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the most famous food and travel magazine
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marzo 2012
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L’altra Italia | Scuole alberghiere | Donato Lanati | A
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arda | Carole Bouquet e Pantelleria
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L’ALTRA ITALIA CIBO, VINO E TALENTI:
LA FACCIA VINCENTE DEL BELPAESE NEL MONDO
Viaggio nelle scuole alberghiere Val di Sangro, patria dei cuochi
Intervista al re degli enologi: Donato LanatiDe Zan, “Mr. 50 milioni di bottiglie vendute”Il vino italiano a 25 anni dal caso metanolo
Alla scoperta della sponda veneta del GardaCarole Bouquet stregata da Pantelleria
Oltre 40 appuntamenti enogastronomici
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editoriale di Domenico [email protected] del gusto
Siamo tutti d’accordo: il comparto agroalimentare è uno straordinario asset economico per il nostro Paese.Con una peculiarità rispetto a tutti gli altri settori che producono ricchezza: ovvero, non è delocalizzabile.Nel senso che il food & wine italiano potrà anche essere prodot-to altrove, trasferendo le materie prime, i semilavorati o lo stesso know-how, ma nessuno potrà mai spostare fisicamente, in un al-tro territorio, gli ulivi centenari della Puglia, le vigne della Francia-corta o i pomodori di Pachino, per ottenere lo stesso risultato. Per intenderci: nessuno potrà mai delocalizzare quello che, in enologia, viene chiamato terroir, l’insieme cioè delle peculiarità territoriali (condizioni naturali e fisiche, zona geografica, clima) che contribuiscono a rendere “unico”, “tipico” e immediata-mente identificabile, il vino italiano.
Ciò che bisogna fare adesso, dunque, è valorizzare il più pos-sibile questo inestimabile patrimonio enogastronomico, nell’obiettivo ultimo di generare fatturati sempre più importanti.Diciamo questo, perché convinti che l’agroalimentare possa rap-presentare la ciambella di salvataggio del sistema-paese, il volano economico che può farci ripartire dalla crisi. Basta guar-dare i dati 2011, del resto, per rendersi conto del volume di af-fari che il cibo italiano – nonostante la congiuntura – produce nel mondo, e del suo ruolo di moltiplicatore (esponenziale) di investimenti. Per far sì che ciò avvenga però, al primo punto della nostra agen-da di governo, bisogna mettere la consapevolezza/conoscen-za di questo driver economico.Sembra banale, ma non lo è. L’ultimo governo “politico”, negli ultimi tre anni, è riuscito a nominare tre diversi ministri dell’agri-coltura, a dimostrazione dell’importanza (!) che evidentemente si attribuiva alla programmazione in questo comparto.
Al secondo punto – ça va sans dire – ci dev’essere la pianificazio-ne di una strategia di valorizzazione adeguata e raziona-le. La promozione agroalimentare in Italia, troppo spesso, è stata declinata infatti ad un mero sistema di clientelismo politico e di distribuzione di prebende per i soliti amici e compari. Ergo, è tempo di ottimizzare le risorse, tagliare il superfluo ed istituire una cabina di regina unica! Mutuando, ad esem-
pio, il modello francese di un’agenzia centrale per la promo-zione come Sopexa, oggi in mano ai privati di Credit Agricole, ma per anni agenzia pubblica per la promozione del “prodotto Francia”. L’affidamento ad un unico soggetto finalizzato alla pro-mozione del Made in Italy agroalimentare, dovrà, gioco-forza, far sparire tutti gli altri enti, compresi quelli regionali e provinciali. Di soggetti esistenti infatti, ne abbiamo fin troppi: Enit, Ice, Buonitalia, istituti di ricerca, associazioni, fondazioni, e qui mi fermo, ma solo per pudore. Un sottobosco istituzionale dove trovano casa, e ingrassano le proprie tasche, furbi, furbetti e furbacchioni, a tutto discapito di operatori seri come i giornali di turismo che da anni promuovo-no “a costo zero” il nostro paese ma che poi, dimenticati dallo Stato al momento di distribuire le risorse, finiscono per chiudere, come è già successo a tanti. Gli italiani – è proprio il caso – dovrebbero sapere quante sono state, finora, le sovvenzioni erogate ai giornali “di parrocchia”, mentre si negavano invece aiuti a quelli seri, solo perché questi non avevano i giusti addentellati con la politica. Basta dunque con i soldi pubblici per l’agroalimentare sprecati per inutili e dispendiosi enti-carrozzone, per edi-toria patinata e senza contenuti, o peggio ancora, per spe-se farlocche, sagre da strapaese e gite di famiglia all’estero travestite da missioni!
Lanciamo un appello al governo dei tecnici affinché venga convocata una tavola rotonda sul tema della promozio-ne agroalimentare e si proceda ad una spending review nel settore. In proposito, crediamo ci sia da fare una grande opera di ottimizzazione della spesa, con conseguente risparmio di svariate decine di milioni di euro per le casse dello Stato.
Ultimo, e fondamentale punto, è la distribuzione. In Italia ab-biamo commesso un errore fatale, lasciandola in mano a fran-cesi e tedeschi. Riteniamo sia arrivato dunque, il momento di sostenere gli imprenditori che vogliono seriamente impegnarsi ad internazionalizzare i nostri prodotti.Solo così il nostro driver dell’agroalimentare avrà le risposte che merita.
Agroalimentare: il rilancio del Paese passa da qui.Ma bisogna riorganizzare la promozione e fermare gli sprechi
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panorama34 Le scuole alberghiere
L’Italia che merita di Marzo è quella degli istituti che hanno cresciuto generazioni di chef e dove crescono i talenti di domani
38 Val di Sangro, terra di cuochiLo chef Caracino ci racconta di una stirpe di cuochi e camerieri abruzzesi che hanno lavorato per re, imperatori e persino per Hitler
40 A 25 anni dal caso metanolo L’indagine: lo scandalo che segnò il momento più buio per il vino italiano. Da lì è partita la rinascita. Solo un caso?
Personaggi44 Donato Lanati A lezione dall’enologo-scienziato54 Armando De Zan Mr. 50 milioni di bottiglie vendute
58 Olio
cibo&territorio62 Lungo la Riviera degli Olivi
Alla scoperta della sponda veneta del Garda e del suo extravergine Dop
68 I vini di Reggio CalabriaLa provincia enoica, i suoi vitigni, le sue tradizioni
70 La scoperta, l’asparago di Canino
72 Girogustando, i dolci pasquali
74 Il ristorante, Black Diamond (Milano)
76 Il buono a tavola, Sardegna
80 Scienza e vita, il miele
84 Almanacco
86 Orto, il radicchio
88 Chef italiani nel mondo
sommariosommario marzo 2012
12 Dall’Italia e dal mondo
16 Occhio ai consumi
18 Fatti e contraffatti Olio, come difendersi dalle frodi
22 Appuntamenti
54 Personaggi
68 I vini di Reggio Calabria
34 Storie dall’Italia che merita
48 Cover storyIl cibo e il vino rappresentano,
nonostante la crisi, la faccia vincente dell’Italia. Quella su cui
bisognerebbe puntare per far ripartire il Paese
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92 Emozioni di viaggio 96 Argentario
100 L’Italia in mostra
inviaggio92 Emozioni di viaggio: Pantelleria L’isola in cui nessuno è straniero. Qui anche
Carole Bouquet ha trovato una casa. E un vino
96 L’ArgentarioL’arcipelago che vuol rinascere dopo il drammadel naufragio della nave Costa Concordia
100 L’Italia in mostra: TriesteL’eleganza abbagliante della città friulana impreziosita dal “fuoco della natura”
104 Camera con vista
106 Week-end nel verde
108 Città in 24 ore, Taranto
110 Città in 24 ore, Bruxelles
112 L’arte dell’accoglienza
piaceri116 Le mani raccontano Cecchi de’Rossi e le sue borse di lusso,
macchie di vino che diventano piaceri
118 Vini naturali
120 Benessere
122 Libri “La rivoluzione della lattuga”
124 Arte
126 #Cibo in rete
128 Trendy
130 Shopping
sommariosommario marzo 2012
132 Le selezioni
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...”hanno cercato di imitare la luce e la purezza dei cristalli ma mai nessuno è riuscito ad imitare l’amore che noi mettiamo nelle nostre creazioni”
Oriana Bassetti Stylist manager ab
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AbruzzoMichele Caracino, Gaetano Castaldi
CalabriaOttavio Cavalcanti, Salvatore Chiarella, Antonio RomeoRaffaele Romeo
CampaniaFerdinando Cappuccio, Luisa Del Sorbo
Emilia-RomagnaLucrezia ArgentieroLuca Bomezzadri, Marco Landucci, Gianpietro Nagliati, Luca Sardi, Nerino Trentini, Fruttuoso Zucchini, Luca Campana
Friuli Venezia-GiuliaValentina Coluccia
LazioFrancesco Maria Bucarelli, Domenico Bruno, Paola Caselli, Rosalia Imperato,
Alessandro Mei, Giovanni Merone, Francesca Oliverio, Laura Ruggieri
LiguriaAlessandro Baffigi, Barbara Bacigalupo
LombardiaCesare Assolari, Roberto Bonsi, Massimiliano Bruni, Franca Dell’Arciprete Scotti, Lorenzo Foti, Francesca Frediani, Valentina Gavarini, Eugenio Meloni, Umberto Mortelliti, Aldo Pagnussat, Giampaolo Perna, Barbara Pinnetti, Saro Trovato
MarcheMichela PallonariFerruccio Squarcia
MoliseGiovanni Scapagnini
PiemonteFabio Alcini,
Gian Nicolino NarducciMauro Rosta, Sarah Scaparone,
PugliaBruno Micai, Jolanda De Nola, Nunzio Pacella, Mariella Piscopo, Sergio Siciliano
SardegnaRoberto Dall’Acqua, Annalisa Bernardini, Lino Erriu,
SiciliaCesare Aldesino, Marco Scapagnini
ToscanaElena Conti, Marco Ghelfi, Antonio Tartarelli
TrentinoFrancesca Negri
UmbriaM. Pia Fanciulli
VenetoBenedetta Frare
Direttore ResponsabileDomenico Marasco
Coordinamento editorialeFrancesco CondoluciTel. 0289053250
EditingGilda Ciaruffoli
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GINO CELLETTIUmbro, ex manager farmaceutico, definito il “Talebano dell’olio”, è anche Capo Panel del Consiglio Oleicolo Internazionale. Nel suo libro “Monocultivar Olive Oil, l’olio perfetto” ha svelato le verità mai dette sull’olio. E ha perso qualche amico. Se volete sapere il perchè cliccate su www.monocultivaroliveoil.compag. 58
ISA GRASSANOLucana di nascita, bolognese d’adozione. Da piccola sognava di fare l’hostess o la giornalista. Quando s’è resa conto che non avrebbe superato l’1,60 di altezza, ha ripiegato sulla seconda opzione. Ma non ha rinunciato ai viaggi ed al turismo, di cui scrive con passione e competenza. Tra voli aerei e pagine da riempire, ha anche trovato il tempo per creare un divertente manuale sulle “101 cose da fare Gratis in Italia”.pag. 110
MICHELE CARACINO Ha lasciato il suo Abruzzo da giovane per andare a Milano a cucinare nei circoli esclusivi dell’aristocrazia. Nella sua lunga carriera di chef, è arrivato persino a far da mangiare a papa Wojtyla. Di palati “che contano” ne ha deliziati parecchi insomma, tanto che, sui loro peccati di gola, potrebbe scriverci un libro. Lui però, preferisce godersi la pensione cucinando per gli amici. Ah, se lo incontrate fategli gli auguri, perché presto sarà nonno. pag. 38
GIUSEPPE PULINASassarese dalla nascita 55 anni fa, insegna zootecnia speciale nell’università della sua città e, con i Sardi, condivide, oltre all’aria ed alla terra, soprattutto il mare. Che ama solcare in canoa, quando non é troppo occupato a studiare il perchè tutti ritengano le pecore poco intelligenti.pag. 80
RICCARDO LAGORIOÈ nato a Brescia 44 anni fa, vive con la valigia sempre pronta, il bloc-notes e la penna sempre in mano, ferri del mestiere di cronista vecchio stampo. Allievo prediletto di Luigi Veronelli, lo hanno definito “food scout”. Di scoperte del patrimonio gastronomico ne ha fatte davvero molte, migliaia. Tutte provate nei luoghi d’origine: la sua corporatura ne è testimone.pag. 48
ROBERTO RABACHINOPiemontese, 54 anni, giornalista, scrittore, docente universitario e sommelier. Ha fatto del vino una ragione di vita e di lavoro: al punto che lo scorso anno a New York è stato eletto presidente dei degustatori di vino di 29 nazioni nel mondo. Presiede anche l’associazione italiana dei giornalisti dell’agroalimentare e, per non farsi mancare nulla, con il suo “Vocabolario del vino” ha vinto il Concorso Internazionale Libri da Gustare.pag. 50
contributors marzo 2012
Oltre 200 milioni di euro. È il bilancio, approssimato per difet-to, dei danni causati alla filiera agroalimentare dallo sciopero dei camionisti per il caro gasolio che, a gennaio scorso, ha, di fatto, paralizzato l’intera Italia. Pesce, frutta e verdura introvabili sui mercati, scaffali dei supermercati vuoti e prezzi aumentati mediamente del 10-15% nel corso della serrata. Considerando tutte le attività paralizzate dal blocco circolazione dei tir – dalla coltivazione alla raccolta, dalla trasformazione alla vendita nella grande distribuzione, delle perdite – secondo i dati raccolti su tutto il territorio nazionale dalle organizzazioni di categoria, almeno la metà è ricaduta sull’agricoltura, alimenti freschi e ortofrutta in particolare. Nemmeno qualche settimana dopo la fine dello sciopero degli autotrasportatori e il breve ritorno alla normalità, a febbraio è arrivata l’eccezionale ondata di maltem-po a dare il colpo di grazia al comparto agroalimentare. La neve, infatti, ha bloccato di nuovo i trasporti su gomma, provocando un ulteriore fermo forzato al mercato delle derrate alimentari e mandando al macero 100 mila tonnellate di prodotti deperibili. Un’altra situazione di paralisi che, in termini di danni economici, ha colpito soprattutto il Centro-Sud, la macroarea del Paese dove è concentrato il 57% della produzione ortofrutticola nazionale e dove una azienda su 3, per giorni, non è riuscita a conferire il prodotto. La Coldiretti ha indicato in altri 300 milioni di euro l’ammontare delle perdite dell’agroalimentare causate, in questo caso, dalle intemperie climatiche che hanno imperversato, impo-nendo uno stop alla circolazione delle merci sulle strade.
Il commentoDue eventi di natura diversissima tra loro, l’uno pianificato e l’altro del tutto accidentale, ma con un minimo denominatore comune: lo sciopero degli autotrasportatori di gennaio e l’emergenza freddo di febbraio, in questo primo difficilissimo scorcio del 2012, tra i tanti, hanno evidenziato (se mai ce ne fosse stato ancora bisogno) un dato incontrovertibile: ovvero che in Italia, da anni, vige un regime silenzioso e in grado di condizionare l’intero Paese, di fatto a suo piacimento. Un sistema di potere costituito, latente e inattaccabile, che potrebbe essere definito la “dittatura della gomma”. Uno stato di fatto che, in qualunque momento, può permettersi di ridurre il Paese alla fame, semplicemente incrociando le braccia. Le scene viste durante il blocco dei tir e successivamente, nei giorni più rigidi dell’ondata di maltempo, sembravano uscite direttamente da un “disaster movie” americano su catastrofi
nucleari o meteoriti pronte ad abbattersi sulla Terra. Massaie che si accalcavano nei supermercati a fare la scorta di cibo, scaffali vuoti, gente che frugava nei cassonetti dell’immondizia, code per comprare a prezzi esorbitanti l’ultimo ciuffo di verdura rimasto sui banchi del fresco, per non parlare delle liti furiose alle pompe di benzina per contendersi qualche litro di carburante. Per spiegare questa incredibile contingenza, basta citare un po’ di numeri: in Italia l’88,3% delle merci viaggia su strada a mezzo veicoli pesanti gommati e 9 prodotti alimentari su 10 percorrono più di 1000 km per arrivare dal campo allo scaffale del supermercato (con inevitabile ricaduta sui costi per il consumatore finale). In Europa, l’Italia, per ciò che concerne il trasporto merci su strada, è superata solo da Spagna e Gran Bretagna: staccatissima invece la Germania che, grazie ad una rete di trasporti ferroviari e fluviali particolarmente sviluppata, subisce molto meno la dittatura della gomma (65,4%). Ciò detto, resta
facile capire il perché lo Stivale finisce rapidamente in ginocchio, se le quasi 200 mila aziende del trasporto merci su gomma, per un motivo o per l’altro, spengono i motori. E diventa nondimeno semplice comprendere la capacità persuasiva che la lobby dei padroncini è in grado di esercitare sulle istituzioni nazionali. Quello che invece risulta davvero indecifrabile, è il motivo per cui, malgrado la “dittatura della gomma” spadroneggi ormai da decenni nel Belpaese, i governi seguitino ad investire ostinatamente sulla costruzione di infrastrutture stradali e autostradali, trascurando colpevolmente invece (a differenza del resto d’Europa) il potenziamento dell’intermodalità e dei trasporti su rotaia: un modello cioè ecosostenibile, più economico, sottoposto al controllo pubblico e per di più, anche meno condizionabile dalle intemperanze della natura. Eppure, treni merci e ferrovie continuano a languire. Mentre la dittatura della gomma (è proprio il caso di dirlo) fa il bello ed il cattivo tempo.
Scioperi, neve, Tir fermi e scaffali vuoti: è l’Italia della dittatura della gomma
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dall’Italia e dal mondo di Francesco condoluci
Pagamenti a tempo per i fornitori: è scontro tra Gdo e governo MontiIl decreto liberalizzazioni del Governo Monti, in Italia, dà molto fastidio nel settore della Grande Distribuzione Organizzata. A suscitare l’ostruzioni-smo delle grandi catene alimentari, in particolare, è l’articolo 62 del pacchetto agrolimentare contenuto nel decreto liberalizzazioni, quello cioè che impone l’obbligatorietà dei pagamenti a 30 e 60 giorni nei con-fronti dei fornitori, “in nome della libera concorrenza e del mercato, a tutto vantaggio del consumatore, e della tutela delle migliaia di piccole e medie imprese associate sempre più in difficoltà nei rapporti con la grande distribuzione moderna”. La Gdo ha giudicato infatti l’articolo “inapplicabile”. Un atteggiamen-to che il ministro per le Politiche Agricole, Mario Catania, ha dura-mente stigmatizzato: «Sono basito e preoccupato, non capisco come chi incassa cash tutti i giorni possa essere contrario a pagare in tempo”. La grande distribuzione si è mossa armi in pugno per far saltare l’artico-lo e non so come andrà a finire. Ma è una battaglia importante e sono determinato a combatterla fino in fondo. C’è un tentativo in atto di spazzare via principi equi e sacrosan-ti come il diritto ad avere contratti scritti nelle transazioni commerciali e a essere pagati entro certi termi-ni. Sono soprattutto le piccole e medie imprese dell’agroalimentare a essere strozzate dalle condizioni poste dalla Gdo». Dalla parte del Ministro si sono schierate invece le organizzazioni del mondo agricolo, Confagricoltura, Coldiretti e Cia.
Campagna contro l’obesità negli Usa, anche la Wal Mart si adeguaLa crociata condotta in prima persona da Michelle Obama contro l’obesità dilagante negi Usa comuncia a produrre i suoi effetti, perlomeno sulle catene della distribuzione alimentare. Tra le prime grandi aziende a recepire le indicazioni salutiste della campagna avviata dalla Casa Bianca, la Wal Mart che vende circa la metà del cibo consumato dagli americani. Il colosso del settore alimentare statunitense ha fatto esordire infatti, sui propri scaffali, una nuova etichet-ta, la Great for You, che segnala i prodotti più genu-ini ai consumatori e che comparirà su un gruppo di prodotti a marchio Walmart compresi nelle fasce di prezzo standard e medio-alta. Tra i segnalati, come prodotti sani e genuini, ci sono: frutta e verdura, il riso (solo quello integrale), alcuni tagli di carni bian-che e comunque magre, il latte scremato e quello che contiene fino all’1% di grassi e le uova. Nessun dolce, invece, si è aggiudicato l’etichetta Great for You. Wal Mart, per andare incontro alle indicazioni del governo sul consumo critico, ha deciso anche di eliminare la differenza di prezzo esistente in 350 prodotti tra la versione standard e quella light.
Frutta e verdura contro il cancro al colon-retto: lo dicono i coreani Consumare più frutta e verdura per prevenire il tumore al colon-retto: è il suggerimento che arriva dallo studio del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Daegu in Corea del Sud. Questo genere di neoplasia, tristemente noto per essere tra le principali cause di morte al mondo, è stretta-mente correlato al tipo di alimentazione adottata, poiché è noto come una dieta troppo sbilanciata possa cagionare processi infiammatori nel tessuto intestinale che, nel tempo, possono degenerare in lesioni tumorali. Secondo lo studio, la frutta e la verdura svolgerebbero invece una specifica azione protettiva anti-cancro, grazie alla presenza di una sostanza in esse contenuta, la leutolina, dotata di poteri antiossidanti e antinfiammatori, in grado di inibire la produzione di IGF-II, una sostanza legata alla proliferazione delle cellule tumorali del colon.
Pesca selvaggia nei mari: tonni e sgombri rischiano l’estinzioneTonni e sgombri a rischio estinzione nei mari di tutto il mondo. È uno studio condotto a livello internazio-nale da un gruppo di biologi canadesi ed europei ad aver tratteggiato questo inquietante scenario. La pratica della pesca senza limiti, in uso da oltre mezzo secolo, ha provocato infatti una diminuzione del 60% della popolazione di questo pesci nelle acque più fredde. In alcuni casi (per esempio i tonni atlantici) i branchi sono stati depauperati dell’80% e gli attuali ritmi di pesca contribuiscono a peggiorare una situazione che da tempo non è più sostenibile, perché il numero di esemplari pescati è ben al di sopra della capacità di ripopolamento. In totale, ogni anno il 12,5% dei tonni viene ucciso. L’altra grande famiglia, quella degli sgombri, non gode di miglior salute: la pesca, in questo caso, viaggia tra una sostenibilità risicata e l’eccesso insostenibile.
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dall’Italia e dal mondo
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Novità sui ricorsi per multeModificata la tempistica per poter inoltrare un ricorso al giudice di pace
I tempi per poter proporre un ricorso al giudice di pace sono stati ridotti, passando dai precedenti 60 giorni dalla notifica agli attuali 30 giorni (d. lgs.150/2011). Rimane invece invariata la possibilità di ricorrere al pre-fetto del luogo in cui è stata commessa la violazione entro 60 giorni dalla notifica. Di seguito le procedure che si possono seguire quando si vuole presentare un ricorso. Innanzitutto si deve individuare il soggetto le-gittimato a proporre il ricorso, che è individuato verifi-cando le procedure di notifica. Il conducente non pro-prietario può ricorrere solo se l’infrazione gli è contestata di persona e gli viene rilasciata copia del verbale. Il proprietario può ricorrere dal giorno in cui gli viene notificata la sanzione. Entrambi possono ri-correre al giudice di pace entro 30 giorni oppure ricor-rere al prefetto entro 60 giorni. In particolare si segna-la che per presentare ricorso al prefetto si può inoltrare lo stesso attraverso raccomandata A.R. op-pure si può presentare di persona presso l’organo di polizia che ha accertato la violazione. Si deve allegare al ricorso, in copia, il verbale in contestazione, conser-vando l’originale per eventuale ricorso ulteriore al giu-dice di pace. La procedura al prefetto non costa nulla, però, in caso di sconfitta, si corre il rischio di veder au-mentata la sanzione pecuniaria per effetto del tempo trascorso. Si rammenta anche che non è possibile pa-gare la sanzione e contemporaneamente presentare ricorso, infatti un’azione esclude l’altra. Il ricorso al giu-
dice di pace invece si presenta con raccomandata A.R. oppure in cancelleria del giudice competente. Accer-tarsi prima della presentazione se venga richiesto in allegato l’originale del verbale oppure la copia, anche se allegando l’originale il ricorso è sicuramente valido. Ricordarsi di indicare i recapiti che verranno utilizzati dalla cancelleria per la notifica della data dell’udienza, a cui il ricorrente è obbligato a presenziare, che può essere comunicata anche via fax o mail. Il contributo da versare per il ricorso al giudice di pace è di 37 euro quando il valore di causa non supera 1.100 euro, e 85 euro per valori di causa superiori. La marca da bollo va apposta sul ricorso solo se il valore di causa supera 1.033 euro. Si precisa che il ricorrente può chiedere nel ricorso oltre all’archiviazione del verbale anche la mo-difica della sanzione applicata perché ritenuta più co-erente nonché la sospensione delle sanzioni accessorie quali perdita di punti, sospensione della patente, se-questro del mezzo. Può essere richiesta anche la rate-azione della somma. In particolare si segnala che se il ricorso viene presentato al prefetto e si perde, entro i successivi 30 giorni si può sempre ripresentare il ricor-so al giudice di pace. Se anche il giudice di pace si pro-nunciasse contro il ricorso è ammesso il ricorso al Tri-bunale civile. In questo caso però ci si deve rivolgere a un avvocato che effettuerà tutte le procedure. È am-messo infine anche il ricorso alla Cassazione qualora tutti i gradi di giudizio siano stati negativi.
Restano invariati invece i 60 giorni
per impugnare le sanzioni davanti
al Prefetto. La procedura
non costa nulla, ma in caso di sconfitta,
aumenta la somma da pagare
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occhio ai consumidi Marco Bacchetta e Danila reposi
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Grazie alla storica produzione di Vini Marsala, liquorosi dolci e di Pantelleria.
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Un consumatore informato è un consumatore più difficile da truffare. Ma come si fa a districarsi nella giungla di prodotti, prezzi
ed etichette e difendersi dalle truffe alimentari? Fatti e Contraffatti proverà a fare chiarezza,
partendo dall’alimento principe della tavola italiana. Per aiutarvi a capire cosa c’è nella bottiglia
e il valore di ciò che acquistate
Partiamo dall’Abc dell’oliva dunque - drupa per gli ad-detti - scusandoci, fin da ora, se alcune cose potranno apparire ovvie, ma meglio ripeterle se servono a dare a chi legge un quadro più esaustivo e nitido possibile.A differenza delle altre oleginose, è dalla polpa del frutto, e non dal seme, che si ricava l’olio. Come per tutti i frutti, anche di olive ci sono tanti tipi, alcuni presenti su tutto il territorio nazionale, altri tipici di determinate zone. I diversi tipi si chiamano cultivar. Altra caratteristica sostanziale è la differenza di tipo-logia di coltivazione tra i vari paesi, in particolare tra l’Italia e la Spagna, che è il maggior produttore. Nel-la penisola iberica, e specie in Andalusia dove viene prodotta la quasi totalità dell’olio spagnolo, si pra-tica una coltivazione intensiva, una vera e propria industria con un procedimento molto invasivo. Nel nostro paese, per fortuna, molto olio viene ancora prodotto invece in piccole realtà dove l’artigiano-frantoiano gioca un ruolo importante.
Extravergine: c’è un solo modo per produrloPer avere un buon olio, la drupa deve essere sana e aver raggiunto il giusto grado di maturazione. An-che le olive subiscono tuttavia l’attacco dei parassiti, tra i quali il più dannoso è la mosca olearia che, o fa rattrappire la drupa facendola cadere prima di aver raggiunto la maturazione ottimale, o comunque ne impedisce il pieno sviluppo influenzando la quantità e la qualità di olio in essa contenuto. Altro pericolo per la qualità dei frutti, come per ogni pianta, sono le gelate e la siccità. Il grado giusto di maturazione si raggiunge quando la drupa è di colore un po’ verde e un po’ violacea: in questo stadio la si definisce invaiata. Se la drupa è completamente verde, vuol dire che il frutto non è maturo e l’olio in essa contenuto è quantitativamen-te scarso e non ha ancora sviluppato le sue caratte-ristiche. Se è violacea invece vuol dire che è troppo matura: la quantità di olio sarà più sostanziosa ma in tal caso a risentirne sarà la qualità, dal momento che essa avrà acquistato un gusto di frutto passato di maturazione. Abbiamo detto che dà più olio: ma perché? Perché la membrana cellulare che contiene l’olio è più sottile, come succede in qualsiasi cellula vecchia, e quindi la fuoriuscita del contenuto è più semplice. Ma c’è un altro fattore negativo: poiché la membrana non ha più la sua forza protettiva duran-te il trasporto al frantoio, il liquido che fuoriesce ini-
Olio: i segreti dell’extravergine e i trucchi dei furbetti
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fatti e contraffatti di Marishel Fecchi
zierà a fermentare danneggiando la qualità dell’olio. Non dimentichiamo che l’olio, come tutti i grassi, tende a ossidarsi e ad assorbire odori e sapori. Seguire i vari step di produzione aiuta a far capire che per ottenere un buon prodotto bisogna lavorare cor-rettamente su tutto il processo produttivo, e a met-tere in evidenza che molti errori che si commettono nelle diverse fasi produttive sono correggibili, ma purtroppo chimicamente (anche se non illegalmen-te). Questo è uno degli aspetti di cui il consumatore deve essere a conoscenza, e che può fare la differen-za di prezzo. Ma proseguiamo con le fasi di lavora-zione per ottenere un olio extra vergine d’oliva che dovrebbe essere l’unico autorizzato definirsi tale.Le drupe sane e al punto giusto di maturazione de-vono essere trasportate in contenitori di medie di-mensioni affinché non si schiaccino, e devono esse-re frante entro 24 ore dalla raccolta. In caso di alte temperature questo tempo si deve accorciare per evitare il riscaldamento delle drupe che portano a oli difettosi. Appena le drupe entrano in frantoio, si inizia la separazione meccanica di rami, foglie e altre impurità. La presenza di troppa clorofilla nelle foglie e di tannini nei legni, produrrebbero nell’olio un gusto astringente. Alla separazione segue il la-vaggio. Le olive lavate vengono portate alla frangi-trice e durante la frangitura vengono schiacciate. Ci sono vari tipi di frantoi, ma tutti finalizzati a schiac-
ciare la drupa in modo che fuoriesca la membrana cellulare che contiene il suo succo. Non si deve pen-sare però che l’olio esca come da uno spremiagru-mi. Quando le olive sono frante, si forma infatti una pasta che contiene olio, acqua e fibra data sia dal-le membrane cellulari sia dal guscio dei noccioli. La pasta che esce dal frangitore passa nella gramola. Si tratta di una vasca a doppia parete dotata di me-scolatori. Fra le doppie pareti, viene fatta circolare acqua che, normalmente, ha una temperatura tra i 25° e i 35°C per un periodo di 40-50 minuti. Qui c’è un’altra sostanziale differenza tra il metodo di lavo-razione in Italia e in Spagna: da noi si lavora a 27°C e per massimo 50 minuti, in Spagna a 35° e fino a 90 minuti. La dicitura “spremitura a freddo”, come si evince, è elastica. Il processo di gramolatura è uno dei più importanti e delicati perché, se si alza la temperatura, si aumen-ta la quantità di olio che si può estrarre, ma come sempre a scapito della qualità. Se non si tara in maniera corretta il tempo di gramolazione a seconda del cultivar e della quantità di ac-qua di vegetazione (l’acqua contenuta naturalmente nel frutto al momento della frangitura) si rischia poi di in-nescare processi indesiderati. Du-rante la gramolazione, le goccioli-ne di olio avvolte nella membrana lipoproteica contenuta nelle cellule delle olive vengono liberate, per coalescenza si aggregano in gocce più grandi e, nel decanter, verran-no definitivamente separate. Proprio durante la gramolazione si verificano processi importanti come la formazione di aromi, il conferimento all’olio delle sue ca-ratteristiche organolettiche e nutrizionali e, pur-troppo, anche fenomeni negativi come l’influenza dell’ossigeno sugli acidi grassi, soprattutto i polinsa-turi, favorendo la formazione di perossidi e il conse-guente irrancidimento. Dopo la gramolazione la pa-sta viene diluita con un 10-30% di acqua rispetto al peso (dipende dal tipo di olive). L’acqua deve avere la stessa temperatura della pasta per poter separare al meglio acqua-olio-sansa. Variando il quantitativo dell’acqua, si può influenzare il gusto dell’olio e la sua sensibilità all’ossidazione. Riducendo l’acqua si ottiene un olio più ricco di sostanze fenoliche, di vi-tamina E e di tocoferoli: il risultato sarà un prodot-to più amaro e più stabile. Temperature più alte sia nella fase di gramolazione che di decantazione au-mentano la resa, ma l’olio sarà disarmonico; amaro ma senza aromi. Un olio piatto. L’indice di estrazio-ne corretto è dell’80-87% di quello contenuto nelle drupe. A questo punto però non abbiamo ancora un olio pulito. Ci sono, in sospensione, particelle so-lide e acqua. Ma soprattutto, in questo stadio, l’olio
OLI DENOCCIOLATIEsistono in commercio oli
denocciolati. Vuol dire che pri-ma della frangitura, con una mac-
china apposita viene estratto il noc-ciolo in modo da avere l’olio dalla sola polpa. Ma gli esperti non sono
unanimi sul risultato e pertanto non è il caso di soffermarsi
più di tanto sul tema.
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non è conservabile: per renderlo conservabile deve essere pulito con un separatore. Il separatore non è che una centrifuga verticale: vi si introducono olio e acqua e quest’ultima trasporta con sé le impu-rità. L’olio così ottenuto deve essere subito filtrato e deumidificato. Per farlo, si usano filtri di cotone idrofilo per permetterne la conservazione. A una temperatura di 15-20°C e lontano da fonti di luce, l’olio si può conservare per circa 18 mesi mante-nendo le sue caratteristiche peculiari.
Frodi e contraffazioni. Come difendersi Le frodi più comuni sugli oli sono: a) miscelare olio d’oliva con oli di semi in parti-colare di nocciola, che è quello più simile all’olio di oliva; b) rettificare un olio vergine che costa il 30-40% in meno e farlo diventare extra vergine; c) trasformare gli oli di importazione in oli italiani. Cosa può fare, concretamente, il consumatore per difendersi? Prima di tutto informarsi. In secondo luogo leggere le etichette, non acquistare ciò che non è chiaro, diffidare di chi dà informazioni fuor-vianti (ad esempio, “carboidrati 0” oppure “non contiene colesterolo”: tutti sanno che l’olio è un grasso vegetale e come tale non contiene cole-sterolo), leggere anche ciò che è scritto in carat-teri microscopici. Seguendo l’iter di produzione si possono evidenziare i punti critici, esaminando le etichette per individuarli. Ma occorre fare una pre-messa: riteniamo che le categorie commerciali in cui sono suddivisi gli oli, e le qualità reali da essi possedute, non siano identiche. Un olio Dop dice sicuramente che le olive vengono coltivate e fran-
te in un’area limitata, che non devono fare gran-di tragitti e ci sono più probabilità che arrivino al frantoio fresche e sane. Non è l’unico criterio, ma è quello più semplice. Grado di acidità: definisce il grado di alterazione dell’olio. Per un extravergine la legge dice che l’acido oleico non deve supera-re lo 0,8. Perché, ci chiediamo, se tutti sanno che se le olive sono sane, raccolte al momento giusto e lavorate come si deve, non si supera lo 0,3? Se la forbice è così ampia entrano nella categoria an-che oli che non ne hanno diritto ma, de facto, lo hanno per legge: attenzione quindi ad acquistare oli la cui acidità è più vicina allo 0,3 che allo 0,8. L’etichetta non dice niente su altri fattori che ca-ratterizzano un olio, ad esempio dal punto di vista salutistico, cioè nella prevenzione di malattie car-diovascolari o nella prevenzione del tumore; ci ri-feriamo al contenuto di acido oleico, che varia dal 54 all’82%, e lo stesso dicasi per il contenuto di vi-tamina E, dove si passa da 23 a 750 mg/kg. Sono differenze eclatanti di cui nessuno parla. Sul mer-cato arrivano oli che sono extravergine, non han-no difetti, ma che sono sicuramente vuoti, e forse peggio, anche se non fuorilegge.
Oli deodorati e prezzi al consumatore Gli oli deodorati sono oli d’oliva non commestibili per via di grossi difetti che, con accorgimenti fisi-ci e meccanici (non chimici, e quindi autorizzati a mantenere sull’etichetta “ottenuti meccanicamen-te”), diventano senza difetti, ma che non possono essere venduti come extravergine, a meno che non vengano miscelati con una quota di extravergine. Un olio deodorato è riconoscibile in laboratorio per la presenza di alchil esteri (si formano se le olive su-biscono processi di fermentazione). Lo scandalo è che mentre prima erano fuorilegge, ora l’assurda legge europea sulla libera circolazione dei deodo-rati li permette fino a una presenza di alchil este-ri di 70 mg/Kg: tali sono i valori che la Spagna si è fatta approvare da Bruxelles, contro i 30 mg/kg che aveva richiesto l’Italia. Il perché è chiaro. Ed eccoci al punto finale: il costo. Il costo dell’olio al supermercato non può essere inferiore a quello della borsa all’ingrosso sulle maggiori piazze nazio-nali e comunitarie. Ad esempio, il prezzo dell’ex-travergine Terre di Bari Dop in cisterna all’ingrosso, sul luogo di produzione, oggi è di circa 2,50 euro/Kg (1Kg = 1,1litri), circa 2,24 euro la bottiglia da 750 ml. A questo costo del prodotto puro vanno aggiunti tutti i costi aggiuntivi, dal trasporto al ve-tro, dall’etichetta ai costi di imbottigliamento, da quelli di magazzino al supermercato. Il prezzo giu-sto, dice Coldiretti, è di circa 6 euro. Bene, ora la domanda è: se un olio di dubbia qualità in offerta costa circa 3 euro, quanto si risparmia in un anno? 30 euro? E ne vale davvero la pena?
