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Spedizione in Abb. Post. - 45% - Art. 2 comma 20/b legge 662/96 Mensile di portualità, spiagge, sport, trasporti, viaggi e cultura mediterranea · speciale MEDITERRANEITÀ · ® L’INSULARITÀ COME RISORSA IS FIGUREDDAS DE BRONZU E SU MARI ISPANTOSU IL PERIPLO DELL’ISOLA IL DIAVOLO VIENE DAL MARE LA SARDEGNA, CROCEVIA DI POPOLI E CIVILTÀ + + 1,00 €

Viamare (N. 29)

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Numero 29 di ViaMare dedicato al Mediterraneo.

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Mensile di portualità, spiagge, sport, trasporti, viaggi e cultura mediterranea

· speciale MEDITERRANEITÀ ·

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L’INSULARITÀCOME RISORSA

IS FIGUREDDAS DE BRONZUE SU MARI ISPANTOSU

IL PERIPLO DELL’ISOLA

IL DIAVOLO VIENE DAL MARE

LA SARDEGNA, CROCEVIA DI POPOLI E CIVILTÀ

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1,00 €

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GRAFICHEGHIANI

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PREMIO EUROPA PER L’EDITORIAPremio Editore dell’Anno per l’impegno

sociale e la valorizzazione della cultura sarda

DIRETTORE RESPONSABILEGiorgio AriuIN REDAZIONESimone Ariu, Maurizio Artizzu, Lorelyse Pinna, Antonella SolinasREDAZIONE GRAFICA E IMPAGINAZIONEGIASCRITTIAntonello Angioni, Barbara Cadeddu,Lucio Deriu, Paolo Fadda, Giovanni LilliuFOTODanilo Anedda, Simone Ariu, Maurizio ArtizzuG. Molinari, Nino Muggianu CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITÀGIA ComunicazioneTel. 070 728214 - [email protected]

ANNO VI, NUMERO 29

REDAZIONE E CENTRO DI PRODUZIONEvia Sardegna, 132 - 09124 Cagliari (Italy)Tel. 070 728356 - [email protected] - facebook.com/giacomunicazioneSTAMPA E ALLESTIMENTOGrafiche GhianiDISTRIBUZIONEAgenzia Fantini (Cagliari-Olbia)

Registrazione Tribunale di Cagliari n. 18/05 del 14 giugno 2005 / Marchio depositato numero CA2005C000191

Vietata la riproduzione, anche parziale, di foto, testi e solu-zioni creative presenti nella rivista.

Sped. in abbonamento postale (45%, art. 2, comma 20/b, legge 662/96)

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Mensile di portualità, spiagge, sport, trasporti, viaggi e cultura mediterranea

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L’INSULARITÀCOME RISORSA

IS FIGUREDDAS DE BRONZUE SU MARI ISPANTOSU

IL PERIPLO DELL’ISOLA

IL DIAVOLO VIENE DAL MARE

LA SARDEGNA, CROCEVIA DI POPOLI E CIVILTÀ

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ViaMare 03

Giornale di bordo

Giorgio Ariu,direttore di ViaMare

La Sardegna ha avuto un destino dalla storia davvero speciale. Sempre sotto il dominio stra-niero eppure sempre in piedi, un miracolo autentico. Per questo la nostra isola è rimasta una “Terra marginale”, per dirla con l’Accademico dei Lincei Giovanni Lilliu: «Una terra diversa, po su caratteri morali, antagonista e arrebbellu, po s’istintu de frontiera». In questo numero speciale, tutto dedicato alla mediterraneità della nostra Terra, l’insigne storico e archeologo narra l’antico rapporto dei sardi con il mare. Due straordinari ed esclusivi servizi attorno alla storia di Sardegna, alla «subcultura de sa violentzia», ad un «sardismu proibiu, unu processu mannu, ideologicu, politicu e de cultura, nasciu ses sèculus ainnanti de Cristus», per celebra-re l’ultranovantenne scienziato, gloria della Sardegna in tutto il mondo, che ha voluto accom-pagnare da subito la missione di questo Giornale attorno alla cultura mediterranea dell’isola e alla risorsa mare.«Unu mari ispantosu», l’unicità, l’incanto del mare di Sardegna e i mille attraversamenti di popoli e di culture sono raccontati in Lingua Sarda da Giovanni Lilliu in questo numero mo-notematico, da collezionare come bene prezioso, per alimentare la consapevolezza dell’essere una Terra Diversa e per capire perché nei secoli «su tiàulu benit de su mari», «il diavolo venne dal mare».

La nostra mediterraneità e Giovanni Lilliu

FOTO DI COPERTINAG. M

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L ucien Febvre affermava l’esistenza di due tipi di isole: l’isola-crocevia, nella quale le correnti di civiltà

si incontrano e talvolta si scontrano ma comunque si misurano, e l’isola-deposito che per defi nizione resta ai margini delle grandi correnti che qua-si la evitano. E - per spiegare in con-creto la distinzione - precisava che, mentre la Sicilia era un’isola-crocevia, la Sardegna era un’isola-deposito: un luogo della perifericità e dell’isolamen-to non solo geografi co ma anche stori-co e culturale.L’affermazione, nella sua assolutezza, esprime una grande verità ma - al tem-po stesso - risente anche di una no-tevole approssimazione. La Sardegna infatti non è stata sempre così isolata e remota come si è portati a pensare. Il mare, già prima che i mercanti feni-ci vi approdassero, aveva traghettato genti e popoli di altri lidi, innescan-do i germi di diverse culture. Gli ar-cheologi ci informano che gli antichi abitatori della Sardegna entrarono in contatto con popoli anche assai lonta-ni: si pensi che le prime testimonianze della presenza nell’Isola dell’ambra del Baltico risalgono al XIII secolo a.C. I nuraghi, le possenti torri tronco-co-niche realizzate con enormi massi di pietra, se per un verso costituiscono

l’espressione del carattere “originale” della più antica cultura materiale dei sardi, d’altro canto, partecipano a quel ciclo del megalitismo e della grande statuaria in pietra che, a partire dal IV-III millennio a.C., si diffonde un po’ in tutto il bacino del Mediterraneo e che trova importanti tracce nella cul-tura minoica e micenea. La Sardegna, in quell’alba della nostra civiltà, era dunque meno “chiusa” di quanto si possa supporre. Anche l’altra grande manifestazione ar-chitettonica “originale” della Sardegna - vale a dire il romanico delle basiliche che tuttora segnano le grandi solitu-dini delle nostre campagne - in realtà è meno autoctona di quanto si possa pensare posto che i monaci dei diversi ordini benedettini, che si insediarono nelle nostre vallate grazie alla bene-volenza dei giudici, esprimevano una cultura ed una sensibilità matura-te altrove. Dunque isola-deposito ma anche isola-crocevia per riprendere la distinzione cara a Febvre.In altri termini, per i sardi, l’insularità non è stata solo isolamento. Il paesag-gio, infatti, è caratterizzato dai segni di molte civiltà che si manifestano nel-la lingua, negli usi e nelle tradizioni: nella dolce melodia delle launeddas, nei preziosi costumi, nelle fi ligrane dei gioielli, nei modi di dire, nelle archi-

tetture, nella religiosità e nell’ospita-lità delle genti. Un paesaggio contras-segnato da ampie solitudini, spesso sospeso tra la bellezza contadina e le scogliere a picco sul mare, dove i bian-chi cisti e la rosa erica in fi ore si alter-nano ai campi di grano e agli uliveti. Una terra antica fatta di pastori, con-tadini e minatori; di strade polverose che si concludono in lussureggianti vigneti o in casolari sperduti.Potrà sembrare un paradosso ma, per conoscere meglio la Sardegna, biso-gna superare i suoi confi ni, varcare il mare, uscire non solo fi sicamente - attraverso il viaggio - ma anche con la dimensione dello spirito e con la ri-cerca di nuovi itinerari culturali. Solo uscendo dall’Isola infatti è possibile ve-rifi care la specialità e apprezzarla dav-vero. Nivola è andato in America per vedere e capire meglio la Sardegna: le sue sculture sono “sarde” ma, al tem-po stesso, partecipano della civiltà del mondo intero. E anche Sciola - altro artista autenticamente “sardo” - ha viaggiato molto ed ha potuto cogliere il senso della specialità attraverso il confronto con le altre culture.Il Mediterraneo - come ha effi cace-mente dimostrato Fernand Braudel - ha costituito nel corso dei secoli non solo il teatro privilegiato di confl itti, razzie e scontri epocali (si pensi alla

Vecchia incisione sul bombardamento di Cagliari, 1793

feroce battaglia di Lepanto che vide la partecipazione degli archibugieri sardi sotto i vessilli cristiani di don Giovanni d’Austria) ma anche uno straordinario spazio di convivenze pacifi che e ope-rose tra molteplici identità politiche e culturali. Il convergere dei tre vecchi continenti - l’Africa, l’Asia e l’Europa - ha modellato la sua vocazione di cro-cevia di popoli e civiltà. E’ stato il Mediterraneo a veicolare, a partire dal VII-VI millennio a.C., da Oriente a Occidente, la prima grande rivoluzione agricola e, dopo qualche millennio, il megalitismo - di cui an-cora oggi restano importanti tracce - e poi, partendo dalle coste e dalle isole della Grecia, la fi losofi a (l’amore del sapere) e con essa la dialettica, il con-fronto tra le opinioni, che sta alla base della democrazia e del diritto (espres-sione dell’esigenza di regolare il com-plesso agire umano). Nelle terre che si affacciano sul Mediterraneo hanno avuto origine le tre grandi religioni monoteiste: il cristianesimo, l’ebrai-smo e l’islam. Il Mediterraneo peraltro non è solo il mare delle grandi civiltà del passato. Ancora oggi il mare nostrum si pone come uno spazio di dialogo e di coope-razione, indispensabile banco di prova per pacifi che convivenze tra identità culturali, politiche e religiose diver-se. E’ uno dei terreni privilegiati ove possono svolgersi i grandi processi di integrazione e unifi cazione continen-tale e planetaria. Questo grande mare - illuminato dai “fari” delle città sto-riche (Atene, Alessandria, Barcellona, Bisanzio, Genova, Venezia, Napoli, Siracusa, Cagliari e tante altre che vantano ricchi patrimoni di tradizioni e di cultura) - può ancora oggi dare molto alla Sardegna ed alla sua capi-tale. Cagliari è città antichissima. La sua po-sizione baricentrica nel Mediterraneo e l’accessibilità del sito ne fecero un approdo sicuro sin dall’antichità clas-sica. Ma non solo: la città storicamen-te ha ricollegato il diffondersi della vita commerciale e mercantile allo svilup-po del porto e viceversa. Però il mare è stato sempre visto dai cagliaritani quasi come un limite, il luogo in cui la terra si conclude e la vita scompare restando assorbita dal nulla. Occorre compiere una mutazione profonda, capovolgere la prospettiva. La riviera è una linea di confi ne geografi co - tra la terra emersa e le acque - dove inizia

la via della comunicazione vera, quel-la che unisce le realtà economiche e le culture diverse e lontane. E’ nel porto dunque che, in primo luogo, si misu-ra la capacità di apertura e di dialogo della città con l’esterno.Estrema importanza riveste dunque il rapporto tra l’area portuale e la città di Cagliari. Lo spazio portuale dovrà sempre più integrarsi col resto della città e dotarsi di servizi, punti d’incon-tro e ristoro, attrezzature. Dovrà an-darsi verso la graduale sistemazione del vasto litorale che, senza soluzione di continuità, si sviluppa dal Poetto sino a Giorgino. Il rafforzamento della collaborazione tra Comune e Autorità Portuale di Cagliari é indispensabile. Al fi ne di creare uno sviluppo vero e permanente occorre ripristinare la co-municazione profonda tra la città e il porto, continuo traghettatore di genti

e di culture, fattore in grado di dare un insostituibile contributo allo sviluppo urbano. Bisogna operare in maniera decisa per far acquisire al porto ca-gliaritano un ruolo di primaria impor-tanza nei traffi ci del Mediterraneo. Gli amministratori e i cittadini, insieme al mondo della cultura e delle profes-sioni, dovranno misurare le capacità di rifl essione e di proposta su un mo-derno progetto di sviluppo della città, in sinergia con l’area portuale, che si qualifi chi non solo per una proiezio-ne verso gli spazi e i mercati esterni - secondo i modelli più avanzati delle economie di trasformazione - ma an-che per la ricerca di un legame forte ed integrato con la città ed il territorio circostante.

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L ucien Febvre affermava l’esistenza di due tipi di isole: l’isola-crocevia, nella quale le correnti di civiltà

si incontrano e talvolta si scontrano ma comunque si misurano, e l’isola-deposito che per defi nizione resta ai margini delle grandi correnti che qua-si la evitano. E - per spiegare in con-creto la distinzione - precisava che, mentre la Sicilia era un’isola-crocevia, la Sardegna era un’isola-deposito: un luogo della perifericità e dell’isolamen-to non solo geografi co ma anche stori-co e culturale.L’affermazione, nella sua assolutezza, esprime una grande verità ma - al tem-po stesso - risente anche di una no-tevole approssimazione. La Sardegna infatti non è stata sempre così isolata e remota come si è portati a pensare. Il mare, già prima che i mercanti feni-ci vi approdassero, aveva traghettato genti e popoli di altri lidi, innescan-do i germi di diverse culture. Gli ar-cheologi ci informano che gli antichi abitatori della Sardegna entrarono in contatto con popoli anche assai lonta-ni: si pensi che le prime testimonianze della presenza nell’Isola dell’ambra del Baltico risalgono al XIII secolo a.C. I nuraghi, le possenti torri tronco-co-niche realizzate con enormi massi di pietra, se per un verso costituiscono

l’espressione del carattere “originale” della più antica cultura materiale dei sardi, d’altro canto, partecipano a quel ciclo del megalitismo e della grande statuaria in pietra che, a partire dal IV-III millennio a.C., si diffonde un po’ in tutto il bacino del Mediterraneo e che trova importanti tracce nella cul-tura minoica e micenea. La Sardegna, in quell’alba della nostra civiltà, era dunque meno “chiusa” di quanto si possa supporre. Anche l’altra grande manifestazione ar-chitettonica “originale” della Sardegna - vale a dire il romanico delle basiliche che tuttora segnano le grandi solitu-dini delle nostre campagne - in realtà è meno autoctona di quanto si possa pensare posto che i monaci dei diversi ordini benedettini, che si insediarono nelle nostre vallate grazie alla bene-volenza dei giudici, esprimevano una cultura ed una sensibilità matura-te altrove. Dunque isola-deposito ma anche isola-crocevia per riprendere la distinzione cara a Febvre.In altri termini, per i sardi, l’insularità non è stata solo isolamento. Il paesag-gio, infatti, è caratterizzato dai segni di molte civiltà che si manifestano nel-la lingua, negli usi e nelle tradizioni: nella dolce melodia delle launeddas, nei preziosi costumi, nelle fi ligrane dei gioielli, nei modi di dire, nelle archi-

tetture, nella religiosità e nell’ospita-lità delle genti. Un paesaggio contras-segnato da ampie solitudini, spesso sospeso tra la bellezza contadina e le scogliere a picco sul mare, dove i bian-chi cisti e la rosa erica in fi ore si alter-nano ai campi di grano e agli uliveti. Una terra antica fatta di pastori, con-tadini e minatori; di strade polverose che si concludono in lussureggianti vigneti o in casolari sperduti.Potrà sembrare un paradosso ma, per conoscere meglio la Sardegna, biso-gna superare i suoi confi ni, varcare il mare, uscire non solo fi sicamente - attraverso il viaggio - ma anche con la dimensione dello spirito e con la ri-cerca di nuovi itinerari culturali. Solo uscendo dall’Isola infatti è possibile ve-rifi care la specialità e apprezzarla dav-vero. Nivola è andato in America per vedere e capire meglio la Sardegna: le sue sculture sono “sarde” ma, al tem-po stesso, partecipano della civiltà del mondo intero. E anche Sciola - altro artista autenticamente “sardo” - ha viaggiato molto ed ha potuto cogliere il senso della specialità attraverso il confronto con le altre culture.Il Mediterraneo - come ha effi cace-mente dimostrato Fernand Braudel - ha costituito nel corso dei secoli non solo il teatro privilegiato di confl itti, razzie e scontri epocali (si pensi alla

