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PECCATI CAPITALI di FRANCO DEBENEDETTI olycom, fotogramma, infophoto (continua dal numero precedente) D ear Vanity Fair, come si sarà notato, ho sbagliato pronostico. Ho scritto e riscritto che l’Italia sarebbe uscita mala- mente agli ottavi con l’Olanda. Ha fatto di peggio. E peggio ancora ha fatto il coro intorno. «Il Paese ama la Nazio- nale», perché la prima partita aveva fatto il pieno in Tv (sugli altri canali che c’era?). «Il Paese ignora la Nazionale» (perché nessu- no perde tempo per andare a spernacchiarla all’aeroporto). «La Nazionale è lo specchio del Paese», hanno titolato autorevoli gior- nali: vero, ma sicuri che tra i direttori non ci siano dei Lippi bis, tra quelli che scrivono dei Cannavaro in pensione a Dubai? Eddai, non son venuto fin quaggiù per ascoltare l’eco del pollaio italiano. Splende il sole, tira vento, sono tutti pazzi per il Ghana, la squadra di un intero Continente che punta per la prima volta al G4, le semifinali. Dicono che il calcio africano sono loro, le stel- le nere. Ho qualche dubbio: ve ne racconto un’altra faccia, quel- la sporca, quella pura. Entro in una galleria d’arte nel centro di Città del Capo, ispirato da un volume di foto che ho trovato nella sala d’attesa dal barbiere. S’intitola Amen. Jessica Hilltout, una fotografa belga, ha trascor- so mesi in giro per l’Africa su una vecchia Volkswagen, percorso migliaia di chilometri riprendendo i ragazzi che giocano a pallone sulla terra del Ghana, della Costa d’Avorio, del Camerun. Qui Boateng, Drogba, Eto’o sono soltanto nomi scritti a penna- rello e già sbiaditi su scarpe sfondate, magliette bucate. I palloni: stracci, calzini e vecchie gomme. Oppure sono creati gonfiando un preservativo (lo immagini il buon dottore missionario venuto a distribuire gli strumenti per la prevenzione dell’Aids?) e poi le- gandoci intorno stoffa e corda. C’è un pallone mozambicano, fat- to con sporte di plastica avvolte da foglie, che sembra un pacco postale, più un parallelepipedo che una sfera. Ci sono, in Ghana, i «palloni stanchi», li chiamano così: hanno tagli, cuciture, sono del colore uniforme della sabbia. Dovrebbero portarli dal «Dot- tor» Akolly, a Lomè, in Togo. È il medico dei palloni. Può ripa- rarli fino a trenta volte. La vita media di una palla di profilattico e corda è 3 giorni. Jessica ha regalato un pallone di finto cuoio cine- se che aveva portato con sé da Città del Capo: si è bucato alla pri- ma partita. Ha giurato che tornerà con uno di cuoio vero in cam- bio di ogni palla «stanca» o «anticoncezionale» che ha ricevuto per metterla nella sua mostra. Racconta con entusiasmo le persone che ha incontrato. La sua pre- ferita è Sani Pollux, «il maestro». Vive in Ghana, allena gli Ano- kye Stars. I genitori lo abbandonarono da piccolo, a 14 anni era già un adulto e educava bambini fino a farli diventare uomini. Sani ha creato una scuola di calcio per allievi dai 12 ai 18 anni. Se sente par- lare di un ragazzino in gamba sale su un autobus per andare a ve- derlo, non importa se poi deve aspettarne un altro e un altro anco- ra. Una volta ha fatto più di duecento chilometri per un piccolo fe- nomeno. Si chiamava Sulley Muntari, adesso gioca nell’Inter e con la Nazionale del miracolo. Sani le ha fornito in passato anche Abo- Un viaggio nel calcio di strada in Africa come metafora della débacle sudafricana (non solo per l’Italia) di Gabriele Romagnoli - foto Jessica Hilltout dottore, il pallone è stanco Alcune immagini tratte dal libro fotografico Amen, della belga Jessica Hilltout: un viaggio durato nove mesi in 6 Paesi dell’Africa Occidentale, tra calcio e vita quotidiana. ra, Boakye, Yeboah. Li tiene a vivere con sé, fa il bucato alle ma- gliette, fa loro vedere le partite del Mondiale alla Tv nella barac- ca, tetto di eternit e disco satellitare. Ha mai ricevuto una tele- fonata internazionale, una lettera, un segno da uno dei ragazzi che ha spedito in Europa? No. Se ne rammarica? Neppure. Il suo tormentone è: «Va bene, va tutto bene. Amen». Per questo la raccolta fotografica s’intitola così: Amen. Su un giornale cattolico sudafricano è apparso un articolo dal titolo: «Il Papa vale più di un capitano di calcio». La Confe- renza episcopale ha raccolto in un opuscolo una serie di lette- re a Dio. Gli scrive un bambino: «Fa’ che la mia squadra vin- ca. O almeno che non arrivi ultima». Il francobollo non era italiano. Amen. Il peccato non fa proseliti. I bordelli aperti puntando sui tifo- si in trasferta battono la fiacca. Alla Tv compaiono maîtresse con il viso oscurato che commentano sconsolate: «Evidente- mente tra calcio e sesso non c’è partita». Amen. A tutto spiano invece il commercio della whoonga, una nuova droga appena immessa sul mercato. Tra i suoi