ambito del piano-programma uno schema di piano o progettopreliminare che prefiguri l’assetto futuro della città e consenta di mettere in atto una cooperazionetra enti e piani attraverso una verifica di coerenza e di compatibilità20.Questa proposta presuppone dunque che la pianificazione strategica, a scala comunale, abbia loscopo di prefigurare l’assetto futuro — fisico e funzionale — della città, la cui attuazione vienedemandata ai livelli operativi e regolativi del piano.Ma l’oggetto della pianificazione strategica non è la prefigurazione dell’assetto futuro dellacittà, bensì l’insieme delle decisioni operative che contribuiscono progressivamente atrasformarla21. Tale assetto non è l’oggetto del piano, ma il prodotto di un processo continuoche il piano può soltanto contribuire a determinare.In questa prospettiva assumono grande importanza gli approcci che aiutano gli attori — istituzionalie non — a prendere le decisioni più idonee a definire e coordinare gli interventi trasformazione delcontesto urbano, mentre sono destinate a fallire tutte quelle forme autocratiche di piano (piano‘disegnato’, piano-progetto, ecc.) che pretendono di definire, come in una sorta di ‘atto unico’, laforma e l’assetto funzionale ‘finale’ della città22.Uno di questi approcci è Strategic Choice, un processo ciclico interattivo nel quale gli attori —tecnici e politici — partecipano a una serie di sessioni di lavoro per decidere in condizionid’incertezza, di urgenza, di carenza di risorse e di conflitti d’interessi (cioè, nelle stesse condizioniin cui ogni amministrazione e ogni urbanista è solito operare!). Le scelte di piano e i progettivengono elaborati e selezionati solo dopo aver individuato e valutato le alternative possibili(opzioni), contemperando l’esigenza di dover operare con la necessaria rapidità con quella digarantire la massima flessibilità ed efficacia alle scelte future23.

19 Cfr. Stanghellini S. (1995), Relazione del Presidente , Supplemento al n.146 di Urbanistica Informazioni: ‘La nuovalegge urbanistica. I principi e le regole’.20 Barbieri C.A., (1995), Riforma urbanistica e riforma dello Stato , Supplemento al n. 146 di Urbanistica Informazioni:‘La nuova legge urbanistica. I principi e le regole’.21 Cfr. Faludi A. (1986), Decision Centred View of Environmental Planning , Pergamon Press, Oxford; Faludi A. (1989),Conformance vs. Performance: Implication for Evaluation, Impact Assessment Bulletin, 7, 135-151.22 Queste forme di piano dissimulano spesso il desiderio dell’urbanista di controllare totalmente la forma e l’assettofunzionale della città attraverso una procedura rigida e sostanzialmente regolamentativa. Esse non vanno confuse con levisioni e i concetti spaziali socialmente condivisi che vengono elaborati in certi contesti. Queste visioni e questi concettiassumono spesso la forma di metafore (espressioni verbali, immagini pittoriche, disegni, ecc.; cfr. Appendice A, §A4)che influenzano sia le attività di pianificazione che i comportamenti degli abitanti (cfr. Faludi A. and van der Valk A.J.(1994), Rule and Order: Dutch Planning Doctrine in the Twentieth Century, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht) esvolgono un ruolo importante nella costruzione di un quadro di riferimento strategico al quale vanno rapportate ledecisioni operative da attuare nel processo di piano.23 Cfr. Friend J. and Jessop W. N. (1969), Local Government and Strategic Choice , Pergamon Press, Oxford; Friend J.and Hickling A. (1997), Planning under Pressure: The Strategic Choice Approach, Butterworth-Heinemann, Oxford.

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Strategic Choice non perviene alla redazione di un piano inteso come rigido sistema diprescrizioni, ma identifica le azioni e i progetti da realizzare nelle successive fasi di unprocesso di tipo incrementale e continuo.Strategic Choice é uno strumento d’aiuto alle decisioni operative la cui efficacia consisteprincipalmente nella capacità di agevolare le scelte, di adattarsi alle trasformazioni della situazionedecisionale e di gestire sistematicamente l’incertezza che é intrinseca a ogni processo di decisione.Il concetto di progresso incrementale é implicito nella natura stessa dei prodotti di StrategicChoice. Il prodotto più importante é il pacchetto di impegni (o progress) dove sono elencate leazioni che gli attori s’impegnano ad attuare subito, le indagini che bisogna intraprendere per ridurrele aree di incertezza emerse, le decisioni che occorre differire nel tempo e le azioni contingenti daattuare in sostituzione di quelle stabilite, qualora dovessero sorgere difficoltà non previste.

Nella proposta di riforma dell’INU (ma anche nella cultura urbanistica ancora oggi dominante) lapianificazione dovrebbe ottemperare a principi di gerarchizzazione scalare e di consequenzialitàtemporale: prima si elaborano i piani alla scala nazionale, regionale e provinciale, dopo si procedea pianificare a scala comunale; prima si costruisce uno schema di piano al quale è demandatol’aspetto strategico e cooperativo/negoziale, dopo si passa a definire nel suo ambito tutti gli aspettioperativi e regolativi. L’auspicato superamento della logica di conformità a favore del principio disussidiarietà (“ogni livello consulta tutti gli altri ed è a sua volta oggetto di osservazioni e pareri daparte di essi, ma è lui solo responsabile di tutti gli oggetti e gli aspetti dei problemi del territoriodominabili a quel livello”, cfr. Barbieri, op. cit., p.13) non contraddice nella sostanza questiprincipi, ma attenua soltanto la rigidità dell’approccio gerarchico.Ma il processo che caratterizza la pianificazione strategica è un processo incrementale che èdel tutto incompatibile con ogni rigida forma di gerarchizzazione scalare e diconsequenzialità temporale24.La dimensione strategica del piano non è infatti legata a una questione di scala, bensì di ‘scelta’(strategic choice). Ad esempio, una scelta di piano che riguarda una parte anche molto piccola diterritorio può assumere in qualunque momento una valenza strategica se interferisce o s’intrecciacon molte altre scelte importanti che riguardano l’intera città o un’area territoriale, anche moltovasta. Pertanto non ha senso considerare automaticamente‘strategiche’ le scelte operate alle scalepiù alte, e ‘operative’ quelle che si riferiscono alle scale inferiori. La tradizionale articolazionescalare della pianificazione, che procede dai livelli superiori a quelli inferiori, deve pertantoconsiderarsi come un mezzo che può semplificare e rendere più governabile il processo di piano,ma che non serve affatto a distinguere tra scelte strategiche e operative.La governabilità del processo può conseguirsi con altri mezzi. Strategic Choice, ad esempio, nonopera a priori un’articolazione scalare né tanto meno settoriale dei problemi, ma identificagruppi di aree di decisione fortemente interconnesse (perché non sarebbe possibile trattarle intempi diversi, perché le opzioni che le riguardano sono potenzialmente incompatibili osinergiche, …) che possono essere isolate e ‘risolte’ separatamente, almeno in prima istanza.All’interno di questi gruppi, denominati fuochi, le aree di decisione possono riguardare scaleterritoriali e/o settori d’intervento differenti. Naturalmente può succedere che alcuni ‘fuochi’contengano al loro interno aree di decisione che riguardano tutte lo stesso settore e/o la stessa scala:ma anche in questo caso l’articolazione del problema complessivo di pianificazione deriverebbedalle caratteristiche del contesto e non da un insieme di scelte arbitrarie di gerarchizzazionespaziale e di articolazione settoriale fatte a priori.I pacchetti di azioni che vengono definiti nell’ambito di Strategic Choice contemplano decisionioperative che sono sempre perfettamente congruenti tra loro e con le determinazioni degli attori. Ilcoordinamento scalare e temporale delle azioni non è infatti affidato a un’improbabile procedura di

24 Cfr. Friend J. and Hickling A. (1997), op. cit.

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consultazione da attivare tra i diversi livelli di pianificazione (leggi sussidiarietà), ma é una direttaconseguenza del carattere incrementale dell’approccio.In linea di principio l’approccio in questione potrebbe essere utilizzato per mettere in atto unaforma di copianificazione tra soggetti che appartengono ad amministrazioni, dipartimenti, agenzie,organizzazioni ecc. che operano alla diverse scale territoriali e in settori differenti. Il compito diquesti soggetti sarebbe allora quello di identificare le aree di decisione, articolarle in ‘fuochi’ eorganizzare per ogni ‘fuoco’ un gruppo di lavoro che opera in relativa autonomia, ma non in modoisolato, ai fini di individuare sia le norme di piano sia i progetti da realizzare.

4. Partecipazione e Strategic Choice: problemi e limiti

L’analisi precedente (cfr. § 3.) ha messo in evidenza i limiti del paradigma e delle proceduredominanti nell’attuale panorama urbanistico unitamente ai meriti di Strategic Choice. Ma anchequesto approccio, nella sua versione canonica, non è del tutto soddisfacente: per poterlo utilizzare inun processo di pianificazione e progettazione reale occorre modificarlo e integrarlo con altreprocedure.

4.1 Rigidità delle norme e dinamicità delle scelte strategicheNella proposta INU il processo di piano si articola nella fase cooperativa e negoziale (progettopreliminare, schema di piano o documento programmatico), nel cui ambito sono definite (anche) lescelte ‘strategiche’; e nella fase operativa e regolamentativa (cfr. § 3), che prevede la redazione didue documenti: il primo contiene le “proposte di trasformazioni urbane”, il secondo norma “gli usidel suolo di interesse collettivo” e “i diritti d’uso del suolo esistenti”25.Questo secondo documento contiene le norme che dovrebbero garantire la fattibilità delletrasformazioni urbane necessarie per realizzare le scelte strategiche: di fatto essegarantiscono soltanto la certezza del diritto e migliorano l’efficienza del mercato26 nelcontesto territoriale. Per questa ragione le norme sono tendenzialmente statiche e rigide.Ma la staticità e la rigidità delle norme contrasta con la flessibilità delle scelte strategiche che, in unprocesso di pianificazione continuo e incrementale, devono adattarsi alle situazioni che via via sipresentano nel contesto fisico, economico e decisionale27. L’attuale crisi del Piano Regolatore,evidenziata dalla pletora di nuovi piani e procedure (i cosiddetti programmi complessi) edall’introduzione di meccanismi di tipo perequativo/compensativo, non dipende solo della perennecarenza di risorse finanziare che impedisce alle amministrazioni locali di espropriare le aree perperseguire determinati obiettivi, ma anche e soprattutto dalla difficoltà di risolvere il conflittoche esiste tra rigidità delle norme e flessibilità delle scelte strategiche.

25 La proposta di riforma Lupi, che recepisce in buona parte la proposta INU, recita al comma 5 dell’art. 4: “Il piano èarticolato in un documento programmatico delle scelte strutturali e strategiche, e in un documento regolatore degli usidel suolo di interesse collettivo e dei diritti d’uso del suolo esistenti e in proposte di trasformazioni urbane attuative deldocumento programmatico”.26 Un mercato efficiente è caratterizzato dall’assenza di esternalità che avvantaggiano (o svantaggiano) soggetti ocategorie particolari; esclude l’esistenza di monopoli e di oligopoli, che concentrano il potere economico nelle mani diuno o di pochi; ecc.27 A causa della loro staticità e rigidità, le norme non sono in grado di garantire le trasformazioni urbane che sononecessarie per realizzare le scelte strategiche programmate. Come sappiamo, una scelta strategica può essere perseguitaed attuata con successo solo attraverso un processo di piano continuo e incrementale, dove svolgono un ruoloimportante le pratiche partecipative (cfr. § 3. e Appendice A). In un piano tradizionale (statico), le norme assumonoun’importanza maggiore quando sono inique o quando vengono violate. Lo sanno bene le associazioni e i comitati checercano di contrastare quei ‘poteri forti’ che, per massimizzare la rendita fondiaria (e dunque i loro profitti), sono solitinegoziare direttamente con le autorità pubbliche i contenuti delle norme di piano senza tener conto delle legittimeesigenze degli abitanti. Una volta approvate, queste norme possono avere effetti devastanti sull’ambiente naturale esugli spazi urbani.