Classificazione degli oli
L’unico criterio che il legislatore utilizza
per la classificazione è la quantità di acido oleico
OLI VERGINIOlio extravergine di oliva max
0,80 gr/100 gr;Olio di oliva vergine max 2,00
gr/100 gr;Olio lampante da 2,00 gr in poi
OLI NON VERGINIOlio raffinato max 0,3 gr (non
vendibile direttamente al consumatore);
Olio di oliva, miscela di olio raffinato e di olio d’oliva
vergine, max 1,00 gr;Olio di sansa greggio (non vendibile direttamente al
consumatore) ricavato dalla sansa per estrazione;
Olio di sansa di olive raffinato dall’olio di sansa greggio, max 0,3 gr (non vendibile
direttamente al consumatore);Olio di sansa d’oliva miscela
di olio di sansa raffinato e vergine d’oliva, acidità
max 1,00 gr
In Italia molto olio viene prodotto in piccole realtà dove l’artigiano-frantoiano gioca un ruolo importante
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di Gilda Ciaruffoli
Friuli-Venezia GiuliaEsclusiVamEntE olioOlio Capitale presenta le migliori produzioni nazionali ed estere di olio extravergine d’oliva. A Trieste, una città strategica per raggiungere nuovi mercati, da sempre crocevia di scambi commerciali, si incontrano così produttori provenienti da tutta Italia, Spagna, Croazia, Slovenia e Portogallo con i loro oli Dop, Igp, biologici, fruttati intensi, medi o leggeri. Evento esclusivo, è anche l’unico a puntare esclusivamente sull’extravergine di qualità senza altri prodotti food & beverage a distogliere l’attenzione.2-5 marzo, Trieste - Info: www.oliocapitale.it
toscana la FilosoFia dEl VinoTorna, per la sua V edizione, Terre di Toscana, la più importante degustazione aperta al pubblico dedicata ai vini di una regione protagonista della vitivinicoltura italiana. Gli ambienti dell’Una Hotel di Lido di Camaiore, nel cuore della Versilia, vedono ancora una volta riunite 120 fra le migliori cantine, a partire da quelle che hanno fatto la storia del vino italiano fino alle più giovani; i produttori presenti sono ben lieti di raccontare la loro storia, il loro lavoro in vigna e in cantina, la filosofia che c’è dietro ai loro vini, illustrando le emozioni che essi possono regalare. Oltre 500 le etichette in assaggio.11 – 12 marzo, Lido di Camaiore (Lu) Info: www.terreditoscana.info
Piemonte O ci vai O ci seiNel titolo il claim dell’edizione 2012 di Cioccolatò, la manifestazione che la Città di Torino dedica al cioc-colato da nove anni a questa parte. Un chiaro invito a non mancare, che si sia torinesi o turisti, perché è un’occasione imperdibile di conoscere il cibo degli dei, di approfondire la tradizione cioccolatiera del Piemonte e di divertirsi con le tante iniziative pro-poste: incontri con gli esperti, degustazioni, attività culturali e di animazione per i più piccoli, legate al cioccolato made in Italy e internazionale.2-11 marzo, Torino Info: www.cioccola-to.it
Lombardia MiLanO, Mai cOsì biOndaL’Italia Beer Festival, la manifestazione itinerante dedicata alla promozione della birra artigianale e di qualità, fa tappa a Milano con il consueto mèlange di degustazioni, laboratori ed eventi che si propongono di diffondere la conoscenza del mondo birrario artigianale con particolare riguardo alla produzione italiana. Ad accoglie-re la manifestazione, unica in Italia interamente dedicata al mondo dei microbirrifici artigianali, i caratteristici locali dello Spazio Antologico di via Mecenate.9-11 Marzo, MilanoInfo: www.degustatoribirra.it
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VenetoTradizioni incendiarie Usanza della quale si hanno tracce fin dal 1800, il Processo alla Vecia di Treviso si svolge da oltre 30 anni in prossimità del Ponte Dante. Qui la Vecia, appesa sopra l’acqua del fiume Sile, attende il suo ineluttabile destino: essere incendiata dai sub che scendono lungo il fiume con le fiaccole. La tradizione trevigiana prevede, prima del rogo, uno spettacolo del Gruppo Folcloristico Trevigiano con i suoi balli e canti tipici della tradizione contadina e un vero e proprio processo si svolge in chiave comica e farsesca con tanto di giudice, avvocato della difesa e pubblico ministero.15 marzo, Treviso - Info: www.gruppofolcloristicotrevigiano.com
Sicilia Per fare tutto ci vuole… un’arancia La V Sagra dell’arancia rossa di Sicilia Igp è un mo-mento gastronomico a tutto tondo, che sa intrat-tenere i visitatori che vogliono spingersi nell’ennese per offrire momenti decisamente piacevoli al proprio palato. Tanti gli stand e tre le zone di degustazioni di-slocate nelle due piazze principali in cui viene distribu-ito gratuitamente succo di arancia, e sono preparate torte, frittelle, arancini… tutto rigorosamente a base di arancia! Artisti di strada, gruppi folkloristici e danze in costume allietano l’evento. 16-18 Marzo, Centuripe (En)Info: comune.centuripe.en.it
emilia-romagna vent’anni verdi e guStoSiLa XX edizione della rassegna gastronomica Il Piatto Verde ha in programma molte iniziative, tra cui ce-ne e corsi di cucina con rinomati chef stellati. Fulcro della rassegna è il concorso per la migliore ricetta re-alizzata con le erbe aromatiche che, nel corso delle precedenti edizioni, sono rientrate nell’elaborazione dei piatti vincitori del concorso: cerfoglio, finocchio, noce moscata, menta, dragoncello, aneto, rosma-rino, calendula, ruta, ortica, salvia, malva, lavanda, camomilla, levistico, alchechengi. 12-16 marzo, Riolo Terme (Ra) Info: www.terredifaenza.it
Toscanail diamanTe della TerraLa XIV Mostra Mercato del Tartufo Marzuolo si svolge nel borgo medioevale di Cigoli, avvolto nello splendore del paesaggio delle colline sanminiatesi. Protagonisti gli stand di prodotti eno-gastronomici tipici, dove assaggiare vino, olio, e il tanto atteso tartufo Marzuolo. Per tutto l’arco della manifestazione inoltre sono a disposizione dei visitatori alcuni piatti al tartufo da degustati gratuitamente, e per i più esigenti, è aperto il ristorante I giorni del tartufo, dove vengono presentate le creazioni dello chef Yuri Biligiardi. A fare da contorno alla manifestazione tante iniziative: dalla dimostrazione di escavazione del tartufo all’esposizione di antichi mestieri tradizionali. 17 – 18 Marzo, Cigoli di San Miniato (Pi)Info: www.cigoli.org
Feletti compie 130 anni e celebra lo storico anniversario
con autenticità, passione e tradizione
Feletti S.p.A. Via Cascine, 32 - 11026 Pont Saint Martin (AO)
Tel. 0374 350506 - email: [email protected] - www.feletti.it
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Lazio Un week end da gUstare La Manifestazione CioccoTuscia – Festi-val dei Dolci Sapori si svolge presso la presti-giosa Residenza Do-mus La Quercia di Viterbo le cui sale e i chiostri storici ospita-no i produttori di dolci tipici della Tuscia a base di cioccolato, ma non solo. Presenti infatti pro-duttori dei vari settori dolciari locali pronti a offrire assaggi delle loro delizie, il tutto accom-pagnato da un programma di eventi ricchissimo che prevede mostre di pittura, di fotografie, sfilate di moda, musica, concerti, seminari e convegni: insomma tutti gli ingredienti per un week end tutto da gustare! 24-25 marzo, Viterbo - Info: www.cioccotuscia.it
Veneto Una stagione beLLa e bUonaColori e Sapori di Primavera è la tappa conclusiva della Rassegna Fiori d’Inverno e quella di apertura della Rassegna Germogli di Primavera. Un gustoso punto di incontro tra il territorio, la sua tradizione e le sue produzioni, i cui protagonisti sono tre prodotti tipici del territorio quintino quali il radicchio rosso tardivo di Treviso, l’asparago bianco di Badoere e il radicchio verdolino verdon. In esposizione i pregiati prodotti a marchio Igp e tante creazioni dell’artigianato locale. 22-25 marzo, Quinto di Treviso (Tv)Info: www.germoglidiprimavera.tv
Campania NoN solo braCioleFesta popolare e contadina, la Sagra del Maiale si articola in una mostra-mercato dei prodotti tipici locali: funghi, vino, miele, pane casereccio, for-maggi, papazzi e, in particolar modo, il fagiolo cu muss pint, che cresce esclusivamente in queste zone, e l’olio extravergine d’oliva, nonché prodot-ti dell’artigianato locale e della Valle del Sele. Gli stand ovviamente riservano grande spazio e atten-zione alla vendita e alla degustazione delle carni del maiale, ma solo di quelli locali allevati come tradizione, e natura, vuole.23-25 marzo, Senerchia (Av)Info: www.prolocosenerchia.it
emilia-romagna assaporare CoN leNtezzaTorna la Primavera Slow nel Parco del Delta del Po Emilia-Romagna, e con essa la possibilità di scoprire un territorio e le sue eccellenze, le sug-gestioni, i paesaggi e i colori attraverso le tantis-sime iniziative in programma fino al 3 giugno. In particolare, segnaliamo la XXXIV Sagra del Tar-tufo con stand gastronomici, degustazioni con cuochi professionisti, mercatini di prodotti tipici del Parco del Delta del Po, mostre, conferenze e camminate in pineta.24-25 marzo e 31 marzo-1 aprile, RavennaInfo: www.podeltabirdfair.it
“Egli prese la tazza e bevendo il dolce vinocon piacere indicibile, dell’altro ne chiedeva: dammene ancora,ti prego,e subito dimmi il tuo nome”
Omero (Odissea)
Il sole e la terra hanno donato calore e vita al frutto, la luna gli ha regalato l’anima. Le note olfattive, grazie alle forti escursioni termiche tra il giorno e la notte, si arricchiscono di sfumature uniche ed irripetibili.Questo spumante nascedalla vinificazione in bianco con metodo charmat, di uve nero d’avola di proprietà.
Società Agricola Luna Sicana spaCasteltermini - Agrigento, ItalyMobile: +39.380.7919541www.lunasicana.it - [email protected]
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Emilia-RomagnaMa cosa Mangiano i MaRinai?La XII edizione di Azzurro come il Pesce, manifestazione gastronomica dedicata alla valorizzazione del prodotto principe della cucina locale, si svolge presso la storica Colonia Agip e nel centro storico cittadino dove sono predisposti punti di somministrazione ed è possibile degustare i piatti tipici della tradizione marinara locale. L’iniziativa vede coinvolti anche diversi ristoranti della città, che proporranno menu ad hoc a prezzi particolarmente vantaggiosi. dal 30 marzo, Cesenatico (Fc)Info: 800 556 900
Piemonte EsPlosioni di colorEMesser Tulipano è la manifestazione che offre l’occasione per trascorrere una giornata nel par-co storico del castello di Pralormo, alle porte di Langhe e Roero, immersi in 75mila tulipani fio-riti. La mostra sviluppa quest’anno il tema della straardinaria ricchezza di colori della natura: nel-la serra francese e nell’antica orangerie si posso-no ammirare esposizioni dedicata alle orchidee mentre nel parco è allestita un’ampia sezione de-dicata agli orti urbani con suggerimenti per alle-stirne anche in piccoli spazi grazie a soluzioni in-novative e divertenti. dal 31 marzo, Pralormo (To) Info: www.castellodipralormo.com
Lombardia
Mangia, E viaggia, sostEnibiLETorna Fa’ la cosa giusta! che giunge quest’anno alla sua IX edizione. Di particolare interesse la sezione Mangia come parli, dedicata ad alimentazione sostenibile, agricoltura biologica e biodinamica, filiera corta e km zero, che torna anche quest’anno con una vetrina completa di novità e produzioni ormai consolidate. Non mancano degustazioni e laboratori per imparare o arricchire la propria esperienza diretta nella preparazione dei cibi. Sezione speciale di quest’anno è invece quella relativa al Turismo Consapevole: proposte innovative per vivere i viaggi in modo sostenibile.30-31 marzo, MilanoInfo: www.falacosagiusta.org
siciliaUn rE dal cUorE tEnEroIl borgo di Ramacca si inserisce in un territorio estremamente fertile, ricco di agrumeti e uliveti, con le colline coltivate a viti e le vaste pianure a cereali legumi e ortaggi. Ma ciò che rende davve-ro magico questo paesaggio è un Re dalla corazza impenetrabile e dal cuore tenero: il Carciofo Vio-letto. E a lui il paese dedica una Sagra, straordina-rio momento di socializzazione e arricchimento culturale, artistico e gastronomico con degusta-zione di piatti tipici e delizie a base di carciofo.30 marzo - 01 aprile - Ramacca (Ct)Info: www.carciofofest.it
appuntamenti in breve
1 BilBOlbulFestival Internazionale di fumetto che, attraverso mostre, incontri con autori, proiezioni e attività laboratoriali, si pro-pone di avvicinare il fumetto d’autore a un pubblico sempre più ampio.Info: www.bilbolbul.net1-4 marzo, Bologna – Emilia-Romagna
2 Cantine aperte Itinerario che tocca le principali cantine del paese. Protagonisti le migliori Doc locali, le cooperative produttrici, i pro-dotti agricoli del territorio. Info: www.cogne.org2 marzo, Cogne (Ao) – Valle d’Aosta
3 Art & CioccIl tour dei Cioccolatieri tenta con praline e cioccolatini, tavolette, cioccolata calda e... chi più ne ha più ne metta!Info: www.comune.savona.it2-4 marzo, Savona – Liguria
4 Golosaria Tra i castelli del Monferrato un anticipo di primavera con due weekend di festa e degustazioni.Info: www.golosaria.it2-4 marzo, Alessandria e Casale Monfer-rato / 9-11 marzo, Asti – Piemonte
5 Sorgentedelvino LiveMostra dei vini naturali.info: www.sorgentedelvinolive.org
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3-5 marzo, Castello di Agazzano (Pc) Emilia-Romagna 6 Sagra del Polentone
Appuntamento giunto alla 442ª edizio-ne. Mercatino di prodotti tipici e rievo-cazione storica.Info: alessandria.mondodelgusto.it4 marzo, Ponti (Al) – Piemonte
7 Giornata nazionale delle ferrovie dimenticate Passeggiata nel Parco delle Dune Co-stiere lungo i sentieri sterrati tra lame carsiche, grotte e masserie.Info: www.cooperativaserapia.itmarzo, Fasano (Br) – Puglia
8 Festa di San Giovanni di DioTra le più suggestive della regione, si svolge a Troia, antichissima cittadina a ridosso del Tavoliere. Info: www.comune.troia.fg.it8-9 marzo, Troia (Fg) – Puglia
9 Il Veneto al 300 x 100300 vini di 100 aziende dimostrano l’eccellenza della produzione locale.Info: www.aisveneto.it10 marzo, Susegana (Tv) – Veneto
10 Biosalute Triveneto Prodotti biologici e conferenze in tema di consapevolezza alimentare. Info: www.biosalute.eu10-11 marzo, Santa Lucia di Piave (Tv) Veneto
11 Il Diamante NeroManifestazione dedicata al tartufo ne-ro con momenti di dibattito. Info: www.comune.scheggino.pg.it10-11 marzo, Scheggino (Pg) – Umbria
12 Festival del formaggio In esposizione quasi 1000 tipi di formaggi nazionali da assaggiare. Info: www.kaesefestival.com10-11 marzo, Campo Tures (Bz) Trentino-Alto Adige
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15 Sagra del CarciofoPresentazione e degustazione di nume-rosi piatti a base di carciofo e tipicità del territorio.Info: comune.uri.ss.it11 marzo, Uri (Ss) – Sardegna
16 Sagra CampestreFesta durante la quale si possono gusta-re i piatti tipici della tradizione. D’obbli-go lupini e“panittelle” benedette. Info: www.comune.trebisacce.cs.it 19 marzo, Trebisacce (Cs) – Calabria
17 Sagra della Scurpella La Scurpella è un piatto fritto a base di pasta lievitata, per l’occasione viene pre-parato dalle donne del paese. Info: www.comune.fossalto.cb.it19 marzo, Fossalto (Cb) – Molise
18 Festa di San GiuseppeFalò nella piazza principale e musiche e danze folkloristiche nelle vie del paese.www.comune.farasanmartino.ch.it19 marzo, Fara San Martino (Ch) Abruzzo
19 Il falò di San GiuseppeFalò nei vari quartieri dell’antico paese arroccato su un’altura.Info: www.montescaglioso.net 19 marzo, Montescaglioso (Mt) Basilicata
20 Sagra del Carciofo ViolettoDegustazione del prodotto tipico e intensi momenti culturali e ludici. Info: www.sagracarciofoniscemi.it23-25 marzo, Niscemi (Cl) - Sicilia
21 Cavalcata di San GiuseppeSfilata di cavalli con bardature floreali.Info: www.comune.scicli.rg.it24 marzo, Scicli (Rg) – Sicilia
22 Giornata FAI di PrimaveraTorna l’appuntamento con la giornata che festeggia venti anni e permette di scoprire le meraviglie nascoste d’Italia. Info: www.giornatafai.it24-25 marzo, Località varie
23 Love ChocolateOltre 20 espositori da tutta Italia propon-gono prelibatezze al cioccolato e offrono assaggi di dolci tipicità italiane.Info: www.comunesbt.it24-25 marzo, San Benedetto del Tronto (Ap) – Marche
24 Pietra Vino CalzeStand gastronomici, esibizione di gruppi folkloristici, musica e balli tradizionali. Info: www.prolocobotticino.itmarzo, Botticino (Bs) – Lombardia
25 Sagra degli gnocchiGli gnocchi, colonna portante della ker-messe, sono preparati dalle esperte ma-ni delle massaie locali.Info: www.proloconazzano.com25 marzo, Nazzano (Rm) – Lazio
13 TasteSalotto italiano del mangiare bene, dove si danno appuntamento i migliori ope-ratori internazionali dell’alta gastrono-mia. Ricco programma di eventi Off. Info: www.fuoriditaste.it10-12 marzo, Firenze – Toscana
14 Cioccolosità Maestri artigiani toscani, cioccolatieri e pasticceri artigiani presentano le proprie produzioni d’eccellenza. Info: www.comune.monsummano-terme.pt.it11-13 marzo, Monsummano Terme (Pt) Toscana
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34 Le scuole alberghiereL’Italia che merita di Marzo è quella degli istituti che hanno cresciuto generazioni di chef e dove crescono i talenti di domani
38 Val di Sangro, terra di cuochiLo chef Caracino ci racconta di una stirpe di cuochi e camerieri abruzzesi che hanno lavorato per re, imperatori e persino per Hitler
40 A 25 anni dal caso metanolo L’indagine: lo scandalo che segnò il momento più buio per il vino italiano. Da lì è partita la rinascita. Solo un caso?
Personaggi
44Donato LanatiA lezione dall’enologo-scienziato
54 Armando De ZanMr. 50 milioni di bottiglie vendute
da pag. 58Rubriche• Olio
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L’altra Italia | Scuole alberghiere | Donato Lanati | A
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L’ALTRA ITALIA CIBO, VINO E TALENTI:
LA FACCIA VINCENTE DEL BELPAESE NEL MONDO
viaggi del gusto Panorama
a pagina 48
Un nuovo modo di viaggiare sta conquistando un
numero sempre crescente di appassionati. Sono i tu-
risti enogastronomici. Si tratta di una forma di turismo
complessa, culturale, integrata, sostenibile quando è armo-
nizzata con la cultura, con l’arte e con gli eventi del terri-
torio. La spesa di questo tipo di turista si distribuisce in
maniera sostanzialmente omogenea su tutti i segmenti
dell’offerta: dall’ospitalità alla cultura, dai prodotti enoga-
stronomici alle visite a mostre, musei e bellezze naturali-
stiche. Chi si dovrà confrontare con questo nuovo tipo di
turismo sono i diplomati degli istituti alberghieri e turisti-
ci, concreti costruttori dell’Italia di domani. E il riordino
degli Istituti Alberghieri e degli Istituti Tecnici per il turi-
smo rappresenta la struttura della nuova scuola seconda-
ria del settore che necessita ora di innovazioni sostanziali
nelle metodologie didattiche, nella selezione e formazione
dei docenti, dei dirigenti e nella valutazione dei risultati.
Con la revisione della scuola secondaria superiore (cono-
sciuta come Legge Gelmini) il settore turistico ed enoga-
stronomico viene riorganizzato in funzione della forma-
zione richiesta dagli operatori di settore. Infatti dalla
lettura di un recente lavoro di Unioncamere risulta che la
richiesta di personale qualificato è superiore rispetto al
numero dei giovani formati in questo specifico settore.
Così le imprese provvedono a colmare il deficit di profes-
sionisti disponibili ricorrendo al mercato degli stranieri,
con notevole perdita di professionalità. Se la carenza di
manodopera locale in altri settori, come ad esempio l’edi-
lizia e l’industria meccanica, risulta facilmente superabile
con il ricorso a personale straniero qualificato, perdere pro-
fessionalità nel settore turistico, enogastronomico e alber-
ghiero significa perdere una professionalità permeata del-
la cultura necessaria a promuovere il territorio,
pubblicizzarne le tipicità, l’arte, l’architettura, le ragioni
stesse per cui un americano, un giapponese o un cinese e
un russo devono scegliere l’Italia per il proprio svago.
Viaggio negli istituti professionali turistici e alberghieri da dove
sono usciti i migliori chef tricolori. E dove
crescono i cuochi che domani saranno
la nuova ricchezza del Paese
di Riccardo Lagorio
Il futuro d’Italia è servito
34
storie dall’Italia che merita
35
Linea diretta tra formazione e lavoroÈ Marina Aluchi a rispondermi al secondo squillo con
voce acerba ma ferma, cadenza professionale e compe-
tente. Telefono all’Istituto Professionale Erminio Maggia
di Stresa, uno dei capisaldi della formazione alberghiera
in Italia. Fu fondato nel 1938 e da allora sono usciti dal-
le sue aule alcuni tra i più importanti direttori d’albergo
a livello internazionale come Roberto Wirth (direttore
generale dell’Hotel Hassler di Roma) e Diego Masciaga,
e chef del calibro di Alfonso Iaccarino. Lo rimarca con
soddisfazione Manuela Miglio, la dirigente scolastica:
«Da noi l’educazione è un concetto a tutto tondo che
vuol dire cultura, garbo, sorriso. I ragazzi vengono a scuo-
la in divisa dal primo giorno, non per costrizione ma
perché riteniamo sia un valore». E nel difficile mondo
della (dis)occupazione giovanile questa è un’isola felice.
«Chi esce dal nostro Istituto può continuare gli studi
specialistici come all’Alma di Colorno o alla Scuola di
Pollenzo, e nel frattempo inizia a lavorare, oppure deci-
de di entrare nel mondo della professione direttamente.
Non sempre riusciamo a soddisfare il numero di richie-
ste da parte di ristoranti e alberghi». E chi si diploma in
questa scuola pare mantenga per sempre un’attrazione
fatale con le rive del lago Maggiore. Diego Masciaga ha
appena ricevuto l’onorificenza di Cavaliere al Merito
dalle mani del presidente Napolitano, riconoscimento
raro nel nostro Paese per chi lavora in questo settore.
«Sono orgoglioso di essere italiano e trasfondere la mia
italianità nell’incarico di direttore generale del Watersi-
de Inn», ha dichiarato Masciaga. Il Waterside Inn, nel
villaggio di Bray che si srotola lungo il Tamigi, ha con-
quistato le tre stelle Michelin nel 1985 all’arrivo di Ma-
sciaga e non le ha mai perse. Un primato. «In una briga-
ta di 65 persone almeno il 35% sono italiani, e una
decina provengono dalla scuola che anch’io frequentai
a Stresa: se questi giovani escono dal Maggia, hanno si-
curamente un’attitudine verso la vita che corrisponde
agli standard di un grande locale come il Waterside Inn».
La cultura non si acquista, ma va coltivata. «E la scuola
deve dare gli strumenti per organizzare la propria pro-
fessionalità», ribadisce Alfonso Iaccarino, geniale e pas-
sionario rivelatore del gusto campano e tricolore nel suo
Don Alfonso 1890, luogo di innovazione legata a fitte
trame alla tradizione. «Io non mi faccio coinvolgere dal-
le mode; con i miei figli sperimentiamo ogni giorno, tut-
to l’inverno facciamo ricerca per potere offrire al cliente
il meglio della ristorazione. Questo stato d’animo lo devo
senz’altro alla scuola dove sono cresciuto, al grande mae-
stro Albano Mainardi». E i Numeri Uno usciti dall’Istitu-
to Maggia sarebbero ancora molti da raccontare, come ad
esempio Alberto Gozzi, già sovrintendente delle attività
di tavola e di cucina del Segretariato Generale della Pre-
sidenza della Repubblica.
Forse, quando si hanno 16 anni come Gianmarco Mar-
cello che frequenta il terzo anno dell’Istituto Professiona-
le per i Servizi Alberghieri e la Ristorazione di Castel Vol-
turno, nel Casertano, il pensiero di guardare così avanti
ancora non c’è. O forse sì: «Uscendo dalla scuola potrò
trovare lavoro in cucina, che è creatività e passione. Ne ho
avuto prova durante il seminario che ho svolto la scorsa
estate in un grande ristorante di Ginevra, dove ho dovuto
praticare il francese. Alla fine lo capivo, e mi rendo conto
che per me sarà importante…». Dello stesso parere la pre-
side, Angela Petringa, secondo la quale «la scuola può da-
re occasioni di lavoro solo se riesce ad alternare lezioni
teoriche ed esperienze presso strutture ricettive. La mo-
tivazione di un’esperienza pragmatica guiderà gli studen-
ti nelle loro scelte: è ciò su cui stiamo puntando in mezzo
a mille difficoltà». Il riordino delle scuole pubbliche non
ha certo facilitato questa prospettiva, la decurtazione ora-
Per promuovere tipicità e territorio
è necessaria una formazione adeguata che
le scuole alberghiere
garantiscono
Qui sotto l’Istituto Cornaro di Jesolo (Ve) che ospita oltre 800 allievi.A destra due gustose creazioni degli studenti dell’Istituto
36
ria si è spesso tradotta in diminuzione
delle ore di laboratorio, con serio danno
al futuro della formazione degli alunni. I
tagli lineari rappresentano un’agevole condotta
per i politici, ma anche il più sprovveduto degli econo-
misti sa che spesso ciò si traduce in un irrevocabile dan-
no per tutto il sistema. E l’imperfetta formazione met-
te a rischio il futuro del Paese, se è vero che, come tutti
dicono e pensano, l’Italia potrebbe vivere di turismo.
Un’altra dirigente scolastica, Paola Mambelli dell’Istitu-
to Bartolomeo Scappi di Castel San Pietro Terme, espri-
me la propria preoccupazione, perché questa è una
scuola da cui ci si deve diplomare con un bagaglio di
spiccata professionalità. «In questo senso è la Provincia
a chiederci di organizzare dei percorsi di turismo eno-
gastronomico a cui partecipano i ragazzi. E noi rispon-
diamo ben volentieri, inserendo anche una terza lingua
straniera obbligatoria, che ci caratterizza nel panorama
regionale». Si capisce: l’Emilia Romagna è tra le regioni
a più spiccata propensione turistica e serve capitale
umano in grado di soddisfare le esigenze dei nuovi Pa-
esi che scelgono l’Adriatico o le colline dell’interno alla
ricerca di riposo e buon cibo.
Una stretta collaborazione con le associazioni di cate-
goria vengono segnalate come necessarie anche da Cal-
tanissetta, all’Istituto Angelo Di Rocco, dove il preside
ha intrecciato nei dieci anni di vita dell’Istituto, relazio-
ni con la Federazione Provinciale Cuochi e l’Associa-
zione Albergatori, attingendo il bacino di utenza scola-
stico dalle province di Enna e Agrigento. «Anche noi
attuiamo corsi all’estero per i nostri studenti, ma facen-
do in modo che la cucina siciliana e i suoi prodotti sia-
no al centro della loro attenzione», attacca Bruno Lu-
pica. Un cuoco siciliano che si è formato lontano da
casa, al Carlo Porta di Milano, ma che non ha mai la-
sciato idealmente la propria terra è Davide D’Arcamo.
Dopo avere girato mezzo mondo è tornato sull’isola, a
Resuttano, dove gestisce un affascinate baglio che
lavora prodotti biologici, il Feudo Tudia. «La
scuola mi ha formato professionalmente,
ma tecnicamente sono state le varie espe-
rienze lavorative a farmi crescere defi-
nitivamente: se un ragazzo desidera di-
ventare cuoco, la scuola dovrebbe
impegnarsi sin dal primo anno a fare
frequentare le cucine».
Dove il mondo del lavoro e la scuola vanno
in parallelo è all’Istituto Informatico e Turistico
Oronzo Costa di Lecce. Il dirigente Daniele Man-
ni ogni settembre chiama a rapporto le aziende locali
(alberghi, villaggi e residenze turistiche) e chiede loro co-
sa si attendono dai nuovi diplomati. Il programma cerche-
rà di sintonizzarsi alle loro richieste tramite l’applicazione
delle tecniche informatiche al servizio dello sviluppo tu-
ristico. Nella scuola si sono anche inventati una coopera-
tiva dal nome provocatorio, Repubblica Salentina. Orga-
nizza eventi e servizi a favore delle società del territorio,
creando opportunità di turismo anche fuori stagione.
Un decisivo supporto alla crescita professionale dei giova-
ni che devono affrontare con facilità il mondo del lavoro
lo offre l’Istituto Stanga di Pandino, in provincia di Cre-
mona. Da oltre cinquant’anni lo Stanga è sinonimo di
scuola casearia e da qui sono usciti numerosi allievi che
sono diventati dirigenti di successo. «La professionalità che
diamo è riconosciuta nel mondo del lavoro e le richieste
di collaboratori è superiore al numero di studenti che fre-
quentano la nostra scuola», asserisce Andrea Alquati, da
Dati Unioncamere
mostrano che la richiesta di personale qualificato è
superiore rispetto al numero dei giovani formati nel
settore alberghiero
Lo chef Alfonso Iaccarino del Don Alfonso 1890
storiedall’Italia che merita
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17 anni preside. E questa sembra essere la scuola ideale
anche per chi vuole avere un’alternativa vera al termine
dei cinque anni di istruzione: non si è obbligati a conti-
nuare il corso degli studi e si trova un’occupazione; si
può proseguire e si ottiene una diversa professionalità.
La scuola, statale, è l’unica in Italia ad avere un caseificio
annesso che mette in vendita i prodotti degli studenti.
Quindi deve essere gestita proprio come un’azienda. E
gli studenti percepiscono questa responsabilità…
Nel nostro giro d’Italia alla ricerca delle migliori scuole
alberghiere o turistiche, l’Istituto per i Servizi Alberghie-
ri e della Ristorazione di Termoli è tra i più qualificati e
qualificanti. In ambito nazionale non è ancora chiara
l’attitudine di riconoscere l’enogastronomia e il turismo
come motori di sviluppo economico. «Si è pensato trop-
po poco all’unicità dell’Italia nell’arte, nella cultura e si
è investito nell’industria», afferma Maria Chimisso, l’ap-
passionata preside. «Come Paese noi dovremmo veico-
lare l’enogastronomia non con un approccio industria-
le, ma aziendale. E soprattutto pensare a questo
patrimonio come l’emiro del Qatar sa trattare il petro-
Nella rete delle buone pratiche
Ilario Ierace dal 2010 è presidente di Renaia, che ha il compito di coordinare le scuole a indirizzo turistico e alberghiero. Originariamente una mera associazione dei presidi, oggi rete nazionale degli istituti alberghieri. Il compito è sviluppare attività in comune, rappresentare le scuole nei confronti del Ministero dell’Istruzione, mettere in comune le buone pratiche e formare i dirigenti. Ammette che si potrebbero fare molte più ore di laboratorio per dare ai ragazzi una formazione consona al mercato del lavoro, ma passi avanti ne sono stati fatti anche perché la riforma non va a toccare i gangli portanti delle scuole a indirizzo turistico e alberghiero. A Jesolo, dove lavora presso l’Istituto Cornaro, gli allievi sono oltre 800 ma, dice «servirebbero altri due istituti per coprire il fabbisogno del turismo di questa parte del Veneto». Margini ampi per un turismo moderno ve ne sono molti. Ma ciò che conta è che chi esce da qui viene assunto anche da aziende che operano nel mondo della gastronomia, dei surgelati, della dolciaria e nella ristorazione veloce. «I ragazzi sanno che compiono una scelta di vita forte: spesso dovranno lavorare nei periodi in cui gli altri sono in festa». Anche questo fa selezione.
lio che ha sotto i piedi. Questo è quanto insegniamo ai
ragazzi». E ne è testimone Antonio Crescitelli che riba-
disce l’esistenza di una «palude di scuole e professioni
che non portano a nulla se non alla disoccupazione, ma
hanno miglior riconoscimento sociale; qui invece il po-
sto lo abbiamo subito anche perché sono gli stessi pro-
fessori a guidarci nell’inserimento professionale. E noi
rispondiamo mettendo a frutto le informazioni che ci
hanno passato». E in un momento dove la disoccupa-
zione giovanile è alle stelle, è un traguardo non indiffe-
rente.
Da Termoli a Cingoli, nel Maceratese. Qui l’Istituto
Girolamo Varnelli è stato coinvolto in un’interessan-
te esperienza realizzata presso l’istituto Italiano di
Cultura di Londra, il progetto Ambasciatori del gu-
sto. Artefice il preside, Elio Carfagna: «Abbiamo sot-
toscritto un protocollo d’intesa con il Ministero degli
esteri, la cui finalità è la promozione dell’enogastro-
nomia italiana all’estero con particolare riferimento
alla cultura della specifica area di provenienza
dell’istituto selezionato e alla valorizzazione dei pro-
dotti gastronomici, la promozione dei vini e delle ri-
cette, nonché alla presentazione dei relativi beni ar-
tistici, architettonici e culturali. Il protocollo si
concretizza attraverso l’organizzazione di iniziative
ed eventi che ogni Istituto dovrà curare». Ma l’orgo-
glio del preside sboccia quando ricorda che due gio-
vani formatisi al Varnelli sono stati premiati dal Mi-
nistro del Turismo per il progetto Il sorriso
dell’accoglienza. L’arte di fare turismo: dalla forma-
zione alla professione. Ora Mirko Battaglini ha aper-
to un ristorante a Londra dove presenta piatti mar-
chigiani; Mauro Raschia è titolare di un’apprezzata
pasticceria a Civitanova Marche.
Pellegrino Artusi. Nomen omen: a Roma l’istituto di-
retto da Perla Pugliese è il decimo in Italia e primo nel
Lazio per bocciature. «La selezione viene fatta all’inter-
no e nessuno è a spasso dopo i cinque anni di scuola. Il
rigore è tra i nostri princìpi e i ragazzi spesso accedono
a ristoranti e alberghi di prestigio». E ricorda un ex alun-
no, direttore per anni dell’Hilton di Damasco: un altro
sogno realizzato, un ambasciatore della cultura italiana
nel mondo. Ora tocca alle migliaia di studenti rimboc-
carsi le maniche perché qui in redazione, unitamente
ai nostri lettori, abbiamo capito che questo è il vero fu-
turo del nostro Paese.
Roberto Wirth, direttore generale dell’Hotel Hassler di Roma
di Michele Caracino
Dalla Val di Sangro alle cucine del Führer
C’è un posto in Abruzzo che, da secoli, sforna i mi-
gliori cuochi d’Italia “da esportazione”. Gente che,
in tempi lontanissimi da quelli odierni dove gli chef
sono diventati ormai fenomeni televisivi da barac-
cone, è andata in giro per il pianeta, anche a costo di
sacrifici e privazioni, per insegnare al resto del mon-
do come si cucina e come si mangia italiano. Villa
Santa Maria, Rosello, Borrello, Giuliopoli, Fallo, Pie-
traferrazzana, Roio del Sangro e Monte La Piana:
paesetti da 500 anime o poco più, distanti un tiro di
schioppo l’uno dall’altro in quel fazzoletto di terra,
boschi e fiumi che chiamano Val di Sangro. È qui,
nel cuore della provincia di Chieti, in mezzo a que-
sti piccoli centri oggi spopolati dalla deindustrializ-
zazione e dalla migrazione urbana, che è cresciuta
un’intera generazione di chef, spesso autodidatti, ma
dal talento purissimo. La leggenda dice che la tradi-
zione culinaria della Val di Sangro risalga al 1500 ma
il primo di questi maestri abruzzesi a portare le tra-
dizioni gastronomiche del Belpaese fuori dai confi-
ni nazionali, di cui si ha qualche notizia, è vissuto
nell’800: si chiamava Giuseppe Cimino e le crona-
che narrano che si spinse fino in Russia e in Giap-
pone, chiamato a cucinare per le più importanti fa-
miglie nobiliari e titolate di quei paesi. Roba che
sembra uscita da un feuilleton. E invece è tutto ve-
ro: a Rosello, suo (e mio) paese d’origine, ce lo ricor-
diamo ancora, Cimino. La sua storia l’ho sentita rac-
contare dagli anziani. E mi è sempre sembrato
incredibile pensare al viaggio che ha intrapreso in
un’epoca in cui già spostarsi in Italia era disagevole,
figuriamoci mettersi in viaggio verso altri continen-
ti! Quella di Giuseppe Cimino è stata un’esperien-
za di vita, e di cucina, che ha fatto un po’ da model-
Lo storico chef del Clubino Dadi di Milano ci racconta la storia di una stirpe leggendaria di cuochi e camerieri “da esportazione” cresciuti nei paesini della provincia di Chieti , in Abruzzo, e chiamati in tutto il mondo a cucinare per re, imperatori e persino per Adolf Hitler
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storie dall’Italia che merita
lo per tanti ragazzi di Rosello e dei centri
limitrofi. Negli anni ’50 e ’60 con il lavoro che
scarseggiava, noi ragazzi avevamo solo due alter-
native: fare i contadini oppure emigrare. La mag-
gior parte di noi ha scelto di partire in cerca di
fortuna. E molti dei miei conterranei, così come
me, sull’esempio del mitico Giuseppe Cimino, si
sono dati alla gastronomia, riuscendo a fare car-
riere prestigiose. Penso ad esempio a Renato Per-
cario che ha lavorato per Margaret d’Inghilterra,
ad Ugo Margiotta, a Nicola Caracino, Rinaldo Ci-
mino e poi ancora a Fernando Beneduce di Giu-
liopoli, a Sacconi di Villa Santa Maria, a Coletta di
Roio del Sangro. Tutti maestri cuochi che hanno
lavorato al servizio delle più blasonate case regnan-
ti, nelle ambasciate, nei più importanti alberghi dei
cinque continenti e sulle grandi navi da crociera di
un tempo, come la Raffaello e la Michelangelo.
Ancora più di Rosello tuttavia, è Villa Santa Maria
il comune che può fregiarsi, a buon diritto, del ti-
tolo di “Patria di cuochi” e che ha scelto di non di-
sperdere questa straordinaria (e purtroppo scono-
sciuta ai più) tradizione di eccellenze
gastronomiche e ristorative che i suoi figli possono
vantare. Lì, a Villa, alla fine degli anni ’30, non a
caso è stata aperta una delle prime scuole alber-
ghiere d’Italia, che oggi è intitolata allo chef villese
Giovanni Marchitelli ed è un punto di riferimento
per operatori turistico-alberghieri italiani e inter-
nazionali. Ma non solo: il paese vanta anche un
Museo dei Cuochi, unico nel suo genere in Italia,
e forse nel mondo, istituito proprio per “raccoglie-
re le testimonianze dei grandi cuochi di Villa San-
ta Maria” e conservare a futura memoria gli atte-
stati del lavoro da loro svolto e le loro straordinarie
storie professionali. Anche l’attuale sindaco di Vil-
la Santa Maria, Vito Paolini, ha una famiglia con
una storia gastronomica di incredibile fascino: suo
padre Salvatore, infatti, partito dal paese per la
Germania nel primo Dopoguerra, è arrivato a fare
il cameriere nientemeno che ad Adolf Hitler: pro-
prio lui, il Führer. «Sì – racconta il sindaco – fu uno
dei pochi ad avere il privilegio di vedere il terribi-
le Führer in pantofole, dal momento che gli fece
da domestico a Obersalzberg, nel celeberrimo Ni-
do delle Aquile, lo chalet-fortezza in cui Hitler
amava passare le vacanze circondato dai gerarchi
del Terzo Reich. Qui a Villa sono venuti in tanti a
farsi raccontare questa storia, assieme a tutte quel-
le degli altri villesi che hanno onorato la tradizione
gastronomica e ristorativa del paese partita con i
principi Caracciolo nel 1500». Se passate da queste
parti, non vi sarà difficile capire di essere arrivati a
Villa Santa Maria: a darvi il benvenuto, ci sarà,
manco a dirlo, la statua bronzea del cuoco e del
cameriere, doveroso omaggio della comunità vil-
lese all’impareggiabile storia culinaria del paese.
Luna Sicana: azienda giovane,sapori antichi La società agricola Luna Sicana di Casteltermini (Ag), comincia la sua avventura nel 2008 spinta dalla volontà di esaltare le potenzialità delle terre di Sicilia con la coltivazione di vigneti, uliveti e pistacchieti. La valorizzazione dei vitigni in essere, la sperimentazione di nuovi prodotti e la loro realizzazione conseguita mantenendo un’elevata qualità in tutte le fasi del processo lavorativo, sono il senso che l’azienda vuole dare a questa nuova sfida, senso che viene ben rappresentato dallo spumante brut Luna y Sol. Nato dalla vinificazione in bianco di uve di Nero d’Avola la cui vendemmia si svolge ai primi di agosto, momento di ottimale rapporto zuccheri/acidità – con raccolta a mano in cassette dalle cinque alle dieci del mattino per preservare la freschezza delle uve – all’assaggio Luna y Sol si apre delicatamente con il ricordo di un prato in fiore. I toni assumono poi sostanza con la frutta bianca e i pistilli di zafferano, si arricchiscono di mineralità e macchia mediterranea con rosmarino e timo. Più passa il tempo nel bicchiere, inoltre, più si intensifica la coralità delle sue componenti odorose che si fanno complesse chiudendo con melograno e agrumi.
In apertura il monumento ai cuochi e ai camerieri a Villa Santa Maria (Ch). Qui sopra il documento
che raffigura Salvatore Paolini ai tempi del suo servizio agli ordini di Hitler
L’Italia che merita menzione d’onore
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Cosa sarebbe stato oggi il vino italiano senza lo scan-
dalo metanolo di 25 anni fa? In tempi di picchi re-
cord per l’export di italian wine (e all’approssimar-
si dell’appuntamento annuale con il Vinitaly)
chiederselo è più che mai legittimo. Anche perchè
c’è un’opinione diffusa, che da anni aleggia sul mon-
do enoico nazionale. E cioè che la tragica vicenda
del vino al metanolo, alla fine – fermo restando il
massimo rispetto che tutti nutriamo per le decine
di vittime e i loro familiari che ancora attendono
giustizia – sia risultata una ciambella di salvataggio,
un evento paradossalmente salvifico che ha fatto da
spartiacque per la storia dell’enologia tricolore, una
sorta di nemesi purificatrice in forza della quale nul-
la, in quel mondo, è stato più lo stesso. Lo dicono gli
esperti – a partire da quel Burton Anderson, il wine
writer americano che, alla fine degli anni ’70, con la
sua Pocket Guide of Italian Wines per primo fece
conoscere i nostri vini Oltreoceano – e lo conferma-
no i produttori.
Dalle stalle alle stelle Certo, resta difficile spiegarlo a chi quel dramma di
ingordigia e irresponsabilità l’ha vissuta sulla propria
pelle, ma un dato è certo: da quella primavera del
1986, quando gli intrugli letali tra vino da tavola e al-
col metilico, praticati dai “furbetti delle cantine” per
aumentare la gradazione alcolica, mieterono le prime
vittime, il vino italiano ha subito una trasformazione
radicale. Sono aumentati i controlli, cambiati i sistemi
di produzione, diminuite le adulterazioni, e anche i
consumatori, messi al bando i vini cheap (a buon
mercato), hanno cominciato ad aprire gli occhi e sce-
gliere con più oculatezza sugli scaffali. In una parola,
A un quarto di secolo dal tragico scandalo, Lamberto Vallarino Gancia, presidente nazionale Federvini, e Walter Massa (Federazione Vignaioli Indipendenti), ci illustrano le loro diverse opinioni
di Francesco Condoluci
Il caso metanolo ha salvato il vino italiano?
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l’indagine
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Nel 1986, dopo i morti causati dall’abuso
di alcol metilico nelle cantine, l’italian wine ha conosciuto il suo momento più buio. Da allora è partita la
rinascita che ha portato ai risultati di oggi:
è stato solo un caso?
«Il cambiamento ci sarebbe stato comunque»Il presidente nazionale della Federvini,
Lamberto Vallarino Gancia è d’accordo ma
solo parzialmente su questa tesi: «L’opinio-
ne secondo cui la tragedia del metanolo
abbia, in qualche modo, “salvato” il vino ita-
liano, come tutte le sintesi è parziale – dice
– ma è indubbio che siano conseguiti mag-
giori controlli, diverse prescrizioni per se-
guire i flussi del vino, immediati investi-
menti per comunicare che il vino italiano
non era “metanolo”, fino ad arrivare alla
nuova legge sulle denominazioni dei vini.