ingredienti c’è anche il veleno per topi. Nelle township ne fumano per quan- ta ne trovano. Vita da ratti, morte da ratti. Amen. Leggo Il buon dottore, ottimo romanzo di Damon Galgut. Sot- tolineo: «Il passato e il futuro sono territori pericolosi». Nel passato è sepolta la faccia in lacrime di Quagliarella (l’ave- vo detto di tenerlo d’occhio). Nel futuro si annunciano par- tite che non ci aspettavamo, svanita anche la possibilità delle Falklands reloaded, che cosa ci resta? Il Ghana dei ragazzi di Sani Pollux, ovviamente, e la finale che, a questo punto, mi as- sicura un amico che vive in Africa e si è fumato non la whoon- ga, ma il divinatorio cervello d’avvoltoio tritato, sarà Argenti- na contro Olanda. La rivincita del ’78, senza generali in tribu- na, ma con in panchina la mano di Dio. Amen. (3- continua) la formula di Bugno «il sindacalista»: più ciclisti, meno doping il «sindacalista» gianni Bugno è pronto all’ennesimo debutto della sua carriera. Dopo quel- la sportiva, che lo ha visto vin- cere un giro nel 1990 e due mondiali, e dopo una seconda vita da pilota di elicottero, il 3 luglio esor- dirà di nuovo al tour de france. ma non in sella a una bicicletta. «Da neo presiden- Il 3 luglio inizia il Tour de France. Qui il neopresidente dell’associazione corridori spiega perché sarà una gara pulita te della cpa, l’associazione internaziona- le dei corridori», spiega il 46enne nato a Brugg, in Svizzera, «dovrò difendere gli in- teressi dei ciclisti, una categoria di cui mi sento ancora parte integrante». Sono ancora difendibili, con tutti que- sti scandali doping? «ora sono gli atleti più controllati: sotto- posti a tantissimi controlli incrociati sangue e urina, prima e dopo la gara, a sorpresa al mattino in albergo e nelle settimane di allenamento. hanno l’obbligo di reperibi- lità e di comunicare gli spostamenti. È co- me avere un braccialetto elettronico». Però ci cascano ancora. Come Pelli- zotti, fermato prima del Giro per un valore anomalo. E poi ci sono le so- stanze che «coprono» il doping... «Qualcosa va perfezionato, però col pas- saporto biologico, in cui sono indicati tutti i risultati dei test ai quali i ciclisti sono stati sottoposti e il loro profilo ematologico, la storia medica di ciascun atleta è alla luce del sole. adesso la sua obbligatorietà sarà progressivamente estesa dalle squadre di prima fascia a tutti i corridori professionisti, perciò sgarrare diventerà difficilissimo». Il suo primo obiettivo da sindacalista? «far tornare i corridori i protagonisti prin- cipali. non è giusto che nelle più impor- tanti corse a tappe partecipino solo le squadre di prima fascia, e vengano esclusi quei ciclisti che, pur bravissimi, hanno scel- to altri team». Non avrà nostalgia della pista? «ho ricordi bellissimi del tour, della gente assiepata lungo le strade, i traguardi del- l’alpe d’huez... ma va bene così, ora mi piace la mia vita da pilota di elicottero, ho sempre a che fare con la velocità. E poi ti- ferò ivan Basso». Luca Bergamin A pag. 112, la nuova frontiera della lotta al doping: i «drogati» ragazzini. www.francodebenedetti.it V al poi la pena usare campioni famosi come testimonial? C’è da chiederselo, dopo le magre rimediate in Sudafrica. E pazienza se l’immagine della sconfitta è la maschera di un Cannavaro che cerca di consolare il compagno Quagliarella in la- crime. Ma quando è quella dei giocatori francesi che rifiutano di allenarsi per la partita che perderanno, c’è poco da salvare. I casi di Luciano Pavarotti, che deposita i suoi guadagni in un pa- radiso fiscale invece che nel Monte Paschi di cui è testimonial, o di Tiger Woods, preso a simbolo di lungimiranti strategie ma che in- cespica in fugaci avventure, avevano mostrato i rischi di prende- re come testimonial un individuo. Scegliendo la Nazionale di cal- cio, Crédit Agricole si credeva al sicuro: i ragazzini in casacca blu che stringono la mano ai loro idoli, modelli di lealtà, altruismo, spirito di squadra, avrebbero dovuto, per proprietà transitiva, ri- verberarsi sull’immagine solidale e paterna delle casse di rispar- mio francesi. Usati come commento alle parole con cui un gioca- tore invita il mister ad attività eterodosse e descrive le virtù della di lui madre, quegli spot sono una catastrofe. Per i testimonial sportivi c’è un rischio specifico: nasce dalla con- traddizione tra il piacere e la passione del tifoso, e i grandi in- teressi economici necessari per fornirli. Ma a essere ambigua è l’idea stessa di usare la raccomandazione di personaggi famosi per vendere. Non è più convincente fare pubblicità basata sulle qualità del prodotto o del servizio? la Waterloo degli sponsor 32 I Vanity fair I 07.07.2010 07.07.2010 I Vanity fair I 33 L’ALTRO MONDIALE 26 ATT2txtok.indd 32-33 28-06-2010 15:06:45

