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Economia e Politica Sociale 2009-10 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice

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Welfare e modelli di welfare 1. Alle origini dello Stato sociale Il welfare state nasce, sul finire dellottocento, per dare delle risposte ad una serie di problemi posti dal rapido diffondersi dellindustrializzazione e dellurbanizzazione delleconomie, quando le antiche societ contadine si trasformano in societ industriali. Il progresso tecnico irrompe nellorganizzazione artigianale del lavoro e della produzione determinando nuovi processi produttivi, lutilizzo di nuove materie prime, di nuove forme contrattuali non regolamentate e prive di restrizioni ( con il lavoro dei minori, delle donne, nelle ore notturne, ecc); la formazione di nuovi e pi ampi mercati, nuove vie di comunicazione, lo spostamento di milioni di persone dai centri rurali verso le citt industriali che iniziano ad espandersi a macchia dolio. Questo processo di grande fervore e produzione di ricchezza presenta, come spesso accade, alcuni elementi di debolezza; si moltiplicano gli incidenti sul lavoro, legati allutilizzo delle nuove macchine a fronte di una formazione inesistente, le malattie, per luso di materiali nocivi alla salute, il disagio economico nei momenti di stasi della produzione, il disagio abitativo per il confluire di una massa di popolazione in citt non attrezzate ai nuovi flussi migratori con conseguenti effetti di sovraffollamento, carenze di servizi igenici e, quindi, rapida diffusione delle malattie; il disagio sociale determinato dalla crisi del sistema assistenziale tradizionale basato sullaiuto reciproco e presente nelle piccole comunit. La presenza oggettiva dei diversi problemi economici e sociali - insieme alla formazione dei primi partiti operai e delle prime forme sindacali - fa s che si determinino le condizioni politiche per le prime leggi di intervento in campo sociale che nate per gruppi ristretti di lavoratori e in singoli paesi, si estendano, pi o meno velocemente, agli altri lavoratori e paesi per limitare le tensioni ed i conflitti e, quindi, per non ostacolare lo sviluppo della nuova organizzazione produttiva; per fronteggiare una classe operaia pi forte ed organizzata in partiti e sindacati, per un generale processo imitativo. Il primo modello di welfare si fa risalire, usualmente, alla Germania di Otto Von Bismark ( 1815 1898 ), il cancelliere di ferro dellimpero di Guglielmo 1 di Prussia, che nellarco di sei anni getta le fondamenta del welfare con le tre famose leggi : sullassicurazione contro le malattie ( 1883 ), sugli infortuni sul lavoro ( 1884 ) e sullassicurazione contro la vecchiaia e linvalidit ( 1889 ) considerate, allora, come le principali cause di povert ed indigenza. Viene, invece, attribuito ad un Arcivescovo inglese (1941), William Temple, il termine welfare state , Stato del benessere, per contrapporlo allo Stato di guerra warfare state dei nazisti ( nellaccezione oggi prevalente.1

). Ed a partire da questi anni che il termine inizia a diffondersi

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Stevenson J (1984), British Society 1914-1945, Ed. J.H.Plumb, England, p. 453

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A Lord William Beveridge ( 1879 1963 ) (Regno Unito) viene fatta risalire laccettazione e la diffusione dellidea di uno Stato capace di farsi carico di tutti i problemi sociali dei suoi cittadini in ogni momento della loro esistenza ( dalla culla alla tomba , come si dir poi ). Nel suo Rapporto ( noto come Rapporto Beveridge, 1942 ), si delineano i caratteri essenziali di un moderno stato sociale che doveva essere gestito da ununica entit ( e, quindi, centralizzato per una maggiore efficienza ed economicit ); essere universale ( accessibile a tutte le classi sociali senza alcun limite di reddito e coprire tutte le evenienze ) e finalizzato alla sconfitta di cinque flagelli ( 2 ): Linsicurezza del reddito La malattia Lignoranza La miseria Lozio determinato dalla disoccupazione