L’immediatezza della reazione e la chiarez-
za degli obiettivi sono anche un segno che
i fermenti di quei cambiamenti erano già
presenti nelle riflessioni degli operatori».
Quali sono stati gli effetti più incisivi del-
la reazione?
«Il vino italiano già all’epoca si “spartiva”
il mercato con i francesi. La reazione al
metanolo ha contribuito ancor di più a
consolidare la serietà di piccoli, medi e
grandi produttori. Forse la grande diffe-
renza fra il prima e il dopo metanolo, sta
nell’esigenza di intervenire sull’immagi-
ne e la qualificazione dei nostri prodotti.
Prima avevamo già ottime produzioni,
ma forse si dava per scontato che comun-
que il vino italiano giocava un ruolo di
“secondo” arrivato. Dopo il 1986, fummo
obbligati a rassicurare i consumatori sul-
la cultura enologica italiana è salita di livello. E di
tutto questo ne ha guadagnato, ovviamente, anche
il business. Senza dimenticare, come giustamente
sottolinea qualcuno, che oggi anche se bevi un vi-
no adulterato non ci rimetti la vista o la pelle, al
massimo te la cavi con un mal di pancia. Segno,
evidentemente, che gli effetti mediatici e il crollo
di mercato cagionati da quello scandalo hanno in-
nescato processi virtuosi e portato conseguente-
mente a una rinascita qualitativa del vino italiano.
Che, negli anni a seguire, dal punto di vista dei fat-
turati e del prestigio internazionale, si è reso pro-
tagonista, com’è noto, di una crescita senza solu-
zione di continuità, confermandosi anno dopo
anno, come “l’ambasciatore per eccellenza dell’im-
magine, dello stile e dell’eccellenza dell’Italia
all’estero”. Un traguardo straordinario se si pensa
che in quei terribili giorni di 25 anni fa, nell’anno
che segnò perdite per un quarto del valore dell’in-
tero settore, i vini italiani venivano sdegnosamen-
te bloccati alle dogane in tutti i paesi. L’inversione
di tendenza dell’ultimo quarto di secolo può es-
sere stata dunque solo un caso? O, al solito, gli ita-
liani tirano fuori il meglio proprio quando sono a
un passo dal baratro? Lamberto Vallarino Gancia (Federvini)
4242
Walter Massa, vignaiolo indipendente dei Colli Tortonesi
Per Vallarino Gancia dunque, il caso me-
tanolo avrebbe soltanto accelerato un
cambiamento nel mondo del vino italiano
che, comunque, era già in essere.
Walter Massa, vigneron dei colli Tortone-
si ed esponente della Federazione Vigna-
ioli Indipendenti, invece non la pensa co-
sì. E alla diplomazia, da protocollo, del
presidente nazionale di Federvini, con-
trappone la verve polemica di chi è abi-
tuato a non avere peli sulla lingua. «Dopo
quella tragedia è cambiato tutto – sostiene
infatti Massa – erano i primi del ’900
quando mio nonno usava scherzare dicen-
do di “tagliare le vigne e costruire delle
vasche”. Una volta si consumava acqua
sporca, non vino. Si era abituati a utilizza-
re sempre le scorciatoie. Poi, con il meta-
nolo, e purtroppo sulla pelle di chi ci ha
rimesso la vita, è arrivata la svolta cultu-
rale. Si è cominciati a percepire il vino co-
me un prodotto edonistico e si è investito
seriamente sulle vigne. L’Italia, nel frat-
tempo, è anche cambiata sul piano dei
consumi. Allora si usciva fuori a cena in
media 2 volte al mese, oggi al ristorante si
mangia 5 giorni a settimana. La cultura
enologica dell’italiano medio si è alzata:
oggi le bottiglie datate sono le più ambite,
la gente non vuole bere porcherie, dopo il
metanolo si è abituata ad accarezzare il
palato e non più a spendere poco».
Sul versante dei produttori, cos’è cambia-
to invece?
«È emersa gente che credeva nelle proprie
radici e faceva le cose con il buon senso.
Si è guardato al modello francese, facendo
“cultura del vino” e non limitandosi inve-
ce a copiare, come tanti pappagalli, le bol-
licine. Anche il mondo della divulgazione
si è adeguato, promuovendo i vini legati
alle nostre radici, alla nostra cultura».
la qualità dei nostri prodotti e a convincere le
autorità di controllo dei paesi di esportazione
sulla serietà dei produttori e l’efficacia dei
controlli. È stato lo scatto d’orgoglio che ha
innescato un cambio di passo e consolidato il
peso e il ruolo di chi da sempre ha prodotto
secondo le regole».
Ma il vino che si produce oggi in Italia è dav-
vero esente dalle adulterazioni del passato?
«Purtroppo, come in tutte le attività econo-
miche, ci sono i professionisti e gli appassio-
nati, la quasi totalità, e pochissime pecore ne-
re che però fanno più notizia. Il fatto che
siano regolarmente individuati è comunque
la prova che i controlli sono efficaci, e che la
complessità delle regole è stata studiata in
modo approfondito e ha generato tutta quel-
la serie di comportamenti che ne garantiscono
il rispetto».
I dati dicono che il vino è tuttora l’asset più
forte dell’agroalimentare italiano: cos’è che
lo rende così vincente?
«In primis l’offerta in grado di soddisfare qual-
siasi gusto e richiesta, poi l’importanza storica e
culturale del nostro patrimonio, il territorio e
l’unicità dei nostri prodotti, e il fatto che chi li
consuma se ne sente parte. Quindi la nostra co-
spicua presenza sui mercati esteri, valorizzata
dai nostri connazionali che vivono fuori dall’Ita-
lia e dal lavoro della nostra ristorazione nel mon-
do. È un puzzle che tanti hanno realizzato col
proprio piccolo o grande apporto. Credo sia ne-
cessario fare sempre più squadra anche con gli
altri settori dell’agroalimentare, abbinare sem-
pre più le operazioni di promozione congiunta,
avere dei “testimoni” da passarci di mano in ma-
no quando mostriamo i nostri territori e le no-
stre sapienze produttive e favorire l’educazione
ai consumi, per esempio al bere in stile mediter-
raneo ormai patrimonio mondiale dell’Unesco
con la sua dieta».
E oggi? Siamo certi che fenomeni tragici
come quello del metanolo non si ripete-
ranno mai più?
«Direi di sì. Ma semplicemente, perché
adesso fare il vino con l’uva costa talmente
poco che sarebbe da stupidi fare le cose fuo-
ri legge. Piuttosto bisognerebbe parlare in-
vece del problema dei “taroccamenti”. Io
ripeto spesso che “le vigne hanno le ruote”.
Siamo sicuri che il Chianti o il Soave ven-
gano fatti secondo il disciplinare di produ-
zione? Ve lo dico io: no. E sapete perché?
Perché non c’è la volontà politica, da parte
di quei “professionisti dei tavoli” che passa-
no il loro tempo non a produrre vino, ma a
stare seduti al Ministero dell’Agricoltura
con i rappresentanti del governo, per cura-
re i loro interessi. La stessa gente che impe-
disce ai produttori come me di mettere sul-
le nostre bottiglie l’etichetta “vino
artigianale”. Chi vive tutti i giorni l’artigia-
nalità vera, la cantina, dovrebbe poter sce-
gliere il proprio metodo e la propria eti-
chetta. Ma ciò non viene consentito perchè,
“in alto”, darebbe troppo fastidio».
Massa: «Le adulterazioni sono finite,oggi il problema sono i taroccamenti»
l’indagine
Sovrano correttivo del caffè.
Bevi Varnelli responsabilmente varnelli.it
marcialisgrou
p.com
Made in Marche
Professor Lanati, com’è arrivato alla scelta di fare
l’enologo e perché è nata Enosis?
È improbabile che un bambino di 8 o 9 anni esprima
il desiderio di fare da grande l’enologo, a meno che sia
figlio d’arte o sia nato in un territorio ad alta vocazione
viticola; molto più facile sentirgli dire che vorrà fare
il medico, l’avvocato, il pilota o il calciatore. Io sono
un’eccezione, perché sono nato a Voghera da genito-
ri che facevano tutt’altro che occuparsi di vigneti e di
vino. Un giorno di settembre di molti anni fa con mio
padre, che era cacciatore, andammo nel Monferrato e
ci fermammo in aperta campagna, più precisamente a
Cuccaro Monferrato. Fui libero di correre in una vigna
e io, che non avevo mai visto la pianta dell’uva prima
di allora, di fronte ai grappoli di un bellissimo colore
blu luminoso, che mi sembravano piramidi capovol-
te, restai incantato, quasi folgorato, come un bambi-
no nel paese dei balocchi! Tornai di corsa da mia ma-
dre e le dissi che da grande avrei voluto studiare quei
frutti. Avevo trovato la motivazione della mia vita.
Quell’attimo magico, ricco di emozione e di passio-
ne, mi aveva indicato la via: diventare enologo. Ho
avuto la fortuna di incontrare grandi personaggi nel
mondo del vino, che mi hanno insegnato moltissimo.
Tra questi metto ai primi posti il Professor Eynard,
che considero il mio maestro in assoluto, e Annibale
Gandini, un grande microbiologo. Sono stati loro a
insegnarmi l’importanza della conoscenza, il valore
delle idee e quanto siano fondamentali la ricerca e il
suo tempismo. Questi maestri mi hanno portato in
giro per il mondo e proprio durante quei viaggi notai
che i centri nei quali si facevano ricerca, formazio-
ne e applicazione dei risultati, spesso si trovavano in
luoghi distanti centinaia di chilometri tra loro. È da
quel momento che ho iniziato a pensare a Enosis: so-
gnavo un centro dedicato allo studio del vino, dove
si applicasse la ricerca all’attività quotidiana, in cui si
formassero enologi molto qualificati e si applicasse
un metodo di lavoro basato sulle conoscenze. E que-
sto sogno si è realizzato! Enosis è una realtà, che ha
la sua sede in una cascina che fu costruita sulla cima
di una collina, chiamata Meraviglia perché domina il
Monferrato a 360 gradi, con una vista che arriva fino
alle Alpi. In questo luogo la “ricerca” è applicata al la-
voro di molte tra le principali aziende vinicole italiane di Roberto Rabachino
A lezione di enologia dal professor Lanati
Lo definiscono l’enologo scienziato. Consulente di personaggi come Gerard Depardieu e Carole Bouquet
e fondatore nel 1990 di Enosis – Centro Servizi e Ricerca in Enologia e Viticultura – Donato Lanati è un
grande comunicatore e ha reso accessibile ai più l’affascinante mondo del vino
personaggi
44
45
e del mondo ed è all’Enosis che trova sede l’ultimo
anno del corso di laurea di secondo livello in enolo-
gia dell’Università di Torino.
Qual è l’innovazione che il suo lavoro ha apportato
all’enologia tradizionale?
La cosa che ho sempre cercato di capire è stata la ve-
rità insita nella tradizione. La tradizione si basa sui ri-
sultati ottenuti in centinaia di vendemmie che si sono
susseguite nel tempo e da sperimentazioni appros-
simative fatte per decenni dai contadini. Oggi stru-
menti precisissimi ci permettono di capire l’evolver-
si dei fenomeni che avvengono nella trasformazione
dell’uva in vino e poi nel suo affinamento, consen-
tendoci di dare razionalità scientifica ai procedimen-
ti elaborati per intuizione dalla tradizione contadina.
Da solo non sarei mai riuscito a raggiungere le cono-
scenze che mi mancavano, così nel tempo ho cercato
di formare una squadra dalle diverse specializzazioni
e competenze che lavorando insieme mantengono
alta la concentrazione sui temi che ci stanno a cuore
quali: la sicurezza alimentare, l’elevata qualità, l’origi-
ne territoriale e la tracciabilità del vino. La vera chiave
di volta è stata lo studio dell’acino: capire cosa contie-
ne, quali sono i punti di forza o di debolezza dell’uva
Sangiovese rispetto al Nebbiolo o al Merlot, ci hanno
permesso di interpretare in chiave scientifica la tra-
dizione e il territorio. Conoscendo tutte le molecole
di qualità presenti in un acino possiamo capire il va-
lore di quel vigneto particolare in cui si è formato e
studiare come mantenere l’espressione della territo-
rialità, per arrivare a un vino dalla qualità facilmen-
te percepibile dal consumatore e riconducibile a un
determinato luogo d’origine. Un altro aspetto impor-
tante è scaturito dalla domanda che ci siamo posti sul
modo più efficace per garantire e comunicare al con-
sumatore che ci sono prodotti di qualità elevata e si-
curezza alimentare certa, ottenuti rispettando l’am-
biente da cui provengono. La risposta è un marchio di
certezza che garantisce, oltre a determinati parametri
qualitativi, l’assenza di sostanze dannose alla salute,
il risparmio energetico e la contenuta emissione di
CO2 nella filiera di produzione, il rispetto della natu-
ra sia in vigna sia in cantina e l’utilizzo razionale dei
solfiti. Tutto ciò è espresso sulla bottiglia attraverso
il logo Mister Wine, l’Uomo del vino e della terra,
che permette di trovare online tutti i dati analitici
e le informazioni che corrispondono a quel lotto di
vino. Il nostro desiderio è stato quello di dare origine
a un marchio che, oltre a certezze, fornisca informa-
zioni e immagini sui luoghi di produzione perché al
consumatore d’oggi non bastano più le garanzie di
qualità: pretende anche cultura.
La definizione di winemaker è molto di moda e vie-
ne spesso preferita a quella di enologo. Lei come
ama essere definito?
Le rispondo rifacendomi all’etimologia delle due pa-
role. Il termine inglese significa letteralmente “colui
che fa il vino”. Maker deriva dal verbo to make, che
tradotto in italiano vuol dire fare, costruire. Enologo
significa “colui che studia il vino”, con la quale mi
identifico. Inoltre winemaker mi sa tanto di guru, di
apprendista stregone. Il che è fuorviante, perché il vi-
no è un progetto in cui l’enologo fa parte di un siste-
«Nello scegliere un vino, il consumatore pretende che abbia una personalità, che gli trasmetta conoscenze, ambisce a una ventata di cultura che lo faccia sentire importante»
In alto: Donato Lanati e Genesis, il vinificatore da lui inventato. Sotto: la sede Enosis
ma composto dal territorio, dalla varietà e dal produt-
tore, ma è il vino, non lui, il protagonista. Winemaker
o enologo non fa differenza: importante è la sensibi-
lità, che bisogna mettere nel nostro lavoro per inter-
pretare il territorio, e la costanza che bisogna avere
nel preservare e rispettare le nostre varietà e la loro
originalità. L’enologo o winemaker è un personaggio
molto particolare nel mondo del vino: è un po’ psi-
cologo, perché deve saper interpretare i desideri e le
aspirazioni degli imprenditori, un po’ veggente per
riuscire a precorrere i tempi e prevedere i gusti del
consumatore, ma nello stesso tempo è uno scienzia-
to, un intrattenitore e un uomo di comunicazione. Il
nostro è un mestiere molto affascinante!
Cosa pensa della recente moda che ha coinvolto le
celebrità ad investire nel vino?
Il vino è diventato di moda, suscita grande fascina-
zione e di conseguenza dà molta visibilità mediati-
ca. È fisiologico che sia riuscito a coinvolgere anche
il mondo dello spettacolo. Dietro al vino si muove
tutto un mondo di cultura, tradizione, esperienze:
una sorta di nobile dimensione che nell’immaginario
collettivo è vista come un ideale di misteriosa occu-
pazione. Ovviamente poi la realtà della produzione
vinicola si scontra con problemi tecnici, di gestione,
di comunicazione che è bene rimangano un po’ in
sordina per far emergere solo l’aspetto del piacere e
del fascino che il vino sa evocare e proprio nell’esalta-
zione di questi aspetti credo sia assolutamente positi-
va l’ondata di attenzione e curiosità che ha investito il
vino anche grazie alle produzioni vinicole di Cavalli,
di Sting o di Francis Ford Coppola. Se le celebrità si
dedicano al mondo del vino solo perché di moda non
si va molto lontano: le mode sono effimere, invece i
territori rimangono. Ecco perché mi trovo bene con
coloro che si sono dedicati al vino ma prima di tutto
alla terra per passione e non per moda. In questo caso
spesso sono riusciti ad apportare un valore aggiunto
non soltanto economico, con capitali da investire per
far crescere un territorio, ma anche mentalità innova-
tive che quel territorio hanno permesso di interpre-
tare in maniera scientifica e originale. Se mi è con-
sentito fare degli esempi, citerei il podere di Pasquale
Forte a Castiglione d’Orcia in Toscana, l’azienda di
Carol Bouquet a Pantelleria e ai suoi tempi l’azienda
di Niels Liedholm nel Monferrato.
Come sarà il vino del futuro?
Io sono convinto che la sua qualità dovrà andare mol-
to di là del profumo, del colore e del gusto che sono
stati finora gli obiettivi della nostra ricerca. Già oggi
il consumatore, anche quando beve un vino che co-
sta pochi euro, vuole qualcosa di più: pretende che
abbia una personalità da poter quasi toccare, un ca-
rattere che gli comunichi delle conoscenze, ambisce
inconsapevolmente a una ventata di cultura che lo
faccia sentire importante. Il vino del futuro è quello
che entusiasma chi lo beve, dando emozioni provo-
cate dal riconoscimento sia della varietà sia della zona
d’origine. Emozioni che in una frazione di secondo,
in un battito d’ali del pensiero, ti fanno trovare là, nel
territorio dove quel vino ha la sua storia e la sua tra-
dizione, a confrontarsi con la cultura della sua gente.
Questo è quanto di più efficace e onesto io sappia
immaginare per legare la gente in modo duraturo a
quel vino, a quel produttore e a quel territorio.
L’enologo è un personaggio
molto particolare nel mondo del
vino: un po’ psicologo un po’ veggente, è allo
stesso tempo un tecnico,
un intrattenitore e un uomo di
comunicazione
Il marchio Mister Wine, permette di risalire con semplicità ai dati analitici e a tutte le informazioni che corrispondono a un particolare lotto di vino
personaggi
46
di Riccardo Lagorio
La faccia vincente del Belpaese
Ce la farà l’Italia? O meglio: ce la faranno gli italiani a scivolare indenni fuori dall’impasse? In attesa che le istituzioni facciano il loro lavoro, ci siamo chiesti quali possano essere
le molle che ci tireranno fuori dalla crisi. È nata così l’idea di raccontare alcune storie rappresentative di quanto gli italiani, nelle occasioni difficili,
possano dimostrare di meritarsi credito nel mondo intero
48
l’altra Italia: cibo, vino e talenticover story
Esistono, ne siamo certi, ragioni strutturali che fanno del
nostro Paese qualcosa di diverso dalla Germania, dalla
Francia e anche dalla Cina e dagli Stati Uniti. Sono quel-
le stesse ragioni strutturali che fanno dell’Italia un luogo
appetibile per trascorrervi una vacanza e che ci hanno ca-
ratterizzato sul mercato internazionale per i buoni sapo-
ri e lo stile che sappiamo esportare. Un infuso di storia e
luoghi impervi (bensì affascinanti) che ha dato origine a
un’ultrasecolare selezione di formaggi, di salumi, di vini,
di carni, di oli, di paste, di risi e poi di conserve, di dolci,
di unioni tra le materie prime citate che procurano gioia
e stupore in chi ci visita. È pur vero che il turista è spinto
dalle grandi agenzie turistiche a recarsi a Venezia, Firenze,
Roma, forse a Milano e sulla Costiera Amalfitana e così
sfuggono i mille e mille campanili che meriterebbero una
sosta e una riflessione più accurata; ed è altrettanto con-
solidato il fatto che a quel tipo di turista vengono fatti co-
noscere, per ragioni di tempo e di opportunità, quasi solo
esclusivamente i formaggi più diffusi, i salumi più noti, le
etichette considerate (da chi?) più prestigiose. Restano
fuori da questa miracolosa cerchia che dà reddito pulito
(perché rigenerabile con il semplice ricorso della natura
e del saper fare italico) straordinari prodotti che (al pari
della cattedrale di Trani o del perimetro murato di Cit-
tadella) quel turista si perde. Il mercato che ha cambiato
regole formalizzate da secoli ha imposto che alcune tra
le nostre migliori creazioni alimentari dovessero prove-
nire da grandi produttori, capaci di organizzare una rete
di offerta su scala (almeno) nazionale al tempo stesso che
il turista veniva dirottato esclusivamente (ripeto: per co-
modità) in luoghi blasonati. Abbandonate alcune pecu-
liarità di cultura materiale, al nostro Paese non è rimasto
che fare la guerra sul fronte dei grandi numeri, delle frotte
di turisti innamorati dello stereotipo degli spaghetti, del
mandolino e della laguna che affoga anno dopo anno in-
sieme a una delle più straordinarie meraviglie del mon-
do. Ma l’Italia non è questo. O non è solamente questo.
L’Italia può uscire dal pantano solo se vende un tutt’uno
tricolore fatto di peculiarità introvabili là da dove i visita-
tori provengono: laghi pittoreschi con i loro oli profuma-
ti, minuscoli centri urbani da cui provengono straordina-
ri salumi, ripide montagne e incantevoli formaggi. E mi
sembra che pochi abbiano saputo attuare questa scelta,
al di là delle dichiarazioni di rito.
Tutti assieme per il figo moro Il nostro viaggio parte da quel Nord-Est che spesso ha dimo-
strato di sapercela fare sparigliando le carte della concorren-
za e imponendosi all’attenzione mondiale. A Caneva, fazzo-
letto di Friuli impregnato ancora di Veneto, non lontano da
Sacile dove il Livenza fa della cittadina una perla gemmata
dalla Serenissima, un gruppo di agricoltori e appassionati si
è preso a cuore le sorti del fico dalla buccia sottile e violet-
ta, il figo moro. Una volta essiccato, al tempo dei dogi ve-
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L’ostacolo più grande in questo momento è credere di non avere scelta e pensare che la situazione sia immutabile e per questo motivo sia inutile combattere o soffrire. Niente di più sbagliato! In Italia, fino al metanolo, pratica-mente non esisteva un’economica enologica. Nella stragrande maggioranza dei casi, in can-tina avveniva di tutto, con forti dubbi non solo sulla qualità ma anche sulla salubrità del pro-dotto. Poi è arrivata la disgrazia del metanolo, e tutto è cambiato e a guadagnarci è stata l’in-tera filiera del vino che, guarda caso, ha incre-mentato non solo le esportazioni ma soprat-tutto la qualità e la credibilità internazionale. Molti osservatori stranieri concordano nel dire che noi italiani stiamo distruggendo si-stematicamente quello che di buono abbia-mo fatto e che il nostro più grande proble-ma è quello di guardare il futuro con paura e ansia. Il nostro futuro. Ma cos’è il futuro? Il futuro, per definizione, ha contorni un po’ vaghi. C’è chi lo teme e chi lo invoca. Ai tempi di Cicerone si usava scrivere mala tempora cur-runt, che tradotto in linguaggio corrente signi-fica “tira una brutta aria”. Indiscutibilmente, il futuro è la parte di tempo che ancora non ha avuto luogo. Eleanor Roosevelt definiva il futu-ro “peculiarità di chi crede alla bellezza dei pro-pri sogni” mentre Friedrich Nietzsche dichia-rava che “il futuro influenza il presente tanto quanto il passato”. Per quel che mi riguarda credo che pensare al nostro futuro sia sempli-cemente uno stimolo per migliorarci. Certo, l’aria che tira in questo periodo non è delle migliori ma, per favore, non “buttiamo l’ac-qua sporca con tutto il bambino”! Abbiamo delle eccellenze in Italia? Sicuramente sì. Una di queste è indubbiamente l’agroalimentare in tutte le sue declinazioni. È certificato da tutti che questo comparto sia uno straordinario vei-colo di promozione internazionale del nostro paese e rappresenti un importante capitolo per la nostra economia, cerchiamo dunque di ana-lizzare, laicamente e senza preconcetti, alcu-ni indiscutibili dati. Nel 2011, ci dice il Centro Studi Coldiretti, è stato raggiunto il massimo
Il vino è il miglior ambasciatore dell’Italia nel mondo
Il recente investimento nell’italian wine da parte del Brazos Equity Partners, un fondo privato americano, dimostra ancora una volta che l’agroalimentare, in tutte le sue declinazioni è una delle eccellenze del made in Italy: non sfruttare le immense ricchezze dei nostri territori significa fare un regalo ai nostri competitor
di Roberto Rabachino
storico di 30 miliardi nel valore delle esporta-zioni, in crescita del 9% sul 2010. A crescere all’estero sono stati i settori più tradizionali del Made in Italy come il vino, che ha messo a se-gno un aumento record in valore del 25%, i formaggi a partire da Grana Padano e Parmi-giano Reggiano, che sono i più esportati con una crescita del 26%, ma anche l’olio di oli-va (+9%) e la pasta (+7%). Pressoché stabile l’ortofrutta, la voce più “pesante” con il vino. E non mancano risultati sorprendenti, come il boom del 18% nell’export della birra italiana in Gran Bretagna, grande paese produttore di questa bevanda o la crescita record dello spu-mante in Russia che, con un +40%, si classifica addirittura al quarto posto tra i paesi esteri di destinazione, ma anche l’incremento del 22% nelle esportazioni di formaggi italiani in Fran-cia, che è tradizionalmente molto nazionali-sta in questo campo. Brazos Equity Partners, fondo privato americano con 1,4 miliardi di dollari di capitale in gestione e 715 milioni di dollari di “liquidità”, che controlla 55 marchi top in settori che vanno dai servizi alla sanità, dall’industria alla finanza, dal food & bevera-ge alla distribuzione, ha deciso di investire nel vino ed è diventato primo azionista di Wine-bow, uno dei più importanti importatori e di-stributori di vini italiani (e non solo) degli Sta-ti Uniti, fondato da Leonardo Lo Cascio, che oggi ha in portafoglio 122 brand da tutto il mondo, Italia in primis, e serve altri 125 distri-butori per un business che tocca tutti i 50 stati Usa. Nella prima conferenza stampa il respon-sabile della Brazos ha dichiarato che «uno dei motivi che ha portato all’investimento, è la massiccia presenza, nel portafoglio fornitori, di titolate aziende produttrici italiane tipo». E poi, il nostro turismo. È una risorsa importan-te dell’Italia. Per decenni è stato considerato una sorta di comparto economico ad esclusivo appannaggio di albergatori e commercianti di souvenir. Certamente un’economia importan-te ma molto meno importante dell’industria o del commercio. Come è noto ormai a tutti, il nostro territorio rappresenta un universo unico
nel panorama dell’offerta mondiale. Abbiamo una tale ricchezza che la mera catalogazione rappresenta un’opera pressoché impossibile. Anche in questo settore è tempo di muoversi in maniera coordinata ed incisiva guardando il futuro con occhio ottimistico. Concludo, in-vitando tutti a essere consapevoli che l’Italia è cresciuta nonostante molte contraddizioni e scelte scellerate e che dobbiamo continuare a sfruttare le immense ricchezze dei nostri ter-ritori. Non farlo sarebbe imperdonabile, e so-prattutto sarebbe un regalo troppo caro per i nostri agguerriti competitor internazionali.
50
l’altra Italia: cibo, vino e talenticover story
niva utilizzato sulle galee come barretta energetica,
tanto che la razione di cibo quotidiana prevedeva
per i naviganti un fico e un’aringa. Per secoli il fico
di Caneva è stato servito anche fresco sulle tavole
più prestigiose ed era presente nei mercati rionali di
Venezia e Padova. Negli anni Novanta buona parte
delle piante che costellano la pedemontana versava-
no in cattivo stato di conservazione e il patrimonio
culturale e arboreo si stava perdendo. Dopo le og-
gettive difficoltà iniziali, nel 2005 i 15 soci fondatori
del Consorzio (Tel. 3358167447) raccolgono i primi
fichi mori e li collocano nella distribuzione organiz-
zata di Veneto e Friuli: grazie a una precisa logica di-
stributiva si può garantire al consumatore che il fico
raccolto oggi sarà l’indomani mattina sui banchi del
negozio. La crescente richiesta impone nuove pian-
tagioni, che nell’ultima campagna hanno assicurato
circa 280 quintali di prodotto fresco. Non sono solo
aziende agricole che fanno parte del Consorzio: c’è
l’architetto che vuole preservare il paesaggio, l’avvo-
cato che desidera riposarsi tornando nella campagna
della famiglia. E ovviamente le aziende agricole, per
le quali il figo moro è una preziosa integrazione al
reddito. Ma non è tutto: lavorando i fichi il Consor-
zio ha dato vita a salse al fico con peperoncino, al fico
arricchito con senape per la gioia dei turisti teutoni-
ci in visita alle città d’arte, e con numerose erbe aro-
matiche per accompagnare lessi, grigliate e formaggi.
Presto il mercato potrà contare anche sull’aceto di
fico rimarcando la schietta creatività che nell’agroa-
limentare paga sempre (o quasi).
Un padre, un figlio e il re dei reSull’onda della tradizione anche la storia di uno spe-
ciale Parmigiano Reggiano. Perché se non è difficile
sentire affermare che il Parmigiano Reggiano è il re
dei formaggi, allora quello che esce dal minusco-
lo Caseificio Bonati di Basilicanova di Traversetolo
(Tel. 0521681707) è il re dei re. Fa impazzire il suo
profumo intenso e avvolgente, fa trasecolare il suo
gusto profondo ma garbato. Incantevole è la pre-
senza dei cosiddetti grani di riso che fanno godere
gli inguaribili golosi morso dopo morso. Ma anco-
ra maggiore è la piacevolezza di questo Parmigiano
Reggiano quando si conosca la storia di Giorgio e
Gianluca, padre e figlio, contadini spontanei e incon-
taminati dai riflettori, ma illuminati solo dalle 180
biolche parmigiane di terra (all’incirca 60 ettari) che
danno orzo, erba medica, fave, soia e granoturco: gli
unici ingredienti dei pasti delle loro vacche. Vacche
frisone, un centinaio in lattazione (“sono le vacche a
fare il formaggio; noi rispettiamo il loro latte”, dico-
no ineffabili), curate come fossero bambini. Danno,
ciascuna, una media di 20 litri di latte al giorno, cifra
che di sicuro fa sorridere le colleghe bianche e nere
che hanno invaso la pianura padana a partire dagli
anni Cinquanta. È dal 1° gennaio 1997 che i Bonati
producono Parmigiano Reggiano per sé, vale a dire
non conferiscono il latte che producono a caseifici
terzi. Fu Giorgio a impressionarmi, una quindicina
d’anni fa, per la scelta scrupolosa, che sconfina quasi
nel maniacale, del foraggio che può entrare nella die-
ta delle lattifere. Lui vaglia, ostinato, i fili d’erba; eli-
mina quelli non idonei alle mandibole dei suoi ani-
Le vacche frisone del Caseificio Bonati di Basilicanova di Traversetolo
51
52
mali, ottenendo un sapore e
un profumo del latte insupe-
rabili. Fu quindi l’espressa vo-
lontà di non cedere all’anoni-
mato la molla scatenante che
impose ai Bonati di aprire un
proprio caseificio non distante dalla stalla, ma so-
prattutto che suggerì loro di andare in controten-
denza con la consuetudine del mercato che tende
ad accorciare i tempi di stagionatura. La filosofia su
cui si è basata sin dall’inizio l’azienda agricola na-
sce dalla consapevolezza che a una certa fascia di
consumatori è necessario proporre un Parmigiano
Reggiano da lunghe stagionature, mai inferiore ai 26
mesi e spesso almeno di 36. Alcune forme vengono
tenute sulle assi della casera per 5 o 7 anni, ma in
occasioni speciali vengono tagliate forme che di anni
ne possiedono 10. A quell’età il formaggio mantiene
una fragranza inusuale, riesce a stupire ancora con
profumi netti e vigorosi; il colore vira dal paglierino
all’aranciato. Per distinguersi ancora di più in preci-
sione e scrupolo, i Bonati hanno inserito sullo scalzo
delle forme, oltre alle prescrizioni necessarie e dovu-
te, anche l’indicazione della caldaia e il giorno in cui
è avvenuta la cagliata in modo da raggiungere una
tracciabilità perfetta. Alcuni tra i più rinomati risto-
ranti in Italia e nel mondo fanno a gara per poter-
si concedere nel loro menù il Parmigiano Reggiano
dei Bonati. A La Pergola dell’Hotel Hilton a Roma,
da Aimo e Nadia a Milano o all’Albereta di Gual-
tiero Marchesi nel bresciano come da Pinchiorri a
New York c’è sempre un tocco di classe dei Bona-
ti che rende indimenticabile la sosta. Ultimamente
l’esportazione ha raggiunto anche l’Arabia Saudita
(si prelude forse a uno scambio prossimo venturo
di cibo a fronte di petrolio?), mentre il Giappone è
da tempo presente nelle commesse. Un esempio di
impresa familiare che fa distinguere, con umiltà e
senza presunzione, l’Italia nel mondo.
Grazie Giorgio; grazie Gianluca.
Pascolando al suono di mille violiniC’è poi chi lascia le grandi città in cerca di se stesso
e crea straordinari prodotti. È ancora la volta di for-
maggi, ma di capra. Ed è una storia davvero singolare
quella di Flavio Cova, milanese trapiantato a Firenze,
In questa pagina le strutture, il formaggio e le capre della fattoria Ma’ Falda
Nel 2011 il comparto agroalimentare ha raggiunto il massimo storico di 30 miliardi nel valore delle esportazioni, in crescita del 9% sul 2010
l’altra Italia: cibo, vino e talenticover story
52
e Anne Line Redtroen, norvegese, che si stabilirono
sull’altopiano denominato Frascarelle, incuneato fra
Todi e Orvieto. Non soli: con la di lei sorella, Åste, e il
suo compagno, il franco-tedesco Herbert Baldzuhn.
Provenienze plurali, interessi plurali. Ma un’unica
motivazione: conoscere, nella seconda parte della
vita, ciò che era loro ancora ignoto. Frequentare gli
animali, riconoscere i fiori, godere del ritmo della na-
tura svegliandosi di buon mattino sono diventati per
le due composite coppie uno stile di vita. Complice
un’amica francese dei quattro che qualche anno pri-
ma dovette cambiare il gregge e spedì parte di esso
tra le colline umbre. La zona, da sempre monopolio
di formaggi ovini, in pochi anni si è distinta per capri-
ni di grande pregio. Gli animali, di razza Camosciata
delle Alpi, sono nutriti con fieno, erba medica e ce-
reali provenienti dagli appezzamenti dell’azienda. La
stabulazione avviene in una elegante struttura dalle
capriate di legno, alta su un poggio, dove di tanto in
tanto qualche capra che maggia rompe il silenzio.
Per la verità il silenzio c’è raramente: Anne Line e
Åste hanno capito che le capre diventano raggianti
all’ascolto di motivi di musica classica, privilegiando
su tutti Arcangelo Corelli. Così è molto facile imbat-
tersi in brani che forse tengono lontano lo stress dagli
animali, ma di sicuro anche dai numerosi visitatori
che la fattoria nel frattempo si è conquistata. Dalle
capre, il formaggio. La lavorazione del latte è intera-
mente manuale. Il prodotto di punta, straordinario
sotto il profilo organolettico per l’intenso gusto fun-
gino, è un cacio a pasta molle, derivato da latte che
coagula lentamente in un’ora e che si ottiene rom-
pendo poi la cagliata grossolanamente. Viene messa
nelle fuscelle senza successivo riscaldamento e, di-
ventata formaggio, viene rigirato su se stesso dopo 24
ore, salandone una faccia e, dopo altre 12 ore, cospar-
gendo di sale l’altra faccia. Durante le fasi di riscalda-
mento del latte si aggiunge del penicillium candidum,
che conferirà la caratteristica piumatura alla crosta,
tenuta a opportuno tasso di umidità. Reinventarsi la
vita lontano dalla città in una fattoria del nome ma-
landrino, Ma’ Falda (Tel. 0758749646): un messag-
gio che viene dal cuore verde d’Italia perché, come
dicono i quattro, è imprescindibile non vivere in un
preciso luogo, ma vivere del luogo.
Vini, cultura, vacanze, economia: riflessioni di un enoturistaAggiornamento dell’offerta in cantina e promozione integrata con il territorio. Queste, secondo Chiara Lungarotti (Movimento Turismo del Vino)le carte sulle quali puntare affinché l’enoturismo rappresenti un motore efficace per la rinascita italiana. Toscana e Friuli Venezia Giulia insegnano
Per la prima volta la Conferenza Interna-zionale sul Turismo del Vino (CITV) ha fat-to tappa in Italia, dal 30 gennaio al 2 feb-braio scorsi a Perugia. Un riconoscimento al Paese che, immodestamente, più di al-tri avrebbe meritato di essere messo al centro dell’attenzione di questo consesso internazionale sin dalla sua nascita, una ventina di anni fa. La CITV è un momen-to d’incontro e di confronto, riflessione e analisi tra differenti operatori del settore nei vari Paesi produttori, mentre motore incalzante dell’approdo in terra umbra è stata Chiara Lungarotti, presidente del Movimento Turismo del Vino Italia. Nel corso di un’intervista rilasciata alla nostra rivista, la Lungarotti ha definito ancora “sottodimensionato” il turismo del vino in Italia, ipotizzando che venga espresso solo il 20% del suo potenziale (supper-giù 5 miliardi di euro). Inoltre, in attesa di prendere misure adeguate al supera-mento della crisi, non si può prescindere dall’importanza del consumatore italia-no: la congiuntura economica deve ser-vire da spunto per conoscere la storia, la tradizione e la cultura della propria re-gione o delle regioni limitrofe. La crisi, se considerata sotto questa lente, diventa un’opportunità di crescita per tutti quanti per uscire dall’attuale situazione. Peraltro il turista del vino non visita solamente le cantine, ma genera economia su un ter-
ritorio più vasto e ripete emozionalmente gli acquisti del luogo che ha visitato, una volta tornato a casa. In questo senso, un aspetto molto importante è quello del tu-rismo esperienziale. Infatti, cosa c’è di più tangibile di una visita in cantina? Non è quindi l’idea di fare una bevuta che deve muovere il consumatore, ma la professio-nalità, la storia e la serietà che si trovano dentro e fuori la cantina. Ovviamente per raggiungere il turista enoico va pianifica-ta una promozione integrata dei vini e dei territori. Cosa che paesi emergenti come l’Australia, o Germania e Austria nel vec-chio continente, hanno già approntato. Per questa ragione va adattata e aggior-nata l’offerta delle cantine, come Diane Letulle del Wine Lover’s Journal ha sotto-lineato nel corso di un’affollata conferen-za, con certi accorgimenti: un’adegua-ta segnaletica stradale, orari di apertura consoni al turista, tempi di visita talvolta troppo lunghi e un’idonea accoglienza in lingua inglese. «Il rispetto delle aspetta-tive di aspetti di cultura materiale e allo stesso tempo romantica sono molle che potranno portare turisti d’Oltreoceano nel nostro Paese», ha voluto evidenziare Bill Eyer della Cuvée Corner Wine Blog. Esperienze come quelle della Toscana e del Friuli Venezia Giulia possono senz’al-tro servire da esempi per un’Italia che ce la può fare. R.La.
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Gli italiani che vivono, o che risiedono spesso, ne-
gli Stati Uniti, lo sanno. Oggi, bere un bicchiere
di vino italiano (più o meno) ovunque ci si trovi
negli States, è facile: basta entrare in un qualun-
que supermercato e scegliere sullo scaffale l’eti-
chetta preferita. Rossi, bianchi, prosecchi, Chianti
di Francesco Condoluci
Armando De Zan Mister “50 milioni
di bottiglie vendute”
o Moscato: l’offerta è ampia ed è per tutti i gusti
e tutte le tasche. Quello che gli italiani probabil-
mente non sanno invece è che dietro lo straordi-
nario panel di bottiglie tricolori che i consumatori
americani hanno a disposizione da New York alla
California, ci sono storie di lavoro, impegno, tena-
cia e creatività che hanno come protagonisti i co-
siddetti wine importers, professionisti che hanno
dedicato la loro vita a far conoscere (e vendere)
agli yankees quello che, non a caso, è oggi l’asset
economico più vincente del made in Italy: il vino,
appunto. Il Belpaese che ha successo nel mondo,
è anche opera loro.
Di gente, ad esempio, come Armando De Zan, un
self-made-man partito da Portogruaro e oggi alla
guida della Arel Group, Wine & Spirits, Inc. con
sede ad Atlanta che, dopo 30 anni di attività e ol-
tre 50 milioni di bottiglie di vino italiano vendu-
te negli Usa, può vantarsi, a buon diritto, di essere
“l’uomo che ha convinto gli americani a non fare
più l’aperitivo con il whisky”, come succedeva in-
vece fino agli anni ’80, quando in America, di vino
italiano, si conosceva (a stento) solo il Lambrusco.
Ha cominciato quasi per scommessa. Oggi, dopo 30 anni di importazione di vini italiani negli USA, Armando
De Zan, titolare della Arel Group, Wine&Spirits, Inc. con sede ad Atlanta, può essere considerato,
a buon diritto, “l’uomo che ha convinto gli americani a non fare più l’aperitivo col whisky”
54
personaggi
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In apertura Armando De Zan brinda con moglie e figlie al successo della sua attività, negli Usa come in Italia, dove, nell’azienda agricola di famiglia situata ad Annone Veneto (Ve), produce la fortunata etichetta di vini Tenuta Polvaro
La storia di De Zan è una di quelle che ha tutti gli
ingredienti dell’Italian style di successo: coraggio,
intuito, passione, spirito di sacrificio. È lui stesso
a raccontarcela.