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(continua dal numero precedente)

D ear Vanity Fair,come si sarà notato, ho sbagliato pronostico. Ho scritto e riscritto che l’Italia sarebbe uscita mala-mente agli ottavi con l’Olanda. Ha fatto di peggio.

E peggio ancora ha fatto il coro intorno. «Il Paese ama la Nazio-nale», perché la prima partita aveva fatto il pieno in Tv (sugli altri canali che c’era?). «Il Paese ignora la Nazionale» (perché nessu-no perde tempo per andare a spernacchiarla all’aeroporto). «La Nazionale è lo specchio del Paese», hanno titolato autorevoli gior-nali: vero, ma sicuri che tra i direttori non ci siano dei Lippi bis, tra quelli che scrivono dei Cannavaro in pensione a Dubai?Eddai, non son venuto fin quaggiù per ascoltare l’eco del pollaio italiano. Splende il sole, tira vento, sono tutti pazzi per il Ghana, la squadra di un intero Continente che punta per la prima volta al G4, le semifinali. Dicono che il calcio africano sono loro, le stel-le nere. Ho qualche dubbio: ve ne racconto un’altra faccia, quel-la sporca, quella pura. Entro in una galleria d’arte nel centro di Città del Capo, ispirato da un volume di foto che ho trovato nella sala d’attesa dal barbiere. S’intitola Amen. Jessica Hilltout, una fotografa belga, ha trascor-so mesi in giro per l’Africa su una vecchia Volkswagen, percorso migliaia di chilometri riprendendo i ragazzi che giocano a pallone sulla terra del Ghana, della Costa d’Avorio, del Camerun. Qui Boateng, Drogba, Eto’o sono soltanto nomi scritti a penna-rello e già sbiaditi su scarpe sfondate, magliette bucate. I palloni:

stracci, calzini e vecchie gomme. Oppure sono creati gonfiando un preservativo (lo immagini il buon dottore missionario venuto a distribuire gli strumenti per la prevenzione dell’Aids?) e poi le-gandoci intorno stoffa e corda. C’è un pallone mozambicano, fat-to con sporte di plastica avvolte da foglie, che sembra un pacco postale, più un parallelepipedo che una sfera. Ci sono, in Ghana, i «palloni stanchi», li chiamano così: hanno tagli, cuciture, sono del colore uniforme della sabbia. Dovrebbero portarli dal «Dot-tor» Akolly, a Lomè, in Togo. È il medico dei palloni. Può ripa-rarli fino a trenta volte. La vita media di una palla di profilattico e corda è 3 giorni. Jessica ha regalato un pallone di finto cuoio cine-se che aveva portato con sé da Città del Capo: si è bucato alla pri-ma partita. Ha giurato che tornerà con uno di cuoio vero in cam-bio di ogni palla «stanca» o «anticoncezionale» che ha ricevuto per metterla nella sua mostra.Racconta con entusiasmo le persone che ha incontrato. La sua pre-ferita è Sani Pollux, «il maestro». Vive in Ghana, allena gli Ano-kye Stars. I genitori lo abbandonarono da piccolo, a 14 anni era già un adulto e educava bambini fino a farli diventare uomini. Sani ha creato una scuola di calcio per allievi dai 12 ai 18 anni. Se sente par-lare di un ragazzino in gamba sale su un autobus per andare a ve-derlo, non importa se poi deve aspettarne un altro e un altro anco-ra. Una volta ha fatto più di duecento chilometri per un piccolo fe-nomeno. Si chiamava Sulley Muntari, adesso gioca nell’Inter e con la Nazionale del miracolo. Sani le ha fornito in passato anche Abo-

Un viaggio nel calcio di strada in Africa come metafora della débacle sudafricana (non solo per l’Italia)

di Gabriele romagnoli - foto Jessica Hilltout

dottore, il pallone è stanco

Alcune immagini tratte dal libro fotografico

Amen, della belga Jessica Hilltout: un viaggio durato

nove mesi in 6 Paesi dell’Africa Occidentale, tra

calcio e vita quotidiana.

ra, Boakye, Yeboah. Li tiene a vivere con sé, fa il bucato alle ma-gliette, fa loro vedere le partite del Mondiale alla Tv nella barac-ca, tetto di eternit e disco satellitare. Ha mai ricevuto una tele-fonata internazionale, una lettera, un segno da uno dei ragazzi che ha spedito in Europa? No. Se ne rammarica? Neppure. Il suo tormentone è: «Va bene, va tutto bene. Amen». Per questo la raccolta fotografica s’intitola così: Amen.Su un giornale cattolico sudafricano è apparso un articolo dal titolo: «Il Papa vale più di un capitano di calcio». La Confe-renza episcopale ha raccolto in un opuscolo una serie di lette-re a Dio. Gli scrive un bambino: «Fa’ che la mia squadra vin-ca. O almeno che non arrivi ultima». Il francobollo non era italiano. Amen.Il peccato non fa proseliti. I bordelli aperti puntando sui tifo-si in trasferta battono la fiacca. Alla Tv compaiono maîtresse con il viso oscurato che commentano sconsolate: «Evidente-mente tra calcio e sesso non c’è partita». Amen.A tutto spiano invece il commercio della whoonga, una nuova droga appena immessa sul mercato. Tra i suoi ingredienti c’è anche il veleno per topi. Nelle township ne fumano per quan-ta ne trovano. Vita da ratti, morte da ratti. Amen. Leggo Il buon dottore, ottimo romanzo di Damon Galgut. Sot-tolineo: «Il passato e il futuro sono territori pericolosi». Nel passato è sepolta la faccia in lacrime di Quagliarella (l’ave-vo detto di tenerlo d’occhio). Nel futuro si annunciano par-tite che non ci aspettavamo, svanita anche la possibilità delle Falklands reloaded, che cosa ci resta? Il Ghana dei ragazzi di Sani Pollux, ovviamente, e la finale che, a questo punto, mi as-sicura un amico che vive in Africa e si è fumato non la whoon-ga, ma il divinatorio cervello d’avvoltoio tritato, sarà Argenti-na contro Olanda. La rivincita del ’78, senza generali in tribu-na, ma con in panchina la mano di Dio. Amen. (3- continua)

la formula di Bugno «il sindacalista»: più ciclisti, meno doping

il «sindacalista» gianni Bugno è pronto all’ennesimo debutto della sua carriera. Dopo quel-la sportiva, che lo ha visto vin-cere un giro nel 1990 e due

mondiali, e dopo una seconda vita da pilota di elicottero, il 3 luglio esor-dirà di nuovo al tour de france. ma non in sella a una bicicletta. «Da neo presiden-