Scopo del Piano di interventi e provvidenze quello di assicurare un reddito minimo ma sufficiente ( nel senso che lammontare definito non dovrebbe aver bisogno di integrazioni se non volontarie ), nel momento in cui la capacit di guadagnare del singolo si interrompe per disoccupazione, malattia, incidente sul lavoro, per let del pensionamento e per venir incontro a spese eccezionali quali quelle legate alla nascita, alla morte, al matrimonio. Il reddito minimo , anche, a tempo indeterminato e, cio, fin tanto che permane lo stato di bisogno. Un soddisfacente schema di sicurezza sociale dovrebbe, sempre secondo Beveridge, prevedere anche assegni familiari per i figli sino a 15 anni ( e sino a 16 se inseriti in processi educativi ) perch le retribuzioni fanno riferimento allindividuo e non alla dimensione della famiglia ( anche allora erano le famiglie numerose ad avere, insieme agli anziani, la pi alta probabilit di cadere in povert ), servizi per la salute ( perch la malattia implicava perdita di retribuzione e, quindi, povert), per leducazione (come processo di mobilit sociale, un bambino che non messo nelle condizioni di sviluppare il proprio capitale umano ha molte probabilit di divenire povero una volta adulto) e, naturalmente, politiche per la piena occupazione perch nessun Piano sarebbe finanziariamente sostenibile in presenza di una disoccupazione di massa. Il Rapporto Beveridge viene, quindi, a rappresentare la base di importanti provvedimenti legislativi quali il Family Allowances Act del 1945 (assegni familiari), il National Insurance Act del 1946 (assicurazioni obbligatorie ) e del National Health Service del 1948 (sistema sanitario). Per una definizione di welfare , largamente condivisa, si pu far riferimento allo storico inglese Asa Briggs (1961) ( 3 ) :

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Beveridge W.H. ( 1942 ) , Social Insurance and Allied Services, Her Majestys Office, London, p.6 Briggs A. (1961 ), The Welfare State in Historical Perspective, in European Journal of Sociology II.

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Lo Stato del benessere quello nel quale il potere organizzato viene impiegato al fine di modificare il funzionamento dei mercati in almeno tre direzioni : 1. Garantire a individui e famiglie un reddito minimo indipendentemente dal valore di mercato delle loro risorse; 2. Ridurre le condizioni di insicurezza, ponendo individui e famiglie in grado di fare fronte ad alcune evenienze sociali (ad esempio, la malattia, la vecchiaia e la disoccupazione), che altrimenti li condurrebbero verso situazioni critiche; 3. Assicurare che tutti i cittadini, senza distinzione di classe o posizione sociale, abbiano a disposizione un certo insieme di servizi sociali, nella migliore qualit disponibile. In questo senso i servizi e le prestazioni di welfare non devono dipendere dalla bont del potere organizzato (governo, partiti, sindacati, fondazioni, ecc ) ma devono essere collettivi e, quindi, organizzati e finanziati dallo Stato ed erogati come diritti di cittadinanza e non come assistenza, carit. Lo Stato sociale ( stato del benessere welfare state ) pu quindi essere definito come lo Stato che si assume la responsabilit di coprire i grandi rischi sociali per la generalit della popolazione. Naturalmente i confini del welfare state, come insieme di obiettivi e strumenti, non sono rigidi ma si modificano nel tempo a seconda dello sviluppo delle forze che lo governano ( monarchie e democrazie parlamentari, composizione dei parlamenti e dei governi, sviluppo ed evoluzione dei partiti politici, dei sindacati, delle associazioni, dei valori culturali, delle fluttuazioni cicliche delleconomia, e cos via ) o per il verificarsi di eventi particolari come le guerre (tutela degli orfani e delle vedove, ad esempio, ricostruzione delle abitazioni, e cos via) o profonde crisi economiche (come la grande crisi del 1929 in termini di disoccupazione, svalutazione dei patrimoni finanziari, ecc ); schematizzando le fasi di sviluppo e i beneficiari coinvolti , possibile leggere, indirettamente, anche le forze che ne determinano le tendenze. Nella sua evoluzione il welfare state sembra attraversare almeno due grandi fasi di sviluppo ed almeno una di inversione di marcia; dal 1870 e sino alla seconda guerra mondiale i benefici della protezione sociale in termini di copertura per infortuni, malattie, vecchiaia e disoccupazione coprono, essenzialmente, la classe operaia; la legislazione, definita in un determinato paese, si espande, poi, ai paesi a medesimo livello di sviluppo per imitazione o per la coincidenza dei nuovi problemi sociali determinati dal processo di industrializzazione ed urbanizzazione (4).

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Gli interventi legislativi diretti a coprire i rischi legati alla malattia, ad esempio, si espandono dalla Germania ( 1883 ) all Austria ( 1888 ), al Belgio ( 1894 ), alla Gran Bretagna ( 1911 ) e cos via; quelli relativi agli infortuni sul lavoro ancora una volta dalla Germania ( 1884 ), e, quindi all Austria ( 1887 ), alla Finlandia (1895), allItalia ( 1898), al Regno Unito (1906), ecc; quelli relativi alla vecchiaia dalla Germania ( 1889 ), alla Danimarca ( 1891 ), al Belgio ( 1900), alla Gran Bretagna ( 1908 ), all Italia ( 1919 ), ecc; quelli diretti alla disoccupazione partono dalla Francia ( 1905 ), si estendono alla Danimarca ( 1907 ), alla Gran Bretagna ( 1911), all Italia ( 1919 ), alla Germania ( 1927 ), e cos via.