Trenta anni fa un incontro col destino, a New York«Tutto è iniziato quasi per caso – ci spiega – nel
1984 ero andato a Los Angeles a vedere le Olim-
piadi e andai a trovare la famiglia di un mio zio
emigrato in America agli inizi del secolo scorso. Per
fare un regalo a mia moglie, che mi aveva appena
regalato nostra figlia Barbara, ho deciso di passare
tre giorni a New York prima di rientrare in Italia. A
quel tempo, pur possedendo molti terreni, in parte
ereditati da mia moglie, facevo l’agente assicura-
tivo, ma quella professione mi stava stretta. Così,
passando in Madison Avenue, dove allora c’era la
sede dell’Ice, la Trade Italian Commission, ho det-
to a mia moglie: quasi quasi provo a fare qualche
affare qui in America. Detto e fatto. Sono entra-
to negli uffici, dove mi ha ricevuto il dottor Zani,
il direttore dell’epoca, al quale ho subito parlato
delle mie intenzioni. Lui, apprendendo che mi oc-
cupavo di polizze assicurative, con tono scherzoso
mi disse che sarebbe stato un po’ difficile prova-
re a venderle anche lì negli Stati Uniti. Ma io, che
come clienti avevo aziende di vino e del mobile,
per tutta risposta, gli domandai quanto valessero
in termini economici quei due settori. Il direttore
dell’Ice rispose che il volume di affari tra vino e
mobile, in quel momento, era equivalente. “Lei, al
posto mio, su cosa investirebbe allora?”, gli chiesi.
E questo gentilissimo signore che spero un giorno
o l’altro di poter incontrare per ringraziarlo, senza
esitare, mi disse: “Io, che sono trentino, punterei
sul vino”. Dopodiché mi fece un regalo eccezio-
nale: l’elenco degli importatori americani di vino,
che a quei tempi, erano centinaia. Lì è iniziata la
mia avventura. Tornato in Italia, infatti, provai a
chiedere ad alcune aziende se erano interessate
a investire, trovando però porte sempre chiuse. A
quel punto, essendomi innamorato di quest’idea,
decisi di fare tutto da solo: avevo a disposizione
10 milioni di vecchie lire, che 30 anni fa erano
un piccolo capitale, e mi prefissai
di tentare di investirli in un bu-
siness con qualche distributore.
Con mia moglie, che è laureata
in lingue e parla benissimo l’in-
glese, prendemmo l’elenco de-
gli importatori portato da New
York e iniziammo a contattare i
più importanti, quelli che dispo-
nevano di un telex, allora non c’era-
no i fax né tantomeno le e-mail. “Se en-
tro fine anno non riusciremo a concludere un
affare, lasceremo perdere” ci eravamo ripromessi
con mia moglie. E stavamo per farlo, dopo mesi
passati senza ricevere risposte dagli Usa. Poi a di-
cembre, la fortuna, o chissà forse la sfortuna, ci ha
regalato il primo contatto e quindi la possibilità di
aprire il mercato di New York. Poi il Texas, Chica-
go, il Colorado. Da allora non ci siamo più fermati,
lavorando come pazzi: per 15 anni di file, non ho
preso un solo giorno di vacanza».
Così il vino italiano ha conquistato l’AmericaAd Armando De Zan non piacciono le autocelebra-
zioni. Lui, generalmente, è abituato a parlare attra-
verso il suo lavoro. Perciò declina cortesemente l’eti-
chetta dell’uomo “che ha portato il vino italiano in
America” e preferisce definirsi «come uno che, sen-
Fino a metà anni ’80, gli americani a tavola
usavano bere tè, acqua e, al massimo, whisky. Di vini italiani, su-
gli scaffali si trovava giusto il Lambru-sco. L’avvio dell’attività di importato-re di Armando De Zan è coincisa con
l’inizio dello strepitoso successo dell’italian wine negli Stati
Uniti d’America.
za presunzione, è stato per molti anni tra gli artefici-
promotori dell’italian wine negli Usa». «Fino a metà
anni ’80, in America, a tavola si beveva tè, acqua o al
massimo, whisky – racconta ancora – era deprimente,
si trovava in commercio il Lambrusco, ma il business
italiano del vino era ristretto a quello. In parallelo con
l’inizio della mia attività di importatore, nell’epoca
che di fatto ha segnato l’inizio del successo del vino
italiano negli Usa, hanno cominciato a lavorare an-
che grandi consorzi come Cavit o Santa Margherita:
come vedete, non sono stato il solo. Diciamo che ho
fatto la mia parte, arrivando anche a cambiare le eti-
chette per adattarle al mercato americano. Pensi che
in quegli anni abbiamo ideato delle linee in Abruzzo,
riuscendo a vendere in America, nei primi tre mesi,
70 mila casse di vino col nuovo marchio. Così anche
in Toscana e Piemonte».
Il segreto del successo della sua attività, secondo
De Zan, sta infatti «nella capacità di aver sempre
saputo adeguare i prodotti da vendere alle esigen-
ze del mercato». «In tutti questi anni – continua il
wine importer di origine veneta – ho sempre avu-
to come principio basilare del mio lavoro, quello
secondo cui il vino va fatto nella maniera in cui lo
desidera il consumatore finale, anche il packaging
deve essere adeguato ai gusti degli americani. Pri-
ma di trasferirmi stabilmente con la mia famiglia in
America nel 1990, passavo lì 10 giorni al mese per
studiare l’orientamento dei consumi. E quando ho
aperto gli uffici della mia azienda ad Atlanta, in Ge-
orgia, non a caso ho assunto personale americano,
proprio perché loro conoscono meglio di noi italiani
il mercato locale. Oggi il vino italiano in America è
un prodotto d’eccellenza. Il mercato, dopo qualche
anno di preferenza verso i vini australiani, è tornato
a guardare all’Italia con grande favore. Noi, lo scorso
anno abbiamo aumentato del 35% il nostro volu-
me d’affari e sa perché? Perché vendiamo prodotti
che soddisfano, in termini di gusto, di immagine e di
prezzo, tutte le fasce di consumatori. Il mio orgoglio
più grande sta nel fatto che non c’è cliente, anche
tra quelli acquistati 20 anni fa, che, incontrandomi,
non mi venga a salutare sorridendo. Il mio cruccio?
Forse l’unico è quello di non essere mai riuscito a
vendere un vino della mia terra, il Raboso veneto,
rispetto al quale il mercato Usa, dove spopolano in-
vece Pinot Grigio, prosecchi e Moscato, non è mai
stato sensibile».
Ma per un vino difficile da piazzare, ce n’è un altro
invece che a De Zan sta regalando una soddisfazione
tutta speciale. È quello con l’etichetta Tenuta Polvaro
che viene prodotto tra i filari di vigne dell’omonima
tenuta, l’azienda agricola gioiello di famiglia messa
su nella terra di origine a Portogruaro, dove l’impor-
tatore ama trascorrere i brevi periodi dell’anno che
passa in Italia: «Questo vino di nostra produzione è
un omaggio a mia moglie che mi è stata sempre vi-
cina in tutti questi anni e che mi ha regalato le no-
stre splendide figlie, Barbara e Caterina. È il modo
per esprimerle tutto il mio amore, la mia gratitudine
e la mia riconoscenza».
Prosit allora, mister De Zan.
Dai business in America all’eredità di famiglia
a Portogruaro: l’ultima sfida
di De Zan è la Tenuta
Polvaro, azienda vitivinicola
“gioiello” dedicata
alla moglie e alle figlie
A sinistra l’ingresso della Tenuta Polvaro, “gioiello” della famiglia De Zan. Sopra e sotto, una fase della vendemmia e i filari di vigne
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personaggi
The world’s best olive oils
Un titolo in inglese? Di più! Avrei voluto scrivere tutto l’articolo in inglese. Spiego subito la mia tentazione. Se chiedi a un amico che olio usa per casa, ti dice che glielo portano dalla Sicilia a 6 euro al litro. Vai al supermercato e su gli scaffali trovi offerte 2x1 a 8 euro. Parli con un ristorato-re e senti che acquista un extra vergine toscano a 5 euro al litro. Poi parli con un produttore si-ciliano e scopri che esporta a Londra a 15 euro a bottiglie da 0,75. Ne senti un altro toscano e ti racconta che il suo importatore svedese gli ha appena fatto un ordine di 40.000 euro per 4000 bottiglie da 0,50 e un altro trentino che ha fin-to la sua produzione a febbraio, venduta tutta ad Austriaci e Tedeschi. E allora perché scrivere sull’olio in italiano se il mercato che tira parla inglese o tedesco? Forse proprio per informare gli Italiano delle meraviglie di casa loro? Ma no!
Lo sanno benissimo; quei produttori hanno col-laboratori, agenti, rivenditori, amici italiani che sanno benissimo che quel produttore stravince tutti i concorsi a cui va. E allora? Come mai non acquistano il suo olio? Per il prezzo! Per l’italiano quell’olio è caro. È caro in Italia ma non è caro in tutto il resto del mondo, incluso Svezia, Nuo-va Zelanda, Filippine, Argentina, Brasile che non mi pare proprio abbiano lo stesso nostro tenore di vita. Dunque c’è altro. Si tratta di una sorta di malattia trasversale che non riguarda il reddito, e nemmeno la latitudine, l’età, il rango, la pro-fessione ma piuttosto un comportamento tutto italiano. Due italiani a Londra dopo 30 secondi elogiano la City e parlano male dell’Italia. Due inglesi a Roma non si permetterebbero mai di criticare Albione. È “nichilismo” la malattia che ci priva del meglio, in tutti i campi. Una sindro-me da cui non mi sono fatto contagiare e quindi reagisco, facendo nomi e cognomi. Le monocul-tivar siciliane di Tonda Iblea, che sa di pomodoro verde, fatta dai Sallemi, dai Gulino, dai Cutrera, o di Biancolilla, che sa di mela verde, prodotta dai Galluffo, dai Burgarella, dai Sarullo, o ancora di Nocellara del Belice, che profuma di ravanello targata Mandranova o Lombardo, sono come i Templi di Agrigento, uniche e irripetibili. E anco-ra, le monocultivar pugliesi di Coratina, amara e ardente, che sa di prato falciato, fatte dai Nicola Monterisi, dai Ferrara, dai Galantino, o di Peran-zana che sa di mandorla fresca come quella di Mio Padre è un Albero o di Marina Colonna, ir-ripetibili come Castel del Monte. Poi c’è l’Ortice campano che sa di sedano crudo, come lo fanno Caccese e Rinaldi, ed è come il Vesuvio. Il Mo-raiolo umbro che sa di mandorla tostata e sal-via fatto da Viola, Decimi, Marfuga, che è l’Um-bria stessa. Ma vado avanti: le cultivar toscane Frantoio e Olivastra Seggianese che modulano il profumo del carciofo fino al carciofino sottolio interpretate da Franci, Vicopisano, Hostulanus, Nonno Adamo, Pietrapiana, Greppi di Silli, Fonte di Foiano, Buonamici, e incantano come la Gal-leria degli Uffizi. Quando non la friggi, l’Ascola-na Tenera marchigiana del Conventino di Mon-teccicardo, che sa di pomodoro in salsa; e poi via su su fino alla Casaliva trentina dei Toniol-li, Ca Bianca e Laghel 7, che ti inonda la bocca di banana verde. Tutto Patrimonio dell’Umanità da tutelare con l’Unesco. Ho fatto volutamente un elenco di nomi e luoghi, ovviamente incom-pleto, perché i grandi dell’olio italiano vengano chiamati per nome e i loro oli siano rintracciati e assaggiati. E perché gli italiani si vantino di que-sto tesoro, anche i nichilisti. Qui almeno non c’è niente di cui vergognarsi.
Un elenco di cultivar e luoghi: perché i grandi dell’olio nazionale vengano chiamati per nome e i loro prodotti siano rintracciati e
assaggiati. Anche dagli italiani
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l’olio
di Gino Celletti
Capo panel ConsiGlio oleiColo internazionale www.frantoicelletti.com
www.monocultivaroliveoil.com
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62 Lungo la Riviera degli OliviAlla scoperta della sponda veneta del Garda e del suo extravergine Dop
68 I vini di Reggio CalabriaLa provincia enoica, i suoi vitigni, le sue tradizioni
da pag. 70Rubriche• La scoperta• Girogustando• Il Ristorante• Il buono a tavola• Scienza e vita• Almanacco• Orto• Chef italiani nel mondo
Cibo&Territorio
Lungo la Riviera degli OliviAlla scoperta della sponda veneta del Garda,
tra paesaggi idilliaci, tutti rocce a strapiombo
nell’acqua e antiche pievi immerse nel verde, seguendo percorsi
segnati dal gusto delicato di un’extravergine Dop
dai piacevoli sentori di erba fresca e fieno
di Gilda Ciaruffoli
Tra cespugli fioriti di rosa selvatica, ole-
andro, acacia e ciuffi di limonella, sulle
sponde del Garda e all’ombra del Mon-
te Baldo – il “giardino botanico d’Eu-
ropa” di incomparabile suggestione –
l’olivo viene coltivato da millenni. Furono
gli etruschi prima, e i romani poi, a favo-
rirne lo sviluppo, unitamente a condizio-
ni climatiche decisamente favorevoli che
l’hanno resa una delle piante caratteristi-
che dell’intero territorio lacustre. Gran par-
te dell’olio prodotto in zona rientra nella
Dop Garda, con un’ulteriore qualifica ge-
ografica che ne determina la zona di pro-
duzione e che, per il territorio della pro-
vincia veronese, assume la denominazione
di Orientale (a seconda dell’area di produ-
zione l’extravergine Dop Garda può infatti
assumere anche la denominazione di Bre-
sciano o Trentino). Assaggiarlo seduti a bor-
do lago, in un’assolata giornata di primave-
ra, significa riempirsi i sensi del profumo
di erba fresca e di fieno, carciofo, cardo ed
erbe aromatiche, che si fondono in un gu-
62
cibo&territorio
Assaggiare l’extravergine Garda Dop significa riempirsi i sensi del profumo di erba fresca e fieno, carciofo, cardo ed erbe aromatiche, dal retrogusto di mandorla
In apertura: Malcesine (Vr) che si specchia nelle acque del Garda. In questa pagina le piante storiche e due momenti della lavorazione delle olive relativi all’azienda Redoro Frantoi di Grezzana (Vr)
sto delicato con note di amaro e piccante percepibili
in gola, cui si affianca il tipico retrogusto di mandorla.
Delicato ed elegante, l’extravergine del Garda Dop si
adatta ai più svariati impieghi e soddisfa ampiamente
ogni esigenza edonistica in fatto di gusto. Caratteristi-
ca comune agli oli gardesani è anche la bassa acidità (il
disciplinare della Dop Garda ammette infatti un’aci-
dità massima dello 0,5). Per gustarne tutte le sfuma-
ture, un’ottima opportunità è quella di approfittare
dell’iniziativa Frantoi Aperti, nell’ambito della quale
le aziende agricole locali aprono le proprie porte ai cu-
riosi gourmand offrendo degustazioni e la possibilità
di visitare gli impianti e scoprirne i segreti (per cono-
scere le date e tutti i dettagli: www.oliogardadop.it).
Oppure partecipare a una delle tante manifestazioni
e sagre che si svolgono in zona, come quella del 17-21
maggio a Cavaion Veronese (Vr), ovvero la 44ª Festa
degli Asparagi durante la quale si svolgerà tra l’altro il
14° Concorso olio extravergine di oliva Garda Dop; o
Fish & Chef, l’evento che Malcesine dedica ai prodot-
ti tipici della sponda veronese del lago dal 26 aprile al
6 maggio. Protagoniste saranno le specialità del terri-
torio, extravergine Garda Dop in testa, accompagnato
dal pesce e dalle erbe del Baldo, e ancora dalla pregiata
carne del Consorzio della Garronese Veneta, senza tra-
lasciare i formaggi del Consorzio tutela Monte Vero-
nese Dop, e ovviamente i tanti vini locali. E se Malce-
sine è certamente uno dei paesi più caratteristici della
Riviera degli Olivi, tante sono le località che meritano
di essere visitate o ammirate da una diversa prospet-
tiva, quella comoda e rilassata del traghetto, a bordo
del quale lasciar cadere lentamente lo sguardo sugli
antichi borghi nascosti nel verde di una natura che
vede convivere inaspettatamente vegetazione alpina
e mediterranea. E proprio immersi in questo incredibi-
le panorama sorgono Torri del Benaco, dove gli uliveti,
La storia da vicinoIl Museo dell’Olio ospitato dall’Oleificio Cisano a Cisano di Bardolino (Vr) da oltre vent’anni espone strumenti antichi e inconsueti, in uso nei frantoi dal Settecento sino agli inizi del Novecento, oltre a suppellettili e attrezzi utilizzati in varie epoche e a un’imponente pressa a leva in legno di quercia, un frantoio azionato da una ruota a trazione idrica (perfettamente funzionante) e altri originali esemplari di presse in legno e in ferro. www.museum.it
Lago di Garda
Veneto
63
64
intervallati da contrade secolari e solitarie chiesette, si
spingono fin sulle lunghissime spiagge, e Rivoli Vero-
nese, gioiello incastonato nello spettacolo naturale del-
le colline moreniche. Più a sud il paese che al lago dà
il nome, con il suo splendido golfo: arrivando a Garda,
a farsi notare sono punta San Vigilio, mèta obbligata
delle celebrità in vacanza sulla Riviera, e il colle del-
la Rocca, dalla cima del quale la vista è letteralmente
mozzafiato. Poco lontano merita una visita Costerma-
no, antica località di villeggiatura delle famiglie nobili
che qui hanno lasciato un patrimonio architettonico
di rara eleganza, e Bardolino, borgo ameno che evoca
l’omonimo rosso, punto di partenza per percorrere la
Strada del Vino Bardolino e sede del locale Museo del
Vino (www.museodelvino.it); e ancora Lazise, che vis-
se nel Medioevo il suo splendore e che oggi racchiude,
tra le mura scaligere e il castello, un antico e curatissi-
mo centro storico. Ultima tappa Peschiera del Garda,
città fortificata e completamente racchiusa dall’acqua.
Le spiagge qui sono lunghissime, costeggiate da can-
neti in cui trova riparo una fauna ricca e variegata, e lo
sguardo si riempie di un panorama aperto sul lago e si
spinge più a nord, fino al cono del Baldo, che placido
veglia sui silenziosi uliveti, sugli antichi borghi, sui vil-
leggianti in gita in barca, e su di noi.
L’olio non sente crisiPresidente del Consorzio Veneto Dop nonché titolare dell’azienda Redoro Frantoi di Grezza-na (Vr), Daniele Salvagno, ci introduce alla pro-duzione olivicola veneta. «Il territorio veneto è caratterizzato da due denominazioni d’origine, la Garda Dop che abbraccia tutta la zona del Garda veronese, bresciano e trentino, e, nell’in-terno la Dop Veneto che a sua volta si distingue in Veneto Valpolicella, Veneto Euganei e Berici e Veneto del Grappa. Si tratta di due tra le Dop più alte dell’olivicoltura mondiale, al limite della sopravvivenza della pianta dell’olivo. A carat-terizzare questa produzione un gusto delicato e non invasivo che ben si sposa alle pietanze della cucina internazionale ed è molto apprezzata dagli chef di tutto il mondo».
E dagli italiani?«Sul mercato nazionale i competitor sono forti, e molto si gioca sul piano dei prezzi: quelli delle Dop venete infatti possono essere più alti, a volte anche raddoppiati, rispetto ad altre produzioni nazionali. Quello che è importante sottolineare però è che in quell’euro in più, che è poi il prezzo di un caffè, sono racchiuse una qualità e delle caratteristiche davvero uniche, di cui godere a lungo».
Immagino dipenda anche dalle caratteristiche delle realtà produttive locali… «Consideri che le due denominazioni venete radunano l’1% dell’olivicoltura nazionale! Noi siamo grandi nel nostro territorio, perché la produzione di extravergine qui è molto importante, ma a livello nazionale siamo piccolissimi; in termini di quantità non possiamo paragonare la nostra realtà con quelle pugliesi, siciliane o calabresi».
E i piccoli produttori locali come stanno affrontando la crisi?«Molto bene. In questi ultimi anni è un continuo fiorire di piccole aziende premiate, considerate tra le migliori sul territorio nazionale. E il merito è della cura e dell’attenzione che vengono messe nella produzione, e ovviamente dei terroir e di piante secolari e quindi uniche. Un insieme di fattori che è garanzia di eccellenza».
L’attività produttiva va di pari passo con quella di accoglienza ai turisti? «Certamente. Questo è un territorio votato al turismo enogastronomico. Consideri che noi, come Redoro Frantoi, nel periodo di frantoio abbiamo 45 scuole che vengono a far didattica nella nostra struttura, e un’intensa affluenza di turisti che vengono accolti con degustazioni gratuite e visite all’azienda, e che spesso acquistano una nostra bottiglia. Tornati a casa poi gli ordini continuano; spediamo bottiglie fino in Giappone. Chi prova la qualità di un extravergine Dop difficilmente torna indietro. Ed è disposto a spendere anche quell’euro in più. Per questo sono tranquillo nel dire che l’olio non sente crisi».
Santuario della Madonna della Corona a metà della parete verticale rocciosa del Monte Baldo
Una suggestiva veduta nottura di Peschiera del Garda
cibo&territorio
Dove scoprire il meglio della enogastromia italiana? Al Vie del Gusto Store, la vetrina di riferimento per tutti i buongustai, nato con l’intento di far cono-scere gli artigiani del gusto che realizzano prodotti di qualità, ma che spesso faticano a superare i confini regionali. Un luogo di incontro ideale dove il consu-matore è coccolato e indirizzato nella scelta di pro-dotti garantiti. Dai migliori vini della Penisola agli oli extravergini doc, ai salumi e formaggi tipici, ai dolci e tanto altro ancora. Vi aspettiamo per un tour eno-gastronomico indimenticabile!
Gli artigiani delle prelibatezze e tipicità italiane vi aspettano nei tre punti vendita milanesi
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I vini della provincia di Reggio Calabria
Ben 6 produzioni Igt e 2 Doc, oltre a innumerevoli varietà di nicchia distribuite dal Tirreno allo Jonio, fanno del territorio reggino un’area d’eccellenza i cui giacimenti vitivinicoli custodiscono affascinanti e antichissime tradizioni magnogreche
di Rosario Previtera
Dalla costa tirrenica alla costa ionica, la vite da sem-
pre caratterizza il territorio reggino ricco di valli e
torrenti affacciati sullo Stretto che precipitano di-
rettamente sul mare Tirreno, oppure con ampie e
larghe fiumare bianche che dolcemente dall’Aspro-
monte si riversano nel caldo mare Ionio. Ben 6 pro-
duzioni Igt e 2 Doc, omogeneamente distribuite,
fanno della provincia di Reggio Calabria un inte-
ressante e accattivante giacimento vitivinicolo che
custodisce antichissime tradizioni magnogreche da
cui scaturiscono unicità enogastronomiche dalla sto-
ria millenaria. Se un tempo, i vigneti tappezzavano
Calabria
Reggio di Calabria
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cibo&territorio
I vini della provincia di Reggio Calabria
Nella pagina a sinistra: in apertura i vigneti terrazzati sul mare della Costa Viola (Tirreno), in basso una vigna in collina nella zona jonica. Qui sopra l’appassimento naturale del Greco di Bianco sui graticci
quasi tutto il territorio, dalla costa all’entroterra, og-
gi le aree vocate si estendono a macchia di leopardo
per più di 2 mila ettari, garantendo prodotti di ec-
cellenza, a conferma di quanto Reggio, la “provin-
cia enoica”, voglia nuovamente appropriarsi degli
antichi primati in campo gastronomico ed enolo-
gico. Un proliferare di cantine e di cooperative viti-
vinicole nell’ultimo decennio ha ampliato il pano-
rama vinicolo provinciale, spingendo verso l’alto la
qualità delle produzioni: vini, a volte di nicchia, ma
molto spesso innovativi nel solco della tradizione,
che si affermano sui mercati anche esteri oltre che
nell’ambito di prestigiosi concorsi enologici. Un set-
tore in crescita sempre più pervaso da un consapevo-
le enoturismo che valorizza le innumerevoli risorse
storico-culturali ed ambientali diffuse e a favore del
quale operano attivamente l’Ecostrada del vino e
dei sapori della Costa Viola e la Strada dei vini e dei
sapori della Locride. Dunque, Tirreno e Jonio uniti
da circa 200 km di costa caratterizzata dalle torri di
guardia ottocentesche ma anche dal verde e dal ros-
so dei vigneti i quali, a volte, dal livello del mare si
abbarbicano fino alle colline pre-aspromontane. Vi-
gneti per lo più coltivati ad alberello ma sempre più
spesso allevati a spalliera, quando con impianti nuo-
vi si riesce nella potatura a Guyot o a Cordone spe-
La “provincia enoica” al Vinitaly 2012Per la prima volta, la provincia di Reggio Calabria partecipa al Vinitaly con propri stand (Pad. 7B – Stand n. F10, G10, H8, G10) al fine di esaltare la “regginità” nel vasto mondo del vino e «con lo scopo di offrire servizi mirati e opportunità concrete alle aziende vitivinicole in un Vinitaly tutto business oriented» così come tengono a evidenziare il presidente della provincia Giuseppe Raffa e l’assessore provinciale all’agricoltura Gaetano Rao. Alla manifestazione si terranno seminari, convegni e iniziative a tema (www.provincia.rc.it/vinitaly) presso lo spazio-eventi Agorà e vi parteciperà una selezione di aziende vitivinicole, sia storiche che nuove, le quali realizzano prodotti di nicchia di elevata qualità e rappresentativi delle produzioni Igt e Doc provinciali:
• Coop. Agricola Enopolis Costa Viola
• Azienda Vitivinicola Pichilli
• Azienda Agricola Altomonte
• Associazione Megale Hellas in rappresentanza delle aziende vitivinicole del Doc Greco di Bianco e Igt Locride – Mantonico: Baccellieri, Ceratti, Luca’, Maisano, Capo Zefirio S.R.L. , Cantine Ielasi, Tenuta D’albo, Tenuta Dioscuri, Naimo, Viglianti
• Enopolis Bivongi Srl
• Le Aziende dell’Ecostrada del Vino e dei Sapori della Costa Viola
• Le Aziende della Strada dei Vini e dei Sapori della Locride
ronato a seconda della predisposizione del vitigno. E
i vitigni sono davvero tanti: la piattaforma ampelo-
grafica è vasta e variegata e spesso nasconde ancora
antichissime varietà, dai nomi e dai sinonimi presso-
ché infiniti a seconda dell’area, arrivate miracolosa-
mente ai giorni nostri e che posseggono una grande
valenza in termini di biodiversità. Uve antiche che
si uniscono nei blends con uve moderne e più co-
nosciute, varietà autoctone e varietà internaziona-
li che conferiscono al vino la potenza del mito e la
facile bevibilità richiesta dal mercato: a bacca ros-
sa troviamo Nerelli vari, Greco nero, Malvasia nera,
Nocera, Prunesta, Gaglioppo, Magliocco, Calabre-
se (Nero d’Avola), Alicante, Castiglione, Sangiove-
se, Cabernet, Cabernet Sauvignon, Merlot mente a
bacca bianca troviamo Malvasia bianca, Mantonico,
Greco bianco, Inzolia, Zibibbo (Moscato d’Alessan-
dria vinificato in proprio dai viticoltori della Costa
Viola), Guardavalle, Sauvignon, Chardonnay. Que-
ste sono solo alcune delle varietà che costituiscono
l’ampelografia della viticoltura reggina e che insieme
ad altrettanti cloni con sinonimi di antica introdu-
zione, danno vita ai vini Igt Scilla, Costa Viola, Ar-
ghillà, Pellaro, Palizzi, Locride ai quali si aggiungono
le due prestigiose Doc: il Bivongi e il passito Greco di
Bianco. Una “provincia enoica” tutta da gustare.
Calabria
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Gli asparagi di CaninoFanno capolino da sotto
il terreno vulcanico e vengono su con un tono
robusto e poderoso sul quale il mare, poco
distante, gioca un peso non indifferente. Nelle campagne viterbesi li
chiamano “mangiatutto”: sono le
verdure regine di primavera e non hanno
eguali nel resto della penisola
Benché il concetto di stagionalità dei vegetali sia stato messo a dura prova negli ultimi anni da colti-vazioni in serra e ortaggi che attraversano gli oce-ani in una sola notte, l’immaginario collettivo ci conduce a pensare agli asparagi come “la verdura primaverile” per antonomasia. Una delle piccole grandi capitali dell’asparago italiano si trova nel Vi-terbese, uno dei luoghi altresì noti per l’ottimo olio extravergine d’oliva: cioè il comune di Canino. An-zi, quelli della località Paglieto vengono considerati tra i primi della Penisola a fare capolino da sotto il terreno vulcanico. Un traguardo che gli asparagi di Canino tagliano già a fine gennaio grazie all’ac-qua termale di forzatura che scorre a temperature variabili tra i 30 e i 38 °C in grandi tubi a contatto con le radici. Gli altri arriveranno sul mercato dai primi giorni di febbraio sino a tutto giugno. Detto in altre parole la forzatura ottenuta con l’utilizzo dell’acqua calda naturale fa anticipare la raccolta di 40 giorni, preannunciando quella primaverile. Ma l’asparago di Canino gode anche di particolari doti di gusto. Infatti il terreno vulcanico è ricco di potassio, sali minerali, calcio e altri microelementi che si trasferiscono senza artifizi nei turioni. Inoltre non si può escludere che la presenza del mare a soli 10 km possa avere qualche condizionamento
sulla buona riuscita della coltivazione e soprattutto sul tono robusto e poderoso. Gli asparagi vengo-no cavati con il caratteristico pirozzo, un taglierino che scende a 5 cm sotto terra e li taglia a un’altez-za intorno ai 30 cm. Dopo la raccolta a mano, ven-gono riposti in una bisaccia di stoffa perché i raggi del sole non danneggino il colore verde brillante e il corpo ben sodo che li caratterizza. Tuttavia, pri-ma di essere immessi sul mercato in mazzetti da 500 gr, gli asparagi vengono calibrati sui 26 cm, una misura perfetta per ottenere il meglio in cu-cina. Nelle campagne intorno a Canino l’asparago è infatti conosciuto come mangiatutto: la cottura avviene in maniera omogenea e permette di con-sumare l’intero pezzo. Si utilizza come antipasto, appena scottato in acqua salata e aceto e servito con olio extravergine d’oliva, oppure fritto; in torte salate, nel classico risotto ma anche con pomodo-ro, che deve essere ben maturo. La produzione è su oltre 250 ettari, ciascuno dei quali riesce a dare anche 85 quintali. Buona parte della produzione va sui mercati di Torino e Ferrara, un’altra consistente frazione parte per Germania, Francia e Paesi Bas-si come primizia. Ragione per cui di certo anche l’asparago di Canino contribuisce a rendere noto il sottosuolo buono d’Italia.
Lazio
Canino
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la scoperta
70
di RiccaRdo LagoRio
Durante la settimana Santa, in tutta la Sicilia si preparano una varietà di dolci e pani rituali, legati
al significato religioso della Pasqua. A base di farina, uova, zucchero,
pasta di mandorle e ricotta, sono vere e
proprie specialità dalle forme diverse e fantasiose
strettamente legate a simbolismi religiosi
La Pasqua in Sicilia è un evento di grande risonanza e molto sentito dalla popolazione, a dimostrazio-ne della fede cattolica dei siciliani. È infatti soprat-tutto durante le ricorrenze più importanti, come questa, che l’arte culinaria locale dà il meglio di sé. Le ricette create per celebrare, anche in cucina, tale evento rispecchiano i classici canoni della ga-stronomia isolana, a partire dalle regole del buon gusto, dalla fantasia popolare e dal rispetto della tradizione. Ogni provincia della Sicilia, in materia di dolci, conserva una propria peculiarità così co-me per ogni festa popolare, religiosa e familiare. Dopo il periodo di penitenza della Settimana San-ta il giorno della Resurrezione è un tripudio di gio-ia: il ciclo della vita riprende. Le massaie, durante la settimana Santa, preparano per i bambini tanti
dolci vestiti a festa, decorati da mille ghirigori di glassa e da una miriade di codine di zucchero co-lorato (cavallucci, campane, colombe, pupe etc.) in cui sono incastonate le uova sode colorate e i pani rituali legati al significato religioso della Pa-squa. Le famiglie si riuniscono per festeggiare e consumare in compagnia le svariate specialità: su ogni tavola imbandita, oltre alle uova non pos-sono mancare i picureddi a simboleggiare Gesù crocifisso – l’agnello sacrificale, vere e proprie cre-azioni artistiche di pasta reale –, i pupi cu’ l’ova, panierini di pasta pane dolce o frolla che conten-gono, immersi o affioranti, delle uova con il guscio spesso colorato di rosso, simbolo di fertilità. L’uso di inserire uova sode all’interno di impasti di pane è antico ed è presente in molte zone del mediter-
Dolcezza vestita a festa
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di Cesare aldesinogirogustando
727272
raneo. Un tempo questi pani venivano decorati con semi di sesamo o di papavero, oggi vengo-no ricoperti da una glassa di zucchero, albume e limone (allustrata). Le forme di questi dolci ca-salinghi sono tantissime e spesso curiose, come i nomi con i quali vengono indicati a secondo del luogo dove vengono preparati: cannateddi a Prizzi e Montelepre, panareddi cu’ l‘ova a Palaz-zolo Acreide, campanara nel trapanese, cuddu-ra cu l’ova a Messina, cannileri nell’agrigentino e così via. A Bisacquino, nel palermitano, si usa tutt’ora preparare dolci con le uova a forma di se-no femminile detti perciò minneddi. A Favignana il campanaru si mangiava il Sabato Santo dopo aver baciato per terra. A Centuripe, ma anche altrove, il pane di Pasqua si consumava in chiesa mentre suonava il Gloria, quando veniva repen-tinamente abbassato il grande velo quaresimale e talvolta si liberavano le colombe. A Montelepre (Pp) questo rito era accompagnato dalla formula: «A gloria sunàu / cannateddu si spizzau / e si fi-ci a mmostra a mmostra / cannateddu senza os-sa (A Gloria suonò / cannateddu si spezzò / e si fece a pezzetti / cannateddu senza ossa)». Nella tradizione popolare, ancora praticata nei paesi dell’entroterra, era consuetudine scambiarsi tra i parenti più stretti la cuddura cu l’ovu in senso di affetto e di rispetto e, a secondo del destinatario, era più grossa e con più uova. Durante il perio-do pasquale, le vetrine delle pasticcerie e dei bar sembrano vere e proprie cornucopie opulente. Traboccano di classiche cassate, colombe, can-noli di ricotta, uova di cioccolata ricoperti di carta stagnola dai variopinti colori; in mezzo a questa variegata coreografia fanno mostra di sé le pe-corelle di pasta reale, detta anche Martorana, in quanto furono le suore del monastero della Mar-torana a tramandare l’arte di questa lavorazione: un composto di mandorle dolci, albume di uovo e zucchero. I picureddi vengono realizzati in diver-se forme, le più comuni sono adagiate sopra un prato verde circondato da un recinto e decora-to da confetti multicolori e infilzati, sul dorso, da una bandierina rossa, che nell’iconografia sacra rappresenta lo stendardo della resurrezione. Al-tre si presentano come dei bassorilievi composti sulla loro base e sono riempite di confettura di frutta secca, pistacchio e zucca candita. Tra tutte queste prelibatezze, la cassata e le cassatelle/ra-violi, anche se prodotte ormai quasi tutto l’anno, sono i dolci pasquali per antonomasia in Sicilia. E questo è infatti il periodo più idoneo per poterli degustare, in quanto il pascolo conferisce alla ri-cotta, ingrediente principe di entrambe le prepa-razioni, una consistenza maggiore e un sentore di erba e di selvatico più intenso.
La colomba, tra sacro e profanoSu tutto il territorio nazionale, il dolce che accomuna gli italiani è la colomba, simbolo per eccellenza della spiritualità cristiana il cui nome è legato alla sua presunta nascita. Infatti, secondo la leggenda, le sue origini risalgono al lontano 1552, a Milano, durante il dominio degli spagnoli. Il governatore Ferrante Gonzaga per esigenze militari decretò la demolizione della Cupola di santa Maria delle Grazie, ma venne dissuaso dall’apparizione di un angelo e della colomba dello Spirito santo. La gratitudine della città prese forma proprio in questo dolce, destinato nel tempo a diventare una delle espressioni più vive della Pasqua nel nostro paese. La storia recente, e forse quella più realistica, vede nei primi del Novecento una nota azienda milanese creare un dolce simile al panettone ma con un aspetto decisamente legato alla Pasqua: nasce così la colomba come la conosciamo oggi, un morbido dolce lievitato, con canditi e una croccante ricopertura di glassa e mandorle tostate. Sono ancora diverse, in talune zone dell’Italia, quelle preparate da veri maestri della pasticceria, che mantengono viva la tradizione con una lavorazione artigianale e che utilizzano materie prime selezionate e processi di lievitazione completamente naturali, derivanti dall’impiego di puro lievito madre senza l’aggiunta di lieviti chimici. Provare per credere!
In apertura un’invitate Cassata siciliana. Qui, dall’alto: i picureddi, vere e proprie creazioni artistiche di pasta reale, e i pupi cu’ l’ova
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Il locale, appena ristrutturato, presenta un’impostazio-ne moderna ed elegante, orientata ai giochi cromati-ci tra nero lucido e ampie superfici vetrate. Bellissima, tanto da togliere quasi il fiato, l’ampia parete verde che raggiunge il soffitto. Seduti ai tavoli del Black Diamond Café è sempre possibile vedere i cuochi in azione: i fin-ger food più rinomati della città e le altre pietanze in carta qui non hanno segreti! Grandi vetrate lasciano infatti spazio alla curiosità dei numerosi clienti del lo-cale, che restano affascinati nell’osservare tutte le fasi di preparazione dei cibi che degusteranno di lì a pochi istanti. Nel periodo primaverile ed estivo è imperdibi-le il dehor, da cui si gode una splendida vista su tutta Via Vittor Pisani, dalla Stazione Centrale sino a Piazza della Repubblica. Questo è il luogo perfetto per un in-contro, sia esso lavorativo o piacevolmente romanti-co; il personale, sempre cortese e discreto saprà infatti consigliare la migliore soluzione per far sì che il vostro appuntamento si trasformi in un idillio. Dalle 6 alle 23 è possibile gustare rivisitazioni di classici piatti – dai ri-sotti, alle lasagne, dal pesce al forno alle gustose car-ni nostrane – proposti sempre con fantasiose varianti. Pollo curry e ananas, tartare di salmone al frutto della passione, tonno in crosta di pistacchi... E per conclu-dere, perché no, un tiramisù alle pere o un tortino ai 2 cioccolati con cuore di cioccolato bianco alla can-nella! Dalle 17 in poi il Black Diamond Café sfode-ra la carta dell’aperitivo più fashion di tutta Milano: cocktail sempre curati e preparazioni gastronomiche innovative creano l’atmosfera giusta per passare una serata in compagnia degli amici o del proprio amo-re. Il buffet propone giornalmente freschissimi finger food, barchette e coni gelato alle tre mousse (salmo-ne, tonno e cheese), pizza homemade, conchiglie pri-mavera, gazpacho di maracuja, freschissime tartare di pesce, mini soup, sapori agro-dolci e speziati, cocot-tine mediterranee con salame piccante, polentine a fantasia dello chef. Da non perdere i cocktail Fashion style!, Punk is pink (zucchero, limone, Martini rosato), Shangai (frutta fresca menta e vodka profumata arti-gianalmente con scorza di mandarino), e Martini co-cumber: rivisitazione del tradizionale Martini cocktail con infuso di cetriolo.
Black Diamond CafèVia Felice Casati, 44 angolo Via Vittor Pisani - MilanoTel. 0267100130
Pause fashion styleIn via Vittor Pisani, la strada più newyorkese di tutta Milano, brilla una nuova pietra preziosa: il Black Diamond Café
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di Gualtiero anelliil ristorante
Colore
Profumo
Sapore
Carattere
Viaggio in SardegnaVoyage en Sardaigne
A trip to Sardinia
[email protected] - www.cantinadorgali.com - tel. +39.0784.96143
C ANTINA
Colori, Sapori, Profumi. Il Carattere dell’isola nei vini della Cantina Dorgali.
Foto
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ie e
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fica
di A
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Sull’isola dei nuraghi la natura solitaria sembra un orto abusivo di corbez-zoli, finocchio selvatico, ginepro e mirto. Gli scorci che si intravedono so-no di una sfacciata bellezza e il mare, qui, invita alla meditazione. La cu-cina è pastorale e agricola. Primeggiano le carni alla brace, soprattutto l’agnello, il porceddu e tutti i derivati del latte. I procedimenti di cottura più praticati sono quello allo spiedo e quello a incarralzadu, con l’alimen-to cotto in una buca piena di tizzoni di legno odoroso. La carne è presen-te anche nei sughi che servono per condire la pasta, come i malloreddus, piccoli gnocchi di semola, zafferano e acqua. L’altro primo piatto tipico è la fregula, che ricorda vagamente il cuscus, viene preparata in brodo, ma si serve anche asciutta con abbondante pecorino. La Sardegna ha una produzione casearia molto importante, i formaggi sono conosciuti anche fuori dai suoi confini: il pecorino sardo, la caciotta, il fiore sardo, un for-maggio a pasta cruda, e la ricotta salata che si presta a essere grattugia-ta sulla pasta. Il pecorino si accompagna molto bene con i salumi, in par-ticolare con il prosciutto di cinghiale e il prosciutto di capra o di pecora
La cucina color zafferano
Le Seadas (o Sebadas)Sono uno dei dolci sardi più conosciuti al di fuori dell’isola; considerate un dolce perché cosparse di miele di corbezzolo e zucchero, in origine erano un secondo piatto. Il loro nome ricorda la brillantezza dovuta al miele di corbezzolo.