Vecchia incisione sul bombardamento di Cagliari, 1793

feroce battaglia di Lepanto che vide la partecipazione degli archibugieri sardi sotto i vessilli cristiani di don Giovanni d’Austria) ma anche uno straordinario spazio di convivenze pacifi che e ope-rose tra molteplici identità politiche e culturali. Il convergere dei tre vecchi continenti - l’Africa, l’Asia e l’Europa - ha modellato la sua vocazione di cro-cevia di popoli e civiltà. E’ stato il Mediterraneo a veicolare, a partire dal VII-VI millennio a.C., da Oriente a Occidente, la prima grande rivoluzione agricola e, dopo qualche millennio, il megalitismo - di cui an-cora oggi restano importanti tracce - e poi, partendo dalle coste e dalle isole della Grecia, la fi losofi a (l’amore del sapere) e con essa la dialettica, il con-fronto tra le opinioni, che sta alla base della democrazia e del diritto (espres-sione dell’esigenza di regolare il com-plesso agire umano). Nelle terre che si affacciano sul Mediterraneo hanno avuto origine le tre grandi religioni monoteiste: il cristianesimo, l’ebrai-smo e l’islam. Il Mediterraneo peraltro non è solo il mare delle grandi civiltà del passato. Ancora oggi il mare nostrum si pone come uno spazio di dialogo e di coope-razione, indispensabile banco di prova per pacifi che convivenze tra identità culturali, politiche e religiose diver-se. E’ uno dei terreni privilegiati ove possono svolgersi i grandi processi di integrazione e unifi cazione continen-tale e planetaria. Questo grande mare - illuminato dai “fari” delle città sto-riche (Atene, Alessandria, Barcellona, Bisanzio, Genova, Venezia, Napoli, Siracusa, Cagliari e tante altre che vantano ricchi patrimoni di tradizioni e di cultura) - può ancora oggi dare molto alla Sardegna ed alla sua capi-tale. Cagliari è città antichissima. La sua po-sizione baricentrica nel Mediterraneo e l’accessibilità del sito ne fecero un approdo sicuro sin dall’antichità clas-sica. Ma non solo: la città storicamen-te ha ricollegato il diffondersi della vita commerciale e mercantile allo svilup-po del porto e viceversa. Però il mare è stato sempre visto dai cagliaritani quasi come un limite, il luogo in cui la terra si conclude e la vita scompare restando assorbita dal nulla. Occorre compiere una mutazione profonda, capovolgere la prospettiva. La riviera è una linea di confi ne geografi co - tra la terra emersa e le acque - dove inizia

la via della comunicazione vera, quel-la che unisce le realtà economiche e le culture diverse e lontane. E’ nel porto dunque che, in primo luogo, si misu-ra la capacità di apertura e di dialogo della città con l’esterno.Estrema importanza riveste dunque il rapporto tra l’area portuale e la città di Cagliari. Lo spazio portuale dovrà sempre più integrarsi col resto della città e dotarsi di servizi, punti d’incon-tro e ristoro, attrezzature. Dovrà an-darsi verso la graduale sistemazione del vasto litorale che, senza soluzione di continuità, si sviluppa dal Poetto sino a Giorgino. Il rafforzamento della collaborazione tra Comune e Autorità Portuale di Cagliari é indispensabile. Al fi ne di creare uno sviluppo vero e permanente occorre ripristinare la co-municazione profonda tra la città e il porto, continuo traghettatore di genti

e di culture, fattore in grado di dare un insostituibile contributo allo sviluppo urbano. Bisogna operare in maniera decisa per far acquisire al porto ca-gliaritano un ruolo di primaria impor-tanza nei traffi ci del Mediterraneo. Gli amministratori e i cittadini, insieme al mondo della cultura e delle profes-sioni, dovranno misurare le capacità di rifl essione e di proposta su un mo-derno progetto di sviluppo della città, in sinergia con l’area portuale, che si qualifi chi non solo per una proiezio-ne verso gli spazi e i mercati esterni - secondo i modelli più avanzati delle economie di trasformazione - ma an-che per la ricerca di un legame forte ed integrato con la città ed il territorio circostante.

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L’insularità come risorsaLa Sardegna, crocevia di popoli e civiltà

Nome Cognome

L’insularità come risorsaLa Sardegna, crocevia di popoli e civiltà

Antonello Angioni

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L ucien Febvre affermava l’esistenza di due tipi di isole: l’isola-crocevia, nella quale le correnti di civiltà

si incontrano e talvolta si scontrano ma comunque si misurano, e l’isola-deposito che per defi nizione resta ai margini delle grandi correnti che qua-si la evitano. E - per spiegare in con-creto la distinzione - precisava che, mentre la Sicilia era un’isola-crocevia, la Sardegna era un’isola-deposito: un luogo della perifericità e dell’isolamen-to non solo geografi co ma anche stori-co e culturale.L’affermazione, nella sua assolutezza, esprime una grande verità ma - al tem-po stesso - risente anche di una no-tevole approssimazione. La Sardegna infatti non è stata sempre così isolata e remota come si è portati a pensare. Il mare, già prima che i mercanti feni-ci vi approdassero, aveva traghettato genti e popoli di altri lidi, innescan-do i germi di diverse culture. Gli ar-cheologi ci informano che gli antichi abitatori della Sardegna entrarono in contatto con popoli anche assai lonta-ni: si pensi che le prime testimonianze della presenza nell’Isola dell’ambra del Baltico risalgono al XIII secolo a.C. I nuraghi, le possenti torri tronco-co-niche realizzate con enormi massi di pietra, se per un verso costituiscono

l’espressione del carattere “originale” della più antica cultura materiale dei sardi, d’altro canto, partecipano a quel ciclo del megalitismo e della grande statuaria in pietra che, a partire dal IV-III millennio a.C., si diffonde un po’ in tutto il bacino del Mediterraneo e che trova importanti tracce nella cul-tura minoica e micenea. La Sardegna, in quell’alba della nostra civiltà, era dunque meno “chiusa” di quanto si possa supporre. Anche l’altra grande manifestazione ar-chitettonica “originale” della Sardegna - vale a dire il romanico delle basiliche che tuttora segnano le grandi solitu-dini delle nostre campagne - in realtà è meno autoctona di quanto si possa pensare posto che i monaci dei diversi ordini benedettini, che si insediarono nelle nostre vallate grazie alla bene-volenza dei giudici, esprimevano una cultura ed una sensibilità matura-te altrove. Dunque isola-deposito ma anche isola-crocevia per riprendere la distinzione cara a Febvre.In altri termini, per i sardi, l’insularità non è stata solo isolamento. Il paesag-gio, infatti, è caratterizzato dai segni di molte civiltà che si manifestano nel-la lingua, negli usi e nelle tradizioni: nella dolce melodia delle launeddas, nei preziosi costumi, nelle fi ligrane dei gioielli, nei modi di dire, nelle archi-

tetture, nella religiosità e nell’ospita-lità delle genti. Un paesaggio contras-segnato da ampie solitudini, spesso sospeso tra la bellezza contadina e le scogliere a picco sul mare, dove i bian-chi cisti e la rosa erica in fi ore si alter-nano ai campi di grano e agli uliveti. Una terra antica fatta di pastori, con-tadini e minatori; di strade polverose che si concludono in lussureggianti vigneti o in casolari sperduti.Potrà sembrare un paradosso ma, per conoscere meglio la Sardegna, biso-gna superare i suoi confi ni, varcare il mare, uscire non solo fi sicamente - attraverso il viaggio - ma anche con la dimensione dello spirito e con la ri-cerca di nuovi itinerari culturali. Solo uscendo dall’Isola infatti è possibile ve-rifi care la specialità e apprezzarla dav-vero. Nivola è andato in America per vedere e capire meglio la Sardegna: le sue sculture sono “sarde” ma, al tem-po stesso, partecipano della civiltà del mondo intero. E anche Sciola - altro artista autenticamente “sardo” - ha viaggiato molto ed ha potuto cogliere il senso della specialità attraverso il confronto con le altre culture.Il Mediterraneo - come ha effi cace-mente dimostrato Fernand Braudel - ha costituito nel corso dei secoli non solo il teatro privilegiato di confl itti, razzie e scontri epocali (si pensi alla

Vecchia incisione sul bombardamento di Cagliari, 1793

feroce battaglia di Lepanto che vide la partecipazione degli archibugieri sardi sotto i vessilli cristiani di don Giovanni d’Austria) ma anche uno straordinario spazio di convivenze pacifi che e ope-rose tra molteplici identità politiche e culturali. Il convergere dei tre vecchi continenti - l’Africa, l’Asia e l’Europa - ha modellato la sua vocazione di cro-cevia di popoli e civiltà. E’ stato il Mediterraneo a veicolare, a partire dal VII-VI millennio a.C., da Oriente a Occidente, la prima grande rivoluzione agricola e, dopo qualche millennio, il megalitismo - di cui an-cora oggi restano importanti tracce - e poi, partendo dalle coste e dalle isole della Grecia, la fi losofi a (l’amore del sapere) e con essa la dialettica, il con-fronto tra le opinioni, che sta alla base della democrazia e del diritto (espres-sione dell’esigenza di regolare il com-plesso agire umano). Nelle terre che si affacciano sul Mediterraneo hanno avuto origine le tre grandi religioni monoteiste: il cristianesimo, l’ebrai-smo e l’islam. Il Mediterraneo peraltro non è solo il mare delle grandi civiltà del passato. Ancora oggi il mare nostrum si pone come uno spazio di dialogo e di coope-razione, indispensabile banco di prova per pacifi che convivenze tra identità culturali, politiche e religiose diver-se. E’ uno dei terreni privilegiati ove possono svolgersi i grandi processi di integrazione e unifi cazione continen-tale e planetaria. Questo grande mare - illuminato dai “fari” delle città sto-riche (Atene, Alessandria, Barcellona, Bisanzio, Genova, Venezia, Napoli, Siracusa, Cagliari e tante altre che vantano ricchi patrimoni di tradizioni e di cultura) - può ancora oggi dare molto alla Sardegna ed alla sua capi-tale. Cagliari è città antichissima. La sua po-sizione baricentrica nel Mediterraneo e l’accessibilità del sito ne fecero un approdo sicuro sin dall’antichità clas-sica. Ma non solo: la città storicamen-te ha ricollegato il diffondersi della vita commerciale e mercantile allo svilup-po del porto e viceversa. Però il mare è stato sempre visto dai cagliaritani quasi come un limite, il luogo in cui la terra si conclude e la vita scompare restando assorbita dal nulla. Occorre compiere una mutazione profonda, capovolgere la prospettiva. La riviera è una linea di confi ne geografi co - tra la terra emersa e le acque - dove inizia

la via della comunicazione vera, quel-la che unisce le realtà economiche e le culture diverse e lontane. E’ nel porto dunque che, in primo luogo, si misu-ra la capacità di apertura e di dialogo della città con l’esterno.Estrema importanza riveste dunque il rapporto tra l’area portuale e la città di Cagliari. Lo spazio portuale dovrà sempre più integrarsi col resto della città e dotarsi di servizi, punti d’incon-tro e ristoro, attrezzature. Dovrà an-darsi verso la graduale sistemazione del vasto litorale che, senza soluzione di continuità, si sviluppa dal Poetto sino a Giorgino. Il rafforzamento della collaborazione tra Comune e Autorità Portuale di Cagliari é indispensabile. Al fi ne di creare uno sviluppo vero e permanente occorre ripristinare la co-municazione profonda tra la città e il porto, continuo traghettatore di genti

e di culture, fattore in grado di dare un insostituibile contributo allo sviluppo urbano. Bisogna operare in maniera decisa per far acquisire al porto ca-gliaritano un ruolo di primaria impor-tanza nei traffi ci del Mediterraneo. Gli amministratori e i cittadini, insieme al mondo della cultura e delle profes-sioni, dovranno misurare le capacità di rifl essione e di proposta su un mo-derno progetto di sviluppo della città, in sinergia con l’area portuale, che si qualifi chi non solo per una proiezio-ne verso gli spazi e i mercati esterni - secondo i modelli più avanzati delle economie di trasformazione - ma an-che per la ricerca di un legame forte ed integrato con la città ed il territorio circostante.

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L ucien Febvre affermava l’esistenza di due tipi di isole: l’isola-crocevia, nella quale le correnti di civiltà

si incontrano e talvolta si scontrano ma comunque si misurano, e l’isola-deposito che per defi nizione resta ai margini delle grandi correnti che qua-si la evitano. E - per spiegare in con-creto la distinzione - precisava che, mentre la Sicilia era un’isola-crocevia, la Sardegna era un’isola-deposito: un luogo della perifericità e dell’isolamen-to non solo geografi co ma anche stori-co e culturale.L’affermazione, nella sua assolutezza, esprime una grande verità ma - al tem-po stesso - risente anche di una no-tevole approssimazione. La Sardegna infatti non è stata sempre così isolata e remota come si è portati a pensare. Il mare, già prima che i mercanti feni-ci vi approdassero, aveva traghettato genti e popoli di altri lidi, innescan-do i germi di diverse culture. Gli ar-cheologi ci informano che gli antichi abitatori della Sardegna entrarono in contatto con popoli anche assai lonta-ni: si pensi che le prime testimonianze della presenza nell’Isola dell’ambra del Baltico risalgono al XIII secolo a.C. I nuraghi, le possenti torri tronco-co-niche realizzate con enormi massi di pietra, se per un verso costituiscono

l’espressione del carattere “originale” della più antica cultura materiale dei sardi, d’altro canto, partecipano a quel ciclo del megalitismo e della grande statuaria in pietra che, a partire dal IV-III millennio a.C., si diffonde un po’ in tutto il bacino del Mediterraneo e che trova importanti tracce nella cul-tura minoica e micenea. La Sardegna, in quell’alba della nostra civiltà, era dunque meno “chiusa” di quanto si possa supporre. Anche l’altra grande manifestazione ar-chitettonica “originale” della Sardegna - vale a dire il romanico delle basiliche che tuttora segnano le grandi solitu-dini delle nostre campagne - in realtà è meno autoctona di quanto si possa pensare posto che i monaci dei diversi ordini benedettini, che si insediarono nelle nostre vallate grazie alla bene-volenza dei giudici, esprimevano una cultura ed una sensibilità matura-te altrove. Dunque isola-deposito ma anche isola-crocevia per riprendere la distinzione cara a Febvre.In altri termini, per i sardi, l’insularità non è stata solo isolamento. Il paesag-gio, infatti, è caratterizzato dai segni di molte civiltà che si manifestano nel-la lingua, negli usi e nelle tradizioni: nella dolce melodia delle launeddas, nei preziosi costumi, nelle fi ligrane dei gioielli, nei modi di dire, nelle archi-

tetture, nella religiosità e nell’ospita-lità delle genti. Un paesaggio contras-segnato da ampie solitudini, spesso sospeso tra la bellezza contadina e le scogliere a picco sul mare, dove i bian-chi cisti e la rosa erica in fi ore si alter-nano ai campi di grano e agli uliveti. Una terra antica fatta di pastori, con-tadini e minatori; di strade polverose che si concludono in lussureggianti vigneti o in casolari sperduti.Potrà sembrare un paradosso ma, per conoscere meglio la Sardegna, biso-gna superare i suoi confi ni, varcare il mare, uscire non solo fi sicamente - attraverso il viaggio - ma anche con la dimensione dello spirito e con la ri-cerca di nuovi itinerari culturali. Solo uscendo dall’Isola infatti è possibile ve-rifi care la specialità e apprezzarla dav-vero. Nivola è andato in America per vedere e capire meglio la Sardegna: le sue sculture sono “sarde” ma, al tem-po stesso, partecipano della civiltà del mondo intero. E anche Sciola - altro artista autenticamente “sardo” - ha viaggiato molto ed ha potuto cogliere il senso della specialità attraverso il confronto con le altre culture.Il Mediterraneo - come ha effi cace-mente dimostrato Fernand Braudel - ha costituito nel corso dei secoli non solo il teatro privilegiato di confl itti, razzie e scontri epocali (si pensi alla

