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65 V. INSEDIAMENTO E GESTIONE DELLA TERRA DALL’ETÀ LONGOBARDA A QUELLA CAROLINGIA 1. LA TRANSIZIONE VERSO LINSEDIAMENTO DI ETÀ LONGOBARDA: IL MODELLO CAOTICO E LA SUA INTERPRETAZIONE CONTROVERSA La prima stesura del modello caotico, sulle trasfor- mazioni del popolamento rurale nel passaggio fra tarda antichità e altomedioevo, è stata presentata in occasione del convegno di Pontignano del 1992 93 , con successive rielaborazioni fino al 1999 94 . Si è posto l’accento sulla disgregazione della rete insediativa ordinata secondo un progetto econo- mico e fiscale di gestione della terra, sostituita nel corso del VI secolo da uno sfruttamento disarti- colato e di scarso peso demografico. Era ed è ancora un modello valido per alcune zone della Toscana, con riscontri nel senese (Chianti, Val d’Elsa e Val di Merse, Valdorcia), fra grosseta- no e livornese (Ager Cosanus-Valle dell’Albegna, Valle dell’Osa), nella lucchesia (Versilia e bassa Valle del Serchio). Queste aree attestano una pri- ma crisi delle strutture rurali intorno al III-IV se- colo, alla quale consegue una stabilizzazione delle aziende superstiti, in pochi casi una loro trasfor- mazione, per almeno i due secoli successivi 95 . Nella sola lucchesia, pare allargarsi lo spazio messo a coltura dietro spinte economiche di vario tipo 96 . L’intera organizzazione produttiva collassa definiti- vamente intorno alla fine del V-inizi VI secolo, de- cenni che segnano una selezione della rete insediati- va rurale. Il processo degenerativo del popolamento è riconoscibile in tutto il centro-nord dell’Italia, con il sistema delle ville entrato in fase terminale 97 . Oltre agli indizi delle ricognizioni di superficie, alcuni scavi toscani mostrano con chiarezza gli effetti della crisi. Torretta Vecchia (Collesalvetti), era un complesso di grande estensione caratterizzato da almeno cinque fasi edilizie e frequentato fra il I secolo a.C. e la metà del VI secolo. Tra la fine del IV e gli inizi del V seco- 93. FRANCOVICH, NOYÉ 1994. 94. CAMBI et alii 1994; VALENTI 1995b e VALENTI 1999. Per la situazione riscontrata nell’ Ager Cosanus e nella Valle dell’Albegna si vedano CAMBI 2002; CAMBI, FENTRESS 1989. 95. Nella Toscana interna, sino al V secolo, sono ricono- scibili almeno cinque tipi di forme insediative collegate allo sfruttamento fondiario organizzato: 1) complessi tipo fat- torie come centri di riferimento per fondi coltivati tramite poderi contadini a conduzione monofamiliare posti sulle superfici distanti dalla città (zone più settentrionali del se- nese, Ager Cosanus-Valle dell’Albegna, forse bassa Valle del Pecora); 2) ville occupanti le zone di pianura più distanti dalla città (Val d’Elsa senese, Ager Cosanus-Valle dell’Albe- gna, Valle del Pecora e Pian d’Alma, zona Roccastrada); 3) ville con villaggi vicini abitati da manovalanza servile (Ager Cosanus-Valle dell’Albegna); 4) ville disposte a cerchio nei pressi della città (nell’immediato nord e sud di Siena, Ager Cosanus-Valle dell’Albegna); 5) una serie di complessi me- dio-piccoli tipo fattoria sembrano organismi autonomi a controllo diretto di fondi non molto estesi (bassa Valle del Pecora e Pian d’Alma). Si vedano CAMBI et alii 1994; VA- LENTI 1996b e FRANCOVICH, VALENTI 2000. 96. Anche nel nord Italia si assiste in questa fase ad una ripresa, che si manifesta soprattutto in opere di edilizia re- sidenziale rurale con caratteri di lusso; la sua portata sem- bra comunque modesta e limitata ad alcune aree della Lom- bardia (Desenzano – BS e Palazzo Pignano) e della Roma- gna (Meldola – FO; Galeata – FO; Palazzolo – RA), colle- gandosi con la presenza della corte rispettivamente a Mila- no ed a Ravenna. Si vedano GELICHI 2001, pp. 226-227 per una sintesi e BROGIOLO 1996. 97. In Emilia tra V e VI secolo è attestata un’involuzione del modello di gestione della campagna incentrata sulle ville, che si conclude con un marcato degrado ambientale ed un drastico collasso “spaziale” degli edifici (per esempio Ca- steldebole propone una riduzione dell’ambiente abitativo da 7000 a 110 mq): ORTALLI 1996; ORTALLI 2000. In Piemonte, dopo una relativa prosperità della regione ancora verso gli inizi del V secolo (indizi di un rinnovato benessere e vitalità sono percepibili sia nei centri minori sia nelle campagne, dove si diffondono ville anche di un certo rilievo, come a Ticineto e Centallo), le strutture mostrano decadenza e se- gni di trasformazione. In molte ville si inserirono degli edi- fici di culto (per esempio nel Novarese a Carpignano e Sizzano, nel Cuneese a Centallo) ed altri ambienti continua- no ad essere usati per scopo abitativo, attestandone la con- trazione od una differente organizzazione distributiva: MI- CHELETTO 1998. In Lombardia a partire dalla metà del V se- colo si assiste ad un decadimento progressivo delle struttu- re; delle 70 fra ville e fattorie individuate solo 12 hanno continuità dal I al V secolo e 17 vengono parzialmente riu- sate tra V e VI secolo. A Monzambano, dopo una fase di degrado e spoliazione ascritta entro la prima metà del V se- colo, i muri presentano una fase di legno o di argilla. La villa di Sirmione-via antiche mura è abbandonata intorno alla fine del V secolo; più o meno contemporaneamente vie- ne distrutta per incendio la villa di Desenzano; a Pontevico la frequentazione fu prolungata tra IV e VI secolo con la costruzione di edifici con zoccolo in muratura e alzato in legno, una capanna, un “muro rustico” successivo ad una fase di esondazione del vicino fiume Oglio; a Nuvoleto tra fine VI e VII secolo viene demolito l’edificio termale poi riutilizzato successivamente per realizzare dei piccoli vani con alzato in legno: BROGIOLO 1996; inoltre interventi spe- cifici in ROSSI 1996; ROFFIA 1996; BOLLA 1996; SCAGLIARINI CORLAITA 1997. Nel basso Trentino, sulla piana di Riva-Arco, gli edifici in muratura vennero sostituiti da strutture lignee; a Nago furono riutilizzati dei piccoli ambienti di un edificio e gli archeologi hanno scavato un sistema di campi chiusi da muri utilizzati almeno sino a tutto il VI secolo; a Varone si procede ad inumare negli ambienti interni di una villa: CA- VADA 1996; CAVADA 1997; CAVADA 2000; PACI 2000. © 2004 All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale

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V. INSEDIAMENTO E GESTIONE DELLA TERRADALL’ETÀ LONGOBARDA A QUELLA CAROLINGIA

1. LA TRANSIZIONE VERSO L’INSEDIAMENTO DIETÀ LONGOBARDA: IL MODELLO CAOTICO E LASUA INTERPRETAZIONE CONTROVERSA

La prima stesura del modello caotico, sulle trasfor-mazioni del popolamento rurale nel passaggio fratarda antichità e altomedioevo, è stata presentatain occasione del convegno di Pontignano del 199293,con successive rielaborazioni fino al 199994.Si è posto l’accento sulla disgregazione della reteinsediativa ordinata secondo un progetto econo-mico e fiscale di gestione della terra, sostituita nelcorso del VI secolo da uno sfruttamento disarti-colato e di scarso peso demografico.Era ed è ancora un modello valido per alcune zonedella Toscana, con riscontri nel senese (Chianti,Val d’Elsa e Val di Merse, Valdorcia), fra grosseta-no e livornese (Ager Cosanus-Valle dell’Albegna,Valle dell’Osa), nella lucchesia (Versilia e bassaValle del Serchio). Queste aree attestano una pri-ma crisi delle strutture rurali intorno al III-IV se-colo, alla quale consegue una stabilizzazione delleaziende superstiti, in pochi casi una loro trasfor-mazione, per almeno i due secoli successivi95. Nellasola lucchesia, pare allargarsi lo spazio messo acoltura dietro spinte economiche di vario tipo96.

L’intera organizzazione produttiva collassa definiti-vamente intorno alla fine del V-inizi VI secolo, de-cenni che segnano una selezione della rete insediati-va rurale. Il processo degenerativo del popolamentoè riconoscibile in tutto il centro-nord dell’Italia, conil sistema delle ville entrato in fase terminale97.Oltre agli indizi delle ricognizioni di superficie,alcuni scavi toscani mostrano con chiarezza glieffetti della crisi.Torretta Vecchia (Collesalvetti), era un complesso digrande estensione caratterizzato da almeno cinquefasi edilizie e frequentato fra il I secolo a.C. e la metàdel VI secolo. Tra la fine del IV e gli inizi del V seco-

93. FRANCOVICH, NOYÉ 1994.94. CAMBI et alii 1994; VALENTI 1995b e VALENTI 1999. Perla situazione riscontrata nell’Ager Cosanus e nella Valledell’Albegna si vedano CAMBI 2002; CAMBI, FENTRESS 1989.95. Nella Toscana interna, sino al V secolo, sono ricono-scibili almeno cinque tipi di forme insediative collegate allosfruttamento fondiario organizzato: 1) complessi tipo fat-torie come centri di riferimento per fondi coltivati tramitepoderi contadini a conduzione monofamiliare posti sullesuperfici distanti dalla città (zone più settentrionali del se-nese, Ager Cosanus-Valle dell’Albegna, forse bassa Valle delPecora); 2) ville occupanti le zone di pianura più distantidalla città (Val d’Elsa senese, Ager Cosanus-Valle dell’Albe-gna, Valle del Pecora e Pian d’Alma, zona Roccastrada); 3)ville con villaggi vicini abitati da manovalanza servile (AgerCosanus-Valle dell’Albegna); 4) ville disposte a cerchio neipressi della città (nell’immediato nord e sud di Siena, AgerCosanus-Valle dell’Albegna); 5) una serie di complessi me-dio-piccoli tipo fattoria sembrano organismi autonomi acontrollo diretto di fondi non molto estesi (bassa Valle delPecora e Pian d’Alma). Si vedano CAMBI et alii 1994; VA-LENTI 1996b e FRANCOVICH, VALENTI 2000.96. Anche nel nord Italia si assiste in questa fase ad unaripresa, che si manifesta soprattutto in opere di edilizia re-sidenziale rurale con caratteri di lusso; la sua portata sem-bra comunque modesta e limitata ad alcune aree della Lom-

bardia (Desenzano – BS e Palazzo Pignano) e della Roma-gna (Meldola – FO; Galeata – FO; Palazzolo – RA), colle-gandosi con la presenza della corte rispettivamente a Mila-no ed a Ravenna. Si vedano GELICHI 2001, pp. 226-227 peruna sintesi e BROGIOLO 1996.97. In Emilia tra V e VI secolo è attestata un’involuzione delmodello di gestione della campagna incentrata sulle ville,che si conclude con un marcato degrado ambientale ed undrastico collasso “spaziale” degli edifici (per esempio Ca-steldebole propone una riduzione dell’ambiente abitativo da7000 a 110 mq): ORTALLI 1996; ORTALLI 2000. In Piemonte,dopo una relativa prosperità della regione ancora verso gliinizi del V secolo (indizi di un rinnovato benessere e vitalitàsono percepibili sia nei centri minori sia nelle campagne,dove si diffondono ville anche di un certo rilievo, come aTicineto e Centallo), le strutture mostrano decadenza e se-gni di trasformazione. In molte ville si inserirono degli edi-fici di culto (per esempio nel Novarese a Carpignano eSizzano, nel Cuneese a Centallo) ed altri ambienti continua-no ad essere usati per scopo abitativo, attestandone la con-trazione od una differente organizzazione distributiva: MI-CHELETTO 1998. In Lombardia a partire dalla metà del V se-colo si assiste ad un decadimento progressivo delle struttu-re; delle 70 fra ville e fattorie individuate solo 12 hannocontinuità dal I al V secolo e 17 vengono parzialmente riu-sate tra V e VI secolo. A Monzambano, dopo una fase didegrado e spoliazione ascritta entro la prima metà del V se-colo, i muri presentano una fase di legno o di argilla. Lavilla di Sirmione-via antiche mura è abbandonata intornoalla fine del V secolo; più o meno contemporaneamente vie-ne distrutta per incendio la villa di Desenzano; a Pontevicola frequentazione fu prolungata tra IV e VI secolo con lacostruzione di edifici con zoccolo in muratura e alzato inlegno, una capanna, un “muro rustico” successivo ad unafase di esondazione del vicino fiume Oglio; a Nuvoleto trafine VI e VII secolo viene demolito l’edificio termale poiriutilizzato successivamente per realizzare dei piccoli vanicon alzato in legno: BROGIOLO 1996; inoltre interventi spe-cifici in ROSSI 1996; ROFFIA 1996; BOLLA 1996; SCAGLIARINICORLAITA 1997. Nel basso Trentino, sulla piana di Riva-Arco,gli edifici in muratura vennero sostituiti da strutture lignee;a Nago furono riutilizzati dei piccoli ambienti di un edificioe gli archeologi hanno scavato un sistema di campi chiusi damuri utilizzati almeno sino a tutto il VI secolo; a Varone siprocede ad inumare negli ambienti interni di una villa: CA-VADA 1996; CAVADA 1997; CAVADA 2000; PACI 2000.

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lo una parte dell’edificio principale, che raggiunge-va un’estensione di circa 3000 mq, sembra esserestata in condizioni rovinose ed in altre parti, cioènelle terme e nella zona orientale, vennero impian-tate delle attività artigianali fra le quali un fabbro edabitazioni; alla metà del VI secolo l’abbandono eragià definitivo98. La villa di Settefinestre (Orbetello),pur se abbandonata forse a seguito di un’epidemiaverso la fine del III secolo, tra IV e VI secolo sembraessere stata rioccupata per uso abitativo occasionalee come area cimiteriale99. La villa in località La Ta-gliata (Orbetello) fu anch’essa rioccupata da una pic-cola comunità che sfruttava le risorse della laguna eche forniva appoggio al cabotaggio tra V e VI seco-lo100. La villa di Poggio del Molino (Piombino) dopoun’intensa occupazione che raggiunse la metà del Vsecolo venne frequentata saltuariamente sino alla finedel VI-inizi VII secolo101.La villa di San Vincenzino (Cecina), anch’essa uncomplesso di grandi dimensioni con caratteri dilusso e successive fasi di trasformazione per scopiproduttivi, poco prima del definitivo abbandononel V secolo, vide gran parte degli spazi andare indisuso ed un’occupazione limitata solo ad alcunesue parti102. La villa di Linguella (Isola d’Elba), dopoil momento di massimo splendore nel III secolo, fuoggetto progressivamente di una destrutturazionefino all’abbandono avvenuto nel V secolo103. An-che altri complessi come la grande villa diGiannutri104, la villa o mansio di Torre Saline (Or-betello)105, la villa di Talamone (Orbetello)106, la villadi Santa Liberata (Orbetello)107, la villa dell’Isoladel Giglio108, la villa alla Befa di Buonconvento (Sie-na)109, la villa di Pieve a Bozzone presso Siena110

mostrano le medesime vicende e cronologia.Nella metà del VI secolo il territorio toscano pre-sentava bassi indici demografici ed ampie fasce spo-

polate, un’occupazione polarizzata su molti terre-ni in precedenza compresi in complessi latifondi-stici. Il popolamento si distribuisce soprattutto incase monofamiliari edificate ex novo, o approntatesu ville e complessi in abbandono, che compongo-no una rete a maglie relativamente strette; lo sfrut-tamento della terra non restituisce un’immagine dipianificazione piuttosto mostra la scelta di viveresu terreni già dissodati da lungo tempo.Il fenomeno del riuso delle ville si manifesta intutta Italia con aspetti simili: «occupazione par-ziale della villa/fattoria (generalmente l’antica parsurbana); abitazioni con largo impiego del legno erecupero, ma solo strettamente funzionale, di pre-cedenti strutture; nuclei più o meno estesi di se-polture» e «complessivamente, il maggior nume-ro dei siti indagati indica un definitivo abbando-no nel corso dell’età gota»111.In Toscana, però, la rioccupazione di complessiromani sembra essere stata più limitata di quantosi possa pensare. Le ville rintracciate nei territoriprovinciali di Siena e Grosseto, su 1979 kmq cam-pionati, ammontano a 427 e quelle con tracce difrequentazione ascrivibili nel maturo VI secolosono solo 42. Proiettando tali cifre sui 22.990 kmqdella regione possiamo ipotizzare un potenzialedi 4960 ville (che si dividevano in media poco piùdi 4,5 kmq) ed un loro riuso in percentuale del9,83%: 487 complessi, mediamente una rioccu-pazione ogni 47 kmq circa.In pochi casi si osserva l’esistenza di piccoli centriagglomerati nei quali si dovevano concentrare delleattività di scambio a carattere locale come a Panta-ni-Le Gore presso Torrita di Siena, un insediamentoche si colloca nella fase iniziale del modello caotico.Nel corso del V secolo venne rioccupata parzialmenteuna statio databile fra I-II secolo; è stata riconosciu-ta una massicciata realizzata con materiale di recu-pero sulla quale vennero impiantate strutture ligneecaratterizzate dalla presenza di ceramica d’imitazio-ne africana. Dopo la distruzione del complesso eduna sua ristrutturazione, si sviluppò un abitato didimensioni ridotte, con edifici in materiali deperibi-li e testimonianze di attività collegate all’allevamen-to bovino ed alla lavorazione del ferro. Il sito, cheprima dell’abbandono definitivo di metà VI secoloera già frequentato occasionalmente (forse per fiereo mercati periodici), sembra potersi identificare conla statio Manliana indicata dalla Tabula Peutengiria-na. Il suo abbandono viene collegato dai ricercatoriagli effetti della guerra greco-gotica112.Un contesto apparentemente molto simile a Panta-ni-Le Gore, ancora inedito, è stato individuato

98. AA.VV. 2003, pp. 50-53.99. CARANDINI 1985a, 1, pp. 184-185. La frequentazioneviene attribuita a gruppi di pastori, senza prendere in con-siderazione la presenza di un insediamento più stabile cheriusa le strutture cadenti della villa. Il riconoscimento delfenomeno del riuso di complessi fatiscenti era in quegli anniappena agli inizi e percepito in relazione ad un paesaggiosoprattutto di tipo pastorale.100. CARANDINI 1985b; CIAMPOLTRINI, RENDINI 1990.101. SHEPHERD 1986-87; DE TOMMASO 1998; AA.VV. 2003,pp. 136-137.102. DONATI et alii 1989; AA.VV. 2003, pp. 94-101 conbibliografia.103. AA.VV. 2003, pp. 174-175.104. CELUZZA 1993, pp. 252-253.105. CIAMPOLTRINI, RENDINI 1988.106. CARANDINI 1985b; CELUZZA 1993, pp. 184-186.107. CARANDINI 1985b.108. CELUZZA 1993, pp. 243-254.109. DOBBINS 1983.110. CRISTOFANI 1979, p. 196.

111. GELICHI 2001, p. 227.112. Si veda CAMBI, MASCIONE 1998 e soprattutto MASCIONE2000.

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durante le ricognizioni sul territorio provinciale se-nese, nella Valdorcia. Tra V e VI secolo, lungo unaprobabile direttrice che sarà poi la via Francigena,il popolamento continuava a polarizzarsi su un in-sediamento degradato che sembra svolgere attivitàdi tipo artigianale e commerciale; si tratta di unagrande emergenza di reperti mobili in superficie,posta a circa 500 m dalla frazione di Briccole (sta-zione citata nell’itinerario di Sigerico ed oggi incomune Castiglion d’Orcia) con una vasta concen-trazione di ossa animali e scorie di ferro.I caratteri della circolazione ceramica a livello re-gionale riflettono la rarefazione del popolamentorurale, quindi la diminuzione della domanda, ildecadimento e più in generale la scomparsa diorganizzazioni aziendali, il collegamento con imercati urbani che cessa. La distribuzione si re-stringe divenendo locale, i campionari tipologicivengono semplificati, le importazioni hanno unariduzione drastica fino a cessare113.Ancora alla fine del V secolo esisteva un quadrovariegato nella diffusione dei prodotti, con zonedotate di modalità e capacità di accesso differen-ziate ai mercati. Sono riconoscibili particolaritàsub-regionali in cui operano fornaci, la cui ubica-zione non è nota, ma che producono vasellame inserie, diffondendolo a medio-largo raggio.Nel senese esistono due fasce diverse di consuma-tori: i residenti dei grandi complessi e le singolefamiglie contadine. Per i primi è chiara la frequen-tazione di un mercato ancora vivace, dove erapossibile reperire oggetti e derrate d’importazio-ne. Il singolo coltivatore si limitava invece ad ac-quistare solo le merci in circolazione nelle zonerurali interne, soprattutto produzioni locali diminore costo; osserviamo corredi domestici com-posti da ceramiche acrome da cucina ad impastogrezzo, ceramiche da mensa verniciate parzialmen-te o in toto di rosso e grandi dolia, rari gli oggettiin vetro, quasi sempre assenti forme in sigillataafricana ed anfore. Con gli inizi del VI secolo leproduzioni locali divengono vincenti.La valle dell’Albegna e l’Ager Cosanus restituisco-no invece corredi molto articolati (prodotti afri-cani, iberici, siro-palestinesi ed egeo-orientali) sinoalla fine del V secolo; la vicinanza alla costa eduna vivacità mercantile che tocca anche l’internoed i siti più lontani dalle principali vie di comuni-cazione, accentuano la diffusione delle merci d’im-portazione. Nel VI secolo, con un radicale cam-biamento di tendenza, si conferma anche in taliaree la preponderanza della circolazione di merciprodotte localmente sulle importazioni114.

Nella lucchesia (dalla Valle del Serchio all’area ver-siliese) si verifica una trasformazione progressivadello scambio. Sino al IV secolo sono diffuse quasiin modo capillare sia le importazioni sia le cerami-che locali. Tra V-inizi VI secolo, cambia tutto: unafortissima diminuzione di ceramiche d’importazio-ne che con gradualità scompaiono, mentre i pro-dotti ceramici d’imitazione aumentano prepoten-temente; l’agricoltura si specializza e tende il piùpossibile all’autosufficienza, con la conseguente cir-colazione di anfore vinarie provenienti da aree vi-cine ed in particolare i contenitori valdarnesi.Alcune indagini mostrano la composizione del cor-redo ceramico di singole abitazioni, lasciando con-statare i cambiamenti nello spazio di un secolo emezzo.Colle Carletti (Orentano di sotto-Pisa)115, esempli-fica la dotazione ceramica di edifici frequentati nelIV secolo e per tutto il V secolo. Il deposito restitu-isce 31 recipienti da mensa in africana, 29 imita-zioni e 19 esemplari di forme chiuse ad impastodepurato; il rapporto tra importazioni e produzio-ni locali si inverte per la ceramica da fuoco: le afri-cane sono rappresentate da 13 attestazioni mentrele forme ad impasto grezzo corrispondono a circa447. Le anfore sono invece scarsamente attestate,pochi frammenti di contenitori africani non defi-nibili, una di produzione adriatica ed una Dressel20. Calcolando una frequentazione di almeno tregenerazioni nell’arco di un secolo si può pensaread una media di 30 forme da mensa, di circa 150-160 forme da fuoco e 2-3 anfore usate nell’arco di30-40 anni.Nei pressi di Orbetello (Gosseto)116, per la fine delV secolo, un’emergenza di reperti mobili in superfi-cie interpretata come casa in materiale deperibile eracaratterizzata dalla presenza di almeno 22 diverseforme in africana e 7 in depurata per i tipi da mensa,una decina di forme ad impasto grezzo per la cera-mica da fuoco, 7 esemplari di anfore. Mancano ri-scontri di scavo per scandire ulteriormente il rap-porto tra reperti affioranti e presenze in giacitura,non crediamo però che il panorama delle forme at-testate possa mostrare variazioni eccessive nelle suecomponenti; sicuramente cambierà l’ammontare deisingoli recipienti ma non forniranno ulteriori indi-cazioni per quello che riguarda le informazioni ditipo economico: diffusione di importazioni e circo-lazione capillare di merci nelle zone extraurbane.In località S. Quirico (Chianti senese)117, un’abi-tazione databile alla metà del VI secolo rivela lamutata composizione del vasellame impiegato daun nucleo familiare nel corso di una generazione:

113. Si vedano al riguardo FRANCOVICH, VALENTI 1997; VA-LENTI 1999.114. CAMBI 2002, p. 239.

115. ANDREOTTI, CIAMPOLTRINI 1989.116. CIAMPOLTRINI, RENDINI 1989.117. VALENTI 1994; VALENTI 1995b.

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22 esemplari da mensa imitanti le ceramiche afri-cane, 45 da fuoco, 2 dolia.Le restituzioni ceramiche dei contesti urbani fannoriconoscere un processo analogo a quello verificatonelle zone rurali. Sino a tutto il V secolo osserviamouna duplice realtà: città nelle quali continuano a cir-colare grandi quantitativi di ceramiche sigillate nord-italiche e africane, di anfore prodotte sia nel Medi-terraneo occidentale (Africa e Spagna) sia nelle for-naci regionali (anfora di Empoli) accanto a produ-zioni locali; città nelle quali le importazioni sononumericamente più limitate e dove le produzionilocali risultano invece in grande abbondanza. In tut-ti i casi con il maturo VI secolo le importazioni ri-sultano un fatto episodico e contemporaneamente èosservabile la decadenza di centri produttivi ope-ranti in economia pienamente di mercato anche sein un raggio sub-regionale. Questa tendenza è benriconoscibile osservando l’evoluzione tipologica ditutte le ceramiche con coperta rossa118.Il “caotico” definisce sia la caoticità della distribu-zione insediativa, sia l’assenza di progettualità; ca-ratterizza decenni problematici e di instabilità delgoverno centrale, segnati da uno stato di guerra piùo meno permanente119, da carestie e da epidemie120.