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Strategic Choice non fornisce peraltro indicazioni su come conciliare il carattere dinamico dellescelte strategiche con la rigidità delle norme urbanistiche. Una soluzione potrebbe consisterenell’allineare il grado di variabilità e di flessibilità delle norme a quello delle scelte strategiche,utilizzando con maggiore frequenza e in modo sempre più efficace meccanismi di tipoperequativo/compensativo. Tutti questi meccanismi dovrebbero però essere assoggettati a un severocontrollo sociale per impedire che diventino strumenti di speculazione fondiaria e, di conseguenza,causa d’impatto ambientale e sociale.

4.2 Il rischio della tecnocraziaL’approccio Strategic Choice necessita di essere rafforzato nel suo carattere sociocratico (cfr.Appendice A, §A4): infatti, il rischio che esso possa essere piegato a logiche tecnocratiche è alto.E’ opinione diffusa che solo un numero ristretto di attori esperti possa gestire le scelte di livellostrategico: un processo partecipativo ‘allargato’ rischierebbe infatti di essere inefficiente poichéritarderebbe la presa di decisione e l’attuazione. A questa opinione se ne può tuttavia contrapporreun'altra: la pretesa di affidare la pianificazione strategica a poche persone o a una strutturacentrale appare chiaramente inattuabile o quantomeno inefficace, poiché non esiste unsoggetto che sia in grado di assumere un punto di vista “esterno e onnisciente”, che sia capacedi legare direttamente “un sapere puro e neutrale e una decisione in grado di rappresentaregli interessi della collettività”28. La convinzione che le decisioni prese a livello centrale secondouna logica top-down siano più efficienti contrasta poi con quanto avviene nelle situazioni reali, dovele scelte effettuate senza la partecipazione degli abitanti finiscono quasi sempre per esserecontestate e dare origine a contenziosi che tendono a durare un tempo infinito.Tuttavia non si può pensare di mettere in atto un processo di pianificazione strategica ‘dal basso’ alquale partecipino in prima persona tutti gli abitanti di un quartiere, di una città o di un’interaregione.Strategic Choice, nella sua versione canonica, prevede un numero di attori che partecipano allesessioni di lavoro che, di norma, è compreso tra 6 e 12 (cfr. Appendice B, §B2). Il passaggio da unnumero molto grande a una decina di attori soltanto richiede allora delle regole che consentano diridurre drasticamente il numero dei partecipanti senza che venga meno il controllo collettivo di ciòche viene deciso.

4.3 Le scelte che riguardano le trasformazioni dello spazio fisicoL’approccio Strategic Choice non è specificamente orientato alla gestione dei processi ditrasformazione degli spazi fisici della città e del territorio. Per definire gli interventi che liriguardano occorre pertanto utilizzare delle procedure che consentano di definire opzioni valide ecoerenti anche sotto il profilo formale e funzionale.Una procedura di questo tipo è A Pattern Language (cfr. 5.3), una ‘lingua’ che aiuta progettisti edabitanti a scegliere le opzioni progettuali secondo principi atti a garantire la qualità e la coerenzadegli spazi che saranno realizzati. Questa procedura è perfettamente integrabile a Strategic Choicepoiché ne condivide la natura continua e incrementale.

L’approccio ‘ideale’ descritto nei §§ 5 e 6 tiene conto delle critiche e proposte d’integrazione di cuisopra.Tale approccio, che è già stato sperimentato in ambito didattico (e, per alcune parti, anche incontesti reali), assume l’ascolto degli abitanti del territorio come requisito irrinunciabile.Diversamente dall'udire — che coincide con un'azione più passiva, di ricezione di un messaggiounidirezionale — l'ascoltare coinvolge attori che insieme parlano e ascoltano. Ascoltare è dunqueun'attività intrinsecamente politica e tecnica allo stesso tempo; significa porre questioni sulla realtà,mettere in discussione le apparenze, andare alla radice delle cose così come si presentano

28 Governa F., Il milieu urbano. L’identità territoriale nei processi di sviluppo, Franco Angeli, Milano, 1997, p. 75.

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all'evidenza. In questa ottica è importante che i tecnici sappiano gestire con abilità e competenza ilprocesso di pianificazione/progettazione facilitando l'interazione di tutti coloro che vi partecipano aprescindere dalla loro età, sesso, etnia, cultura e stile di vita.Per svolgere il ruolo di facilitatore il tecnico (urbanista, progettista, ...) dovrà avvalersi di specificimetodi che consentano di attivare nuove forme di comunicazione intersoggettiva e di contrastarequei meccanismi di esclusione che vengono messi in atto sistematicamente nei confronti dellecategorie più deboli e degli interessi scarsamente rappresentati.E' opportuno osservare che gli abitanti sono spesso portatori di esiti ovvi e soluzioni ‘naturali’ —nel senso di scontate, già date nel mercato culturale dominante e indotte nell'opinione corrente dallediverse forme di potere culturale — e non hanno quasi mai l'esperienza e le conoscenze tecnichenecessarie per elaborare e realizzare una proposta di piano o progettuale in modo autonomo eoriginale. Ignorare questi problemi o fare finta che non esistono non giova alla partecipazione néalla qualità dei progetti che vengono prodotti nel suo ambito.Un processo di partecipazione partecipata, per essere efficace, deve dunque prevedere un'attivitàparallela di informazione e di ‘educazione’ finalizzata a perseguire una maggiore simmetria traesperto ed abitante: in altri termini, deve prevedere un'attività maieutica, da intendersi comeprocesso pedagogico finalizzato a sollecitare un'autonoma capacità critica e creativa (cfr. §1.)L'esperto, nell'attività di ascolto, deve saper distinguere tra esigenze reali degli abitanti (anchequando sono male espresse) e proposte dettate da interessi particolari o che risultano del tuttoscontate, nel senso già detto: ma è anche importante che non trascuri né interpreti in modo distortoqueste esigenze.

5. Le tre procedure dell’approccio ‘ideale’

La realizzazione di uno strumento di piano concreto che si basi sul nuovo paradigma del planning epersegua gli obiettivi illustrati in §1 potrà giovarsi del seguente approccio ‘ideale’ che si fonda sutre procedure diverse collegate in modo ciclico: Visioning, Strategic Choice e A PatternLanguage.

5.1 VisioningTutti i soggetti interessati — amministrazioni locali, enti pubblici, imprenditori, sindacati,associazioni di categoria, comitati di quartiere, associazioni culturali, gruppi ambientalisti,minoranze etniche, ecc — sono invitati a partecipare a un workshop per costruire uno scenariofuturo partecipativo.La costruzione di questo scenario differisce da quella di uno scenario esperto, dove più scarsa èl'attenzione nei confronti della processualità, della gestione dell'incertezza, della dimensionepolitica. "Il fine dello scenario non è quello di fornire delle predizioni accurate. La conoscenzaessenziale, nel caso degli scenari partecipativi, è elaborata con l'aiuto di metodi intuitivi, progettatiper esplorare le conseguenze di specifiche decisioni e azioni al fine di metter in grado la comunitàdi muovere verso un futuro preferibile" (A. Khakee).Il numero dei partecipanti e la durata del workshop variano generalmente in funzionedell’estensione e della complessità dell’ambito urbano o territoriale considerato.I partecipanti sono divisi in gruppi di lavoro di 6-10 unità. Ogni gruppo, guidato da un facilitatore, èsollecitato a produrre uno scenario riferito a uno specifico orizzonte temporale (generalmente 20 o30 anni). Una scenario non è altro che la prefigurazione di alcune trasformazioni (anche radicali)del contesto ambientale, urbano, economico, socio-culturale ecc che i membri del gruppo di lavorovorrebbero vedere realizzate. Il risultato di questa attività collettiva è espressa sotto forma di‘racconto’, un documento non tecnico che gli abitanti redigono con l’aiuto del facilitatore.Ogni gruppo sceglie quindi il suo portavoce, che illustra lo scenario prodotto dal gruppo ai membridegli altri gruppi. Ai portavoce viene quindi affidato il compito di costruire lo scenario futuro,

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ovverosia una sintesi quanto più possibile coerente e completa delle diverse ‘visioni’, senza forzarei suoi contenuti anche quando le ‘visioni’ che esso contiene sono conflittuali (di fatto nello scenariopossono essere prefigurate diverse alternative). Lo scenario è infine sottoposto all’approvazionedell’assemblea dei partecipanti al workshop, che ha facoltà di emendarlo in alcune parti.Lo scenario prodotto nell’ambito della procedura di Visioning è utile non in quanto prefigurazionedi un assetto futuro (che difficilmente potrebbe essere realizzato nella sua totalità), bensì comestrumento che consente di individuare e scegliere le azioni di piano e i progetti che sono oggipiù idonei a perseguirlo. L’oggetto della pianificazione non è infatti la prefigurazione dell’assettofuturo di una città o di un territorio, bensì l’insieme delle decisioni operative che contribuiscono amodificarlo (cfr. §3.). Tale assetto va considerato dunque come il risultato finale di un processoincrementale complesso i cui esiti non sono determinabili a priori (“né gli abitanti né i decisoripolitici sono in grado di vedere le reali implicazioni di un piano”, C. Alexander)

5.2 Strategic Choice

(vedi Appendice B)

5.3 A Pattern LanguageQuesta procedura è stata concepita e messa a punto da Christopher Alexander e dai suoicollaboratori (cfr. C. Alexander, S. Ishikawa and M. Silverstein, A Pattern Language, Town,Building and Construction, Oxford University Press, 1977; C. Alexander, S. Ishikawa and M.Silverstein, The Timeless Way of Building, Oxford University Press, 1979).La sua interattività consiste sostanzialmente nell’affidare agli utenti tutte le decisioni riguardo acosa e come costruire. I tecnici svolgono il ruolo di maieuti che aiutano gli utenti a scegliere ipattern e a adoperare le regole del linguaggio29. La loro partecipazione al processo è fondamentaleanche nelle fasi esecutive e realizzative dei progetti, quando diventano importanti le conoscenzespecialistiche di cui essi sono i detentori.Con l’aiuto di A Pattern Language è possibile attuare un processo di crescita per parti della città edel territorio attraverso la selezione e l’aggregazione di specifici pattern, cioè di soluzioniprogettuali esemplari (archetipe). Alexander ha elaborato 253 pattern, suddivisi in tre categorie: (i)pattern atti a definire gli spazi e le funzioni di un’intera città o comunità; (ii) pattern che aiutano adare forma ai singoli edifici e agli spazi tra gli edifici; (iii) pattern che riguardano la costruzionefisica degli edifici e delle loro parti.Ogni pattern ha un titolo e un numero d’ordine (ad esempio, RETE DI PERCORSI EDAUTOMOBILI, 52). Il ‘formato’ dei pattern è il seguente:-un’immagine fotografica, che mostra un esempio già realizzato del pattern;-uno scritto introduttivo, che colloca il pattern nel suo contesto e spiega come utilizzarlo percompletare i pattern di scala superiore ad esso collegati;-un titolo che spiega in poche frasi il problema, seguito da una descrizione dettagliata del problemastesso che illustra la base empirica del pattern, ne dimostra la validità, elenca una gamma di modidifferenti in cui esso può manifestarsi nel contesto ecc;-una breve descrizione della soluzione — il ‘nucleo’ (core) del pattern — che illustra il campo dellerelazioni fisiche e sociali che occorre prendere in considerazione per risolvere il problema;-un diagramma che mostra la soluzione sotto forma di schema, con scritte che ne identificano lecomponenti principali;-un paragrafo finale che elenca i pattern di scala inferiori che sono collegati al pattern e locompletano.

29 Più che di linguaggio, inteso come stile, bisognerebbe parlare di ‘lingua’, intesa come strumento (vocabolario,grammatica e sintassi) atto a consentire e rendere efficace il colloquio che si svolge tra i tecnici e gli abitanti in ogniprocesso partecipativo.