Vecchia incisione sul bombardamento di Cagliari, 1793

feroce battaglia di Lepanto che vide la partecipazione degli archibugieri sardi sotto i vessilli cristiani di don Giovanni d’Austria) ma anche uno straordinario spazio di convivenze pacifi che e ope-rose tra molteplici identità politiche e culturali. Il convergere dei tre vecchi continenti - l’Africa, l’Asia e l’Europa - ha modellato la sua vocazione di cro-cevia di popoli e civiltà. E’ stato il Mediterraneo a veicolare, a partire dal VII-VI millennio a.C., da Oriente a Occidente, la prima grande rivoluzione agricola e, dopo qualche millennio, il megalitismo - di cui an-cora oggi restano importanti tracce - e poi, partendo dalle coste e dalle isole della Grecia, la fi losofi a (l’amore del sapere) e con essa la dialettica, il con-fronto tra le opinioni, che sta alla base della democrazia e del diritto (espres-sione dell’esigenza di regolare il com-plesso agire umano). Nelle terre che si affacciano sul Mediterraneo hanno avuto origine le tre grandi religioni monoteiste: il cristianesimo, l’ebrai-smo e l’islam. Il Mediterraneo peraltro non è solo il mare delle grandi civiltà del passato. Ancora oggi il mare nostrum si pone come uno spazio di dialogo e di coope-razione, indispensabile banco di prova per pacifi che convivenze tra identità culturali, politiche e religiose diver-se. E’ uno dei terreni privilegiati ove possono svolgersi i grandi processi di integrazione e unifi cazione continen-tale e planetaria. Questo grande mare - illuminato dai “fari” delle città sto-riche (Atene, Alessandria, Barcellona, Bisanzio, Genova, Venezia, Napoli, Siracusa, Cagliari e tante altre che vantano ricchi patrimoni di tradizioni e di cultura) - può ancora oggi dare molto alla Sardegna ed alla sua capi-tale. Cagliari è città antichissima. La sua po-sizione baricentrica nel Mediterraneo e l’accessibilità del sito ne fecero un approdo sicuro sin dall’antichità clas-sica. Ma non solo: la città storicamen-te ha ricollegato il diffondersi della vita commerciale e mercantile allo svilup-po del porto e viceversa. Però il mare è stato sempre visto dai cagliaritani quasi come un limite, il luogo in cui la terra si conclude e la vita scompare restando assorbita dal nulla. Occorre compiere una mutazione profonda, capovolgere la prospettiva. La riviera è una linea di confi ne geografi co - tra la terra emersa e le acque - dove inizia

la via della comunicazione vera, quel-la che unisce le realtà economiche e le culture diverse e lontane. E’ nel porto dunque che, in primo luogo, si misu-ra la capacità di apertura e di dialogo della città con l’esterno.Estrema importanza riveste dunque il rapporto tra l’area portuale e la città di Cagliari. Lo spazio portuale dovrà sempre più integrarsi col resto della città e dotarsi di servizi, punti d’incon-tro e ristoro, attrezzature. Dovrà an-darsi verso la graduale sistemazione del vasto litorale che, senza soluzione di continuità, si sviluppa dal Poetto sino a Giorgino. Il rafforzamento della collaborazione tra Comune e Autorità Portuale di Cagliari é indispensabile. Al fi ne di creare uno sviluppo vero e permanente occorre ripristinare la co-municazione profonda tra la città e il porto, continuo traghettatore di genti

e di culture, fattore in grado di dare un insostituibile contributo allo sviluppo urbano. Bisogna operare in maniera decisa per far acquisire al porto ca-gliaritano un ruolo di primaria impor-tanza nei traffi ci del Mediterraneo. Gli amministratori e i cittadini, insieme al mondo della cultura e delle profes-sioni, dovranno misurare le capacità di rifl essione e di proposta su un mo-derno progetto di sviluppo della città, in sinergia con l’area portuale, che si qualifi chi non solo per una proiezio-ne verso gli spazi e i mercati esterni - secondo i modelli più avanzati delle economie di trasformazione - ma an-che per la ricerca di un legame forte ed integrato con la città ed il territorio circostante.

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Il PoettoCartoline da Cagliari

A cura di Bruno Puggioni

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Il PoettoCartoline da Cagliari

A cura di Bruno Puggioni

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Il PoettoCartoline da Cagliari

A cura di Bruno Puggioni

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Il PoettoCartoline da Cagliari

A cura di Bruno Puggioni

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“M editerranea” è il nome d’una rivista pubbli-cata a Cagliari,

in anni ormai lontani e dimenticati e con la direzione di Antonio Putzolu e di Dionigi Scano, che intendeva testi-moniare e raccontare – in chiave sto-rico-culturale prima ancora che poli-tica – l’auspicato rinascimento sociale ed economico dell’isola, coniugan-dolo con la riscoperta del suo ruolo d’avamposto d’italianità su quello che era stato il mare nostrum degli antichi romani.La rivista, espressione e prodotto della migliore intellighentzia cagliaritana di allora (che, a tempo perso, indossava pure la camicia nera), avrebbe inter-pretato, con scritti di un certo spes-sore intellettuale, l’opinione di quanti ritenevano possibile il riscatto della gente di Sardegna – con i cagliaritani come alfi eri – attraverso più stretti le-gami con gli altri popoli che s’affaccia-vano sullo stesso mare.Si trattava, in concreto, della riscoper-ta del Mediterraneo (con i suoi valori e le sue potenzialità) contrapponendola alle tante opzioni montagnine e pa-storali con cui, fi n da allora, s’andava compitando l’ideologia della sarditudi-ne, quasi fosse sinonimo di solitudine e di isolamento.Da un mare visto da sempre come portatore di pericoli o come barrie-ra invalicabile, s’intendeva portare avanti una nuova tesi. Proponendolo come “porta” verso l’esterno e spazio aperto da conquistare e non da teme-re. Opinioni che erano in sé rivolu-zionarie per un’isola che era vissuta autarchicamente chiusa in sé stessa, e che era sempre rimasta “isola” non solo per la geografi a, ma anche per la storia, l’arte e l’economia.Con “Mediterranea”, quindi, s’era in-teso presentare un’apertura culturale nuova, più moderna per prospettive e per interessi individuati. Nella consa-pevolezza che quel mare dovesse es-sere considerato come patrimonio e

Cultura e razza mediterraneeLa riscoperta della risorsa mare

Paolo Fadda

strumento di progresso, come un’im-portante strada di collegamento e di legame con altri popoli e con altri mer-cati. Così com’era stato un tempo per le repubbliche marinare.Va ricordato come fossero rimaste sempre presenti, nella memoria col-lettiva dei cagliaritani, le storie e le leggende dei pericoli e dei disastri che quel mare, con i suoi umori ed i suoi padroni mutevoli, aveva arrecato alla città ed ai suoi abitanti. Tanto da far sì che nella tradizione religiosa della città, ancor oggi continuino ad essere privilegiati, con preghiere e venerazio-ne, i santi e le madonne più disponi-bili a dare aiuti e protezioni contro i pericoli (non solo atmosferici come le tempeste e le burrasche) di quel mare sempre pronto a divenire infi do.Quella rivista (che anche nella sua testata si contrapponeva all’altra, an-ch’essa cagliaritana e coeva, dedicata a “il nuraghe”, mitica fortezza in di-

fesa della sarditudine) riteneva neces-sario diffondere quella che si potrebbe chiamare “la cultura del mare”, cioè la consapevolezza che su quella superfi -cie marina che circonda e chiude l’iso-la, e la divide e l’allontana dalle altre terre, si poteva e si doveva “navigare” verso le sponde del progresso del-la Sardegna. Avventurandosi, quin-di, coraggiosamente per mare, senza chiudersi nei propri nuraghi. Sembrerebbe, con il senno dell’og-gi, un’intuizione lapalissiana (perché mare e isola sono destinati a vivere geo-grafi camente in simbiosi), ma a scor-rere anche gli scritti ed i documenti di allora s’avverte la portata quasi scon-volgente di quest’indirizzo “marinaro”. La stessa rivista avrebbe avvertito il peso di questa responsabilità, tanto che per i primi anni “Mediterranea” avrebbe avuto il sottotitolo “rivista di cultura e di problemi isolani”, per trasformarlo poi (dal 1933 in avanti),

Cala Goloritzé

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“M editerranea” è il nome d’una rivista pubbli-cata a Cagliari,

in anni ormai lontani e dimenticati e con la direzione di Antonio Putzolu e di Dionigi Scano, che intendeva testi-moniare e raccontare – in chiave sto-rico-culturale prima ancora che poli-tica – l’auspicato rinascimento sociale ed economico dell’isola, coniugan-dolo con la riscoperta del suo ruolo d’avamposto d’italianità su quello che era stato il mare nostrum degli antichi romani.La rivista, espressione e prodotto della migliore intellighentzia cagliaritana di allora (che, a tempo perso, indossava pure la camicia nera), avrebbe inter-pretato, con scritti di un certo spes-sore intellettuale, l’opinione di quanti ritenevano possibile il riscatto della gente di Sardegna – con i cagliaritani come alfi eri – attraverso più stretti le-gami con gli altri popoli che s’affaccia-vano sullo stesso mare.Si trattava, in concreto, della riscoper-ta del Mediterraneo (con i suoi valori e le sue potenzialità) contrapponendola alle tante opzioni montagnine e pa-storali con cui, fi n da allora, s’andava compitando l’ideologia della sarditudi-ne, quasi fosse sinonimo di solitudine e di isolamento.Da un mare visto da sempre come portatore di pericoli o come barrie-ra invalicabile, s’intendeva portare avanti una nuova tesi. Proponendolo come “porta” verso l’esterno e spazio aperto da conquistare e non da teme-re. Opinioni che erano in sé rivolu-zionarie per un’isola che era vissuta autarchicamente chiusa in sé stessa, e che era sempre rimasta “isola” non solo per la geografi a, ma anche per la storia, l’arte e l’economia.Con “Mediterranea”, quindi, s’era in-teso presentare un’apertura culturale nuova, più moderna per prospettive e per interessi individuati. Nella consa-pevolezza che quel mare dovesse es-sere considerato come patrimonio e

Cultura e razza mediterraneeLa riscoperta della risorsa mare

Paolo Fadda

strumento di progresso, come un’im-portante strada di collegamento e di legame con altri popoli e con altri mer-cati. Così com’era stato un tempo per le repubbliche marinare.Va ricordato come fossero rimaste sempre presenti, nella memoria col-lettiva dei cagliaritani, le storie e le leggende dei pericoli e dei disastri che quel mare, con i suoi umori ed i suoi padroni mutevoli, aveva arrecato alla città ed ai suoi abitanti. Tanto da far sì che nella tradizione religiosa della città, ancor oggi continuino ad essere privilegiati, con preghiere e venerazio-ne, i santi e le madonne più disponi-bili a dare aiuti e protezioni contro i pericoli (non solo atmosferici come le tempeste e le burrasche) di quel mare sempre pronto a divenire infi do.Quella rivista (che anche nella sua testata si contrapponeva all’altra, an-ch’essa cagliaritana e coeva, dedicata a “il nuraghe”, mitica fortezza in di-

fesa della sarditudine) riteneva neces-sario diffondere quella che si potrebbe chiamare “la cultura del mare”, cioè la consapevolezza che su quella superfi -cie marina che circonda e chiude l’iso-la, e la divide e l’allontana dalle altre terre, si poteva e si doveva “navigare” verso le sponde del progresso del-la Sardegna. Avventurandosi, quin-di, coraggiosamente per mare, senza chiudersi nei propri nuraghi. Sembrerebbe, con il senno dell’og-gi, un’intuizione lapalissiana (perché mare e isola sono destinati a vivere geo-grafi camente in simbiosi), ma a scor-rere anche gli scritti ed i documenti di allora s’avverte la portata quasi scon-volgente di quest’indirizzo “marinaro”. La stessa rivista avrebbe avvertito il peso di questa responsabilità, tanto che per i primi anni “Mediterranea” avrebbe avuto il sottotitolo “rivista di cultura e di problemi isolani”, per trasformarlo poi (dal 1933 in avanti),

Cala Goloritzé

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forse dopo che qualcosa s’era riusciti a far maturare, come organo “di cul-tura e di problemi mediterranei”. Non a caso un suo redattore così avrebbe argomentato: “la Sardegna sedentaria e georgicale, risuonante di tristi cam-pani di armenti, più non ci piace e vor-remmo che avanzasse verso il futuro, che ha per sua strada unica il mare, perché il suo destino sarà sempre sul mare”. Aggiungendo ancora che i pro-blemi sardi erano e dovevano essere, prima d’ogni cosa, “mediterranei”. E su quelle strade del mare la Sardegna avrebbe dovuto dirigere il suo svilup-po, la sua uscita dalle arretratezze del passato.D’altra parte il Mediterraneo è stato storicamente, e da sempre, un insie-me di strade, fossero esse quelle del-l’economia o della politica, delle civiltà laiche o di quelle religiose. Tanto da determinare – come avrebbe scritto Fernand Braudel – uno straordina-rio “sistema di circolazione”, su cui avrebbero circolato i più importanti eventi del mondo, si sarebbero diffuse le più importanti civiltà e si sarebbero costituite le più intraprendenti e ric-che potenze politiche.Entrare in quel sistema, per andare incontro al futuro, era stato quindi l’opzione intellettuale dei redattori di quella rivista, tanto da scrivere peana in onore della “razza mediterranea”, o d’auspicare che i sardi (tutti i sardi, compresi quelle dei tancati e delle pin-nette) dovessero ritenersi fi gli legittimi di quel mare che li aveva generati e protetti. Anche per il rispetto dovuto a quella “madre mediterranea” (supre-ma divinità femminile dalla natura fe-conda), che è strettamente legata alle origini più antiche della nostra terra, ed oggi fa parte del nostro straordina-rio patrimonio archeologico.Ora, si è ritenuto di ricordare quel-l’esperienza editoriale, forse da molti dimenticata, proprio per ripercorre-re le tappe d’un rapporto – quello tra Cagliari e il suo mare – che è stato sempre sfuggente ed elusivo, fonte di timori più che di iniziative, esercitato in modo estemporaneo ed anche sen-za convinzione.In effetti, con la rivista di Putzolu e Scano qualcosa sembrava potesse cambiare, perché il Mediterraneo ve-niva indicato come il “nuovo obietti-vo” per gli interessi culturali d’una pattuglia di sardi illuminati, pronti a voler sfruttare in chiave sarda le

mire espansionistiche del governo d’allora su alcune terre di quel mare (la Corsica, innanzitutto, Nizza, la Tunisia e poi ancora Malta). Che poi quell’opzione espansionistica non fos-se stato altro che folle utopia, e quelle mire niente altro che vacui sogni, lo avrebbe detto la storia.Andrebbe comunque aggiunto che l’impegno, diciamo così “culturale” di quella rivista, poco avrebbe inciso, anche per via di una linea editoriale molto fragile e, forse, condizionata, a formare nei sardi un’ideologia più me-diterranea e meno paesana. Sarebbe mancata la capacità (o la pos-sibilità) di interpretare il Mediterraneo come luogo ideale per sviluppare le opportunità di scambi e di relazioni (anche turistiche, come già i france-si avevano fatto con la Corsica) con le altre terre rivierasche, avendo invece preferito privilegiare proprio quel ver-sante nazionalistico, per italianizzare politicamente quel mare.I tempi da allora sono fortunatamente mutati e l’espansionismo nazionalisti-co non fa più parte del bagaglio poli-tico-culturale della nuova democrazia repubblicana. Può essere quindi utile, oggi, raccogliere il testimone di quella rivista, riprendendo elaborazioni ed opzioni “mediterranee” per concorre-re al progresso della nostra Sardegna. Perché ai cagliaritani d’oggi rimane l’obbligo di fare proprie quelle tenden-ze e di impegnarsi per ridare conte-nuti, certamente nuovi e differenti, a quella riscoperta di una “madre me-diterranea” da cui trarre nutrimento e progresso. Perché quel mare è sempre lì, attorno all’isola, ed è rimasto come uno dei grandi ed importanti sistemi di comunicazione anche per l’econo-mia globalizzata del mondo d’oggi.Si dovrebbe aggiungere che la nostra sofferta insularità (perché da dolorosa ferita diventi fortunata opportunità) si gioca proprio sul Mediterraneo, sulle sue rotte e sul suo sviluppo. Lo stes-so incontro fra la vecchia Europa ed i nuovi paesi emergenti sulle sponde meridionali di quel mare, non potrà che interessare un tessuto di inten-si e profi cui legami economici, favo-riti dalle strade che lo solcheranno. La Sardegna non potrà più rimanere un’isola prison, ma dovrà impegnar-si per trasformarsi in carrefour, cioè in importante crocevia d’incontro (di partenza e d’arrivo) per tutte le inter-relazioni possibili fra i diversi popoli