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Dalla fine della seconda guerra mondiale e sino alla fine degli anni sessanta, i programmi di protezione sociale si rafforzano e si estendono a settori crescenti della classe media ( impiegati, insegnanti, artigiani, commercianti, ecc ). Nella maggior parte dei paesi avanzati la spesa sociale si espande anche perch sono anni di sensibile crescita del Pil, di grande ottimismo in termini di sviluppo, di valori legati allequit, di rafforzamento del potere sindacale; questi elementi determinano sia una estensione delle provvidenze che lo sviluppo delle grandi infrastrutture sociali (scuole, ospedali, edilizia popolare, servizi sociali, ecc) quale garanzia di accesso alleducazione, alla salute, alla casa, il tutto attraverso un ruolo molto attivo dei sindacati e in presenza di un clima politico culturale aperto agli interventi dello Stato in campo sociale quale strumento di redistribuzione del reddito e della ricchezza (non a caso questo periodo viene unanimemente definito come lepoca doro dello stato sociale). 2. Tendenze recenti Intorno alla met degli anni settanta il vento cambia e si assiste ad uninversione di marcia, ad analisi sempre pi critiche nei confronti dellintervento dello Stato nelleconomia e nel sociale; le ragioni sono diverse e tutte portano a sostenere la spesa pubblica e la spesa in campo sociale come la principale causa di tutti i mali delleconomia (riduzione del tasso di crescita del pil, degli investimenti, inflazione e disoccupazione elevata, debito pubblico, ecc ). Ma la spesa in campo sociale viene, anche, messa pesantemente in discussione partendo da alcune analisi che sostengono (a seconda dei diversi paesi ) : un utilizzo particolaristico categoriale della spesa sociale in cui i costi sono a carico dellintera collettivit mentre i benefici verrebbero distribuiti a singoli gruppi e categorie sociali; vedi, ad esempio, i diversi regimi previdenziali che avevano / hanno condizioni differenziate in termini di contribuzione, et di pensionamento, trattamento, cumulo pensione altri redditi, ecc, o forme di redistribuzione perversa : a trarre i maggiori vantaggi dal sistema sono le classi a reddito medio alto; per quanto riguarda, ad esempio, listruzione superiore si evidenzia la minore probabilit di accesso, alluniversit, per i figli della classe operaia rispetto ai figli delle classi a reddito medio-alto; analogo discorso per i servizi della salute ove le classi a reddito pi elevato hanno maggiori capacit nel comprendere lopportunit di effettuare visite specialistiche e medicina preventiva rispetto alle classi a minor reddito; o, infine, di essere in presenza di un diffuso fenomeno di burocratizzazione dei servizi : costi gestionali elevati ed offerta di servizi indifferenziati a fronte di una domanda sociale variegata e in continua evoluzione. Come dire che alti livelli di spesa sociale non realizzano necessariamente una migliore distribuzione del reddito, delle opportunit tra i diversi membri della collettivit. Si gettano, cos, le premesse per introdurre, negli schemi universali adottati, le prime misure selettive (assegni familiari erogati non pi a tutti i lavoratori ma solo a coloro che vengono a trovarsi al di sotto di determinate soglie reddituali, ad esempio, come accade in Italia a partire dagli anni ottanta); o per trasferire i costi dalla fiscalit generale ai diretti fruitori dei servizi (definizione, in Italia, di alcuni servizi sociali