Ingredienti: farina “00” struttoarance limoneformaggio fiore sardo fil’e ferru (grappa sarda)miele di corbezzolozucchero olio extra vergine di oliva
Preparazione:Mettere in una ciotola il formaggio grattugiato, aggiungere le scorze degli agrumi grattugiate, la grappa fil’e ferru e impastare fino a ottenere un composto morbido. Creare una fontana con la farina sulla spianatoia impastare con acqua calda, e aggiungere poco alla volta lo strutto. Quando la pasta sarà molto elastica farla riposare un’ora circa e stendere una sottile sfoglia ricavando dischi di circa 12 cm. Mettere un cucchiaio dell’impasto, coprire con un altro cilindro, pressare bene perché non rimanga aria all’interno. Friggere i dischi in abbondante olio bollente, scolarli bene. Servire con miele scaldato e cospargerli di zucchero a velo.
Malloreddus alla campidanese
Ingredienti: malloreddusdi salsiccia frescapomodori pelatid’olio extravergine d’olivacipollafoglie di basilico
un pò di zafferanopecorino grattugiatosale
Preparazione:Mettere a rosolare nell’olio la cipolla tagliata e la salsiccia sbriciolata; dopo alcuni minuti aggiungere i pomodori pelati precedentemente passati al setaccio, lo zafferano e il sale; lasciare cuocere il tutto per circa 20 minuti, poi aggiungere le foglie di basilico e terminare la cottura. Nell’acqua bollente salata introdurre i malloreddus, scolarli e versarli in un recipiente grande, per condirli con il sugo. Versare un po’ di formaggio e servirli caldi.
Porceddu allo spiedo
Ingredienti:un maialino (porceddu di 4 kg)sale lardo
Preparazione:Infilzare il porcetto nello spiedo e cuocerlo a una distanza di almeno due metri dal fuoco vivace. Girarlo continuamente per fare in modo che la carne prima rosoli e poi inizi a cuocersi. Durante la cottura ungere la carne con del lardo riscaldato sul fuoco, e salare. Alla fine ricoprire di cenere il braciere e, una volta sfilato dallo spiedo, stendere il porcetto sopra la braci. Servire caldo su un letto di foglie di mirto.
Ci sono posti, in Sardegna, dove si ha l’impressione di poter toccare la Luna. Questa terra è un non luogo, greve di un silenzio assordante, e la sua gastronomia ne rispecchia l’anima solitaria: piatti buoni, curati nell’estetica, con una cottura che richiede attenzione e dedizione
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Il buono a tavola
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di Antonio Romeo
che hanno un gusto più dolce. Persino in pasticceria, il formaggio ha tro-vato una sua collocazione, basta assaggiare le sebadas, tortelli dolci far-citi di formaggio fresco, fritti nell’olio, serviti caldi e ricoperti di miele di corbezzolo oppure le paredulas, dolci ripieni di ricotta aromatizzata con zafferano e scorza di limone grattugiata. Anche se la tradizione culinaria di quest’isola assegna un ruolo importante alla carne, troviamo un’infi-nità di piatti di mare come l’aragosta preparata alla catalana con pomo-doro, sedano, cipolla cruda e basilico, un piatto fresco, colorato, un vero inno alla gioia. Un altro piatto particolare sono le orziadas, cioè le attinie infarinate e fritte, senza dimenticare i ricci di mare da mangiare appena pescati e poi, da servire come antipasto insieme ai pomodori camone, pomodoro tipico sardo, e alla bottarga, uova di muggine o di tonno la-vate con acqua salmastra e lasciate essiccare pressate. Il clima mite favo-risce la coltivazione di molte verdure, tra cui il carciofo spinoso sardo, ot-timo da mangiare in pinzimonio e lo zafferano, ingrediente fondamentale della cucina sarda. Anche il pane si è adattato al territorio: schiacciato senza mollica, facilmente trasportabile dai pastori è il pane carasau, detto anche carta da musica, appunto per la sua consistenza lieve. Il vino ha un legame antichissimo con l’isola. Il rosso più conosciuto è il Cannonau, secondo gli studiosi sarebbe uno dei più antichi, tra i bian-chi il più noto è il Vermentino, un vino che ha il respiro dell’estate e la cui storia millenaria rappresenta un valore aggiunto, a ogni sorso.
Linguine con i ricci di mare Il riccio di mare commestibile è la femmina, riconoscibile dai caratteristici colori che variano dal marrone rossiccio al violaceo. Quando si raccolgono dal fondale marino, la femmina si distingue dal maschio (nero) oltre che dal colore anche dal fatto che si ricopre di conchiglie, sassolini o alghe. Le parti commestibili sono gli spicchi arancione, da disporre a raggiera, che si trovano all’interno dei ricci.
Ingredienti: linguine ricci di mare (10 a persona)2 spicchi d’aglioolio extravergine d’olivavino biancosale, pepe bianco q.b.prezzemolo
Preparazione:Tagliare i ricci di mare e raccogliere con delicatezza le uova in una ciotola. Soffriggere in padella, in abbondante olio bollente, l’aglio tritato privato del germoglio; quando l’aglio sarà appena imbiondito aggiungere qualche cucchiaio di uova di ricci, sfumare con il vino e togliere il dal fuoco. Lasciare raffreddare l’olio; lessare la pasta, scolarla al dente e amalgamare in una zuppiera con l’olio soffritto, e abbondante pepe, le rimanenti uova dei ricci e il prezzemolo tritato. Servire subito.
Fregola con aragosta all’algherese
Ingredienti:semola di grano duro a grana grossazafferanosaleun bicchiere di acqua320 g di linguine
1 aragosta da 1 kg circa1 scalogno1 spicchio di agliovino bianco secco1 piccolo peperone giallo1 rametto di santoreggia1 rametto di timo 2-3 foglie di basilico olio extravergine di oliva sale pepe
Preparazione: Lavare il peperone e asciugarlo; fasciarlo in un foglio d’alluminio e cuocerlo in forno caldo a 220 °C per circa 30 minuti, quindi sbucciarlo, mondarlo e tagliarlo a pezzi. Tagliare a pezzi testa, base delle antenne e zampe dell’aragosta: ricavarne tutta la carne possibile e tenerla da parte, compresa la materia gialla contenuta nella testa e le eventuali uova. In un capace tegame scottare le zampe e la corazza in 3 cucchiai di olio, schiacciandole bene; unire l’aglio e lo scalogno sbucciati e un bicchiere di vino. Lasciare parzialmente evaporare a fuoco alto, aggiungere il peperone, le foglioline di timo e santoreggia; salare e proseguire la cottura, a tegame coperto e abbassando la fiamma al minimo, per circa 20 minuti. Eliminare tutti i frammenti di corazza dell’aragosta, asportarne la polpa e mettere quest’ultima tagliata a tocchetti nel sugo, con le uova e la crema gialla della testa. Aggiungere ancora un paio di cucchiai di olio, una spruzzata di vino e il basilico. Proseguire la cottura a pentola scoperta ancora per 10 minuti a fuoco basso. Lessare nel frattempo la fregola in abbondante acqua bollente salata, scolarla e condirla nella padella con il sugo a fuoco vivace.
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Riflessi di VermentinoLa storia del vino in Sardegna ha radici profonde. Le tracce di un laboratorio enologico, rinvenute nel complesso megalitico Nuraghe Arrubiu, indicano una tradizione che risale all’origine dei tempi e che è andata sviluppandosi grazie alle invasioni di fenici e cretesi, romani, bizantini e spagnoli
Cantina del Vermentino Monti
Fondata nel 1956, oggi conta su 350 soci proprietari e conduttori di vigne tutte ubicate in territorio di Olbia e Monti, piccolo paese tra bassa Gallura e il Logudoro, nell’entroterra della Costa Smeralda. I vigneti di Monti sono impiantati su terreni derivati da disfacimento granitico a quote inferiori a 450 metri sul livello del mare, con sesti d’impianto, forme di allevamento e sistemi di potatura tradizionali e comunque tali da non modificare le caratteristiche proprie delle uve e dei vini. Tra le principali produzioni commercializzate, ovviamente il Vermentino di Gallura Docg (Arakena, Funtanaliras, S’èleme, Aghiloià), ma anche il Cannonau di Sardegna Doc, rossi e rosati Colli del Limbara Igt; spumanti Vigne del Portale e le grappe di Vermentino. Un’ottima occasione per visitarla è la Sagra del Vermentino, da 20 anni organizzata in Cantina la prima domenica di Agosto. Durante la giornata è possibile effettuare visite guidate in stabilimento e assaggiare, oltre che i vini di produzione, anche i prodotti tipici del territorio. www.cantinavermentino.comVigne Surrau
In una struttura completamente rinnovata in senso fortemente contemporaneo, la giovane Cantina (la prima vendemmia è del 2005), nata dalla voglia di recuperare antichi vigneti e ampliare la propria attività della famiglia Demuru, sorge nei pressi di Arzachena, vicinissima al mare. Fortemente votata all’enoturismo, la Cantina organizza all’interno dei suoi spazi non solo degustazioni guidate, ma anche mostre di fotografi e artigiani locali e concerti (di prossima apertura un centro congressi). La produzione della cantina Surrau si orienta per il 60% ai vini bianchi e per il 40% ai rossi; 50 gli ettari di proprietà. Particolarmente interessante il percorso di degustazione che offre abbinamenti che cambiano con le stagioni e che, tra le soluzioni più curiose, propongono ad esempio il Vermentino di Gallura Docg Superiore Sciala con un assaggio di bottarga di muggine di Cabras, ricotta salata e mandorle tostate o fresche, o lo Spumante di Vermentino Brut Metodo Classico proposto con Grana Anglona di pecora. www.vignesurrau.it
Furono gli spagnoli a introdurre in Sardegna al-cune delle cultivar attualmente di maggior pe-so, come il Vermentino, unica Docg sarda (a fronte di 19 Doc e 15 Igt) e che in Gallura ha trovato un habitat favorevole grazie ai terreni di origine granitica. Il Vermentino di Gallura è ot-tenuto dalle uve dell’omonimo vitigno, presen-ti dal 95% al 100%. Di colore giallo paglierino chiaro, con riflessi verdognoli, ha profumo de-licato, lievemente aromatico, mentre il sapore è secco e asciutto, con un leggero retrogusto amarognolo. Fresco e delicato, è ideale con an-tipasti, aperitivi, o pasti leggeri a base di pesce e di verdure. Per scoprire abbinamenti originali e sfiziosi, e soprattutto due ottime cantina dove degustarlo in contesti del tutto speciali, ecco un paio di indirizzi da segnare in agenda per la vo-stra prossima vacanza sarda. G.C.
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Il buono a tavola
Il Miele, una storia di infinita dolcezza
Altamente digeribile, ricco di vitamine e oligoelementi, e dal potere dolcificante superiore a quello dello zucchero da cucina, l’ambrato frutto del lavoro delle api non è solo
un alimento squisito ma è anche espressione diretta del territorio che lo produce, nel totale rispetto dell’ambiente
Nel corso della storia umana, il miele è stato utiliz-zato non solo come dolcificante, ma anche come medicamento. Attualmente la produzione annua di miele è stimata pari a circa 1,4 milioni di tonnel-late (FAO, 2005). A partire dalla meta del secolo scorso sono state dedicate al miele molte miglia-ia di indagini scientifiche, che hanno riguardato la sua origine, le sue proprieta, le tecniche per miglio-rarne la produzione, l’estrazione e la preparazione. La scienza ha in parte dimostrato le virtù curative del miele riportate dagli antichi scrittori, poeti e scienziati. Oggi, il miele, nella sua ampia varieta, è un alimento comune ma anche da intenditori, che trova proficua utilizzazione nei campi industriale, cosmetico e farmaceutico. È il solo prodotto che
porta con se l’aroma dei fiori da cui trae origine e che mantiene inalterata la sua identita rispetto al territorio di produzione anche dopo i processi di la-vorazione. Il miele ha una dolce storia e un presen-te concreto. Su questo magnifico alimento abbia-mo intervistato uno dei massimi esperti nazionali, il professor Ignazio Floris, docente di Apicoltura presso l’Universita di Sassari.
Che il miele si ottenga dalle api lo si impara alle elementari. Ci può spiegare in dettaglio i processi di questa straordinaria produzione?La “storia biologica” del miele parte dalla raccol-ta operata dalle api delle secrezioni zuccherine na-turali come il nettare o la melata, realizzata com-piendo percorsi di volo complessivamente pari a tre circonferenze terrestri per appena un vasetto di mezzo chilo di miele, ottenute con un meticoloso lavoro nell’alveare di elaborazione e immagazzina-mento nei favi di cera. La vera natura del miele è quindi da ricercare nello stretto rapporto simbioti-co tra api e fiori: un rapporto alla base dell’evolu-zione stessa delle piante superiori, che ci rivela il significato profondo dei fiori in natura, come ben spiega Karl Von Frish (premio Nobel nel 1973 per i suoi studi sul linguaggio delle api): “Raramente pensiamo, quando guardiamo un mazzo di fiori, che i suoi bei colori e il suo profumo non sono stati concepiti per i nostri sensi, bensi per gli or-gani sensoriali degli insetti, i quali trovano il loro nutrimento in questi fiori. Mentre suggono il net-tare o il polline, essi pagano, per modo di dire, il loro nutrimento effettuando l’impollinazione. Vo-lando di fiore in fiore, trasmettono, da allevatori inconsapevoli, il polline agli stigmi provocando in tal modo la fecondazione. Le due controparti so-no cosi soddisfatte e si adattano reciprocamente a questi rapporti stretti e costanti. Cio è avvenu-to sulla terra molto tempo prima che l’uomo co-gliesse il primo mazzo di fiori”. Le api raccolgono il nettare e gli altri liquidi zuccherini tramite il loro apparato boccale e li immagazzinano tempora-neamente in una dilatazione dell’esofago deno-minata “borsa melaria” per il trasporto nell’alve-are. Qui, li arricchiscono di enzimi contenuti nei secreti salivari. Poi, giunte nell’alveare, cedono di bocca in bocca (trofallassi) il contenuto della lo-ro borsa melaria ad altre api operaie e iniziano il processo di eliminazione dell’acqua in eccesso, mediante l’esposizione del nettare all’ambiente dell’alveare adeguatamente condizionato dall’at-tivita delle api ventilatrici. Il miele in maturazio-ne viene poi immagazzinato nelle cellette dei fa-vi e, quando raggiunge circa il 20% o meno di umidita, le cellette vengono opercolate con un sigillo di cera che ne impedisce il riassorbimento di acqua dall’ambiente dell’alveare.
Ignazio Floris, docente di Apicoltura presso l’Università di Sassari
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scienza e vitadi Giuseppe pulina
professore di Zootecnia speciale all’università di sassari
Le api lavorano per se stesse, per la colonia. Noi interferiamo su tanto lavoro sottraendo-ne parte con tecniche non distruttive della stessa. Ce le può spiegare? È vero. Un tempo l’estrazione del miele avveni-va per diretta spremitura dei favi costruiti dalle api nei bugni villici, con la conseguente distru-zione, parziale o totale, dei nidi e spesso con l’eliminazione delle stesse api. Oggi, nell’apicol-tura razionale, le colonie di api vengono con-trollate e curate regolarmente, evitando qualsia-si pratica cruenta, grazie all’impiego di arnie a favo mobile. I melari (settori dell’arnia destinati all’immagazzinamento del miele) vengono facil-mente rimossi e trasferiti in appositi locali dove avviene la lavorazione: disopercolazione (aper-tura manuale o meccanica delle cellette dei fa-vi), estrazione mediante centrifuga (smielatura), filtrazione, decantazione e confezionamento; il tutto utilizzando attrezzature in acciaio inox. I favi di cera vengono cosi preservati per essere reimpiegati in successivi cicli produttivi. Il miele non subisce nessun trattamento che ne alteri le caratteristiche originarie. Caratteristiche che lo rendono un prezioso alimento completo, seppu-re a elevato valore energetico.
Eccoci al punto: un prodotto naturale, con ca-ratteristiche speciali. Potrebbe illustrarle? Nel miele sono stati identificati complessivamen-te oltre 300 componenti diversi. La composizione
dipende soprattutto dalle materie prime bottina-te dalle api sulle piante, dalle condizioni ambien-tali e dalle tecniche di produzione. I componenti principali sono i carboidrati, soprattutto fruttosio e glucosio (che insieme rappresentano dall’85 al 95% dei carboidrati totali), responsabili delle caratteristiche fisiche del miele e del suo valore energetico. La percentuale di acqua non supera di norma il 20%, a parte alcune eccezioni. Molti sono gli acidi identificati nel miele: acetico, butir-rico, citrico, formico, gluconico, lattico, malico, ossalico, succinico ed altri. Il pH ha valori oscillanti tra 3,2 e 3,9 ed è condizionato dalla presenza di diversi elementi minerali: potassio, sodio, calcio, magnesio, ferro, rame, manganese, fosforo e sili-cio. In genere, i mieli scuri (es. castagno) sono più ricchi di sostanze minerali di quelli chiari (es. aca-cia). Le proteine sono presenti in quantita molto ridotta (0,2-0,3%) e hanno origine sia dalle ma-terie prime sia dalle stesse api. Ci sono poi gli en-zimi, i quali hanno il ruolo fondamentale di acce-lerare le reazioni biochimiche durante il processo di maturazione del miele, nel quale possono esse-re inoltre presenti anche particelle solide disperse (es. microparticelle di cera). Tra i componenti mi-nori riscontriamo numerose sostanze volatili: aci-di, alcoli, chetoni, aldeidi nonche vari tipi di pig-menti di origine vegetale: carotenoidi, antociani, flavonoidi, xantofille, che conferiscono l’aroma e il colore al miele e sono quindi implicate nella de-finizione delle caratteristiche organolettiche.
I melari (destinati all’immagazzinamento del miele) vengono facilmente rimossi e trasferiti in appositi locali dove avviene la lavorazione del prodotto
Volando di fiore in fiore, le api trasmettono il polline agli stigmi provocando la fecondazione.Cio avviene sulla terra da molto prima che l’uomo cogliesse il primo mazzo di fiori
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Una composizione complessa, molto di più del semplice nettare originario, frutto di una intensa opera di trasformazione biologica compiuta dall’insetto. Quali sono gli aspetti nutrizionali ed eventualmente benefici per la salute del miele?Dal punto di vista nutrizionale, si presenta altamen-te digeribile e fornisce un immediato apporto calo-rico, che lo rende particolarmente idoneo alla dieta di sportivi, giovani in fase di crescita e anziani, an-che grazie alla presenza di vitamine e oligoelementi. Il suo potere dolcificante è inoltre superiore a quello del saccarosio (zucchero di cucina), per la generale prevalenza del fruttosio, che consente, a livello die-tetico, di realizzare un risparmio energetico. Sotto il profilo terapeutico, al miele so-no state attribuite molte proprieta benefiche, ma dal punto di vista clinico, resta il problema del suo impiego farmacologico non fa-cilmente standardizzabile. In generale, è sufficientemen-te documentata l’attivita antibatterica del miele, le-gata all’acqua ossigenata e ad altre caratteristiche co-me l’effetto osmotico, dovu-to alla concentrazione di zuc-cheri che, in associazione con l’acidita, blocca l’attivita di even-tuali microrganismi patogeni. Anche alcune sostanze naturali presenti nel miele concorrono all’attivita antibatterica, ad esempio le sostanze fenoliche. Tuttavia, pur espli-cando una buona azione antimicrobica, il miele non è esente dall’attacco di particolari microrga-nismi come alcune specie di lieviti che tollerano alte concentrazioni zuccherine, rendendolo su-scettibile alla fermentazione, la quale si puo evita-re solo conservando il miele in condizioni ottimali (luogo fresco o refrigerato).
Esistono molte varietà di miele, di solito lega-te alla o alle specie botaniche bottinate. Vi è un rapporto con la sua qualità? Per comprendere la qualita del miele, occorre co-noscere anche la sua diversificazione botanica e geografica, alla base della classificazione com-merciale. In questo caso, l’elemento fondamen-tale è il polline (nel caso del miele di melata, le spore e le ife). Ogni specie di pianta ha, infat-ti, un polline caratteristico e morfologicamente distinguibile da quello delle altre specie. Le api, bottinando i fiori per il nettare, assumono anche granuli pollinici della stessa pianta, che persistono nel nettare dopo il trasporto e l’elaborazione del
miele. Su questo presupposto è possibile, mediante un’ana-
lisi microscopica (melissopalino-logica), l’identificazione dell’origi-
ne botanica e geografica del miele e la distinzione dei mieli uniflorali, cioè
a prevalente composizione di nettare di una solo specie, dai multiflorali o millefiori, nonche la caratterizzazione dell’origine geografica (es. mie-le italiano, miele argentino, miele cinese, etc.).Al mondo esistono molte tipologie di miele in re-lazione alle differenti possibili sorgenti botaniche visitate dalle api. L’Italia vanta un’ampia diversi-ficazione qualitativa con alcune decine di mieli uniflorali, per 18 di questi esiste una scheda ti-pologica di riferimento, definita a livello ministe-riale (I mieli uniflorali italiani, MIPAF, 2000): aca-cia (Robinia pseudoacacia), agrumi (Citrus spp.), cardo (Carduus spp., Galactites sp., Cirsium spp.), castagno (Castanea sativa) corbezzolo (Arbu-tus unedo, rinomato per il sapore spiccatamen-te amaro), erba medica (Medicago sativa), erica (Erica spp.), eucalipto (Eucalyptus spp.), girasole (Helianthus annuus), nespolo (Eryobotrtrya japo-nica), rododendro (Rhododendron spp.), rosmari-no (Rosmarinus officinalis), sulla (Hedysarum co-ronarium), tarassaco (Taraxacum officinale) tiglio (Tilia spp.), timo (Thymus spp.), melata di abete (Abies alba e Picea excelsa), melata di Metcalfa (Metcalfa pruinosa).
Il miele porta con se l’aroma dei
fiori da cui trae origine e mantiene inalterata la sua identita rispetto al territorio di produzione
anche dopo la lavorazione
Per approfondire
Bogdanov S., (2011)“The wonders of the Bee Exagon: The bee products” www.bee-hexagon.net.
Crane, E. (1975) “History of honey, In Crane, E (ed.) Honey, a comprehensive survey”, William Heinemann; London; pp 439-488.
Crane, E. (1999) “The world history of beekeeping and honey hunting”, Gerald Duckworth & Co Ltd London
Jones, R. (2001) “Honey and healing through the ages”, in Munn, P., Jones, R. (Eds.) Honey and healing, IBRA, Cardiff, UK, pp. 1-4
Ransome, H.M., (1937) “The sacred bee in ancient times and folklore”, George Allen and Unwin, London
Oggi le colonie di api vengono controllate regolarmente, evitando qualsiasi pratica cruenta, grazie all’impiego di arnie a favo mobile
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scienza e vita
Il Sole Il 1° sorge alle 06.35 e tramonta alle 17.50L’11 sorge alle 06.18 e tramonta alle 18.02Il 21 sorge alle 06.01 e tramonta alle 18.14
Il 1° marzo si hanno 11 ore e 15 minuti di luce solare – mentre il 31 se ne hanno 12 ore e 41 minuti. Si guadagnano 1 ora e 26 minuti di luce solare.
La Luna Il 1° tramontaalle 01.23 e sorge alle 10.52l’11 tramonta alle 07.38 e sorge alle 22.11Il 21 sorge alle 05.05 e tramonta alle 17.24
La Luna è al Perigeo sabato 10 alle ore 11. È all’Apogeo lunedì 26 alle ore 08.
Luna in viaggioIn questo mese i giorni favoriti dalla Luna per gli spostamenti sono: 13, 14, 18, 19.
Da ricordareGiovedì 8 marzo Festa della donnaMimosa o non mimosa, questione su cui ogni anno si con-frontano pareri diversi, la festa della donna è sempre occa-sione di dibattiti sulla condizione femminile. Le origini della ricorrenza conducono al 1908, quando a New York le ope-raie dell’industria tessile Cotton iniziarono uno sciopero per protestare contro le terribili condizioni di lavoro. E proprio l’8 marzo il proprietario bloccò le porte della fabbrica e ap-piccò il fuoco, causando la morte di 129 operaie. Fu Rosa Luxemburg a proporre la data del terribile evento come giornata internazionale delle donne.
Lunedì 19 marzo San Giuseppe, Festa del papàVengono dai Vangeli di Matteo e Luca le notizie sulla vita di San Giuseppe, falegname di Nazareth. Già sposato e padre di cinque figli, fu scelto come fidanzato della Vergine Maria che sposò dopo la nascita di Gesù. Esempio straordinario di amore per la famiglia, è festeggiato come protettore dei papà. Il nome ebraico Yôseph era già molto diffuso nell’an-tica Israele. Grecizzato in Iósepos, significava “possa Dio aggiungere”, sottinteso “altri figli”. Tradizionalmente il no-me si dava ai primogeniti.
Mercoledì 21 marzoPrimaveraAstronomicamente parlando la nuova stagione prende av-vio con l’equinozio, giorno in cui notte e dì hanno uguale durata. E un tempo l’arrivo della bella stagione coincideva pure con il giorno dedicato a San Benedetto, patrono d’Eu-ropa. “Per San Benedetto la rondine sotto il tetto” ci ricorda uno dei più noti proverbi italiani, ma oggi non è più così, perché l’amato Santo si celebra l’11 luglio. Questo non im-pedisce però alla città di Norcia, dove il fondatore dell’Ordi-ne benedettino è nato, di dedicargli il 20 e il 21 marzo un ricco programma di celebrazioni fra tradizione e cultura.
Domenica 25 marzo Ora legale estivaA un balzo dall’atteso arrivo della Primavera, la strada verso la bella stagione, con le giornate che si allungano e tante ore di luce che ci danno nuove energie, arriva anche il cam-bio d’orario. E allora teniamo bene a mente che domenica 25, alle ore 2, le lancette dei nostri orologi dovranno essere spostate alle 3. Si dormirà un’ora di meno, ma avremo un’ora di luce in più. E sarà così fino al ripristino dell’ora so-lare, detta anche ora legale invernale, che tornerà domeni-ca 28 ottobre.
Filastrocche e proverbi abbondano sulla primavera, periodo dell’anno che più di ogni altro ha in sé la voglia e la forza della rinascita. Un momento speciale che rimette in moto la natura, che ci chiede di raccogliere i frutti di quanto seminato, ma soprattutto di guardare avanti, con le giornate che si allungano e il vento che spazza via le nuvole
Sole e luna
La stagione dei fiori
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almanacco di barbanera di M. Pia Fanciulli
Saggezza popolare
Persino William Shakespeare, in Romeo e Giulietta, fa entrare in scena il rosmarino in uno dei momenti salienti del noto dramma. Immancabile aroma in cucina, questo arbusto sempreverde è una presenza familiare negli orti, nei giardini e anche sul terrazzo dove si può coltivare con estrema facilità. Pianta rustica e forte della macchia mediterranea, si trapianta tra febbraio e marzo insieme ad altre aromatiche quali salvia, maggiorana e timo, facendosi dare una mano dalla fase di Luna crescente. Si può coltivare facilmente anche in vaso, l’importante sarà collocare la piantina in un contenitore profondo almeno 50 cm riempito con terriccio standard, da sistemare poi in un punto riparato ed esposto al sole. Nell’orto invece la Luna crescente ci chiede di seminare in semenzaio cetrioli, melanzane, peperoni, peperoncini, pomodoro, meloni, timo. In piena terra mettere invece il lattughino da taglio e le fave. Trapiantare le aromatiche, ma anche l’asparago bianco e verde, le carote nelle varietà tardive, i piselli. Raccogliere la valerianella. In calante seminare in semenzaio basilico, lattuga, maggiorana e sedano. All’aperto cavolo cappuccio primaverile ed estivo, bietola da orto e rapa. Trapiantare cipolla e aglio. E nel giardino? Seminare in crescente, in coltura protetta, i ciclamini. Seminare all’aperto le specie annuali, tra cui calendula, papavero e iberide. Piantare i bulbi a fioritura estiva-autunnale, ad esempio ciclamini e amarillis. Iniziare la semina dei tappeti erbosi. Terminare in fase calante le potature degli alberi e degli arbusti spoglianti. Infine preparare il terreno per la messa a dimora di nuove piantine e rinvasare le piante da interno, le fucsie e le ortensie.
Con i giusti ingredienti si possono preparare creme idratanti in casa che regalano una sferzata di energia, si adattano a ogni tipo di pel-le e non hanno controindicazioni. Si ottengono miscelando ad esempio yogurt, avena e miele, e si arricchiscono con oli essenziali. Vanno preparate al momento e conservate in frigo per 1 o 2 gior-ni, non di più. Ecco una ricetta per la pelle secca: mescolate 2 cuc-chiai di farina di avena, uno di miele e uno di panna fresca. Aggiun-gete qualche cucchiaio di acqua di rose fino a ottenere una crema morbida e spalmabile. Unite infine gli oli essenziali: 3 gocce di aran-cio dolce, 2 di lavanda e 2 di rosa damascena. A marzo è importante depurare l’organismo dalle scorie dell’inver-no mangiando verdure fresche amare, germogli e yogurt con fer-menti lattici vivi. Farà anche bene, bevuta nel periodo di Luna ca-lante, una tisana di cicoria (stimola lo stomaco, facilita la digestione e abbassa il tasso glicemico), specie se selvatica: le sue radici sono infatti eccellenti depurativi del sangue e dunque preziose per pre-venire anche arteriosclerosi, artrite, affezioni di fegato e reni. Sempre in movimento: si dice che i bambini non sentono la stan-chezza, o talvolta non ne parlano per evitare letto o ricostituenti. Ma l’ostacolo, soprattutto nei momenti del cambio di stagione, si può aggirare ricorrendo alla pappa reale, l’alimento delle api regi-ne, ricco di zuccheri, grassi, proteine, vitamine e minerali. È una so-stanza rivitalizzante, immunostimolante, energetica ed euforizzan-te. Potranno così ritemprare le forze recuperando pure entusiasmo e appetito. In più favorisce la memoria e li aiuta nello studio.
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Belli e sani
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Orti e dintorni
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luna piena luna nuova
ultimo quartoprimo quarto
• Nei mesi errati non sedere nei prati.
• Marzo un sole e un guazzo.
• Eucalipto, liquirizia e viola fan guarire il mal di gola.
• San Giuseppe (19 marzo) antico: torna la rondine e migra il beccafico.
• La pace tra suocera e nuora dura quanto la neve marzaiola.
• Se le gemme fan cucù, l’inverno non si teme più.
• Basta una stella per far sera, basta un’ape per far primavera.
• Per l’Annunziata (26 marzo) la rondine è ritornata.
• Marzo ventoso, frutteto generoso.
• Due ceppi nel cortile: uno per marzo e uno per aprile.
Saggezza popolare
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Crudo in insalata, o cotto ai ferri, fritto, stufato, nei risotti: ottimo in
ogni preparazione, il radicchio ha nel Veneto la sua terra d’elezione
Rosso e croccante, con una punta di amarognolo che porta in sé il rigore dell’inverno ma anticipa sapori, e profumi della bella stagione. Può essere di Treviso, di Verona, di Chioggia: tutte varietà a marchio Igp
Oggi non manca mai dalle tavole più ricercate, ma per molto tempo il radicchio è stato il cibo povero delle campagne: poco più che selvatico, rosso e amarogno-lo, lo si raccoglieva nei campi. Ortaggio originario dell’Italia settentrionale, e precisamente del Veneto, è una varietà di cicoria rossa, Cichorium intybus, che si cominciò a coltivare dal XVI secolo. Poi nel tempo se ne è affinata sempre di più la produzione – dall’area vene-ta raggiunge il mondo intero –, ma è solo dopo la me-tà dell’Ottocento che le piante, sottoposte alla tecnica della forzatura e dell’imbianchimento, sono giunte a essere il prodotto oggi tanto amato noto come radic-chio rosso della Marca Trevigiana. Sembra che la tecni-ca colturale utilizzata derivi da quella utilizzata per l’in-salata belga e giunta da noi grazie al fiammingo Van
den Borre, creatore di giardini, che negli anni tra il 1860 e il 1870 fu chiamato a villa Palazzi, vicino Treviso, per realizzare un giardino all’inglese. La pianta invece da cui il bellissimo fiore rosso dell’inverno deriva, la più comu-ne cicoria, si trova ovunque nei luoghi erbosi e incolti dell’area euroasiatica e leggenda vuole sia stata scoper-ta da Adamo nel Paradiso Terrestre. Forse un’esagera-zione, ma l’utilizzazione da parte dell’uomo della specie spontanea risale davvero alla notte dei tempi. Anche Plinio il Vecchio cita nella sua Naturalis Historia la lattu-ga veneta sottolineandone le efficaci qualità depurati-ve. In antichità veniva usata anche come medicamento, specialmente per curare l’insonnia. Tornando a oggi, e all’area veneta, suo luogo d’elezione, sembra proprio che solo in questa terra esistano le condizioni ideali per
Radicchio, il fiore rosso dell’orto
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orto dei semplici di M. Pia Fanciulli
Coltiviamoli cosìLa cassetta e il terriccioI vasi, meglio se di forma rettangolare, lunghi almeno un metro e profondi 25 cm, vanno riempiti con un terreno a medio impasto in cui i vari elementi, dalla sabbia all’argilla, dalla torba alla ghiaia, devono esser presenti in maniera da assicurare un substrato soffice e drenato.
La semina Il radicchio, Cichorium intybus, si semina tutto l’anno, preferendo i giorni di luna calante. Interrare i semi ad una distanza di 5 cm e ad profondità di 1 –1,5 cm. Importante non fargli mancare l’acqua nelle semine estive, mentre si possono diradare le annaffiature dalla metà di
ottobre, quando comincia a piovere con una certa regolarità. Quando le piante cominciano ad avere 3 o 4 foglie si procede con il diradamento. Raggiunto un diametro di circa 30 cm, si procede all’operazione dell’imbianchimento che può essere fatto legando la pianta con filo di rafia o posandovi sopra una campana.
Punti deboliIn genere il radicchio soffre di marciumi e muffe. Se non si vogliono impiegare fungicidi occorre evitare l’irrigazione con acque fredde. I parassiti animali sono invece le chiocciole che si nutrono delle foglie, da grillotalpa e larve di maggiolini che danneggiano le radici. Se attaccato dagli afidi, utilizzare piretrine naturali o soluzioni di acqua e aglio tritato.
Buono a sapersiPer quanto la cicoria si adatti bene a qualsiasi clima, la temperatura ideale per la sua crescita e 15-18°C. Ideali invece sono le consociazioni con altri ortaggi come carote, fagioli rampicanti, lattuga, finocchi, pomodori e ravanelli.
Raccolta e conservazione Tagliare i cespi di radicchio, a scalare, 60 - 90 giorni dopo la semina. La varietà precoce verso la metà di settembre, quella tardiva da metà novembre alla metà di dicembre. Si può utilizzare un coltello o una roncola. Si possono lasciare le radici al loro posto per una nuova fase vegetativa. Come tutte le insalate vanno consumate fresche. Comunque si mantiene per una settimana se messo in frigorifero avvolto in un panno umido o all’interno di un sacchetto di carta bucherellato.
la sua produzione. Tentata infatti diverse volte già dal secolo scorso, in varie parti d’Italia e d’Europa, la colti-vazione non ha però mai avuto successo. Preziosissimo in cucina, dove è sempre più protagonista di piatti di una tradizione ritrovata o di nuovi e insoliti accosta-menti, dal punto di vista nutrizionale il radicchio con-tiene però meno minerali della cicoria classica. E per chi volesse farne una piccola coltivazione nell’orto di casa o sul balcone, lo si può coltivare in tutti i mesi dell’anno, ma si raccoglie soprattutto in autunno-in-verno. Ne esistono varietà precoci e tardive.
Quando si dice bello e buonoSegni particolari: rosso e croccante. Con una pun-ta di amarognolo che porta in sé il rigore dell’in-
verno. In realtà esistono più varietà di radicchio, che comprendono il Rosso di Treviso (precoce e tardivo), il Rosso di Verona ed il Rosso di Chioggia, tutte insignite del marchio Igp, ovvero Indicazione geografica protetta. Quanto al radicchio di Treviso, la varietà precoce è in vendita già alla fine di set-tembre, ha grossi cespi allungati, con foglie rosse larghe e una lunga costola centrale bianca. Ottimo per preparazioni ai ferri. La varietà tardiva invece, detta anche Spadone trevigiano, si trova da metà novembre. Più fragrante e gustosa, ha cespi for-mati da germogli compatti e uniformi, le foglie strette e la costola dorsale completamente bianca. Si può mangiare crudo in insalata, o cotto ai ferri, fritto, stufato, nei risotti.
Generose DalieCon l’arrivo della primavera, oltre all’orto pure il giardino chiede le sue attenzioni. Anche perché, se vogliamo godere di belle fioriture di qui ai mesi successivi, è tempo di impiantare bulbi e tuberi a fioritura estiva, come ad esempio le dalie. In questo caso la prima operazione da compiere è quella di interrare concime organico o compost ben maturo poiché queste specie, che prediligono terreni freschi e fertili, temono la sostanza organica fresca. Importante anche scegliere bulbi ben conformati e sani. Per ogni tipo sarebbe tra l’altro utile optare per varietà dello stesso colore sia per godere di un piacevole effetto cromatico sia per semplificare le operazioni di estrazione e conservazione. Un piccolo consiglio. Se si amano in particolare le dalie, germoglieranno meglio se avranno sul tubero un pezzetto di stelo vecchio.
Giovanni ParrellaDiplomato all’istituto alberghiero luigi dei Medici di Cicciano (na), per 10 anni lavora nelle cucine di molti importanti ristoranti. nel 2001 apre a istanbul il primo ristorante italiano di una lunga serie (4 in 3 anni). nel 2005 si trasferisce a Mumbai per far parte del team Hyatt regency Mumbai e aprire il nuovo ristorante, italiano Stax. attualmente lavora nella capitale cinese presso il Grand Hyatt Beijing.
Crudo di tonno, insalatina di finocchi, capperi e agrumi
Ingredienti400 gr di tonno fresco20 gr di capperidissalati1 ciuffetto di germogli freschi20 gr di pinoli tostati40 ml succo di limone30 gr di succo di arancia1 finocchio1 aranciaolio d’oliva extraverginesale e pepe q.b.
Procedimento: Tagliate il tonno a fetti-ne, poi a strisce, quindi a dadi piccoli. Tritate a col-tello i pinoli con i capperi e le olive, uniteli al ton-no, aggiungete i germo-gli e aggiustate di sale e pepe. Condite la tarta-ra con succo di limone, arancio e olio extraver-gine di oliva, poi lascia-tela 10 minuti in frigori-fero quindi servitela con dell’insalata di finocchi affettati e arance pelate a vivo il tutto condito un filo di olio extravergine.
valter GoSattiexecutive Chef, nato ad aosta nel 1962, ha iniziato l’attività nel ristorante di famiglia. Dopo aver completato gli studi è stato assunto come cuoco al Grand Hotel Billia, stabilimento a cinque stelle attiguo al Casinò di Saint vincent. Ha lavorato in Svizzera, Spagna e Cipro. nel 1995 Chef valter lavora a Singapore, in Malaysia, thailandia, Mongolia e in Cina, dove è stato premiato nel 2010 con un diploma di Master Chef cinese, e nel 2011 con un italiani master Chef certificato academia Barilla.
Fideo semplice ed eccellente
Ingredienti:1 aragosta da 400gr 200 gr di vongole200 gr di cozze150 gr di calamari150 gr di branzino sfilettato 150 gr di merluzzo100 gr di gamberiZuppa d’astice q.b.100 gr di spaghetti uno spruzzo di vino bianco3 spicchi d’aglio50 gr di brandy prezzemolo per decorazione150 gr olio d’olivasale e pepe nero spaccato s.q.
Procedimento: Spezzettate gli spaghetti fino a ri-durli alla lunghezza di circa 2 cm, metteteli in un padellino senza al-cun soffritto e cuoceteli aggiun-gendo poco alla volta la bisque di aragosta come per cuocere il risot-to, fino a cottura ultimata, senza lasciarli troppo asciutti; deve esse-re più una zuppetta.Nel frattempo aprite le vongole e le cozze in una padella con l’ag-giunta di uno spicchio d’aglio e un po’ di olio d’oliva; quando sa-ranno aperte conservatele al caldo nella loro acqua di cottura.A parte, in una larga padella, far cuocere il resto dei pesci in un soffritto di aglio e olio d’oliva, la polpa dell’aragosta, i calamari, il branzino sfilettato, il merluzzo a cubetti, e infine i gamberetti; sa-le a gusto, irrorare di brandy e vino bianco. A cottura ultimata aggiungere un po’ di bisque di aragosta e tenere in caldo.Quando gli spaghetti son cotti, aggiungete i cubetti di cod fish e i calamari, disporre il tutto in una padella bella da presentare a tavo-la, decorare con l’aragosta, i filetti di branzino, i gamberi, le cozze e le vongole, e concludere con un tocco di prezzemolo e un pizzico di pepe nero spaccato.