mediterranei. Si dovrebbe comincia-re a capire che una cultura mediter-ranea è l’antitesi di quella mentalità chiusa ed autarchica, del proprio pol-laio, che continua a permanere nel pensiero e nell’azione di molti isolani. Tanto da apparire come un castigo culturale più che un handicap gene-tico, quasi una punizione biblica che trae le sue motivazioni nell’ancestrale e preconcetto rifi uto per quanto non sia già conosciuto e sperimentato. E che in molti continuano a spacciare come difesa di un’identità “sarda”, che però appare sempre più come un valo-re puramente nominale.Una “cultura mediterranea”, dun-que. Come apertura verso il “resto del mondo”, verso quel mare che occorre imparare ad amare, che non ci deve dividere ma unire con gli altri popoli. Perché anche i sardi ricerchino un’in-tegrazione reale nel mondo e nella storia, per dare un valore universale e originale alla loro identità mediterra-nea. Lo ha scritto, pochi anni or sono, uno scrittore di acuta sensibilità in-tellettuale come Salvatore Mannuzzu che citiamo a braccio: per i sardi di oggi – è il suo prezioso avvertimento – il primo impegno deve esser quello di cambiare se stessi, agendo innan-zitutto dall’interno, ma con lo sguardo volto verso l’esterno, al di là dei confi -ni del mare. Non sarà – avverte ancora – un’impresa facile, perché le resisten-ze saranno tante, ma rimane l’unica risorsa che può dare un onorevole fu-turo a questa nostra terra.Ecco perché si è proposto il ricordo d’una rivista (o, meglio, del suo tito-lo) che anticipava, seppure in chiave differente ed anche profondamente errata,, quel che oggi ci pare essere l’obiettivo principe per la cultura sar-da: quello cioè di “mediterraneizzarsi”, cioè di impegnarsi per valorizzare la propria identità, senza doverla perde-re, ma arricchendola con le valenze di quel mondo esterno che si specchia in quel grande lago d’acque salate dove sono transitate nei millenni le più im-portanti civiltà e dove si sono scam-biate e fortifi cate le più importanti for-me del progresso dei popoli civili.

1717

* Storico e saggista.

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I sardinelle relazionie nei trafficinel mediterraneo anticodi Lucio Deriu

CPer ricostruire lo sviluppo delle relazioni tra la cultura dei sardi e quella degli al-tri popoli che si affacciano

nel bacino del Mediterraneo, sia esso orientale che occidentale, purtroppo, possiamo fare affi damento su fon-ti storiche assai scarne. Per fortu-na esiste una vasta documentazione archeologica. Le fonti archeologiche vengono considerate “fonti mute” ma sono indispensabili per ricostruire il contesto in cui determinati fenomeni si sono sviluppati.Grazie ai ritrovamenti archeologici può affermarsi che i sardi e la loro or-ganizzazione erano in stretto rapporto

con tutte le civiltà del Mediterraneo ed anche col mondo etrusco. Le relazioni si instaurano dapprima direttamente con le città dell’Etruria settentriona-le (come Vetulonia e Populonia) e poi - dopo lo stanziamento degli empori commerciali fenici sulle coste dell’Iso-la - vengono mediati attraverso questi centri: Tharros, Othoca e Neapolis nel golfo di Oristano; Sulci, Bithia e Nora nella parte più meridionale della Sardegna. Col passare degli anni si in-staurano rapporti preferenziali con le città di Vulci, Tarquinia e Cerveteri.Con la fi ne dell’età arcaica, tra i primi decenni del VI e il V secolo a C., la Sardegna è oramai ridotta a provincia

dell’impero cartaginese e, come effi -cacemente ha affermato l’archeologo Carlo Tronchetti, “i sardi non sono che una delle tante componenti di questo impero, senza originalità e autonomia politica e culturale”.Dobbiamo pertanto fare un salto in-dietro nel tempo per accorgerci quan-to la Sardegna sia stata immersa nei circuiti commerciali mediterranei: ciò è dovuto alla sua particolare posizio-ne geografi ca ed alla ricca e frasta-gliata articolazione delle sue coste, ad eccezione di quelle orientali dove esistono pochi punti favorevoli all’ap-prodo. Tutto ciò ha fatto sì che l’Isola fosse, sin dalla più remota antichità,

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un punto di passaggio, d’incontro e anche di rielaborazione autonoma di correnti culturali provenienti dalle di-verse regioni circostanti. La Sardegna era dunque in costante rapporto con altri popoli e non costituiva una real-tà separata a sé stante: faceva parte di un più grande bacino culturale ce-mentato attraverso gli scambi di tutti quegli elementi - non solo di cultura materiale - che ora ci permettono di tracciarne meglio i caratteri.Nel neolitico medio (IV millennio a C.) troviamo raffi nate ceramiche a super-fi cie bruna e lucida, spesso decorata con incisioni, talora con rilievi, che trovano riscontro nelle coeve produ-zioni del Mezzogiorno francese così come spiccano le statuette in pietra, le cosiddette “dee madri”, che hanno riferimenti stilistici nelle similari pro-duzioni del Mediterraneo orientale.Il neolitico recente, che inizia alla fi ne del IV millennio, vede la massiccia presenza della cosiddetta Cultura di San Michele di Ozieri con la sua pre-stigiosa ceramica che richiama for-me e motivi decorativi egeo-orientali (come spirali, festoni, triangoli) e le stilizzazioni di fi gure umane singole e a gruppi, con riferimenti che vanno da Creta alle isole Cicladi.Tra gli orizzonti culturali che si pon-gono nella nostra Isola fra la metà del terzo e gli inizi del secondo millennio a C. vi sono le cosiddette facies di Monte Claro e quella defi nita Campaniforme che prende il nome dalla forma a cam-pana del suo vaso più caratteristico. I popoli di tale periodo, defi niti spesso come “gli zingari della preistoria”, si spostano per tutta l’Europa in piccoli gruppi isolati. Arrivano in Sardegna in tempi diversi ed occupano in preva-lenza i territori della costa occidenta-le, convivendo pacifi camente a fi anco delle popolazioni indigene.Alla soglie di quella che sarà la fase più importante per la cultura della nostra Isola a partire dalla fi ne del bronzo medio (1800 – 1700 a C.) assistiamo alla nascita dei nuraghi, prima attra-verso costruzioni più rudimentali, de-fi nite protonuraghi e pseudonuraghi, per fi nire con forme più evolute come le strutture megalitiche dei nuraghi maggiori che ancora punteggiano il territorio dell’intera Sardegna.Questa fase potremmo sicuramente defi nirla come “autoctona”. In ambi-to egeo assistiamo alla costruzione di strutture defi nite a “tholos” per mol-

ti versi architettonicamente consimili alle nostre nel posizionamento dei fi -lari litici che costituiscono la sua ere-zione. Peraltro tali strutture venivano utilizzate esclusivamente in ambito di un megalitismo funerario ad appan-naggio delle classi regnanti.E’ soprattutto in questa fase che i nu-ragici (così verranno defi niti i costrut-tori di queste possenti torri) entrano in stretto contatto con altre popolazioni mediterranee, stanziate sia a oriente che a occidente dell’Isola. L’incontro con i popoli di area egea avviene alme-no a partire dal quindicesimo secolo a C.; essi sono apportatori di strumenti e nuove tecniche per la lavorazione dei metalli. Nello stesso periodo si intrecciano le relazioni con le isole Eolie e, come già accennato, con l’area tirrenica villa-noviana che sfocerà nella splendida civiltà etrusca che ci ha tramanda-to interessanti reperti come i picco-li bronzetti e altri manufatti tra cui quelli defi niti “faretrine votive”. In Sardegna i materiali provenienti dalla Penisola sono abbondanti: abbiamo armi, strumenti, oggetti metallici e so-prattutto fi bule. Particolare rilevanza assumono i ritrovamenti di tali oggetti in quanto direttamente legati a fogge di vestiario che nell’Isola non erano in uso. Tali scambi e relazioni fra la Sardegna e l’area etrusca fanno inten-dere che essi si svolgono in un conte-sto ben determinato e cioè quello delle aristocrazie.La presenza di oggetti prodotti nelle

offi cine sarde, in ripostigli o in altri contesti di ritrovamento in varie parti dell’Italia (spesso assieme a materia-li di alto pregio provenienti da diversi centri di produzione quali la Grecia), ci fa capire come la partecipazione sarda al “circuito dei metalli” nel bacino del Mediterraneo fosse un fenomeno ora-mai ben defi nito.Tutto ciò, chiaramente, non avviene all’improvviso. Gli studi condotti dal-l’archeologa Fulvia Lo Schiavo, sulla notevole componente vicino orientale presente sia nella bronzistica che nel-la metallurgia sarda più in generale, ci fanno capire che in Sardegna esi-stevano già le condizioni per un suc-cessivo sviluppo in tali direzioni. La Sardegna prosegue la sua antica tra-dizione di “crocevia” del Mediterraneo occidentale. Molto spesso dispiace notare, in mol-ti, la tendenza a voler considerare la nostra Isola come un’entità culturale distante dagli infl ussi esterni, incon-taminata, quasi che il contatto con gli altri popoli potesse togliere prestigio

Isili, Il nuraghe Is Paras.

Scandaglio di Piombo

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I sardinelle relazionie nei trafficinel mediterraneo anticodi Lucio Deriu

CPer ricostruire lo sviluppo delle relazioni tra la cultura dei sardi e quella degli al-tri popoli che si affacciano

nel bacino del Mediterraneo, sia esso orientale che occidentale, purtroppo, possiamo fare affi damento su fon-ti storiche assai scarne. Per fortu-na esiste una vasta documentazione archeologica. Le fonti archeologiche vengono considerate “fonti mute” ma sono indispensabili per ricostruire il contesto in cui determinati fenomeni si sono sviluppati.Grazie ai ritrovamenti archeologici può affermarsi che i sardi e la loro or-ganizzazione erano in stretto rapporto

con tutte le civiltà del Mediterraneo ed anche col mondo etrusco. Le relazioni si instaurano dapprima direttamente con le città dell’Etruria settentriona-le (come Vetulonia e Populonia) e poi - dopo lo stanziamento degli empori commerciali fenici sulle coste dell’Iso-la - vengono mediati attraverso questi centri: Tharros, Othoca e Neapolis nel golfo di Oristano; Sulci, Bithia e Nora nella parte più meridionale della Sardegna. Col passare degli anni si in-staurano rapporti preferenziali con le città di Vulci, Tarquinia e Cerveteri.Con la fi ne dell’età arcaica, tra i primi decenni del VI e il V secolo a C., la Sardegna è oramai ridotta a provincia

dell’impero cartaginese e, come effi -cacemente ha affermato l’archeologo Carlo Tronchetti, “i sardi non sono che una delle tante componenti di questo impero, senza originalità e autonomia politica e culturale”.Dobbiamo pertanto fare un salto in-dietro nel tempo per accorgerci quan-to la Sardegna sia stata immersa nei circuiti commerciali mediterranei: ciò è dovuto alla sua particolare posizio-ne geografi ca ed alla ricca e frasta-gliata articolazione delle sue coste, ad eccezione di quelle orientali dove esistono pochi punti favorevoli all’ap-prodo. Tutto ciò ha fatto sì che l’Isola fosse, sin dalla più remota antichità,

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un punto di passaggio, d’incontro e anche di rielaborazione autonoma di correnti culturali provenienti dalle di-verse regioni circostanti. La Sardegna era dunque in costante rapporto con altri popoli e non costituiva una real-tà separata a sé stante: faceva parte di un più grande bacino culturale ce-mentato attraverso gli scambi di tutti quegli elementi - non solo di cultura materiale - che ora ci permettono di tracciarne meglio i caratteri.Nel neolitico medio (IV millennio a C.) troviamo raffi nate ceramiche a super-fi cie bruna e lucida, spesso decorata con incisioni, talora con rilievi, che trovano riscontro nelle coeve produ-zioni del Mezzogiorno francese così come spiccano le statuette in pietra, le cosiddette “dee madri”, che hanno riferimenti stilistici nelle similari pro-duzioni del Mediterraneo orientale.Il neolitico recente, che inizia alla fi ne del IV millennio, vede la massiccia presenza della cosiddetta Cultura di San Michele di Ozieri con la sua pre-stigiosa ceramica che richiama for-me e motivi decorativi egeo-orientali (come spirali, festoni, triangoli) e le stilizzazioni di fi gure umane singole e a gruppi, con riferimenti che vanno da Creta alle isole Cicladi.Tra gli orizzonti culturali che si pon-gono nella nostra Isola fra la metà del terzo e gli inizi del secondo millennio a C. vi sono le cosiddette facies di Monte Claro e quella defi nita Campaniforme che prende il nome dalla forma a cam-pana del suo vaso più caratteristico. I popoli di tale periodo, defi niti spesso come “gli zingari della preistoria”, si spostano per tutta l’Europa in piccoli gruppi isolati. Arrivano in Sardegna in tempi diversi ed occupano in preva-lenza i territori della costa occidenta-le, convivendo pacifi camente a fi anco delle popolazioni indigene.Alla soglie di quella che sarà la fase più importante per la cultura della nostra Isola a partire dalla fi ne del bronzo medio (1800 – 1700 a C.) assistiamo alla nascita dei nuraghi, prima attra-verso costruzioni più rudimentali, de-fi nite protonuraghi e pseudonuraghi, per fi nire con forme più evolute come le strutture megalitiche dei nuraghi maggiori che ancora punteggiano il territorio dell’intera Sardegna.Questa fase potremmo sicuramente defi nirla come “autoctona”. In ambi-to egeo assistiamo alla costruzione di strutture defi nite a “tholos” per mol-

ti versi architettonicamente consimili alle nostre nel posizionamento dei fi -lari litici che costituiscono la sua ere-zione. Peraltro tali strutture venivano utilizzate esclusivamente in ambito di un megalitismo funerario ad appan-naggio delle classi regnanti.E’ soprattutto in questa fase che i nu-ragici (così verranno defi niti i costrut-tori di queste possenti torri) entrano in stretto contatto con altre popolazioni mediterranee, stanziate sia a oriente che a occidente dell’Isola. L’incontro con i popoli di area egea avviene alme-no a partire dal quindicesimo secolo a C.; essi sono apportatori di strumenti e nuove tecniche per la lavorazione dei metalli. Nello stesso periodo si intrecciano le relazioni con le isole Eolie e, come già accennato, con l’area tirrenica villa-noviana che sfocerà nella splendida civiltà etrusca che ci ha tramanda-to interessanti reperti come i picco-li bronzetti e altri manufatti tra cui quelli defi niti “faretrine votive”. In Sardegna i materiali provenienti dalla Penisola sono abbondanti: abbiamo armi, strumenti, oggetti metallici e so-prattutto fi bule. Particolare rilevanza assumono i ritrovamenti di tali oggetti in quanto direttamente legati a fogge di vestiario che nell’Isola non erano in uso. Tali scambi e relazioni fra la Sardegna e l’area etrusca fanno inten-dere che essi si svolgono in un conte-sto ben determinato e cioè quello delle aristocrazie.La presenza di oggetti prodotti nelle

offi cine sarde, in ripostigli o in altri contesti di ritrovamento in varie parti dell’Italia (spesso assieme a materia-li di alto pregio provenienti da diversi centri di produzione quali la Grecia), ci fa capire come la partecipazione sarda al “circuito dei metalli” nel bacino del Mediterraneo fosse un fenomeno ora-mai ben defi nito.Tutto ciò, chiaramente, non avviene all’improvviso. Gli studi condotti dal-l’archeologa Fulvia Lo Schiavo, sulla notevole componente vicino orientale presente sia nella bronzistica che nel-la metallurgia sarda più in generale, ci fanno capire che in Sardegna esi-stevano già le condizioni per un suc-cessivo sviluppo in tali direzioni. La Sardegna prosegue la sua antica tra-dizione di “crocevia” del Mediterraneo occidentale. Molto spesso dispiace notare, in mol-ti, la tendenza a voler considerare la nostra Isola come un’entità culturale distante dagli infl ussi esterni, incon-taminata, quasi che il contatto con gli altri popoli potesse togliere prestigio

Isili, Il nuraghe Is Paras.