Ad esse si accompagnava il declino demograficonelle campagne121, sul quale aveva influito sinodagli anni della guerra greco-gotica l’imposizionesempre più esosa della tassa sul terreno e sullaproprietà122, complicando una situazione econo-mica già in fase recessiva.Rappresenta l’interfaccia tra il mondo tardoanticoe quello altomedievale123. Essendo un periodo dipassaggio non ha il significato di completa e radi-cale rottura, un day after; bensì di anni in cui scom-paiono alcuni elementi della società tardoromanamentre altri caratteri, seppur alterati ed in via diulteriore traformazione, persistono ancora.I cambiamenti avvengono con progressione nel cor-so del VI secolo, con un processo che si mostra com-piuto agli inizi della seconda metà. In generale nonsono più riconoscibili archeologicamente sul terri-torio indizi di organismi dominanti. Questo elementoha fatto ipotizzare una popolazione rurale, di scarsaentità numerica, che si è trasformata. I contadini, da

118. Particolarmente significativa è l’evoluzione tipologica deiboccali e delle brocche. Sino alla metà del VI secolo sono at-testate forme che mostrano ancora stretti legami con gli esem-plari tardoantichi. Il boccale caratterizzato da bordo estro-flesso, collo breve, corpo spesso ovoidale, fondo piano e apo-de in uso tra V e VI secolo, viene affiancato dal boccale conventre decisamente ovoidale ed il collo molto stretto nel Vsecolo avanzato, che raggiunge la metà VI-VII secolo (comeattestano gli esemplari di Massaciuccoli e Fiesole). Quest’ul-timo è strettamente legato ai tipi con ansa a nastro legger-mente insellata e complanare o impostata poco sotto il bor-do, bocca appena trilobata o circolare, corpo quasi a sacchet-to in parte coperto da vernice rossa, databili tra fine VI-VIIsecolo. Nel complesso si tratta delle ultime forme diffuse alivello regionale e distribuite da più centri produttivi (attesta-te a Fiesole, Arcisa, Massaciuccoli, Pistoia, nel Chianti sene-se); le stesse bottiglie rinvenute a Fiesole rimandano decisa-mente ad una produzione specializzata. Sembra poi proponi-bile una netta diversificazione delle forme (sia acrome sia abande rosse) sino a tutto il X secolo che sottintende ad elabo-razioni locali; in altre parole i boccali in uso dal VII secolopotrebbero essere stati prodotti da vasai operanti per una com-mittenza composta da più nuclei di popolamento dislocati inpiù circondari.119. Citando uno dei tanti autori che hanno descritto que-sto periodo: «Gli anni 554-68 costituiscono un breve in-tervallo nell’arco dei settant’anni di una guerra che ripresenel 568 con le invasioni dei Longobardi e continuò, conqualche interruzione, fino al 605. Pur se l’Italia medicò leproprie ferite dopo il 605, come aveva già iniziato a faredurante la breve pace, non c’è dubbio che il colpo era statoforte» (WICKHAM 1983, p. 41).120. Si veda per la criticità della situazione economica, so-ciale e politica dell’Italia CAPITANI 1992, pp. 32-43. Comericorda ancora Wickham più volte (WICKHAM 1983; WICKHAM1998), Procopio descrive carestie tremende sin dal 538; lapeste bubbonica si manifestò ad ondate a partire dagli anniquaranta del VI secolo; nel 556 papa Pelagio I affermavache i propri possedimenti italiani erano disabitati; papa Gre-gorio Magno descriveva un quadro di desolazione e crisi de-

mografica. Pur senza estremizzare la portata degli eventi, èinnegabile lo svolgersi di decenni fortemente critici. Per lasuccessione delle epidemie dall’età giustinianea e quelle deitre secoli successivi si veda comunque CORRADI 1972. Nelloscavo di Settefinestre si sono riconosciuti indizi indiretti sullapresenza di malaria nella Maremma di V e VI secolo. I restiumani rinvenuti nelle sepolture ricavate negli strati di crollodella villa, appartenevano ad individui giovani che si nutri-vano quasi esclusivamente di carne e che erano affetti daanemia mediterranea, un’alterazione congenita del sangueche però rende immuni dalla malaria. Le epidemie di mala-ria erano quindi diffuse in forme tali da innescare una sele-zione naturale che favoriva solo gli individui immuni dallamalattia (CARANDINI 1985a; CELUZZA 1993).121. Sulle stime demografiche dell’Italia intorno alla metàdel VI secolo (valutazione pari a 4.000.000 di abitanti) sivedano soprattutto CIPOLLA 1959; PINTO 1996; CAMMARO-SANO 2001; CHIAPPA MAURI 2002 (significativo il titolo delprimo paragrafo sull’alto medioevo: I secoli dell’uomo raro)e bibliografie indicate. Si legga inoltre sulla crisi demogra-fica delle campagne PRATESI 1985, pp. 61-76; infineBELLETTINI 1973. Per i criteri sui quali si è fondata la stimademografica per il medioevo si veda PICCINNI 1986.122. Si veda STUMPO 1983 per la pesantezza e gli effettinegativi della jugatio-capitatio, associazione dell’impostaprediale ereditaria e della capitazione, alla base del sistemafiscale del tardo impero. Si veda inoltre TRAINA 1994, p.89: «la crisi economica colpì l’equilibrio di ciò che chia-miamo il sistema della villa, accellerandone l’evoluzioneverso nuove soluzioni: l’eccessiva tassazione, nei momentidi crisi, portava all’abbandono dei campi; al tempo stesso,le misure a favore dei contribuenti dovevano essere am-mortizzate in altra maniera, ad esempio intensificando leopere pubbliche militari. Il problema non poteva essere ri-solto con periodiche misure ad hoc; ciò può contribuire aspiegare le ragioni del rinnovato interesse per gli agri de-serti. (…) Si tratta quindi di un processo di avvicinamentoalla natura che ritroveremo nel medioevo in forma com-piuta, ma che si era avviato già in età romana».123. Per l’Emilia centrale è stato sottolineato un processomolto simile: «La contrazione del popolamento antico, ini-ziato con le vicende della guerra greco-gotica si accentuòinesorabilmente tra la fine del VI e la prima metà del VII,fase cronologica alla quale si riferisce un vero e proprioabbandono dell’insediamento sparso nelle campagne perdare vita a nuove forme organizzative che preludono a quel-le di età medievale» (GIORDANI, LABATE 1994, p. 164).

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semplice strumento di produzione soggetto a rap-porti personali di vario titolo e ad obblighi fiscali,divengono forse una massa di individui tendenzial-mente liberi per brevissimo tempo.Non possiamo però definire questo fase “l’età d’oro”delle famiglie rurali, anche se doveva essere venutameno la pesante pressione fiscale tardoromana124.Ma allo stesso modo non possediamo elementi perricondurre le evidenze riscontrate nelle campagne apoderi affidati a servi od a coloni e compresi neipatrimoni di proprietari residenti in città. Osservandole condizioni della campagna, il carattere delle abi-tazioni, il loro basso numero e la collocazione suterreni in precedenza compresi in latifondi ormaidecaduti, non si ha questa impressione.Interessante si rivela il ricorso alla statistica per com-prendere meglio i processi insediativi realizzatisi.Le ricognizioni sui territori provinciali di Siena edi Grosseto si sono estese su 1979 kmq pariall’8,60% dei 22.990 kmq circa del territorio re-gionale. Hanno rivelato 2521 strutture dell’inse-diamento databili tra I-IV secolo, 506 tra IV-VI se-colo e 201 tra VI-VII secolo. Mostrano così unaprima crisi molto forte, con una diminuzione distrutture pari al 498%, nel periodo IV-VI secolo edun crollo significativo fra VI e VII secolo quando ildecremento risulta del 251% e del 1254% dal pe-riodo di maggiore popolamento. Proiettando talivalori sull’intera Toscana si ottengono risultati ipo-tetici molto indicativi: il popolamento si diradaquasi a dismisura nello spazio di 300 anni circa,periodo per il quale la crisi demografica e la scom-parsa di un’organizzazione quasi capillare della pro-duzione e della terra viene evidenziata indiscutibil-mente dai numeri. Tra I-IV secolo è possible ipotiz-zare 29.286 siti in vita con una media di 1,27 perkmq, tra IV-VI secolo 5878 siti con una media di0,25 per kmq (cioè un sito ogni 4 kmq) e tra VI-VIIsecolo 2335 siti con una media di 0,10 per kmq(cioè 1 sito ogni 10 kmq)125. (Figg. 43-45)

Gli indicatori archeologici mostrano la povertàdelle strutture, l’uniformità economica ed un po-polamento regionale che si localizza distribuen-dosi ad isole dalle maglie molto larghe; fanno pen-sare a territori caratterizzati da una semplificazio-ne progressiva delle strutture sociali, che pare in-diziare la scomparsa dell’impronta organizzativadella classe dei medio-grandi possidenti romani126.Mancano quindi i segni di una gestione del lavoroed emerge invece un quadro di crisi; le condizionidi vita non sembrano ottimali, anzi l’immagine èquella di una decadenza e miseria diffuse. È ingran parte questa la campagna toscana tra la pri-ma e la seconda metà del VI secolo, segnata dalladisarticolazione del rapporto con la città, dall’as-senza di progettualità economica, da famiglie con-tadine che sopravvivono, da larghe fasce di terri-torio incolte e boschive127.Significativo è il parallelismo tra l’abitazione sca-vata nel Chianti senese128 e quella scavata a Sienanella piazza del Duomo129. Ambedue sono quasi deituguri, occupano circa 20 mq, la pianta è rettango-lare, gli elevati sono in terra (nel caso di Siena confondazione in pezzame di pietra legata da grumi dicalce e sabbia), il tetto ad uno spiovente (in mate-riale deperibile a Siena in tegole e coppi nel Chian-ti), il focolare circoscritto da pietre; in un angoloalcuni grandi contenitori fungevano da dispensa(un’anfora di produzione orientale a Siena; duedolia nel Chianti).Il parallelismo prosegue anche per la fine del VI-VII secolo, con il passaggio ad un’edilizia per ca-panne, come evidenziano le strutture semiscavatepoggibonsesi e quella rinvenuta recentemente aldi sotto del Duomo di Siena o nello scavo dellacittà abbandonata di Cosa.A Siena, su un’area d’intensa frequentazione inetà imperiale e adibita a discarica in età tardoan-tica per livellare il pendio, fu impiantata una pic-cola necropoli poco distante da una capanna tipogrubenhaus circolare, dal diametro di circa 4 m eprofonda 2 m; doveva avere alzati in terra e can-niccio ed essere divisa in due parti: quella più bas-sa sembra riconducibile ad una cantina sottostan-124. WICKHAM 1988, pp. 108, 121-122.

125. Ricorda Capitani «Anche senza poter racchiudere in unaformula complessiva le condizioni dello sfruttamento dellaterra (…) sembra plausibile che si indichi, nel periodo consi-derato, il protrarsi ed in taluni casi l’aggravarsi di condizioniche erano proprie del paesaggio agrario tardo-romano: ciòperché, in molti casi, le ragioni che avevano determinato cer-ti fenomeni di insediamento, anziché certi altri, persistevano,pur nella varietà del succedersi di invasioni, frantumazioni diaggregazioni territoriali di antica tradizione, calamità natura-li di vaste proporzioni (la degradazione del suolo, dovuta adalluvioni e sedimentazioni per abuso della terra coltivata; in-curia ed abbandono delle opere idrauliche ed irrigue romane;cambiamenti climatici); pestilenze terribili e gravi endemie(malaria) indubitabili (una peste nera è attestata nel 543).Anche se è sempre possibile porsi la classica domanda se furo-no queste le cause o gli effetti dello spopolamento che è undato costante del periodo considerato, rimane certo un fatto:quello dello spopolamento» (CAPITANI 1992, p. 87).

126. Come sottolinea anche Pasquinucci in un’analisi recentedel territorio livornese, basata su dati di ricognizione e di sca-vo, «Il paesaggio e le strutture produttive e commerciali “ro-mane”, pur con modificazioni sempre più evidenti nel tempo,si conservarono sino al VI secolo d.C. Negli anni 535-553 laguerra fra Goti e Bizantini interessò anche questa regione,portando distruzioni, rovine e carestie. Infine, la conquistalongobarda, a partire dalla fine del VI secolo, pose le premes-se per il passaggio all’età medievale» (PASQUINUCCI 2003).127. Sulla destabilizzazione del sistema fondiario romanotra VI e VII secolo si vedano CARANDINI 1993 e GIUSTECHICONTI 1992, pp. 17-20.128. VALENTI 1994 e VALENTI 1995b.129. BOLDRINI, PARENTI 1991.

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te il pavimento in assito del quale sono visibili glialloggi sul piano di appoggio (una cornice circo-lare di circa 50 cm di larghezza alla base dell’esca-vazione più alta)130. (Figg. 46-47)A Cosa, nel primo periodo longobardo, venne rioc-cupata l’area del Foro attraverso la costruzione diuna chiesa dotata di cimitero con oltre duecentotombe e la popolazione sembra aver vissuto in pic-cole capanne, con pianta rettangolare ed angolistondati, elevati in materiale deperibile sorretti dabasamento in pietra o da un’armatura di pali po-sti ai limiti dell’escavazione131. I confronti più stret-ti, soprattutto con Brescia-S. Giulia132, sembranodare conferma alla cronologia proposta in via pre-liminare dagli archeologi.Un’ulteriore forma abitativa attestata, cioè l’usodelle grotte in zone morfologicamente predispo-ste, rafforza ancora di più l’immagine decadente.Sembra essere una tipologia insediativa caratteri-stica della lucchesia settentrionale133 e del territo-rio grossetano meridionale134, anche se recente-mente sono stati individuati esempi nel senese aPienza135 ed al Vivo d’Orcia136.Si riconoscono due diversi tipi e due diverse duratedel loro sfruttamento. Nella Toscana meridionaleinterna il fenomeno rupestre è riscontrabile in modosignificativo sui comprensori comunali di Sorano ePitigliano (Grosseto) collegandosi a realtà abitati-ve e funerario-religiose con una complessa gammatipologica e lunghe frequentazioni137. Si tratta in-

vece di una scelta occasionale nell’Alta Valle del Ser-chio e nelle alture della Garfagnana (Lucca)138, confrequentazioni isolate di cavità rocciose naturali spar-se sui rilievi costeggiati dal fiume. Grotte abitate li-mitatamente al periodo tardoantico sono state rin-tracciate sulla Pania di Corfino (Grotta del Cinghia-le), a Soraggio (Caverna delle Fate), a Fabbriche diVallico (Buca di Castelvenere). Erano scelte comeripari temporanei o stagionali nello sfruttamento deiboschi per la produzione di legname. Più che nellaspelonca vera e propria, occupata solo occasional-mente, la frequentazione si svolgeva all’interno delriparo che ad essa introduce; qui sono stati rinvenu-ti i nuclei maggiormente cospicui di materiale cera-mico indizio d’uso. Anche nell’alta valle dell’Albe-gna è attestato un riparo in grotta in località Monte-merano nei pressi di una villa abbandonata139. Il casosenese deve essere ancora investigato; in linea dimassima propone similitudini con l’area lucchesenella scelta della grotta (vengono sfruttate cavitànaturali) e la vicinanza dei rilievi amiatini potrebbefare sospettare la medesima finalità.Su alcuni punti del modello sono sorte delle con-troversie. La proposta di un breve periodo di indi-pendenza delle famiglie contadine e di un mancatocontrollo della città sul territorio, è stata dibattutasoprattutto da Brogiolo140. Delle obiezioni sonolecite; è vero che «conosciamo ancora troppo pocodei castelli, diffusi particolarmente nella lucchesiae nel grossetano e delle città, dove potevano risie-dere i proprietari di poderi lavorati da servi e colo-ni». La presunta indipendenza contadina non ri-guarda comunque il periodo dell’occupazione lon-gobarda; la mancata organizzazione in larga scaladel territorio rurale da parte delle prime aristocra-zie longobarde toscane non è stata proposta comesegno di un’assenza di gerarchie sociali141.Diverso è il caso della ceramica dipinta di rosso lacui presenza «mal si accorda inoltre con la presuntadisorganizzazione del “modello caotico”»142. Que-sta produzione, pur diffusa sull’intera regione (Ro-selle, Fiesole e Firenze-Piazza della Signoria, zona diAsciano, Lucca e suo entroterra, Volterra, Pistoia,Siena ed il senese, Arezzo) mostra peculiarità regio-nali e spesso sub-regionali; intorno alla metà del VIsecolo, come già esposto in precedenza, si localizza

130. CAUSARANO, FRANCOVICH, VALENTI 2003.131. CELUZZA, FENTRESS 1994.132. Si vedano per esempio BROGIOLO 1991, pp. 104-105;BROGIOLO 1994a, pp. 108-109. A Brescia-S. Giulia due capan-ne relative alla prima occupazione longobarda avevano pian-ta quadrangolare con angoli stondati, dimensioni ridotte (edi-ficio III: 3,80×3 m ed escavazione compresa tra 40-15 cm;edificio IV: 2,5×2,5 m ed escavazione di 80 cm), armatura dipali laterali ed alzati in rami intonacati. Altre capanne dellostesso periodo, circa una decina, erano anch’esse in tecnicamista con riuso di murature romane superstiti integrate daarmatura di pali poggianti su basi in pietra o inseriti nellemurature, elevati in ramaglia rivestita d’argilla.133. CIAMPOLTRINI et alii 1991; si veda anche VALENTI 1994con bibliografia.134. Si veda BOLDRINI 1987 per un’ampia disamina sullazona; inoltre PARENTI 1980 e BOLDRINI, DE LUCA 1985.135. In FRANCOVICH, VANNINI 1981 sono presentati i mate-riali medievali rinvenuti nella Grotta del Beato Benincasadurante uno scavo preistorico. Una revisione della cerami-ca, effettuata nella relazione di Francovich-Valenti al con-vegno di Aix-en-Provence del 1995, ha proposto una cro-nologia di VI-VII secolo: FRANCOVICH, VALENTI 1997.136. GALIBERTI et alii 1996.137. L’area, caratterizzata dalla presenza di tufi vulcanici,è stata indagata per meglio comprendere l’insediamento alunga frequentazione di Vitozza. La ricerca, pur condizio-nata dagli effetti di uno sfruttamento delle grotte tufaceeperdurato sino agli anni sessanta producendo sistemazionidegli ambienti e tecniche di scavo simili nel tempo o co-munque difficilmente distinguibili dalle antiche, dà mododi ricostruire le tendenze insediative del territorio e datarel’inizio della stessa facies rupestre.

138. CIAMPOLTRINI et alii 1991.139. FENTRESS 2002, p. 262.140. BROGIOLO 1997, p. 109.141. L’esempio proposto in FRANCOVICH, HODGES 2003 asostegno della presenza di segni di distinzione sociale nonriscontrabili archeologicamente nella casistica insediativama ancora da individuare (sono presenti per esempio intraccia nei corredi delle necropoli di Castel Trosino e No-cera Umbra) è senz’altro giusto e centrato ma non inerenteai decenni del “caotico”.142. BROGIOLO 1997, p. 109.

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Fig. 46 – Siena: ricostruzione dell’abitazione di metà VI secolo indagata in Piazza Duomo.

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e si semplificano le forme fabbricate, differenzian-dosi anche notevolmente, fino a scomparire143.Il modello caotico non è stato esteso all’intera To-scana, mettendo in rilievo come la situazione pote-va essere più articolata in quelle zone che possonoconsiderarsi strategiche o di frontiera144. Qui l’in-sediamento pare essersi organizzato soprattutto incentri fortificati di altura, anche se sono pochi iriscontri da ricognizione e di scavo. Per il sud vieneproposta la presenza di fortificazioni bizantine (unalinea meridionale composta da Cosa145, forse Ro-

selle146, forse Talamonaccio147, Capalbiaccio148, So-vana, Saturnia ed altre piccole località; una lineasettentrionale estesa fra la zona di altura di Tirli-Scarlino e le alture di Roccastrada) parallele al cor-so dell’Albegna e facenti parte di una frontiera flut-tuante, benché l’ipotesi tenga conto soprattutto divecchi rinvenimenti occasionali e dell’analisi topo-nomastica149.Anche per la zona di Vitozza si è ipotizzato unasituazione simile. I dati, comparati con studi rela-tivi alla zona dell’Alto Lazio (limitrofa, paesaggi-sticamente simile talvolta collegata: per esempioil limes longobardo-bizantino del tardo VI-VII se-colo) hanno evidenziato che gli abitati rupestri sisituano con regolarità su speroni naturalmente di-fesi alla confluenza di due fiumi, componendo unarete insediativa molto fitta. Decine di piccoli vil-laggi in grotta, la cui vicinanza impedisce un am-pio controllo visivo del territorio. In molti casisono preesistenti alla costruzione di castelli collo-cati nei loro pressi. Prove in tal senso sarebberoriscontrabili nelle grotte tagliate dai fossati artifi-ciali delle fortificazioni aldobrandesche di Vitoz-za apparentemente realizzate alla fine del XII se-colo; in altri siti, nelle grotte poste fuori dai cir-cuiti fortificati.Sono oggetto di frequentazione almeno sino dal-l’età tardoantica e per tutto l’alto medioevo comeindiziato dai loculi di deposizione paleocristianadi IV-V secolo e dalla chiesa rupestre riconosciutia Vitozza. In questo periodo i villaggi in grotta,affiancati da capanne sparse poste sui pianori, sonospesso difesi da fortificazioni e installazioni di tipomilitare delle quali rimangono tracce di fossati oevidenze di torri.Solo apparentemente più chiara (analisi archeo-logica abbinata a lettura di documenti, verificadella continuità toponomastica e rilettura di vec-chi rinvenimenti) si rivela la situazione del nord,dove pare stabilizzata una rete di roccaforti a pro-tezione di Lucca. Erano in gran parte castella bi-zantini o di età gota (il castellum de Carfaniana, ilCastrum Novum, il castellum Aghinulfi nella Gar-

143. La classe in questione ha da poco ricevuto un’adeguataattenzione da parte degli archeologi e un riconoscimentocome produzione con caratteristiche proprie. Per questi mo-tivi viene identificata in modi diversi; i più diffusi sono ce-ramica verniciata di rosso, ceramica a vernice rossa tarda,ceramica dipinta, ceramica a copertura rossa, ceramica in-gobbiata di rosso. Si tratta di recipienti con impasti moltofarinosi e teneri, coperta di colore rosso (talvolta con tona-lità bluastre causate da cotture eccessive) o tendente all’aran-cio. Sono comunque individuabili tre principali tipi di ma-nufatto: con coperta di buona qualità molto somigliante aduna vernice sintetizzata; con coperta molto diluita ed evani-de, in pratica un ingobbio colorato (rappresentano larga-mente le più attestate); con coperta parziale e distribuita insuperficie a formare motivi decorativi di carattere geometri-co (si vedano al riguardo le restituzioni di Fiesole-ViaPortigiani e Lucca). Le ceramiche con motivo decorativodipinto vengono rappresentate soprattutto dai grandi piattida portata e da brocche-boccali; la vernice impiegata è lastessa presente nei prodotti qualitativamente peggiori. Nelsenese, a Fiesole, a Lucca, le tre produzioni elencate, nonmostrano differenze per quanto riguarda forme ed impasti es’ipotizza che tutti i prodotti, sia con copertura uniforme siacon decorazione, uscissero dalle medesime officine; in altreparole siamo di fronte ad un’unica classe sulla cui definizio-ne influiscono soprattutto la funzionalità ed i criteri stilisti-ci rivelati dalle foggie. Per quanto riguarda le forme aperte,il filo di congiungimento sembra soprattutto la destinazionedi tali ceramiche ad uso mensa e talvolta cucina, la costanteripetizione e rielaborazione di archetipi in sigillata africanaD, ma non si escludono forme estrapolate da modelli in si-gillata microasiatica ed in sigillata adriatica. Le forme chiu-se non trovano invece confronti precisi ed è stata propostarecentemente per le restituzioni romagnole e fiesolane unaderivazione da prototipi metallici; si tratta di un repertoriolimitato soprattutto a pochi tipi con varianti interne, essen-zialmente boccali, brocche e bottiglie. Si vedano al riguardoFRANCOVICH, VALENTI 1997; VALENTI 1995a; VALENTI 1999.144. VALENTI 1995b; VALENTI 1999.145. A Cosa, dopo una lunga crisi demografica, è ricono-scibile una rioccupazione nel corso del VI secolo circa,quando sull’arx venne costruita una mansio con granaio,fienile ed una grande stalla per cavalli; nella zona del Forofurono impiantate costruzioni in gran parte destinate aduso civile ed anch’esse cinte da mura di fortificazione. Sonoinoltre riconoscibili case in muratura, una chiesa con cimi-tero ed un forno da pane. Potrebbe trattarsi della fonda-zione del nuovo centro amministrativo di Ansedonia, im-perniato su una cittadella con carattere militare nella zonadell’arx e su una zona popolare circostante (si veda CELUZ-ZA, FENTRESS 1994 con bibliografia; inoltre FENTRESS 2003).Questa interpretazione è stata parzialmente contestata. Purrestando valido il modello di città-fortezza, la nuova strut-turazione dell’arce viene vista come una vera e propria fat-toria fortificata che poteva qualificarsi come castellum pri-vato; in pratica si propone, dietro la spinta della nuovaclasse di proprietari goti (molto consistente in questa zona),uno «sfruttamento di aree urbane come “ville” secondo ilmodello che segnalava Rutilio Namaziano» (si veda CIAM-POLTRINI 1994, p. 603).