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Ogni pattern completa quelli di scala superiore ed è a sua volta completato da quelli di scalainferiore, in modo da realizzare ambiti urbani e territoriali coerenti a ogni scala e in ogni fase delprocesso di crescita.Per collegare i pattern (cioè per utilizzarli come elementi del linguaggio) occorre procedere nelmodo seguente:-scegliere tra i 253 pattern di Alexander quello più rilevante per il problema progettuale considerato(pattern principale o iniziale);-esaminare i pattern elencati all’inizio e alla fine del testo che illustra il pattern principale eselezionare quelli che sembrano più importanti in rapporto al contesto;-esaminare i pattern elencati all’inizio e alla fine del testo che illustra i pattern di cui sopra, eaggiungere all’elenco dei pattern già individuati quelli più appropriati, con particolare riferimento aquelli di scala inferiore;-qualora i pattern esistenti non fossero sufficienti per risolvere compiutamente il problemaprogettuale, adattare opportunamente i pattern esistenti e/o crearne di nuovi.Questa procedura consente di creare specifici repertori di pattern e di regole atti a collegarli, chefacilitano i progettisti e la comunità ad elaborare e realizzare i loro progetti secondo una logica ditipo incrementale.Occorre sottolineare che l’elenco dei pattern identificati da Alexander non va utilizzato come unsemplice catalogo di ‘moduli’ o esempi da assemblare: di fatto molti pattern non identificanooggetti (elementi costruiti, spazi aperti ecc.), ma interfacce atte a stabilirne le connessioni (bordi,collegamenti fisici, regioni di transizione ecc). E’ grazie principalmente a queste connessioni che sirealizza la coerenza dei contesti urbani e territoriali.In A Pattern Language i progettisti che operano nell'ambito della procedura sono invitati a farsicarico di un lavoro finalizzato a spiegare agli abitanti sia il significato di pattern, sia le regole dellinguaggio. I progettisti devono anche invitare gli abitanti a scegliere i pattern da utilizzare pertrasformare uno specifico contesto. Questo lavoro non è importante soltanto per gli esiti delprocesso, ma perché trasferisce alla società locale — sia pure in tempi che non potranno esserecertamente brevi — la capacità di gestire gli spazi urbani e l'organismo architettonico anche intermini di coerenza formale e funzionale.

6. L’integrazione delle tre procedure

Per completare la descrizione dell’approccio ‘ideale’ occorre definire le strutture organizzative e ipassi operativi che consentono di mettere in relazione logico-temporale le tre procedure (cfr. §5.): inaltri termini, è necessario identificare i soggetti che dovranno metterla in atto e i ruoli che avrannole procedure componenti nelle diverse fasi del processo.Come si è detto, il processo di pianificazione/progettazione che utilizza le procedure di Visioning,Strategic Choice e A Pattern Language non è sequenziale ma ciclico.Un processo ciclico favorisce l’individuazione e la comprensione dei problemi: anche se definitiall’inizio in modo schematico, i problemi possono essere approfonditi con l’introduzione gradualedi elementi di complessità.Le caratteristiche principali di un processo ciclico sono:• il processo non inizia necessariamente con un’attività prestabilita;• il passaggio da un’attività ad un’altra può avvenire anche quando l’attività in corso di

svolgimento non è stata ancora completata;• per approfondire un problema o una soluzione è sempre possibile ripercorrere il processo, tutto

o in parte.Ad esempio, il processo non deve iniziare necessariamente dal Visioning: le aree di decisione e leopzioni che riguardano i processi di pianificazione e di progettazione in corso (cioè già presenti nel

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contesto) possono essere identificate e definite ancora prima di procedere alla costruzione delloscenario futuro.La costruzione dello scenario può essere temporaneamente sospesa per scegliere alcuni pattern chepossono aiutare gli attori a definire meglio lo scenario stesso.L’individuazione dei pattern più idonei a ‘tradurre’ una specifica opzione progettuale in termini dipattern può mettere in evidenza alcune aree d’incertezza che in precedenza non erano emerse: diconseguenza potrebbe essere opportuno interrompere l’attività d’individuazione dei pattern eprocedere ad identificare le opzioni esplorative più efficaci che consentono di eliminare taliincertezze…La natura ciclica del metodo consente dunque agli attori di operare in modo più libero, senza doverseguire un rigido schema imposto a priori: ciò rende di fatto più naturale e meno complicata lagestione del processo che sul metodo si basa.

La definizione dell’approccio richiederà un ulteriore lavoro e nuove sperimentazioni. In quantosegue ho cercato di individuare le strutture organizzative responsabili della sua gestione e i passioperativi da compiere. Questi passi prefigurano in modo ancora informale e tutto da verificare unpossibile regolamento della partecipazione.Per alcuni aspetti, l’approccio si ispira al bilancio partecipativo di Porto Alegre, cioè a quellaprocedura che consente alla popolazione della città brasiliana di partecipare direttamente alledecisioni che riguardano la suddivisione e l’utilizzo delle risorse finanziarie di cui disponeannualmente l’amministrazione locale (cfr. Appendice C).La procedura sottintende la separazione tra le due diverse forme di rappresentanza: quella ufficiale,eletta secondo le norme previste dall’attuale ordinamento (democrazia rappresentativa) e quellaeletta direttamente dai cittadini nel corso di apposite assemblee popolari (democrazia diretta).Per indire queste assemblee occorre innanzitutto suddividere il territorio comunale in settori urbani.In primo luogo occorrerà procedere ad identificare una suddivisione ottimale del territorio(Municipi?, quartieri?, ‘microcittà’?, ….). La dimensione di ogni settore urbano non potrà esserecomunque né troppo grande né troppo piccola. Nel primo caso gli abitanti sarebbero costretti adesprimersi in merito a parti del territorio che non conoscono direttamente perché troppo distanti dailuoghi in cui abitano o svolgono un’attività lavorativa. Nel secondo, il lavoro di raccordo tra lescelte effettuate in ciascun settore sarebbe troppo complesso ed oneroso.

In ogni settore viene istituita un’Assemblea, della quale fanno parte tutte le persone che hannointeresse a contribuire al miglioramento della qualità dei propri spazi i vita nel settore considerato:non solo dunque i residenti con diritto di cittadinanza, ma anche tutti coloro che di fatto vivono olavorano sul suo territorio (rom, extra-comunitari, ecc.), anche se solo a titolo temporaneo.

Nell’ambito dell’Assemblea gli abitanti elaborano gli indirizzi politici30 ai quali dovrà ispirarsi ilprocesso di pianificazione e progettazione del settore urbano. L’Assemblea è sovrana e le suedecisioni vengono prese a maggioranza. L’eventuale scioglimento dell’Assemblea può esseredeciso soltanto dai suoi membriL’Assemblea si articola in Gruppi di Lavoro (vedi oltre) e ratifica la nomina dei membri delGruppo Operativo di Coordinamento (vedi oltre) proposti dai Gruppi di Lavoro.L’Assemblea può revocare in ogni momento i membri chiamati a far parte del Gruppo Operativodi Coordinamento e chiedere ai Gruppi di Lavoro di proporne di nuovi.

30 Attualmente non è possibile prevedere come si rapporteranno tra loro le due forme della rappresentanza che avrannoil compito di determinare e gestire le politiche urbane e le scelte di piano (democrazia rappresentativa e democraziadiretta). Sarebbe tuttavia assai poco realistico pensare di esautorare fin d’ora ogni forma di democrazia rappresentativa:come è avvenuto a Porto Alegre, sarà pertanto necessario normare i passi della procedura che consentiranno di trasferirecon buoni margini di certezza le decisioni prese dalle Assemblee agli organismi deliberanti.

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Il Gruppo Operativo di Coordinamento, una volta eletto, convoca con cadenza mensilel’Assemblea e ne coordina lo svolgimento dei lavori. L’Assemblea può anche riunirsi in sessionestraordinaria su richiesta del Gruppo Operativo di Coordinamento stesso o di almeno 1/3 dei suoimembri.Ogni abitante che partecipa all’Assemblea aderisce a un Gruppo di Lavoro. I membri di ognigruppo partecipano alla discussione che si svolge nel suo ambito e contribuiscono formularne leproposte. Ogni componente dell’Assemblea può decidere in ogni momento di aderire a unospecifico Gruppo di Lavoro o di spostarsi a un gruppo diverso da quello al quale avevainizialmente aderito.Ogni Gruppo di Lavoro approfondisce una specifica tematica e formula nel suo ambito anchealcune proposte che saranno elaborate, valutate e selezionate dal Gruppo Operativo diCoordinamento, che dovrà tener conto delle proposte avanzate da tutti i gruppi. L’Assemblea puòsciogliere i Gruppi di Lavoro che hanno esaurito il loro mandato e crearne di nuovi che avranno ilcompito di formulare proposte che si riferiscono ad altre tematiche e a problemi emergenti.Il numero totale di Gruppi di Lavoro non è stabilito a priori. L’Assemblea ha diritto di scegliere ilnumero dei Gruppi di Lavoro e i temi dei quali essi dovranno occuparsi.Ogni Gruppo di Lavoro propone all’Assemblea i nomi dei 3 coordinatori (e di altrettantisupplenti) che avranno anche il compito di stendere i verbali delle sedute del gruppo e che farannoparte del Gruppo Operativo di Coordinamento. La proposta, per diventare operativa, deve essereratificata dall’Assemblea. Uno dei 3 coordinatori che lo rappresentano nel Gruppo Operativo diCoordinamento viene invitato dal Gruppo di Lavoro a far parte dell’Unità di Comunicazione,che ha il compito di riportare in Assemblea lo stato di avanzamento dei lavori del GruppoOperativo di Coordinamento di cui è parte. L’Unità di Comunicazione ha anche il compito didivulgare nel settore al maggior numero di persone possibile lo stato d’avanzamento dei lavorianche nel periodo che intercorre tra la convocazione di due Assemblee consecutive, servendosi ditutti i mezzi di comunicazione a sua disposizione: contatti diretti, comunicati stampa, volantini, e-mail, ecc.

Ogni Gruppo di Lavoro sceglie i criteri e i metodi con i quali intende operare e formulare le sueproposte. Può articolarsi in sottogruppi per affrontare argomenti specifici e risolvere problemiorganizzativi, e svolge la sua attività negli intervalli che intercorrono tra due sedute consecutivedell’Assemblea. Ogni gruppo decide autonomamente la frequenza, la durata e i luoghi degliincontri, tenendo conto delle esigenze dei suoi membri e della complessità dei compiti che devesvolgere.

Il Gruppo Operativo di Coordinamento è costituito dai coordinatori scelti da ogni Gruppo diLavoro. Se n è il numero di Gruppi di Lavoro, il Gruppo Operativo di Coordinamento saràdunque costituito da 3n membri (e da altrettanti supplenti). La scelta dei membri del GruppoOperativo di Coordinamento e dei loro supplenti é fatta in base ai criteri seguenti: impegno asvolgere il lavoro all’interno del gruppo, conoscenza del contesto sociale e territoriale del settore;padronanza della procedura che il gruppo stesso vorrà adottare. L’Assemblea può destituire in ognimomento i coordinatori per motivi d’inefficienza o di contrasto con gli indirizzi espressidall’Assemblea stessa. I coordinatori decadono automaticamente quando viene sciolto il Gruppo diLavoro di cui fanno parte e dal quale sono stati proposti.Il Gruppo Operativo di Coordinamento accoglie le proposte avanzate dai Gruppi di Lavoro inrelazione alle diverse problematiche emerse, identifica le incertezze che ne rendono difficile oimpossibile la realizzazione, avvia le azioni finalizzate a ridurre o eliminare tali incertezze,individua i criteri più idonei a valutare e confrontare le eventuali soluzioni alternative, ordina lesoluzioni stesse in termini di priorità, identifica le possibili fonti di finanziamento necessarie perrealizzarle e le voci che a questo fine occorre modificare o introdurre ex-novo nella formazione delbilancio del Comune. I risultati del suo lavoro vengono illustrati periodicamente all’Assemblea dai

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membri che fanno parte dell’Unità di Comunicazione. I risultati del lavoro svolto dal GruppoOperativo di Coordinamento sono sottoposti all’approvazione dell’Assemblea, che decide seapprovarli, respingerli o chiedere al gruppo stesso di svolgere un lavoro supplementare permigliorarli e/o adeguarli maggiormente agli indirizzi espressi.Il Gruppo Operativo di Coordinamento svolge le sue funzioni dopo aver adottato uno specificometodo di lavoro. Dopo aver assegnato ruoli specifici ad alcuni suoi membri (capogruppo,segretario, ecc.), il gruppo indice una serie di sessioni di lavoro interattive. Ad alcune sessionipossono essere invitati a partecipare in via temporanea alcuni soggetti esterni al gruppo in grado diportare un contributo conoscitivo utile ai fini dello svolgimento delle attività del gruppo stesso:assessori e consiglieri del Municipio e del Comune; funzionari e tecnici delle altre amministrazionilocali e di enti pubblici; membri di associazioni e comitati; docenti e ricercatori dell’Università;imprese, sindacati ecc che non siano già rappresentati nel gruppo stesso.Le sessioni interattive si svolgono con cadenza settimanale e sono indette dal segretario delGruppo Operativo di Coordinamento. Si svolgeranno preferibilmente in una sede fissa al fine digarantire la conservazione degli elaborati prodotti progressivamente dal gruppo stesso.