Scandaglio di Piombo

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a quanto il passato ci ha tramandato. Invece la Sardegna é tutto un fi orire di usi e culture frutto delle relazioni instaurate con gli altri popoli. I sardi sono stati e rimangono un im-portante punto fermo nel grande mel-ting pot culturale neolitico prima e protostorico poi. Il fatto d’aver appre-so, talvolta, nuovi metodi per miglio-rare una tecnica esistente non ci deve per forza mettere in una condizione di sudditanza o inferiorità intellettuale. Al contrario tutto ciò é da interpretare in senso positivo, quale testimonian-za dell’essere stati un popolo aperto agli scambi e alle novità. Il fatto di non aver avuto alcun segno che possa essere decifrato come “scrittura” non deve essere interpretato in termini ne-gativi.La rivincita di molti sedicenti specia-listi nella lettura del territorio antico e di quanto in esso contenuto trova spesso sfogo in teorie in cui astrono-mia ed esoterismo sembrano le uniche attività praticate dai nostri predeces-sori per poter espletare persino le pra-tiche quotidiane. La realtà è che spes-so il posizionamento o l’orientamento di una qualsiasi costruzione era det-tato da motivi molto più pratici, come quello di poter sfruttare quanta più luce possibile per illuminare un deter-

minato ambiente, o, al contrario, te-nere fresca un’altra determinata area. Sono convinto che i nostri progenitori, un po’ come facciamo noi ancora oggi, non cercassero molte complicazioni.I sardi conoscevano l’astronomia e le pratiche esoteriche - che sicuramente adattavano ai loro rituali - ma, soprat-tutto, erano in grado di dosare con

saggezza tali conoscenze che, in una storia da considerare esclusivamente e sempre 360 gradi, troviamo come patrimonio comune di ogni popolo e che - proprio grazie agli scambi di idee, esperienze, merci e forse anche di sogni - sono arrivate fi no a noi.

Le rovine della città di Tharros

IL DIAVOLOviene

dal maredi Giovanni Lilliu

S a Sardigna at tentu unu destinu de istoria abbe-ru ispeciali. Sempri po-sta asuta de su dominiu

de foras, issa at sempri resistiu. Est propriu unu miraculu, candu si pen-tzat chi custa terra, posta in d’unu mari continuamenti tocau de is bixi-nus e de is furisteris, est una fi rma-da. Miràculu si teneus contu chi sa vastidadi e sa soledade de is logus (si chistionat de s’ísula comenti de unu continenti), ant pretziau e prétziant a dha prenni de óminis de totu is arrat-zas e de totu is bandheras ideologicas e económicas.Sa traditzioni istórica, s’umori natu-rali, sa lei mediterranea de sa mon-tagna, ant fatu e faint de custa ísu-la sa clàssica “terra marginali”, una terra “diversa” po su carateri morali, antagonista e arrebbellu, po s’istintu de frontera. Si is sardus funt por-taus po natura a no si fi dai de totu cussu chi benit de foras, est po mor-ri de su ispàtziu de montagna e de unu sentimentu de aspresa chi nant “subcultura de sa violentzia”. Ma est, pruscatotu, poita issus si istringint a s’autonomia de sa cultura insoru chi is colonizadores antigus e recentis ant serrau in d’una spétzia de “riserva in-diana”.A parti unu monumentu de sa istoria precoloniali, is sardus no ant conno-tu prus su sentimentu e sa virtudi de su mari. Issus ndi tenint unu cun-cetu “diabolicu” chi isterrint a totus cussus chi dhu atravessant e benint a tocai sa costa e a si fi rmai in custa “ísula terrestre”. Po nosu, po sa poe-sia nosta, po sa cultura nosta, po sa istoria nosta millerària, su mari est su tiàulu e cussus chi benint de su mari funt issus puru tiàulus (o furuncus, chi est sa propria cosa). Fortzis custu este su frutu de totus is esposidius e de frustratzioni e de umiliatzioni. Su isvilupu internu de sa Sardigna est blòcau poita su mari, oi imperu de su neocapitalismu e de su imperialsmu italianu e europeu, est proibiu a is sardus, fata eccetzioni a livellu subal-ternu, candu si trattat de mediai su profi tu de is petrolieris e de is cum-pangias turísticas.Po custu, nosu seus una natzioni proibia, e su sardismu est proibiu. Su sardismu: custu processu mannu, ideologicu, políticu e de cultura, de sa istoria de sa Sardigna. Nasciu ses séculus ainnanti de Cristus, candu is

Su tiàulu benit de su mari.Cultura mediterranea:Così lo storico e archeologo, insigne accademico dei Linceici racconta l’antico rapporto dei sardi col mare.E lo fa a modo suo.

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a quanto il passato ci ha tramandato. Invece la Sardegna é tutto un fi orire di usi e culture frutto delle relazioni instaurate con gli altri popoli. I sardi sono stati e rimangono un im-portante punto fermo nel grande mel-ting pot culturale neolitico prima e protostorico poi. Il fatto d’aver appre-so, talvolta, nuovi metodi per miglio-rare una tecnica esistente non ci deve per forza mettere in una condizione di sudditanza o inferiorità intellettuale. Al contrario tutto ciò é da interpretare in senso positivo, quale testimonian-za dell’essere stati un popolo aperto agli scambi e alle novità. Il fatto di non aver avuto alcun segno che possa essere decifrato come “scrittura” non deve essere interpretato in termini ne-gativi.La rivincita di molti sedicenti specia-listi nella lettura del territorio antico e di quanto in esso contenuto trova spesso sfogo in teorie in cui astrono-mia ed esoterismo sembrano le uniche attività praticate dai nostri predeces-sori per poter espletare persino le pra-tiche quotidiane. La realtà è che spes-so il posizionamento o l’orientamento di una qualsiasi costruzione era det-tato da motivi molto più pratici, come quello di poter sfruttare quanta più luce possibile per illuminare un deter-

minato ambiente, o, al contrario, te-nere fresca un’altra determinata area. Sono convinto che i nostri progenitori, un po’ come facciamo noi ancora oggi, non cercassero molte complicazioni.I sardi conoscevano l’astronomia e le pratiche esoteriche - che sicuramente adattavano ai loro rituali - ma, soprat-tutto, erano in grado di dosare con

saggezza tali conoscenze che, in una storia da considerare esclusivamente e sempre 360 gradi, troviamo come patrimonio comune di ogni popolo e che - proprio grazie agli scambi di idee, esperienze, merci e forse anche di sogni - sono arrivate fi no a noi.

Le rovine della città di Tharros

IL DIAVOLOviene

dal maredi Giovanni Lilliu

S a Sardigna at tentu unu destinu de istoria abbe-ru ispeciali. Sempri po-sta asuta de su dominiu

de foras, issa at sempri resistiu. Est propriu unu miraculu, candu si pen-tzat chi custa terra, posta in d’unu mari continuamenti tocau de is bixi-nus e de is furisteris, est una fi rma-da. Miràculu si teneus contu chi sa vastidadi e sa soledade de is logus (si chistionat de s’ísula comenti de unu continenti), ant pretziau e prétziant a dha prenni de óminis de totu is arrat-zas e de totu is bandheras ideologicas e económicas.Sa traditzioni istórica, s’umori natu-rali, sa lei mediterranea de sa mon-tagna, ant fatu e faint de custa ísu-la sa clàssica “terra marginali”, una terra “diversa” po su carateri morali, antagonista e arrebbellu, po s’istintu de frontera. Si is sardus funt por-taus po natura a no si fi dai de totu cussu chi benit de foras, est po mor-ri de su ispàtziu de montagna e de unu sentimentu de aspresa chi nant “subcultura de sa violentzia”. Ma est, pruscatotu, poita issus si istringint a s’autonomia de sa cultura insoru chi is colonizadores antigus e recentis ant serrau in d’una spétzia de “riserva in-diana”.A parti unu monumentu de sa istoria precoloniali, is sardus no ant conno-tu prus su sentimentu e sa virtudi de su mari. Issus ndi tenint unu cun-cetu “diabolicu” chi isterrint a totus cussus chi dhu atravessant e benint a tocai sa costa e a si fi rmai in custa “ísula terrestre”. Po nosu, po sa poe-sia nosta, po sa cultura nosta, po sa istoria nosta millerària, su mari est su tiàulu e cussus chi benint de su mari funt issus puru tiàulus (o furuncus, chi est sa propria cosa). Fortzis custu este su frutu de totus is esposidius e de frustratzioni e de umiliatzioni. Su isvilupu internu de sa Sardigna est blòcau poita su mari, oi imperu de su neocapitalismu e de su imperialsmu italianu e europeu, est proibiu a is sardus, fata eccetzioni a livellu subal-ternu, candu si trattat de mediai su profi tu de is petrolieris e de is cum-pangias turísticas.Po custu, nosu seus una natzioni proibia, e su sardismu est proibiu. Su sardismu: custu processu mannu, ideologicu, políticu e de cultura, de sa istoria de sa Sardigna. Nasciu ses séculus ainnanti de Cristus, candu is

Su tiàulu benit de su mari.Cultura mediterranea:Così lo storico e archeologo, insigne accademico dei Linceici racconta l’antico rapporto dei sardi col mare.E lo fa a modo suo.

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cartaginesus iant ispintu is sardus in sa montagna, dhus iant impresonaus in sa riserva spartzendu s’isula in duas partis (cus-sa de is “maquis” resistentis e cussa de is “collaboratzionistas”), su sardismu at acumpangiau s’evolutzione de sa terra nosta fi n-tzas a oi, cun sinnus e manifestatziones diversas, però sempri orientadas a unu matessi fi ni: recuberai sa “natzioni pérdia”, ga-dangiai sa “frontera-paradisu”, su mari.Su sardismu s’est isvilupau in mesu de tanti avenimentus isto-ricus, meda bortas in su dramma, in sa violentzia e in su sàn-guini. Arregordaus is gherras de liberatzioni contra is romanus, is giudicaus, sa bogada de is piemontesus a sa fi ni de su 1700, sa reatzione a sa “fusioni” de su 1848, is trumbullus de “su con-notu”, sa fundatzioni de su movimentu e de su partidu sardu in is annus avatantis a sa prima gherra mundiale, s’autonomia otènnida ammarolla cun su istatutu ispeciali de su 26 de friaxu

de su 1948. Su sardismu no est a sa fi ni de su camminu, poita oi si fuedhat de “au-tonomia noa”.Est difícili de cumprendi su sardismu po chini no est sardu o no connoscit profun-damenti sa istoria e sa mentalidade de sa Sardigna. Funt tanti cosas impari: rat-zionalidade, istintu, esperientzia istòrica, movimentu de afetus nascius de su “èsseri sardu”, pentzau comenti unu sigillu e unu fatu ispeciali e diferenti. Su sardismu est, apitzus de totu, su gustu de èssiri “nosu matessi”, comenti su “Sinn Fein” de is ir-landesus. Totus is sardus dhu intendint custu ispíritu antigu e sempri nou: s’ómini

Nuraghe Is Paras, Isili

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de su pópulu po istintu naturali, comenti e una cosa chi dhi benit de atesu e de sa memória de is tempus; su intelletuale cun sa consideru teórica chi no est ancora acabada; su políticu po mesu de una pràtica de guvernu chi no est arribbada fi ntzas a oi a su puntu necessàriu storicamente de s’autodeterminatzioni soberana. Totus duncas dha ant tocau e dhu tocant, totus dh’ant tentu e dhu tenint aintru, su sardismu. S’idea passat in sa sociedadi civili e in associatzionis e par-tidos políticus chi funt in Sardigna, fi ntzas in is partidos “natzionalis”, mancai custus bengant cunsideraus e siant efetivamenti is “agentzias” italianas de su neocapitalismu e de s’imperialismu europeu, motivu de su isvilupu inferiori de su Mesudí e de is ísulas, casi colonias po efetu de su processu de s’unidadi “natzionali” italiana fundada apitzus de sa inegualidadi, in sa lógica de su sistema de classi.Su sardismu oi, custu cimentu ideologicu e psicologicu de s’ísula, est atacau de una “force de frappe” mostruosa: de s’industrializatzioni

neocapitalista e monopolista. Sa cul-tura sarda est de fronti a su perígulu prus mannu de aciocu e de integrat-zioni, de azuvamentu de s’identidade, che si registrat in sa istoria de is con-cuistas colonialis de sa Sardigna. Si is responsàbbiles chi tenit su poderi no arreparant de una manera urgenti custu istremorosu processu de isvi-lupu in totu “esternu” a s’ísula, nosu sardus seus a sa fi ni, cali si siat sa mexina (“intesa” e “cumpromissu isto-ricu” cumpréndius) is succursalistas intendant preparai po si fai fàiri una morti bella.S’úrtimu bénniu de is colonizadores est otennendi cussu colonialismus de totu is èpocas: sa distrutzioni de is va-loris naturalis de sa Sardigna e de is sardus, sa sciasciu de su pópulu, sa ridutzione de una natzioni a una sim-pri espressione geografi cas in su mer-cau comunu de una cultura aprana-da, globali e de ammassu, una ispét-zia de produtu in iscatula, regulau de unu ciorbedhu eletrónicu cumandau de su poderi esclisivu e violentu de foras. Fortzis s’úrtimu bénniu de is colonialistas, agiudau de is succursa-listas nostranus de dereta e de man-ca, a arrennesci a fai cussu chi no ant isciu fai is àterus, cussu chi no at fatu nemmancu su istadu italianu (chi est totu nai!) e dh’at a fai mancai cun sa trassa política de “s’Europa unia”.In custa cunditzioni, su destinu de sa natzioni sarda est craru meda. Sa Sardigna est cundennada a èssiri un iceberg, iscallau de is vaporis de sa pollutzioni de s’industrialsmu inum-manu e afundau in su mari chi no est su suu. Cussus chi ant a portai anco-ra ogus po castiai, ant a biri una bara sparafundendi in su Mediterraneu: su baulu de sa Sardigna de su cali canta-da su poeta Bustianu Satta, in d’unu demasia de disisperu e de arrabiu po sa terra sua.