146. Roselle, alla fine del V-inizi VI secolo, subì alcuni in-terventi nella zona centrale: viene costruita una grandechiesa sulle rovine delle terme adrianee, dotandola di fon-te battesimale e cimitero ordinato su terrazzi; la strada ba-solata di età imperiale venne obliterata innalzando il livel-lo di calpestio attraverso gettate di terra e materiali di crollo,mentre l’edificazione di un muro di terrazzamento coprìparzialmente gli ingressi di case-bottega adiacenti alle pen-dici della collina nord. In questa fase la città, uno degliultimi caposaldi bizantini sulla costa toscana, doveva esse-re dotata di una fortezza, per il momento ipotizzata nel-l’anfiteatro (si veda CELUZZA, FENTRESS 1994 con bibliogra-fia).147. VON VACANO 1988; FENTRESS et alii 1991, p. 208.148. DYSON 1985.149. KURZE, CITTER 1995.

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fagnana, il castellum Uffi in Versilia), sfruttati poidai longobardi per garantire i confini con Luni epresidiare la via di penetrazione per la Maremmae Chiusi (zona intorno al quale si ipotizzano al-meno altri tre centri fortificati: il castrum Faolfi,Montepulciano e Sant’Antimo), chiave di volta perraggiungere Roma150. Nei loro immediati entro-terra, la popolazione si raccoglieva in abitazionila cui disposizione e collocazione geografica rien-tra nello schema tracciato per il periodo caotico:sorgono in zone già coltivate in età tardoromanae sfruttano talvolta i ruderi di ville abbandonateverso gli inizi del VI secolo.È stato ipotizzato che le fortezze fungessero an-che da centri amministrativi in embrione del po-polamento circostante, per lo meno fino a tutto ilperiodo bizantino151. Ma in questo caso, pur con ilimiti di teorie che non hanno il supporto di rico-gnizioni sistematiche o di scavi estesi, la traccia diun’organizzazione del territorio si basa sulla com-presenza di più elementi: le fortezze come centridi riferimento, l’abitato sparso nei loro entroter-ra, la presunzione dell’imposta fondiaria annualeche i bizantini avrebbero continuato pur con dif-ficoltà a riscuotere, tentando di generalizzarla allafine del conflitto poiché essenziale per il manteni-mento dell’esercito.L’impressione che però si ha guardando ai pochicasi di scavi effettuati in coincidenza di castra, èquella di una rete di fortificazioni abbastanza ele-mentari e mai di complessi imponenti come negliesempi dell’Italia alpina. Una sorta di avampostidai quali sembra difficile organizzare ed ammini-strare organicamente un territorio. Il loro pesosulle vicende della rete insediativa dovrebbe esse-re quindi ridimensionato. Con le parziali eccezio-ni di Cosa e Roselle (dove le fortificazione sonocomunque ridotte e limitate ad una sola parte delcentro), l’unico contesto realmente indagato in To-scana corrisponde a Filattiera, ricostruibile comeuna fortificazione in pietra presso Montecastelloed in un campo trincerato presso Castelvecchio,anche se gli scavi qui condotti non hanno interes-sato un’area particolarmente estesa.A Monte Castello, castrum bizantino databile allafine del VI secolo, la fortificazione era costituitada una spessa cinta muraria, conservata su un latoper circa 100 m, e cingeva una superficie di circa3500 mq. Affiancato alla cinta muraria, verso l’in-terno, era collocato un edificio rettangolare inpietra (30×8 m circa), diviso in tre ambienti, conun focolare rettangolare delimitato da lastre liti-che, che è stato interpretato come una ‘caserma’ e

rappresentò poco più di un presidio. L’insediamen-to dovette essere frequentato saltuariamente.A Castelvecchio sono stati trovati i resti di un cam-po trincerato, che occupava un’area estesa 800 mqcirca, interamente attraversato da una strada ac-ciottolata, difeso mediante due valli affiancati (pro-fondi e larghi 2 m) e da un aggere in ciottoli sor-montato da una palizzata. La povertà dell’insedia-mento, datato fra V-VII secolo, ha fatto avanzarel’ipotesi di una realizzazione legata a mercenarigermanici al soldo dell’Impero bizantino. Si trattaforse di un elemento di difesa piuttosto limitato edirettamente connesso al sottostante villaggio del-la pieve di Sorano: una specie di rifugio fortifica-to152 (Fig. 48).

2. INSEDIAMENTO ACCENTRATO

Il modello caotico, in sostanza, fotografa una To-scana dove convivevano delle realtà solo in partediverse. Esistevano zone nelle quali il peso dellagrande e media proprietà pare essere stato ormaiazzerato e la scarsa popolazione viveva per la pro-pria sussistenza, dove il legame città-campagnasembra essere venuto meno e le due forme inse-diative si omologano all’interno di un quadro eco-nomico, sociale e demografico livellato verso ilbasso. Esistevano anche zone nelle quali si indivi-duano le stesse manifestazioni di crisi e dove ungoverno delle scarse risorse territoriali doveva es-sere tentato soprattutto per sovvenzionare le trup-pe bizantine ancora presenti per alcuni anni dopola guerra greco-gotica153.Ciò non toglie che, in altre aree della regione, fu-ture ed auspicabili ricerche impostate su ricogni-zione e scavi mirati non possano rivelare tipi di-versi di occupazione e di gestione della terra. Peresempio l’esistenza di zone nelle quali, di frontead un abbandono generalizzato della campagnasopravvissero forse delle deboli forme di organiz-zazione della proprietà con attardamenti sino allafine del VI secolo, come da recenti ricognizioni

150. Si veda CIAMPOLTRINI 1990.151. CIAMPOLTRINI 1995.

152. Si veda GIANNICHEDDA 1998; inoltre GIANNICHEDDA,LANZA 2003.153. Recentemente Wickham, tentando una sintesi sull’ar-cheologia dell’alto medioevo italiano degli ultimi venti anni(WICKHAM 1998) nella quale ha affrontato anche il “caoti-co”, ha messo in evidenza che per quanto carico di sugge-stione non può essere esteso all’intera Italia ed all’interaToscana. Inoltre, come già nel corso del VII secolo, i vil-laggi dovevano essere stati parte di una gerarchia insediati-va. Le osservazioni sono giuste ma d’altro canto si devesottolineare che il modello non è mai stato esteso all’interaregione né tantomeno all’intera Langobardia. Allo stessomodo il modello non investe la realtà insediativa di VIIsecolo.

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Fig. 48 – Toscana: distribuzione degli abitati in grotta ed ipotesi di distribuzione dei castra tardoantichi/altomedievali.

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nel grossetano, tra la valle dell’Alma e la valle del-l’Osa154.L’eventuale incremento delle casistiche insediati-ve confermerà ulteriormente che il periodo delcaos segnò la frattura definitiva con l’organizza-zione tardoantica delle campagne. La fine del VIe gli inizi del VII secolo rappresentano così unafase cruciale per la storia insediativa del medioe-vo, come sottolineano anche i modelli elaborati alivello italiano evidenziando nel loro insiemeun’eterogenea geografia nazionale del popolamen-to proprio perché legata a decenni di trasforma-zione. Il confronto con il nord dell’Italia, per esem-pio, propone senza dubbio delle differenze sostan-ziali con la Toscana. Se tendenzialmente le areedell’antica Emilia non differiscono molto dal qua-dro tracciato155, il panorama insediativo setten-trionale sembra invece non aver visto mai la ces-sazione di un potere effettivo sulle campagne, col-legandosi alla tenuta dei centri demici fortificati(i castra) sviluppatisi pienamente tra VI e VII se-colo, inoltre con l’affermazione di «una costella-zione di insediamenti nucleati minori che allenta-no, e in taluni territori spezzano il rapporto cittàcampagna, anticipando fenomeni che avranno pie-no sviluppo in età feudale»156.Il contributo dell’archeologia è quindi insostitui-bile per comprendere la novità dell’insediamentoaltomedievale; una realtà che si va rivelando mol-to complessa e differenziata, oltre che regional-mente anche tra aree territoriali vicine, dove l’in-serimento dei longobardi non fece altro che ac-centuare i processi in corso e, da lì a breve, dareluogo a nuove forme insediative.La ricerca storica tende invece a proporre una retedi popolamento più semplice e quasi lineare, arti-colata in centri di villaggio e per lo più in casecostruite direttamente sui fondi coltivati, poi cre-sciute di numero nell’VIII secolo157. L’immagine,

dedotta dai contratti di livello pervenutici, pro-iettata retroattivamente anche a tutto il VII seco-lo, è quella di una campagna caratterizzata inmaniera considerevole da singole unità poderaliin cui risiedevano famiglie contadine dipendentie spesso piccoli allodieri158.In realtà la portata di queste ipotesi deve esserevalutata proprio per i limiti di fondo che presen-tano; come è stato osservato gli «atti privati, perparte loro, rivelano un campionario di patrimoniche deve essere trattato con molte precauzioni. Itrasferimenti che interessano parcelle isolate, grup-pi di parcelle o complessi fondiari modesti noncostituiscono la prova di una forte prevalenza delpiccolo allodio rurale» e di conseguenza «ci sfug-ge, fino al secolo VIII, qual’era la distribuzionereale delle ricchezze, quali erano le dimensioni deipatrimoni, la loro struttura e la loro mobilità, leloro tendenze al frazionamento o alla concentra-zione. Anche se la situazione diventa meno dispe-rata in Italia che in altre parti dell’occidente, leconclusioni alle quali si può legittimamente arri-vare rimangono modeste e banali»159.Le fonti archeologiche toscane, indirizzano versoconclusioni opposte nella ricostruzione dei qua-dri insediativi160. Tra la fine del VI ed il VII secolole abitazioni di “caotico” sono già abbandonate afavore di un nuovo tipo di popolamento raggrup-pato in centri. Le espressioni abitative «rilevatenelle fasi tardive di occupazione (precedenti al-l’età longobarda) non ebbero quasi mai esito»161,segnando la formazione ed il successo secolaredelle comunità agrarie162.L’assenza dell’insediamento sparso pare dimostratadal “vuoto” archeologico sul territorio. Le rico-gnizioni di superficie raramente rintracciano leevidenze di una o più abitazioni altomedievali iso-late o gli edifici di piccole fattorie ed il campionedi territorio esplorato (nell’insieme dei progettidi carta archeologica delle provincie di Siena,Grosseto e delle Colline Metallifere) è decisamente

154. Si ringrazia per le informazioni Emanuele Vaccaro,che svolge le indagini territoriali nell’ambito del XIX ciclodel dottorato in Storia e Archeologia del Medioevo del-l’Università di Siena.155. GELICHI, GIORDANI 1994.156. BROGIOLO 2001.157. Si veda per il ruolo dell’insediamento sparso nell’Italialongobarda SETTIA 1982, pp. 460-470 e SETTIA 1991, pp. 167-284. Inoltre la trattazione in ANDREOLLI, MONTANARI 1983,pp. 177-200 dove, pur riconoscendo la contemporaneità divillaggi e case singole e diversità regionali da appurare, siafferma (p. 180) che «In Italia, nei secoli VIII-IX, il modelloprevalente di habitat sembra essere quello sparso» e più avanti«Sembra dunque che ci troviamo di fronte ad un modelloinsediativo di tipo prevalentemente “poderale”: il mansoappare un’unità aziendale compatta, autonoma nei suoi con-fini, delimitata con chiarezza nella sua individualità». Piùavanti stemperano le loro affermazioni (pp. 181-182), perpoi riprenderle nuovamente con forza (p. 188) scrivendo«non infirma l’impressione che nell’Italia altomedievale, finoa tutto il secolo IX, il modello di gran lunga prevalente di

occupazione del suolo sia stato quello dell’insediamento spar-so (…). Un paesaggio anch’esso “decentrato”».158. In PASQUALI 2002, p. 10, nella sintesi sugli studi con-cernenti l’economia rurale fra VI e XI secolo, si sottolineacome la presenza della piccola proprietà degli allodieri,ormai assunta a certezza nella letteratura, sia in realtà unasupposizione poiché scarsamente documentata.159. TOUBERT 1995, p. 188.160. Ci riferiamo soprattutto alla parte centrale e meridio-nale del territorio toscano poiché il nord della regione nonè stato indagato in modo estensivo, né tramite ricognizionidi superficie né attraverso scavi.161. GELICHI 2001, p. 230.162. Recenti ricerche per esempio, confermano anche perl’esteso territorio compreso tra le diocesi di Massa e Popu-lonia, come il VII secolo si caratterizzi per la presenza ri-gorosa di villaggi (DALLAI 2003).

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significativo per ampiezza (pari al 23,77% delledue provincie e, come abbiamo già ricordato,all’8,60% dei 22.990 kmq circa della Toscana).Spesso la causa dei mancati rinvenimenti vienecollegata dagli stessi archeologi alla labilità deidepositi ed alla scarsa conoscenza dei materialiceramici: «un ritorno al modello preromano diautosufficienza, con capanne in legno a graticcioricoperto di argilla e ceramiche fatte a mano, liesclude dall’analisi archeologica»163. Ma ambeduele spiegazioni non convincono; per giustificare ilvuoto archeologico, ci si nasconde dietro spiega-zioni oggi inaccettabili.Grazie ad un lavoro puntuale sui materiali prove-nienti dai contesti della Transizione164 e da scavisui castelli165, disponiamo infatti di seriazioni ce-ramiche sempre più approfondite. Inoltre è lecitodomandarsi per quale ragione solo i depositi alto-medievali, formatisi conseguentemente all’abban-dono degli edifici in materiale deperibile, dovreb-bero rimanere celati nel terreno od irriconoscibi-li, quando ogni indagine di superficie individua iresti di capanne protostoriche, etrusche, romanee tardoantiche? Non convincono neppure alcunerecenti e troppo semplicistiche ipotesi sullo scar-so interro dei depositi altomedievali rispetto aquelli di più antica formazione e conseguentemen-te un loro depauperamento più accellerato166. Laquestione è quindi più complessa e archeologica-mente non possiamo che sottolineare l’esistenzadi popolamento rurale raccolto in forme accen-trate per tutto l’altomedioevo167.

La causa del vuoto di presenze deve essere quindiricercata nelle modalità di sviluppo della rete in-sediativa, che sin dalla fine del VI-VII secolo ebbeinizio prevalentemente attraverso la costituzionedi villaggi. Furono frequentazioni di lungo perio-do, talvolta ininterrotte sino ad oggi, dove le te-stimonianze più antiche venivano obliterate conil succedersi delle fasi di occupazione e delle ri-strutturazioni funzionali degli spazi168. Rappresen-tarono l’ossatura sulla quale s’impostò l’insedia-mento dei secoli centrali del medioevo e le cuitracce sono riconoscibili solo scavando.Tutto ciò non vuol dire che l’insediamento sparsosia in assoluto improponibile. Su basi documenta-rie, per la piana di Lucca e la Garfagnana (Tosca-na settentrionale) e per il Chianti e le zone amia-tine (Toscana centro-meridionale), Wickham hacontinuamente presentato reti insediative artico-late su centri di popolamento alternati ad aree di

163. CHRISTIE 1995, p. 145.164. In generale si veda SAGUÌ 1998. Per la Toscana si ricor-da ancora VALENTI 1995a; FRANCOVICH, VALENTI 1997.165. Si vedano i recenti studi sui materiali provenienti daPoggibonsi, Montarrenti e Scarlino (VALENTI 1996a; CAN-TINI 2003; MARASCO 2003; inoltre CANTINI 2000; CANTINI2003 c.s.) nonché il confronto fra Rocca di Campiglia eRocchette Pannocchieschi (BOLDRINI, GRASSI 2003).166. FELICI 2004.167. Per una trattazione più estesa di questo tema si vedaFRANCOVICH, VALENTI 2000 e FRANCOVICH, VALENTI 2001.168. In generale, l’eventualità di rintracciare depositi alto-medievali tramite la prospezione è risultata possibile di fron-te ad una casistica particolare di emergenze, legata a con-testi con cronologia di IX-XI secolo: siti definibili “falli-mentari” e siti incastellati abbandonati con superfici circo-stanti non urbanizzate. Si tratta in tutti i casi di insedia-menti accentrati. La definizione di “siti fallimentari” indi-vidua quei nuclei di popolamento che, costituitisi duranteuna congiuntura favorevole allo sviluppo della rete inse-diativa, furono abbandonati precocemente. Per adesso talicentri sono stati localizzati in aree d’altura coperte da ve-getazione boschiva; spazi connotati da terreni leggeri e adalto tasso di acidità che, non adatti all’insediamento od aseguito di vicende proprie, hanno visto occupazioni di bre-ve durata. Le indagini sui siti incastellati abbandonati e consuperfici circostanti non urbanizzate hanno dato modo dirintracciare stratificazioni altomedievali, confermando l’esi-stenza di agglomerati aperti successivamente cinti da mura.Si veda per alcuni esempi di “siti fallimentari” l’esperienza

svolta sui monti del Chianti (VALENTI 1995b) dove sonostati individuati contesti con ceramiche databili tra IX-XIsecolo. In particolare, in località Istine (Radda in Chianti),una sommità collinare di forma allungata, a dominio deltorrente Pesa, si presenta come una piattaforma intagliatanella roccia. Lo scavo di trincee ha mostrato l’esistenza dialcune strutture tipo capanna, con grande palo centrale,forse elevati in materiali misti (pietra e legno) e spessi stra-ti carboniosi. La superficie non mostrava alcun tipo di ma-teriale; la visibilità era inoltre quasi azzerata dalla vegeta-zione stabile. Si vedano come esempio del secondo tipo dirinvenimento ancora le esperienze svolte nella provincia diSiena. Nella zona del Chianti senese e della Berardenga, lericognizioni in località Sestano hanno permesso di trarreinformazioni da spazi boschivi e da sezioni occasionali, cre-ate dall’apertura di un sentiero. Presso La Fonte, due rilie-vi collinari in successione continua, con sommità arroton-data e versanti in lieve pendenza, coperti da bosco e deli-mitati dalla confluenza fosso di Calceno-fiume Ombrone,contengono depositi archeologici relazionabili ad un inse-diamento composto da più edifici in materiali deperibili.Le strutture del complesso si estendono inoltre su ambe-due i versanti dei rilievi collinari e sulle loro sommità. Sitratta probabilmente dello scomparso castello di Cerrogros-so attestato nella metà dell’XI secolo dalle fonti scritte, chedescrivono un nucleo di estensione ridotta, una chiesa e laprobabile origine da una curtis. La ceramica provenientedalle sezioni è ascrivibile nel corso del X secolo e mette inrisalto la presenza di un nucleo aperto preesistente al ca-stello stesso. Anche il caso di Valcortese rappresenta unesempio ottimale. Citato sino dagli inizi dell’XI secolo, oggiè un’emergenza monumentale in completo disfacimento edinvasa da vegetazione boschiva. La ricognizione ha rivela-to la presenza di due lunghe sezioni occasionali, distantialcune decine di metri dal castello, con tracce di stratifica-zioni ascrivibili al X-XI secolo e relative ad abitazioni inmateriale deperibile con tetto in laterizi. Questi depositisono indizi di un villaggio aperto più antico del castello;non si esclude che possa trattarsi di un nucleo aperto poifortificato con la recinzione della parte più innalzata. AMurlo presso la località Poggio Castello (CAMPANA 2002),un insediamento fortificato attestato nelle fonti scritte dal-la metà dell’XI secolo con il toponimo di Montepescini,l’indagine di superficie ha rivelato sugli spazi circostantimolte presenze di materiali mobili; tra esse si distinguonosette concentrazioni con ceramiche databili tra IX e XI se-colo. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un nu-cleo aperto poi trasformato in castello con la recinzionedella parte più innalzata.

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insediamento più rarefatto169. Ma l’evidenza ne-gativa della ricerca archeologica, non sta fornen-do conferme e se, a dire il vero, sono mancati fi-nora dei progetti di ricerca estensivi nellalucchesia, le ricognizioni di superficie hanno in-vece interessato ampie parti del territorio amiati-no e del Chianti senese170.Esiste quindi una discrepanza tra quanto si puòevincere dalle fonti scritte e quanto invece dallefonti materiali. Dal punto di vista archeologico,però, la scarsità dei rinvenimenti suggerisce che ilruolo dell’insediamento sparso nelle vicende in-sediative della regione, soprattutto per le aree cen-tro-meridionali (cioè quelle sottoposte a ricercheterritoriali), dovette essere molto marginale, men-tre un posto centrale fu occupato dai villaggi.Alcune emergenze ascrivibili al maturo alto me-dioevo, per esempio, sono state identificate du-rante le prospezioni nei dintorni di Follonica nelgrossetano171 e nella Val d’Elsa senese. Nel primocaso si tratta di reperti mobili ascritti al IX secoloed interpretati come indizio di un podere legatoalla vicina corte di Valli; la datazione si basa peròsu indicatori cronologici molto dubbi. Nella Vald’Elsa, presso le località Staggia (castello dall’an-no 994 sorto su un centro preesistente), Talciona(castello già nell’anno 998) e Valle (castello giànel corso del X secolo), alcune emergenze di su-perficie ascrivibili in un ampio lasso cronologicodi trecento anni (VIII-X secolo) sono forse inter-pretabili come componenti di villaggi a maglie lar-ghe anteriori alla fondazione dei castelli. Questiesempi, pur con un tasso di affidabilità incertoper lo scarso stato di conservazione dei reperti edegli ipotetici depositi172, non prospettano ecce-zioni al modello “siti di successo”, confermandouna tendenza verso l’insediamento nucleato; laloro collocazione spaziale sottolinea di nuovocome il villaggio sembra rappresentare una realtàdominante.Altre apparenti evidenze di insediamento sparsointerpretato come piccole case di legno in con-nessione con una rete di abitati accentrati, sonostate recentemente presentate per alcune aree dellabassa valle dell’Albegna. Le caratteristiche delleemergenze dei materiali in superficie (circa 5×5m, alcune tegole da copertura ed in genere privedi pietre), la cronologia ampia ad esse attribuita(VII-IX secolo), i criteri stessi di datazione (basati

sulla presenza di frammenti ceramici riconducibi-li ad una brocca globulare a fondo piatto ed ansaa nastro complanare al bordo individuata come“fossile guida” che trova in realtà confronto conanaloghe forme datate tra metà VI-inizi VII seco-lo) fanno suscitare dei dubbi. Non sembra trattar-si di piccole case di legno altomedievali, piuttostodi quelle stesse case in terra e copertura lateriziadell’età della transizione173.