Come si rapporta questa struttura organizzativa/operativa all’approccio ‘ideale’ di cui sono già stateindividuate le procedure componenti (cfr. §5.)? In prima approssimazione si può affermare che laprocedura di Visioning dovrebbe essere utilizzata soprattutto, ma non in modo esclusivo, daiGruppi di Lavoro, che avrebbero il compito di costruire gli scenari futuri per il settore urbanoconsiderato. Questi scenari, che possono anche essere conflittuali (perché i gruppi sono più di uno,perché i valori e gli interessi dei membri di ogni gruppo possono essere diversi, ecc.) vengonoutilizzati dal Gruppo Operativo di Coordinamento per ricavare le aree di decisione, le opzioni e,in generale, tutte le altre informazioni necessarie per procedere, con l’aiuto di Strategic Choice, alladefinizione di un progress valido per l’intero settore urbano. I membri del Gruppo Operativo diCoordinamento possono cooptare specifici gruppi di abitanti che, sotto la loro guida e con l’aiutodi A Pattern Language, li aiutino ad individuare le alternative progettuali (opzioni) delle aree didecisione anche in termini spaziali e formali, nel rispetto degli scenari già costruiti.

In questa fase non è possibile prefigurare in termini più precisi i passi della procedura: a questo finesarebbe necessario avviare al più presto una sperimentazione concreta in almeno un settore urbano.Considerando le difficoltà (soprattutto politiche) che ne rendono difficile l’applicazione, saràinizialmente opportuno affrontare un problema di pianificazione/progettazione di portata limitata: ilsuo eventuale successo potrebbe aprire la strada a una sperimentazione più vasta e continuativa.La procedura dovrà essere applicata tutte le volte che se ne presenti l’occasione in modo da favorireuna sia pur lenta ma costante erosione del potere centralistico ed autoreferenziale che caratterizzaquasi senza eccezione le amministrazioni locali.Affinchè la sperimentazione abbia successo sarà peraltro necessaria strappare all'amministrazionecomunale l'impegno preventivo ad approvare le normative, a realizzare i progetti e avviare gli studifinalizzati a ridurre le incertezze (per quanto di sua competenza) che emergeranno nel corso deilavori.

Il problema del coordinamento dei progress individuati nei singoli settori urbani, al fine di definirescelte strategiche alla scala di un intero Municipio o della città non comporta particolari difficoltàsotto il profilo teorico, ma può comportare problemi a livello politico-gestionale, dal momento chel'amministrazione non è abituata a operare con strutture decisionali 'orizzontali', dove le scelte nonnascono secondo le usuali logiche e procedure di tipo top-down.

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Appendice A. Dal survey befor plan alla dottrina del piano di A. Faludi

Vengono analizzati e illustrati sinteticamente i principali concetti e modelli del planning che si sonosucceduti nel secolo scorso.

A1. Il modello di pianificazione razionale

La dottrina del survey before plan (l'indagine prima del piano), fondamento di gran parte della culturaurbanistica dell’inizio del XX secolo, è stata messa in crisi dal paradigma che sta alla base del rationalplanning model (modello di pianificazione razionale) sviluppato negli anni '40 e '50 dalla Scuola di Chicago∗

Il modello s’ispira ad alcuni concetti che già si trovano in alcuni lavori del sociologo Max Weber. Nella suateoria sui tipi d’azione sociale e di legittimazione dell'autorità, Weber introduce i concetti di razionalitàfondata sul valore e razionalità guidata da obiettivi.Al primo tipo di razionalità corrisponde il comportamento sociale di chi fa semplicemente ciò che credegiusto, prescindendo dalle conseguenze delle proprie azioni. Un esempio di comportamento razionalefondato sul valore è quello del credente che agisce in modo conforme ai principi che la sua religionericonosce come moralmente giusti, piuttosto che per raggiungere determinati scopi.La razionalità guidata da obiettivi è alla base di un tipo di comportamento che focalizza l'attenzione sulrapporto mezzi-fini: un'azione razionale guidata da obiettivi è intrapresa perché giudicata idonea a produrredeterminati effetti. Questo comportamento, secondo Weber, non consiste semplicemente nel perseguire inmodo meccanico e acritico alcuni obiettivi che sono dati a priori e che non vengono mai messi indiscussione. Al contrario "una persona agisce razionalmente, nel senso che persegue dei fini con dei mezzi,quando la sua azione è guidata da riflessioni sui fini, sui mezzi e sulle conseguenze secondarie; quando,nell'agire, valuta i mezzi in relazione ai fini, i fini in relazione alle conseguenze secondarie e, infine, i diversifini possibili in relazione tra loro"I comportamenti e le norme sociali che stanno alla base della società contemporanea prescindono sempre piùda una razionalità fondata sul valore. Oggi le politiche di un governo non vengono generalmente giustificatee accettate soltanto in ossequio a un principio morale o religioso, ma in quanto atte a perseguire specificiobiettivi condivisi dalla società (o quantomeno da una parte della società).

Sulla base dell'idea weberiana di razionalità guidata da obiettivi, Herbert A. Simon ha elaborato un modellodi pianificazione in cui la pianificazione viene assimilata a un processo di decisione razionale.Secondo Simon il compito del pianificatore consiste nell'individuare delle azioni di piano alternative atte aperseguire determinati obiettivi e nell'indicare le loro probabili conseguenze.Questo concetto di planning è stato elaborato da Simon nell'ambito della sua teoria delle organizzazioni(Simon 1945) ed è stato ripreso dalla Scuola di Chicago che lo ha adattato ai problemi della pianificazioneurbana e territoriale.

Meyerson e Banfield (1955) introducono una prima forma del modello di pianificazione razionale nellaletteratura del planning. Una versione più approfondita ed evoluta del modello è stata successivamenteelaborata da Davidoff e Reiner (1962).

∗ Questo nome designa le attività didattiche e di ricerca svolte dai docenti e dagli studenti del Program of Educationand Research in Planning attivato dalla Social Science Division dell'Università di Chicago nell'autunno del 1947.

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Scopo principale del modello è l'aumento di efficacia della pianificazione: la razionalità è vista comestrumento per accrescere tale efficacia attraverso il miglioramento della qualità delle decisioni.L'oggetto della pianificazione e il contesto in cui essa ha luogo sono considerati dal modello come elementidi un processo: le preferenze e le conoscenze degli "attori" si modificano nel tempo e l'oggetto stesso dellapianificazione si trasforma.Nella versione di Davidoff e Reiner il modello razionale prescrive una successione di passi atti a garantire larazionalità del processo di pianificazione.

(1) Formulazione di valoriQuesto passo, in netto contrasto con la dottrina del survey before plan, prescrive che siano identificati gliobiettivi del piano prima di procedere ad effettuare le indagini."Anche quando la scelta degli obiettivi è fatta per prima, c'è la tendenza ad ignorarli e a ritornare al territoriofamiliare del survey and analysis. Noi non comprendiamo la logica che induce ad impegnarsi nella ricerca diinformazioni prima che gli obiettivi della ricerca siano stati definiti. Tutta quest’importanza delle indaginideriva dall'errata credenza che la conoscenza dei fatti conduca alla formulazione di obiettivi e a giudizi divalore appropriati. Ma i fatti di per sé non suggeriscono ciò che è bene o ciò che è preferibile" (Davidoff andReiner 1962).(2) Identificazione dei mezziIn questo passo occorre individuare i mezzi atti a soddisfare gli obiettivi attraverso la scelta di azioni di pianoalternative.Il numero di alternative non è fissato a priori, ma può estendersi a tutte le azioni fattibili.Le alternative individuate vengono quindi valutate rispetto a due criteri: (i) la capacità di soddisfare degliobiettivi e (ii) la probabilità di riuscire a soddisfarli. La valutazione ha lo scopo di selezionare l'alternativamigliore (affinché si tratti dell'alternativa migliore è necessario che nell'identificazione delle azioni non nesia trascurata alcuna, poiché tra le azioni trascurate ve ne potrebbe essere una più valida di quellaselezionata).(3) RealizzazioneL'alternativa migliore viene realizzata.Il planner deve esercitare il suo controllo durante tutta la fase attuativa aiutando i decisori e gliamministratori ad identificare i modi più idonei per perseguire gli obiettivi prefissati. Inoltre, per evitare cheil piano fallisca, è necessario monitorarlo.

Il lavoro di Davidoff e Reiner riveste un'importanza fondamentale nella teoria del planning. Occorre tuttavianotare che nel modello proposto- la valutazione comparata delle alternative, nonostante certe affermazioni dei due autori che sembranoinfluenzate dal concetto di "razionalità limitata" di Simon (vedi oltre), si fonda, di fatto, sul concetto diottimizzazione, che verrà poi criticato da molti autori;- il planning è visto come un processo sostanzialmente lineare che non prevede la possibilità di retroazionetra le fasi, ma solo aggiustamenti minori;- l'attenzione è principalmente rivolta alla redazione dell'"elaborato" piano: l’attuazione, secondo il modello,conseguirebbe automaticamente dalla sua corretta applicazione.Ma soprattutto al planner continua ad essere affidato il ruolo di interprete principale dei bisogni della societàsecondo un'ottica che, nella sostanza, non è molto diversa da quella tecnocratica della dottrina del surveybefore plan."Concepire il planning come metodo di decisione razionale significa intendere la formazione delle decisionidi piano come processo intenzionale di un ipotetico “soggetto collettivo”, capace di seguire la via sicuradell'agire razionale anche di fronte a complesse contingenze ambientali. Sappiamo [...] come sia arduointerpretare in modo adeguato un simile schema. Ma quella immagine del planning appare sempre menoconvincente non solo perché la sua applicazione è difficile, o perché una più matura riflessione sociologica ciinduce ora a riconoscere la natura del piano come costruzione sociale.Si deve anche osservare che il formalismo di una teoria puramente procedurale ci allontana dai temi,ineludibili, della ragion pratica dell'urbanistica: i fini, i valori, le responsabilità, le rappresentazioni delmondo che guidano la sua azione; e la ricerca della via più adeguata, non solo nel senso tecnico dellarazionalità strumentale, ma nel senso della saggezza antica che consente di deliberare secondo ragione anche

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in situazioni incerte e problematiche, quando non è sufficiente l'applicazione meccanica di regole stabilite"(Palermo 1992).Nella precedente citazione vengono anticipati alcuni temi che sono affrontati dai più recenti modelli dipianificazione; prima di descriverli in dettaglio crediamo sia opportuno analizzare l'evoluzione del modellorazionale negli anni immediatamente successivi a quelli in cui esso è stato formulato.