Oristano: statua di Eleonora d’Arborea

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cartaginesus iant ispintu is sardus in sa montagna, dhus iant impresonaus in sa riserva spartzendu s’isula in duas partis (cus-sa de is “maquis” resistentis e cussa de is “collaboratzionistas”), su sardismu at acumpangiau s’evolutzione de sa terra nosta fi n-tzas a oi, cun sinnus e manifestatziones diversas, però sempri orientadas a unu matessi fi ni: recuberai sa “natzioni pérdia”, ga-dangiai sa “frontera-paradisu”, su mari.Su sardismu s’est isvilupau in mesu de tanti avenimentus isto-ricus, meda bortas in su dramma, in sa violentzia e in su sàn-guini. Arregordaus is gherras de liberatzioni contra is romanus, is giudicaus, sa bogada de is piemontesus a sa fi ni de su 1700, sa reatzione a sa “fusioni” de su 1848, is trumbullus de “su con-notu”, sa fundatzioni de su movimentu e de su partidu sardu in is annus avatantis a sa prima gherra mundiale, s’autonomia otènnida ammarolla cun su istatutu ispeciali de su 26 de friaxu

de su 1948. Su sardismu no est a sa fi ni de su camminu, poita oi si fuedhat de “au-tonomia noa”.Est difícili de cumprendi su sardismu po chini no est sardu o no connoscit profun-damenti sa istoria e sa mentalidade de sa Sardigna. Funt tanti cosas impari: rat-zionalidade, istintu, esperientzia istòrica, movimentu de afetus nascius de su “èsseri sardu”, pentzau comenti unu sigillu e unu fatu ispeciali e diferenti. Su sardismu est, apitzus de totu, su gustu de èssiri “nosu matessi”, comenti su “Sinn Fein” de is ir-landesus. Totus is sardus dhu intendint custu ispíritu antigu e sempri nou: s’ómini

Nuraghe Is Paras, Isili

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de su pópulu po istintu naturali, comenti e una cosa chi dhi benit de atesu e de sa memória de is tempus; su intelletuale cun sa consideru teórica chi no est ancora acabada; su políticu po mesu de una pràtica de guvernu chi no est arribbada fi ntzas a oi a su puntu necessàriu storicamente de s’autodeterminatzioni soberana. Totus duncas dha ant tocau e dhu tocant, totus dh’ant tentu e dhu tenint aintru, su sardismu. S’idea passat in sa sociedadi civili e in associatzionis e par-tidos políticus chi funt in Sardigna, fi ntzas in is partidos “natzionalis”, mancai custus bengant cunsideraus e siant efetivamenti is “agentzias” italianas de su neocapitalismu e de s’imperialismu europeu, motivu de su isvilupu inferiori de su Mesudí e de is ísulas, casi colonias po efetu de su processu de s’unidadi “natzionali” italiana fundada apitzus de sa inegualidadi, in sa lógica de su sistema de classi.Su sardismu oi, custu cimentu ideologicu e psicologicu de s’ísula, est atacau de una “force de frappe” mostruosa: de s’industrializatzioni

neocapitalista e monopolista. Sa cul-tura sarda est de fronti a su perígulu prus mannu de aciocu e de integrat-zioni, de azuvamentu de s’identidade, che si registrat in sa istoria de is con-cuistas colonialis de sa Sardigna. Si is responsàbbiles chi tenit su poderi no arreparant de una manera urgenti custu istremorosu processu de isvi-lupu in totu “esternu” a s’ísula, nosu sardus seus a sa fi ni, cali si siat sa mexina (“intesa” e “cumpromissu isto-ricu” cumpréndius) is succursalistas intendant preparai po si fai fàiri una morti bella.S’úrtimu bénniu de is colonizadores est otennendi cussu colonialismus de totu is èpocas: sa distrutzioni de is va-loris naturalis de sa Sardigna e de is sardus, sa sciasciu de su pópulu, sa ridutzione de una natzioni a una sim-pri espressione geografi cas in su mer-cau comunu de una cultura aprana-da, globali e de ammassu, una ispét-zia de produtu in iscatula, regulau de unu ciorbedhu eletrónicu cumandau de su poderi esclisivu e violentu de foras. Fortzis s’úrtimu bénniu de is colonialistas, agiudau de is succursa-listas nostranus de dereta e de man-ca, a arrennesci a fai cussu chi no ant isciu fai is àterus, cussu chi no at fatu nemmancu su istadu italianu (chi est totu nai!) e dh’at a fai mancai cun sa trassa política de “s’Europa unia”.In custa cunditzioni, su destinu de sa natzioni sarda est craru meda. Sa Sardigna est cundennada a èssiri un iceberg, iscallau de is vaporis de sa pollutzioni de s’industrialsmu inum-manu e afundau in su mari chi no est su suu. Cussus chi ant a portai anco-ra ogus po castiai, ant a biri una bara sparafundendi in su Mediterraneu: su baulu de sa Sardigna de su cali canta-da su poeta Bustianu Satta, in d’unu demasia de disisperu e de arrabiu po sa terra sua.

Oristano: statua di Eleonora d’Arborea

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C ircumnavigare la Sar-degna, partendo dal Capoluogo e solcare il Mediterraneo in senso

antiorario, per fare ritorno, infi ne, nel golfo cagliaritano. È un’avventura straordinaria per i toni azzurrati del mare e per le varietà litologiche del-le coste, lungo le quali si dispongono porti turistici che garantiscono ai cro-ceristi confortevoli condizioni di viag-gio, per la sosta come per gli approv-vigionamenti. Si apre nella litoranea del golfo di Cagliari il Porticciolo di Marina Piccola, costruito nella seconda metà del ‘900. Riparato dai venti attraverso il Promontorio di Sant’Elia, è un porto

ben attrezzato: in banchina ci si può rifornire di acqua ed energia elettri-ca; sono utilizzabili 3 scali di alaggio, e sono possibili riparazioni di piccoli scafi e interventi su motori marini. Vi si trova un circolo nautico, bar, risto-ranti.Dopo aver attraversato un buon tratto della Sardegna Sud-orientale, con le sue coste basse e sabbiose, nel settore antistante il bordo costiero di Santa Luria si può raggiungere il molo di Porto Armando, un porticciolo priva-to ben attrezzato con ingresso aperto a Nord Ovest. Le banchine e i pontili sono costruiti in muratura; tali strut-ture sono fornite di anelli d’ormeggio, acqua, energia elettrica e prese tele-

foniche in banchina. Oltre al riforni-mento di carburante, il porticciolo offre servizi igienici, docce, presidi di vigilanza e locali per il ricovero inver-nale degli scafi . Oltrepassato il Promontorio di Capo Boi, che si insinua nel mare con alte pareti granitiche, e proseguendo verso Capo Carbonara, è possibile appro-dare nel Porto di Villasimius, costrui-to nel settore orientale della Rada di Carbonara. Può ospitare fi no a 750 imbarcazioni da diporto e da pesca. Dispone di acqua, energia elettrica, carburanti, scali d’alaggio, gru, offi ci-ne per motori marini e locali per il ri-messaggio. A breve distanza dal porto è possibile trovare alberghi, ristoranti,

Barbara Cadeddu

Solcando il Mediterraneo la magica Sardegna

Da Cagliari il periplo dell’isola

Sim

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Ari

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C ircumnavigare la Sar-degna, partendo dal Capoluogo e solcare il Mediterraneo in senso

antiorario, per fare ritorno, infi ne, nel golfo cagliaritano. È un’avventura straordinaria per i toni azzurrati del mare e per le varietà litologiche del-le coste, lungo le quali si dispongono porti turistici che garantiscono ai cro-ceristi confortevoli condizioni di viag-gio, per la sosta come per gli approv-vigionamenti. Si apre nella litoranea del golfo di Cagliari il Porticciolo di Marina Piccola, costruito nella seconda metà del ‘900. Riparato dai venti attraverso il Promontorio di Sant’Elia, è un porto

ben attrezzato: in banchina ci si può rifornire di acqua ed energia elettri-ca; sono utilizzabili 3 scali di alaggio, e sono possibili riparazioni di piccoli scafi e interventi su motori marini. Vi si trova un circolo nautico, bar, risto-ranti.Dopo aver attraversato un buon tratto della Sardegna Sud-orientale, con le sue coste basse e sabbiose, nel settore antistante il bordo costiero di Santa Luria si può raggiungere il molo di Porto Armando, un porticciolo priva-to ben attrezzato con ingresso aperto a Nord Ovest. Le banchine e i pontili sono costruiti in muratura; tali strut-ture sono fornite di anelli d’ormeggio, acqua, energia elettrica e prese tele-

foniche in banchina. Oltre al riforni-mento di carburante, il porticciolo offre servizi igienici, docce, presidi di vigilanza e locali per il ricovero inver-nale degli scafi . Oltrepassato il Promontorio di Capo Boi, che si insinua nel mare con alte pareti granitiche, e proseguendo verso Capo Carbonara, è possibile appro-dare nel Porto di Villasimius, costrui-to nel settore orientale della Rada di Carbonara. Può ospitare fi no a 750 imbarcazioni da diporto e da pesca. Dispone di acqua, energia elettrica, carburanti, scali d’alaggio, gru, offi ci-ne per motori marini e locali per il ri-messaggio. A breve distanza dal porto è possibile trovare alberghi, ristoranti,

Barbara Cadeddu

Solcando il Mediterraneo la magica Sardegna

Da Cagliari il periplo dell’isola

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servizi di ogni tipo. A nord della foce del Flumedosa, in territorio di Villaputzu, si estende un chilometro di scogliera dove un porto turistico ben attrezzato si apre a sud est. Si tratta di Porto Corallo: vi si accede dopo aver superato il pennel-lo di protezione di un corso d’acqua. All’interno è possibile ormeggiare sia nei due moli della banchina meridio-nale sia negli altri due che partono dalla diga foranea che ripara il porto da Nord Est. Inoltre, nei pressi sorge un villaggio turistico dove si trovano bar, ristoranti e negozi.Fra le aspre e selvagge coste del-l’Ogliastra è possibile sostare nel Porto Frailis, in un’insenatura aperta a Sud Ovest, protetta dai venti settentriona-li con lo scudo di Capo Bellavista ma investita dallo Scirocco. Nella piana retrostante e sui rilievi che la racchiu-dono sono stati organizzati diversi vil-laggi turistici, camping e hotel.Superato il Capo Bellavista, passando dalle rocce granitiche alla lunga cur-vatura della spiaggia di Tortolì fi no alle altissime falesie di Capo Montesanto, si raggiunge il Porto di Arbatax, nel-l’insenatura di Santa Maria Navarrese.

E’ un porto commerciale usato anche per i collegamenti con la penisola, e di recente è stato ampliato per accoglie-re le imbarcazioni da diporto. E’ do-tato di gru e locali per il rimessaggio, ma sprovvisto di offi cine meccaniche per la riparazione dei motori marini, reperibili nel vicino centro di Tortolì. Nei pressi del porto, nell’abitato di Arbatax, si trovano negozi, empori, bar, ristoranti, ed alberghi. Mantenendo la rotta verso nord, si può ammirare l’insenatura di Cala Gonone, dietro la quale la falesia la-scia il posto ad una costa bassa, co-stituita da un bordo di detriti. Situato sul bordo di una piana allu-vionale sulla quale si trova l’abitato di Gonone, una frazione del Comune di Dorgali, il Porto di Cala Gonone è dotato di uno scalo di alaggio per im-barcazioni fi no a 23 tonnellate, di una gru fi ssa di 9 tonnellate, carpenterie per piccole riparazioni, assistenza al-l’ormeggio. L’ingresso al porto può es-sere diffi coltoso quando spira il vento di Maestrale, a causa delle forti raf-fi che di vento provenienti dalle gole retrostanti.In una frazione del Comune di

Siniscola, il porticciolo La Caletta sor-ge in una prominenza rocciosa fra le due sporgenze di Punta San Giovanni e Punta La Caletta. Si tratta di un molo che gode di una posizione strategica, essendo adatto all’attracco di traghetti veloci e consentendo un rapido colle-gamento con la Penisola. Può ospitare imbarcazioni con pescaggio fi no a 5 metri; è servito di acqua e carburante in banchina ed ha un piccolo scalo di alaggio.Tra la punta Li Cucutti e Punta Li Tulchi, distanti fra loro 1 chilometro e mezzo, si apre l’insenatura di Ottiolu, orlata dalla spiaggia omonima, con-clusa da un porto turistico. E’ un molo privato dotato di circolo nautico, che dista 8 miglia da La Caletta. Conta 445 posti barca, 45 dei quali riservati al transito; può ospitare imbarcazioni da 6 a 22 metri di lunghezza. Esposto a Sud Est, è attraversato dai venti di Levante, Scirocco e Grecale; dispone di assistenza meccanica ed elettro-nica, ed è servito di acqua, ghiaccio, supermercato, carburante, corrente elettrica, e presa TV in banchina. Sono inoltre offerti i servizi di ritiro rifi uti, guardiania, sommozzatori, ormeggia-

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tori. È possibile anche il rimessaggio e la riparazione degli scafi . Di fronte all’isola di Tavolara si apre l’insenatura di Porto San Paolo, pro-tetta a Nord Est dall’isola Piana e dal-l’isola di Tavolara e, a Nord, dall’iso-lotto Cavalli e da Punta Corallina. La sua posizione ben protetta viene uti-lizzata come porto per pescherecci e per il traffi co della vicina Tavolara. Porto di Spurlattà si apre a Ovest del-la Punta Corallina, inserito tra le coste granitiche. Il porto può ospitare imbar-cazioni con pescaggio massimo di 1,5 metri; è servito d’acqua, corrente elet-trica, carburante in banchina. Inoltre,

sono offerti servizi di ritiro rifi uto, la guardiania, sommozzatori, servizi igienici e docce, assistenza meccanica e ricovero degli scafi durante l’inver-no. Numerosi insediamenti turistici nel litorale offrono servizi di alloggio, commercio, ristorazione.Il golfo di Olbia si apre tra Capo Ceraso a Sud e Capo Figari a Nord ed è impostato sulla valle più estesa del-la Gallura. L’area portuale è divisa in tre zone: la stazione marittima, che ha una larga banchina ed è servita dalla rete ferroviaria, nella quale approdano i traghetti, il porto interno, e il porto industriale.

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a Tra il golfo di Olbia e quello di Arzachena si estende un litorale ricco di valli sommerse. Superata la Punta del Canigione si arriva al golfo di Marinella, estrema-mente ricco di cale, la cui bellezza è in parte compromessa dalla presenza di numerosi villaggi turistici e abita-ti privati. Al termine della spiaggia di Marinella si trova il Porto di Marana, che può ospitare fi no a 300 imbarca-zioni. Il molo è banchinato e dotato di diversi pontili, e dispone di acqua, corrente elettrica, distributore di car-burante. Vi si trova, inoltre, un circolo nautico e si può usufruire di sommoz-zatori, guardiania, cabine telefoniche, docce, assistenza meccanica, rimes-saggio a secco. L’accesso all’area por-tuale è reso complicato dalla presenza di numerose secche e dalla frequente corrente ventosa. A poco più di 500 metri è possibile raggiungere il Porto Oro Palumbalza, costruito in una rientranza della co-sta. È un porticciolo privato inserito in una struttura turistico alberghiera. Il bacino portuale ha forma ellittica ed è interamente banchinato. Il porto of-fre la possibilità di rifornimento d’ac-qua, corrente elettrica, èd è servito da albergo con piscina, bar, ristorante, rivendita di ghiaccio. Proseguendo la navigazione, poco più di un chilometro a sud dell’istmo del-la Punta della Volpe si apre la baia rotondeggiante di Porto Rotondo. Il molo, caratterizzato da una banchina che segue tutto il perimetro interno della baia, può ospitare imbarcazio-ni da diporto fi no a 30 metri di lun-ghezza. È un porto privato dotato di tutti i servizi, come l’acqua, corrente elettrica e distributore di carburante in banchina, empori per oli, gas com-bustibile, attrezzature nautiche. Vi si trova un circolo nautico e il servizio di ormeggiatori, piloti, sommozzatori, guardiania. È dotato inoltre di cabine telefoniche, servizi igienici, docce, of-fi cina meccanica, assistenza elettrica ed elettronica. Nel settore occidentale della baia di Cugnana si trova Portisco, quasi di fronte a Porto Rotondo, realizzato per accogliere fi no a 670 barche. Il molo, ben riparato, è dotato di acqua, ener-gia elettrica, distributore di carburan-ti in banchina, servizi di ormeggiatori, sommozzatori, guardiania e docce.A Nord inizia il litorale del compren-sorio della Costa Smeralda, che com-

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prende Cala di Volpe, Porto Liccia, Porto Cervo, Liscia di Vacca e Poltu Quatu.A Nord di Punta Carpaccio si apre l’in-senatura di Porto Liccia, caratterizzato da una costa granitica, poi, superato il Golfo del Pero, si giunge all’insenatu-ra di Porto Cervo, intorno alla quale è stato edifi cato il più importante com-plesso turistico della Costa Smeralda. Il porto è dotato di tutti i servizi in banchina, scalo d’alaggio fi no a 350 tonnellate, cantiere nautico, centro medico, docce, servizi igienici, antin-cendi.Ad Ovest di Liscia di Vacca, oltre Punta Barrotti, si apre Poltu Quatu, chiuso ad Ovest dalle rocce di Monte Stentino. Stretto e profondo, è rac-chiuso da graniti rosa. Il porticciolo privato, che occupa tutta l’insenatura, è capace di ospitare circa 500 imbar-cazioni; ben riparato da tutti i venti, è accessibile anche quando soffi a il Maestrale. Offre tutti i servizi relati-vi all’approvvigionamento d’acqua ed energia elettrica, carburante, oli; ospi-ta empori per attrezzature nautiche, cabine telefoniche, servizi igienici,