3. LA FORMAZIONE DEL VILLAGGIO

Un problema di difficile soluzione è comprenderecome nacque la nuova rete insediativa. In un’elabo-razione iniziale del modello caotico erano state pro-poste una serie di eventualità che, cercando di tro-vare una spiegazione all’evidente accentrarsi del po-polamento, ipotizzavano nella funzione attrattivadegli edifici religiosi e, più o meno contemporanea-mente, nelle iniziative di carattere aristocratico i pro-motori della nascita dei villaggi174. Ad essi si aggiun-geva l’ulteriore possibilità di un’aggregazione spon-tanea delle famiglie rurali; l’abbandono delle case dicaotico e la loro sostituzione con centri di popola-mento più complessi sarebbe così derivata anche dallanecessità dei contadini di vivere raggruppati.Oggi possiamo discutere questi aspetti tramite unadisponibilità maggiore degli elementi di riflessione.Il ruolo accentratore della chiesa deve essere ridi-mensionato; i riscontri archeologici evidenzianosoprattutto come l’edificio religioso sia stato assentedai villaggi altomedievali riconosciuti al di sottodei castelli toscani. Nei rari casi in cui è invece at-testato, sembra rimandare a realtà insediative par-ticolari e meno frequenti, che ebbero un caratterepiù importante del semplice agglomerato rurale.Pensiamo in particolare al contesto di San Gene-sio (vico Uualari) nell’empolese, indagato da po-chi anni ma con risultati già indicativi. Si tratta diun centro di grande estensione, cresciuto proba-bilmente intorno ad una chiesa sorta a sua voltasu spazi di intensa frequentazione tardoantica (nonè però ancora accertata la continuità) ed assurtanel tempo ad un ruolo prestigioso, come testimo-nia l’assemblea ivi tenuta nel 715 per redimere lafamosa controversia tra i vescovi di Arezzo e di

169. WICKHAM 1989a; WICKHAM 1995; WICKHAM 1997. Sullestesse posizioni per la zona aretina si veda DELUMEAU 1996.170. CAMBI 1996; VALENTI 1995b.171. CUCINI 1989.172. VALENTI 1999. Tali emergenze sono state impiegate percalcolare un’eventuale divisione in unità di coltura del terri-torio legato ai centri di villaggio e proporre così modelligrafici e spaziali dell’insediamento e del territorio stesso.

173. FENTRESS, WICKHAM 2002, pp. 260-261 in particolaree nota 4.174. Questa ipotesi, priva di riscontri di scavo, si basavasulla coincidenza fra gli abbandoni delle abitazioni di etàcaotica e la comparsa di chiese nelle loro vicinanze. La ri-conversione delle aree rurali nell’orbita di poteri ben defi-niti veniva collocata in tale periodo, parallelamente al ri-trovato interesse della chiesa e l’avvento di organismi fon-diari legati all’aristocrazia.

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Siena175. Un abitato sviluppatosi progressivamen-te più in forma di agglomerato urbano e aderentealla definizione di vicus proposta da Castagnettiper la Langobardia: il villaggio contadino che rap-presentava, nell’ambito di un’accentuata ruraliz-zazione delle strutture politico-amministrative, ilpunto di coagulo dei vincoli di solidarietà fra isuoi abitanti ed in grado di configurarsi con unacerta autonomia amministrativa176. Lo ritroviamocitato tra fine X e XII secolo nell’itinerario di Si-gerico ed in quello di Nikulas abate di Thingor.Inoltre fra il 1055 ed il 1164 fu la sede presceltaper le diete indette dai messi del potere imperiale,raccogliendovi i rappresentanti delle città e dellealte aristocrazie toscane177.Nella casistica dei contesti insediativi altomedie-vali toscani l’edificio ecclesiastico, quindi, nonsembra essere stata un elemento “fondamentale”del villaggio. Azzara, in un contributo recente disintesi, ha osservato: «la capacità di attrazione diuna specifica chiesa potrebbe aver pur sempre fa-vorito lo svilupparsi nel tempo di un nuovo nu-cleo demico attorno ad essa» e «a sua volta, avrebbepotuto farle ottenere il rango di pieve, se già nonlo possedeva»178. Ciò non toglie che le manifesta-zioni archeologiche individuate nella nostra regio-ne sembrano indicare nei centri privi di chiesa laforma insediativa predominante e piuttosto negliesempi archeologici più chiari come San Genesio(che rientra a pieno titolo nella casistica di Azzara)le eccezioni.Oltretutto, non si potrà ignorare, anche di frontead una futura ed eventuale dimostrazione del con-trario, come questo sia il fenomeno finora piùmacroscopico; in tutti i centri indagati (con la solaeccezione di Scarlino per il IX secolo) l’edificioecclesiastico continua a non far parte delle strut-ture comunitarie. Riconoscere la presenza e ladestinazione funzionale della struttura quando nonvenne costruita in muratura è difficile, soprattut-to in contesti insediativi caratterizzati da grandiquantità di buche di palo spesso appartenenti afasi diverse e molto ravvicinate nel tempo. Ma unagamma di casi per effettuare confronti, seppure

quantitativamente non estesa, esiste179. Pertantola non evidenza archeologica di questo tipo diedifici è interpretabile come assenza certa tra lecomponenti del villaggio: una tendenza forse con-fermata anche dalle fonti scritte per i centri dipopolamento rurale della Toscana dell’intero pe-riodo longobardo che propongono chiese isolatee sparse nel territorio180.Alcune congetture, che sostanzialmente non dif-feriscono dal quadro tracciato, sono proponibilisulla base dei dati di ricognizione per chiese postenella Versilia, in Val d’Elsa, nel Chianti senese enella Garfagnana. Alla Pieve di San Giovanni eSanta Felicita nei pressi di Pietrasanta, documen-tata dalle fonti scritte dal IX secolo, le arature neicampi circostanti hanno portato alla luce alcunireperti mobili; attestano una frequentazione daporsi nel VI secolo conclusasi agli inizi del VII se-colo, sottoforma di pochi edifici in legno e conriutilizzi di strutture precedenti181. A Galognanoin comune di Colle Val d’Elsa, la chiesa esistevagià nel VI secolo come rivela il rinvenimento diun tesoretto composto da suppellettili dedicate182;

175. Nell’assetto territoriale della Toscana di età longo-barda, Siena fu favorita con un accrescimento della sua giu-risdizione civile a spese di Arezzo. Di conseguenza i vesco-vi senesi pretesero l’ampliamento della diocesi fino alla so-vrapposizione con il distretto cittadino, dando così inizioalla plurisecolare questione dell’appartenenza delle chiesebattesimali poste nella fascia di confine. Tra i tanti inter-venti sulla questione si vedano SCHNEIDER 1975; SETTIA1982; TABACCO 1966; TABACCO 1969; TABACCO 1973a; VIO-LANTE 1982.176. CASTAGNETTI 1982; CASTAGNETTI 1991; inoltre GALETTI1991.177. CANTINI 2002.178. AZZARA 2001, p. 5.

179. I casi indagati di chiese in legno, provenienti soprattut-to dall’Italia settentrionale, sono pochi: San Pietro aGravesano (sacello di IV secolo), San Martino a Sonvico (pri-ma metà del VII secolo), Chiesa Rossa a Castel San Pietro(VII secolo?), Sant’Ilario a Bioggio (prima metà VIII seco-lo), San Vittore a Terno d’Isola e Santa Maria Nullate a Fer-mo alla Battaglia (generico altomedioevo), infine San Tomèa Carvico (prima metà VII secolo). De Marchi, tipologiz-zando gli impianti edilizi fra tardoantico ed altomedioevo,ha sottolineato che le strutture in legno possono presentarsicome un semplice sacello rettangolare od essere provviste diabside trapezoidale o semicircolare sia realizzato tramite palisia in pietre; in un secondo momento vennero ricostruite inmuratura. Si veda DE MARCHI 2001. San Tomè rappresentaottimamente questo tipo di successione nella tipologia degliedifici (BROGIOLO 1986; BROGIOLO 1990; BROGIOLO, GELICHI1996). Lo scavo ha identificato quattro fasi principali. La pri-ma è rappresentata da un edificio absidato in legno, poi ri-strutturato (seconda fase) attraverso l’aggiunta di basamentiin pietra per l’appoggio dei pali lungo l’asse centrale (datatida una fibula ageminata di VII secolo). La terza fase vede l’ab-battimento dell’edificio in legno per far posto ad una costru-zione absidata in muratura, interessata successivamente da unaripavimentazione. Nell’ultima fase si realizzano opere difen-sive, costituite da un fossato con terrapieno, all’interno delquale si è rinvenuta una moneta di Carlo Magno. Nell’areadel nartece, contemporaneo alla chiesa in muratura, eranopresenti cinque sepolture, di epoca leggermente più tarda.Una ricca tipologia di églises en bois du haut moyen-âge ri-conosciute da scavo è invece disponibile per la Svizzera; alriguardo si vedano BONNET 1997 e SENNHAUSER 2001.180. SETTIA 1991, pp. 167-284.181. PARIBENI ROVAI 1995, pp. 170-177.182. Si tratta di un corredo eucaristico noto con il nome di«Tesoro di Galognano». La scoperta è stata effettuata casual-mente nel 1963 in un campo distante 80 metri dalla chiesaromanica di San Lorenzo in Pian dei Campi (VON HESSEN etalii 1977; KURZE 1989; SANTI 1994; MUNDEL MANGO 1986;VON HESSEN 1990; ARCAMONE 1984). Il corredo è costituitoda manifatture in argento: un calice grande, due calici medi,un calice piccolo, una patena, un cucchiaio. Si distingue daanaloghi tesori altomedievali rinvenuti in Italia perché sicu-ramente ex proprietà di una chiesa, quella di Galognano,

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Fig. 49 – Toscana: distribuzione delle chiese con frequentazione tardoantica presunta o accertata.

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le ricognizioni hanno mostrato la presenza di trepiccole emergenze con la stessa cronologia183. ASan Marcellino, nel Chianti, la pieve altomedie-vale fu edificata sul sito di una villa frequentatafino in età tardoantica ed i campi circostanti evi-denziano l’esistenza di uno scarso popolamentoche non si pone oltre alla metà-fine del VI seco-lo184. Santa Cristina in Caio a Buonconvento, pie-ve attestata per la prima volta nell’anno 815 sorseanch’essa nelle vicinanze di una grande villa lun-gamente frequentata che tra IV e VI secolo ospi-tava un’area cimiteriale185. I pochi frammenti ce-ramici posteriori al V-VI secolo rinvenuti duranteaccurate ricognizioni nei suoi dintorni, non con-cedono di ipotizzare la presenza di un villaggiosviluppatosi in connessione all’edificio religioso enon retrodatano la chiesa stessa186. Allo stessomodo è difficile collegare le ceramiche di metàVI-inizi VII secolo rinvenute in passato alla villadi Massaciuccoli ad un centro di popolamento sta-bile187 (Fig. 49).In molti dei casi elencati, le ricognizioni attestanopresenze di scarso conto, da leggere come un sem-plice addensamento demografico intorno agli edi-fici ecclesiastici. Le emergenze di reperti mobiliin superficie potrebbero poi rappresentare abita-zioni di “caotico” abbandonate prima della co-struzione degli edifici religiosi; le frequentazionihanno termine tra VI-forse inizi VII secolo e nonabbiamo indizi della continuità di popolamentonell’alto medioevo: sembrano delle brevi esperien-ze insediative fallite quasi sul nascere188. Manca-

no sia dati di scavo sia di ricognizione che indi-chino una delle molte chiese rurali toscane erger-si a promotrice o perno della formazione di unnuovo insediamento agricolo o silvo-pastorale dilunga frequentazione sino dal VI-VII secolo189.Se si deve riconoscere che le indagini archeologi-che su edifici religiosi e sui loro dintorni non sonostate perseguite con sistematicità come è avvenu-to in altre regioni, al tempo stesso non si può chiu-dere gli occhi di fronte alla esiguità numerica del-le presenze di materiali mobili rivelata dalle stessericerche di superficie sugli spazi circostanti. Trop-po spesso, inoltre, una bassa percentuale di reper-ti databili nel corso del VI secolo raccolti suun’emergenza riconoscibile come villa o comples-so produttivo non viene più interpretata come unarioccupazione di scarso profilo delle sue struttu-re. Bensì, ingigantendo la portata degli indizi, ilsegno di una continuità come centro di organiz-zazione della proprietà terriera e del popolamen-to, che si vuole confermata dall’esistenza di unachiesa (attestata da fonti documentarie altomedie-vali o più tarde ma retrodatata sulla base delleceramiche tardoantiche in superficie), seguendole suggestioni di quanto si va elaborando nel norde senza considerare che la campagna toscana fuinteressata da una severa destrutturazione tra V eVI secolo190.In generale nell’Italia settentrionale altomedieva-le, la presenza di chiese isolate sul territorio hafatto ipotizzare la loro relazione con una rete in-sediativa sia di tipo accentrato sia, soprattutto, di

come attesta l’iscrizione presente su uno dei calici medi: «+HUNC CALICE (M) PUSUET HIMNIGILDA AECLISIAEGALLUNIANI». Sulla patena corre invece la scritta incisa abulino e poi niellata (si scorge il residuo in corrispondenzadella “S”) «+ SIVEGERNA PRO ANIMAM SUAM FECIT».Dal punto di vista linguistico si tratta di un latino ormailontano dalle forme classiche e con elementi estranei alladeclinazione; per esempio «CALICE» è privo della termina-zione dell ’accusativo, «PUSUET» sostituisce pusuit,«AECLISIAE» sostituisce invece ecclesiae. I nomi delle duedonatrici, cioè «HIMNIGILDA» e «SIVEGERNA» sono diorigine ostrogota; il secondo, per esempio (ARCAMONE 1984,p. 254), è un nome composto con i temi germanici sibajo-(stirpe) e -gerno (premurosa). Attestano la presenza di nu-clei goti nella zona.183. VALENTI 1999.184. VALENTI 1995b.185. GOGGIOLO et alii 1995.186. I rinvenimenti sono stati effettuati durante le ricogni-zioni di superficie svolte nell’ambito del progetto Carta Ar-cheologica della Provincia di Siena; si veda la tesi di laureaCENNI 2002.187. CIAMPOLTRINI, NOTINI 1993.188. Gelichi afferma che in generale l’archeologia «forse nonpotrà chiarire il falso problema del rapporto plebs-pagus,ma aiuterà certamente a conoscere l’evoluzione materiale ditali insediamenti, come nel caso, non infrequente, di chiesesorte su ville o strutture rustiche tardo romane. Può anchecapitare che intorno ad una chiesa si sviluppi un insedia-mento; più facile la presenza di edifici abitativi connessi con

il luogo di culto o resti di attività artigianali e produttive.Alcune di queste sono strettamente collegate con la produ-zione di oggetti di pertinenza liturgica» (GELICHI 1997).189. Patrick Périn e Jean-François Reynaud, interrogandosisulle prime chiese e sulle origini delle pievi rurali francesi,riconoscono un processo di cristianizzazione delle campagneper mezzo dei vici, ad opera dei grandi proprietari (quindiattraverso le villae) e dei monasteri. Le prime chiese battesi-mali sono attestate sino dal V-VI secolo e tra VI-VII secolonella Gallia del Nord. Durante l’VIII secolo, la moltiplicazio-ne delle chiese contribuisce a riunire ed a stabilizzare la popo-lazione, senza essere però all’origine della formazione dei vil-laggi. In questa fase le necropoli sono abbandonate, i cimiterivengono trasferiti nei pressi della chiesa e quest’ultima divie-ne uno degli elementi fondamentali del paesaggio francese. Ètra VIII e X secolo che si costituisce una vera e propria reteparrocchiale: segna una mutazione profonda del mondo ru-rale e la sua definitiva cristianizzazione. La costituzione delterritorio di una pieve nasce comunque in modo progressivo,iniziando come una copertura delle campagne più che di unarete organizzata. Si veda PÉRIN, REYNAUD 1990. RecentementeReynaud ha precisato ancora i modelli di riorganizzazione ec-clesiastica in Gallia tra VII e VIII secolo (REYNAUD 1999).190. Come viene proposto nel paragrafo 5.1, le ricogni-zioni mostrano un notevole collasso della rete insediativarurale tra I-IV secolo (in media 1,27 siti per kmq), IV-VIsecolo (in media 0,25 siti per kmq) e VI-VII secolo (in me-dia di 0,10 siti per kmq); il decremento delle strutture èpari al 498% nel periodo IV-VI secolo con un crollo ulte-riore del 251% tra VI-VII secolo (e del 1254% dal periododi maggiore popolamento).

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tipo sparso191 (che parrebbe trovare fondamentonelle fonti storiche)192; sinora le ricognizioni ter-ritoriali, nei pochissimi casi nei quali sono statesvolte, non hanno però portato delle conferme.Anche quelle chiese che sono state oggetto di sca-vi193, pur fornendo dati sulla loro fondazione giàin età tardoantica od agli inizi dell’alto medioevo,non mostrano un chiaro rapporto fra edificio re-ligioso e popolamento194, così come con la nascitadell’insediamento accentrato195. I numerosi inter-venti effettuati in Piemonte, Lombardia, Friuli eTrentino evidenziano per il V-VII secolo soprat-tutto un processo capillare di cristianizzazionesvoltosi attraverso chiese edificate sfruttando i restidelle ville abbandonate e, in minor numero, sce-gliendo nuovi spazi. Talvolta i complessi tardoro-mani continuano ad essere impiegati anche comearea cimiteriale o come zona abitativa contempo-raneamente all’uso della chiesa; sono però fre-quentazioni che allo stato attuale dei dati non per-mettono di ipotizzare comunità di grandi o mediedimensioni e soprattutto di lunga durata. La solaparziale eccezione sembra costituita dal contestopiemontese di Desana dove una chiesa di V seco-lo edificata sugli spazi di una villa in rovina, videlo sviluppo di un cimitero fra VII e VIII secolo

affiancato da capanne che non sono riconducibiliperò ad un modello chiaro di habitat196.I problemi da risolvere sono ancora molti per chia-rire il rapporto tra chiesa ed abitato circostante.Innanzitutto di scala: quanto erano estesi questiinsediamenti? In secondo luogo di tipo numeri-co: a quanti individui ammontava la comunità?Infine di tipo socio-economico; come si è chiestoBrogiolo «l’archeologia non è attualmente in gra-do di chiarire la posizione sociale dei nuovi abi-tanti e rimane perciò aperto un problema di fon-do per ricostruire l’evoluzione delle campagne inquesta fase cruciale: il gruppo insediatosi nella villaera formato da liberi coltivatori, sostituitisi (in chemodo?) agli antichi proprietari, o da servi e affit-tuari dipendenti da un ricco possessore che abita-va altrove?»197.Applicare i modelli interpretativi dell’Italia delnord alle scarse evidenze toscane è quindi ancoradifficile. Non abbiamo alcuna prova materiale perproporre anche qui l’azione decisiva dei possessoresnella cristianizzazione delle campagne tra V e VIIsecolo198 e leggere la rioccupazione delle ville quasiin chiave ideologica: il recupero dei luoghi sim-bolici del potere per affermarsi e legittimarsi comedetentori della proprietà fondiaria; il tentativo ditrasferire sulle nuove forme insediative (abitazio-ne del possessor, chiesa, area cimiteriale e adden-samento demografico nei loro dintorni) il ruolodi organismo di dominio e di ammassamento del-la popolazione legato ai complessi produttivi tar-doromani199.Con l’avanzare di ricerche, soprattutto tramitescavi mirati, in futuro il modello potrebbe essereesteso alla Toscana, oppure rivelare alcune suevariabili; ma sulla base del record archeologicoodierno non siamo autorizzati a confermare alcu-na tendenza in tal senso.La sovrapposizione complesso tipo villa-chiesa nonè automaticamente riconducibile a una continuitàinsediativa e ad un ruolo importante nell’organiz-zazione delle campagne poiché, nella maggior

191. CANTINO WATAGHIN in BROGIOLO, CANTINO WATAGHIN1994, p. 143: «Il prevalere di un habitat disperso è tuttaviasuggerito in più circostanze dalla posizione delle chiese bat-tesimali, la cui individuazione rappresenta una delle acqui-sizioni più significative della ricerca archeologica recente».192. SETTIA 1982, pp. 466-467; SETTIA 1991, pp. 167-284.193. Si vedano BROGIOLO 2001 e BROGIOLO et alii 2003.194. Brogiolo sottolinea con rammarico che nelle indaginiarcheologiche condotte «il rapporto tra chiese ed insedia-menti è stato tuttavia considerato solo marginalmente: gliscavi di emergenza si sono in genere limitati ad investigare ildeposito stratigrafico collegato alla chiesa, senza poter am-pliare la ricerca all’habitat circostante. Anche quando si rie-sce a dimostrare che la chiesa sorge su un insediamento pre-esistente, rimangono sovente irrisolti problemi centrali. Adesempio quale fosse la vitalità economica e la composizionesociale dell’insediamento al momento della fondazione del-la chiesa e quale la sua evoluzione successiva, quale il rap-porto con i siti circostanti, quando si sia sviluppata un’orga-nizzazione ecclesiastica e con quali relazioni e dipendenzetra i singoli luoghi di culto» (BROGIOLO et alii 2003, p. 11).Anche Gelichi aveva ricordato che «l’archeologia delle chie-se, (…), risente troppo dei condizionamenti di una ricerca ilpiù delle volte casuale e parcellizzata, che raramente prendespunto dallo specifico dell’edificio di culto per estendere l’in-dagine al territorio circostante» (GELICHI 1997).195. DE MARCHI 2001, pp. 63-64, trattando la Lombardiae parte del Canton Ticino tra VII e VIII secolo: «Le fontiarcheologiche disponibili relativamente agli edifici di cul-to e agli insediamenti presentano ancora carattere di di-scontinuità, nel caso degli insediamenti sono del tutto ca-renti»; «risulta difficile sapere se e quali luoghi di culto anoi noti si trovassero vicino o presso centri abitati preesi-stenti o di nuova fondazione (vici), al loro interno, al cen-tro di una corte presso le case signorili, o in posizione iso-lata, ma centrale rispetto al territorio, in modo da potereessere raggiunti da una popolazione rurale che viveva invillaggi sparsi o distribuita nei terreni (loci, fundi, capan-ne, case massariciae), dove lavorava la terra».

196. PANTÒ, PEJRANI BARICCO 2001, pp. 30-34: il contesto«sembra comunque configurarsi secondo un assetto spar-so, caratterizzato dalla commistione tra le aree insediate efunerarie, sorte in adiacenza alle strutture abbandonate diun edificio rustico di età tardoantica».197. BROGIOLO et alii 2002, p. 290.198. Oltre alla bibliografia già citata si vedano soprattuttoper la Lombardia anche ANDENNA 1990; LUSUARDI SIENA etalii 1992; SANNAZZARO 1992.199. In Francia, nella territorio di Metz, la rioccupazionedelle ville dopo una fase di abbandono è stata interpretatacome la scelta delle élite, che dal maturo V secolo tentanodi legittimare il possesso della terra in un’epoca segnata daun notevole tasso di competizione sociale nonché dalla ne-cessità di asserzione del potere a livello locale presso lecomunità rurali: ville come «unità fiscali di affermazione»(HALSALL 1995, pp. 248-253; al riguardo AUGENTI 2003).