Il 3 luglio inizia il Tour de France. Qui il neopresidente dell’associazione corridori spiega perché sarà una gara pulitate della cpa, l’associazione internaziona-le dei corridori», spiega il 46enne nato a Brugg, in Svizzera, «dovrò difendere gli in-teressi dei ciclisti, una categoria di cui mi sento ancora parte integrante».Sono ancora difendibili, con tutti que-sti scandali doping?«ora sono gli atleti più controllati: sotto-posti a tantissimi controlli incrociati sangue

e urina, prima e dopo la gara, a sorpresa al mattino in albergo e nelle settimane di allenamento. hanno l’obbligo di reperibi-lità e di comunicare gli spostamenti. È co-me avere un braccialetto elettronico».Però ci cascano ancora. Come Pelli-zotti, fermato prima del Giro per un valore anomalo. E poi ci sono le so-stanze che «coprono» il doping...

«Qualcosa va perfezionato, però col pas-saporto biologico, in cui sono indicati tutti i risultati dei test ai quali i ciclisti sono stati sottoposti e il loro profilo ematologico, la storia medica di ciascun atleta è alla luce del sole. adesso la sua obbligatorietà sarà progressivamente estesa dalle squadre di prima fascia a tutti i corridori professionisti, perciò sgarrare diventerà difficilissimo».Il suo primo obiettivo da sindacalista?«far tornare i corridori i protagonisti prin-cipali. non è giusto che nelle più impor-tanti corse a tappe partecipino solo le

squadre di prima fascia, e vengano esclusi quei ciclisti che, pur bravissimi, hanno scel-to altri team».Non avrà nostalgia della pista?«ho ricordi bellissimi del tour, della gente assiepata lungo le strade, i traguardi del-l’alpe d’huez... ma va bene così, ora mi piace la mia vita da pilota di elicottero, ho sempre a che fare con la velocità. E poi ti-ferò ivan Basso». luca bergamin

A pag. 112, la nuova frontiera della lotta al doping: i «drogati» ragazzini.

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Val poi la pena usare campioni famosi come testimonial? C’è da chiederselo, dopo le magre rimediate in Sudafrica. E pazienza se l’immagine della sconfitta è la maschera di un

Cannavaro che cerca di consolare il compagno Quagliarella in la-crime. Ma quando è quella dei giocatori francesi che rifiutano di allenarsi per la partita che perderanno, c’è poco da salvare.I casi di Luciano Pavarotti, che deposita i suoi guadagni in un pa-radiso fiscale invece che nel Monte Paschi di cui è testimonial, o di Tiger Woods, preso a simbolo di lungimiranti strategie ma che in-cespica in fugaci avventure, avevano mostrato i rischi di prende-re come testimonial un individuo. Scegliendo la Nazionale di cal-cio, Crédit Agricole si credeva al sicuro: i ragazzini in casacca blu che stringono la mano ai loro idoli, modelli di lealtà, altruismo, spirito di squadra, avrebbero dovuto, per proprietà transitiva, ri-verberarsi sull’immagine solidale e paterna delle casse di rispar-mio francesi. Usati come commento alle parole con cui un gioca-tore invita il mister ad attività eterodosse e descrive le virtù della di lui madre, quegli spot sono una catastrofe. Per i testimonial sportivi c’è un rischio specifico: nasce dalla con-traddizione tra il piacere e la passione del tifoso, e i grandi in-teressi economici necessari per fornirli. Ma a essere ambigua è l’idea stessa di usare la raccomandazione di personaggi famosi per vendere. Non è più convincente fare pubblicità basata sulle qualità del prodotto o del servizio?

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32 I V a n i t y f a i r I 0 7 . 0 7 . 2 0 1 0 0 7 . 0 7 . 2 0 1 0 I V a n i t y f a i r I 33

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