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docce, offi cine meccaniche, eccetera.Da Poltu Quatu i graniti continuano fi no alla Punta Battistone, ad Ovest della quale si apre Baia Sardinia. Nel lato occidentale del Golfo di Arzachena si trova l’approdo di Cannigione. Il porto è dotato d’acqua, energia elettri-ca e telefono in banchina. Ad Ovest di Punta Nera si apre la rada di Palau, il cui porto viene uti-lizzato per i collegamenti con l’Isola di La Maddalena, con la Corsica e per le escursioni nelle numerose isole del vicino arcipelago. L’area portuale è dotata da tutti i servizi, come acqua, corrente elettrica, distributore di car-buranti, gru, parcheggio auto, empo-rio per attrezzature nautiche, cabine telefoniche, servizi igienici, offi cina meccanica, assistenza elettrica, rico-vero degli scafi .Nella parte occidentale della Rada di Mezzo Schifo si apre la Cala Inglese, con una spiaggia intorno alla quale è stato costruito il villaggio turistico residenziale di Porto Raphael, il cui nome si deve ad un architetto spagno-lo che, negli anni Sessanta del ‘900, dotò la zona di insediamenti turisti-ci che non compromisero l’equilibrio ambientale. Porto Raphael ospita uno Yacht Club; e fornisce acqua ed ener-gia elettrica, servizi igienici, docce, guardiania e ritiro rifi uti. Nello scalo d’alaggio si possono eseguire ripara-zioni a piccoli scafi , ed avere sommoz-zatori e ormeggiatori.Attraversata la Gallura Nord Orientale, caratterizzata da aspri speroni gra-nitici a Punta Mormorata e Punta

Falcone, si può raggiungere l’Arcipe-lago di La Maddalena. Il porto dell’Iso-la di Maddalena è importante per il diporto, trovandosi in una posizione strategica ed essendo dotato di tutti i servizi, come acqua, corrente elet-trica, distributore di carburanti, oli, bombole, gas combustibile, emporio per attrezzature nautiche, cabine te-lefoniche, servizi igienici. Nel porto si trova inoltre il Club Nautico di La Maddalena, e si può usufruire di gru, parcheggio auto, offi cina meccanica, assistenza elettrica, locali per il rico-

vero degli scafi .Superata La Maddalena, si naviga verso Santa Teresa di Gallura, citta-dina turistica dotata di porto che è il principale punto di comunicazione con Bonifacio, in Corsica. Avendo raggiunto Punta Li Francesi, avvistato la Torre di Vignola, costruita all’inizio del ‘600 in blocchi di granito, e costeggiato la spiaggia omonima, si arriva al bordo della Gallura nord-oc-cidentale, dove le rocce granitiche ge-nerano una scogliera rossastra che si adagia al mare trasparente. Navigando nel Golfo dell’Asinara, che abbraccia gran parte delle coste della Sardegna settentrionale, si può so-stare nel porto di Castelsardo, che è il solo esistente nel settore costiero tra quelli di Santa Teresa di Gallura e Porto Torres. Il porto, esposto ai venti di Maestrale, Ponente e Tramontana, è attrezzato con una gru mobile, ha uno scalo per l’alaggio di barche fi no a 12 tonnellate e un’offi cina meccani-ca; è dotata di offi cina per riparazioni meccaniche.Superato il porto di Stintino, detto Minore (il vecchio porticciolo men-tre il nuovo è stato realizzato a Portu Mannu), che fornisce servizi di ogni sorta, si doppia Capo Falcone e si co-mincia la traversata lungo la costa Ovest dell’Isola, con il litorale occi-dentale della Nurra, dove si apre la cala di Porto dell’Argentiera e Porto

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Ferro per poi costeggiare la Penisola di Capocaccia, caratterizzata dalla pietra calcarea. Dopo Capocaccia di trova la baia di Porto Conte, protetta da colli calcarei. Lunga 6 chilomentri, ospita il portic-ciolo turistico di Porto Conte Marina, formato con una serie di pontili gal-leggianti ancorati al fondo. Il molo può ospitare fi no a 160 imbarcazioni del-la lunghezza massima di 18 metri. In banchina si trovano acqua, carburan-ti ed energia elettrica; sono inoltre di-sponibili servizi igienici, docce, lavan-deria, e sono assicurati ilo ritiro rifi uti e servizio di guardiania, gru, cantiere per le riparazioni.Superata la Punta del Giglio, si giunge nella spiaggia del lido di Alghero. Nel suo porto sono possibili il rifornimen-to di acqua e carburanti; è presente un’offi cina meccanica, una gru fi ssa, uno scalo d’alaggio per piccole imbar-cazioni e sono possibili le riparazioni a piccoli scafi . Grazie alla sua vici-nanza alla città, offre la possibilità di raggiungere gli empori per la nautica e centri commerciali.Proseguendo la navigazione nel mare della Sardegna centro-occidentale, oltrepassato il Promontorio di Capo Marargiu, si arriva in prossimità della cittadina di Bosa, che dispone dell’uni-co porto fl uviale dell’Isola, visto che il

fi ume Temo è navigabile con piccole imbarcazioni per circa 4 chilometri. L’accesso al porto è a Nord dell’isola Rossa, che è stata unita alla terra-ferma attraverso una diga. Le imbar-cazioni con pescaggio fi no a 1 metro possono addentrarsi nel porto fl uviale, dove è possibile l’ormeggio sulla ban-china del lato sinistro del Temo, ma vi si può accedere solo quando non sof-fi ano i venti che provocano la risacca. Sulla banchina del fi ume è possibile usufruire di fontanella d’acqua, un di-stributore di carburante e uno scalo d’alaggio privato. Nell’abitato, inoltre, si trova un emporio nautico, un can-tiere per riparazioni, capannoni per il rimessaggio e cabine telefoniche. Attraversata Capo Mannu e la Penisola del Sinis, si raggiunge il gol-fo di Oristano, che offre come punto di approdo il Porto di Torre Grande. Questo si trova nei pressi delle vaste zone umide del Sinis, conta 780 posti in barca e offre servizi di ogni sorta.Dopo aver costeggiato per un buon tratto il litorale dell’Iglesiente, si può raggiungere il Porto di Buggerru, il cui bacino viene continuamente insab-biato, a causa della sua particolare posizione e dell’abbondante presenza di sabbia. Nella banchina del porto, che è a gestione pubblica, è possibile trovare prese di corrente, rifornimen-

to d’acqua dolce, scali d’alaggio, gru; nel vicino centro abitato si possono raggiungere agilmente negozi, bar e ristoranti.Arrivati nell’Isola di San Pietro (Carloforte) è possibile sostare nel suo porto commerciale: le imbarcazioni da diporto reperiscono in banchina ac-qua, distributore di carburanti, gru, offi cine meccaniche. Nell’Isola di Calasetta il porto viene utilizzato sia per le comunicazioni con Carloforte, sia per ospitare le imbar-cazioni da diporto. Vi si trova scalo d’alaggio, acqua e, nel vicino centro abitato, ogni sorta di servizi.Superata l’Isola Rossa e Capo Spartivento, costeggiando il litorale di Pula, si raggiunge il porticciolo di Calaverde, costruito alla foce di un torrentello. Può ospitare un centinaio di imbarcazioni della lunghezza di 12 metri; in banchina ci si può approv-vigionare di acqua, energia elettrica, carburante. Inoltre nel porticciolo, servito da una gru di 10 tonnellate, si eseguono riparazioni meccaniche ed è possibile il rimessaggio. Ospita un circolo nautico, e offre servizi igienici, cabine telefoniche, ormeggiatori.

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le foche! – grida qualcuno. Ed infatti si tratta proprio di questi strani anfi bi che, come abbiamo potuto constatare, si rifugiano anche in questo labirinto che comunica col mare. Gli speleologi discesi nel pozzo hanno disturbato il pigro sonno ed hanno rotto con la loro invasione un quiete forse inviolata da millenni, costringendo quelle foche a manifestarsi. La loro presenza accre-sce la suggestione già straordinaria di questo regno vergine ed arcano che si è presentato per la prima volta ai no-stri occhi sbigottiti”.

La Foca Monaca

P resso gli antichi greci, la foca monaca era sacra al Dio del sole Apollo, nonchè creatu-ra amata dal Dio del mare

Poseidone. Ampiamente diffusa in tutto il mediterraneo, era ben cono-sciuta anche dai romani che le attri-buivano natura umana chiamandola “vecchio di mare”. La foca monaca del

mediterraneo, il cui nome deriva dal colore del mantello, simile al colore del saio dei monaci, è una delle specie maggiormente minacciate d’estinzione al mondo.Le foche appartengono al gruppo dei mammiferi che hanno nell’acqua il loro ambiente naturale. I loro arti in-feriori si presentano con struttura di pinne, e così, tutto il gruppo si chiama dei “pinnipedi”.I pinnipedi sono animali a sangue cal-do, con respirazione polmonare e ca-ratteristiche riproduttive proprie dei mammiferi, ma sono talmente adatta-ti alla vita acquatica da competere con i migliori animali marini. Essi sono costretti a venire a terra per il parto e per l’allattamento dei piccoli.Sono gli unici animali a respirazione aerea che possono dormire immersi nell’acqua: posati sul fondo ad una certa profondità essi tornano ogni tanto in superfi cie con lenti movimen-

ti degli arti anteriori, tengono gli occhi chiusi e dilatano le narici per imma-gazzinare aria, quindi si lasciano rica-dere sul fondo.Il suo tasso riproduttivo è scarso (ogni due anni può partorire un solo cuc-ciolo dopo il quinto anno d’età) e ha un’alta mortalità infantile dovuta alla stagione delle nascite agosto-novem-bre quando spesso le grotte dove na-scono i cuccioli si allagano e le onde trascinano i piccoli incapaci di nuota-re per i primi quattro mesi. Alla matu-rità che raggiungono dopo tre o quat-tro anni, i maschi possono superare i due metri di lunghezza ed i 300 Kg. di peso; le femmine sono più piccole.Il problema della “Foca Monaca” nel Golfo di Orosei ha incominciato ad affacciarsi negli anni ’60, ponendo-si anzitutto all’attenzione dei gruppi speleologici che, per ragione della loro attività, potevano notare che la foca diminuiva sensibilmente.La foca, infatti, pur non essendo un animale di grotta nel senso proprio che si da a questo termine, si rifugia però normalmente in grotte che han-no accesso dal mare per trovare quel minimo di protezione che le consen-ta di vivere in pace. Se ne interessa-no particolarmente il Gruppo Grotte Nuorese ed il Gruppo Speleologico Pio XI di Cuglieri: quest’ultimo, che espli-cava attività in diverse grotte della

Sardegna, notava subito la progressi-va sparizione della foca da altre aree dell’isola, quali Tavolara, Capo Caccia ecc. dove poco prima esisteva, per concentrasi nella sola zona del Golfo di Orosei. I suddetti gruppi incomin-ciarono a sensibilizzare altri ambien-ti interessanti non solo in Sardegna, ma anche in tutta Italia ed all’estero, e pian piano se ne interessarono Enti pubblici ed istituzioni scientifi che, specialmente negli anni ’70, in cui tanto si parlò di patrimonio naturale e problemi ecologici.Nell’estate 1970 se ne interessò l’Uni-versities Federation Animal Welfare di Londra, mandando sul posto il suo di-rettore scientifi co Walter Scott, un vero specialista di foche e dei problemi de-gli animali da proteggere. Scott fu ac-compagnato nei suoi giri in Sardegna personalmente dal Prof. Furreddu, che avvia questo studio incoraggiato dal predetto UFAW e particolarmente dall’Assessorato al Turismo della re-gione sarda per mezzo dell’E.P.T. di Nuoro.Le ricerche già iniziate negli anni precedenti si localizzarono nell’unico punto dove ancora si trovavano con certezza le foche, cioè nella Grotta Del Fico.

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C andu custu patrimóniu de cultura e morali est cum-pliu, est prontu a dh’ar-regolli, a dhu fai própriu

e a dhu portai a su puntu prus artu de dignidadi istórica, sa cultura nu-ràgica, chi pigat su nòmini de is nu-raxis. Est custu su tempus de sa se-gunda natzioni sarda, chi durat milla annus, de su 1500 a su 500 ainnantis de C. E no naraus de s’infl uéntzia de custa cultura ancora in su períudu de s’istória coloniali e in sa resisténtzia sarda fi ntzas a oi.In is tempus de is nuraxis, mancai si-gat sa divisioni política e amministra-tiva in partis de sa Sardigna, s’istrutu-ra culturali torrat a èssiri omogènea, in su sentidu de sa natzioni. In dógnia logu bestiàmini e laurera; in certus lo-gus si produit in s’indústria de is mi-neralis chi si agatant in cantidadi. Sa religioni, in costúminis, is régulas, is modu de bivi personali est in so-ciedadi, sa língua e is caràteris de su corpus e de su sentidu funti comunus in totu s’ísula e faint logu a un’àtera unidadi de menti e de coru.

Is figureddas de brunzuLE RADICI MEDITERRANEE DELLA CULTURA SARDA

e su mari ispantosudi Giovanni Lilliu

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le foche! – grida qualcuno. Ed infatti si tratta proprio di questi strani anfi bi che, come abbiamo potuto constatare, si rifugiano anche in questo labirinto che comunica col mare. Gli speleologi discesi nel pozzo hanno disturbato il pigro sonno ed hanno rotto con la loro invasione un quiete forse inviolata da millenni, costringendo quelle foche a manifestarsi. La loro presenza accre-sce la suggestione già straordinaria di questo regno vergine ed arcano che si è presentato per la prima volta ai no-stri occhi sbigottiti”.

La Foca Monaca

P resso gli antichi greci, la foca monaca era sacra al Dio del sole Apollo, nonchè creatu-ra amata dal Dio del mare

Poseidone. Ampiamente diffusa in tutto il mediterraneo, era ben cono-sciuta anche dai romani che le attri-buivano natura umana chiamandola “vecchio di mare”. La foca monaca del

mediterraneo, il cui nome deriva dal colore del mantello, simile al colore del saio dei monaci, è una delle specie maggiormente minacciate d’estinzione al mondo.Le foche appartengono al gruppo dei mammiferi che hanno nell’acqua il loro ambiente naturale. I loro arti in-feriori si presentano con struttura di pinne, e così, tutto il gruppo si chiama dei “pinnipedi”.I pinnipedi sono animali a sangue cal-do, con respirazione polmonare e ca-ratteristiche riproduttive proprie dei mammiferi, ma sono talmente adatta-ti alla vita acquatica da competere con i migliori animali marini. Essi sono costretti a venire a terra per il parto e per l’allattamento dei piccoli.Sono gli unici animali a respirazione aerea che possono dormire immersi nell’acqua: posati sul fondo ad una certa profondità essi tornano ogni tanto in superfi cie con lenti movimen-

ti degli arti anteriori, tengono gli occhi chiusi e dilatano le narici per imma-gazzinare aria, quindi si lasciano rica-dere sul fondo.Il suo tasso riproduttivo è scarso (ogni due anni può partorire un solo cuc-ciolo dopo il quinto anno d’età) e ha un’alta mortalità infantile dovuta alla stagione delle nascite agosto-novem-bre quando spesso le grotte dove na-scono i cuccioli si allagano e le onde trascinano i piccoli incapaci di nuota-re per i primi quattro mesi. Alla matu-rità che raggiungono dopo tre o quat-tro anni, i maschi possono superare i due metri di lunghezza ed i 300 Kg. di peso; le femmine sono più piccole.Il problema della “Foca Monaca” nel Golfo di Orosei ha incominciato ad affacciarsi negli anni ’60, ponendo-si anzitutto all’attenzione dei gruppi speleologici che, per ragione della loro attività, potevano notare che la foca diminuiva sensibilmente.La foca, infatti, pur non essendo un animale di grotta nel senso proprio che si da a questo termine, si rifugia però normalmente in grotte che han-no accesso dal mare per trovare quel minimo di protezione che le consen-ta di vivere in pace. Se ne interessa-no particolarmente il Gruppo Grotte Nuorese ed il Gruppo Speleologico Pio XI di Cuglieri: quest’ultimo, che espli-cava attività in diverse grotte della

Sardegna, notava subito la progressi-va sparizione della foca da altre aree dell’isola, quali Tavolara, Capo Caccia ecc. dove poco prima esisteva, per concentrasi nella sola zona del Golfo di Orosei. I suddetti gruppi incomin-ciarono a sensibilizzare altri ambien-ti interessanti non solo in Sardegna, ma anche in tutta Italia ed all’estero, e pian piano se ne interessarono Enti pubblici ed istituzioni scientifi che, specialmente negli anni ’70, in cui tanto si parlò di patrimonio naturale e problemi ecologici.Nell’estate 1970 se ne interessò l’Uni-versities Federation Animal Welfare di Londra, mandando sul posto il suo di-rettore scientifi co Walter Scott, un vero specialista di foche e dei problemi de-gli animali da proteggere. Scott fu ac-compagnato nei suoi giri in Sardegna personalmente dal Prof. Furreddu, che avvia questo studio incoraggiato dal predetto UFAW e particolarmente dall’Assessorato al Turismo della re-gione sarda per mezzo dell’E.P.T. di Nuoro.Le ricerche già iniziate negli anni precedenti si localizzarono nell’unico punto dove ancora si trovavano con certezza le foche, cioè nella Grotta Del Fico.