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parte dei casi l’edificio religioso si inserisce sullestrutture romane già esistenti dopo una lunga fasedi abbandono.Cantignano fu costruita nell’VIII secolo su un com-plesso di generica età imperiale200, a San Bartolo-meo a Triano, Santa Giulia di Caprona201, SantaFelicita a Pietrasanta e Casale Marittimo202 su con-testi della stessa cronologia ed a San Lorenzo aVaiano203 su un complesso di V secolo furono im-piantate chiese pre-romaniche e romaniche,Gropina a Loro Ciuffenna vide una successionedi due chiese tra VII e VIII secolo su un insedia-mento genericamente di periodo romano204, San-ta Cristina presso Bonconvento, San Marcellino aGaiole in Chianti e Pacina presso Castelnuovo Be-rardenga205, pur attestate dall’alto medioevo, nonmostrano alcun rapporto di continuità con le vi-cine emergenze romane.Le eccezioni sembrano rappresentate soprattuttodalla pieve di Sant’Ippolito ad Anniano nel Val-darno inferiore (su un abitato trasformato in mau-soleo nel IV secolo fu edificata nello spazio di uncinquantennio una piccola chiesa ad aula rettan-golare poi sostituita nel VI secolo da un edificiopiù esteso)206 e dalla Pieve a Nievole per la quale,però, la fondazione della chiesa alla fine del VIsecolo su un complesso romano già destinato adarea cimiteriale nel V secolo e con riusi a scopoabitativo è solo un’ipotesi sinora scarsamente com-provata207; ed allo stesso modo la chiesa battesi-

male di Massaciuccoli la cui fondazione nel corsodel VI secolo con l’edificio tardoantico ancora invita208 è comunque solo una supposizione209. Adesse possiamo aggiungere alcuni casi di fondazio-ne ex novo come Santo Stefano a Filattiera doveun intervento di scavo ha mostrato un primo edifi-cio ecclesiastico nel VI secolo210, la chiesa di Ga-lognano già esistente in età gota, San Paolo a SanPolo nell’aretino che forse insiste su un preceden-te impianto paleocristiano211.Anche se il binomio villa-chiesa troverà delle con-ferme numericamente più consistenti sembra co-munque plausibile prospettare il fallimento quasisul nascere di un’eventuale politica di controllo edi accentramento della proprietà rurale; la fonda-zione di una serie di edifici religiosi sul territorionon riuscì a modificare i processi sociali ed eco-nomici di una campagna affossata demografica-mente a partire dalla metà del V secolo e nellaquale le forme insediative che andavano nascen-do seguirono logiche diverse sin dal secolo suc-cessivo.Questa ipotesi si accorderebbe con il quadro sto-rico tracciato da Violante per le campagne tosca-ne tardoantiche e del primo altomedioevo212, nelquale si intravede una scarsa diffusione del pro-cesso di cristianizzazione con una rete di insedia-menti religiosi insufficiente e non strutturata, conconferme fornite dai carteggi di papa Gelasio I edi Gregorio Magno213. Il recupero dei ruderi diedifici rurali potrebbe collegarsi alle fondazioniche fra la fine del VII e gli inizi dell’VIII secolocrearono nuovi centri di vita religiosa nel territo-rio, quando ormai l’assetto territoriale con distrettipievani si andava definendo; non è un caso che inquesto periodo si verificarono la ben nota disputatra i vescovi di Siena e di Arezzo, così come quelletra i vescovi di Lucca e Pistoia per il distretto del-la baselica Sancti Petri locus ubi dicitur Neure214.È più probabile che le chiese esistenti, delle qualinon conosciamo le vicende (furono veramenteedificate tutte in età tardoantica? di fronte allacrisi demografica ed economica delle campagnecontinuarono ad essere attive?) servissero una se-rie di insediamenti posti nei loro dintorni e costi-

200. CIAMPOLTRINI 1995.201. CIAMPOLTRINI 1995.202. CIAMPOLTRINI 1994; CIAMPOLTRINI 1995.203. MILANESE, PATERA, PIERI 1997.204. GABRIELLI in FRANCOVICH et alii 2003.205. VALENTI 1995b.206. CIAMPOLTRINI, MANFREDINI 2001.207. CIAMPOLTRINI, PIERI 1998; CIAMPOLTRINI, PIERI 1999;CIAMPOLTRINI, PIERI 2004. Ciampoltrini, in quest’ultimocontributo afferma che «La presenza di un edificio tardo-antico di tono “alto”, qualificabile come “villa”, (…), a Pievea Nievole è – come si è visto – solo congetturale, indiziataindirettamente dal materiale laterizio di reimpiego» (CIAM-POLTRINI, PIERI 2004, p. 26); prosegue poi «Seppure soloper suggestione, si potrebbe quindi concludere che nei ca-lamitosi frangenti della seconda metà del VI secolo l’anti-co complesso di Pieve a Nievole (…), fosse stato scelto comesede di un edificio religioso destinato a fungere da polo diriferimento di un vasto distretto» (CIAMPOLTRINI, PIERI 2004,p. 28). In realtà l’autore, che si è occupato in più occasionidel rapporto vil la/complesso tardo romano-pieve,propugnandone la continuità e vedendo nella maggior par-te degli edifici fondazioni in età della transizione, non di-spone mai di elementi decisamente convincenti, forse conl’eccezione della Pieve di Sant’Ippolito dove l’esiguità del-lo scavo ed una strategia per trincee non permette comun-que di proporre dati certi. L’impressione che si ha è di unriferimento e di una lettura dei dati archeologici all’inter-no di un modello preconcetto.208. Recentemente si sono posti dei dubbi sull’interpreta-zione dell’intero complesso come villa; in CIAMPOLTRINI1998, Massaciuccoli viene così ripartito in una grande vil-la d’otium ed in una mansio.

209. CIAMPOLTRINI, NOTINI 1993.210. GIANNICHEDDA, LANZA 2003, pp. 80-86.211. GABRIELLI 1990, pp. 46-51, 124 n. 17, 149-150.212. VIOLANTE 1982; GABRIELLI in FRANCOVICH et alii 2003.213. Gelasio I sottolineava lo scarso popolamento della Tu-scia, l’esiguità numerica e l’insicurezza delle fondazioni ec-clesiatiche dipendenti dai vescovi, la presenza di chiese pri-vate. Gregorio Magno lamentava invece l’assenza di vesco-vi, preti e chierici, il basso numero di chiese battesimali, lavacanza delle sedi vescovili, le numerose chiese in rovina,crollate o incendiate (VIOLANTE 1982, pp. 989-990; 1007-1013; GABRIELLI in FRANCOVICH et alii 2003, pp. 267-268).214. CIAMPOLTRINI, PIERI 2004, p. 27; REDI 1991.

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tuitisi a partire dalla fine del VI e dal VII secolo.In altre parole: non fu la rete del popolamento amodellarsi in relazione alle chiese esistenti, bensìil contrario.Le origini del popolamento accentrato altomedie-vale sono spesso da riconoscere nella scelta spon-tanea delle famiglie rurali di vivere raccolte op-pure, forse nella decisione di un proprietario, conmodalità di costituzione che sottolineano sia lascelta di colonizzare nuovi spazi sia la persistenzasu aree di popolamento già collaudate.In alcuni casi l’occupazione risulta ex novo comea Montarrenti, Miranduolo, Rocca di Campiglia,Rocchette Pannocchieschi. In altri, cioè nei dueesempi di più antica attestazione, ovvero Scarlinoe Poggibonsi, e in un contesto dove la ricerca èancora agli inizi (Donoratico) ricalca dei rilievicollinari già occupati più o meno intensivamentefino dall’età tardoantica.A Scarlino il primo impianto di capanne alla finedel VI-VII secolo avvenne su depositi, seppur al-terati, databili fra l’età ellenistica e IV-V secolo. APoggibonsi fra metà V e VI secolo, la collina ospi-tava un nucleo di carattere agricolo ed allevatizio,del quale sinora sono state riconosciute alcunecomponenti. Si tratta di cinque abitazioni a pian-ta rettangolare, con muri in terra fondati su zoc-coli in pietra e tetto in laterizi ad uno spiovente.Hanno dimensioni standardizzata di circa 30 mq,si dislocano intorno ad una profonda e larga cal-cara, erano affiancate da alcune infrastrutture (undeposito per acqua in mattoni, una zona per lamacellazione di animali) e da un tratto di campoarato od un ampio orto fossilizzato. Tali evidenzalasciano intravedere uno spazio organizzato chepotrebbe essere stato parte di un complesso pro-duttivo tipo un’azienda od una villa di età gotaandata in graduale declino215. Nella seconda metà-fine del VI secolo, assistiamo ad un cambiamentoradicale degli spazi insediati. Il complesso costi-tuito da case di terra venne abbandonato e ad essosi sovrappose un insediamento di capanne. (Figg.50-51)Le fasi d’età longobarda di Scarlino e Poggibonsiattestano la presenza di una popolazione priva didifferenze sociali ed economiche al suo interno;le capanne risultano per lo più tutte uguali e nonsi riconoscono segni di gruppi o di individui se-gnalati da un maggior grado di benessere o perarticolazione e topografia delle proprie abitazio-ni. La mancanza di tracce archeologiche che rive-

lino una gerarchia sociale sembrerebbe accordar-si con il potere limitato delle aristocrazie, almenosino a poco dopo l’VIII secolo, e la relativa auto-nomia delle comunità rurali formate da contadiniproprietari in molte parti dell’Italia216? È difficilefornire risposte in un senso o nell’altro; gli unicielementi certi che si possono proporre sono l’uni-formità economica della popolazione residente el’assenza della figura signorile nel villaggio per ladurata di oltre un secolo.In questa direzione un problema di difficile so-luzione a livello regionale è sapere chi erano eda dove venivano le famiglie rurali presenti neinuovi centri di insediamento. Con questo nonintendiamo semplicemente appurare se si trattòdi autoctoni o di invasori poiché è vero che l’at-tenzione deve essere spostata «dalle relazioni trai gruppi etnici alla costruzione di una societànuova nell’Italia longobarda»217. La questione èinvece diversa ed affrontarla significa contribui-re a capire la formazione degli insediamenti ru-rali del primo altomedioevo; avere degli esempidel tipo di organizzazione che fu data alla pro-prietà fondiaria e quale ruolo ebbero le famigliecontadine locali218.

215. SALVADORI, VALENTI 2003. L’interpretazione della villa èsolo un’ipotesi ancora da comprovare. Se, con il prosieguodello scavo, non verrà individuata l’eventuale area padrona-le, si dovrà forse proporre la presenza di un piccolo centrorurale simile a quello scavato in località Pantani-Le Gore pressoTorrita di Siena (CAMBI, MASCIONE 1998; MASCIONE 2000).

216. Sul potere limitato delle aristocrazie sino all’VIII seco-lo si veda soprattutto WICKHAM 1998, pp. 153-170 eWICKHAM 1999, pp. 15-16. Tra i tanti si vedano poi gli ac-cenni in PASQUALI 2002; ANDREOLLI 1983 e più approfondita-mente i contributi ANDREOLLI 1999; TOUBERT 1995; FUMA-GALLI 1978b e bibliografie riportate. Cammarosano sostieneuna posizione ancora più radicale; colloca negli anni chevanno dal 950 al 1100 circa la fase fondamentale di assesta-mento locale delle aristocrazie, vedendo una fragilità di fondonell’insediamento delle élite laiche per tutto l’altomedioevo(CAMMAROSANO 1998; inoltre CAMMAROSANO 2003).217. DELOGU 1997, p. 430.218. Oltre quindici anni fa, nelle zone campione di Tori-no, Brescia e Verona, processando i dati registrati nelle ne-cropoli (caratteristiche delle sepolture, dei resti scheletri-ci, dei manufatti di corredo ecc.) e la stratificazione topo-nomastica, furono proposti quattro modelli insediativi: unasovrapposizione longobarda accanto alla popolazione lo-cale, la ristrutturazione della rete insediativa creando exnovo insediamenti con proprio territorio tramite acquisi-zione di terra dagli insediamenti confinanti, la fondazionedi nuovi insediamenti in zone incolte, insediamenti mistidove si verifica una commistione razziale (LA ROCCA,HUDSON 1987). Questi schemi interpretativi, se applicatialla Toscana, farebbero pensare ad una popolazione deicentri rurali molto differenziata al suo interno e che pote-va comprendere, sia separatamente sia in commistione, lefamiglie contadine prelevate dalle case e dai centri di pe-riodo caotico, popolazione convogliata dalle città, piccoliproprietari longobardi e servi di arimanni longobardi. Nonpossiamo però proporre ipotesi ben fondate e l’unica solu-zione percorribile è senza dubbio individuare e scavare icimiteri connessi ai centri d’insediamento, effettuare inda-gini di tipo antropologico e soprattutto analisi del DNA:attribuire «a ciascun scheletro un passaporto» come ha scrit-to alcuni anni fa, polemicamente, Settia (SETTIA 1994, pp.64-69). Questi risultati dovranno poi essere valutati e con-frontati con elementi più “archeologici”, come per esempioil tipo di cultura materiale delle abitazioni e la tipologia del-le capanne, riflettendo su coincidenze e discordanze.

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Alcuni indizi, in realtà, sembrano mostrare che laformazione dell’insediamento accentrato dovevaessersi svolta con modalità proprie da zona a zona,collegandosi sia a decisioni spontanee delle fami-glie rurali (dietro la necessità di sfruttare nel mi-gliore dei modi la terra) sia guidata da esponentidell’aristocrazia. Scarlino potrebbe rientrare nel-la prima categoria, mentre nella Valdelsa si ha l’im-pressione in alcuni casi dello svolgersi di un pro-cesso di ammassamentum hominun. La ricogni-zione nei territori di Poggibonsi e di Colle Valdel-sa mostra la persistenza del popolamento nelle areein cui si era articolato l’insediamento di periodocaotico. Dove esistevano famiglie contadine atti-ve e dove la terra era ancora coltivata, venneroimpiantati i nuovi organismi fondiari; il processorealizzatosi, pare corrispondere alla formazionedi centri che controllavano il territorio agricolocircostante sostituendosi alla maglia dei poderi esi-stenti tra fine VI-VII secolo, la cui popolazionepotrebbe essere stata fatta trasferire nei nuovi vil-laggi. In molti centri del poggibonsese, dove sipresume continuità d’insediamento per tutto l’al-tomedioevo, possiamo immaginare la presenza digruppi di origine longobarda ai quali erano statiassegnati dal potere regio territori più o meno este-si; per tutti citiamo l’esempio della famiglia do-minante di Staggia219.L’ipotesi è ancora da comprovare. Nel caso delcontesto scavato a Poggibonsi, il passaggio repen-tino dalle case in terra alle capanne, potrebbe peròanche rappresentare l’avvenuto esproprio di unfundus sfruttato in età gota o forse l’occupazionedi un piccolo nucleo di popolamento abbandona-to220 e la costituzione di un nuovo insediamento

dove un esponente dell’aristocrazia longobardaconvogliò dei rustici. La specializzazione delle at-tività nella pastorizia pare attestare per questoperiodo delle famiglie soprattutto dipendenti221.Inoltre, l’unica spia pervenutaci di una serie divincoli a cui la popolazione era sottoposta sem-bra riconoscibile, come ha rilevato l’analisi archeo-zoologica, nell’assenza rigorosa di selvaggina dal-la dieta quotidiana; la mancanza di ossa pertinen-ti ad animali selvatici dai depositi di queste fasipotrebbe indicare spazi il cui uso per attività ve-natorie era vietato o riservato ad altri soggetti222.L’assenza di un potere signorile sarebbe stata quindisolo “virtuale” e collegata alla scelta del signorestesso di non vivere nel villaggio223 (Fig. 52).Di fronte all’eventualità di villaggi che non nac-quero dall’azione spontanea dei contadini ma chefacevano parte di patrimoni, dobbiamo compren-dere dove potevano vivere i detentori (in toto odin maggioranza) della proprietà fondiaria. Geli-chi ha sottolineato che «è plausibile pensare che inuovi possessores risiedettero prevalentemente incittà o nei castra, alcuni dei quali acquisirono unafunzione nel controllo del territorio»224.In quelle parti della Toscana, dove il modello pro-posto per la Valdelsa troverà conferme (cioè cen-tri di popolamento sorti anche per iniziativa ari-stocratica e non solo per le necessità comuni diun gruppo di famiglie contadine), è più probabilela prima eventualità. I castra, allo stato attuale dellaricerca, sembrano limitarsi solo a determinatezone, peraltro mai indagate esaurientemente equindi non definibili con sicurezza come centri dipotere225.

219. La genealogia della famiglia dei Lambardi di Staggia,raffigurata in una pergamena miniata nella metà del XIIsecolo proveniente dall’archivio della Badia a Isola (CAM-MAROSANO 1993, n. 75, ante 1164 gennaio; il documento èriprodotto in CAMMAROSANO 1993 ed in KURZE 1989), atte-sta l’antichità di tale gruppo e non dobbiamo escludere cheil primo nucleo fondiario intorno a Staggia possa risalire alregno longobardo. Kurze, basandosi sui primi documentidi Isola e sugli antenati di Ildebrando citati dalla Genealo-gia deduce che Ildebrando stesso (in età virile nel 953 emorto già nel 994) doveva essere nato intorno al 930. Adot-tando quindi i trenta anni come intervallo generazionale(un valore plausibile; il cimitero altomedievale scavato aPoggio Imperiale a Poggibonsi vede infatti la maggioranzadella popolazione deceduta tra i 30 ed i 35 anni) passa inrassegna cinque generazioni (i nomi citati sembrano pro-venire dalla tradizione orale tramandatasi nella famigliastessa: CAMMAROSANO 1993, pp. 39-41), cioè Rodulfiatus,Odalberto, Gisalprando ed infine il quadrisavolo e capo-stipite Reifredo, collocando la nascita di quest’ultimo neldecennio 770-780 (KURZE 1989, pp. 234-235).220. In caso affermativo, cioè di un complesso rurale an-cora organizzato, si tratterebbe di una delle poche formedi controllo della campagna senese, se non l’unica, poichéi contesti individuati nelle indagini territoriali nel corso ditredici anni (l’inizio del progetto Carta Archeologica dellaProvincia di Siena data al 1990) mostrano continuità di fre-quentazione episodica e marginale.

221. Sui pastori e sui porcari in età longobarda si vedanoin particolare BARUZZI, MONTANARI 1981; ANDREOLLI, MON-TANARI 1983; ANDREOLLI 1999; PASQUALI 2002, pp. 75-98.Per una sintesi sulla servitù in generale si veda soprattuttoPANERO 1999 e l’ampia bibliografia citata.222. L’assenza di cacciagione potrebbe indicare aree bo-schive nelle quali era concesso svolgere soprattutto attivitàdi allevamento e pascolo ed approvvigionamento di legna-me. L’esistenza di divieti venatori sottolinea ancora di piùl’appartenenza del villaggio ad un signore che regola in qual-che forma lo sfruttamento delle risorse naturali. Per la fun-zione della caccia nell’economia e nell’alimentazione deiceti rurali in età longobarda e più in generale per tutto l’al-to medioevo, sul carattere solo “virtualmente” libero dellasua pratica e sulle restrizioni ad essa connesse (che gra-dualmente si allargarono a tutte le risorse dell’incolto) sivedano in particolare SERENI 1962; MONTANARI 1984, pp.159-168, 174-183 (soprattutto per l’espropriazione deidiritti di caccia), MONTANARI 1988 in particolare pp. 3-4;GALLONI 1993, pp. 65-105: quest’ultimo sottolinea conchiarezza le forti limitazioni a cui andò soggetto il dirittodi caccia fino dall’età longobarda.223. Sul ruolo decisivo della proprietà fondiaria come baseper garantire la continuità dei gruppi parentali aristocrati-ci si veda TABACCO 1973b.224. GELICHI 2001, p. 228.225. Forse ha ragione Gelichi quando afferma che tuttavia«anche di questa presenza non si rilevano, fino ad oggi,

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Alcuni casi, come quelli della Lunigiana, base terri-toriale dalla quale è stato ipotizzato l’inizio dellaconquista definitiva della Toscana entro il primodecennio del VII secolo da parte di Agilulfo, meri-terebbero un serio approfondimento attraversoscavi mirati226. Finora l’unico sito sottoposto a in-dagini, il castrum Aghinolfi (documentato in unacarta dall’VIII secolo che attesta l’esistenza delcastello di Aginulfo, forse un alto funzionario lon-gobardo lucchese), sembra deporre in senso nega-tivo. Ha messo in luce solo i resti di una torrequadrangolare, con un lato lungo 8 m, priva dicinta muraria o di altro tipo di recinzione o didifesa, databile tramite radiocarbonio in una cro-nologia compresa tra il 775 ed il 980227. Poco peressere interpretata come una delle fortezze prota-goniste nell’assoggettamento della regione.

4. I VILLAGGI TRA VII E VIII SECOLO:VERSO UNA PROGRESSIVA TRASFORMAZIONE

I centri di popolamento di più antica formazione,Poggibonsi e Scarlino, costituiscono due esempidei villaggi che caratterizzavano le campagne delregno longobardo e per i quali la ricerca storicanon è in grado di definire con chiarezza articola-zione e realtà insediativo-produttiva a causa deilimiti oggettivi delle fonti scritte228.Le fonti materiali mostrano insediamenti di me-die dimensioni e la loro popolazione è stimabilesolo per le aree indagate dallo scavo (quindi indifetto sul computo reale) rispettivamente fra 60e 30-40 persone circa. Queste comunità agrarierappresentano le forme insediative dominanti nellacampagna per tutto l’alto medioevo, con dinami-che interne i cui effetti sono riconoscibili nelle lorotrasformazioni materiali e nella grande fluttuazio-ne mostrata dall’urbanistica nella diacronia. Le

“strutture” comunitarie risultano forse ancoradeboli, ma esisteva una pianificazione degli spazideterminata perlomeno dal carattere economicodel centro e probabilmente una forma di prelievofiscale229.Se si crede che per attribuire la definizione di vil-laggio ad un nucleo di popolamento sia condizio-ne indispensabile la presenza degli elementi strut-turali sottolineati nel modello proposto daFossier230 e che la presenza di molteplici proprie-tari all’interno dell’insediamento sia una variabileindispensabile, allora il popolamento altomedie-vale toscano non può essere definito come unarete di villaggi231.Ma i caratteri urbanistici non sembrano fare rico-noscere solo una serie di piccoli poderi ravvicina-ti tout cour. Sono insediamenti compatti, orga-nizzati intorno ad uno spazio aperto o con unitàabitative contigue, la cui disposizione in apparen-za casuale trova una sua logica nella strutturazio-ne dello spazio disponibile per ogni singola fami-glia: capanna, recinto od annesso e presumibil-mente l’orto, evidenziato da quei livelli di terraspesso annerita, di forma irregolare ed esterni allecapanne, contenenti alcune pietre, frammenti ce-

tracce archeologiche a livello di edilizia abitativa: questodato può essere in parte dovuto ad arretratezza nella docu-mentazione archeologica, ma anche a modelli di vita sicu-ramente più spartani» (GELICHI 2001, pp. 228-229). Suicastra longobardi (la cui questione è affrontata più estesa-mente in BROGIOLO, GELICHI 1996, pp. 63-78 e 177-220)precisa comunque che «salvo l’area padana o la fascia cen-trale della penisola (Tuscia), dove i dati storico-archeologi-ci forniscono un quadro ancora discordante, i Longobardinon sembrano particolarmente attivi nella realizzazione dicastelli» (GELICHI 2001, pp. 230-231).226. Si veda CIAMPOLTRINI 1990 per l’ipotesi sulla rete dicastra posta tra Luni e Chiusi.227. Si vedano GALLO 1997 e GALLO 2001. Inoltre il seguen-te indirizzo web: http://www.studioarx.it/massalunense/aghinolfi/index.html.228. Sullo sviluppo e la gestione della proprietà agrariaprivata e regia in forme di villaggio-azienda nel periodolongobardo si veda soprattutto MODZELZWSKI 1978.

229. Delogu ha messo in dubbio le affermazioni di Wickham(WICKHAM 1984; WICKHAM 1988) sulla rinuncia dei longo-bardi «ad imporre le tasse sulla proprietà e la produzionedella terra, che erano state fondamento della finanza pub-blica nell’impero tardoantico, determinando con questo unasostanziale redistribuzione delle risorse economiche inter-ne, da cui vennero modificate sia le attività statali in tuttoquel che comportava spesa, sia il tenore di vita delle popo-lazioni rurali, che migliorò sostanzialmente. Le forme strut-turali dell’insediamento e della produzione non si sarebbe-ro perciò modificate per l’innesto delle tradizioni deglioccupanti, ma piuttosto, liberate dal peso dei prelievi fi-scali, avrebbero più liberamente esplicato le loro tradizio-nali funzioni». Ha invece ipotizzato, sulla scorta delle ana-lisi sui prelievi longobardi e sulla produzione agraria deiromani (GOFFART 1980 e DELOGU 1990) e sull’esistenza ditributi pubblici almeno dall’VIII secolo (GASPARRI 1990),che questo periodo potesse essersi accompagnato a «muta-menti nella distribuzione dell’insediamento e nelle tecni-che di gestione, se non proprio nel sistema agrario, chepoterono risentire delle concezioni sociali tipiche dei lon-gobardi anche se presentano analogie con evoluzioni atte-state nei territori bizantini, sicché non si può nemmenoescludere che si collegassero alle trasformazioni già in cor-so prima dell’invasione» (DELOGU 1994, p. 15).230. In area germanica, per esempio, tra VII e XII secoloprevalsero delle tipologie insediative composte da aggre-gati a maglie larghe di nuclei tipo mansi, mentre il villag-gio con organizzazione delle strutture comunitarie, comeinteso da Fossier, non esisteva (DONAT 1980, p. 137).231. Brogiolo, soprattutto, accetta in pieno il modello diFossier, proiettandolo però sul primo altomedioevo. Trat-tando il protagonismo delle chiese nella formazione deicentri di popolamento tra VI e VII secolo (questi ultimi, inultima analisi, sarebbero sorti a seguito della cristianizza-zione delle campagne) ritiene che un insediamento, per nonessere considerato di tipo sparso od un’azienda, dovevapresentarsi come «una comunità organizzata, e dunque conuna dimensione spaziale del villaggio con aree comunita-rie, tra le quali in primo luogo una chiesa, e relazioni eco-nomiche e sociali» (BROGIOLO et alii 2002, p. 290).

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ramici di frequente privi di attacchi e reperti osteo-logici232.Indipendentemente dal tipo di popolazione resi-dente (solo servi, composta da liberi, oppure dicarattere misto?) sono pur sempre riconoscibilicome villaggi imperniati su uno spazio insediato esu zone di catchment nelle quali si esercitavanodelle attività lavorative soggette a regolazioni econsuetudini, ovvero su territori agrari sfruttatidalla comunità.A livello europeo si osservano situazioni molto si-mili a quelle descritte per la Toscana. Gli scavidegli agglomerati altomedievali hanno rivelato so-prattutto insediamenti accentrati, legati ai grandipatrimoni di abbazie o inseriti in proprietà regie(le ville alla base dell’organizzazione fondiariafrancese) o gruppi di mansi molto estesi e vicini(cioè villaggi originati dalla contiguità degli edifi-ci che costituivano le fattorie). Questi centri, didimensioni molto simili ai nostri, furono soggettianch’essi a ricambi strutturali e cambiamenti ur-banistici che attestano la lunga continuità dell’in-sediamento ed una sua articolazione comunitariache non sembra essere mai venuta meno. Anchequando si è trattato di aziende, spesso legate adun solo proprietario, la letteratura archeologicanon ha mai smesso di definirle come villaggi an-che se prive di chiesa233.