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di GianluiGi PaGanochef italiani nel mondo
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DaviDe Carèla sua prima esperienza in un ristorante storico è stata al Cambio di torino. a Berlino è stato Sous Chef presso l’enoteca reale (con la guida di Cristiano rienzner) dove è stato iniziato alla cucina molecolare. nel 2004 a lussemburgo è Chef di Cucina. Si è poi trasferito a Singapore, per collaborare con il ristorante Garibaldi. a Shanghai ha lavorato per il gruppo Gaia come executive Chef nel ristorante va Bene; oggi è executive Chef del ristorante tavola sul Bund di Shanghai.
Filetto di Angus con salsa al cioccolato 70% e Rhum
Ingredienti:180 gr filetto di Angus100 gr di patate americaneTimo fresco, rosmarino e maggiorana q.b.30 gr di Cioccolato Amedei 70%10 ml di Rhum 100 ml di fondo di vitello 100 gr di funghi porcini freschi (solo le teste)1/3 di bacca di vaniglia del MadagascarCacao in polvere
Preparazione:Pelare le patate e tagliarle a 0,5 cm di spessore. Bollirle per 3’ in acqua salata, asciugarle con un foglio di carta assorbente. Frig-gerle in olio di soia a 180°C. Spadellare i porcini per 1,5’ e aggiungere vaniglia e maggio-rana. Fare una riduzione del fondo di vitello e aggiungere cioccolato, Rhum e rosmarino. Grigliare il filetto di manzo e creare un ventaglio con le fette di patate e porcini al centro del piatto. Versare due cucchiai di salsa al cioccolato a adagiare il filetto nel centro del piatto. De-corare con carote a julienne frit-te e cacao in semi o in polvere.
niColino lallaabruzzese, frequenta l’istituto alberghiero di villa Santa Maria e fa importanti esperienze stagionali tra Porto Cervo, St. Moritz e londra. a Philadelpia è Chef Consultant. Successivamente va a Bangkok come executive Chef per l’avviamento di un ristorante con cucina internazionale, e quindi a Phuket per l’apertura di un resort di lusso che entrata nella top five dei migliori del Sud est asiatico. attualmente lavora al Portofino e a le Meridien Beach resort di Phuket.
Millefoglie di crema di salmone e caprino con pane croccante,
frutto del cappero, caviale, pepe rosa e foglia d’oro
Ingredienti per 2 persone:
Per la mousse di caprino e salmone:160 gr di salmone affumicato 80 gr di formaggio caprino fresco 80 gr di mascarpone 5 gr di succo di limone 20 gr di panna da cucinasale, pepe nero e prezzemolo tritato q.b.Per il dressing al pepe rosa:1 gr di pepe rosa 40 gr di burro chiarificato1 gr di prezzemolo tritato
Preparazione:Unite tutti gli ingredienti per la mousse in un mixer fino a quando non diventa un com-posto omogeneo e cremoso. Mettete la mousse in un sac-co a poche. Affettate il pane e tostatelo in forno.Preparate il dressing unendo pepe rosa, burro chiarificato e prezzemolo tritato.Affettate della cipolla rossa ad anelli.
Composizione: Alternate uno strato di pane e uno di mousse. Guarnite l’ul-timo strato di pane con una rosa di salmone affumicato, il frutto del cappero, un anel-lo di cipolla rossa, una foglia d’oro e un rametto di aneto. Poggiate intorno al piatto 5 anelli di cipolla rossa; aggiun-gete del caviale, i pomodori secchi, il frutto del cappero e l’aneto. Cospargete il piatto con il dressing al pepe rosa.
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92 Emozioni di viaggio: PantelleriaL’isola in cui nessuno è straniero. Qui anche Carole Bouquet ha trovato una casa. E un vino
96 L’ArgentarioL’arcipelago che vuol rinascere dopo il dramma del naufragio della nave Costa Concordia
100L’Italia in mostra: TriesteL’eleganza abbagliante della città friulana impreziosita dal “fuoco della natura”
da pag. 104Rubriche• Camera con vista• Week-end nel verde• Città in 24 ore, Taranto• Città in 24 ore, Bruxelles• L’arte dell’accoglienza
in Viaggio
A metà strada tra l’Africa e la Luna
A Pantelleria nessuno è straniero. Non lo erano i fenici ieri e non lo sono
gli arabi oggi; come anche i greci, e gli italiani, le cui strade qui si incontrano e si fondono. Quest’antica vocazione
al melting pot trova spazio anche in tavola dove il pesce è il piatto
principale, miele e spezie caratterizzano i dolci e Zibibbo, Moscato e
Passito riempiono i calici
di Luca Campana
Che cosa dire di Pantelleria che non sia già stato
detto o scritto? Difficile trovare le parole per de-
scrivere quest’isola vulcanica, scaturita da un
turbolento fondale marino nel bel mezzo del
Canale di Sicilia, più vicino alle coste africane della
Tunisia che a quelle della Trinacria, plasmata nei mil-
lenni dal vento e dalle piogge. Per il Nobel colombia-
no Gabriel García Marquez non esiste al mondo “un
luogo più adatto per pensare alla Luna. Ma Pantelle-
ria è più bella. Le pianure interminabili di roccia vul-
canica, il mare immobile, la casa dipinta di calce fino
agli scalini dalle cui finestre si vedono nelle notti sen-
za vento i fasci luminosi dei fari africani”. Abitata
Sicilia
Pantelleria
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emozionidiviaggio
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“Le pianure interminabili di roccia vulcanica, il mare immobile, la casa dipinta di calce fino agli scalini dalle cui finestre si vedono nelle notti senza vento i fasci luminosi dei fari africani”. (Gabriel García Marquez)
In apertura: le splendide coste di Pantelleria. In questa pagina alcuni dei suoi simboli segnalatici da Francesco Pilli, milanese e “pantesco” acquisito: un tipico dammuso, il pesce del quale le acque (e le tavole) sono ricche e i capperi Igp
dall’uomo fin dal neolitico – 5.000 anni fa – Pantel-
leria è da sempre crocevia di traffici, di culture e di
gusti: saperi e sapori che si sono mescolati, stratifican-
dosi, nei secoli, dando vita oggi a quello straordinario
e indistricabile unicum mediterraneo che solo da poco
siamo riusciti a valorizzare nella sua complessità e
nella sua infinita varietà di sfumature linguistiche, ga-
stronomiche, musicali. Per chi vive ai margini di quel
grande lago salato che è il Mare Mediterraneo – No-
strum per il latini, nel senso più stretto e domestico
di “Mare di casa” – è difficile accettare che una delle
categorie più innovative della modernità, la fusion, il
mix culturale o, per dirla all’americana, il melting pot,
in luoghi come Pantelleria sia di casa da sempre. Ter-
re di confine in cui nessuno si sente straniero e tutti
si sentono a casa. L’arabo come, prima di lui, il fenicio.
L’italico come il greco. Questa multiculturalità – una
fusion talmente vera e antica da diventare tradizione
– è uno dei tratti distintivi di quest’isola che a tavola
come nei toponimi delle antiche Contrade contadine
– Khamma, Rekhale, Gadir, Bukkuram, Bugeber –
conserva viva, diremmo quasi perpetua, la me-
moria del periodo di dominazione araba.
E così sulla tavola pantesca troviamo
mirabili rielaborazioni di questa cul-
tura di mare e di terra, in cui a farla
da padrone – ça va sans dire – è il pesce mentre la
carne, non del tutto assente, quasi in omaggio alla cu-
cina semitica, non prevede il maiale, preferendogli,
come accade in altre realtà isolane, il coniglio selva-
tico. Tra i primi a base di pesce, le paste col sugo di
granchio, di ricci, di patelle, di polipo, di aragosta, di
scampi o ancora col sugo di cernia; e poi i ravioli ama-
ri, delicati, ripieni di ricotta locale e menta magari
conditi con il pesto pantesco, un condimento a base
di pomodoro crudo, olio d’oliva, basilico locale e ori-
gano di Pantelleria, aglio e peperoncino, usato sia per
condire le paste sia i pesci arrostiti o le carni lessate;
o ancora, il couscous di pesce, accompagnato da un
misto di verdure e legumi e in genere servito come
piatto unico, senza dimenticare la saporitissima zup-
pa di lenticchie di Pantelleria. Tra i secondi, come
detto, prevale il pesce: ricciole, cernie, pesce spada,
dentici, saraghi, murene cucinati in modo semplice
sulla griglia, al forno o in deliziose zuppe come nel
caso della zuppa di pesce rosso cipolla; e poi i ricci,
le patelle, con le quali si prepara un’ottima salsa, e i
migroci, particolari granchi della scogliera; i gustosis-
Carole Bouquet:«Il mio passito assomiglia a questa terra. E a me»Quando penso alla passione, all’entusiasmo e al trasporto, inevitabilmente mi viene alla mente Carole Bouquet. Un’attrice di straordinario charme e talento, un’artista dai mille volti, solare e misteriosa allo stesso tempo, una donna francese di origine ma, di fatto, apolide, che proprio a Pantelleria ha trovato la sua “terra speciale”. E Carole, con il suo ardore, riesce a incarnarne perfettamente le magiche e profonde atmosfere.
Carole, cos’ha di così speciale Pantelleria? «È un sogno dove ho messo le mie radici. Un posto lontano che è un’invenzione di se stessi. Sembra arida, difficile, violenta, affascinante, paradossale perché produce delle cose di una bontà e dolcezza straordinaria. Sono a casa, nel cuore della nostra cultura, quella mediterranea».
Da dove nasce la sua passione per l’agricoltura?«È un amore nato, prima ancora che per l’agricoltura, per quest’isola, per la luce di questo posto. È stato sempre il mio sogno mentale, una casa, una campagna con profumi speciali, ricordi, e qui a Pantelleria ho scoperto il piacere di camminare nella mia terra, di parlare con Nunzio al quale dovrei fare una statua per tutto quello che riusciamo a dirci, per la forza e la saggezza che a volte mi mancano e che lui riesce a trasmettermi».
Perché si è messa a coltivare proprio la vite e produrre il vino e non altro?«In realtà, quando ho comprato a Pantelleria il primo ettaro e poi il secondo e così via, non pensavo di mettermi a produrre vino. Il mio intento era solo sistemare il posto, mantenerlo curato e fare i capperi. Soltanto dopo ho pensato di fare il vino, ma ho deciso che non sarebbe stato un vino qualunque. Mi sono prefissata di fare un vino con un’anima, che assomiglia alla terra e a chi lo fa».
Anche il nome che ha scelto è straordinario: Sangue d’Oro. Come le è venuto? «Mi è venuto subito, in un secondo, sia in italiano che in francese. Contro tutto e tutti coloro che mi dicevano che è difficile fare il vino, mi sono detta che tutto si può imparare. E allora sono andata a cercare un enologo geniale, Donato Lanati. Mi dicevano che non avrebbe mai lavorato per me e invece, ho preso il telefono, l’ho chiamato e lui mi ha detto “Certo che l’aiuto”».
E alla fine è riuscita a produrre un Passito di qualità. Qual è il suo segreto? «Ha un grande equilibrio tra l’acidità e lo zucchero. Ma è soprattutto un passito che appartiene a Pantelleria, che ha i suoi profumi e il suo carattere. E, come desideravo, assomiglia alla persona che lo produce. È un vino che si fa bere sorso dopo sorso, e fa andare oltre la bottiglia. Non è troppo dolce e accompagna felicemente gli antipasti e i formaggi. Ma parlarne non serve, bisogna assaggiarlo».
Domenico Marasco
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simi polipetti e le seppie in umido o impanate, senza
dimenticare le ostriche e le aragoste. Saporitissimi
sono, infine, i conigli selvatici, presenti in abbondan-
za a Pantelleria, spesso cucinati al forno con le patate.
E poi ancora le fantasiose insalate pantesche, condite
con olio extra-vergine di oliva, pomodori dell’isola,
patate bollite, uova sode, pezzetti di sardina o di pe-
sce salato e secco, il pesce sciutto, olive, tumma – un
formaggio fresco locale – origano e gli immancabili
capperi che danno un tocco speciale a tutta la cucina
locale. Tra i dolci i baci, ripieni di ricotta; la mustaz-
zola, una sfoglia condita con un ripieno di semola,
miele o vino cotto, scorzette di arancia candita, can-
nella e altre spezie; i ravioli dolci, con ricotta zucche-
rata e cannella; gli sfinci, una specie di frittelle rico-
perte di miele; i cassateddri e i pasticciotti; il
cannateddro, il tradizionale dolce pasquale. Per quan-
to riguarda i vini dire Pantelleria significa dire Zibib-
bo, Moscato e il notissimo Passito.
A sinistra, dall’alto, un delicato fiore di cappero e una distesa di mustazzola, sfoglia condita e ripiena. Qui sotto, un tipico dammuso in pietra con tetto a cupola, di tradizione fenicia reinterpretata nei secoli e arrivata fino a oggi in abbinamento al “giardino pantesco” che protegge le colture al suo interno dalle intemperie
Tradizione sotto saleErano mani rovinate dalla terra, mani bruciate dal vento che qui muove ogni cosa, mani che sapevano di sale e che raccontavano storie di un’isola lontana. Erano mani che a volte non hanno potuto fare altro che giungersi in preghiera e sperare che la terra desse qualche fiore, mani che accompagnavano ogni giorno quel gesto quasi mistico di piegarsi la mattina e la sera in ginocchio su un terreno sassoso quasi nero per raccogliere gemme verdi. Erano mani così quelle che nel 1949 hanno dato vita alla Bonomo & Giglio, che ancora oggi raccoglie e lavora quelle piccole perle verdi che sono i capperi, di Pantelleria. Erano e sono mani così quelle che amalgamano ancora oggi queste perle con altri gioielli della terra e del mare secondo antiche preparazioni, che racchiudono il gusto autentico del Mediterraneo e della nostra storia. La Bonomo & Giglio, capperificio più antico dell’Isola, è da sempre un’azienda artigianale con lavorazioni manuali e scarsamente meccanizzate, legata a doppio filo alla tradizione. Da qualche anno ripropone anche antiche ricette dell’Isola in confezioni per i negozi e la ristorazione oltre a completare la gamma dei prodotti con i vini selezionati dell’isola. Oltre ai capperi conservati in sale di mare, raccolti e fatti maturare da maggio ad agosto, inimitabili per profumo e sapore (per questo non esistono altri capperi al mondo a cui è stata attribuita l’Indicazione Geografica Protetta), l’azienda propone anche patè di capperi, pesto di capperi, salsa di capperi, trito di capperi, capperi o cucunci in olio extravergine d’oliva, pomodori secchi e capperi in olio extravergine d’oliva.
Antico Capperificio Bonomo & Giglio SrlCapperificio: Contrada Scauri Alto Laboratorio/Bottega: Località Kazen/Balate - Pantelleria (Tp)Tel. 0923916021www.bonomoegiglio.itwww.lanicchia.com
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Argentario, l’arcipelago che vuol rinascere
Ricco di vegetazione mediterranea, l’Argentario sorge dal mare e si lega alla terra con lingue di sabbia dorata e lagune blu. Il lembo di mare che lo divide dall’Isola del Giglio è stato di recente teatro della tragedia che tutti sappiamo. Rassicurano gli esperti: grazie alla profondità dei fondali e alle forti correnti, le acque saranno presto pulite dagli inquinanti riversati dal relitto. Ma la ferita resterà aperta ancora a lungodi Elena Conti
Toscana
Argentario
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inviaggioinviaggio
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La notte dei pirati Dal 4 al 6 di maggio, assalto dei Pirati a Porto Ercole. La manifestazione trasforma il paese in un luogo senza tempo, dove ciurme rumorose arrivano in porto per partecipare alla caccia al tesoro. Un’idea nata per caso alcuni anni fa, che ha trovato un fortissimo consenso popolare. Così per tre giorni la pace della località marina viene sospesa per l’arrivo di gruppi in costume, gozzi e velieri con bandiere pirata: il mare si accende di fuochi alla deriva, i ristornati propongono menù a tema, i vicoli risuonano di grida marinaresche. Oltre alla grande caccia al tesoro, vengono premiate le migliori coreografie e i costumi più belli delle diverse squadre. Diverse comunque le feste che animano la località toscana. Tra queste ricordiamo anche il Palio marinaro dell’Argentario – ogni anno, il 15 agosto, in località Porto Santo Stefano – con sfilata storica in costumi spagnoli. Al tramonto di mezz’agosto, spiegate le bandiere dei Rioni Croce, Fortezza, Pilarella e Valle, la gente del luogo si raduna per rinnovare l’antico patto con il mare.
Apparentemente selvaggio ma al tempo stesso
protettivo, per le tante anse che creano riparo
quando il mare è in burrasca, Monte Argentario
è un promontorio che si protende sulle acque
blu del Tirreno sospeso fra terra e mare, in corrispon-
denza delle due isole più meridionali dell’arcipelago
toscano, Giglio e Giannutri. Con il naufragio della
nave da crociera Costa Concordia, un’improvvisa no-
torietà si è abbattuta su questo tratto di mare. Se pri-
ma era meta prediletta di un turismo abbastanza eli-
tario, abitudinario e sicuramente riservato, la cronaca
ha sbattuto prepotentemente questo lembo di terra,
nel vortice dei media. Oggi in tutto il mondo l’isola
del Giglio è diventata tristemente famosa, si sa come
sono i fondali, a quanto e come soffia il Grecale e sa-
rà difficile dimenticare l’immagine dell’immensa na-
ve arenata a pochi metri dalla costa, simbolo di un
equilibrio violato e perduto. La natura apparente-
mente aspra degli isolani, gelosi custodi di un terri-
torio che è rimasto tale anche grazie a questo loro
atteggiamento, nella tragedia si è mostrata straordi-
nariamente solidale e infinite sono le storie e i rac-
conti dei naufraghi che testimoniano il grande cuore
dei gigliesi. Il relitto pesa sul futuro di questo luogo
incantato, per il grande quantitativo di inquinanti di
cui è carico. «Ma l’isola ce la farà – afferma un pesca-
tore di Giglio Porto osservando le manovre dei tec-
nici olandesi, per svuotare le cisterne di gasolio della
nave –, sarà dura ma ce la farà. Il mare qui è molto
profondo e le correnti sono fortissime, si ripulirà in
fretta, anche se la ferita resterà aperta per molto tem-
po». Anche Monte Argentario un tempo era un’iso-
la. Oggi invece è una piccola montagna ricca di ve-
getazione mediterranea che sorge dal mare e si lega
alla terra con lingue di sabbia dorata e lagune blu,
magico incontro di calette e spiagge, strapiombi e vi-
ste mozzafiato sul Mediterraneo, meta esclusiva e
straordinaria per gli appassionati del mare e della na-
tura incontaminata, ma anche per chi desidera pas-
sare la notte nei locali più esclusivi. Nel corso dei se-
In apertura: la marina di Porto Ercole. Qui a destra, dall’alto, i pirati protagonisti della manifestazione di maggio e, sotto, il Monte Argentario visto dall’alto (in evidenza le lingue di sabbia che lo collegano alla terra ferma) e dalla costa
Giglio, isola feritaPer capire cosa rappresenta l’isola del Giglio per chi la ama profondamente,
che sia gigliese Doc o villegiante seriale – mi riferisco a quella particolare casta
di persone che da anni la frequentano e che gelosamente la sente propria – ho chiesto, in una sorta di gioco di parole, di definirla con solo tre aggettivi. E mi
hanno detto profumata, ventosa e assolata o aspra, fiera e scoscesa, ma anche salata, incantata e magica. In molti hanno detto ferita, a causa del
naufragio della grande nave da crociera Concordia. Qui i colori sono fortissimi
sia sotto il sole cocente dell’estate, che nelle giornate fredde d’inverno, quando soffia l’irresistibile Grecale.
Riserva naturale per quanto riguarda la terra, il Giglio è regno indiscusso dei
conigli selvatici. Non ci sono vipere, i porcini spuntano profumati nei boschi di leccio e corbezzolo; lungo la costa,
la vegetazione mediterranea lascia spazio ai Carpobrotus, piante grasse
che cannibalizzano le altre e, ad aprile, ricoprono di fiori fucsia le scogliere.
Situata nell’arcipelago toscano, fa parte della provincia di Grosseto; ha circa
duemila abitanti e il collegamento con la terra ferma è garantito dai traghetti con imbarco da Porto Santo Stefano.
Qui volano falchi e gabbiani corsi, dalle scogliere si possono vedere le balene
o le foche monache. Il Giglio è un vero paradiso per i pescatori sportivi, perché
grazie alle forti correnti e al mare con fondali che rapidamente raggiungono
gli ottanta metri di profondità, poco distanti dalla costa, si possono pescare pesci di grandi dimensioni che pesano
fino a 40 chili. «Da alcuni anni sono tornati anche i tonni rossi – racconta un
pescatore di Giglio Porto –, grazie alla regolamentazione che è stata attuata e
che controllando la pesca indiscriminata, ha permesso il ripopolamento
del mare». Ma lo spettacolo più entusiasmante sono i delfini che si divertono a rincorrere le rotte delle
imbarcazioni. Per chi non ha una barca ci sono noleggi sia al Porto che a
Campese e taxi-boat disponibili. Ci sono molti ristoranti, a Giglio Porto e a Giglio
Castello, e spiagge attrezzate come Campese, Cannelle, Arenella e Caldane,
quasi tutte raggiungibili in automobile.
coli l’azione lenta delle correnti marine e del fiume
Albegna, hanno creato due tomboli, il tombolo della
Giannella e il tombolo della Feniglia, che hanno uni-
to l’isola alla terra ferma, formando la laguna di Or-
betello, uno specchio d’acqua fantasticamente “a gal-
la” fra la laguna di Levante e quella di Ponente,
famoso per l’allevamento dei pesci. Qui infatti ven-
gono allevate allo stato naturale, e seguendo i loro
ritmi, molte varietà pregiate come ombrine, sgombri,
anguille, sogliole, spigole e orate. Dopo la crisi atrofi-
ca provocata dal prolificare delle alghe negli anni 90,
la Cooperativa dei pescatori di Orbetello cominciò a
occuparsi anche della trasformazione del pescato, con
anguille affumicate e una pregiatissima bottarga di
cefalo, attivando una filiera completa che si occupa
dell’allevamento, della pesca, della trasformazione fi-
no alla ristorazione organizzata nell’ex stalla dei ca-
valleggeri di Orbetello, oggi trasformata in ristorante.
Proprio a Orbetello, sulla Costa d’Argento, a pochi
chilometri da Porto Ercole e da Porto Santo Stefano
e altrettanti da Capalbio e da Talamone, c’è infatti
questo locale particolare, gestito dagli stessi pescato-
ri della cooperativa La Peschereccia che prima pesca-
no e poi cucinano quanto hanno pescato, seguendo
la più autentica tradizione gastronomica locale. La
loro storia è curiosa. Nel 1376 Gregorio XI fu salva-
to dai flutti in tempesta dai barchini dei pescatori lo-
cali. Una volta tratto in salvo, il Pontefice li nominò
“Nobili pescatori di Nassa e di Fibbia”. Da allora sono
diventati una vera e propria casta. Solo dieci anni so-
no serviti ai pescatori-cuochi di Orbetello per trasfor-
mare la tradizionale pesca lagunare in un’azienda
multiforme e moderna. La laguna pescosa è anche la
meta preferita di migliaia di eleganti trampolieri e di
una moltitudine di fenicotteri, che riunendosi in
gruppi numerosi, la punteggiano di rosa.
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inviaggio
Nella pagina precedente: Giglio Porto. Qui, dall’alto: il complesso del Convento dei frati passionisti che sorge sul versante del Monte Argentario in direzione Punta Telegrafo; fenicotteri rosa nella laguna di Orbetello e, qui sotto, il borgo di Porto Santo Stefano
dove mangiareOsteria dei nobili santi L’osteria è situata in un vicoletto nel centro di Porto Ercole. Un menù ricchissimo di antipasti di pesce, caldi o freddi, tra cui una mousse di cavolfiore con bottarga, parmigiana di melanzane di pesce, carpaccio di polpo, fiori di zucchina ripieni di pesce. Ottima la grigliata di pesce con scampi, gamberi e calamari. Un piccolo ristorante che stupisce per la cura e qualità della sua cucina. Il menù gioca con il mare e i prodotti della Maremma. Da non perdere la bottarga di muggine della laguna di Orbetello.Via dell’Ospizio, 8/10 Porto Ercole (Gr) Tel. 0564833015 www.osterianobilisanti.eu
Trattoria del pesce poveroL’ambiente è semplice, il pesce freschissimo è cucinato perfettamente. Grande ospitalità, con la rara sensazione di essere davvero l’ospite atteso e servito con gioia. Non c’è da scegliere, viene proposto pesce appena pescato. Un’esperienza che vorresti fosse un’abitudine.Via delle Saline, 7Orbetello (Gr)Tel. 0564871300
Santi Capitani Terrazza panoramica sul golfo di Campese. Con il vento da nord si vedono la Corsica e Montecristo. Specialità di pesce.Via Santa Maria, 3Giglio Castello Tel. 0564 806188
dove dormire Torre di Cala Piccola Nel verde di olivi e oleandri, superbo panorama che spazia fino alle isole dell’Arcipelago toscano, l’hotel 4 stelle si sviluppa attorno a un’antica Torre Saracena di avvistamento.Località Cala Piccola Porto S. Stefano (Gr)Tel. 0564825144 www.torredicalapiccola.com
Albergo Belvedere Bellissimo panorama, spiaggia con accesso privato, ampio giardino con terrazza panoramica, bar, parcheggio privato; 3 stelle. Strada provinciale 161, 2 Porto S. Stefano (Gr)www.belvedereargentario.it
Pardini’s HermitageIn posizione panoramica, raggiungibile solo via mare, lontano da ogni abitato, dalla folla e dai rumori, propone tranquilli soggiorni in un luogo senza tempo. Nella proprietà è svolta una semplice attività agraria integrata con allevamento semibrado di animali tra cui capre e l’asino Amiatino. Condotta in modo naturale e senza concimi chimici e pesticidi, fornisce parte dei prodotti utilizzati in cucina, come l’olio d’oliva e gli ortaggi.Cala degli Alberi Tel. 0564809034www.hermit.it
Scelti per voi
Una terra selvaggia, che sa accogliere Monte Argentario, a tratti selvaggio e popolare,
con il colore dei paesini vivaci di gente e di attivi-
tà, nasconde protettivo e magnanimo alberghi ex-
tra lusso, ville private straordinarie, strutture che
lo rendono una meta davvero al top. Non basta una
sola visita per capirne la forza e la delicatezza,
l’asprezza dei venti e la bellezza disorientante de-
gli scorci. Qui si trovano un campo da golf con re-
sort e Spa di design esclusivo, un campo da polo,
percorsi per equitazione e porti dove ormeggiano
barche davvero incredibili. Due paesi, entrambi a
vocazione marinara, formano il comune di Monte
Argentario; rivolto verso nord-ovest, si trova Porto
Santo Stefano, mentre Porto Ercole, più piccolo, è
rivolto verso sud-est. Il punto più alto è Punta Te-
legrafo, 635 m sul livello del mare, che si raggiun-
ge salendo lentamente immersi in un paesaggio
collinare a tratti impervio, affascinati dai terrazza-
menti per la coltivazione della vite. I più sportivi
lo risalgono in bici, ma è decisamente impegnati-
vo. La costa, molto frastagliata, offre cale e calette,
prevalentemente sassose, di notevole bellezza dal
punto di vista naturalistico.
Effetto Trieste
Nel titolo, la brevissima quanto efficace defi-
nizione con la quale Jan Morris ha delineato i
tratti di Trieste e raccontato il fascino della cit-
tà attraverso le pagine del suo romanzo Trieste
o del nessun luogo (ed. Il Saggiatore). Sarà per la
particolare posizione geografica che la pone
all’estremo confine orientale della penisola, per
l’eterogenea mescolanza di culture, lingue e reli-
gioni che da sempre la caratterizzano o per il ricor-
do di vecchi fasti commerciali, politici e strategici
Città che vive come sospesa, di un’eleganza abbagliante.
E in vivace trasformazione, dove il vecchio incontra il nuovo
che avanza, idealmente appoggiati al banco di un caffè letterario,
gustando un ottimo “capo in b”
Friuli Venezia Giulia Trieste di Olga Carlini
foto
: Fvg
Film
Co
mm
issi
on
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l’italiainmostra
100
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Effetto Trieste Affacciata sul mare, Piazza Unità d’Italia è il cuore della città. Sostare qui significa
riempirsi gli occhi di meraviglie architettoniche,
e il cuore del caldo aroma di caffè
che ne hanno definito l’aspetto, ma la sensazione
che Trieste trasmette a un primo sguardo è quella
di una città sospesa, di un’eleganza abbagliante, do-
ve il vecchio incontra pigramente il nuovo che
avanza. Città di mare e di cultura, di scienza e di
ricerca, Trieste è in continua evoluzione e negli ul-
timi anni sta attuando un progressivo recupero di
intere aree come ad esempio la zona di Cavana.
Sviluppatosi inizialmente quale borgo per le fami-
glie di marinai, ricco di bar, trattorie e bordelli, l’in-
tero quartiere fu successivamente abbandonato
portando a uno stato di degrado edifici, piazze,
chiese e il reticolato di strade che collegano l’inte-
ra area al colle di San Giusto. Oggi Cavana – grazie
a un restyling radicale – è senza dubbio la zona più
interessante e vitale dell’intera città. Un susseguir-
si continuo di bar, negozi di modernariato, vintage
stores, indirizzi di design, ristoranti tipici e storiche
trattorie delineano un percorso dove è possibile
perdersi per un’intera giornata di shopping e degu-
stazioni. Percorrendo la Piazza Cavana in direzione
della centralissima Piazza Unità d’Italia ci si ritrova
nel cuore di Trieste, punto privilegiato di partenza
per interessanti percorsi alla scoperta dei luoghi
simbolo della città, dal Borgo Teresiano con il Ca-
nale di Ponterosso, al Colle di San Giusto, passando
per il sito archeologico del Teatro Romano. La Piaz-
za stessa, considerata la più grande d’Europa e af-
facciata sul mare, vale una sosta per assaporare una
delle tante varianti del caffè triestino e per ammi-
In apertura, il Canal Grande. A destra, dall’alto: il Parco San
Giusto, piazza Unità d’Italia e il tipico “capo in b”, il
“cappuccino alla triestina in bicchiere” veloce da ordinare
e da bere!
La natura in mostra
all’Ex PescheriaDipinti, fotografie, sculture,
video e installazioni di 82 artisti contemporanei provenienti da
18 diverse nazioni: attraverso una sequenza d’immagini sublimi Il Fuoco
della Natura, mostra promossa e realizzata dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Trieste, a cura di Marco
Puntin e Jonathan Turner, presenta la natura nei suoi vari aspetti, dalle
prospettive delle grandi distanze geografiche ai macroingrandimenti.
Il tutto senza dimenticare il momento di instabilità ambientale e di
cambiamenti climatici che stiamo vivendo. La mostra è allestita nella
splendida struttura del Salone degli Incanti / Ex Pescheria, edificio di inizio
Novecento ed esempio di architettura eclettica e sperimentazione materica,
affacciata da un lato sul delizioso Borgo Giuseppino e dall’altro sul
mare. L’Ex Pescheria, tanto cara ai triestini, nella sua trasformazione in spazio espositivo ha vissuto un
intervento di recupero che ha lasciato inalterati gli esterni e ha esaltato la
polivalenza degli interni, sfruttando per intero l’ampia disponibilità di
spazio offerto. Considerate le enormi dimensioni a disposizione, i curatori
Marco Puntin e Jonathan Turner hanno scelto di privilegiare opere di grande formato. I lavori selezionati
provengono da importanti collezioni private, gallerie d’arte e, in alcuni
casi, direttamente dallo studio degli artisti. La mostra è stata allestita in un labirinto itinerante ideato
in collaborazione con Gian Paolo Venier e Luigi Semerani di ell(E)gi
Architecture, Trieste.
fino al 9 aprile
Salone degli Incanti Ex Pescheria
Riva Nazario Sauro, 1 www.triestecultura.it
rare la meraviglia architettonica dei palazzi che la
circondano. Progettati da architetti di fama quali
Artmann, Geiringer, Buttazzoni, Moro – solo per
citarne alcuni – i palazzi di Piazza Unità d’Italia
non sono che una piccola porzione dell’impianto
architettonico di una città che annovera numero-
sissimi edifici di pregio, da Palazzo Gopcevich di
Giovanni Berlam, a Palazzo Tergesteo con la rinno-
vata galleria coperta, dal Salone degli Incanti / Ex
Pescheria, ai numerosissimi edifici di culto testimo-
ni di una possibile convivenza religiosa, etnica, cul-
turale. Un viaggio a ritroso che si completa con la
visita ai caffè storici di Trieste: più che una tradi-
zione un’abitudine trasmessa ancora oggi alle gio-
vani generazioni. Spesso luoghi d’incontro di lette-
rati, artisti, intellettuali, i caffè continuano ad
accogliere quanti desiderano leggere le pagine di
un libro, di un quotidiano, confrontarsi su temi va-
ri gustando un “capo in b”… anche in questo caso
la tradizione continua.Dall’alto, uno scorcio di Piazza Ponterosso
e il rendering della mostra Il Fuoco della Natura. Sotto l’imponente ingresso
del Salone degli Incanti / Ex Pescheria
Studio ell (E)gi Architecture
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l’italiainmostra
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dove dormireGrand Hotel Duchi D’AostaTante le celebrità che hanno scelto questa elegante struttura ottocentesca per la loro vacanza triestina: dall’Ammiraglio Nelson a Giacomo Casanova, per arrivare ai nostri giorni con Francis Ford Coppola, Sting, Bob Dylan… solo per citarne alcuni. Piazza Unità, 2 Tel. 0407600011www.duchi.eu
Savoia Excelsior PalaceImpareggiabile la vista sul golfo e sul Castello di Miramare. Completamente rinnovato, l’hotel è in un edificio monumentale che rievoca i fasti mitteleuropei.Riva del Mandracchio, 4 Tel. 04077941savoiaexcelsiorpalace.starhotels.com
House 5 Room DesignNel cuore della città una albergo simbolo dei contrasti che la caratterizzano, tra i fasti antichi della struttura e gli interni di raffinato design contemporaneo. Via Giulia, 5Tel. 0400644872www.house5.it
dove mangiareRistorante al BagattoDa oltre 40 anni la famiglia Marussi è impegnata nel proporre il miglior pesce della zona.Via Luigi Cadorna, 7Tel. 040301771 - www.albagatto.it
Champagneria Ristorante BollicineDesign minimalista per questo locale elegante e versatile che propone piatti dal tocco creativo e le più sofisticate maison de champagne.Piazza S. Antonio Nuovo, 2Tel. 040771041
Ristorante Tavernetta al MoloBuon pesce preparato in modo semplice e genuino. Riva Massimiliano e Carlotta, 11Tel. 040224275
Chocolat Delizioso mini caffè dove gustare cremose cioccolate calde.Via Cavana, 15/b
Salumare Laboratorio del pesce con annessa pescheria dove lasciarsi tentare da originali proposte ittiche accompagnate dai migliori vini del Carso e del Collio.Via Cavana 13/a
Scelti per voi
Da non perdere In occasione di un viaggio a Trieste
immancabile la visita al Castello di Miramare che, circondato da
un rigoglioso parco, gode di una posizione panoramica incantevole,
a picco sul mare; voluto attorno alla metà dall’Ottocento dall’arciduca
Ferdinando Massimiliano d’Asburgo, offre la testimonianza unica di una
lussuosa dimora nobiliare (Viale Miramare - www.castello-miramare.
it). E ancora, il Museo Revoltella, galleria d’arte moderna fondata
nel 1872 e ospitata in un’elegante costruzione neorinascimentale di tre piani (Via Armando Diaz, 27 – www.
museorevoltella.it).
Qui sotto, una delle opere in mostra presso il Salone degli Incanti /Ex Pescheria: Marc Quinn, Thor in
Nanga Parbat, 2009. A destra il Castello di Miramare foto
: Fvg
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Immerso nel verde del Parco Nord di Milano, in un’affascinante oasi sospesa tra storia e ar-te, sorge il Grand Hotel Villa Torretta, membro del prestigioso network MGallery, una collezio-ne internazionale di hotel d’alta gamma dalla spiccata individualità, in cui ogni soggiorno è ricco di emozione e scoperta. Ospitato in una storica e prestigiosa dimora risalente al XVII se-colo, appartenuta alle più ricche e blasonate fa-miglie milanesi, il Grand Hotel Villa Torretta rap-presenta un luogo di charme unico, destinato a un’accoglienza che rievoca lo spirito e le at-mosfere dell’epoca seicentesca, il cui splendo-re rifulge ancora nei saloni, nelle stanze e nelle corti. Le 78 camere, suddivise tra Superior, Exe-cutive, Junior Suite e Suite, tutte diversamente arredate, offrono i più moderni servizi di ospi-
C’era una volta una Villa di delizie,
in cui cavalieri e dame amavano trascorrere il tempo… e c’è ancora: è il Grand Hotel Villa Torretta, membro di
MGallery, un’esclusiva collezione di hotel
dalla personalità e dal fascino unici
talità, combinati al fascino di una personalità unica. Gli arredi in stile d’epoca si sposano a mobili moderni ed esclusivi. Gli affreschi, le tra-vi in legno del sottotetto, i marmi preziosi fan-no delle suite delle autentiche oasi di charme. Imperdibile una cena presso il ristorante Il Vico della Torretta, che accoglie i suoi ospiti in sale splendidamente affrescate, affacciate sull’incan-tevole chiostro del piano nobile della Villa. Il risto-rante, aperto anche alla clientela esterna, propo-ne un raffinato menù à la carte, con cui lo chef Angelo Nasta invita gli ospiti a scoprire le delizie della migliore tradizione gastronomica milanese e nazionale, accompagnate da una sofisticata selezione di pregiati vini nazionali e internazio-nali. L’alta qualità della cucina e il servizio impec-cabile, fusi alle suggestive atmosfere della Villa, con i suoi saloni, le corti fiabesche e i giardini all’italiana, rendono Villa Torretta la cornice idea-le per suggellare e ospitare occasioni romantiche come matrimoni, commemorazioni e banchetti, ma anche meeting aziendali e convention da vi-vere in un contesto magico e indimenticabile. Il Grand Hotel Villa Torretta offre anche un’ampia gamma di servizi e soluzioni personalizzate per il settore business. Un funzionale centro congres-si con 9 sale meeting, ognuna delle quali con la sua peculiare e affascinante personalità, e un Auditorium (360 mq) progettato da Renzo Pia-no, con una capacità di 258 posti allestiti ad an-fiteatro. Villa Torretta: il perfetto connubio per i viaggiatori che amano farsi viziare dal fascino di una dimora storica senza tralasciare la qualità di tutti i più moderni comfort di ospitalità. www.mgallery.com - www.villatorretta.it
Romanticismo d’altri tempi
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camera con vista
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di Gilda Ciaruffoli
SIAMO AL VINITALY 2012PADIGLIONE PUGLIA
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weekend nel verde di Gilda Ciaruffoli
Armonie di natura, arte e benessere
Passione e fiducia nella propria realtà e nel territorio che la ospita sono gli ingredienti
di una ricetta anti-crisi tutta umbra
Centoventi ettari di terreno nel cuore dell’Umbria più verde, dove moderne strutture dalle forme medievali si inte-grano perfettamente alla delicata natu-ra dei luoghi: è la Tenuta dei Ciclamini, nota anche per ospitare il C.E.T. (Cen-tro Europeo di Toscolano), associazione culturale no-profit fondata dall’autore e poeta Mogol e diretta dalla moglie Da-niela, operante in tre settori: musica e cultura popolare, medicina e ambiente. Il coraggio di investire sul territorio con tenacia e costanza ha portato la Tenuta ad ampliare la propria ricettività grazie a 20 nuove camere che si aggiungo-no alle 50 già esistenti, dotate di tutti i comfort, una rinnovata cucina e varie sale congressi che possono ospitare fi-no a 250 persone: la Tenuta dei Cicla-mini è infatti principalmente un centro per eventi e convention aziendali e le aziende ospitate sono del calibro Mi-crosoft, Barilla, Bayer, Audi, MPS Axa, Il Sole 24 Ore, Confindustria. Tante le possibilità di svago e relax durante un soggiorno alla Tenuta dei Ciclamini:
dalle cavalcate alla scoperta dei favolosi itinerari naturalistici locali (grazie a una scuderia di 20 cavalli) in compagnia di esperti istruttori FISE, ai trattamenti del centro benessere completo di sala mas-saggi e Spa, alle partite di pallone nei campi a disposizione della struttura, alla pesca sportiva nei due laghetti attrezza-ti; dal tiro con l’arco alla mountain bike. La Tenuta dei Ciclamini, oltre a propor-re raffinati menu basati sulla genuinità dei prodotti tipici umbri, organizza an-che escursioni nelle vicine città d’arte o presso attrazioni naturalistiche e stori-che quali la cascata delle Marmore, la Foresta Fossile e l’antica città romana di Carsulae. Il centro si occupa infine di ricerca scientifica nel campo medico, ottenendo ottimi risultati sulle malattie autoimmuni. L’obiettivo è quello di far nascere nuovi centri di medicina pre-ventiva e predittiva: occorre educare le persone alla necessità di effettuare un “tagliando” almeno una volta l’anno – proprio come le automobili – per pro-teggere la propria salute.