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quali servizi a domanda individuale - asili nido, refezione scolastica, soggiorni estivi, ecc - e, quindi, predisposizione di tariffe sempre pi vicine ai costi del servizio stesso), e cos via. Negli anni novanta tale processo si rafforza e si assiste ad unapertura al mercato nelle diverse aree del sociale; nella sanit, ad esempio, si incentiva lo sviluppo delle assicurazioni private; nellistruzione si assiste ad un sistematico contenimento delle risorse destinate al settore pubblico mentre si amplia il sostegno finanziario all istruzione privata; in campo previdenziale lobiettivo diviene quello di un progressivo indebolimento del sistema pubblico per indurre la formazione di un secondo e terzo pilastro pensionistico (previdenza complementare); il contenimento delle risorse centrali da trasferire agli enti locali (decentramento) chiude la strategia andando a ridimensionare quellinsieme di servizi sociali che coprono i bisogni delle fasce pi deboli (assistenza domiciliare agli anziani, centri diurni, case di riposo, assistenza alloggiativa, ecc). In altri termini, si assiste ad un graduale processo di internalizzazione dei costi dello stato sociale allinterno dellunit familiare rispetto allesternalizzazione sul sistema sociale ed economico; la rivincita dei neo-liberisti che ritengono che ciascuno debba far fronte agli eventi della vita con le proprie forze e che uno stato sociale universale rappresenti solo un costo eccessivo per la collettivit (crisi fiscale), modesti sussidi (reddito minimo, ad esempio) potranno essere elargiti a coloro che non riusciranno, con le loro forze, a farsi carico degli eventi sgradevoli della vita (i perdenti). Si riapre, cos, lantico conflitto di classe tra chi ha le risorse per accedere ai servizi del mercato (una minoranza) e la maggioranza della popolazione che si ritrova nellimpossibilit di accedervi. 3. Modelli di welfare Economisti e sociologi hanno cercato di classificare i diversi modelli di welfare presenti ai nostri giorni proponendo, essenzialmente, quattro modelli : modello universale (o socialdemocratico); modello residuale; modello corporativo e modello mediterraneo. Il modello universale, tipico dei paesi scandinavi e dellOlanda, si caratterizza per un approccio universalistico nel senso che la protezione sociale intesa come un vero e proprio diritto di cittadinanza, le provvidenze sono, quindi, dirette a tutte le componenti sociali, senza alcuna distinzione di classe, e si basano su una combinazione di trasferimenti monetari e di una ricca ed articolata struttura di servizi sociali (, in assoluto, il modello con la pi alta incidenza di spesa sociale sul pil). I diritti vengono attribuiti, prevalentemente, su base individuale nel senso che la famiglia gioca un ruolo marginale e lobiettivo quello di minimizzare la dipendenza dalla famiglia ed incoraggiare lindipendenza individuale. Il sistema si finanzia, prevalentemente, con la fiscalit generale. Il modello residuale ( o liberale ) presente negli USA , Australia e Nuova Zelanda; la politica sociale interviene solo ex-post quando i tradizionali canali ( mercato e solidariet familiare ) non sono in grado di far fronte a determinati bisogni. Le politiche sociali occupano, cos, un ruolo del tutto marginale

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riguardando esclusivamente gli strati pi poveri della collettivit ( politica assistenziale ) e gli interventi sono soggetti alla prova dei mezzi (means testing), al dimostrare dellessere in condizioni di bisogno, di povert. Per gli altri, per i non poveri, la sicurezza sociale va ricercata attraverso il mercato , nella libert di scegliere il modo migliore per soddisfare le loro esigenze in termini di previdenza, sanit, istruzione, servizi sociali; lo Stato pu intervenire, al pi, con sgravi fiscali (detrazioni per gli oneri connessi alle polizze sanitarie, al sistema previdenziale, alle spese per interessi sui mutui per lacquisto della prima casa, per listruzione, ecc). Anche questo modello si finanzia, prevalentemente, con la fiscalit generale. Il modello corporativo o meritocratico (il bisogno si coniuga con il merito individuale conseguito nel mercato del lavoro), tipico dellEuropa continentale (Germania, Austria, Francia, Belgio e Lussemburgo), basato, essenzialmente, su principi di tipo assicurativo: protegge, in primo luogo, chi lavora e la sua famiglia (lo status rilevante quello del lavoro in corso o effettuato nel passato); in questo senso si pu essere in presenza di una pluralit di interventi ed istituti quanti sono i lavoratori dei diversi settori. A differenza degli altri modelli, si finanzia, prevalentemente, con contributi sociali versati dai datori di lavoro e dai lavoratori. Il modello mediterraneo, tipico dellItalia, della Spagna, del Portogallo e della Grecia, si presenta come un sotto-caso del modello corporativo in cui maggiore la frammentazione dei programmi di spesa e in cui prevalgono i trasferimenti monetari, ad opera dello Stato, rispetto ad unefficiente rete di servizi sociali. Si differenzia anche per attribuire alla famiglia uno spiccato ruolo di ammortizzatore sociale. Anche questo modello si finanzia, prevalentemente, con contributi sociali. Al di l di singole peculiarit, la partita vera sembra giocarsi tra il modello residuale e il modello universale; allo stato attuale, lEuropa sembra difendere il suo modello ma anche in corso un ampio dibattito per un nuovo modello sociale europeo che riduce le universalit ed amplia le selettivit. 4. LEuropa e le sfide sociali Per un lungo periodo di tempo la Comunit ha adottato, in campo sociale, un atteggiamento fondamentalmente estraneo perch gli stati europei hanno sempre mostrato una certa riluttanza a rinunciare al loro potere in materia di politiche sociali sebbene uno degli obiettivi del Trattato di Roma (1957) fosse proprio larmonizzazione delle regolamentazioni sociali ( CEPR, 1998)5. Occorre praticamente arrivare agli anni novanta per cogliere, in una molteplicit di documenti ed analisi, unattenzione ed un impegno diverso sino ad arrivare al Trattato di Amsterdam6 (1997) quando si pone una nuova base giuridica per una strategia europea comune in campo sociale7.5 6