In Toscana le realtà di villaggio più antiche scava-te sembrano collocarsi a pieno titolo in un qua-dro della prima età longobarda caratterizzato daun’azione di basso profilo svolta dalle aristocra-zie nell’organizzazione delle campagne, dove icentri di popolamento dovettero spesso formarsi,come già detto, dietro l’esigenza della popolazio-ne rurale di vivere insieme e sfruttare meglio laterra. Aristocrazie prive di strategie progettuali ditipo economico che si ponessero aldilà della sem-plice produzione per autoconsumo, agli inizi diun lento processo di stabilizzazione sul territo-rio234. Ad esse si affiancava un potere regio che siconsolida per gradi, sino a raggiungere una piùcomplessa dimensione di sovranità territoriale soloalle soglie dell’VIII secolo.Non è un caso che proprio questi decenni siano inassoluto uno dei periodi della storia italiana menodocumentati da fonti scritte, che però testimonia-no nuovamente la natura del popolamento nellecampagne ed i rapporti sociali ed economici inesse attivi con l’VIII secolo235, quando la gestionestessa della proprietà fondiaria inizia a cambiarestrutturandosi in forme più articolate e comples-se. Delogu, dopo la fase iniziale del radicamentolongobardo in città e nel territorio, proposta comecontinuità nella decomposizione e nello snatura-mento dell’organizzazione socio-economica e po-litica della tarda antichità, sottolinea il verificarsi

232. Galetti, nella sua inchiesta sulle forme insediative al-tomedievali, descrive la casa contadina ideale; un podereod una piccola fattoria «organizzata come un nucleo edile,nel quale si configuravano unitariamente strutture insedia-tive diverse, ognuna con una specifica funzione. L’abita-zione in senso stretto aveva accanto a sé come edifici a sestanti, il forno, a volte la cucina, la cantina, il locale adibi-to alle operazioni di vinificazione, magazzini, stalle, gra-nai, tettoie per gli attrezzi, fienili. Un cortile centrale e l’aiane costituivano l’elemento di raccordo; spesso era presen-te un pozzo per il rifornimento idrico, oltre a un orto, unapiccola vigna, un piccolo frutteto, immediatamente e facil-mente sfruttabili sul piano alimentare. Tutti questi elemen-ti erano racchiusi in una “clausura” da siepi, recinzioni,fossati ed erano recepiti dagli uomini del tempo come unarealtà unitaria» (GALETTI 1997, p. 20). L’archeologia mo-stra in realtà situazioni molto più semplici.233. Alcuni esempi. In Germania a Tornow l’insediamentooccupava due ettari con dieci capanne tra inizi VII-VIII se-colo, quattordici nella seconda metà del IX secolo, diecitra seconda metà IX-inizi XI secolo (65-78 abitanti stima-ti) e diciotto tra XI-XII secolo (90-108 abitanti stimati;DONAT 1980, pp. 138-146, 178-179). A Gladbach, nel VI-VII secolo, il villaggio era imperniato su una struttura abi-tativa molto estesa definita casa-mercato, circondata da ven-tisette capanne delle quali le più grandi erano recintate,otto granai e molti silos (SAGE 1969; per una riproduzionedella pianta del villaggio, di facile consultazione, si vedaanche ARIÈS, DUBY 1988, fig. 4.21). In Francia, a Villier-Le-Sec, due ettari videro l’alternarsi di sessantotto strutture inetà merovingia (capanne, laboratori, magazzini, forni ecc.)e novantaquattro strutture in età carolingia: anche per que-sta fase suddivise in capanne, laboratori, magazzini e forniai quali si aggiungeva un’area cimiteriale composta dacinquantatre sepolture ed una piccola piazza luogo di mer-cato (CUISENIER, GUADAGNIN 1988, pp. 142-145). Nella re-pubblica Ceca, a Brezno, le capanne si disponevano a cer-

chio su un’area di due ettari ed ammontavano a ventiduenella prima metà del VI secolo, a dieci nel VII secolo, nuo-vamente a ventidue tra VIII-IX secolo (DONAT 1980, pp.138-146, 199).234. Come ha osservato Delogu «sotto il profilo dell’evo-luzione delle strutture, non è necessario attribuire ai lon-gobardi una rottura qualitativa ed una ricostituzione del-l’organizzazione economica e culturale su basi diverse: comegià si è detto, il loro ruolo potè consistere nell’accentua-zione data ai processi in corso, già volti alla decomposizio-ne dell’organizzazione tardo imperiale» (DELOGU 1994, pp.16-17).235. È stato posto l’accento su una campagna che nel cen-tro-nord vive lunghi decenni di stallo (scarsa espansionedegli spazi coltivati e bassi indici demografici) letti comefase di faticosa espansione della media e grande aziendafondiaria che trovava ostacolo nella presenza di molti po-deri di impressionante estensione, tra i 35 ed i 28 iugeri(uno iugero = 7.900 mq): si veda FUMAGALLI 1978b, pp.XII-XIII. Durante l’VIII secolo la disponibilità fondiariadei maggiori proprietari contava ancora pochissime azien-de, molte delle quali di piccola dimensione o con undominico molto ridotto rispetto all’insieme dei poderi ag-gregati (VIOLANTE 1953; FUMAGALLI 1974). È comunquedopo il 730-740 che un numero maggiore di informazionipermette di riconoscere una decisa tendenza alla concen-trazione, con proprietà a struttura bipartita (sala sundrialis/casae tributariae), gestite secondo le norme di un sistemacurtense in via di formazione: si veda TOUBERT 1995, p.188. Sulla progressiva affermazione della grande proprietàe sulla conseguente crisi della piccola proprietà contadinain epoca carolingia e soprattutto nei decenni fra VIII-IXsecolo si vedano anche FUMAGALLI 1976 e ANDREOLLI, MON-TANARI 1983, pp. 69-128 con un esame molto approfondi-to dei meccanismi di appropriazione fondiaria dei potentes.

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di cambiamenti verso la fine del VII secolo. Sem-brano trovare origine nel raggiungimento di unequilibrio interno delle diverse regioni, permessoanche dalla fine degli scontri con i bizantini ed inuna crescente capacità di iniziativa manifestata daipoteri politici, ma probabilmente diffusa in tuttala società236. Anche Wickham non differisce trop-po da questa linea interpretativa, individuando nelVII secolo un’aristocrazia fondiaria ancora debo-le e nell’VIII secolo, pur con il persistere di unadisponibilità economica relativamente scarsa, l’ini-ziale sviluppo di ricchezze rurali private237.Fu quindi un’«integrazione dal basso», avviata conl’inserimento dei Longobardi in una campagna edin una società fortemente impoverite238 ed in pro-gressiva crisi almeno dalla fine del V secolo che,inizialmente, furono ancor più affossate. La rior-ganizzazione rurale si svolse come un processo len-to, incentrato su territori degradati che richieseroquasi un secolo prima di vedere in vita una rete divillaggi numericamente consistente, la cui stabi-lizzazione fu affiancata da un graduale «processodi divaricazione sociale che portò da una parte aduna ristretta aristocrazia (che deteneva ed eserci-tava il potere) e dall’altra ad una classe, sempre diuomini liberi, ma che da questa di fatto andava adipendere»239. Gasparri, sulla scia delle riflessionidi Tabacco240, affronta ancor più in profonditàquesto tema, riconoscendo nei possessores dell’VIIIsecolo la classe dirigente vincente, quindi i nuovicomponenti dell’exercitus composto ora da tutticoloro che erano longobardi di diritto (ovvero daiproprietari terrieri affermatisi tra VII e VIII seco-lo indipendentemente dall’origine etnica), ed una

società che tendeva a farsi sempre più differenzia-ta socialmente con la crescita di una massa indica-ta dalle leggi come pauperes o rustici241. «Gliarimanni o exercitales nel secolo VIII coincidonoquindi con i possessores. Per cui lo schema tribaledi riferimento, sul quale si innestava il potere po-litico all’interno del popolo longobardo, entravain crisi nella realtà concreta dei rapporti sociali.In teoria non veniva però mai ripudiato del tutto:ufficialmente l’esercito era sempre formato da tuttii Longobardi, i membri del gruppo tribale origi-nario. Di fatto, ormai quello che esisteva era in-vece un esercito formato da possessori – onegotiantes – dalle origini etniche in parte alme-no contestabili»242.A livello nazionale, la progressiva trasformazionee stabilizzazione delle aristocrazie della terra paretrovare una corrispondenza sia negli scavi di alcu-ne chiese sia nei caratteri delle sepolture. Comein alcuni casi piemontesi (Mombello e Centallo)243

e lombardi (per esempio Trezzo, Palazzo Pignano,Garbagnate Monastero, ecc.)244 databili fra VII eVIII secolo, dove è stata riconosciuta l’associazio-ne chiesa privata con cimitero e abitazione del pro-prietario terriero longobardo posta a breve distan-za245. Si tratta di oratori privati, con sepolture pri-vilegiate, la cui fondazione sembra riconducibilead un modello di riferimento fornito dai sovrani(per i secoli VII e VIII abbondano le notizie circala fondazione di chiese da parte dei re longobar-di); sono indizio di un ceto di fideles del re che sista territorializzando (esponenti di spicco dellanuova classe dei possessores), facendosi seppellirenel luogo in cui vivevano. Tra essi si distinguonoanche alti funzionari, dei gasindi, che operano perconto della corona e che da essa erano beneficiatie protetti, ben rappresentati dai cosiddetti “signoridegli anelli” delle tombe di Trezzo e di PalazzoPignano246.Le tendenze mostrate dai corredi funerari di etàlongobarda rappresentano anch’esse indicatori

236. I segni sono da leggere nell’unità ecclesiastica del re-gno con la conclusione dello scisma dei Tre Capitoli (per laToscana in una ricostituzione del territorio rurale sotto ilprofilo ecclesiastico), nella ripresa dei centri urbani, nellafondazione o rifondazione di alcuni importanti monastericome Farfa, San Vincenzo al Volturno e Montecassino. Ilgruppo di monetazioni longobarde dell’VIII secolo, che perla prima volta non sembrano più imitare tipi bizantini. Lastessa ricomparsa della documentazione scritta, così comela nuova monetazione dell’ultimo decennio del VII secolo,s’inquadrano in quest’insieme coerente di indizi di riorga-nizzazione e vitalità (DELOGU 1994, pp. 20-21). Sul regnolongobardo nell’VIII secolo ed i mutati comportamenti del-le aristocrazie si veda la sintesi BERTELLI, BROGIOLO 2000. Sulruolo di re Liutprando nella riorganizzazione del regno silegga GASPARRI 2000, pp. 26-27: «Liutprando poteva conta-re su un palazzo ben organizzato, su un patrimonio fiscale icui territori – organizzati in curtes, che erano al tempo stes-so unità di produzione agraria e centri amministrativi pub-blici – si estendevano su vaste zone sparse in tutto il regno,su uno stuolo di funzionari (talvolta, è vero, dalla fedeltà unpo’ incerta) addetti a tale patrimonio e alla riscossione dellepochissime imposte esistenti e, infine, su una rete di clienti– i gasindi – ramificata e socialmente qualificata».237. WICKHAM 1994.238. DELOGU 1990.239. GELICHI 2001, pp. 234-235.240. TABACCO 1967 e TABACCO 1973b.

241. GASPARRI 1983a, pp. 107-113.242. GASPARRI 1983a, pp. 108-109.243. PANTÒ, PEJRANI BARICCO 2001, pp. 17-25.244. DE MARCHI 2001; BROGIOLO 2001.245. Gelichi sottolinea come il campione che abbiamo adisposizione, per quanto abbastanza casuale nella distribu-zione geografica, «sembrerebbe indicare piuttosto chiara-mente come anche il fenomeno di recupero, parziale o pa-rassitario, delle antiche ville/fattorie, non fu praticato inmaniera capillare dai Longobardi. Se le occupazioni tardi-ve non sono ancora una volta sfuggite all’esame degli ar-cheologi, dovremmo dedurne che il quadro che emerge deicasi ora analizzati tenda parzialmente a coincidere con quan-to restituito dalle ricognizioni di superficie, nel senso diuna forte selezione degli insediamenti nella fase del primoalto medioevo» (GELICHI 2001, p. 227).246. Si veda per tutti la recente messa a punto in LUSUARDISIENA 2004.

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dei processi sociali in corso247. Il carattere degli og-getti contenuti nelle sepolture degli strati dirigenticambia dalla fine del VI secolo e per tutto il VIIsecolo. I simboli con i quali si affermava il propriostatus divengono mano a mano più prestigiosi, in-dicando l’esistenza di flussi commerciali regolaririattivati dalla nuova committenza. Gli elementi delcorredo non sono più destinati a rappresentare l’et-nicità248 piuttosto ad ostentare il prestigio socialeraggiunto e negoziato localmente.Gli oggetti del banchetto deposti ai piedi del cor-po si accompagnarono sempre più di frequente inquesti decenni all’abito funebre decorato con fi-bule, cinture e vesti di broccato d’oro e ad unagamma di armi ampliata con accentuazione deglielementi decorativi nelle sepolture maschili. Nel-le sepolture femminili sono introdotti i gioielli;oltre a modifiche nell’uso delle fibule a staffa o adisco, compaiono anelli, orecchini, gemme incisedi tradizione mediterranea.Questa evoluzione può essere letta come il segnodi un processo di progressiva trasformazione del-l’aristocrazia longobarda. La partecipazioneall’exercitus rimane la principale occupazione del-l’uomo libero, che però evolve nella nuova condi-zione di proprietario fondiario. Le sole armi, com-ponenti principali dei corredi maschili pannonici,non sono più sufficienti a rappresentare la sferadi relazioni delle aristocrazie249.Sulla stessa scia sembrerebbero inserirsi quelle se-polture dette dei cavalieri. In alcune aree, infatti,

dalla fine del VI secolo, i longobardi tesero a sotto-lineare il proprio rango equestre ed a qualificarequindi il sepolto come un uomo armato a cavallo.La manifestazione di status avvenne attraverso og-getti di corredo riferiti all’equipaggiamento del ca-valiere ed alla bardatura dell’animale (speroni, bri-glie, morso) e talvolta con la sepoltura dello stessocavallo insieme all’inumato od anche in fosse sepa-rate. Si trattava quindi della spia di un forte muta-mento nella composizione sociale delle élite e l’osten-tazione equestre, caratterizzata da un apparato ri-dondante di corredo, a testimoniare il notevole in-vestimento della famiglia per caratterizzare appienole qualità del morto, sembra rimandare all’esistenzadi veri e propri parvenus250. Si sottolinea inoltre comele tombe equestri sono spesso accompagnate da tom-be femminili anch’esse riccamente dotate251.Gli effetti prodotti da un maggior radicamentodelle aristocrazie nella campagna sono riconosci-bili archeologicamente in Toscana solo con l’VIIIsecolo. Non si manifestano come nel settentrio-ne, dove alcuni possessores longobardi vivevanoin centri di riferimento sul territorio, che abbia-mo visto articolarsi in una residenza ed un orato-rio privato con cimitero (ma ancora non sono notiarcheologicamente i nuclei in cui si raccoglieva lamassa dei lavoratori).Si osserva invece dagli scavi un’evoluzione nei vil-laggi già esistenti ed anche quelli di nuova fonda-zione (Montarrenti e Miranduolo) mostrano ca-

247. Su questi temi si vedano LA ROCCA 1997 e LA ROCCA1998.248. Le caratteristiche fondamentali del rito funebre di tipomerovingico si mantengono immutate anche in Italia (la di-sposizione delle fosse in file orientate est-ovest, la frequentepresenza di bare lignee, la struttura dei sepolcreti per gruppifamiliari) mostrando una certa corrispondenza tra intensitàe precocità dell’occupazione territoriale. Le tombe più ric-che riferibili alla generazione immigrata, oltre alle armi(spatha, lancia e scudo) ed oggetti del banchetto, presenta-no gioielli personali di tradizione germanica, spesso consuntidall’uso (soprattutto le fibule), comprendono qualche rarobene suntuario, che non si collega a nessuna serie (quindinon appartenenti ad una fase di committenza consolidata)ma che doveva essere stato sottratto a quella parte del cetodirigente romano a cui i longobardi sono subentrati nel pos-sesso della terra (per esempio: l’anello traianeo e la fibula adisco sbalzata di tipo bizantino dalla tomba 39 di NoceraUmbra). Si veda MELUCCO VACCARO 1988.249. Nell’VIII secolo la pratica risulta definitivamente ab-bandonata, affermandosi un nuovo ceto di possessori incontrotendenza con il precedente ed un diverso atteggia-mento delle aristocrazie nei confronti dei rituali legati allamorte. Il disprezzo delle forme usuali di ostentazione delproprio prestigio sociale si ricollega alle rielaborazioni dellecelebrazioni funebri di un gruppo sociale teso a ridefinirecontinuamente la propria specificità. In questo cambiamen-to, che appare come una risposta aristocratica alla diffu-sione generalizzata dei corredi funebri, si manifestò anchel’influenza ecclesiatica. Su tali aspetti si veda in particolarela sintesi in LA ROCCA 2000 e l’epigrafia funeraria trattatain DE RUBEIS 2000.

250. Le tombe caratterizzate dall’armamento del cavalieresono state intepretate anche dalla Melucco Vaccaro comesegno di un complesso fenomeno di mutamento e diversifi-cazione sociale tra coloro che vengono seppelliti con le armi.Collega la loro presenza ad una disposizione di legge ag-giunta all’edictus di Astolfo di metà VIII secolo che ratifica-va delle consuetudini preesistenti: sulla base della proprietàfondiaria venivano stabiliti per censo gli obblighi militaridegli arimanni. La qualità e la composizione del corredo sonoquindi ricondotti all’appartenenza a tre fasce: proprietari dipiù di 7 casae massariae = cavalli, armi, armamento per sé eper i propri uomini; proprietari fino a 7 casae massariae =armi personali, corazza, cavallo; proprietari di 40 iugeri =cavallo, scudo e lancia personali. (MELUCCO VACCARO 1988).Il fenomeno è stato riscontrato diffusamente nell’Europadell’est; per esempio nell’area tra il Reno ed il Neckar vienecollegato all’emergere di nuove stratificazioni e gerarchie:membri di famiglie aristocratiche alamanne subentrati nelpossesso di terre fiscali sino dalla prima metà del VI secoloche, soprattutto nella seconda metà del VII secolo ed a sup-porto del potere ducale, avrebbero ricevuto compiti di vigi-lanza militare, amministrazione civile e fiscale. In Italia letombe con cavallo sono attestate in varie località tra le qualiTrezzo, Nocera Umbra e Vicienne in Molise (dove sono sta-te scavate dieci tombe di questo genere).251. Se fino alla fine del VI secolo i corredi femminili indi-cavano caratteri distintivi del diverso stato sociale, con gliinizi del VII secolo pare manifestarsi l’intenzione di mo-strare con chiarezza un modello di deposizione femminiledefinito come “le donne del cavaliere”. In questa fase dimutamento, le donne sembrano poter utilizzare e condivi-dere, ma soprattutto contribuire ad affermare, i simbolidello status del proprio gruppo parentale.

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ratteri convergenti verso un nuovo tipo di comu-nità. Le trasformazioni riguardano aspetti econo-mici e strutturali, presentandosi in alcuni casi gra-dualmente, mentre in altri il nuovo tipo di orga-nizzazione è già impostata all’origine.Nel villaggio di Poggibonsi la popolazione continuavaad essere economicamente uniforme; erano presen-ti capanne abitative, stalle od altri ricoveri per ani-mali, spazi aperti destinati allo svolgimento di atti-vità rurali ed artigianali. Intorno alla metà dell’VIIIsecolo le strutture già esistenti furono affiancate daun nucleo composto da sei edifici raccolti intornoad una piccola corte, due dei quali con destinazionedi magazzino-rimessa. La costruzione di questo com-plesso (le cui prime tracce sono presenti agli inizidel secolo in forma già evidente) è interpretabilecome l’inserimento di un signore o di un suo actor(agente incaricato di raccogliere le rendite e sorve-gliare il lavoro dei contadini dipendenti) nel villag-gio; rappresenta non solo l’indizio di gerarchizza-zione sociale, ma anche un cambiamento ed un mag-giore controllo diretto sulla produzione.La presenza del nuovo complesso è parallela adaltri due elementi di novità: un apparente aumen-to della popolazione residente, ipotizzabile in uncentinaio di persone circa e quindi quasi raddop-piata (dato che però potrà accrescersi solo conl’ampliamento dello scavo) e la variazione delleattività produttive. Accanto all’allevamento ed allapastorizia inizia ad avere un peso maggiore l’agri-coltura, come rivela lo studio archeozoologicosulla base dei rapporti percentuali delle specie edell’età di morte stimate. In questo senso l’aumen-to dei bovini e la presenza di soli individui anzia-ni sembra indicare un loro utilizzo esclusivo perla coltivazione. Tra i maiali, inoltre, non sono sta-ti rinvenuti soggetti abbattuti prima del secondoanno, indice di una maggiore attenzione verso lamassima resa in carne, anche a seguito di una di-minuzione del numero di capi allevati e forse diuna contrazione delle superfici boschive, derivan-ti dalla messa a coltura di nuovi spazi (Fig. 53).La trasformazione dell’insediamento e un’econo-mia che si diversificava divenendo anche agrico-la, segnano la riorganizzazione urbanistica e pro-duttiva del villaggio ed un controllo più forte sullavoro. La costruzione dei due magazzini può in-fatti implicare l’accumulo di prodotti provenientida campi gestiti direttamente dalla casa del signo-re ma anche il prelievo di quote. Ci troviamo difronte ad un’azienda di età longobarda che ricor-da, pur non essendolo, una curtis di piccola esten-sione, compatta e con elementi pertinenti sia aduna casa dominica sia ad un nucleo massaricio al-l’interno dello stesso centro; un esempio tangibi-le di quelle forme pre-curtensi intuite da moltiautori, ma mai tratteggiate urbanisticamente, la

cui comparsa facilitò l’applicazione dei modellifranchi di un maturo sistema curtense252.Un villaggio imperniato quasi esclusivamente sul-l’agricoltura e dove la presenza di due zone distinteattesta gerarchizzazione, è Montarrenti. Tra la metàdel VII e la metà dell’VIII secolo, decenni nei qualil’insediamento si formò, esisteva una divisione nettafra gli spazi sommitali ed i versanti. Se l’intera co-munità risultava difesa da un’estesa palizzata, la par-te più innalzata venne ulteriormente rinforzata, edistinta fisicamente dal resto delle superfici inse-diate, attraverso una seconda cortina. Questa zonapuò essere paragonata, per il ruolo svolto, al com-plesso di sei edifici intorno ad una corte scavati aPoggibonsi e quindi leggervi la presenza di un con-trollo signorile diretto sul villaggio-azienda.Mentre a livello di restituzioni ceramiche non siosservano differenze fra le due aree dell’insedia-mento, la distribuzione dei reperti archeozoologiciè concentrata solo nella parte sommitale. Su questispazi sono stati riconosciuti soprattutto maiali ecaprovini; le giovani età d’abbattimento tendono afar riconoscere una pratica allevatizia finalizzatasoprattutto al consumo di carne. Ai maiali ed aicaprovini si aggiungevano in percentuale minore ibovini, macellati quando ormai inutilizzabili neilavori di trazione. Il consumo della carne, in unvillaggio la cui popolazione era impegnata quasiesclusivamente nel lavoro dei campi, sottolinea unelemento di distinzione sociale nell’alimentazionedifferenziata e più ricca; inoltre mostra come ilcontrollo degli animali sia stato direttamente eser-citato dal signore. Elementi questi che si rivelanomolto più chiari con la piena età carolingia.Il caso di Montarrenti, in questa fase, può esserericonosciuto come una curtis, ma solo nel signifi-cato attribuito al termine nelle prime attestazionidocumentarie centro-settentrionali che risalgonoal secolo VIII, quando corrisponde all’esigenza diindividuare una casa rurale padronale, protetta daun recinto (è questo il significato originario dicurtis), cui demandare sia la gestione economicadel dominico, sia la raccolta e l’uso delle renditedel massaricio253.Il villaggio di Miranduolo, tra VIII-IX secolo, sem-

252. Per le differenze di fondo fra l’azienda di età longo-barda e quella carolingia si vedano in particolare VIOLANTE1953; FUMAGALLI 1976; TOUBERT 1983; TOUBERT 1995, pp.183-196; ANDREOLLI, MONTANARI 1983; ANDREOLLI 1978. Siveda PASQUALI 2002 per un confronto fra le posizioni degliautori citati e per un’estesa bibliografia.253. Al riguardo si vedano le precisazioni in PASQUALI 2002,p. 43. Azzara e Gasparri sulla base delle leggi di Rotari com-mentano: «La corte è la fattoria, cinta da siepi e fossati, incui risiede il libero e che costituisce il centro delle sue pro-prietà; al suo interno convivono proprietari e lavoratori evi si trovano tutti gli strumenti e i servizi all’attività agri-cola e pastorale» (AZZARA, GASPARRI 1992, p. 109 nota 37).