A2. Critiche ed estensioni del modello razionale

Il modello di pianificazione razionale, subito dopo la sua formulazione è stato assoggettato a critiche da partedi numerosi autori. Esaminiamo quelle più importanti.Simon (1957) ha criticato il modello principalmente per due aspetti.Il primo riguarda la difficoltà (l'impossibilità?) di prevedere le conseguenze delle alternative e di attribuireun valore a ciascuna di esse, nel momento in cui esse vengono confrontate. Tale difficoltà è sostanzialmenteconnessa a quella di prevedere l'evoluzione di un sistema complesso, come un'area urbana o un'interaregione.Il secondo aspetto riguarda l'impossibilità di generare e di prendere in considerazione tutte le alternativecome vorrebbe il principio di ottimizzazione su cui esso si fonda. Questa impossibilità ha indotto Simon aformulare il principio di razionalità limitata: piuttosto che cercare di generare e di valutare tutte lealternative possibili, è conveniente limitare la ricerca a un'alternativa giudicata accettabile, soddisfacente(satisfacing), anche in considerazione del fatto che ogni scelta non può comportare un tempo di ricercainfinito.Le idee di Simon hanno influenzato l'opera di Lindblom (1959). Questo autore critica il carattere totalizzante(comprehensive) del modello di pianificazione razionale: la complessità dei problemi affrontati e la limitatacapacità dei planner e degli organismi preposti alla gestione delle città e del territorio di coordinarsi e diacquisire le informazioni necessarie impediscono, a suo giudizio, di valutare le alternative in rapporto allatotalità degli obiettivi.Lindblom concepisce la società come un insieme di individui e di gruppi in competizione. La sua teorias’ispira al modello del libero mercato, dove numerose decisioni di portata limitata vengono prese conl'obiettivo di ottimizzare l'utilità individuale. Per Lindblom la pianificazione non è dunque altro che ilrisultato di un processo incrementale di decisioni separate, fatto di confronti a raggio limitato e di mutuiaggiustamenti (teoria dell'incrementalismo disgiunto). Le alternative sono valutate in rapporto alle soleconseguenze che il decisore è in grado di capire e che rientrano nella sua sfera di interesse. Il loro numerodeve essere molto piccolo e la loro portata limitata: un'azione di piano strategica non è capace di incidere sulcontesto e chi la sostiene corre il rischio di ricadere nell'utopia.La teoria di Lindblom è stata criticata da numerosi autori per il suo eccessivo conservatorismo e per la suaincapacità di spiegare alcuni eventi che in passato hanno coinciso con mutamenti improvvisi e radicali (edunque non incrementali) della struttura politica, economica o sociale di un paese (rivoluzioni, new deal,ecc).Secondo la teoria di Etzioni (1968) denominata mixed scanning (esplorazione combinata), il decisore (ilpianificatore) esamina rapidamente il suo campo di azione e identifica la strategia migliore sulla based’informazioni incomplete. Successivamente considera in maggiore dettaglio la strategia individuata e, senecessario, procede a riconfigurarla, anche radicalmente se necessario. La teoria mixed scanning contraddicela visione incrementalista e atomista di Lindblom perchè non esclude la possibilità di pianificare a livellostrategico. Essa intende anche superare i limiti del modello classico di pianificazione razionale in quantoprocesso sequenziale (lineare), poiché introduce il concetto di retroazione tra le differenti fasi e scale delplanning.

Altre importanti critiche al modello razionale sono state sollevate dai fautori dell'advocacy planning edell'approccio sistemico.Per l'advocacy planning sarà sufficiente citare le critiche di Davidoff (1965), che pure era stato uno deiprincipali propugnatori del modello razionale (vedi sopra).Davidoff osserva che il rational planning model assegna al pianificatore un ruolo esclusivamente tecnico.Secondo questo autore il pianificatore dovrebbe invece sforzarsi di asserire e difendere con forza le idee e le

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azioni che considera giuste sotto il profilo sociale e politico. In pratica i planners dovrebbero diventare ipatrocinatori dei diversi gruppi di interesse al fine di stabilire nella città e nel territorio un’effettivademocrazia.L'advocacy planning si colloca agli antipodi della dottrina del survey before plan, in quanto distinguenettamente tra fatti e valori e ridimensiona il ruolo dell'esperto che viene richiamato a un concreto impegnosociale.Secondo Davidoff non è dunque sufficiente che un singolo planner elabori più alternative di piano, ma ènecessario che più piani vengano proposti da differenti attori: le dispute politiche e le negoziazioniconseguenti al confronto di questi piani dovrebbero migliorare drasticamente il livello di razionalità delprocesso di piano.Nell'approccio sistemico alcuni schemi concettuali e modelli della ricerca operativa e della cibernetica sonoutilizzati all'interno di una procedura che si rifà al modello razionale. Alcuni testi chiave di questo approcciosono quelli di Chapin (1957), McLoughlin (1969) e Chadwick (1970). L'approccio considera l'oggetto dellapianificazione come un sistema di parti interrelate che può essere capito e controllato in termini globali. Unruolo fondamentale viene svolto dalla costruzione di modelli quantitativi (quantitative model building) atti arappresentare, analizzare e simulare il comportamento dell'oggetto-sistema in differenti condizioni. L'enfasisugli aspetti quantitativi (a scapito di quelli qualitativi) e sulle tecnologie informatiche suggerisceun'interpretazione ‘regolativa’ dell'approccio sistemico come tecnologia sociale diretta a conseguiretraguardi prestabiliti.I limiti di questo approccio apparvero chiari già durante gli anni 70.Sul piano pratico il suo fallimento fu dovuto all'incapacità dei tecnici di percepire e modellizzarecorrettamente il contesto. In particolare veniva sistematicamente ignorato il problema della gestione dellerisorse, poiché la scala dei modelli utilizzati era di norma sproporzionata alle risorse realmente disponibili.L'approccio, inoltre, non è esente da contraddizioni. Pur riconoscendo l'interdipendenza dei fenomeni, ilpianificatore è spesso costretto ad articolare il sistema studiato in sottosistemi. Ma l'individuazione deiconfini di ogni sottosistema viene generalmente effettuata in modo arbitrario o in base a convenienze evincoli imposti dai limiti dei modelli matematici utilizzati: i punti di vista dei decisori e gli obiettivi delpiano, che pure dovrebbero costituire i riferimenti più importanti per delimitare i sottosistemi, non vengonoquasi mai presi in considerazione."Di fronte alla circolarità, alla concatenazione dialettica dei fenomeni, non immediatamente comprensibili alivello dei dati concreti, la capacità rappresentativa ed esplicativa del modello matematico è generalmenteesigua o addirittura irrilevante: si fonda, inevitabilmente, su relazioni unilaterali di dipendenza, spessoassunte con discutibile arbitrarietà, oppure si limita a codificare rilievi empirici, senza reali ipotesiinterpretative" (Palermo 1976).Più in generale l'approccio sistemico è criticato in quanto;- distoglie l'attenzione dei pianificatori dal considerare il planning come un processo decisionale;- dà eccessivo credito all'idea di planning come attività scientifica. Scienza e pianificazione sono attivitàmolto diverse: mentre la scienza ha il compito di osservare, descrivere e spiegare i fenomeni, il planning halo scopo di migliorare la realtà. Di conseguenza i paradigmi e i metodi utilizzati nell'ambito delle due attivitànon possono coincidere, anche se alcuni modelli e tecniche utilizzati in ambito scientifico possono esserapplicati al planning. Molti pianificatori, funzionari pubblici, ecc. vengono sedotti da quest’idea di planningpoiché sperano che l'approccio sistemico, in quanto "più scientifico" (e dunque più "oggettivo"), possaconsentire loro di capire meglio ciò che è giusto e preferibile prescindendo da giudizi di valore personali.

A3. La scuola IOR ∗

I concetti che sono stati sviluppati da questa scuola possono così sintetizzarsi:(i) il planning non può pretendere di sostituire la normale prassi di presa delle decisioni;(ii) l'attenzione del pianificatore deve rivolgersi più alle decisioni operative che alla redazione dei piani;(iii) nel planning devono essere utilizzate tecniche che consentono di generare azioni di piano alternative inmodo sistematico (vedi oltre);(iv) il pianificatore deve conoscere le tecniche di aiuto alla decisione collettiva e studiare il comportamentodei decisori nel loro habitat tradizionale (uffici, assemblee, ecc.);

∗ Per scuola IOR si intendono le ricerche e i lavori svolti dall'Institute for Operational Research (IOR) di Coventry nellaseconda metà degli anni 60. Il testo chiave è quello di Friend e Jessops (1969).

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(v) il pianificatore deve imparare a riconoscere e valutare i tipi d’incertezza che si riferiscono al contesto, aivalori e alle aree di decisione;(vi) il planning deve essere un processo di scelta strategica (strategic choice), cioè le scelte devonoriguardare i problemi più rilevanti (ovverosia più urgenti e più importanti) e devono consentire la massimaflessibilità alle scelte future.Nella pianificazione, secondo il pensiero della scuola IOR, occorre procedere operativamente come segue.(1) Trovare soluzioni (alternative)La ricerca di soluzioni alternative può essere favorita dall'uso di tecniche innovative come AIDA (Analisysof Interconnected Decision Areas) (Luckmann 1967), sviluppata nall'ambito della scuola IOR e utilizzatanell'esperienza LOGIMP (LOcal Government IMPlementation), un programma di ricerca promosso nel 1970dal CES (Center of Environmental Studies).(2) Esprimere preferenze.Le preferenze consentono di selezionare le alternative, anche se in via provvisoria, in base alla portata e allascala delle loro conseguenze.(3) Mettere in evidenza le incertezze latenti e scegliere alcune ‘azioni esplorative’ dirette a ridurre oeliminare le incertezze individuate.In relazione a quest’aspetto la scuola IOR ha messo a punto specifiche tecniche per valutare le alternative emisurare le incertezze delle valutazioni. Le incertezze sono principalmente dovute alla difficoltà oall'impossibilità di prevedere in quale misura l'evoluzione del contesto può condizionare l'efficacia dellealternative, nonché di conoscere le intenzioni, gli interessi e gli obiettivi dei decisori.(4) Scegliere le azioni da attuare subito in presenza delle incertezze residue non eliminabili.Per scegliere le azioni occorre contemperare l'esigenza di operare con la dovuta urgenza con quella digarantire la massima flessibilità ed efficacia delle scelte future.Un rilievo particolare assumono anche i seguenti obiettivi di ordine organizzativo.(1) Trovare meccanismi di controllo strategico.Ciò significa che occorre coordinare i diversi soggetti e organismi che sono preposti alla pianificazione, alloscopo di generare azioni di piano che non siano contraddittorie.(2) Identificare un'autorità capace di svolgere la funzione di guida e controllo.Il problema è: dove collocare la responsabilità del controllo strategico? Ciò è particolarmente importantequando gli organismi interessati all'attività di pianificazione fanno parte di amministrazioni o ufficidifferenti.(3) Acquisire una quantità d’informazione sufficiente.Questo aspetto rispecchia l'esigenza di sapere quanta informazione è necessario acquisire per conseguire ungrado sufficiente di controllo strategico.(4) Svolgere una funzione di guida democraticaA questo fine occorre favorire la partecipazione di tutti gli interessati in modo da consentire a chi lo desideradi svolgere un ruolo attivo nel processo di piano.(5) Trovare un linguaggio comune.Nei processi di comunicazione occorre adottare un linguaggio atto a facilitare la trasmissionedell'informazione tra attori tecnici (architetti, ingegneri, economisti, ecc.) e attori non tecnici (politici, utenti,ecc.).(6) Motivare le persone che partecipano al processo.La qualità del risultato dipende in buona misura dall'entusiasmo e dalla voglia di fare che sarà statacomunicata a tutti gli attori, compresi coloro che svolgono compiti non creativi.

Nel pensiero della scuola IOR il paradigma del modello razionale viene integrato con l'idea di sceltastrategica in condizioni di incertezza.La pianificazione non è considerata dalla scuola come un modo alternativo o ‘superiore’ di prenderedecisioni, ma come un'attività che, attraverso la conoscenza dei problemi attuali e di quelli che potrebberopresentarsi in futuro, consente di effettuare nell’immediato le scelte migliori. Quest’attività non dovrebbemai pervenire a prescrizioni rigide e tanto meno all'adozione del ‘documento’ piano.Alcuni anni fa è stato pubblicato un libro (Friend and Hickling 1987, ristampato con alcune estensioni nel1997) che illustra in termini operativi l'approccio Strategic Choice — che nei lavori precedenti della scuolanon aveva ancora raggiunto un sufficiente livello di sistematizzazione. Nel libro sono citati numerosi esempid’applicazione dell'approccio stesso a contesti reali.Questo approccio, nella sua versione più recente, è descritto nell’Appendice B.