CEPR (Centre for Economic Policy Research)(1998), Le politiche sociali in Europa, il Mulino, Bologna Nel 1992 ci fu un tentativo di inserire nel Trattato di Maastricht un capitolo sociale teso ad armonizzare la politica sociale europea; il tentativo fall per lopposizione del Regno Unito ed al Trattato fu allegato solo un Protocollo sulle politiche sociali sottoscritto da 11 Paesi su 12. In occasione del Consiglio europeo di Amsterdam del 1997 il nuovo governo laburista di T.

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Ma quali indicazioni si possono trarre da tale documentazione ed in particolare dalle raccomandazioni8

inviate agli Stati membri ? Intanto un principio importante: la protezione sociale

considerata quale componente fondamentale del modello europeo di societ poich garantisce stabilit politica, coesione sociale e progresso economico. La protezione sociale, infatti, non solo ridimensiona la quota di famiglie che verrebbero, in sua assenza, a collocarsi in situazioni di povert9

ma rappresenta anche un

investimento nelle risorse umane nel momento in cui contribuisce a migliorare la qualit della forza lavoro, ad aumentare la produttivit del sistema economico ed a sostenere i mutamenti strutturali. Per cui grazie alle sue politiche sociali sviluppate, lEuropa riuscita e riesce tuttora a competere con successo con il resto del mondo: sia con i paesi che possono vantare tecnologie estremamente avanzate che con paesi dai salari molto pi bassi (Commissione Europea 2000- 379) In secondo luogo si sostiene la difesa delle culture nazionali attraverso il principio della sussidiariet in base al quale ogni Stato membro rimane responsabile dellorganizzazione e del finanziamento del proprio sistema di protezione sociale, in un contesto globale (Patto di Stabilit e di Crescita) in cui lUE svolge un ruolo di sorveglianza politica (Commissione Europea 2000- 163)10. In terzo luogo, partendo dalla constatazione di essere in presenza non di un unico modello di welfare ma di una molteplicit di modelli, si punta ad una convergenza degli obiettivi e delle politiche per ridurre le disparit presenti, per evitare che differenze di livello di protezione sociale ostacolino la mobilit delle persone (che i lavoratori, in particolare, non siano penalizzati dal fatto di dover cambiare paese) ma anche per impedire che una competizione selvaggia determini un succedersi di forme di dumping sociale (meno regolamentazioni e meno tutela ) per incoraggiare afflussi di capitale nei singoli Stati membri. La necessit di predisporre strumenti di coordinamento, di armonizzazione e di convergenza viene giustificata anche dal fatto che tutti i sistemi europei di protezione sociale debbono confrontarsi con problematiche comuni che appartengono al mondo del lavoro, agli aspetti demografici, ai profondi mutamenti sociali.

Blair pone fine allautoesclusione del Regno Unito e il Protocollo diviene parte integrante del Trattato. Sempre in tale occasione si decide si inserire nel Preambolo del Trattato un riferimento alla Carta sociale europea del 1961 e alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali del 1989. Cfr. Ferrera M. (1998), Le trappole del welfare, il Mulino, Bologna 7 The Treaty of Amsterdam, Art.2 states that the Community shall have as its task.to promote throughout the Community a high level of social protection. 8 Raccomandazione 92/442/CEE (Convergenza degli obiettivi e delle politiche); Commissione Europea (1995), The future of social protecion, a framework for a European debate, COM (95- 466), Bruxelles; Commissione Europea (1997), Modernising and Improving Social Protecion in the European Union, COM (97- 102), Bruxelles; Commissione Europea (1999), Agenda for modernising social protecion, COM (1999-347), Luxemburg 9 In una comunicazione del Consiglio del 1999 si legge, ad esempio, in mancanza di trasferimenti sociali circa il 40% delle famiglie vivrebbe in una situazione di povert relativa mentre tale percentuale scende al 17% grazie appunto ai regimi fiscali e ai sistemi di erogazione di prestazioni Commissione Europea (1999- 347). 10 Cfr.Social Protection in Europe(2000), COM (2000-163), Bruxelles