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Fig. 54 – Montarrenti (SI): ricostruzione dell’insediamento di metà VII-metà VIII secolo e IX-X secolo.© 2004 All’Insegna del Giglio s.a.s., vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale

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bra assimilabile a Montarrenti ed a Poggibonsi perla presenza di un’area insediativa distinta; in que-sto caso, il segno di una gerarchizzazione non vie-ne letto nell’esistenza di fortificazioni o di una ali-mentazione migliore ma nella costruzione di edi-fici in cui si raccolgono ed immagazzinano derra-te agricole. Lo scavo dei livelli più antichi è co-munque ancora in corso e per esporre conclusio-ni definitive si deve attendere. Ma i dati disponi-bili indirizzano in tal senso, così come la trasfor-mazione nel IX secolo parrebbe confermare l’ipo-tesi, oltre che accordarsi con le vicende riscontra-te su tutti i centri indagati254 (Fig. 54).Le attività produttive riconosciute nei villaggi in-dagati sembrano riconducibili solo parzialmenteall’interno del modello tracciato da Fumagalli perl’economia agraria longobarda, costituita da unastretta integrazione tra allevamento e sfruttamen-to delle aree incolte255. Si conferma invece, osser-vando le trasformazioni urbanistiche dei centri el’emergere di spazi con una strutturazione parti-colare e distinta, come la proprietà agraria in etàlongobarda anticipava alcuni degli elementi delsistema curtense e quindi come costituisse «un ter-reno in parte già preparato per la diffusione dellacurtis»256. Nel loro insieme, tali villaggi possonorappresentare le curticelle degli storici? Cioè deicentri di piccole dimensioni, con un dominico ri-dotto e spesso contrapposto al massaricio, cherappresentano forme di gestione pre-curtense dellaproprietà257? In essi esisteva un sistema di prelie-vo canonario sul lavoro dei rustici ma non si veri-ficava una funzionale compenetrazione fradominico e massaricio attraverso quelle corvéesdefinite la «vera e propria forza motrice dell’azien-da curtense»258. La presenza di una casa dominicapoco estesa potrebbe essere un indizio di insedia-menti così tipologizzabili; ma come archeologi sot-tolineiamo solo il nostro modello di villaggio-azienda per la matura età longobarda, che si pre-senta con le caratteristiche indicate.

254. Le trasformazioni alle quali fu soggetto Miranduolosono illustrate nel paragrafo 4.3.255. FUMAGALLI 1992, pp. 38-43.256. ALBERTONI 1997, pp. 125-126.257. In particolare Toubert e Fumagalli hanno sottolineatoche nel centro-nord la fisionomia delle campagne altome-dievali non fu caratterizzata da grandi latifondi almeno sinoal maturo VIII secolo. Questi erano privi spesso di una partecentrale efficiente, che emergesse al ruolo di nucleo fortenella coesione con i poderi degli affittuari. Si vedano TOUBERT1973a (soprattutto pp. 100-104); TOUBERT 1973b; TOUBERT1995, pp. 181-245. Inoltre FUMAGALLI 1966; FUMAGALLI 1968;FUMAGALLI 1970; FUMAGALLI 1976; FUMAGALLI 1978.258. ANDREOLLI, MONTANARI 1983, pp. 45-55. Sulla stessaposizione FUMAGALLI 1976 e FUMAGALLI 1980a; FUMAGALLI1980b; ANDREOLLI 1999, pp. 69-85, 111-127. Di diversaidea (sistema curtense già maturo nell’VIII secolo almenoper l’Italia centro-settentrionale): TOUBERT 1983; VIOLAN-TE 1953; PASQUALI 1992.

5. TRASFORMAZIONE DEI VILLAGGI IN CURTES

Tutti i contesti scavati mostrano, con l’età caro-lingia, l’inizio di una stagione di rinnovamentourbanistico legato ad un controllo decisamenteforte sulla popolazione e sul lavoro, ad una nuovacapacità di organizzare la società locale. L’effettopiù evidente fu una sistematica riprogettazione deivillaggi che si lega all’introduzione dell’organiz-zazione latifondistica di modello franco.Il villaggio di Scarlino cambiò quasi del tutto fi-sionomia fra VIII e IX secolo; venne fortificato efurono erette due strutture che implicano la pro-babile presenza di un possessor di età carolingia:la grande capanna259 e soprattutto la chiesa per lacui costruzione furono impiegate delle maestran-ze specializzate esterne e che doveva avere carat-tere privato260. Questi eventi segnano la costitu-zione del villaggio in curtis e la parte sommitale,dotata ora di clausura, sembra rappresentare lacasa dominica. È possibile che il massaricio si di-slocasse sui versanti della collina, ma in queste areenon è stato scavato e non possiamo dare confer-me. La presenza di una chiesa estesa 77 mq, conuno spazio di circa 60 mq utilizzabile escludendol’area presbiteriale, quindi in grado di ospitare al-meno 120-150 persone (considerando che in 1 mqpotevano raccogliersi almeno 2-3 individui), rap-presenta un indizio della probabile popolazione.Avendo calcolato in 30-40 unità gli abitanti dellazona sommitale, Scarlino doveva avere un massa-ricio tre volte più popolato e posto a distanza taleda raggiungere facilmente la chiesa (Fig. 55).Un fenomeno simile è osservabile a Montarrenti eMiranduolo. Nel villaggio di Montarrenti la pa-lizzata che cingeva gli spazi di sommità fu sostitu-ita da una cortina muraria ed al suo interno alcu-ne capanne vennero soppiantate da strutture cheattestano il controllo della produzione, la riscos-sione di quote canonarie, il loro trattamento econservazione: un grande granaio, una macina eun fornetto per essiccare le granaglie.Le trasformazioni indicano, anche per Montarren-ti, la presenza di un possessore in grado di esercita-re prerogative di signoria fondiaria, capace di defi-

259. La struttura è presentata nel capitolo 2, sezione Ca-panne in armatura di pali a livello del suolo.260. La fondazione di un oratorio privato tra IX e X secolo,oltre che per motivi devozionali, era finalizzata all’acquisi-zione di diritti e privilegi da parte della famiglia del fonda-tore. Si veda al riguardo VIOLANTE 1977, pp. 673-674; SET-TIA 1991, pp. 5-6. Sullo scavo di chiese rurali databili tra VIIe VIII secolo si veda BROGIOLO 2001, pp. 199-204. Si vedainoltre come esempio recentissimo il caso, un po’ più tardo,della chiesa del castello fiorentino di Monte di Croce in co-mune di Pontassieve, una cappella privata signorile d’iniziXI secolo (CAUSARANO, FRANCOVICH, TRONTI 2003).

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nire il nuovo assetto economico del villaggio ac-centrando beni e strutture di servizio nella partealta della collina, cinta ora da mura di pietra. Ilcomplesso di IX secolo è identificabile come il cen-tro di una curtis cum clausura, un nucleo insediati-vo e di raccolta, dotato di strutture difensive a con-trollo della “ricchezza”. I versanti del rilievo e lecapanne qui edificate possono essere invece rico-nosciute come la zona massaricia dell’azienda.A Montarrenti il controllo dei beni sembra esserestato capillare. Per gli animali ad esempio, la di-stribuzione dei reperti osteologici mostra il persi-stere di una concentrazione pressoché totale nel-l’area di sommità: dei 472 frammenti rinvenutisolo 20, pari ad una percentuale del 2,54%, pro-vengono dalle zone di versante. È possibile che leossa fossero in gran parte gettate all’esterno del-l’insediamento ma, a parere nostro, questo datosembra indicare che nella casa dominica si gestis-sero quasi interamente i capi presenti nel villag-gio; inoltre che solo un numero molto ristretto difamiglie del massaricio poteva disporne, come lacapanna dell’area 2000 con almeno una vacca (tut-te le ossa rinvenute appartengono ad uno stessoindividuo) o quella dell’area 8000 con alcuni ma-iali ed un piccolo allevamento di animali da corti-le. Viene da chiedersi, constatata la rigorosa con-centrazione di animali all’interno degli spazi cintida mura, se la disponibilità di capi in abitazionidel massaricio non possa essere collegata alla pre-senza di liberi, legati a vario titolo al signore, do-tati di bestie proprie o fornite contrattualmente261.I dati esposti lasciano avanzare ipotesi sulla ripar-tizione delle attività economiche nell’azienda. Illavoro dei campi era svolto soprattutto dai mas-sari. La casa dominica funzionava essenzialmentecome centro di raccolta di prodotti agricoli giàsemi-lavorati sotto forma di canone (come mo-stra l’alto grado di ripulitura dei resti archeobota-nici), di allevamento finalizzato soprattutto all’ali-mentazione (il 50% del totale delle ossa è rappre-sentato da porci macellati in giovane età) ed allosfruttamento delle attività casearie e della lana(37% del totale è rappresentato da caprovini qua-si tutti abbattuti in tarda età). Alcuni campi dove-vano inoltre essere gestiti direttamente dal domi-nico attraverso i propri dipendenti, impiegandodei buoi a tale scopo (presenti in percentualedell’11% e destinati alla mensa in età matura).Anche l’uso dei boschi pare essere riservato aldominico per il pascolo dei suini e per la caccia:le uniche attestazioni di selvaggina provengonoancora dall’area di sommità (Fig. 56).

Miranduolo, nella metà del IX secolo, faceva par-te di una signoria fondiaria che promosse la suadefinitiva trasformazione in azienda. I profondicambiamenti topografici realizzati sono indizio dimanovalanza da impiegare in un’impegnativa esca-vazione della roccia. Mostrano per la prima voltala presenza di una gerarchizzazione elementare,articolata in una bipolarità fra signore e contadinidipendenti, che venivano impiegati sia nelle atti-vità rurali sia in opere decise dal signore stesso.La parte sommitale del rilievo, estesa 750 mq, fufortificata tramite una robusta palizzata e proba-bilmente da un fossato.Il carattere dell’insediamento, che da aperto si cin-ge di difese, evidenzia una nuova realtà in cui ènecessario proteggere persone, animali, strumen-ti e derrate agricole. Il villaggio è divenuto un cen-tro economico distinto fisicamente dal circonda-rio; si trasformò anch’esso, come Montarrenti, inuna curtis cum clausura. La parte sommitale deveessere letta come una casa dominica di piccolaestensione ed essenzialmente luogo di residenzadel proprietario o di un suo agente e luogo di rac-colta. Si caratterizzava come una fattoria compo-sta da pochissime abitazioni (sinora sono state sca-vate quella padronale ed una capanna in cui si svol-gevano attività artigianali), contornate da edificiper l’accumulo di scorte alimentari. Le considere-voli restituzioni archeobotaniche attestano un’eco-nomia agricola tesa a impiegare intensivamentetutto il territorio di catchment tramite campi se-minati a cereali (grano duro, segale, orzo) e legu-mi (favino e cicerchia), coltivando vite, olivo, pe-schi e noci, sfruttando le risorse di boschi (casta-gne e ghiande) e di probabili piantumazioni nelloro insieme composte da querce, castagni, carpi-ni, eriche, aceri, olmi, frassini e pioppi.Il ruolo dell’allevamento non è calcolabile essen-do lo studio dei reperti archeozoologici ancora incorso. Ma alcune indicazioni lasciano intravedere(va però detto che il prosieguo dello scavo con-fermerà o smentirà) come la casa dominica con-trollasse anche la gestione degli animali; nei ma-gazzini, infatti, oltre alle derrate destinate all’ali-mentazione della famiglia dominante, si sono rin-venute ampie quantità di prodotti finalizzati al lorosostentamento. Il dato sembra confermare quan-to osservato per Montarrenti, ed anche per Pog-gibonsi come si esporrà più avanti, dove la gestio-ne degli animali compare come un’esclusiva deldominico.Ugualmente non è stimabile l’ammontare dellapopolazione. Se l’ipotesi sulla presenza di capanneper l’intero mezzo ettaro del rilievo troverà con-ferma (alcune buche di palo stanno già comparen-do sugli spazi a nord ovest del fossato), il villaggioaveva una notevole entità demografica. Al tempo

261. Si veda fra i tanti FUMAGALLI 1976, p. 33 sugli animalidi grossa taglia affidati dal proprietario al livellario.

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262. Un confronto con Rocca S. Silvestro (Campiglia M.ma– LI; si veda FRANCOVICH 1991) castello più vicino tra quel-li scavati in ampia estensione (80% del complesso), svoltoattraverso calcoli e comparazioni sulle rispettive piattafor-me GIS, lascia congetturare l’entità delle strutture abitati-ve e quindi della popolazione. Per Miranduolo possiamocosì immaginare la presenza di 20 abitazioni circa, che at-testerebbero un carico demografico intorno alle 100 per-sone (nucleo familiare medio di 5 unità) che sale intornoalle 130-150 anime includendo i residenti all’interno delcassero. Si veda NARDINI, VALENTI 2003.263. Per dare un aspetto “spaziale” alla rete dei castelliappartenenti ai Gherardeschi, è stato costruito un model-lo dimensionale dei loro distretti, ricorrendo all’applica-zione dei poligoni di Thiessen intesi come territorio teo-rico di pertinenza. Per diminuire il rischio di misure fal-sate, sono stati presi in considerazione tutti i castelli invita fra XI e XII secolo compresi nella fascia degli attualicomuni di Chiusdino, Roccastrada, Montieri, Monticia-no, Sovicille, Radicondoli e Casole d’Elsa; la maglia otte-nuta mostra una serie di territori con dimensioni variabili(dai 36 kmq ai 7 kmq). Ai castelli gherardeschi, posti aduna distanza variabile fra i 3-3,5 Km, si legano distrettiestesi mediamente 21 kmq, che investono tre quarti circadell’Alta Val di Merse; definiscono così un progetto didominio territoriale attraverso la fondazione di un “grup-po” organico di centri fortificati. Nel caso di Miranduo-lo, il poligono delimita un territorio di circa 16 Kmq eracchiude tutte quelle località indicate nelle fonti docu-mentarie di metà XIII secolo come confini del suo com-prensorio od in esso inserite. Si veda NARDINI, VALENTI2003. I valori registrati per la Val di Merse trovano suffi-ciente corrispondenza nella Val d’Elsa. In questo caso lataratura dei poligoni è stata effettuata considerando leattestazioni dei territori limitrofi (Castellina, San Gimi-gnano e Monteriggioni per Poggibonsi; Casole, San Gi-mignano e Monteriggioni per Colle). Il risultato ha mate-rializzato 6 poligoni intorno a Staggia, Talciona, Lecchi,Marturi, Papaiano e che rivelano un’estensione media dipoco superiore ai 13 kmq (13,47962) ed i seguenti valoriunitari: Staggia = 18,608462 kmq; Talciona = 14,788310kmq; Lecchi = 13,820152 kmq; Bibbiano = 13,491514kmq; Papaiano = 14,133508 kmq; Marturi = 6,035817kmq. Nel complesso i territori ipotetici di dominio delcentro di riferimento mostrano, una rete di grandi azien-de che si sono divise più o meno equamente la terra (VA-LENTI 1999).

stesso preciserà l’articolazione del villaggio-azien-da in una casa dominica difesa e di piccole dimen-sioni ed un massaricio molto esteso.La consistenza della popolazione e del territoriodella curtis, possono essere ipotizzate per il mo-mento attraverso un processo di analisi retroatti-va fondata su due supposizioni: coincidenza spa-ziale fra villaggio altomedievale e castello fonda-to alla metà del X secolo e coincidenza dei lorodistretti. Il risultato mostra un carico demografi-co sulle 130-150 persone262 ed un territorio di 16kmq circa263 (Figg. 57-60).A Poggibonsi, le strutture d’età carolingia nasco-no da una nuova ridefinizione urbanistica dell’abi-tato intorno al grande edificio tipo longhouse. Ilvillaggio, anche in questo caso, fu riprogettatosecondo la logica di un controllo forte sugli uo-mini e sul loro lavoro e su un uso ottimizzato de-gli spazi. Il costante aumento della frequenza dibovini a scapito delle altre specie domestiche, ac-compagnato dalla presenza del grande granaio e

di un magazzino molto articolato interno allalonghouse, testimoniano l’emergere di un’econo-mia spiccatamente agricola, alla quale sopravvivesolo l’allevamento di caprovini.Le differenze con il più antico villaggio di età lon-gobarda e con quello di VIII secolo sono sensibili.Sino dal VII secolo l’economia silvopastorale ave-va il ruolo di attività trainante e raggiunse l’apiceagli inizi dell’VIII secolo, incentrandosi soprattuttosui suini; i decenni successivi mostrano l’affian-carsi di attività agricole e la comparsa di nuovestrutture funzionali ad un loro controllo, poi moltopiù stretto con le trasformazioni del villaggio diIX secolo.L’area indagata dallo scavo264 è interpretabilecome il centro di un’organizzazione produttivadi tipo curtense; sembra riconducibile al model-lo delle curtes di tipo “classico”, divise in partedomocoltile e massaricia, quest’ultima da collo-care sulle superfici sud della collina non ancorasottoposte a scavo (ipotesi più plausibile) o inaltra zona del territorio circostante. Nel massa-ricio dovevano svolgersi le stesse attività lavora-tive attestate nel dominico, cioè agricoltura epastorizia specializzata; le quote canonarie veni-vano raccolte nel grande granaio o, nel caso diprodotti alimentari in carne, portate direttamentealla casa dominica265.La presenza del proprietario in loco sembra ac-certata dalla stessa centralità della longhouse e dallerestituzioni di una struttura adiacente. Si tratta diuna piccola capanna con pianta a “T” affacciatasulla strada in terra, in pratica un’abitazione-ma-gazzino, con reperti che rivelano l’identità del si-gnore: una lancia a foglia, una punta di freccia,elementi della bardatura di un cavallo. La piccolacapanna era quindi occupata da un diretto dipen-dente, forse un servo, che custodiva alcuni benifra i quali le armi del suo padrone identificabilein un miles od un exercitalis che traeva sostenta-mento e profitto dall’azienda affidatagli in bene-ficio266.Lo spazio intorno alla capanna dominica fu orga-nizzato come una specie di fattoria dotata di an-nessi e strutture di servizio; gli animali erano cu-stoditi all’interno del centro e le attività artigia-nali venivano svolte sotto il diretto controllo delproprietario. La forgia da ferro e la fornace daceramica, disposte poco lontano dalla longhouse,lasciano intravedere come la fabbricazione di al-

264. Lo scavo è descritto più in dettaglio nel paragrafo 4.1.265. Sulla tipologia dei modelli di azienda curtense si vedasoprattutto la sintesi in TOUBERT 1995.266. Sugli exercitales, i liberi possessori con obblighi diservizio militare e, in relazione ai beni posseduti, tenutianche ad altri servizi come la manutenzione di ponti e stra-de o la custodia armata dei placiti, si veda TABACCO 1966.

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Figure 57 – Miranduolo (SI): distretto ipotetico del castello tra XI e XII secolo.

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Fig. 58 – Miranduolo (SI): depositi di metà IX secolo.

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Fig. 59 – Miranduolo (SI): depositi di metà X secolo.

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267. FUMAGALLI 1976, p. 33 per la pratica del proprietariodi affidare gli attrezzi al livellario.268. Potevano svolgere attività di tipo artigianale nei labora-tori del centro dominico i massari stessi, come prestazioned’opera; su tali aspetti si veda anche DHONT 1990, pp. 33-36.269. Sul tema dell’autosufficienza del sistema curtense, nons’intende il raggiungimento di un’autarchia in una singolacurtis bensì nell’ambito dell’insieme complessivo delleaziende. Autarchia comunque parziale, ricorrendo al mer-cato per beni che il “sistema” non produceva. Si veda PA-SQUALI 1981, in particolare p. 94 che riprende un concettogià illustrato in LUZZATTO 1910, pp. 73-74. A livello piùgenerale, con un’enfasi maggiore posta sui centri curtensicome promotori e organizzatori di scambi e distruggendodefinitivamente il concetto curtis = economia chiusa sivedano in particolare TOUBERT 1983 e TOUBERT 1988.270. Si veda FUMAGALLI 1969, pp. 38-49.271. Sono stati calcolati circa 170 kg di ferro grezzo, at-trezzi in metallo (3 falci, 2 forconi, 3 scuri, 1 mannaia, 29vomeri), oggetti in legno (400 scandolas cioè tegole ligneeper tetto), quantitativi di lana e lino, tele e stoffe grezze. Siveda FUMAGALLI 1980a.272. Si veda TOUBERT 1995, pp. 216-218 con bibliografia.

273. Si veda FUMAGALLI 1980a, pp. 26-27.274. Pasquali, per esempio, ha stimato il patrimonio di San-ta Giulia di Brescia, pur tratto da documentazione giuntaincompleta, suddiviso in 93 fra corti e possessi ubicati in73 località diverse, comprese entro una distanza massimadi 60 km dalla città, con terre coltivate che raggiungevanoquasi 3.000 ettari e boschi per oltre 10.000 ettari. Cifrenon molto distanti dalla dotazione del grande monasteroparigino di Saint Germain-de-Prés (rispettivamente 4.848ettari e 11.173 ettari). Si veda PASQUALI 1981, pp. 96-97anche per l’organizzazione spaziale della produzione.275. Duby sottolinea con chiarezza la natura dei Politticialtomedievali: «Questi polittici, in verità, proiettano sullarealtà delle campagne una luce del tutto particolare, cheforse la deforma. Ciò per tre ragioni principali. Anzitutto,gli inventari non descrivono che le aziende contadine sot-toposte all’autorità e al potere economico di un padrone.Sennonché, ne esistevano certamente altre, indipendenti,delle quali, in mancanza di fonti, non si conoscerà mai néil numero, né la collocazione, né la consistenza. D’altra par-te, niente prova che i ruoli in cui, nei polittici, sono regi-strati gli oneri incombenti ai dipendenti abbiano semprecoinciso con la vera ripartizione del possesso fondiario nel-l’agro, dato che, per semplificare il lavoro di riscossione,gli amministratori di signorie responsabili della redazionedegli inventari continuavano a far valere artificiosamenteruoli vecchi e non più rispondenti alla realtà. Un politticoinfine non è un catasto» (DUBY 1984, pp. 46-47).276. Si veda PASQUALI 2002, in particolare pp. 76-87, perapprofondimenti sulla figura dei servi nella casa dominicae l’estesa trattazione in FASOLI 1983. Inoltre LUZZATTO 1910;PASQUALI 1992; PANERO 1999.

cuni beni necessari alla vita ed al lavoro quotidia-no avveniva nella casa dominica e può rappresen-tare sia una tendenza all’autosufficienza, sia unaproduzione di attrezzi destinati per contratto ailivellari267, sia l’esercizio di una bannalità: i con-tadini ed i pastori del massaricio potrebbero es-sersi dovuti approvvigionare presso il centro268.L’autosufficenza è comunque da interpretare allastregua di una limitata dipendenza economica dal-l’esterno, che non significa totale chiusura e com-pleta autarchia come dimostrano la ceramica a ve-trina pesante ed i molti reperti vitrei rinvenuti269

(Fig. 61).La letteratura storica mette in dubbio la presenzadi strutture funzionali alla produzione di manu-fatti artigianali, poiché nella maggior parte dei casioggetto di canoni e quindi forniti dai massari. Gliinventari redatti nella seconda metà del IX secolonel monastero di Bobbio mostrano la fornitura diprodotti artigianali da parte dei coloni del massa-ricio: per esempio la corte di Luliatica nel paveseera adibita alla produzione ed alla lavorazione delferro, altre a fornire il vestimentum cioè l’abbi-gliamento dei monaci270. Gli inventari di secondametà IX-inizi X secolo del monastero di SantaGiulia di Brescia attestano infatti che circa un quin-to dei coloni dipendenti (su un totale di quasi 1000capifamiglia suddivisi in 80 aziende curtensi) for-nivano annualmente censi sottoforma di beni ma-teriali271. Anche se esistono casi in cui si attestal’esistenza di laboratori artigianali nella casadominica, si precisa comunque che non si tratta-va di un elemento frequente272. Ancora Fumagallisottolinea come gli stessi inventari di Santa Giuliadi Brescia testimoniano raramente l’esistenza dipersonale impiegato nel centro della curtis per at-tività di tipo artigianale: così nella curtis di

Nuvolera, si tratta di generici manufatti e nellacurtis di Cervinica erano invece prodotte 18 lib-bre di lana273.L’archeologia toscana sta però evidenziando l’esi-stenza di strutture artigianali e la loro collocazio-ne sugli spazi interpretati come centro deldominico (oltre a Poggibonsi, Scarlino, Montar-renti, forse Rocchette Pannocchieschi). Probabil-mente il tipo di organizzazione registrata dai Po-littici è relativa soprattutto alla grande proprietàmonastica274, mentre casi di curtes più piccole,come quelle che sono state scavate in Toscana eche dovevano essere le più diffuse, articolaronorapporti e strategie diverse nella produzione distrumenti ed oggetti, preferendo gestirli diretta-mente e, come già esposto, rendendoli eventual-mente oggetto di bannalità275.Tornando a Poggibonsi, il centro della curtis ri-sulta articolato nella residenza padronale, in strut-ture artigianali ed ausiliarie, in abitazioni più pic-cole che sembrano essere state occupate essenzial-mente da prebendari e ministeriales, quindi daiservi casati e dai dipendenti operanti nel dominicoed incaricati di presiedere all’amministrazione, alcontrollo dell’esecuzione delle corvées ed alla ri-scossione dei canoni, all’allevamento degli animali,alla produzione di generi alimentari e di strumen-ti di lavoro276. In tal senso va letta la presenza e lagestione delle strutture per la macellazione e perla lavorazione della carne, per la produzione dibeni e per l’accumulo di derrate e sementi; ed allo

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Fig. 60 – Miranduolo (SI): ricostruzione della casa dominica e sua evoluzione nel X secolo.