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A4. Il Decision Centred View of Environmental Planning e la Planning Doctrine di A. Faludi

Le idee di Andreas Faludi (1987, 1994), uno dei maggiori teorici del planning contemporaneo, discendonodirettamente dal paradigma razionale, ma anche e soprattutto da alcuni principi che la scuola IOR avevaelaborato più di trent’anni fa e successivamente approfondito e sperimentato (Friend and Hickling 1987 e1997).Secondo Faludi occorre distinguere tra contesto inteso come realtà fisica e planning in quanto attivitàfinalizzata ad agire sul contesto. Il primo rappresenta l'oggetto ‘materiale’ della pianificazione, mentrel'insieme degli interventi (o meglio, delle decisioni operative che li riguardano) costituisce l'oggetto‘formale’ del planning.Spesso i piani sono concepiti come rappresentazioni (disegni, diagrammi) della forma che dovrà assumere infuturo una parte della città o del territorio.I pianificatori hanno ereditato questa concezione di piano dall'architettura. Chi costruisce edifici è in grado ditrasformare i disegni in oggetti fisici: di solito non occorre che l'architetto si preoccupi più di tanto di ciò cheil direttore dei lavori, il capomastro e i muratori devono fare, perché essi sanno bene come realizzare unedificio in modo conforme al progetto che lui ha disegnato.All'origine dell'equivoco che porta gli urbanisti a concepire i piani come progetti, cioè come rappresentazionidisegnate della realtà futura, c’è probabilmente il fatto che chi progetta non ha motivo di distinguere traoggetto ‘materiale’ e oggetto ‘formale’.Il rapporto tra i ‘produttori di contesti’, cioè tra i diversi soggetti pubblici e privati che concorrono atrasformare un contesto, non è paragonabile a quello che esiste tra chi progetta e chi costruisce un edificio.Questa differenza tende ad essere ignorata da coloro che elaborano i piani come prefigurazioni dello statofinale di un contesto fisico. Questi piani finiscono per essere degli ibridi che cercano di far coesistere lescelte del decisore pubblico con quelle dei privati, senza tener conto della natura dinamica dei processi edella complessità delle situazioni decisionali. Di fatto i tecnici e i politici sperano che selezionando solo gliinterventi che sono conformi alle indicazioni del piano si riesca quantomeno ad approssimare lo stato finaledesiderato.L'approccio tradizionale al planning, definito da Faludi come object-centred view (visione centratasull'oggetto), è vittima di questo equivoco. Faludi ritiene che questo modo di concepire il piano vadasostituito con quello che definisce decision-centred view (visione centrata sulla decisione).Secondo quest’approccio occorre dare un significato alle decisioni considerandole in un contesto di sceltapiù ampio (in termini temporali, di attori, ecc.) di quello tradizionale. Il compito del planner non sarebbedunque quello di redigere piani dai quali far discendere le decisioni, ma di elaborare piani che siano rilevantiper le decisioni attuali e future che costituiscono l'oggetto ‘formale’ della pianificazione. Lo scopo finale delpiano è trasformare l'oggetto ‘materiale’, ma l'attenzione deve essere rivolta in prima istanza all'oggetto‘formale’ (cioè alle decisioni operative) che costituisce il passo intermedio da compiere per raggiungere loscopo.La distinzione tra object-centred view e decision-centred view coincide in gran parte con le due forme dipianificazione che Mastop (1984) ha chiamato technocratic planning (pianificazione tecnocratica) esociocratic planning (pianificazione sociocratica). Tali differenze sono illustrate nella tabella seguente.

LE DUE FORME DELLA PIANIFICAZIONE

pianificazione tecnocratica pianificazione sociocratica

soggetto pianificatoreruolo degli esperti

accentramento delle decisionipiano come prodotto

forma del pianocriterio d’efficacia

‘prospettiva’(scope) dell’approcciotipo di razionalitàtipo di processo

unicofondamentale

forteaspetto fondamentale

disegni esecutivi/normeconformità (conformance)

totalizzanteassolutalineare

multiplouno dei tanti

scarsoaspetto non rilevanteelaborati indicativi

prestazione (performance)selettiva

relativa (al contesto)ciclico

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L'approccio tecnocratico attribuisce un ruolo importante alle amministrazioni che devono salvaguardarel'interesse pubblico. I planner, come pure gli esperti, hanno forte voce in capitolo. Ogni cosa si modifica edevolve grazie il piano. Chi lo redige non ha bisogno di discrezionalità e di spazi di negoziazione. Tutto ègestito e guidato dal piano.L'approccio sociocratico è attento ai punti di vista di tutti gli attori. Le autorità pubbliche non sono i solisoggetti capaci di agire nell'interesse pubblico: comunque non possono agire ignorando tutti gli altri attori.La negoziazione è essenziale per rendere efficaci e coordinare le azioni dei differenti soggetti. Il ruolo delplanner diventa meno importante rispetto a quello che assume nell'approccio tecnocratico. La costruzionedel piano riguarda principalmente la definizione di linee generali di sviluppo. Tutto ciò conduce ad unamaggiore flessibilità, nel senso che il piano può essere sempre riconsiderato e, se necessario, migliorato.I due approcci implicano diverse forme di piano e di valutazione del piano.Il piano-progetto è caratteristico dell'approccio tecnocratico. Gli attori interessati a quest’approcciofocalizzano la loro attenzione soprattutto sul processo che porta all'adozione e all’approvazione del piano.Una volta adottato e approvato, il piano costituirebbe una guida non ambigua per l'azione.Il piano fissa un’immagine del futuro. Il tempo ha un'importanza relativa: è utile soltanto per gestire in modoottimale le fasi di realizzazione degli interventi. La valutazione del piano rispecchia una logica mezzi-finipoiché misura la conformità (conformance) tra risultato finale e trasformazioni prefigurate dal piano. Questavalutazione può essere complessa sotto il profilo tecnico, ma la sua logica è semplice.L'approccio sociocratico è invece caratterizzato dal piano-strategico. Questo tipo di piano implica lanecessità di coordinare molti attori, ognuno dei quali vorrebbe prendere decisioni autonome. Il parametrotempo è cruciale, poiché il processo di coordinamento deve essere continuo e tutti gli attori intendonogeneralmente mantenere aperte le diverse opzioni che consentono loro di attuare le decisioni. Piuttosto cheun prodotto finito, il piano-strategico contiene la registrazione degli accordi tra gli attori, costituisce unquadro di riferimento per le negoziazioni ed ha valore indicativo. Il futuro rimane aperto. Le azioni nonconseguono mai automaticamente dal piano e ogni decisione richiede una specifica giustificazione. Unpiano-strategico deve essere interpretato, proprio come avviene nell'amministrazione della giustizia dove igiudici sono soliti interpretare la legge nei casi in cui il suo rigido rispetto rischia di creare situazionianomale e insostenibili.La logica che sta dietro alla valutazione di questo tipo di piano è più complessa di quella del piano-progetto:il criterio è quello della prestazione (performance). Gli scostamenti dalle indicazioni di piano non segnanonecessariamente il suo fallimento. Ciò che importa è che le decisioni di tutti gli attori siano considerate eanalizzate in profondità. La razionalità di tutto ciò sta nel fatto che tutti i ragionamenti riguardanti il piano ele scelte conseguenti diventano espliciti: una presa di decisione razionale implica infatti la trasparenza dellesituazioni di decisione.

Un altro concetto chiave della teoria di Faludi è quello di dottrina (o teoria) del piano (planning doctrine)Esso riguarda un insieme di elementi chiave o definizioni che si riferiscono (i) all'arrangiamento spaziale diun contesto urbano o territoriale; (ii) al suo sviluppo; (iii) ai modi in cui essi vanno gestiti (vedi tabellaseguente).I principi di organizzazione spaziale sono nozioni interrelate dell'arrangiamento spaziale di un contesto edel suo sviluppo (come Green Belt (Cintura Verde), Green Heart (Cuore Verde) ecc., vedi oltre).I principi di planning riguardano le modalità o le procedure di formazione dei piani, la loro forma, il loroutilizzo e i loro effetti. Nei concetti di piano-progetto e di piano strategico sono impliciti principi di planningdifferenti. Altri esempi sono survey before plan, partecipazione, ecc.I principi di organizzazione spaziale potrebbero sembrare più importanti dei principi di planning. Tuttaviaentrambi questi concetti non avrebbero senso in assenza gli uni degli altri.

LA DOTTRINA DEL PIANO (PLANNING DOCTRINE)

Elementi chiave(definizioni) :

Nozioni durature e interrelate riguardanti:-gli arrangiamenti spaziali-il loro sviluppo-i modi in cui essi vanno gestiti

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Principi di organizzazionespaziale:

Concetti sintetici applicabili a un luogo etempo specifici

(es.: Green Belt, Green Heart)Principi di planning: Nozioni riguardanti

-la modalità di formazione del piano-la sua forma-il suo utilizzo-i suoi effetti

Quando si può parlare di dottrina? Alexander e Faludi (1990) hanno identificato tre condizioni necessarie(ma non sufficienti): (i) l’esistenza di un soggetto che pianifica, (ii) che riconosce ciò che è importantepianificare (iii) e che opera per un tempo sufficiente secondo i principi indicati.Il soggetto coincide generalmente con un'amministrazione locale o un'agenzia che ha il compito dipianificare. Là dove non esiste consapevolezza del problema, nessuna dottrina del piano può emergere. Laterza condizione si riferisce alla durata, poiché la dottrina non può essere transitoria, ma deve guidarel'azione per un tempo sufficientemente lungo.Nel cuore di una dottrina troviamo generalmente una figura sommaria, dove per figura s’intende un precisotermine della retorica. Un tipo frequente di figura è la metafora come ‘le gambe di un tavolo’, ‘il cuore dellamateria’, ‘la bocca di un fiume’, ecc.Una metafora facilita la comprensione e la comunicazione, utilizza le esperienze di uno specifico dominioper strutturarne un altro trasferendo significati e intenzioni. Un esempio è rappresentato dal Green Heartcontenuto nella Ranstadt, cioè all’interno dell'anello costituito dalle più importanti città olandesi(Amsterdam, Rotterdam, Utrecht e The Hague). La sua forza risiede nella volontà sottesa di non edificareall’interno dell'anello per non soffocarne il ‘cuore’, dal momento che il ‘cuore’ è verde e come tale rievocamolti ricordi legati alle nostre esperienze passate negli spazi naturali. Il principio olandese di organizzazionespaziale è tutto costruito attorno a questa metafora, che rispecchia un tratto distintivo della mentalità e dellacultura del popolo olandese: la regola e l'ordine (rule and order). Altri esempi di metafora sono la Green Beltlondinese, il Finger plan di Coopenhagen, ecc.Le metafore hanno un ruolo fondamentale nella conoscenza e nell'azione umana. Esse sono importanti neiprocessi creativi, poiché forniscono un quadro ‘quasi-logico’∗ di riferimento e, attraverso il meccanismodelle associazioni mentali, favoriscono la sintesi.

Il quadro di riferimento della dottrina è una costruzione sociale che convoglia elementi ideologici: pertantoci si può chiedere se sia lecito cercare di valutare una dottrina in termini di razionalità.Alexander e Faludi (1990) ritengono che, di fatto, esistano almeno tre criteri per valutarla: corrispondenzacon la realtà; consenso; globalità e consistenza.Riguardo alla corrispondenza con la realtà è necessario che la dottrina non sia in palese contrasto con lecondizioni del contesto, attuali o che si possono prevedere per il futuro. Ad esempio, non potrebbe essereconsiderata valida una dottrina che presupponesse per l'anno 2010 la presenza di 7.miioni di abitantinell'area metropolitana di Roma!Il carattere di globalità e la consistenza di una dottrina possono essere verificate rispondendo a domande deltipo: la dottrina riguarda aspetti che sono rilevanti? i principi di pianificazione e i principi di organizzazionespaziale sono coerenti e complementari? Una certa ambiguità può essere tollerata, ma la dottrina non puòessere accettata se le incongruenze sono troppo numerose ed evidenti.Infine, il consenso si misura dal grado di consenso e di mobilitazione delle persone che la dottrina è in gradodi suscitare e dalla sua capacità di diventare lo schema concettuale di riferimento di un'intera collettività. Piùnumerosi sono gli attori coinvolti e convinti, tanto più efficace e valida è la dottrina in rapporto a talecriterio. Naturalmente una dottrina "di successo", nel senso specificato, è in grado di espandersi, diinteressare nuovi soggetti, di creare nuovi circuiti, ai quali si potrà fare riferimento nelle fasi di definizione erealizzazione delle azioni di piano.