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Per quanto riguarda il mercato del lavoro, ad esempio, la diffusione delle nuove forme contrattuali pi flessibili ma, al tempo stesso, pi precarie (contratti atipici), se aiutano la competitivit dei singoli Paesi e dellEuropa nel suo insieme, introducono forti elementi di incertezza nei bilanci delle famiglie, in particolare in quelle che vanno a formarsi, giovani coppie, ove pi usuale la presenza delle nuove forme contrattuali. Se in passato il lavoro a tempo indeterminato del capofamiglia lasciava le famiglie fuori dalla povert, oggi questo non pi vero e le analisi correnti mostrano come il rischio di povert si sia sensibilmente spostato (almeno sino ad oggi) dagli anziani (per effetto di un sistema pensionistico retributivo ante riforma) alle giovani coppie, alle famiglie monoreddito, alle famiglie con pi figli a carico. Questo significa che lesigenza di maggiore flessibilit va coniugata con la sicurezza, con la solidariet, con politiche di sviluppo capaci di determinare non soltanto pi posti di lavoro, ma anche buoni posti (Commissione Europea 1999- 347) e con una buona rete di ammortizzatori sociali. Per quanto riguarda la popolazione, linvecchiamento demografico e laumento del tasso di crescita del numero degli anziani dal 2010 in poi, quando la generazione del baby boom raggiunger let del pensionamento, pone, in quasi tutti i Paesi europei, problemi di sostenibilit finanziaria dei sistemi pensionistici. Ma laumento della popolazione anziana e della vita media, si riflette, anche e naturalmente, in una domanda crescente di beni e servizi sanitari e di servizi sociali (assistenza domiciliare, case di riposo, ecc ) anche per laccresciuta partecipazione delle donne al mercato del lavoro che riduce la componente assistenziale non retribuita del lavoro di cura. La popolazione invecchia ma si struttura anche in un numero crescente di famiglie ; in tutta lUnione il numero delle famiglie sta aumentando pi velocemente della popolazione e questo si riflette in un graduale declino della dimensione media delle famiglie. Il declino della dimensione media dei nuclei implica, nuovamente, una domanda crescente di servizi sociali essendo le famiglie stesse meno capaci a fornire assistenza e sostegno anche e solo ai propri membri. Ma le famiglie divengono anche pi fragili; aumentano le separazioni, i divorzi, le famiglie monoparentali dove la partecipazione delle donne al mercato del lavoro prioritaria ma, nel contempo, si concilia con grande difficolt con la cura dei figli per la limitata disponibilit di adeguate reti di servizi sociali per linfanzia. Pi in generale, la stessa maggior partecipazione delle donne al mercato del lavoro ( nel 1970, ad esempio, meno del 40% delle donne di et compresa tra i 25 e i 54 anni aveva unoccupazione o la cercava attivamente, mentre si supera il 70 % sul finire degli anni novanta), elemento sicuramente positivo e fortemente auspicato, richiede crescenti e diversificati servizi sociali per conciliare le esigenze familiari con quelle professionali. La povert e lesclusione sociale sono diventati, ormai, fenomeni evidenti anche in Europa; i dati pi recenti disponibili in materia di reddito negli Stati membri mostrano che il tasso di povert relativa11, 11

In Europa la povert viene misurata in termini relativi e la linea viene fissata ad un valore pari al 60% del reddito mediano nazionale reso equivalente

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al 18% circa della popolazione: si tratta di oltre 60 milioni di persone (Eurostat, 2002). Le antiche forme di esclusione sociale (disoccupazione, malattia, handicap, dipendenze da alcol e droga) si stanno consolidando con lo sviluppo delle nuove forme: disoccupazione dei capifamiglia scarsamente qualificati e spiazzati dallinnovazione tecnologica, disagio economico dei giovani assunti con le nuove forme contrattuali, delle famiglie con un solo reddito, delle famiglie con pi figli minori, e cos via. Per far fronte a queste sfide comuni, gli Stati membri si sono impegnati a sviluppare una crescita economica sostenibile e unoccupazione di qualit che possa ridurre i rischi di povert e di emarginazione sociale. Con quali strumenti? Intanto sostenendo la crescita, la competitivit e il dinamismo delleconomia senza i quali diviene pi complesso ricercare risorse da destinare alla coesione sociale. E poi adottando una strategia globale capace, attraverso opportuni dosaggi tra provvedimenti di politica sociale, politica per loccupazione e politica per la competitivit, di determinare un circolo virtuoso tra progresso economico e progresso sociale. Le politiche per loccupazione dovrebbero, cos, coordinarsi, pi che in passato, con le politiche sociali, per ridurre la dipendenza dalle politiche assistenziali; con le politiche dellistruzione e della formazione, per mantenere e migliorare le competenze della forza lavoro; con le politiche fiscali, per migliorare loccupabilit dei lavoratori a debole qualificazione (fiscalizzazione degli oneri sociali per i lavoratori a bassa produttivit), e cos via. Ma nel corso di questi ultimi anni, in un contesto di bassa crescita, perdita di competitivit e difficolt nellincrementare la buona occupazione, il modello sociale europeo12 inizia ad incrinarsi a favore di un nuovo modello sociale europeo in cui il welfare prevalentemente universale tende a divenire un welfare prevalentemente selettivo. Si parla cos, sempre pi sovente, di universalismo selettivo : le prestazioni rimangono universali ma laccesso effettivo condizionato alla disponibilit delle risorse pubbliche sempre pi scarse; nel contempo si innestano, su impianti universalistici schemi privatistici ( pensione pubblica minima di base e schemi privatistici per pensioni integrative ); si espande la compartecipazione degli utenti ai costi dei servizi resi; si ricercano strumenti dintervento che non fanno capo n al mercato n allo Stato ma alle organizzazioni del volontariato e del Terzo settore per ridurre i costi dei servizi e rendere pi flessibili i servizi stessi. 5. La spesa sociale in Europa Per meglio individuare il modello/ i modelli europei di welfare, si delineano i caratteri generali della spesa per la protezione sociale12