Tenuta dei CiclaminiLoc. Casa Pancallo, 3Avigliano Umbro (Tr)
Tel. [email protected]
In apertura una suggestiva immagine in notturna della Tenuta dei Ciclamini. In alto, Mogol e sua moglie Daniela in sella a due cavalli della scuderia interna
“Regala ogni giorno amore e rispe�o alla tua Terra. Lei saprà ricompensarti”Lo ripeteva sempre il padre di Massimo Setaro che, cresciuto con questa �loso�a di vita, ha scelto, con la moglie Mariarosaria, di continuare l’a�ività svolta dai genitori tra le vigne alle pendici del Ve-suvio. È nata così l’azienda agricola Casa Setaro i cui vigneti si estendono per circa 10 e�ari in punti diversi del Parco Nazionale del Vesuvio, con o�ima esposizione a Sud. Il microclima o�re estati asso-late con eccellente ventilazione e o�ime escursioni termiche giorno-no�e. L’età media delle piante, allevate a guyot e cordone speronato, è di 15-20 anni. L’in�uenza bene�ca della brezza marina si fonde con la composizione vulcanica dei suoli stendendo un ideale tappeto di mineralità e sapidità che si ritrova nel bicchiere. L’azienda lavora su nove cru territoriali, interpretando al meglio l’anima di ogni vitigno: Aglianico Igt Tauro, dall’omonimo vitigno, Lacryma Christi del Vesuvio Doc ros-so e rosato, dal vitigno autoctono Piedirosso. Con gli stessi vitigni, Piedirosso e Aglianico, realizza il Don Vincenzo, riserva rossa, vino dedicato al fondatore dell’azienda, prodo�o con le uve migliori. Con l’uva bianca Falanghina a Casa Setaro viene prodo�a l’Igt Falanghina Minos, con il Capre�one l’omonimo spumante, metodo classico “Capre� one” e il Lacryma Christi del Vesuvio Doc bianco. Completano la gamma dei bianchi di Casa Setaro il Fiano di Avellino Docg Fià e il Greco di Tufo Docg Grè. Obie�ivo di Massimo Setaro e di chi con lui condivide fatiche e soddisfazioni è quello di puntare all’eccellenza, ritornando vignaioli non per moda o per interesse, bensì per pura passione e amore per la terra d’origine coltivata da genitori e nonni.
Casa Vinicola Setaro via Bosco del Monaco, 34 - 80040 Trecase (Na) - Tel. e Fax +39 081 8628956 - [email protected] - www.casasetaro.it
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La chiamano la “Città dei due mari”, mar Grande e mar Piccolo. Un tempo è stata il
fulcro della Magna Grecia, tanto che si narra che fu fondata da Taras, giunto via mare in sella a un delfino. Oggi affascina per il suo centro storico, da scoprire in ogni angolo
dove mangiareLe Vecchie CantineCucina attenta ai prodotti stagionali, dove il pescato detta il menù del giorno.Prezzi: da 40 euro.Lama – Via Girasoli, 23Tel. 0997772589
Trattoria Gesù CristoLa tradizione tarantina nell’arte di mangiare il pesce fresco.Prezzi: da 25 euro.Via Cesare Battisti, 8Tel. 0994777253www.trattoriagesucristo.com
dove dormireRelais Histò San Pietro 46 camere lussuose ed eleganti. Intorno una campagna di ulivi secolari.Prezzi: da 90 euro per la camera doppia.Via Santandrea Circummarpiccolowww.relaishisto.it
Grand Hotel Delfino MercureSul lungomare di Taranto. Camere eleganti. Viale Virgilio, 66www.grandhoteldelfino.it
dove comprareBernardi il cioccolatoUna delle cioccolaterie più antiche del Tarantino. Praline alla frutta, al vino, senza zucchero.Corso Due MariTel. 099 4532624www.bernardinet.it
L’idea in piùOrganizzare un viaggio a Taranto durante i riti suggestivi della Settimana di Pasqua. I confratelli, detti “perdùne”, come tradizione, il Venerdì Santo, danno vita alla processione dei Misteri. Con il loro incedere “bazzicante”, lentamente e a piccolissimi passi, quasi dondolando, scalzi e con il volto coperto da un cappuccio bianco, attraversano le vie del borgo, rientrando la mattina all’alba.
Taranto in 5 tappe
1. “Immergersi” nelle sale del Museo Archeologico Il Museo Archeologico (nell’acronimo Mar-ta) è un vero e proprio tempio dell’arte. Nel-le sale dell’ex convento di San Pasquale, tra opere antiche e nuovi arredi, si rimane af-fascinati dalle collezioni greche, romane e apule. Tutto è esposto come in uno spetta-colo: sculture, ceramiche, monili in oro.
2. Ammirare il Ponte girevole, trait d’union di due mariCon lo scheletro di ferro nero e la sua ani-ma antica, il Ponte Girevole di San France-sco di Paola è il simbolo della città. Colle-ga l’isola artificiale del Borgo Antico con la penisola del Borgo Nuovo. La sua parti-colarità sta nell’apertura: i due bracci ruo-tano in senso orizzontale e si accostano alle due opposte sponde per consentire il passaggio delle navi più grandi attraverso il Canale navigabile.
3. Scoprire il mondo sotterraneo del Borgo AnticoOccupa un frammento di terra avvolto dalle onde dei due mari. Un vero dedalo di vico-li, strade e stradicciole, ricavate tra le pareti delle case, strette una all’altra per recupe-rare quanto più spazio possibile. E sotto le case, una vera città sotterranea: oltre 700 metri quadrati di ambienti che permettono di scendere fino a 14 metri di profondità, su tre livelli differenti, compreso l’accesso diret-to al mare.
4. Farsi catturare dall’immenso Castello AragoneseAnche detto Castel Sant’Angelo, è una delle costruzioni più imponenti, a pianta quadran-golare. Oltre l’ingresso luminoso, che acco-glie il turista tra piante rampicanti e cancelli di ferro battuto che affacciano sul mare, si apre il labirinto di un mondo sotterraneo creato per essere inespugnabile e difendere tutto il Sud dell’Italia.
5. Nell’Acropoli dei GreciDue colonne, in carpano locale, alte circa 8 metri, testimoniano la presenza del Tempio Dorico più antico della Magna Grecia, con-sacrato alle divinità femminili di Artemide, Persefone o Hera. Si ammirano attraverso una recinzione in piazza Castello, proprio di fronte l’ingresso del Castello Aragonese. Convinzione diffusa è che il tempio originale fosse costituito da 6 colonne sui lati corti e da 13 sui lati lunghi.
una città in 24 ore di Lucrezia argentiero
Vdg
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zion
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Pur essendo oggi una realtà giovane e innovativa, l’azienda Taverna nasce e si sviluppa fin dai primi anni cinquanta. La famiglia Lunati, da sempre strettamen-te legata al proprio territorio, ha coltivato nel tem-po la volontà di lavorare per una sempre maggiore qualità del prodotto, il che comporta un investimen-to continuo e al passo con i tempi sia in innovazione tecnologica che in sperimentazione di pertinenza di esperti del settore. Proprio per questo motivo, Taver-na ha spesso collaborato con l’Università degli Stu-di della Basilicata, anche con l’intento di valorizzare il patrimonio vitivinicolo della zona per la sua pro-mozione, cosa che l’ha portata a svolgere un ruolo preponderante all’interno di un contesto territoriale e socioeconomico più ampio. Tra le attività portate avanti dall’azienda, il cui contributo alla ripresa del lavoro nelle campagne locali e al loro ripopolamento è notevole, da ricordare un importante proget-to per il recupero degli antichi vitigni autoc-toni in collaborazione con il mondo uni-versitario e il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura. «Nella nostra idea di azienda – con-clude Lunati – non può mancare il contatto con il territorio e con le persone. Cerchiamo di essere mol-to attivi organizzando eventi che coinvolgono gli abitanti, sia attra-verso occasioni istituzionali, come Cantine Aperte, che mondani e cul-turali, come mostre d’arte».
Viticoltori con le radici nel territorioCredere molto nel proprio territorio e nelle sue potenzialità vinicole. Questo il filo conduttore che sta alla base della produzione dell’azienda Taverna
Società Agricola Taverna Contrada Taverna - Nova Siri (Mt) Tel. 0835877083 - www.aataverna.com
“Taverna Firm was founded
and began to develop its defining structure at the
beginning of the 1950’s. Always linked to its territory Taverna has grown over time for a constant
improvement of the quality of its wines involving both continuous
technology investments and high wine-producing
research”.
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Era il 1912 e Jean Neuhaus, nella sua pasticceria di Bruxelles,
creava la prima pralina: un guscio di cioccolato con un ripieno morbido
al rhum. Oggi, per celebrare i 100 anni di questa golosa tentazione,
vale la pena raggiungere la capitale belga, per scoprirla più da vicino,
tra pasticcerie, locali gestiti da italiani (qui ne abitano circa 35 mila),
musei e fumetti
dove dormireHotel AmigoDella catena Rocco Forte Hotels, si trova a pochi passi dalla Grand Place. Camere eleganti in stile moderno.Rue de l’Amigo, 1-3www.hotelamigo.com
Pantone Hotel Tutto, dalle camere ai complementi d’arredo ai vetri delle finestre, è dedicato alla famosa paletta cromatica Pantone. Place Loix, 1www.pantonehotel.com
dove mangiareRestaurant FrancoisIl fiore all’occhiello di questo ristorante? Le specialità di mare.Place Sainte Catherine, 12www.restaurantfrancois.be
Ristorante BocconiAll’interno dell’Hôtel Amigo, propone piatti della cucina italiana e mediterranea.Tel. +32 025474715
dove comprareMaison Des Maitres Chocolatiers La vetrina di 10 artigiani d’eccellenza che lavorano il cioccolato nella più pura tradizione belga. Grand-Place, 4 Tel. +32 028886620 www.mmcb.be
L’idea in piùA solo un’ora di treno da Bruxelles si trova Liegi, una delle più grandi città della Vallonia. Appena si arriva si ha subito l’incontro con la nuova stazione Guillemins per treni ad alta velocità, progettata dall’architetto Santiago Calatrava. Una vera e propria opera d’arte che ricorda la forma di una grande balena e affascina per la sua struttura.
Voli consigliati su Bruxelles: Air OnePer info: www.flyairone.com Call center 892 444 (soggetto a tariffazione specifica)
1. Restare incantati dinnanzi alla Grand PlaceLa Grand Place è la zona più antica. Impossibile di-stogliere lo sguardo dalle oltre 300 statue, dalle nu-merose colonne decorate e dalle arcate dell’Hotel de Ville (sede del comune), l’unico edificio medievale originale, scampato a guerre e bombardamenti. Tut-to intorno, ci sono le case delle corporazioni (dei ma-cellai, dei birrai) e la casa della stella, la brutta stella, perché vi abitava il giudice che pronunciava le sen-tenze di morte.
2. Fotografare il piccolo bimboManneken Pis, il bambino che fa la pipì, simbolo del-la città. L’origine di questa statua rimane ignota, ma la leggenda vuole che nel medioevo il figlio di un du-ca fu colto a urinare contro un albero nel bel mezzo di una battaglia. Per questo la piccola statua (soli 30 cm) divenne simbolo irriverente delle virtù militari del Paese. La tradizione vuole che i capi di stato che visi-tano la città donino al piccolo un abito tipico e così, periodicamente, si può vedere la scultura vestita di tutto punto.
3. Visitare il Museo Magritte Si trova in centro, nella neoclassica Place Royale, e conserva la più grande collezione al mondo di ope-re del grande artista surrealista, René Magritte. Oltre 250 dipinti disposti su tre piani, tra cui alcune tele che esprimono aspetti poco noti dell’artista: la sua visione del comunismo e i suoi contributi alla comunicazione pubblicitaria. www.musee-magritte-museum.be
4. Scoprire come nasce il cioccolatoUn tuffo nella storia del cibo degli Dei all’interno del museo “del cacao e del cioccolato”. Qui si può vede-re un maestro artigiano all’opera e, al primo piano, un’esposizione di raffinate cioccolatiere in porcellana della fine del XIX secolo, con rari pezzi di limoges, ar-gento, art déco.
5. Passeggiare tra colori e fumettiIl centro belga dei fumetti raccoglie tutto ciò che ri-guarda le bande dessinée, con particolare attenzio-ne al famoso Tintin, globetrotter avventuroso (creato dalla matita di Hergé nel 1907) e ai Puffi tutti blu. E non solo. Qui la fantasia si è scatenata, tanto che su molti palazzi si possono ammirare murales che colo-rano la città. www.cbbd.be
Bruxelles in 5 tappe
una città in 24 ore di Isa Grassano
Il vigneto Amastuola si estende per oltre 100 ettari nelle terre di Puglia (Italia) su un altopiano a 210 metri sul livello del mare, dove il microclima mediterraneo favorisce un’ottima coltivazione biologica. La vocazione vitivinicola della zona risale addirittura al tempo dell’antica civiltà magno-greca e la masseria Amastuola è centro agricolo di rilievo sin dal XV secolo. La zona in cui sorge il vigneto, prima abbandonata, è stata recuperata nel 2002 da un suggestivo progetto del noto paesaggista Fernando Caruncho: il nuovo scenario si presenta come vero e proprio “vigneto giardino”. I filari sono disegnati in onde accentuate e parallele che si prolungano e oscillano per tre chilometri: ventiquattro “isole” di ulivi secolari ne intervallano il movimento, offrendo ulteriore fascino.Il vigneto, per la sua progettualità innovativa, è stato oggetto di studio e di
attenzione a livello internazionale acquisendo in breve tempo importanti riconoscimenti: nel 2007, nel convegno internazionale su “Architettura e paesaggio” tenutosi a Tokyo, ha ricevuto il riconoscimento per aver aperto “nuove frontiere alla valorizzazione di paesaggi doc”; nel 2009 la Regione Umbria lo ha premiato come esempio di “Buona pratica per il recupero di paesaggi agricoli non più produttivi”; nel 2010 il vigneto Amastuola è stato vincitore del concorso “Buona pratica di tutela e valorizzazione del paesaggio agricolo anche a fini turistici” indetto dalla Regione Puglia. L’“onda del cambiamento” è la metafora che racchiude l’azione ispiratrice della Famiglia Montanaro che sempre agisce con coraggio tra il rispetto delle tradizioni e costante apertura alle evoluzioni dei tempi.
www.amastuola.itMerlot 2010 Merlot 2010Syrah 2010
USO
PPOSTO.COM
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La lista dei piatti del giorno racchiude in poche righe, o poche pagine, le potenzialità dell’intero servizio e la qualità che l’azienda intende forni-re. È il principale strumento che regola il rappor-to tra un ristoratore e un cliente che, già da una prima veloce lettura, si può fare un’idea delle potenzialità del luogo in cui si trova. Il menu è dunque uno strumento di comunicazione fonda-mentale, che deve riportare indicazioni corrette, chiare e precise. Le questioni che spesso insorgo-no si possono infatti evitare rispettando le sem-plici norme riportate di seguito. Il listino prezzi. I pubblici esercizi hanno l’obbligo di consegnare ai clienti o di esporre il listino prezzi con le voci di spesa, compreso servizio e coperto, pena pesanti sanzioni. Servizio e coperto. Il coperto e il servi-zio sono legittimi, ma disorientano il consumato-re e scatenano proteste. Il sindaco può emanare ordinanze che vietano di applicarli e stabiliscono una multa per i trasgressori. Egli può anche im-porre che nei listini non si usino espressioni e si-gle ambigue come “s.p.” (secondo porzione), “s.q.” (secondo quantità) e altre ingannevoli. I prodotti congelati. Per legge è obbligatorio indi-
care nel menu l’uso di prodotti congelati e surge-lati, frequente con pesce e crostacei. Non è cor-retto riportare un’avvertenza generica come: “In questo locale possono essere usati ingredienti surgelati”, senza indicare gli ingredienti e i piat-ti in cui sono utilizzati. I prezzi. Sono stabiliti in tutta libertà dal ristoratore. Se esposti, il cliente non può reclamare quando paga il conto; se li ri-tiene alti può alzarsi e allontanarsi prima di aver fatto l’ordinazione, vincolo che invece obbliga al pagamento. I sovrapprezzi. In qualche locale vie-ne praticato un sovrapprezzo in alcuni giorni fe-stivi (per esempio a Ferragosto), oppure il prezzo dei primi ordinati due volte in luogo del secondo subisce un aumento. Anche se poco eleganti, i sovrapprezzi non sono vietati, a patto che siano esposti con chiarezza sul menu o sul listino. Me-nu speciali. Un’idea che valorizza l’immagine del ristorante è il menu per bambini, clienti spesso trascurati. La scelta dei piatti includerà le propo-ste più gradite, come le patatine fritte, e l’aspet-to grafico sarà molto accattivante: il menù stes-so, per esempio, può contenere un gadget con cui giocare durante l’attesa.
A Chilometro ZeroLa Coldiretti ha dato il via a un’iniziativa che ha fatto tendenza: il menù a basso impatto ambientale, subito ribattezzato “menù a chilometro zero”. I ristoranti che aderiscono all’iniziativa s’impegnano a scegliere e acquistare tutti i prodotti che servono per realizzare menù con prodotti delle aziende agricole circostanti al ristorante. Si tratta di un’iniziativa volta a sensibilizzare i ristoratori e accorciare la filiera, contro l’inquinamento del pianeta e a favore delle produzioni locali. La filiera corta diventa un valore aggiunto per i consumatori perché garantisce maggiore qualità e freschezza.
Nel menù del giorno i diritti e i doveri di clienti e ristoratori
La carta d’identità del ristorante
Strumento di comunicazione
fondamentale, deve riportare
indicazioni corrette, chiare
e precise
l’arte dell’accoglienza di Raffaele Romeo
Docente – I.P.S.S.a.R. c. PoRta – mIlano
Azienda Vitivinicola NasiniLocalità Collecchio
58051 Magliano di Toscana (Gr)Tel. +39 3472910551 [email protected]
www.vinolafornace.com
Ufficio MarketingINMEDIA
10, av. de Thonex, Chene-Bourg 1225 Genève (CH)[email protected]
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116 Le mani raccontanoCecchi de’Rossi e le sue borse di lusso, macchie di vino che diventano piaceri
da pag. 118Rubriche• Vini naturali• Benessere• Libri letti per voi• Arte• #Cibo in rete• Trendy• Shopping
Piaceri
Quando una macchia di vino diventa un piacere da vedere
«Stavo seguendo la vendemmia nell’azienda di famiglia e
avevo lasciato la mia borsa di pelle in cantina. Improvvi-
samente si è rotto un tubo e le vinacce hanno sommerso
la borsa, formando delle macchie indelebili dalle tinte ros-
se e dal profumo di vino. Ho tentato di lavarla e tirare via
le macchie ma non c’è stato nulla di fare. A quel punto,
invece di insistere, mi sono detto: perché non provare a
utilizzare gli scarti della vinificazione per colorare la pelle?
Per un intero anno ho provato a sperimentare, finché non
sono arrivato a ottenere una scala cromatica completa».
Di quest’idea, Tommaso Cecchi de’Rossi ne ha fatto pri-
ma l’argomento della sua tesi di laurea (“Le potenzialità
di mercato per un metodo di colorazione del cuoio e del-
le pelli basato sui residui della vinificazione” premiata al
Florence Expo 2008) e quindi – dopo aver affinato e bre-
vettato la tecnologia del processo – un marchio, pellEvi-
no®, che oggi è diventato un cult nel comparto luxury
dell’artigianato mondiale. Potenza della fantasia e dell’in-
tuito tipicamente italiano.
Ma non solo: in questa originale storia di business e arti-
gianato, un ruolo non indifferente l’ha giocato anche il Dna
imprenditoriale del rampollo di casa Cecchi de’Rossi, una
famiglia aristocratica che tra i territori di Pescia e Pistoia,
gestisce da sempre aziende agricole e vitivinicole, e, fino
agli anni ’80, anche una conceria, la Tre chiodi Cecchi, fa-
mosa per l’elevata qualità dei pellami.
Le idee migliori, si sa, nascono per caso. E Tommaso Cecchi de’Rossi, giovane e talentuoso “alchimista del lusso”, lo sa meglio di chiunque altro: un banale incidente occorsogli tra le vigne di famiglia in Toscana, ha dato il la ad una trovata artistica che, in capo a 5 anni, lo ha portato a vendere le sue borse ed i suoi accessori colorati con residuati organici del vino, nei migliori negozi del mondo
di Francesco Condoluci
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lemaniraccontano
Tommaso, insomma, partendo da quella che chiama
“serendipità” (l’imponderabile combinazione tra ca-
so, destino, fortuna, che porta a trovare una cosa,
mentre se ne sta cercando un’altra), non ha fatto al-
tro che coniugare felicemente le storiche attività
della sua famiglia: pelle e vino. «Del resto – ama ri-
petere – c’è sempre un nesso tra ciò che si fa e il ter-
ritorio di origine, o comunque un nesso con le pro-
prie radici. Se la mia famiglia non avesse posseduto
una conceria, se non fossi nato e cresciuto in una
fattoria vitivinicola in Toscana, se anche non fossi
nato in una zona d’Italia vissuta principalmente da
artigiani, lanifici e cartiere, se non avessi incontrato
persone che vivono e lavorano in questo territorio
che mi hanno appassionato con la loro abilità, pro-
babilmente non avrei fatto questo». Dopo una prima
esperienza con la stilista spagnola Maria Rodriguez
Padin, per la quale ha cominciato ad applicare, sui
capi finiti, il suo metodo esclusivo di colorazione a
base di vinacce, Cecchi de’Rossi, da un paio d’anni,
ha un suo atelier-laboratorio tra le splendide cam-
pagne fra Pescia e Lucca, dove sviluppa questa nuo-
va filosofia della colorazione “al sapor di vino” anche
su carta e filati, oltre che sulla pelle: una tecnologia
ecosostenibile che, abbinando questo futuristico
procedimento di tintura all’antica artigianalità tipica
toscana, riesce a creare prodotti capaci di regalare ai
clienti esperienze di puro piacere multisensoriale.
Tra qualche settimana, Tommaso presenterà al Ma-
rais di Parigi, alla Galerie Laure Roynette, la sua nuo-
va collezione artistica 2012, borse e accessori che
rappresentano l’ultima evoluzione del trattamento
di colorazione pellEvino® e che riproducono i co-
lori della Toscana: magenta, cotto, verde scuro, verde
chiaro, viola, marrone e grigio. Quando gli chiedia-
mo di illustrarci la sua tecnica di lavorazione, si scher-
misce un po’ e risponde: «Non posso entrare nello
specifico, perché il processo rappresenta il know-
how più importante dell’azienda. Posso solo dire che
lavoro con due scale cromatiche, una ottenuta con
gli scarti dell’uva rossa e una con quelli della bianca:
ho a disposizione molti più colori di quelli dell’ar-
cobaleno. Uso una tintura a freddo completamente
senza aggiunta di mordenti o solventi chimici. Una
volta terminate le prove colori sui materiali scelti
per la collezione, si passa a costruire a mano ogni
borsa utilizzando pelle, pelliccia, seta, cotone e la-
na, ma anche materiali meno usuali e high-tech.
Ogni elemento ha un processo di realizzazione
diverso, ma ad esempio nel Concetto 4 utilizzo la
stessa tecnica con cui gli antichi romani modella-
vano le armature in cuoio, creando quindi borse
completamente senza cuciture». Dopo Parigi, pel-
lEvino® punterà su Tokyo e New York: «La voca-
zione all’internazionalizzazione c’è stata fin
dall’inizio, la prima borsa l’abbiamo venduta a un
giapponese – chiosa Cecchi de’Rossi – ma il nostro
mondo ideale è quello dei musei, delle aste, dell’ar-
te contemporanea, dove si può tenere vivo il lega-
me fra atto artistico e atto pratico. L’Italia, comun-
que, rimane la piazza più interessante, perché è il
luogo dove ci contaminiamo con più facilità».
In apertura e in alto, scampoli di pelli trattate con l’esclusivo metodo di colorazione a base di vinacce e, sotto, il suo creatore, Tommaso Cecchi de’Rossi
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Per sapere come se la passano gli amici francesi in tema di vini naturali, sono partita alla volta di Pari-gi prima e della Loira poi. Nei locali parigini ho no-tato che il vino naturale è una scelta più radicale, una tendenza reale e non un fenomeno estempo-raneo: se il caviste decide di sposare la causa dei vini naturali lo fa sul serio. Il mio viaggio inizia a RetròBottega, una piccola bottega\enoteca gestita da Pietro e Concetta, due italiani che hanno deciso di condividere i colori e i profumi della nostra terra con la Ville Lumière. Con loro chiacchieriamo da-vanti a un magnifico Pinot nero biodinamico fran-cese mentre il locale si riempie: è frequentato da giovani che parlano con Pietro, che amano la buo-na cucina e il buon bere. È grazie a questo clima
Che la Francia sia più avanti di noi è un fatto. I cugini d’Oltralpe trattano il vino come un elemento culturale da sempre.
Quindi molti dei fenomeni che riscontriamo a casa nostra hanno già avuto uno
sviluppo nella terra degli Chateau e dei Domaine.
Per toccare con mano le differenze un tour
tra locali parigini e fiere della Loira
La dive bouteille (naturelle!)
vini naturali
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vini naturali
di Michela Pallonari
consulente indiPendente wine Marketing e coMunicazione culturale
e a questi vini particolari che l’atmosfera del risto-rante è festosa. I clienti si rilassano, si raccontano, sorridono… che meraviglia! Pietro nel frattempo è ai fornelli: vellutata di ceci con ricotta sarda grattu-giata. C’è profumo di casa e di relax serale. Pietro è molto attento alla scelta dei vini, li prova, li an-nusa, li studia. Come molti suoi colleghi, in questo momento e per il futuro, vorrebbe avere nella sua lista più vini naturali italiani. Che bello, dico io! Ma sono molti i ristoranti a Parigi che stanno facendo la scelta di convertire la lista dei vini in lista dei vini naturali. Questi, più digeribili e più vivi, si combi-nano meglio con il lavoro di chi nutre massimo ri-spetto nei confronti del prodotto e soprattutto dei clienti: quando si vive il proprio mestiere con pas-sione, non si può non approdare ai vini naturali! Il mio viaggio prosegue verso Saumur in macchina con Johan Moraux e Francois Grinaud de Demaine du Perron e Jean Yves Peron, vignerons dell’Alta Savoia: che bello sentir parlare di rapporto con la natura, di sofferenza emotiva per pioggia e gran-dine inattese, di rispetto dell’ambiente. Durante la sosta ci fermiamo per un boccone e mi accorgo che tutta la provincia è stata contaminata dal vi-no naturale, proprio come Saumur (cittadina che conta meno di 30mila abitanti). Qui ristoratori e cantinieri pian piano vanno passando al naturale perché hanno capito che chi propone il vino deve offrire qualcosa di più, che vada oltre la superfi-cie: la gente vuole una storia dietro la bottiglia, e qui di storie da raccontare ce ne sono! Saumur è anche il posto dove da più di dieci anni si svolge l’evento La Dive Bouteille, organizzato da Sylvie Augereau. Presso Château de Brézé (10 km da Saumur) si sono riuniti (gli scorsi 29 e 30 gennaio nell’ambito della 13a edizione) oltre un centinaio di
Sono molti i ristoranti a Parigi che stanno facendo la scelta
di convertire la “lista dei vini” in “lista dei vini
naturali”: quando si vive il proprio mestiere con passione, non si può non intraprendere
questa strada!
Per le strade di Francia
RetròBottega Se avete bisogno di tirare il fiato in modo allegro e divertente, a due passi dalla Bastiglia (metro: Faidherbe-Chaligny).rue Saint Bernard, 12 - Parigi
Domaine du perron Se avete voglia di bere “serio”.Rue du VillageVillebois – Bugey www.domaineduperron.com
Jean-Yves du Peron Se cercate chi ha trovato in Bruno Schuller (vin d’Alsace) la sua ispirazione.Chef lieu, Chevaline – Alta Savoia
piccoli produttori, tra grandi nomi dell’enologia e grandi vignorons, nei sotterranei del castello, una grotta dove il vino si mantiene a temperature co-stanti. Un tunnel dove il tempo si è fermato. Qui il vignerons è un’artista affettuoso e non un “sul-tano” dalle mani curate: qui tutti hanno mani che hanno qualcosa da dire. Nel sotterraneo ho incon-trato Cyril Bongiraud dalla Serbia, Giovanni Wur-deman dalla Georgia, due splendidi italiani, Paolo Vodopivec e Dario Princic, e molti altri tra cui dei piccoli vignerons spagnoli. Non lontano da lì, ad Angers, si svolgevano nello stesso periodo altre due fiere, e io non potevo perderle: la Renassance e Les Vignerons bio della Valle della Loira. Anche là erano presenti alcuni italiani: Elisabetta Foradori e Cascina degli Ulivi a dimostrare che il nostro vino naturale è molto apprezzato fuori nazione e ci vie-ne riconosciuta un’altissima qualità. Orgogliosa di tutto ciò, posso tornare a casa, verso le fiere italia-ne più importanti dei vini naturali: Vinovinovino a Cerea (www.viniveri.net) e Vinnatur a Villa Favorita (www.vinnatur.org), entrambe dal 24 al 26 marzo. La co-sa che mi ha colpito di più delle ma-nifestazioni francesi è che ciascuna pubblicizzava nella propria locandi-na gli altri saloni come saloni amici. Io so che ognuna di queste organiz-zazioni ha una propria idea di vino, sempre nel rispetto dell’ambiente e della naturalità, ma è bello vederle unite nella comunicazione. Sincera-mente non ho potuto far a meno di pensare all’Italia e alla nostra diversa realtà… chissà magari quest’anno qualcosa cambierà anche qui!
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ben
essere
Eccellenza italianaTrussardi è uno dei marchi più innovativi nei settori più importanti del Made in Italy: moda, design, arte e cucina. Per celebrare i 100 anni dalla fondazione e un impegno lungo un secolo, l’azienda lancia due nuove fragranze, uomo e donna, completamente nuove che riportano però alla mente i profumi icona della marca. Trussardi Donna, femminile e avvolgente, deciso e passionale, scatena sensazioni di intenso romanticismo, il flacone è rivestito di bianco con preziosi dettagli dorati. www.trussardi.com
Ceramiche porte-bonheur
Dall’incontro tra l’antica Ceramica del Ferlaro di
Parma e un designer contemporaneo è nata
l’originale linea di fragranze per la casa
Bonheur di Officina Parfum, azienda profumiera parmense
che opera nel mercato del lusso cosmetico. Le creazioni
sono vere e proprie opere d’arte profumiera in un connubio
artistico unico e senza precedenti che ha
sapientemente indicato una nuova filosofia di
lusso domestico. Il porte-bonheur per
eccellenza è l’uovo che Officina Parfum
propone in due diversi colori: verde e blu.
www.officinaparfum.com
Tradizione e qualità Da oltre 50 anni la Cereria Lumen è sinonimo di qualità e tradizione artigianale. La fabbricazione delle candele prevede l’uso esclusivo di cere vegetali. È infatti dal 1961 che l’azienda utilizza materiali di derivazione naturale rifiutando l’uso di lacche a solventi per la colorazione delle candele e, naturalmente, nessuna materia prima di origine animale. Made in Italy che rispetta l’ambiente. www.lumen.it
Kalidria Thalasso Spa ResortMembro della prestigiosa collezione MGallery, il resort in Località Principessa – Castellaneta Marina (Ta), rappresenta un’oasi di bellezza e benessere immersa nella natura, affacciata sulle acque cristalline del litorale pugliese. L’hotel è caratterizzato da una bioarchitettura all’avanguardia, che incastona le suite nella pineta della riserva biogenetica di Stornara; 3.500 i metri quadri dedicati al benessere che fanno del Kalidria la più grande Thalasso & Spa d’Italia. www.mgallery.com
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benessere di Francesca Frediani
I pazienti ai qualiè possibile inserireimpianti a caricoimmediato sonoi portatori di protesitotale completae i soggetti affettida piorrea con i denti compromessi e mobili. L’implantologia, nella sua forma più evoluta ed efficace, prevede l’inse-rimento degli impianti dentali con un’attesa variabile nel tempo dai tre ai quattro mesi, prima di procedere all’applicazione del carico mastica-torio definitivo e duraturo. Ti tratta dei tempi biologici necessari per ottenere l’osteointegrazione degli impianti (viti) in titanio, cioè la loro perfetta saldatura biologica all’osso. Con il carico immediato si soddisfa
senza attese il principale obiettivo del paziente: avere i denti subito, che siano funzionali e che presen-tino un bell’aspetto naturale. Tutto questo si ottiene grazie alle nuove tecniche chirurgiche, all’esperienza di chi opera e ai materiali utilizzati che devono essere di alta qualità e biocompatibili. Non va poi dimen-ticato il risparmio di tempo grazie al ridotto numero di sedute. Studi recenti hanno dimostrato che anche con la protesizzazione immediata si ottiene l’osteointegrazione che è il fenomeno biologico chiave per conseguire un’implantologia orale di successo. La condizione necessaria per la predicibilità della tecnica è la stabilità primaria degli impianti al momento dell’inserimento.I candidati al carico immediato sono i portatori di protesi totale comple-ta, che viene sostituita da una pro-tesi fissa nell’arco di una giornata. I vantaggi son tanti anche sotto il profilo psicologico del paziente. Al-tri candidati sono i soggetti affetti da piorrea con i denti gravemente compromessi e mobili. In questi casi si esegue l’estrazione degli elementi
dentali e il contestuale inserimento degli impianti. Nello stesso giorno si consegna la protesi fissa con un dop-pio risparmio di tempo e con disagi relazionali ridotti ad un solo giorno. I pazienti candidati a ricevere gli im-pianti a carico immediato vengono selezionati con adeguate procedure diagnostiche, sia strumentali sia cli-niche, al fine di ottimizzare la per-centuale di successo. Questa fase diagnostica consente al clinico di operare con la massima sicurezza nel rispetto delle strutture anatomi-che sensibili, come il nervo alveolare nella mandibola e il seno mascellare nell’arcata superiore.Costituisce controindicazione la presenza di malattie sistemiche non compensate rilevate da un’accurata anamnesi. Per l’intervento il pazien-te viene preparato con sedativi per vincere l’ansia e con un adeguato dosaggio di anestetico che permette di controllare il dolore intraoperato-rio, mentre gli antidolorifici comu-ni lo aiutano a sopportare il dolore postchirurgico. Dopo qualche mese, quando il processo di osteointegra-zione e di guarigione si è realizzato,
si procede alla finalizzazione con protesi definitiva, che è in ceramica, con forma, volume e colore dei den-ti esteticamente eccellenti. Tutti i denti sono avvitati in modo da poter revisionare la protesi ed eseguire re-interventi protesici, quando fossero necessari, senza dover compromet-tere tutto il manufatto. La terapia di mantenimento sia domiciliare, con l’attento controllo della placca con mezzi e modi adeguati, sia pro-fessionale con sedute periodiche di igiene orale effettuate nello Studio, garantisce la durata nel tempo della ricostruzione.
Con l’impianto a carico immediato masticazione senza indugiI recenti progressi dell’implantologia garantiscono tempi ridotti e risultati estetici oltre che funzionali
RX panoramica con impianti osteointegrati
di Francesco condolucilibri letti per voi
Il mondo è sull’orlo di una catastrofe alimentare. Perché? Perché “la fine del cibo” è sempre più vici-na. Qualche dato? Nel 2050, per soddisfare il cre-scente fabbisogno di mais e grano della popolazio-ne mondiale, ci vorranno 1000 miliardi di tonnellate d’acqua in più rispetto a quelli utilizzati oggi. Nei prossimi 40 anni, in tutto il pianeta, crescerà verti-ginosamente anche il consumo di carne pro capite e per nutrire il bestiame bisognerà raddoppiare la produzione di granaglie: con quella attuale, infatti, saremo in grado di sfamare al massimo 5 miliardi di persone su 9. A tutto questo aggiungiamo che mul-tinazionali e grande distribuzione alimentare stan-no battendo sempre più la scorciatoia dei prodotti elaborati, frutto di ricerche chimiche e biologiche, per soddisfare l’incalzante domanda di cibo, finen-do per provocare però un’intensificazione delle pa-tologie mortali legate alla cattiva alimentazione. A
questo punto, l’unica strada per evitare il disastro che sembra incombere sul mondo, è “ritornare al-la terra”. Riprendere cioè a coltivare e produrre, in proprio o ancora meglio in forma collettiva, frutta, ortaggi, carne, pollame, utilizzando tutti gli spazi disponibili, nelle città, nelle metropoli, nei giardini di casa, nelle terre e nei luoghi abbandonati dalle migrazioni urbane. Vi sembra un monito apocalitti-co da Savonarola del terzo millennio? La sussiego-sa profezia di qualche fanatico dell’eco-sostenibile? Sbagliate: è il responso che vien fuori dalla docu-mentata e puntuale analisi sul complesso panorama mondiale dell’agroalimentare nell’era della globaliz-zazione, contenuta nel libro La rivoluzione della lat-tuga, l’ultima fatica di Franca Roiatti, giornalista di Panorama e già autrice, nel 2010, del primo studio italiano sul fenomeno del land grabbing, la caccia alle terre coltivabili e ai cosiddetti investimenti-alpha (rischio minimo, massimo profitto) nel Terzo Mondo da parte di investitori senza scrupoli che hanno ca-pito in anticipo che il cibo sarà “l’oro del futuro”. Il sottotitolo del bel libro della Roiatti, pubblicato lo scorso anno per i tipi della Egea (www.egeaonline.it) recita però provocatoriamente: “si può riscrivere l’economia del cibo?”. Prima di dare una risposta a questo fatidico quesito, con l’autrice proviamo però a partire dall’inizio.
Cosa ti ha spinto a scrivere La rivoluzione della lattuga? Ero stanca di mangiare frutta e verdura di plastica e ho deciso di provare a comprarle direttamente da un’azienda biologica. Mi sono informata e ho sco-perto che nell’area di Milano in un anno erano nati almeno una decina di servizi di consegna a domici-lio. A questo poi ho aggiunto l’ostinazione nel vo-ler coltivare qualcosa sul balcone, una passione che riguarda sempre più persone e sempre più cittadini nel mondo stanchi di essere consumatori disatten-ti: mangiare è un atto politico, farlo in modo con-sapevole è forse la rivoluzione più grande che pos-siamo attuare.
Perché i grandi media si occupano poco dei trucchi, degli affari sporchi, delle iniquità della catena alimentare? I media si occupano soprattutto delle crisi, come l’epidemia di E coli che ha colpito la Germania nel maggio del 2011, oppure del rialzo dei prezzi ali-mentari, o degli episodi più eclatanti di contraffazio-ne dei prodotti. Ciò che manca, forse, è una rifles-sione più approfondita sulle storture profonde del sistema. I governi, a tutti i livelli, hanno demandato la politica alimentare al mercato. Ma la questione del cibo è nodale per il futuro dell’umanità: abbia-mo di fronte la prospettiva di un mondo affollato e di un clima che sta inesorabilmente cambiando.
L’autrice, Franca Roiatti, presenta il suo libro
La rivoluzione della lattuga
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Proviamo ad accennare una lista dei re-sponsabili delle distorsioni della produ-zione e distribuzione alimentare che si sono verificate a partire dagli anni ’90…Abbozziamo qualche numero: dieci società detengono il 67% dei brevetti sulle semen-ti, altrettante controllano l’89% delle forni-ture di pesticidi. I primi 10 big dell’industria alimentare controllano più di un quarto del loro settore. L’elenco comprende Monsanto, Syngenta, Dupont, Bayern, Nestlè, Kraft, Uni-lever. A questi dobbiamo aggiungere i giganti del trading delle materie prime agricole come Cargill e quelli della grande distribuzione co-me Wal Mart, Carrefour, Tesco
Quali sono, per i consumatori, gli effetti più immediati dell’aggressione alimenta-re scatenata dai nuovi padroni del cibo?L’ampia diffusione di cibi ricchi di grassi e zuc-cheri, pubblicizzati ovunque, e la perdita della diversità del gusto: tre quarti della biodiversità agricola è infatti già andata perduta. Oggi il 90% della nostra alimentazione arriva da 15 piante e 8 specie animali. Allevati spesso in condizioni deplorevoli. Molti piccoli agricolto-ri sono stati schiacciati perché il frutto del loro lavoro non veniva pagato abbastanza.
Dai community garden di Chicago alle cooperative modello cubane, ai Gruppo di Acquisto Solidale in Europa: a che pun-
Un anno di felicitàNel 2012 Barbanera, l’almanacco più celebre e antico d’Italia, festeggia i suoi 250 anni. Un compleanno speciale per il quale l’Editoriale Campi e la Fondazione Barbanera stanno dando vita a tutta una serie di iniziative. Tra queste: “Un Anno di Felicità. Racconta i tuoi momenti felici e vinci”, concorso fotografico on line lanciato sul sito www.unannodifelicita.it, con scadenza 30 aprile. Partecipare è facile: basta raccontare un proprio momento felice con una foto oppure con un video di 60 secondi. I documenti verranno valutati mese per mese da una giuria di “esperti in felicità”. Ai vincitori premi originali e inattesi, come un viaggio nel regno del Bhutan, il paese gemma dell’Himalaya, definito il regno della felicità per aver scelto di indicare il proprio stato di “salute” non con il PIL (prodotto interno lordo) ma con il FIL (felicità interna lorda)! Anche gli utenti Facebook e Google+ potranno comunque dire la loro e votare le opere preferite. Tutti i documenti ricevuti, infine, saranno studiati dall’antropologo Franco La Cecla che li utilizzerà per tracciare la mappa dell’Italia felice e scattare la sua “fotografia” al Paese da cui prenderà avvio un dibattito che si concluderà con un convegno il 24 maggio 2012per proseguire poi online.
to è la battaglia per l’affermazione della “democrazia alimentare”?Nella mia ricerca ho incontrato persone entu-siaste, desiderose di ricostruire la propria rela-zione con il cibo e i rapporti con la loro comu-nità. C’è ancora molta strada da fare e molti “rivoluzionari” della lattuga si perderanno per strada. Ma sono certa che il fenomeno ha messo radici e crescerà.