∗ Questo termine potrebbe ingenerare dubbi sulla sistematicità e razionalità della pianificazione. Tuttavia occorreosservare che, anche in campo scientifico, il ruolo delle metafore è importante e riconosciuto. In fin dei conti anche unparadigma scientifico è pur sempre una metafora.

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Una dottrina non è eterna, ma evolve. Nel suo ambito possono nascere nuovi concetti e scenari; altri possononascere in altri ambiti ed essere recepiti in un secondo momento. La sua evoluzione è tuttavia più lenta diquella del territorio fisico sul quale opera. Per quanto ‘aperta’, essa non può modificarsi troppo velocemente,altrimenti cesserebbe di rappresentare una guida, un quadro stabile di riferimento che l'azione di piano puòutilizzare come stimolo e come termine di confronto.

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Appendice B. STRATEGIC CHOICE: una breve nota metodologica

B1. Introduzione

L’approccio Strategic Choice ∗ è di tipo sociocratico (cfr. Appendice A, § A4, Tabella LE DUE FORME DIPIANIFICAZIONE).Strategic Choice é un processo ciclico interattivo (partecipativo) nel quale gli attori — tecnici e politici —partecipano a una serie di sessioni di lavoro per decidere in condizioni di incertezza, urgenza, carenza dirisorse e conflitti di interessi.Nell’ambito di questo processo le scelte di piano e i progetti vengono elaborati e/o selezionati solo dopo averindividuato e valutato le alternative possibili (opzioni), contemperando l’esigenza di dover operare con lanecessaria rapidità con quella di garantire la massima flessibilità ed efficacia alle scelte future (anche sedobbiamo decidere in fretta, cerchiamo di non commettere troppi errori e limitare le nostre possibilità discelta per il futuro!).Strategic Choice non perviene alla redazione di un piano inteso come rigido sistema di prescrizioni, maidentifica le azioni e i progetti da realizzare nelle successive fasi di un processo di tipo incrementale econtinuo; é uno strumento d’aiuto alle decisioni operative la cui efficacia consiste principalmente nellacapacità di agevolare le scelte, di adattarsi alle trasformazioni della situazione decisionale e di gestirerazionalmente l’incertezza che é intrinseca a ogni processo di decisione.Dal 1969 ad oggi l’approccio é stato applicato a numerosi casi di pianificazione urbana e territoriale indiversi paesi del mondo (Inghilterra, Olanda, Germania, Danimarca, Australia, Zaire, Venezuela, Sud Africa,Grecia, Tailandia, Brasile, Giappone, Canada e Svezia). L’autore ha avuto modo di sperimentarloconcretamente in Italia in tre contesti: a L’Aquila , a Venezia (su incarico del CENSIS) e, integrato con altriapprocci, nella formazione del preliminare del piano di recupero di Centocelle vecchia a Roma (su incaricodel Comune).E’ disponibile un programma per elaboratore (STRAD, STRategic ADviser) che può essere utilizzato comesupporto durante lo svolgimento delle sessioni interattive.

B2. Il quadro di riferimento metodologico di Strategic Choice

L’approccio, sotto il profilo metodologico, può essere descritto in termini di quattro elementi chiave:tecnologia aperta, partecipazione interattiva, processo di apprendimento e progresso incrementale.Con tecnologia aperta s’intende un insieme di concetti, di strumenti e di metodi soft di analisi diretti afacilitare l’interazione degli attori durante le sessioni di lavoro. Grazie ad essa gli attori riescono a superarecon relativa facilità le difficoltà dovute alle differenze individuali nel modo di affrontare i problemi (diversitàculturali, di approccio disciplinare, di interessi, di mentalità), nonché alla necessità di decidere in modorapido e informale sotto la spinta degli eventi.Tutti i soggetti e le organizzazioni interessate devono poter intervenire direttamente nel processo di decisione(partecipazione interattiva). La durata del processo varia da alcune settimane ad alcuni mesi, a secondadella complessità del problema. Gli attori che partecipano stabilmente al processo fanno parte del gruppo dilavoro, costituito da funzionari e tecnici delle amministrazioni locali, docenti universitari, professionistiesperti e rappresentanti dei gruppi potenzialmente esposti all’impatto delle decisioni (enti, associazioni di

∗ Questo approccio é stato proposto circa trent’anni fa da alcuni ricercatori dell’Institute for Operational Research(IOR) fondato a Londra nel 1963. I testi fondamentali che illustrano la metodologia di questo approccio sono quelli diFriend J. K. e Jessops W. N.(Local Government and Strategic Choice, Pergamon Press, Oxford, 1969) e di Friend J. K.e Hickling A. (Planning under Pressure: The Strategic Choice Approach, Pergamon Press, Oxford, 1987; secondaedizione aggiornata, Butterworth Heinemann, Oxford, 1997).

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categoria, comitati di quartiere, singoli abitanti ecc.). Nell’ambito del gruppo di lavoro viene costituito unnucleo che ha il compito di garantire la continuità operativa del processo coordinando l’attività degli altrimembri del gruppo. Alle sedute del gruppo di lavoro possono partecipare, senza l’obbligo della continuità, isoggetti che hanno la responsabilità delle decisioni che saranno prese (rappresentanti politici) e soggetti cheoperano in settori collaterali che possono condizionare le scelte relative al problema specifico affrontato dalgruppo (funzionari di enti pubblici e agenzie). Per rendere efficace la propria azione il gruppo di lavoro devepromuovere i collegamenti intersettoriali e sforzarsi di coordinare le azioni di tutte le organizzazioni chepartecipano al processo di decisione.Il processo di apprendimento dei partecipanti avviene grazie alla natura ciclica della procedura (vedifigura).

I membri del gruppo di lavoro operano secondo quattro modalità o modi di lavoro differenti: strutturare,progettare, confrontare, scegliere.Queste modalità non corrispondono ai passi di una procedura da percorrere in rigida successione temporale:il passaggio da una modalità di lavoro a un’altra é piuttosto dettato da motivi di convenienza e dall’esigenzadi acquisire le informazioni necessarie ai fini del prosieguo del lavoro.Nell’ambito di ciascuna modalità gli attori fanno uso di alcuni specifici strumenti tecnici e concettuali.

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Nella modalità strutturare il complesso dei problemi, spesso mal definiti o troppo parziali, viene articolatodal gruppo di lavoro in aree di decisione. Ogni area di decisione rappresenta uno specifico problema darisolvere nell’ambito del più generale problema che costituisce l’oggetto del lavoro; la lista delle aree didecisione é ‘aperta’ e può essere aggiornata in ogni momento. Due aree di decisione possono essere collegatetramite un legame di decisione, che esprime l’esigenza di considerare congiuntamente le due aree nelle fasisuccessive del processo. Il grafo di decisione é una rappresentazione grafica delle aree di decisione (nodi) edei relativi legami (archi): esso può essere articolato in fuochi del problema, cioè in gruppi di aree didecisione fortemente interrelate che é conveniente analizzare, quantomeno in via provvisoria, comesottoproblemi separati.Nella modalità progettare il gruppo di lavoro procede ad identificare un insieme di soluzioni o proposteprogettuali alternative (opzioni) per ogni area di decisione e a costruire il grafo delle opzioni. I nodi del grafocorrispondono alle opzioni, mentre gli archi rappresentano le incompatibilità esistenti tra opzioni cheappartengono ad aree di decisione differenti (legami di incompatibilità). Analizzando il grafo con tecnicheopportune é possibile identificare gli schemi di decisione, cioè le combinazioni di opzioni compatibili. Ognischema di decisione rappresenta pertanto uno specifico insieme di soluzioni — una per ogni area didecisione — che sono tutte mutuamente compatibili. Gli schemi di decisione possono essere costruitirelativamente a un singolo fuoco (o a un gruppo selezionato a priori di aree di decisione) sia per approfondireuno specifico aspetto del problema complessivo, sia per semplificare la costruzione e l’analisi degli schemi.Nella modalità confrontare occorre scegliere le aree di confronto, ovverosia i criteri di valutazione deglischemi di decisione.Confrontando a coppie gli schemi di decisione rispetto alle aree di confronto é possibile metterne in evidenzavantaggi e svantaggi (confronto dei vantaggi). Quando il numero di schemi di decisione da confrontare éelevato, occorre utilizzare scale di misura qualitative o quantitative semplici per fare uno ‘screening’provvisorio di un sottoinsieme significativo degli schemi da valutare (lista ridotta di lavoro).Nella modalità scegliere é necessario in primo luogo rendere espliciti i dubbi emersi nelle precedenti fasi dilavoro in termini di aree di incertezza. Si procede quindi ad individuare le opzioni esplorative (ricerche,indagini, iniziative di coordinamento, ecc.) che consentono di eliminare o ridurre le aree di incertezzaindividuate, che possono riguardare il contesto fisico-ambientale, il sistema di valori dei decisori o le sceltedei soggetti che operano in settori collaterali.L’esigenza di indagare le conseguenze di alcune specifiche scelte considerate prioritarie sia per motivi diurgenza, sia per l’importanza attribuita dai decisori politici, conduce infine alla costruzione degli schemi diazione. Uno schema di azione é costituito da tutti gli schemi di decisione (vedi sopra) che si ottengonoselezionando le aree di decisioni considerate più importanti e/o urgenti, e vincolando una specifica opzionein ogni area selezionata. Tali schemi rappresentano pertanto tutte le combinazioni di opzioni che sonocompatibili tra loro e con quelle delle aree selezionate come prioritarie. Il numero di questi schemi misura ilgrado di flessibilità dello schema di azione: quanto più numerosi sono gli schemi, tanto più ampie sono lepossibilità future di scelta.Il progresso incrementale é implicito nella natura stessa dei prodotti di Strategic Choice. Il principaleprodotto é costituito dal pacchetto di prescrizioni o progress che sintetizza i risultati ‘visibili’ del processo.In esso sono descritte le azioni (i progetti) da attuare subito, le opzioni esplorative da intraprendere perridurre le aree di incertezza emerse, le decisioni che occorre differire nel tempo e le azioni contingenti daattuare in sostituzione di quelle stabilite, qualora dovessero sorgere difficoltà non previste. Il pacchetto diprescrizioni rappresenta il passo incrementale fondamentale del processo continuo di pianificazione diStrategic Choice.Un ruolo rilevante assumono nell’approccio anche i prodotti ‘invisibili’, come il miglioramento dei processidi comunicazione tra i partecipanti che può derivare da una comprensione più approfondita dei sistemi divalori e del modo di lavorare degli altri attori, nonché delle pressioni e dei vincoli cui essi sono soggetti:aspetti questi che nei processi tradizionali di decisione vengono spesso ignorati.

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Appendice C. Il bilancio partecipativo di Porto Alegre: struttura efunzionamento

Il Bilancio Partecipativo (Orçamento Participativo, OP) di Porto Allegre costruisce linee ed indirizzi dellespese di capitale, ovverosia dei fondi destinati agli investimenti in strutture e servizi atti a migliorare laqualità della vita dei cittadini.

L’articolo 85 dello statuto del Comune di Porto Allegre recita: “Il Municipio dovrà organizzare la propriaattività amministrativa e portare avanti le sue attività nell’ambito di un processo di pianificazionepermanente, ponendo attenzione all’interesse locale e ai principi tecnici adeguati allo sviluppo integrato dellacomunità. Per la pianificazione è garantita la partecipazione popolare nelle diverse sfere di discussione edeliberazione”.Per mettere in atto questi principi sono stati creati alcuni organismi che consentono ai cittadini di parteciparedirettamente alle scelte di pianificazione. Questi organismi si relazionano agli organi dell’amministrazionecomunale che hanno il compito di deliberare ad attuare tali scelte, con il controllo della popolazione.Il Consiglio Comunale viene eletto ogni 4 anni, mentre gli organismi dell’OP sono rinnovati ogni anno.