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277. Il dato è stato interpretato, in base al concetto dischleep effect, come evidenza dell’importazione di carne disuino, ovvero il maiale non era allevato nella parte del vil-laggio che abbiamo scavato. Trova inoltre riscontri nellefonti documentarie di X secolo dell’Italia centro-settentrio-nale, dove sono riportate le corresponsioni che i livellari,insediati nei mansi di proprietà di una curtis, dovevano aldominico (ANDREOLLI 1981; ANDREOLLI, MONTANARI 1983).In particolare, a partire dal X secolo, in alcune zone d’Ita-lia si diffuse una contribuzione nuova riportata con il ter-mine di amiscere, ad indicare in genere un canone che equi-valeva ad una spalla del maiale (oppure sostituibile con al-cuni denari). La coincidenza dei dati documentari ed ar-cheozoologici rinforza quindi l’ipotesi del centro curtensenel quale, a differenza del villaggio di età longobarda, sem-bra svilupparsi un’economia variegata, dedita in parte al-l’agricoltura ed in parte all’allevamento dei capriovini e ov-viamente dei bovini impiegati come forza lavoro nei cam-pi. Si veda per una chiara esposizione sul significato deltermine amiscere DU CANGE 1954; inoltre ANDREOLLI 1999,pp. 206-208.

278. La particolare forma di signoria che il dominus esercita-va sui contadini residenti nella pars dominica o su terreni agestione diretta è stata individuata nella letteratura con il ter-mine di “signoria domestica” per effettuare una distinzionecon la signoria fondiaria; questa implica infatti «la superiorecapacità del padrone di controllare e condizionare tutti i la-voratori dipendenti» e che spesso portava a poteri coercitivisu tutti i coloni (SERGI 1986, p. 379; si vedano inoltre ALBER-TONI 1997, pp. 11-115; SERGI 1993, p. 17; VIOLANTE 1991).

stesso modo devono essere interpretate le infor-mazioni scaturite dall’analisi archeozoologica.La distribuzione dei reperti osteologici, il loro nu-mero e natura, confermano la presenza di undominus, mostrandone alcune prerogative e le scel-te effettuate. Egli provvedeva al mantenimento deidipendenti operanti nel caput curtis e gestiva il con-sumo della carne regolandone l’accesso (la diffe-renziazione dei consumi in carne si rivela quindiun indicatore di gerarchia sociale). Inoltre, il gran-de quantitativo di reperti osteologici, interpreta-bile come indizio della specializzazione economi-ca dei dipendenti operanti nel dominico, lascia ipo-tizzare che i lavori dei campi (la preponderanzadell’agricoltura nell’economia del villaggio è in-fatti confermata dalle attestazioni di bovini ma-cellati in età avanzata, nonché dalle strutture diaccumulo) potessero essere svolti in gran partetramite corvées.Il dominico in definitiva fu organizzato come uncentro tendenzialmente autosufficiente e collet-tore di derrate alimentari, che in parte venivanoprodotte in loco (carne, latte, prodotti caseari,prodotti agricoli dalle terre in gestione diretta) edin parte provenienti dal massaricio. La distribu-zione delle specie animali evidenzia come neglispazi dominici venivano allevati soprattutto ca-provini mentre il maiale era legato ad approvvi-gionamenti esterni. Sono stati infatti rinvenutiunicamente elementi anatomici che corrispondo-no alla spalla dell’animale: i suini giungevano quin-di nell’insediamento già macellati e come partiscelte di carne lavorata. Era la corresponsione diun canone tipo amiscere proveniente dal massari-cio, la parte dell’azienda in cui evidentemente ven-ne concentrato l’allevamento dei suini277.Mangiare la carne diviene poi un fattore discrimi-natorio; il consumo dei tagli di bue qualitativa-mente migliori ed in notevoli quantità appare comeuna prerogativa degli abitanti della longhouse.

Nella struttura adiacente, la capanna a “T”, si ri-trovano, invece, tagli di seconda scelta ed in par-ticolare quelli relativi alla spalla dell’animale, ap-partenenti a soggetti generalmente anziani. Infinealle famiglie residenti nelle altre capanne, eranoriservati unicamente gli scarti e nella fattispecie leestremità degli arti. Oltre alla carne di bue e dicavallo, era appannaggio quasi esclusivo del pro-prietario quella di capre e di pecore abbattute trail primo ed il secondo anno di vita; i soggetti piùanziani, invece, venivano equamente distribuiti trale famiglie del dominico. In altre parole, la fami-glia residente nella longhouse mangiava molta car-ne di prima scelta e di tipo diversificato, i dipen-denti più stretti accedevano a tagli di seconda scel-ta, il resto della popolazione a tagli di terza scelta.Anche la distribuzione delle spalle di maiale (pre-senti soprattutto nella longhouse) mostrano un ac-centramento di tale bene ed una possibile redi-stribuzione di alcune spalle fra gli stessi dipendenti.Infine, le caratteristiche mostrate dalla ripartizio-ne della carne all’interno delle strutture indagate,così come le ipotesi sulla gestione delle terre lega-te al dominico già presentate, sembrano confer-mare l’esistenza di una “signoria domestica”, datoche rinforza ulteriormente l’interpretazione di parsdominica del complesso sinora scavato a Poggi-bonsi278.Lo scavo e lo studio del cimitero legato al villag-gio di capanne sottolinea un dato interessante,tendenzialmente a conferma della presenza diun’articolazione gerarchica all’interno della po-polazione; gli indizi sembrano rilevabili in un nu-cleo di quattro tombe con copertura in lastre ditravertino inserite al centro di un’area connotatarigorosamente da tombe a fossa terragna. La par-ticolarità di questo gruppo è rafforzata anche dal-la loro collocazione spaziale (una zona ben defi-nita) e dalla presenza di un neonato all’interno diuna piccola cassetta di travertino e deposto ai pie-di di un uomo, l’unico sinora rinvenuto.Il cimitero ci mostra inoltre le caratteristiche del-l’abitante del villaggio di Poggibonsi, conferman-do la presenza di una popolazione impegnata pre-valentemente nei lavori agricoli, con un tenore divita pressoché uniforme; inesistenti sono le mortiviolente e molto rari i traumi.Il 45% circa degli uomini e delle donne morivatra i 25 e i 35 anni di età ed avevano lavorato

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279. Tali caratteristiche sono osservabili a livello degli artiinferiori dove particolarmente forti sono le impronte del mu-scolo grande gluteo (70%), dell’ileopsoas (51,61%), del fe-more e del soleo della tibia (60%); l’entesopatia del tendinedi Achille riguarda poi il 50% dei calcagni osservati. Le in-serzioni molto marcate e le entesopatie del grande gluteosono conseguenti ad intensi e ripetuti movimenti di rotazio-ne esterna ed estensione della coscia; quelle dell’ileopsoasindicano ripetuti movimenti di flessione della gamba; il mu-scolo soleo è flessore plantare del piede. Nell’osso dell’an-ca, per il 28% dei casi, particolarmente forte è l’area d’in-serzione del semimembranoso situata sull’ischio, muscolo cheflette la gamba sulla coscia, imprimendole anche un leggeromovimento di rotazione mediale.

280. Si veda al riguardo FRANCOVICH, NARDINI, VALENTI2000.281. Si vedano per tutti i dati illustrati WALKER 1996a eWALKER 1996b. Inoltre si devono molte delle osservazioniad Angelica Vitiello dell’Istituto di Patologia medica del-l’Università di Pisa che sta analizzando l’intero cimitero.282. Lo scheletro 36 e lo scheletro 111 rappresentano ri-spettivamente un individuo che fa parte del gruppo distinto

duramente per tutta la loro esistenza come dimo-strano le patologie collegate al tipo di attività svol-ta; erano di costituzione robusta e di alta statura.Lo studio ergonomico non rivela una netta sepa-razione sessuale del lavoro. Le donne, come gliuomini, seppure in percentuale inferiore, presen-tano le ossa molto modellate, con impronte mu-scolari marcate e con entesopatie, tanto da far sup-porre che fossero impegnate in lavori altrettantopesanti di quelli maschili; avevano quindi un ruo-lo molto importante nell’economia del villaggio279.Ambedue i sessi rivelano patologie comuni chederivano da impegni considerevoli della parte in-feriore del corpo. Sono attestate lesioni da sovrac-carico (sindesmopatie), soprattutto a livello delcingolo scapolare, conseguenti ad attività fisica-mente molto impegnative, spesso collegate al la-voro dell’aratura (lo sforzo di affondare l’aratronel terreno sollecita fortemente il legamento co-sto-clavicolare). Inoltre gli indici postcraniali, inparticolare dei femori che sono caratterizzati dapilastrismo e platimeria, indicano una forte solle-citazione dei muscoli impegnati nella marcia.Uomini e donne si distinguono nettamente, inve-ce, per quanto riguarda una particolare patologiavertebrale, riscontrata sulle superfici dei corpi dellevertebre toraciche e lombari: le ernie di Schmorl.Ben il 55% dei maschi ne risulta affetto, mentrenessuna delle femmine presenta questa patologia.È una lesione che si manifesta nella colonna ver-tebrale se soggetta a sollecitazioni compressive finodalla giovane età. Sembra quindi che i maschi, adifferenza delle femmine, fossero avviati preco-cemente al lavoro ed in età adolescenziale. Alcuniindividui sono affetti da periostite, soprattutto alivello delle gambe, lesioni alle quali le popola-zioni agricole e pastorali risultano particolarmen-te soggette in quanto, camminando su terreni im-pervi, sono esposte a microtraumi ripetuti a livel-lo delle creste tibiali.La famiglia contadina media era rappresentata daun uomo alto 175,5 cm e da una donna alta 163cm. Il numero dei figli non è precisabile ma sap-piamo che erano avviati al lavoro prima dei 15anni, contribuendo quindi fin da piccoli all’eco-

nomia del nucleo. La vita si svolgeva in condizio-ni ambientali poco salubri causando alle personeforti dolori artrosici e reumatici.La popolazione era spesso soggetta a malattie in-fettive che colpivano soprattutto la superficie delleossa, mentre molto rari sembrano essere stati i tu-mori (due casi di carattere benigno ed un caso dicisti alla mano). La dieta quotidiana si basava sucibi non raffinati e carenti di minerali, quali calcioe ferro; tali deficit portavano in oltre il 40% degliindividui ad anemie benché non gravi. Talvoltaquesta patologia, come nel caso della iperostosi po-rotica, può essere ricondotta anche a parassitosi. Identi, molto consumati, venivano colpiti da tarta-ro anche sotto le gengive (causandone la caduta) emediamente da circa due carie280.L’intera famiglia era impegnata in un’attività la-vorativa che sollecitava tutto il corpo con una pre-valenza nei maschi per la parte inferiore della co-lonna vertebrale. Il fatto che camminassero mol-to indica che i campi erano disposti al di fuoridell’area del villaggio ed in alcuni casi anche aduna certa distanza. Non si doveva disporre di ani-mali di grossa taglia poiché l’aratro sembra trai-nato dalle persone. Anche attrezzi e prodotti deicampi erano trasportati dall’uomo come mostra-no il 36% dei radii con impronte muscolari moltomarcate e le entesopatie del bicipite; l’ipertrofiadi queste inserzioni suggerisce un’attività frequentedi sollevamento di pesi e di trasporto di carichicon gomiti flessi281 (Figg. 62-63).Considerando nel loro insieme caratteristiche de-gli spazi insediati, tipi di strutture indagate, pre-senza significativa degli animali accanto agli uo-mini, alimentazione e patologie, si osserva inoltreche le condizioni di vita nel villaggio di Poggibon-si dovevano essere più o meno le stesse sia per gliindividui che sembrano inumati in sepolture di tipo“privilegiato” sia per la massa della popolazione.Il confronto incrociato fra le anamnesi delle duetipologie di scheletri rivela in realtà poche diffe-renze sostanziali. Sia la probabile élite sia i dipen-denti vivevano nello stesso ambiente, in case umi-de per gran parte dell’anno, a contatto continuocon buoi e caprovini, con un’alimentazione chepur differenziandosi probabilmente non coprivacon efficacia i bisogni vitaminici e proteici indi-spensabili per una dieta salutare e per evitare di-sfunzioni fisiche282.

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Fig. 62 – Poggibonsi (SI): cimitero altomedievale.

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Fig. 63 – Poggibonsi (SI): abitante medio e patologie riscontrate.

Le reali differenze tra la famiglia detentrice dellacurtis ed il resto della popolazione contadina sonoquindi percepibili nell’appartenenza del capofami-glia all’esercito, nella maggiore disponibilità di ciboe nel decidere la sua distribuzione (non significaperò una migliore e più sana alimentazione), nelvivere in un edificio circa tre volte più grande degli

altri, nell’avere servi e dipendenti ai quali si dove-va provvedere per il sostentamento e che svolgeva-no mansioni diverse legate all’economia del cen-tro. Gli stimoli creati dalla lettura congiunta deidati di Poggibonsi sono indubbiamente affascinan-ti. Rimandiamo però ogni conclusione più certa adun futuro in cui avremo a disposizione molti piùcampioni dagli scavi di villaggi altomedievali.Un esempio di villaggio-azienda diverso dalle curtisscavate, od in corso di scavo, fra Val di Merse e Val-delsa283, è rappresentato dal contesto indagato aall’interno del cimitero ed un individuo ben rappresentativo

della massa e propongono delle carte d’identità fisica chenon differiscono molto. Lo scheletro 36 apparteneva ad unindividuo di sesso maschile, di età compresa fra i 35-45 anni,un soggetto colpito da artrosi primaria. Le patologie dege-nerative riconosciute nelle vertebre lombari e cervicali la-sciano ipotizzare un’attività che impegnava in modo omo-geneo tutta la struttura scheletrica. L’esostosi alla clavicolasinistra, può ricondursi ad un precoce episodio infiammato-rio, occorso prima dei 15 anni; la patologia infatti si mani-festa in età puberale, prima che si completi il processo diossificazione delle cartilagini. Lo scheletro 111 era un indi-viduo di sesso maschile, di età compresa fra 35-45 anni, incattivo stato di salute con numerose patologie a carico del-l’apparato scheletrico e di quello articolare. L’attività svoltae la malnutrizione, causarono un processo degenerativo del-le ossa, normalmente sollecitate dai pesanti sforzi, svilup-pando forme di artrosi anche agli arti superiori.

283. Un ultimo caso interessante che, pubblicato recente-mente, è stato presentato come una sorta di villaggio-azien-da è a Cosa (Orbetello – GR); città abbandonata che nelmaturo altomedioevo vide la costruzione di nuove struttureinsediative che interessarono una parte dell’antico abitatourbano. La datazione finale è stata fissata tra la metà del Xsecolo e gli inizi dell’XI secolo tenendo conto di due fattori:l’assenza di un’abbondante cultura materiale e la datazionepiù tarda (XI secolo) che potrebbe solo definire la fase diabbandono (la ceramica datante della cisterna della Casa diDiana è infatti presente negli strati di riempimento e non diuso). Se le indicazioni fornite dagli archeologi sono attendi-bili ci troveremmo di fronte ad un contesto insediativo rura-

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Campiglia Marittima che si propone nel X secolocome un insediamento uniforme di capanne, conoccupazione specializzata in attività silvo-pastoralied in particolare nell’allevamento di maiali. La vo-cazione economica del centro campigliese è testi-moniata dalla presenza di un cospicuo numero dicapi di suino e dalla distribuzione delle età di de-cesso dell’animale: si nota una prevalenza di sog-getti consumati molto giovani (entro il primo anno)a discapito di una loro migliore resa in carne, chenon trova riscontri in altre zone italiane. Mentre diminor incidenza, se non quasi insignificante, dove-va essere l’attività agricola ad integrazione dellenecessità alimentari del villaggio; è stato rinvenutoinfatti un solo bovino anziano presumibilmenteimpiegato nei lavori agricoli284.Si trattava quindi di un centro abitato da porcari,che potrebbe essere riconoscibile come componen-te del massaricio di una curtis, il cui villaggio diriferimento non è stato individuato ma che nondoveva essere molto distante285 (Fig. 64).In tal senso, il confronto con Poggibonsi sembrarivelare la differenza fra un centro dominico edun centro del massaricio. Il confronto tiene contodei caratteri discordi d’immediata percezione, ri-guardanti topografia e articolazione delle struttu-re (a Campiglia sono assenti edifici destinati al-l’accumulo, le capanne risultano tutte uguali e nonsi rileva una gerarchizzazione tra gli abitanti o lachiara presenza di attività artigianali) e soprattut-to della diversa economia.Nella curtis di Poggibonsi l’agricoltura rappresen-tava sicuramente l’attività principale interagendocon pratiche di pastorizia incentrate in particola-re sull’allevamento dei capriovini, che risulta in-vece quasi assente a Campiglia. A Poggibonsi nonera praticato l’allevamento del maiale che arriva-va nel villaggio come corresponsione, Campigliainvece doveva fornire dei prodotti al proprio edeventuale centro di riferimento.Ed è singolare e significativa la coincidenza rile-vabile nei due insediamenti fra corresponsioni ri-cevute e corresponsioni fornite. Contrariamenteal centro domocoltile di Poggibonsi, in quello che

pare rivelarsi a Campiglia come un villaggio mas-saricio i quarti posteriori del maiale (praticamen-te assenti dalle restituzioni) e forse anche dei ca-priovini (che sono poco attestati) sembrano (sug-gestivamente) costituire i canoni che i pastori, in-sediati nel villaggio, dovevano forse per l’usufrut-to delle aree boschive in cui venivano ingrassati imaiali.Un ulteriore elemento distintivo tra i due nucleidi popolamento riguarda la presenza di una ge-rarchizzazione sociale evidenziata, oltre che dal-l’urbanistica dei centri, dalla stessa alimentazio-ne. A Poggibonsi il consumo di carne bovina, equello d’altri animali di grossa taglia come il ca-vallo e l’asino o di particolari pennuti da cortilecome l’oca, era riservato esclusivamente alla fa-miglia residente nella longhouse; mentre la dietadi carne riscontrata in coincidenza delle adiacenticapanne (occupate da personale accasato e pro-babilmente sfamato dal signore stesso) era moltopiù limitata, basandosi su consumi il cui accessosembra essere stato regolato in base alla posizioneoccupata nella gestione e nelle mansioni svolte neldominico.I segni di una gerarchizzazione dei consumi pro-teici non sono stati invece riscontrati nel villaggiocampigliese. L’analisi quantitativa delle specie pre-senti, in associazione all’età di decesso ed all’ele-mento anatomico, non ha rilevato alcun segnodistintivo che possa essere attribuibile a ragioni ditipo sociale nelle tre strutture rinvenute. Ciò nonsignifica che le famiglie delle capanne di Poggi-bonsi mangiassero meglio; anzi, confrontando lerestituzioni degli edifici dei due centri (con l’ec-cezione della longhouse), la dieta sembra più com-pleta per le famiglie di pastori che vivevano a Cam-piglia. Significa invece che l’alimentazione, all’in-terno di un villaggio con presenza signorile, rap-presenta uno dei segni principali per confermarel’esistenza di gerarchia e di controllo e di una strut-turazione dei consumi di tipo piramidale.Campiglia è riconoscibile come una forma inse-diativa ad economia specializzata e di rottura difronte all’incolto, caratteri che molti autori attri-buiscono all’insediamento definito come casale286?

le caratterizzato da difese: un ridotto fortificato in materia-le deperibile nella zona alta dell’Eastern Height con una con-centrazione di strutture abitative (almeno tre capanne), unfossato alle sue pendici, altre capanne nella zona del ForumV con campi ed orti (tracce di sfruttamento agricolo ricono-sciute sui crolli della Casa di Diana) e sistemi di drenaggio eraccolta delle acque, altri due fossati con muri di difesa o dirafforzamento collegati al riuso di preesistenze (si vedaFENTRESS 2003). Viene comunque il dubbio che possa trat-tarsi di un castello di prima fase non riconosciuto dagli sca-vatori, in quanto la conformazione urbanistica e la cronolo-gia lasciano aperta questa possibilità.284. SALVADORI 2004.285. L’azienda di riferimento di Campiglia non è nota maprobabilmente da collocare nella Val di Cornia.

286. Il casale ha avuto una serie di definizioni più o menocoincidenti. Un’unità agricola dispersa impegnata nello sfor-zo di ridurre a coltura gli spazi intercalari (TOUBERT 1995,p. 65); più spesso un villaggio, originariamente sempliceunità agraria di nuovo impianto, sviluppatasi in un’inse-diamento rurale di una certa qual consistenza; può diveni-re spesso un’azienda agricola autonoma (MIGLIARIO 1988,p. 56); proponendosi come gruppi di poderi accentrati (PE-TRACCO SICARDI 1980, p. 363) privi di dominico (FUMAGALLI1976, p. 29). Si veda anche CAPITANI 1992, pp. 87-88. Èparagonabile al villaggio tedesco destinato al dissodamen-to, tipologizzato all’interno del modello Waldhufendorf(ROSENER 1989). Si veda inoltre per la definizione propostanel Lexicon des Mittelalters (FUMAGALLI 1983).

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Il paragone potrebbe essere fatto, non siamo peròin grado di affermarlo con certezza, in quanto l’ur-banistica dell’insediamento, l’organizzazione dellavoro e l’ammontare del popolamento ipotizzatitrovano confronti abbastanza precisi anche in al-cuni insediamenti di metà IX secolo della Berar-denga, in territorio senese. Si tratta di piccoli cen-tri, dei villaggi-azienda che facevano parte delpatrimonio di un grande proprietario, quel Winigigià conte di Siena che, pur descritti con grandeprecisione (citando persino tutti i nomi dei serviceduti e dei dipendenti operanti, nonché il nume-ro degli abitanti), non vengono però definiti in talsenso287.Nell’867 vengono citate «res nostra in Casprina(…) cum casis et hedificiis, cum greges ovium etgreges porcorum et greges armentorum, cum servoset ancillas, et cum ipsos pastores qui animaliacustodiunt»288, per un totale di 22 abitanti raccol-ti in 3 nuclei familiari e una specializzazione delleattività nella pastorizia e nell’allevamento; la cita-zione degli uomini ceduti mostra l’assenza di col-tivatori: il pecorario e il porcario. Nell’881 si de-scrivono «Canpi, hubi dicitur Fontebona, super flu-

vio Cogia, pago senese, cum ipsa terra et silva unotenente ipsa silva nuncupante Acceptoraria et silvaet terra de Piscina sancta et villa qui nuncupanteSeptiminula, ibidem prope ipsa ecclesia cum casis,terris, vineis, silvis, servis pro servis, aldiis proaldiis, liberis pro liberis, omnia et omnibus ad ipsavilla pertinentes et casa in ipso soprascripto Canpi,cum servos et ancillas, cum greges porcorum,greges caprarum, greges iumentorum, gregesarmentorum»289. Canpi e Septiminula si estende-vano su uno spazio formato da poche abitazioni econducevano tipi diversi di attività produttiva.Septiminula doveva il suo aspetto accentrato allacontiguità di poderi contadini destinati alla colti-vazione dei seminativi e della vite integrando conle risorse dell’incolto. Canpi pare invece legato amanovalanza specializzata nell’allevamento e nonc’è traccia di terra coltivata; la conferma viene dal-lo stesso elenco dei servi ivi residenti: il befulcus(quattro esempi), il pecorario (due esempi), loiumentario (un esempio) divisi in sette nuclei fa-miliari per 28 abitanti. Un ulteriore elemento didifferenziazione si rivela nelle condizioni perso-nali degli individui residenti nei due villaggi; fan-no parte del primo uomini con condizioni perso-nali diversificate (servi, semiliberi, liberi), del se-condo esclusivamente persone di rango servile.287. Per i Berardenghi si veda lo studio proposto in CAM-

MAROSANO 1974. Per l’edizione del Cartulario della Berar-denga si veda CASANOVA 1927.288. CARTULARIO DELLA BERADENGA, LIII anno 867. 289. CARTULARIO DELLA BERADENGA, III anno 881.

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Fig. 64 – Campiglia M.ma (LI): ricostruzione dell’insediamento di X secolo.

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