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attraverso i dati dellESSPROS (European System of integrated Social

Il modello sociale europeo viene definito, nei diversi documenti della Comunit, come quel modello in cui il progresso economico e il progresso sociale procedono di pari passo e si rafforzano a vicenda in quanto la protezione sociale non fornisce soltanto una rete di sicurezza per i poveri ma contribuisce anche a garantire la coesione sociale. Come dire che solo se le societ sono in grado di offrire adeguati livelli di protezione sociale, gli individui saranno pi disposti ad assumersi i rischi dei cambiamenti imposti dal progresso economico in termini di formazione continua, processi di riqualificazione, di mobilit, e cos via. 13 Le spese considerate sono quelle incluse nella voce protezione sociale costituita dalle spese per la salute, per la previdenza, per il sostegno alla famiglia, per la disoccupazione, per il sostegno ai gruppi pi deboli e per la locazione .

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PROtection Statistics), per comprendere anche la direzione e le ragioni delle riforme portate avanti a partire dagli anni novanta e, in parte, ancora in corso. Ma, prima di entrare nellanalisi dei singoli dati e nei modelli nazionali di welfare, opportuno ricordare che la spesa sociale presa in considerazione dall ESSPROS al lordo del prelievo fiscale e, in quanto tale, rappresenta solo unapprossimazione delle differenze tra Paesi, essendo la tassazione sui trasferimenti abbastanza diversa da paese a paese. Se il confronto fosse effettuato pi correttamente al netto del prelievo, operazione ancora oggi estremamente complessa ed esclusa dalle elaborazioni ESSPROS, le differenze tra Paesi, secondo alcune stime realizzate dalla OCSE nel 1995 (Willem, 1999), sarebbero nettamente inferiori. La spesa sociale netta della Svezia, ad esempio, si avvicinerebbe molto a quella della Germania; quella della Danimarca e quella della Finlandia a quella del Regno Unito e quella dellItalia e dellIrlanda a questi ultimi paesi ( Commissione Europea, 2000- 163 ). In attesa di elaborazioni pi puntuali, si pu iniziare lanalisi considerando la spesa per la protezione sociale nel suo aggregato e la sua evoluzione dal 1990 al 2003, anno pi recente di disponibilit di dati. Nellanno 2005 le risorse destinate, nellUnione Europea a 1514, alle spese per la protezione sociale rappresentano il 27,8% del Pil ; esistono, naturalmente, divergenze ancora significative tra i diversi Paesi variando la spesa dal 32,0% del Pil della Svezia al 18,2% dellIrlanda; nello specifico presentano valori superiori al valore medio europeo, oltre alla Svezia, il Belgio (29,7%), la Danimarca (30,1%), la Germania (29,4%), la Francia (31,5%), lAustria (28,8%) e i Paesi Bassi (28,2%); hanno valori inferiori al valore medio otto paesi su quindici: la Grecia (24,2%), la Spagna (20,8%), lIrlanda (18,2%), lItalia (26,4%), il Lussemburgo (21,9%), il Portogallo (24,7%), la Finlandia (26,7%) e il Regno Unito (26,8%) (vedi tabella n.1). Le differenze permangono anche quando si considera la spesa media pro-capite espressa in termini di parit di potere dacquisto (Purchasing Power Standards PPS) Svezia alle 3.998 del Portogallo (vedi tabella n.1 ). Se si considerano i diversi segmenti che compongono la spesa sociale e, quindi, le funzioni , le quote pi rilevanti vanno, in tutti i Paesi dellUnione, alla previdenza ( 12,2% del pil come valore medio) ed alla salute (7,7% del pil come valore medio). A seguire le spese per linvalidit (2,1%) e la famiglia (2,2%); la disoccupazione (1,7%) e labitazione-esclusione sociale (0,9%) (vedi tabella n.1).15