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C andu custu patrimóniu de cultura e morali est cum-pliu, est prontu a dh’ar-regolli, a dhu fai própriu

e a dhu portai a su puntu prus artu de dignidadi istórica, sa cultura nu-ràgica, chi pigat su nòmini de is nu-raxis. Est custu su tempus de sa se-gunda natzioni sarda, chi durat milla annus, de su 1500 a su 500 ainnantis de C. E no naraus de s’infl uéntzia de custa cultura ancora in su períudu de s’istória coloniali e in sa resisténtzia sarda fi ntzas a oi.In is tempus de is nuraxis, mancai si-gat sa divisioni política e amministra-tiva in partis de sa Sardigna, s’istrutu-ra culturali torrat a èssiri omogènea, in su sentidu de sa natzioni. In dógnia logu bestiàmini e laurera; in certus lo-gus si produit in s’indústria de is mi-neralis chi si agatant in cantidadi. Sa religioni, in costúminis, is régulas, is modu de bivi personali est in so-ciedadi, sa língua e is caràteris de su corpus e de su sentidu funti comunus in totu s’ísula e faint logu a un’àtera unidadi de menti e de coru.

Is figureddas de brunzuLE RADICI MEDITERRANEE DELLA CULTURA SARDA

e su mari ispantosudi Giovanni Lilliu

In alto: Il nuraghe “Su Nuraxi”di Barumini.Al centro: Dorgali “Nuraxi Mannu”Sotto: tomba di Giganti “S’Ena e Thomes”

Archivio Gia Comunicazione

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Nascit insaras e pigat poderi una ari-stocratzia chi tenit su fundamentu in sa religioni, in d’una forma de auto-disciplina e in d’una sociedadi or-ganizada aundi est capu unu so-beranu: rei, predi, cumandanti militari e giugi in su própriu tempus e totu in d’unu. Si format un’istadu sardu autónomu, indipendenti e líbberu. Est su tempus de s’istória sarda fata de is Sardus, chi tenint cuscéntzia de s’impor-tàntzia de issus etotu in su movimentu de su Mediterràneu. Est insa-ras chi sa Sardigna pi-gat sa fi gura política de polis, in cantu connoscit un’ordinamentu giurídicu própriu, tenit citadis, to-cat casi una rivolutzioni in sa sociedadi e in s’economia, e custu asuba de totu in su séculu VIII ainnantis de C. Su sinnu prus artu de custa cultura nuràgica funt is nuraxis: turris a forma de conu, cun d’unu o prus aposentus abbovidaus, a tholos comenti narant is Grecus antigus chi ant chistionau de custus fàbbricus poderosus co-menti e de cosa insoru. Si ndi contant prus de setimila, presentis in totu su territóriu. Certus funt castedhus, fa-tus cun tanti arti militari e bellesa ar-chitetónica chi si podint pònniri intra is maravíglias de su mundu passau. Est interessanti a biri comenti e cantu custas turris, fatas cun perda manna a muru bullu, assimbillant a is tur-ris de sa Córsica e a is “talaiots” de is Balearis, mancai is monumentus de custas úrtimas ísulas non tengant sa mannària chi mustrant is nuraxis sardus. Si bit cun craresa in custus fàbbricus s’altesa de ispíritu e s’in-ginnu mediterràneu e su parentau de forma e de ambienti de su nur (custa arrexini est difúndia in totu su mun-du sardu-corsu e baleàricu, e nure est su nòmini antigu de Menorca).Is sepulturas de su tempus, chi si nant tumbas de gigantis e chi benint de un’antiga forma ocidentali (dolmen, allèe couverte), funti monumenta-lis comenti a is nuraxis, po sa man-nària e po s’istrutura a perdas man-nas chentza de cimentu. De pranta a retàngulu chi acabbat in tundu de una parti, de s’atera sa tumba fait biri una pratza a mesu circu chi serbiat

po is ofertas a is mortus chi poniant, totus impari e in medas, aintru de sa fossa in su fàbbricu. In certus casus acanta de sa tumba fi -gurant perdas trabballadas (bètilus), cun sinnus de ogus, de titas o fatas in forma de membru, chi dimustrant sa continuidadi materna mediterrànea. Est de nai chi sa tumba de is gigan-tis si assimbillat prus acanta sa nau o naveta de Menorca.Àteras cosas de fai mercai funt is tem-plus de forma diversa, a megaron, a sa moda greca prus antiga, de pran-ta prelongada: e, cussus in cantida-di, fatus a putzu cun d’una lollixedda ananti. Candu custus edifítzius faint parti de unu santuàriu, si cumprendit s’importantzia politica e sociali chi ndi resultat: centrus de festa religiosa e de mercau, innui badhant e cantant in coru e si afi otant is comunidadis chi de dógnia parti arribbant a is logus de cultu, su prus a pei, cun donus de dógnia arratza po is divinidadis. Fiat própriu in custus logus chi si podiat intendi e manifestai s’iden Poita in custas immàginis de su pe-ríudu aristocràticu de s’edadi de is nuraxis, nosu bideus chentza duda sa realidadi de una Sardigna chi non est subbordinanda a nisciunu o inte-grada a i poténztzias de foras. Antzis resultat una terra chi isfi dat de pari

a pari is àteras de su Mediterràneu, fi ntzas is prus mannas, comenti sa greca e is orientalis, cun d’una fortza

de vida cosa sua chi ponit in èssiri s’identidadi e sa diversidadi de sa

natzioni protosarda. Ma própriu candu s’ísula fi at a su puntu màssimu de pro-gressu, cumentzat s’iscón-triu comenti e una neces-sidadi istórica. Is Sardus depint gherrai casi po unu séculu po difèndi-ri sa libbertadi insoru e s’indipendéntzia de sa terra insoru de su colo-nialismu e de s’imperia-lismu de is Fenícius e de is Cartaginesus. A sa fi ni, bintus, pigant su cammi-

nu tristu de is montis innui benint inserraus comenti e

in d’una riserva indiana.Insaras su natzionalismu de

istadu (un’istadu furisteri) nci dh’iat fata apitzus de s’etnia sarda.

S’istória sarda, fata de is Sardus cun d’unu traballu de séculus, andat totu

a s’arrovèsciu, benit fata innói de is opressoris: is furuncus chi be-nint de su mari (aici narat unu díciu sardu antigu). Sa Sardigna benit truncada in duus: una est cussa de su domíniu e de is intre-gaus a su poderi de su coloniali-smu imperialísticu, s’àtera abar-rat a is resistentis chi abetant de torrai a fai, candu at a bènniri su tempus, sa natzioni sarda. Poita custa natzioni, cuada in s’ispíritu, in sa traditzioni e in sa cuscéntzia política de sa genti de monti arrebbella a totu is meris, fi at e est comenti e unu iceberg chi, de tanti in tanti, si fait a biri, candu si fait unu buidu de poderi de is imperialistas furisteris agiu-daus de is Sardus chi ant bociu sa mamma. A sa Sardigna ndi dh’ant bogada de su paradisu e dh’ant fata intrai, comenti e àteras natzionis aciuva-das, in s’istória de su mudori. Però issa tenit in coru tanti arràbiu po torrai a sa frontera de su paradi-su, in d’unu movimentu revolut-zioneri de pópulu o de classi.A pagu a pagu, s’istória de is ca-tacumbas, cussa chi nant s’istória “inferiori”, s’istória de is isfrutaus, de is bogaus de fund’e arréxini, de cussus lassaus in s’oru, de is diversus, est essida de s’umbra e càstiat faci a un’istedhu chi parit de bonu destinu. Unu fi lu chi non si bit, ma forti, istringit in d’una solidariedadi noa pópulus e perso-nas chi po tanti tempus no dhis ant permítiu de èssiri e dhis ant negau su deretu naturali de èssiri de diversu sentimuntu, cussu chi est sa libbertadi auténtica.Luegus, però, is bintus ant a ès-siri is bincidoris in s’utopia de is ugualis, in s’utopia libbertària, si dhu cuncedit s’istória e sa tra-scendéntzia.

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Bronzetto nuragico raffi gurante un antico guerriero

16ViaMare 25

Page 26: Viamare (N. 29)

In alto: Il nuraghe “Su Nuraxi”di Barumini.Al centro: Dorgali “Nuraxi Mannu”Sotto: tomba di Giganti “S’Ena e Thomes”

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Nascit insaras e pigat poderi una ari-stocratzia chi tenit su fundamentu in sa religioni, in d’una forma de auto-disciplina e in d’una sociedadi or-ganizada aundi est capu unu so-beranu: rei, predi, cumandanti militari e giugi in su própriu tempus e totu in d’unu. Si format un’istadu sardu autónomu, indipendenti e líbberu. Est su tempus de s’istória sarda fata de is Sardus, chi tenint cuscéntzia de s’impor-tàntzia de issus etotu in su movimentu de su Mediterràneu. Est insa-ras chi sa Sardigna pi-gat sa fi gura política de polis, in cantu connoscit un’ordinamentu giurídicu própriu, tenit citadis, to-cat casi una rivolutzioni in sa sociedadi e in s’economia, e custu asuba de totu in su séculu VIII ainnantis de C. Su sinnu prus artu de custa cultura nuràgica funt is nuraxis: turris a forma de conu, cun d’unu o prus aposentus abbovidaus, a tholos comenti narant is Grecus antigus chi ant chistionau de custus fàbbricus poderosus co-menti e de cosa insoru. Si ndi contant prus de setimila, presentis in totu su territóriu. Certus funt castedhus, fa-tus cun tanti arti militari e bellesa ar-chitetónica chi si podint pònniri intra is maravíglias de su mundu passau. Est interessanti a biri comenti e cantu custas turris, fatas cun perda manna a muru bullu, assimbillant a is tur-ris de sa Córsica e a is “talaiots” de is Balearis, mancai is monumentus de custas úrtimas ísulas non tengant sa mannària chi mustrant is nuraxis sardus. Si bit cun craresa in custus fàbbricus s’altesa de ispíritu e s’in-ginnu mediterràneu e su parentau de forma e de ambienti de su nur (custa arrexini est difúndia in totu su mun-du sardu-corsu e baleàricu, e nure est su nòmini antigu de Menorca).Is sepulturas de su tempus, chi si nant tumbas de gigantis e chi benint de un’antiga forma ocidentali (dolmen, allèe couverte), funti monumenta-lis comenti a is nuraxis, po sa man-nària e po s’istrutura a perdas man-nas chentza de cimentu. De pranta a retàngulu chi acabbat in tundu de una parti, de s’atera sa tumba fait biri una pratza a mesu circu chi serbiat

po is ofertas a is mortus chi poniant, totus impari e in medas, aintru de sa fossa in su fàbbricu. In certus casus acanta de sa tumba fi -gurant perdas trabballadas (bètilus), cun sinnus de ogus, de titas o fatas in forma de membru, chi dimustrant sa continuidadi materna mediterrànea. Est de nai chi sa tumba de is gigan-tis si assimbillat prus acanta sa nau o naveta de Menorca.Àteras cosas de fai mercai funt is tem-plus de forma diversa, a megaron, a sa moda greca prus antiga, de pran-ta prelongada: e, cussus in cantida-di, fatus a putzu cun d’una lollixedda ananti. Candu custus edifítzius faint parti de unu santuàriu, si cumprendit s’importantzia politica e sociali chi ndi resultat: centrus de festa religiosa e de mercau, innui badhant e cantant in coru e si afi otant is comunidadis chi de dógnia parti arribbant a is logus de cultu, su prus a pei, cun donus de dógnia arratza po is divinidadis. Fiat própriu in custus logus chi si podiat intendi e manifestai s’iden Poita in custas immàginis de su pe-ríudu aristocràticu de s’edadi de is nuraxis, nosu bideus chentza duda sa realidadi de una Sardigna chi non est subbordinanda a nisciunu o inte-grada a i poténztzias de foras. Antzis resultat una terra chi isfi dat de pari

a pari is àteras de su Mediterràneu, fi ntzas is prus mannas, comenti sa greca e is orientalis, cun d’una fortza

de vida cosa sua chi ponit in èssiri s’identidadi e sa diversidadi de sa

natzioni protosarda. Ma própriu candu s’ísula fi at a su puntu màssimu de pro-gressu, cumentzat s’iscón-triu comenti e una neces-sidadi istórica. Is Sardus depint gherrai casi po unu séculu po difèndi-ri sa libbertadi insoru e s’indipendéntzia de sa terra insoru de su colo-nialismu e de s’imperia-lismu de is Fenícius e de is Cartaginesus. A sa fi ni, bintus, pigant su cammi-

nu tristu de is montis innui benint inserraus comenti e

in d’una riserva indiana.Insaras su natzionalismu de

istadu (un’istadu furisteri) nci dh’iat fata apitzus de s’etnia sarda.

S’istória sarda, fata de is Sardus cun d’unu traballu de séculus, andat totu

a s’arrovèsciu, benit fata innói de is opressoris: is furuncus chi be-nint de su mari (aici narat unu díciu sardu antigu). Sa Sardigna benit truncada in duus: una est cussa de su domíniu e de is intre-gaus a su poderi de su coloniali-smu imperialísticu, s’àtera abar-rat a is resistentis chi abetant de torrai a fai, candu at a bènniri su tempus, sa natzioni sarda. Poita custa natzioni, cuada in s’ispíritu, in sa traditzioni e in sa cuscéntzia política de sa genti de monti arrebbella a totu is meris, fi at e est comenti e unu iceberg chi, de tanti in tanti, si fait a biri, candu si fait unu buidu de poderi de is imperialistas furisteris agiu-daus de is Sardus chi ant bociu sa mamma. A sa Sardigna ndi dh’ant bogada de su paradisu e dh’ant fata intrai, comenti e àteras natzionis aciuva-das, in s’istória de su mudori. Però issa tenit in coru tanti arràbiu po torrai a sa frontera de su paradi-su, in d’unu movimentu revolut-zioneri de pópulu o de classi.A pagu a pagu, s’istória de is ca-tacumbas, cussa chi nant s’istória “inferiori”, s’istória de is isfrutaus, de is bogaus de fund’e arréxini, de cussus lassaus in s’oru, de is diversus, est essida de s’umbra e càstiat faci a un’istedhu chi parit de bonu destinu. Unu fi lu chi non si bit, ma forti, istringit in d’una solidariedadi noa pópulus e perso-nas chi po tanti tempus no dhis ant permítiu de èssiri e dhis ant negau su deretu naturali de èssiri de diversu sentimuntu, cussu chi est sa libbertadi auténtica.Luegus, però, is bintus ant a ès-siri is bincidoris in s’utopia de is ugualis, in s’utopia libbertària, si dhu cuncedit s’istória e sa tra-scendéntzia.

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Bronzetto nuragico raffi gurante un antico guerriero

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