La prima tornata

Questa tornata si svolge in un periodo compreso tra la seconda quindicina di marzo e la secondaquindicina di aprile.In questo intervallo si svolgono le 16 Assemblee plenarie pubbliche regionali, una in ogni regione in cui èsuddiviso il territorio comunale di Porto Alegre, e le 5 Assemblee plenarie tematiche, una per ogni tema dipianificazione: trasporti e circolazione; salute e assistenza sociale; istruzione, cultura e tempo libero;sviluppo economico e tassazione; organizzazione della città e sviluppo urbano. Le 16 Assemblee regionalisi aggregano in Assemblee di macroregione per discutere e decidere in merito a scelte che riguardano scalesuperiori a quella comunale (metropolitana o statale).

Ad ogni Assemblea regionale possono partecipare e votare tutti coloro che risiedono nella regione e che sisono registrati all’inizio della seduta. Interesse specifico di queste Assemblee sono gli interventi cheriguardano il territorio di una singola regione.All’assemblea viene presentato il consuntivo di bilancio dell’anno da poco concluso e il Piano diInvestimenti (PI) per l’anno in corso. All’Assemblea viene presentato inoltre il regolamento internodell’OP con le eventuali modifiche apportate nel corso dell’ultimo anno dal Consiglio popolare delBilancio Partecipativo (COP) (vedi oltre).L’Assemblea discute e valuta il consuntivo e il PI, si esprime in merito ai risultati conseguiti nell’annoprecedente e procede ad eleggere i membri del Forum dei delegati (un delegato ogni 10 cittadini presenti).L’elezione dei delegati al Forum prevede generalmente dei passi intermedi: una parte dei delegati vieneproposta e votata nell’ambito di Assemblee di quartiere (plenarie e intermedie), organizzate a scala sub-regionale, di cui fanno parte i residenti di ogni specifico quartiere urbano (Porto Alegre è suddivisa in 80quartieri).

Ad ogni Assemblea tematica possono partecipare e votare tutti i cittadini di Porto Alegre. Queste assembleehanno il compito di discutere le priorità che riguardano le opere strutturali e gli indirizzi programmatici chesi riferiscono a ogni specifica area tematica, prescindendo dalle specifiche esigenze dei territori regionali.Ad essa vengono presentati gli stessi documenti presentati alle Assemblee regionali (bilancio consuntivo,PI, regolamento dell’OP con le eventuali modifiche proposte dal COP).Ogni Assemblea, regionale o tematica, elegge due delegati al Forum dei delegati.

I membri del Consiglio popolare del Bilancio Partecipativo (COP) vengono eletti tra i delegati al Forum.Ogni Assemblea regionale e ogni Assemblea tematica ha il diritto di eleggere due membri, per un totale di

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42 (32+10) e altrettanti supplenti. Del COP fanno anche parte: un membro eletto dalla UAMPA (Unionedelle Associazioni di Quartiere di Porto Alegre), un rappresentante del sindacato degli impiegati comunalie due membri dell’Organismo di coordinamento delle relazioni con la comunità e del GAPLAN (vedioltre), questi ultimi nominati direttamente dal sindaco (ma senza diritto di voto). In totale il COP è costituitodunque da 46 membri.Il COP gestisce i rapporti con la popolazione e sceglie le priorità delle opere e dei servizi da finanziare erealizzare. I suoi membri si mantengono in costante contatto con i delegati del Forum e con i diversi organidell’amministrazione comunale, dai quali ricava le informazioni tecniche e finanziarie necessarie per renderefattibili e affinare i progetti identificati come prioritari. I membri del COP partecipano a un corso diformazione sul Bilancio pubblico e sui meccanismi istituzionali previsti dalla legge che regolano lapianificazione territoriale, svolto ogni anno dal Comune.

In questa prima tornata non vengono eletti tutti i delegati del Forum e del COP, ma solo una parte, secondoun criterio ‘a scaglioni’ approvato dal COP. Questi primi rappresentanti hanno principalmente il compito dicoordinare il processo di discussione che si svolgerà nelle successive fasi del processo: gli altrirappresentanti saranno eletti solo più tardi, durante la seconda tornata (vedi).

La tornata intermedia

La tornata ha luogo tra la seconda quindicina di aprile e la fine di maggio.In questa fase la popolazione organizza in modo autonomo numerose riunioni intermedie in ciascuna regioneal fine di:1. fare una diagnosi delle necessità2. scegliere le priorità tematiche3. gerarchizzare le opere e i servizi da realizzare nelle regione4. costituire le Commissioni di accompagnamento dei lavori e le Commissioni di strada, che hannorispettivamente il compito di controllare in termini non formali l’andamento dei lavori delle imprese chehanno vinto appalti comunali e di ‘disseminare’ nelle strade dei quartieri la discussione sui risultati degliinterventi pubblici già terminati o in corso di esecuzione5. stabilire le direttrici principali delle politiche settoriali e attribuire una priorità alle proposte di interventonel settore delle grandi infrastrutture e dei servizi della città, partendo però da considerazioni che riguardanola scala locale (solo per le Assemblee tematiche)A queste riunioni partecipano in modo informale anche alcuni funzionari e tecnici dell’amministrazionepubblica che forniscono le informazioni che sono necessarie per rendere i dibattiti pubblici più concreti. Itecnici e i funzionari possono presentare specifici progetti la cui elaborazione è già stata avviata nell’ambitodell’amministrazione.Queste riunioni sono generalmente coordinate dai delegati del Forum o dai membri del COP interessati allospecifico contesto.

Nello stesso periodo il COP discute ed elabora il progetto di Legge sulle Direttrici di Bilancio (LDO) chedovrà essere analizzato in seguito dall’amministrazione comunale.

La seconda tornata (ovvero dalla mobilitazione alla negoziazione)

La tornata si svolge tra il primo giugno e la metà di luglio.In questa tornata svolgono un ruolo importante gli organi dell’amministrazione pubblica. Primi tra tutti ilGabinetto di Pianificazione (GAPLAN) e l’Assessorato alle Finanze del Comune, che presentano ilbilancio di previsione per l’anno successivo, con le previsioni di spesa e d’incasso.

Contestualmente il Forum dei delegati e il COP consegnano al GAPLAN il documento con le priorità delleopere e dei servizi individuate nelle precedenti fasi di lavoro (LDO). Il documento contiene i ranghi (lepriorità) delle opere e dei servizi da realizzare nell’ambito di 4 differenti aree tematiche. Queste areevengono selezionate generalmente da un insieme di 12 temi (questo numero non è fisso ma può variare neltempo). Per tutte le opere e tutti i servizi di un’area tematica sono riportati sia il rango, sia le suecaratteristiche (per le opere di pavimentazione e urbanizzazione primaria - strade, fognature, ecc. – sonoanche allegati alcuni schizzi che consentono di individuare precisamente il tratto d’infrastruttura di cui si

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propone la realizzazione). In pratica alla prima opera o servizio di ciascuna area tematica sono attribuiti 5punti; alla seconda 4 punti; ecc.Con riferimento ai risultati del lavoro svolto dalle Assemblee tematiche, il documento illustra inoltre ledirettrici e le priorità individuate nell’ambito delle politiche settoriali che riguardano i servizi alla scalaurbana e le opere strutturali.E’ in questa fase che le Assemblee regionali e tematiche completano l’elezione dei delegati del Forum edei membri del COP.

Le altre fasi del processo

Le fasi successive del processo sono le seguenti:• Elaborazione della prima matrice (o griglia) di bilancioQuesto documento viene elaborato dal GAPLAN tra la metà di luglio e il 15 agosto.Il GAPLAN vaglia sotto il profilo tecnico e finanziario le richieste di opere e servizi contenute neldocumento elaborato del Forum e dal COP durante la seconda tornata (vedi) mediante un sistema on lineintegrato con tutti gli Assessorati e Dipartimenti del Comune per definire la prima griglia di bilancio. IlGAPLAN può modificare parzialmente le priorità di realizzazione di opere e servizi indicate dallapopolazione sulla base di tre criteri:1. valutazione di importanza delle opere e servizi espressa dall’esecutivo2. necessità di rifinanziare alcune opere in corso, non ancora completate3. necessità di finanziare le voci di bilancio che si riferiscono alle spese ‘rigide’, cioè alle spese che sononecessarie per mantenere alti i livelli di prestazione di servizio alla popolazione (salute, istruzione,trattamento delle acque, fognature, raccolta dei rifiuti, sistema viario, trasporti, ecc.)In pratica vengono definiti tre indicatori che consentono di ‘ponderare’ opportunamente i valori dei punteggiattributi dal documento alle opere e servizi delle diverse aree tematiche.Sulla base dei valori ‘ponderati’ il GAPLAN redige la prima griglia di bilancio, nella quale sono stimate leentrate prevedibili per l’anno successivo e sono riportate tutte le previsioni di spesa (personale, trasferimentiai differenti Assessorati, servizi a terzi, comunicazione, elaborazione dei dati, debiti, investimenti, ecc).Questa matrice è analizzata dalla Giunta finanziaria dell’amministazione comunale e dall’Organismo dicoordinamento di governo. La proposta viene quindi inviata a tutti gli altri organi del Comune che lautilizzano per elaborare entro il 15 agosto le loro rispettive proposte di bilancio.• Queste proposte sono restituite al GAPLAN che, entro la fine d’agosto, elabora una nuova griglia dibilancio e la invia alla Giunta finanziaria dell’amministrazione, all’Organismo di coordinamento digoverno e al Plenum degli Assessori, che la discutono e ne dettagliano programmi e investimenti.• I 46 membri del COP si insediano nella seconda metà di luglio. Sarà loro compito decidere entro il 15settembre il calendario delle riunioni finalizzate a discutere la nuova griglia di bilancio elaborata dalGAPLAN. Nella seconda metà di settembre il COP effettua una disanima della griglia stessa e l’approvadopo aver verificato se essa interpreta correttamente e rispetta le priorità regionali e tematiche definitenell’ambito delle Assemblee plenarie di giugno. In caso contrario il COP può procedere a modificarla.• La proposta di bilancio finale viene redatta dal GAPLAN sulla base della griglia di bilancio approvata(o modificata) dal COP e viene consegnata entro il 30 settembre dal Sindaco, dagli Assessori e dal COPstesso al Consiglio Comunale, che ha l’obbligo di votarla entro il 30 novembre. In un clima generalmenteteso si realizza in questa fase il momento di contatto più critico tra democrazia diretta e democraziarappresentativa. Il bilancio, una volta approvato, entrerà in vigore l’anno seguente e sarà presentato alla metàdi marzo alla popolazione nel corso delle prime Assemblee plenarie.• Sulla base della proposta di bilancio finale il COP, gli Assessorati, l’Organismo di coordinamentodelle relazioni con la comunità e il GAPLAN si riuniscono per elaborare il Piano di Investimenti (PI) perl’anno successivo. Il PI viene redatto tra il 30 ottobre e il 31 dicembre. La parte del bilancio che riguarda gliinvestimenti vengono dettagliati dal PI. In questa fase viene costruito un cronogramma degli interventi darealizzare tenendo conto di tre criteri generali: la popolazione totale della regione, la carenza di servizi einfrastrutture nel suo ambito e l’area tematica indicata come prioritaria dalla regione stessa. Ulteriori criteridi scelta sono la necessità di attuare una regolarizzazione fondiaria nel territorio regionale, le sue esigenze diurbanizzazione primaria e il numero totale di famiglie che traggono beneficio dall’intervento. AlcuniDipartimenti e Assessorati del Comune (acqua, salute, istruzione) hanno modalità specifiche di stabiliredettagli e priorità temporali dei fondi assegnati in sede di bilancio, che sono state preventivamente discusse e

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approvate dal COP . Il PI sarà presentato alla città durante le prime Assemblee primarie, regionali etematiche, che si svolgeranno a partire dalla seconda quindicina di marzo dell’anno successivo.