E in Italia?Il primo Gruppo di Acquisto Solidale è nato nel 1994; oggi si calcola che i GAS siano al-meno 2000. Alcuni hanno dato vita a veri e propri distretti di economia solidale che stan-no cambiando il volto del territorio e la sorte di aziende agricole. La gente compra sempre di più nei mercati contadini, direttamente dai produttori, gli orti comunitari germogliano in tutte le città.
Ma l’unica ricetta per riscrivere l’econo-mia del cibo è davvero la “permacultu-ra” o ci sono alternative più facilmente percorribili?Non esiste un’unica ricetta. Per citare Vanda-na Shiva le “monoculture della mente” so-no le più preoccupanti. Direi che la cosa più importante è cominciare a farsi domande su quello che compriamo e vincere il torpore della passeggiata tra gli scaffali per riempi-re il carrello.
“Mangiare è un atto politico, farlo in modo consapevole è forse la rivoluzione più grande che possiamo attuare”
In apertura Franca Roiatti, giornalista di Panorama e già autrice del primo studio italiano sul fenomeno del land grabbing
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Avere una bella ceraÈ dedicata alle figure in cera a Venezia e in Italia la mostra organizzata a Pa-lazzo Fortuny, la prima mai realizzata al mondo sul tema. Le sale dello storico Palazzo, divenuto ormai un punto d’in-contro imprescindibile per gli amanti dell’arte che si recano a Venezia, sem-brano fatte a posta per ospitare l’espo-sizione. Il percorso prende l’avvio dal tema del calco e della maschera fune-bre: nella prima sezione sarà esposta una serie di maschere funebri in cera di dogi veneziani del XVIII secolo, te-stimonianza unica dell’uso di utilizzare “doppi” di cera nelle cerimonie fune-bri; seguono volti di santi e di crimina-li, due temi ricorrenti nella tradizione ceroplastica. La sezione centrale della mostra, dedicata al vero e proprio ri-tratto in cera, è introdotta da due figu-re a grandezza naturale di bambini ve-neziani del Settecento in abiti d’epoca di qualità impareggiabile per esecuzio-ne e inquietante nel realismo.
10 marzo - 26 giugno
Palazzo Fortuny - San Marco, 3958 Venezia - www.museiciviciveneziani.it
L’Arca – Chiesa di San Marco, a Vercelli, che ospita la collezione Guggenheim, dedica i propri spa-zi a 40 selezionatissime opere di tre giganti dell’avanguardia, Miró, Mondrian e Calder, dei quali si ripercorre in modo cronologico e puntuale la carriera. Interessante l’esposizione, non meno la struttura che la contiene: una ex chiesa gotica a tre navate al centro della quale è stata costrui-ta un’arca rettangolare che funziona da spazio espositivo. Le pareti sono disegnate da affreschi emergenti ancora da studiare, mentre sulla facciata d’ingresso campeggia, a caratteri cubitali, la scritta Mercato pubblico, altra passata destinazione della fascinosa struttura.
3 marzo - 10 giugno
Arca, Chiesa di San Marco - Piazza San Marco, 1www.guggenheimvercelli.it
Si articola nelle stanze della Casa-museo Giorgio de Chirico il progetto espositivo che prevede gli interventi di diversi artisti di livello internazionale, invitati a dialogare con le opere, gli oggetti e l’ar-chitettura preesistenti. I lavori esposti – installazioni, dipinti, disegni, sculture, fotografie – sono re-alizzati appositamente per i suggestivi spazi della casa in cui de Chirico abitò negli ultimi trent’anni della sua vita, sviluppata sui tre piani superiori del seicentesco Palazzetto dei Borgognoni in Piazza di Spagna a Roma. Qui le opere pittoriche, grafiche e scultoree testimoniano la fervida attività del de Chirico artista, mentre l’arredamento e gli oggetti presenti nella casa svelano un lato più inti-mo e personale del grande maestro.
fino al 27 gennaio 2013
Fondazione Giorgio e Isa de Chirico - Piazza di Spagna, 31 - Romawww.fondazionedechirico.org
D’après Giorgio
I giganti dell’Avanguardia
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arte di Gilda Ciaruffoli
AD_tb4_AitOne-230x285_12-3-2012.indd 1 08/02/12 09:52
Alla cultura del cibo, con uno sguardo a 360°, è invece dedicato il blog di Nicola Ganci e Erica Repaci, appassionati esploratori di vita e di cibo, o meglio, come dicono loro stessi: due splendidi trentenni, in cerca di lavoro, vivi, belli, bravi e… modesti. Nel loro blog troviamo molti approfondimenti interessanti e curiosità su piatti, tradizioni, letteratura ed eventi legati al cibo. Molte le ricette, facili e accattivanti, utilissima la sezione dedicata a trattorie e locali sperimentati di Genova e del Piemonte.www.diciboealtrestorie.com
Sempre in tema di contaminazioni tra cibo e arte, curioso lo spazio curato da Paolo Maria Deganutti. Veneto di nascita e toscano di adozione, ama definirsi un enofilo e di vino si occupa sia da designer, disegnando calici e bicchieri, sia organizzando eventi e degustazioni. Nel suo rifugio troviamo utili consigli di lettura, ovviamente a tema enogastronomico, e una speciale sezione di ricette ricavate da libri e film famosi. Un esempio? La caponata di Leonardo Sciascia, magistralmente elaborata da Gianola Nonino. Provare per credere. www.irifugidellospirito.org
In rete troviamo spesso bellissime foto di piatti preparati con arte, album interi dedicati alle preparazioni ed esistono molti fotografi specializzati nell’immortalare il cibo. E se al posto delle foto ci fossero dei cartoon? Alya Mark, una straordinaria illustratrice spagnola, ci propone le sue ricette, minuziosamente illustrate, con istruzioni chiare e immediate. Un blog colorato e divertente, per vere appassionate di cucina e disegno. È in lingua spagnola, ma vale davvero la pena di visitarlo. http://cartooncooking.blogspot.com
Acquoline letterarie
La cucina illustrata
Una zucca, un pomodoro, un grappolo d’uva, tutto può essere visto da una prospettiva nuova e inaspettata. Mettendo in campo, è proprio il caso di dirlo, creatività, gusto e amore per la terra crescono frutti originali e straordinariamente interessanti, come l’Orto di Michelle, un luogo sul web dove scoprire le infinite connessioni dei prodotti dell’orto. Con la moda, l’arte, il design, senza dimenticare, ovviamente, la cucina. È Mirco, stilista-ortista, che coltiva e disegna questo incredibile blog dedicato ai lati inaspettati e fascinosi dell’orto. Da non perdere. http://lortodimichelle.blogspot.com
Parola di ortista
Esploratori di vita e osterie
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cibo in retenotizie curiosità consigli passaparola gossip
di Paola Caselli
Grow the Planet è il social network tutto italiano dedicato agli appassionati di lavori dell’orto, che siano agricoltori professionisti, coltivatori esperti o principianti. Lo scopo è quello di diffondere la cultura di un’alimentazione più sana e naturale attraverso la creazione di una rete di amicizie virtuali basate su un interesse più che concreto, offrendo la possibilità a chi lo desideri di scambiarsi informazioni su tecniche di coltura, tempi di semina e di raccolta, irrigazione e potatura. Volendo si ha anche la possibilità di segnalare la posizione del proprio orto e di creare di conseguenza una vera comunità di coltivatori diretti che vivono nella stessa zona. Il sito fornisce anche informazioni su condizioni meteo ed eventuali misure da prendere in caso di eventi atmosferici estremi. http://beta.growtheplanet.com
C’è chi gli scarti di frutta e verdura li butta semplicemente nel cestino – speriamo nell’umido –, c’è chi con gli scarti fa il compost, ma c’è anche chi con gli scarti crea oggetti di design. Completamente biodegradabili, ecco gli accessori del designer israeliano Ori Sonnenschein. Realizzata completamente a mano, Solskin Peel è la linea di oggetti per la casa fatta di bucce d’arancia essiccate. Colorati e divertenti, a fine vita si trasformano in ciotole per le piante o per gli uccellini. www.solskindesign.com
E a proposito di cultura sostenibile, sono ormai in molti a scegliere di diventare vegetariani, così come aumentano coloro che optano per uno stile di vita Vegan che vede bandite non solo le carni ma qualsiasi prodotto abbia origine animale. Punto di riferimento della cultura vegana è il Vegan Blog, che raccoglie centinaia di ricette, prodotti, notizie, consigli e appuntamenti, certificati dallo specifico marchio di qualità Cruelty Free.www.veganblog.it
Idee cruelty free
La buccia che visse due volte
Quando un chicco di caffè fa nascere una passione, le declinazioni possono diventare praticamente infinite. E una passione si trasforma in lavoro, anche in tempi di crisi. Se amate il caffè o siete semplicemente curiosi, lasciatevi avvolgere dal seducente percorso alla scoperta del suo mondo. Storie, racconti, prodotti, ricette e trucchi per imparare tutto sul caffè, gustarlo, ma anche per aprire un bar con successo, grazie ai corsi organizzati dalla Espresso Academy.www.ilcaffeespressoitaliano.com www.aprireunbar.com
Un desiderio appena espresso
Cambia il mondo con un click
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Ogni anno quando inizia la stagione primaverile ci viene voglia di cose nuove, colori nuovi, pesi più leggeri, materiali freschi.E di comperare accessori.Scarpe che abbiamo già visto nelle vetrine dei negozi ma che ci sembravano troppo colorate o troppo delicate perché sui nostri marciapiedi c’erano ancora 20 cm di neve.Borse realizzate con materiali e forme innovative.Cinture da abbinare anche a capi che abbiamo già nel guardaroba ma che in qualche modo tornano a splendere. Occhiali dalle montature inedite e dalle lenti colorate.Cravatte con disegni estrosi o con tinte unite più calde.Sciarpe leggere.Spille, fermagli, anelli, bracciali, collane, orecchini.Insomma: dopo un inverno super rigido, non solo dal punto di vista climatico, il mese di marzo ci spinge sempre a nuovi acquisti.Ognuno di noi ha bisogno anche delle più piccole gratificazioni.Ecco cosa ci propongono le griffe:MiuMiu: borsa multicolor.Church’s: scarpa classica, ma non nei colori.Etro: cappelli e sciarpe con tinte tenui.Hogan: occhiali con lenti super tecnologiche.Chloè: scarpa in tessuto jeans.Marni: accessori super colorati e leggeri.Polo Ralph Lauren: gessato blu primaverile.Bulgari: occhiali rosa arricchiti da scintillanti pietre verdi.
Mese nuovo. Mese di primavera. Giorni più chiari. Vento. Cambiamenti. E perché no, nuovi accessori!
di Giemme
Piccole soddisfazioni marzoline
In alto, Africa di Marni, a destra Polo di Ralph Lau-ren. Tutto attorno: trittico di cappelli Etro, scarpa in tessuto jeans Chloè e borsa multicolor MiuMiu
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Gioielli in cantinaMassimo Gianolli, appassionato di vini sin dalla giovinezza, dà avvio alla produzione nel 2005, selezionando l’uva destinata al suo primo Amarone, che viene alla luce quattro anni più tardi. Inizia così la storia dell’azienda vinicola La Collina dei Ciliegi, oggi parte di un progetto che ha, letteralmente, “preso il volo”
L’azienda vinicola La Collina dei Ciliegi nasce dalla passione della famiglia Gianolli per la terra, l’agricoltura e il vino; le sue origini risalgono alla fine degli anni ’60 dello scorso secolo. La sede amministrativa è a Milano, quella commerciale a Biella, in Piemonte, mentre l’azienda agricola e i vigneti sono in Ve-neto, sulle colline della Valpantena nei pressi di Verona. Una tenuta di 45 ettari allietata sia da vigne che da lussureggianti ciliegeti (di qui la denominazione del marchio) che oggi pro-duce e commercializza vini tipici veronesi quali Il Garganega Igt, il Lugana Doc, il Brut (Metodo Charmat), lo Zamuner Ri-serva Villa La Mattarana (Metodo Classico Extra Brut) il Cor-vina Igt, il Valpolicella Superiore Doc, il Ripasso Doc, il Ripasso Superiore Doc, l’Amarone Doc e il Recioto Doc. Oltre a quello italiano, i mercati dove i prodotti vengono esportati in quantità rilevanti sono Cina, Regno Unito, USA, Germania, Australia e Paesi Scandinavi. Nel 2010 è stato inaugurato lo showroom di Milano, in via Melchiorre Gioia 45, dove è possibile degustare l’intera gamma in un ambiente rilassante e riservato. I vini de La Collina dei Ciliegi sono destinati all’Ho.Re.Ca di qualità e a intenditori privati, e sono distribuiti in Italia e all’estero attra-verso i seguenti canali:
-gurato nel maggio 2011 a Porto Cervo. In ottobre la bou-tique è stata trasferita a Milano, in via Melchiorre Gioia 45. Nei mesi successivi sono nate le prime Gioiellerie del Vino in franchising, a Legnano, Como e Roma. Sono allo studio aperture all’estero: prima mossa a Shanghai;
-tisce il contatto diretto tra cliente e produttore, ma anche attraverso selezionatissime piattaforme di terzi; a breve la gamma sarà disponibile sul sito cinese The Lux;
comunicazione e di posizionamento dei prodotti.
Alla fine del mese di febbraio La Collina dei Ciliegi ha presen-ziato a un road show di 10 giorni a Shanghai, e parteciperà, a Verona, alla fiera internazionale Vinitaly (stand F3-F4 - Pad 7B). Gli amici del marchio sono sempre più numerosi. Dopo un solo anno di presenza sui principali social network (Facebook, Twitter etc.) se ne contano più di 7.000. Infine, per la clientela più raffinata ed esigente, l’azienda propone un servizio inegua-gliabile che prevede, a disposizione di chi lo desideri, a casa o sul proprio yacht, uno chef di fama internazionale che “crea” in esclusiva e un sommelier che abbina alle vivande i vini più indicati. Vi attendiamo per degustare insieme le primizie della straordinaria vendemmia 2011.La Collina dei Ciliegi - Località Erbin, 36
Grezzana (Vr) - www.lacollinadeiciliegi.it
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Dettagli iconiciForma oversize e volumi sinuosi per l’occhiale da sole Belle dall’allure iper femminile che si traduce nel frontale arrotondato in iniettato e nelle aste ondulate in metallo, elemento iconico degli occhiali Jimmy Choo. La gamma cromatica si sviluppa con abbinamenti raffinati: avana/oro, nero/oro, beige/oro rosso e grigio specchiato/oro chiaro. Prezzo: 190 euro
Impossibile da dimenticareLouise Turner (Givaudan) ha creato la fragranza Roberto Cavalli Profumo per lei, esuberante e solare, le cui note alte, illuminate dal peperoncino rosa, emanano una genuina forza di carattere. Vibrante e sensuale, il profumo esulta al primo contatto, racchiudendo la nobiltà assoluta del fiore d’arancio. Questa sensualità si avvolge nelle note di fondo del Tonka bean che lascia la sua essenza intrigante sulla pelle... ed è impossibile da dimenticare. Prezzo: 30 ml 55 euro / 50 ml 73 euro / 75 ml 95 euro
Sotto il sol leoneCappello in paglia stretch della collezione estiva Ermanno Scervino, linea che ridisegna le fantasie classiche nelle sfumature del nuovo celeste pastello rendendole insolitamente moderne. Prezzo: 180 euro
shopping di Olga Carlini
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Shining heartCuore bombato in plexiglass trasparente, impreziosito con Swarovski elements cristal, con collarino in argento rodiato. Artigianato tutto italiano dermatologicamente testato. Disponibile in 22 diverse colorazioni dei cristalli. Prezzo: 76 euro
Stampare senza vincoli Stampe professionali, veloci e da realizzare in qualsiasi circostanza grazie all’elegante e portatile Selphy CP810 di Canon dal design sottile e compatto, ricca di funzioni creative e semplici da utilizzare. È in grado di produrre stampe in formato cartolina (148 x 100 mm), L (119 x 89 mm) e carta di credito (86 x 54 mm). Prezzo: 110 euro
Fiori in viaggioDesign, colore e funzionalità sono i
protagonisti di questo trolley con stampa floreale che, grazie alle 4 ruote piroettanti,
garantisce massimo confort e praticità per il viaggiatore. Il compagno ideale per viaggi
brevi o più impegnativi, con il vantaggio della leggerezza del policarbonato.
Massima sicurezza grazie alle chiusure rigide in polipropilene.
Prezzo: trolley grande 239 euro / trolley medio 229 euro
Ritratti in rete
La fotocamera WB850F, compatta super zoom dotata
della tecnologia Wi-Fi Direct, è
perfetta per condividere i propri
scatti attraverso tutti i social network. Prezzo: 379 euro
Colori compositi
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Colori compositi
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Incontro col Barone Un’amicizia nata in terra siciliana, dalle radici solide, come quelle delle viti, e come il vino lasciata riposare e invecchiata bene
Questa è la storia di un’amicizia ritrovata, un affet-to che ha resistito alla distanza e agli anni. È la storia di Vincenzo, anziano Siciliano partito dalla sua terra negli anni 50 per trasferirsi in Germania, dove si è sposato e ha avuto 2 figli, ormai grandi. Ci raccon-ta Vincenzo: «Tutto è cambiato in Sicilia da quando sono partito da emigrante: il modo di vestire, i paesi, la campagna e soprattutto la mentalità. Prima di par-tire avevo lavorato come aiuto portiere nel palazzo del vecchio Barone La Lumia e avevo fatto amicizia col suo nipotino Nicolò, trascorrendo insieme a lui le ore libere della giornata, divertendoci con i sem-plici giochi di un tempo. Ora, tornato a Torre di Gaf-fe nei pressi di Licata, là dove nel 1943 sbarcarono gli americani, ripensando alla fanciullezza mi venne il desiderio di rivederlo. Lo chiamai al telefono e mi feci riconoscere. Ci incontrammo nella sua tenuta,
non lo avevo più visto da circa sessanta anni. Era di-ventato un distinto anziano signore, non sapevo se dargli del Voscenza come usava a quei tempi o del tu e lui avendo capito il mio imbarazzo mi abbrac-ciò dicendomi: “Caro Viciuzzo sarà passato tanto tempo ma io sono rimasto lo stesso. Come tu sai ho sempre amato la campagna e a questa mi sono dedicato con grande passione e amore. Era la vigna che specialmente mi entusiasmava perché ne pote-vo seguire l’evolversi fino all’arte di saper trasformare il frutto in ottimo vino. Studiai il mio territorio ricco di mille avvenimenti e di tante leggende, imparai a fare il vino cosi come lo fecero i vecchi coloni greci, imparai le nuove tecnologie che mi diedero la possi-bilità di coniugare la saggezza e l’esperienza con le nuove scoperte enologiche. Fu tutto un ricercare nei ruderi dell’antichità i segreti di quest’arte e aggiun-
gervi quel tanto di creatività che li rendeva antichi e moderni allo stesso tempo. Questo ho fatto caro Vi-ciuzzo e cosi ho accumulato nel tempo tante belle esperienze per me e per gli altri. Ho cercato di ridare ai vini di Sicilia le vesti regali di un tempo. Ho raccolto nel casale della mia tenuta tanti oggetti da cui rifulge le bellezza l’arte e l’animo del popolo Siciliano. Oggi è bello poter raccontare, mostrare e offrire ai turisti di tutto il mondo questo sogno che si è concretiz-zato nel tempo in questa campagna dove trascorro una vita ancora piena di interessi”. Lo guardai e dissi: “Come sarebbe stato bello restare con te la mia vita sarebbe stata di sicuro più serena e felice”. Ci abbrac-ciammo con la promessa di rivederci presto».
www.baronelalumia.it facebook: tenuta la lumia
selezioni
AUT. CONSORZIO PER LA TUTELADEL FORMAGGIO PECORINO ROMANO
N. 63/92 - D.P.R. 30/10/1995MODIF. COND D.M. 06/06/1995
D.O.P. - REG. CE 1107/96
GARANTITO DAL MINISTERODELLE POLITICHE AGRICOLE,
ALIMENTARI E FORESTALIAI SENSI DELL’ART. 10
DEL REG. (CE) 510/2006
Raccolta Latte: Il latte di pecora, materiaprima del Pecorino Romano, viene rac-colto da greggi altamente selezionateprevalentemente dai ricchi pascoli delfertile Agro Romano, da Ottobre a Giu-gno, nel rispetto del ciclo naturale dellapecora da latte.
Finitura: tipica dell’antica Roma e cheancora oggi contraddistingue il BRVNELLID.O.P. è la sua caratteristica scorza nera,la “cappatura” nera come comunementeviene definita, simbolo della tradizioneRomana
Salatura: esclusivamente a secco!BRVNELLI ancora oggi come secoli fa,secondo la tradizione romana, portaavanti la salatura a secco, anziché adimmersione in salamoia
Stagionatura: dai 12 ai 18 mesi, in antichegrotte naturali tufacee risalenti al periodo Etrusco-Romano del I sec. A.C.
Cucina Italiana_Layout 1 09/11/11 10.50 Pagina 1
Industria artigiana situata a metà strada tra i ma-ri Jonio e Tirreno, Calabraittica nasce sulle basi e dall’esperienza trentennale di una piccola attività di famiglia. Negli anni 90, con il marchio Oroazzur-ro, diventa Industria con l’obiettivo di conservare il pesce delle coste locali mettendo in pratica me-todi e segreti tradizionali di un piccolo laboratorio artigianale. Oggi, l’industria si estende su 2000 mq di locali altamente rifiniti e attrezzati di celle frigo con una linea di confezionamento automatica. Il marchio Oroazzurro con la produzione di acciu-ghe, sardine, filetti, novellame, sughi è presente in Italia e all’estero nei negozi di prodotti tipici, nelle gastronomie e nella grande distribuzione. Altissi-ma la cura, e tanti i piccoli preziosi accorgimenti che l’azienda mette in atto in fase di produzione, come la lavorazione del fresco effettuata entro po-che ore dalla pesca, che regala al palato il piacere di sapori persi nella memoria e finalmente ritrova-ti. I processi di trasformazione e le fasi di confezio-namento concorrono in modo decisivo a questo risultato, garantito da un rigoroso sistema di con-trolli e, ancor prima, dalla selezione del pescato. Il
Alla ricerca dei sapori
perdutiCalabraittica si dedica da più di un
decennio alla produzione di prodotti ittici avvalendosi di semplici
materie prime come il sale, l’olio e il peperoncino, per farci gustare
tutto il sapore della natura e della tradizione di terra calabra
Il marchio Oroazzurro, con le sue specialità marinare è presente in Italia e all’estero nei negozi di prodotti tipici,
nelle gastronomie e nella grande distribuzione
selezioni
Calabraittica Strada San Francesco, 1 Anoia (Rc) Tel. 0966944935 - Fax. 0966 944983www.calabraittica.it
Non tutti i filetti sono ugualiIl Filetto Reale Piccante Calabraittica ha ottenuto il riconoscimento come Prodotto Innovativo nell’ambito della scorsa edizione di TuttoFood. Le alici utilizzate sono pescate nel mare Ionio e trasformate in tempi brevi; catturate e salate nei mesi di settembre/ottobre dopo un’accurata pressatura con l’umidità ideale della zona, a maturazione ideale vengono conservate e stagionate per almeno 24 mesi. Le motivazioni del riconoscimento recitano: “Riteniamo tale trattamento innovativoin quanto solitamente i tempi di lavorazione e preparazione delle acciughe alla vendita avvengono in 4/5 mesi”.
reparto di produzione opera secondo le normative CEE, applicando rigorosamente il sistema HACCP. Inoltre l’azienda adotta tutte le procedure e le pre-scrizioni previste dallo standard I.F.S. (International Food Standard). Qualità e sicurezza sono garantite non solo dai ripetuti test dell’azienda (idoneità delle materie prime e conservazione), ma anche da scru-polosi organi istituzionali di controllo. Freschezza e qualità ottimale del prodotto sono tutelate anche dai materiali selezionati per le confezioni che pre-servano al meglio i prodotti.
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Il saporedella Primavera Tre MarieLa Colomba Tre Marie. Una ricetta antica, custodita e tramandata nel tempo. La forma della Colomba, con le ali spiegate in volo, è ricca di significati simbolici positivi, vitali e solari. Evoca purezza, morbidezza, leggerezza e pace. Celebra la rinascita, il rinnovamento, il risveglio tipici della primavera. Una tradizione che vive ogni anno nella nostra ricetta
Luci. Colori. Profumi. La dolcezza Tre Marie
ritorna e arricchisce il momento
con sapori senza tempo
Tre Marie è una marca storica diventata negli anni sim-bolo della tradizione dolciaria milanese, sinonimo di prodotti di pasticceria di alta gamma, preparati con competenza e cura. Tre Marie ha una storia affasci-nante, fatta di autenticità e gusto, valori ed emozioni, che inizia nel lontano 1150 nel cuore di Milano, con la nascita del Forno benefico delle Quattro Marie e con-tinua con la fondazione nell’Ottocento della rinoma-ta Pasticceria Tre Marie, punto di riferimento per raffi-natezza e qualità. Le specialità della casa erano i dolci lievitati, il Panettone e la Colomba, tipici della tradi-zione natalizia e pasquale. Nasce così una produzione tramandata di anno in anno nel rispetto delle ricette originali: una bontà che grazie a Tre Marie è diventa-ta uno dei simboli irrinunciabili delle Feste. La Colom-ba Tre Marie nasce ancora oggi nel cuore di Milano, con grande fedeltà alla ricetta delle origini: un morbi-do impasto di farina, burro e uova fresche, arricchito con scorze d’arancia candite, ricoperto da una glassa decorata con mandorle intere e granella di zucchero. Gli ingredienti, dalla farina alle uova fresche, dai canditi alle mandorle sono accuratamente selezionati e frutto dell’impegno e della passione di Tre Marie per la qua-lità. Il processo produttivo è lungo e curato: tre impa-sti, tre giorni di lievitazione, otto ore di lento raffredda-mento. Tre giorni complessivi di lenta attesa suggellati
dalla decorazione con la glassa, la bianca granella di zucchero e con le mandorle intere. La Colomba è poi cotta a vista e lasciata raffreddare lentamente per ot-tenere la sofficità perfetta. L’ingrediente più prezioso di tutti i nostri prodotti è il lievito naturale. Nasce da un impasto detto Madre, conservato da sempre in un ambiente isolato e chiuso nel cuore dello stabilimento Tre Marie. Protetta da un panno di cotone e racchiu-sa con cura con una corda, la Madre è composta da microrganismi vivi che si rigenerano spontaneamente, giorno dopo giorno. Da sempre la custodiamo con cu-ra e ne preleviamo piccole porzioni, per dar vita a tutti i nostri prodotti lievitati.
Ti invitiamo a scoprire Tre Marie attraverso la Collezione Pasqua 2012. Visita tremarie.it.
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Le origini del Castello di Spessa risalgono al milleduecen-to, ma dalle testimonianze documentali si evince una sto-ria ancora più antica, fino a un primitivo stanziamento dei Romani nel III secolo d.C. Nel 1987 la tenuta è stata acquistata da Loretto Pali, che gli ha dato nuova vita e ne ha fatto il cuore del complesso d’hotellerie Castello di Spessa Resort, con campo da golf 18 buche, l’Hosteria del Castello, La Tavernetta al Castello Hotel e Ristorante, l’azienda vinicola, la sala congressi Casanova e il wine store. L’ospitalità quindi, è di altissimo livello. Ma senza trascurare l’aspetto vitivinicolo del territorio. I vini a oggi prodotti si dipanano in una gamma variegata, che spazia dal bianco al rosso e strizza l’occhio alla tipicità: Friula-no, Ribolla Gialla, Pinot Bianco, Pinot Grigio, Sauvignon, Santarosa Pinot Bianco in barrique, Segrè Sauvignon e, per i rossi, Torriani Merlot, Vigna Rosaris Merlot, Rassau-er Cabernet Sauvignon, Casanova Pinot Nero, Conte di Spessa Collio Rosso. Le cantine d’invecchiamento, sintesi perfetta di funzionalità ed estetica, sono visitabili.
Accoglienza tra i filari
Castello di SpessaVia Spessa, 1 - Capriva del Friuli (Go)Tel/Fax: 0481808124www.castellodispessa.it - www.paliwines.com
Castello di SpessaPinot Bianco Doc CollioProdotto a Capriva del Friuli (Go), il vino (100% Pinot bianco), dal colore giallo paglierino con riflessi dorati, all’olfatto è ricco e ricorda la frutta matura e tropicale (ananas, melone, banana e mela al forno). Le uve sono vendemmiate a mano nella seconda decade di settembre. Al gusto risulta condito con una nota intrigante di burro, l’entrata in bocca è molto ben bilanciata e il finale è lungo e ben sostenuto. Consigliato l’abbinamento con antipasti leggeri a base di pesce al vapore e pesce di mare, risotti delicati di pesce e piatti di pasta o minestre di verdura. E ancora spaghetti con le triglie, tagliatelle con sogliola allo zafferano, zuppa di frutti di mare con polenta, orata al forno, rombo con patate e zuppa di pesce. Temperatura di servizio: 10°- 12° C. Gradazione alcolica: 14% vol.
Il Castello di Spessa a Capriva del Friuli, in provincia di Gorizia, fa parte – con l’azienda vinicola La Boatina di Cormòns – del gruppo Pali Wines. Intorno a esso si estende una proprietà di 60 ettari, di cui 25 coltivatia vigneto, tutti dislocati nella Doc Collio
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Happy Hour made in SicilyAppuntamento al Vinitaly con Le Terre di Nero d’Avola
Viticultori Associati si presenta alla 46a edizione del Vini-taly di Verona forte dei successi ottenuti dalla critica spe-cializzata e dai consumatori di tutto il mondo. La Fiera italiana del vino sarà ancora una volta l’attesissima vetrina che metterà in evidenza la crescita di questa significativa realtà produttiva siciliana che conta su oltre 460 piccoli e attenti viticoltori per una base viticola di oltre 1.000 ettari di vigneto. Giovanni Greco, presidente della Cantina di Canicattì, illustra i punti su cui ruoterà la partecipazione dell’azienda alla fiera di Verona.
Presidente, per il secondo anno consecutivo il vostro stand fieristico lancerà un messaggio chiaro. Ce lo vuole raccontare? Il territorio è la chiave di volta su cui si fonda una pro-duzione enologica di qualità. Siamo ben consapevoli
di operare in una tra le zone vitivinicole più vocate d’Italia, per tradizione e per condizioni pedoclima-tiche. Una terra, quella dell’entroterra agrigentino, che si esprime al meglio con il vitigno principe degli autoctoni di Sicilia, il Nero d’Avola. Così, già dallo scorso anno, ci è parso ovvio dover rendere omag-gio a questo talento, intitolando il nostro stand con la dicitura Terre di Nero d’Avola. Con questo non vo-gliamo dire che il migliore Nero d’Avola sia il nostro, ma piuttosto rendere più territorialmente connotati i nostri grandi rossi.Per Viticultori Associati il territorio continua quindi a essere la base di tutta una filosofia produttiva…La nostra realtà, da oltre quarant’anni, attraverso in-vestimenti soprattutto in campo tecnologico, si è im-pegnata a definire un nuovo e più alto concetto di qualità vitivinicola volta a esprimere al meglio le pe-culiarità di un territorio straordinario. La ricerca co-stante della migliore espressione dello stile siciliano è sempre stata alla base del nostro lavoro che ci ha permesso di creare dei vini che, fortemente conno-tati dai contesti di origine, rispondono, con eleganza e qualità, all’evoluzione dei consumi e alle richieste provenienti dai nuovi mercati.
Quali saranno le novità che porterete al Vinitaly di quest’anno?Ai banchi d’assaggio presenteremo in anteprima le ultime annate dei vini in commercio a marchio CVA, tutti contrassegnati da un invidiabile rapporto qualità/prezzo. Tra i prodotti della gamma aziendale, a spiccare sarà certamente l’Aynat, il nostro vino di punta ottenuto da uve di Nero d’Avola in purezza, che da poco ha ottenuto una grande dichiarazione di stima dalla prestigiosa rivista inglese Decanter nella lista dei vini siciliani più entusiasmanti. Grande spazio sarà riservato al Centuno e Fileno, che prendono vita rispettivamente da uve di Nero d’Avola e Grillo, due etichette che solo alla seconda vendemmia ci hanno regalato grandi soddisfazioni. Ai winelovers, inoltre daremo la possibilità di degustare, tra gli altri, i nostri due amatissimi blend, lo Scialo (ottenuto da un uvaggio di Syrah e Nero d’Avola) e il Calìo (Nerello Cappuccio e Nero d’Avola), che, insieme al Satari (versione frizzante del Cataratto) sono vini ideali per un Happy Hour made in Sicily.
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Oltre 2mila metri quadrati di tetti “alla piemontese”, gros-se travi di larice e un’architet-tura imponente caratterizzano la Tenuta San Giovanni, recen-temente restaurate nel pieno ri-spetto della tradizione con il ri-sultato di un ambiente rustico e raffinato. Gli edifici, di epo-ca secentesca e ottocentesca, hanno mantenuto immutata la struttura originaria e le ca-ratteristiche di semplicità e ru-ralità tipiche delle cascine lom-barde, aggiungendo un giusto tocco di eleganza. Tutto questo grazie al coordinamento atten-to di Cristiana Sartori, che da anni gestisce l’attività di fami-glia con sapienza e amore. Qui si organizzano meeting, incon-tri enogastronomici, cosi di cu-cina e matrimoni, ma prima di tutto si coltivano riso Carnaroli e il Nero di Lomellina, riso in-tegrale biologico del quale Cri-stiana Sartori è l’unica produt-trice in Lombardia. Ci racconta Cristiana: «il Nero di Lomellina nasce da una selezione durata 8 anni presso la nostra Tenuta; è un prodotto di altissima quali-tà, con chicchi che non scuocio-no mai, ricchi di vitamine, sali minerali e altamente digeribi-li (100% amilopectina), adatto a chi ha problemi di anemia o diabete». La fragranza è unica, molto delicata, e si sposa con ogni condimento. Trentadue gli ettari di campi della Tenuta convertiti a biologico, in una ro-tazione che porta ad arricchire naturalmente i terreni con so-vesci invernali, nell’ambito di un più ampio progetto “Sano e Bello” intrapreso dall’azien-da dagli anni Novanta e che la caratterizza come realtà atten-ta alla sostenibilità e al rispetto dell’ambiente.
Tenuta San GiovanniVia Uberto De’ Olevano, 1 Olevano di Lomellina (Pv)Cell. 335 57 29 936 www.Leonedilomellina.It
L’oro nero della Lomellina
A 45 km da Milano, nella campagna pavese, l’azienda agricola Tenuta San Giovanni apre i suoi saloni a eventi e cerimonie,
e propone una specialità unica: il Nero di Lomellina
Prodotto di alta qualità, dai chicchi che non
scuociono mai, ricchi di vitamine e sali minerali, il riso Nero di Lomellina ha un gusto particolarmente
delicato, declinabile nelle ricette più diverse
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Passione, tradizione ed esperienza sono gli ingredienti del successo che, dal 1892, cresce e si consolida
per la Distilleria Andrea Da Ponte Spa
120 anni e non dimostrarli
selezioni
Dal 1892 Da Ponte significa passione per la tradi-zione, utilizzo di materie prime genuine e sempli-ci con un impegno costante grazie all’esperienza nella creazione di prodotti eccellenti e dal gusto unico. Una storia piena di successi e costellata di momenti importanti: così l’Andrea Da Ponte Spa festeggia i 120 anni di attività della distillazione, anni caratterizzati da una dedizione unica e con-tinua nel tempo e da risultati eccellenti. In tutto questo tempo la Distilleria ha saputo migliorarsi, plasmarsi, trasformarsi per rispondere alle esigen-ze contingenti del mercato. Oggi come allora il Metodo Da Ponte ha sempre dimostrato tutta la propria validità e l’Azienda una grande capacità di
fornire risposte concrete rappresentando un mo-dello che ha tutte le potenzialità per affrontare il futuro. In un periodo economico e sociale diffici-le come quello in cui ci troviamo, con un mercato che tende a banalizzare il valore dei prodotti, per premiare invece i servizi al consumo, la Distilleria Andrea Da Ponte ha sempre dimostrato di portare avanti una continua innovazione sia nei processi di controllo qualitativo che nei prodotti, orientandosi sempre alla sicurezza e alla elevata qualità, princi-pali fattori alla base del suo successo. Una voca-zione autentica che trae ispirazione dalle colline di Conegliano-Valdobbiadene e che rispetta natura e tradizione, ma segue e accompagna l’innovazio-
Alla base del successo Da Ponte la cura del Tempo (per distillare non ci vuole fretta), l’attenzione per la
purezza e l’armonia della Materia, così come l’orgoglio e la
volontà di fare sempre meglio, che è Spirito. Non dimenticando la
salvaguardia dell’integrità di un
ambiente così prezioso perché Natura
selezioni
ne attraverso la sapiente combinazione di quat-tro elementi necessari all’arte distillatoria. Questi elementi sono il rispetto della tradizione, ovvero la cura del Tempo (per distillare non ci vuole fret-ta); l’attenzione per la purezza e l’armonia della Materia, così come l’orgoglio e la volontà di fare sempre meglio, che è Spirito, evocabile anche nei raffinati effluvi. Non dimenticando la salvaguar-dia dell’integrità di un ambiente così prezioso perché Natura. Con queste premesse, la distille-ria Andrea Da Ponte ha creato non soltanto tre prodotti di eccellenza, ma una vera cultura. Cul-tura del territorio, della natura, del lavoro, della
responsabilità etica. Vecchia Grappa di Prosecco 8 annate, Unica Da Ponte 10 annate e Libera Da Ponte 1992, tre grappe che sono non soltanto nettare per il palato, ma opere d’arte che elettriz-zano ognuno dei nostri sensi. L’apprezzamento da parte del pubblico e della critica specializza-ta è stato confermato negli anni da numerosi ri-conoscimenti, l’ultimo dei quali è stato conferi-to alla Riserva di 18 anni Libera Da Ponte 1992, Grappa da vinaccia di Prosecco, prodotta in 4892 champagnotte numerate e premiata con la me-daglia d’oro al prestigioso IWSC (International Wine and Spirit Competition).
Andrea Da Ponte SpaVia Primo Maggio, 1 Corbanese di Tarzo (Tv)Tel. 0438 933011 www.daponte.it
Centoventi anni di storia: oggi come ieri
il Metodo Da Ponte conferma tutta la sua validità
e l’Azienda dimostra, ancora una volta,
una grande capacità di fornire risposte
concrete rappresentando
un modello che ha tutte le potenzialità
per affrontare il futuro
selezioni
Da noi il Gavi è di famiglia Dal 1970 di proprietà di Giancarlo Ariano, che oggi lo gestisce con i figli,
Podere Saulino vanta una superficie di 12 ettari in un corpo unico, con annessa cantina di vinificazione e imbottigliamento; 9 ettari di vigneto
sono coltivati esclusivamente a vitigno Cortese
Azienda di tipo familiare destinata a durare nel tempo grazie alla gran-de passione di tutte le generazioni coinvolte (i più giovani discenden-ti della famiglia Ariano sono ven-tenni e già attivamente all’opera!), il Podere Saulino produce esclusi-vamente Gavi Docg. Nella vinifica-zione, fermentazione, lavorazione, stabilizzazione e imbottigliamento dei vini l’azienda si avvale di mac-chinari all’avanguardia sia per tec-nologia che per economicità. Nel prossimo futuro l’azienda si pro-pone di coprire l’intera superficie aziendale con vigneti, e punta an-che alla realizzazione di grappe ri-cavate della vinacce di produzione (monovitigno). Da notare le pecu-liarità del Gavi Podere Saulino che si distingue per una serie di fattori che ne contraddistinguono la quali-tà e la tenuta nel tempo; per iniziare nel vigneto non vengono utilizza-ti diserbanti e la vite viene cura-ta seguendo il regolamento 2078 che vieta l’uso indiscriminato degli antiparassitari. Inoltre, il vigneto è esposto a Sud-Ovest e prende il so-le dall’alba al tramonto, sfruttan-do in tal modo al massimo le ore di luce. Il sistema di allevamento e di potatura non consentono pro-duzioni elevate e le concimazioni sono finalizzate solo alla alta con-centrazione zuccherina e non alla quantità. Di particolare interesse, la notizia che la cantina del Podere Saulino è una delle poche il cui tito-lare è anche l’enologo, a differen-za di quello che avviene nella gran parte di quelli della zona che ven-gono seguite da un gruppo di eno-logi che danno a tutte la propria consulenza.
Podere SaulinoVia Gavi, 85Novi Ligure (Al) Tel. 0143743174 www.poderesaulino.it
Un po’ di storia Nel 1529 Novi Ligure è stata annessa alla repubblica di Genova e i Marchesi Sauli di Genova diventarono proprietari di terreni e fabbricati in Novi Ligure tra i quali il Podere Saulino, La
Saula, il Palazzo Sauli e un vicolo tutto di proprietà chiamato Sauli. I Sauli diedero a Genova 29 senatori e 3 Dogi. Verso la fine dell’800 le proprietà dei Sauli vennero a far parte della grande
tenuta del Conte Edilio Raggio. La viticoltura da sempre praticata in questa zona, fu indirizzata dall’amministrazione Raggio verso la coltivazione specializzata del vitigno Cortese da cui proviene
il vino Gavi, ora Docg.
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