dei singoli Paesi, variando dalle 8.529 PPS della

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LEuropa a 15 comprende il Belgio (BE), la Danimarca (DK), la Germania (DE), la Grecia (EL), la Spagna (ES), la Francia (FR), lIrlanda (IE), lItalia (IT), il Lussemburgo (LU), i Paesi Bassi (NL), lAustria (AT), il Portogallo (PT), la Finlandia (FI), la Svezia (SE) e il Regno Unito (UK) 15 PPS : Purchasing Power Standards : unit indipendenti dalle monete nazionali e serve a rimuovere le distorsioni dovute ai diversi livelli dei prezzi. I valori in PPS si derivano dal PPPs (parit di potere dacquisto) che si ottiene dalla media ponderata dei prezzi in relazione ad un paniere omogeneo di merci e servizi comparabile e rappresentativo per ogni Stato Membro. Il confronto della spesa pro-capite per la protezione sociale potrebbe essere effettuato anche in euro ma il confronto stesso perderebbe di significativit nel momento in cui esistono ancora differenze di rilievo, in termini di potere dacquisto, tra i diversi paesi. Per la Danimarca, ad esempio, lEurostat stima un costo della vita del 39% in pi rispetto allItalia; esprimendo la spesa pro-capite in euro la Danimarca avrebbe una spessa dell 88% in pi rispetto allItalia; in termini di PPS il differenziale tra i due Paesi si riduce al 35% (188/139=1,35) in pi per la Danimarca (Eurostat, 2002).

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Se si considera la struttura della spesa, limmagine, naturalmente, non cambia nel senso che le spese per le pensioni e la salute rimangono le poste pi importanti rappresentando, da sole, i due terzi della spesa totale. E poich una gran parte della spesa per la salute riguarda le persone anziane, si pu sostenere che una parte significativa delle risorse destinate alla protezione sociale diretta ad un segmento della popolazione, quella anziana. Risorse relativamente contenute finanziano i trasferimenti alle famiglie (assegni familiari) ( 8%), la disabilit (7,9%), la disoccupazione (6,2%) e labitazione-esclusione sociale (3,5%) ( vedi tabella n.2 ).

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Tabella n.1PaesiSpesa

Spesa per protezione sociale % PIL per funzioni anno 2005Spesa pro capite in Previd.

Tabella n.1 .

Invalidi

Salute

Famigli a

Disoccp azione

Abitazio ne ed esclus.

Ammi n. altro

% PIL Media Eu 17 15 BELGIODANIMARCA

PPS

16

27,8 29,7 30,1 29,4 24,2 20,8 31,5 18,2 26,4 21,9 28,2 28,8 24,7 26,7 32,0 26,8

7.005 8.249 8.498 7.529 5.139 4.776 8.044 5.856 6.22612.946

12,2 12,6 11,0 12,4 12,0 8,5 13,0 4,5 15,4 7,8 11,1 13,6 10,8 9,6 12,5 11,9

2,1 2,0 4,2 2,2 1,2 1,5 1,8 0,9 1,5 2,8 2,6 2,2 2,4 3,4 4,8 2,4

7,7 7,7 6,1 7,8 6,5 6,4 8,8 6,9 6,8 5,5 8,1 7,1 7,0 6,7 7,5 8,1

2,2 2,0 3,8 3,2 1,5 1,1 2,5 2,5 1,1 3,6 1,3 3,0 1,2 3,0 3,0 1,7

1,7 3,5 2,5 2,1 1,2 2,5 2,2 1,3 0,5 1,1 1,5 1,6 1,3 2,4 1,9 0,7

0,9 0,5 1,7 0,8 1,0 0,4 1,3 0,8 0,0 0,6 1,6 0,4 0,2 0,8 1,2 1,7

1,1 1,4 0,8 1,0 0,7 0,5 1,9 1,2 0,9 0,5 1,9 1,0 1,7 0,8 1,1 0,5

GERMANIA GRECIA SPAGNA FRANCIA IRLANDA ITALIALussemburgo

PAESI BASSI AUSTRIA Portogallo FINLANDIA SVEZIA Regno Unito

8.305 8.268 3.998 6.833 8.529 7.176

Fonte : Eurostat 2007 ( dati 2005 provvisori)

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Tabella n.2PAESI Media Eu 15 BELGIO DANIMARCA GERMANIA GRECIA SPAGNA FRANCIA IRLANDA ITA LIA Lussemburgo PAESI BASSI AUSTRIA PORTOGALLO FINLANDIA SVEZIA Regno Unito

Spesa per la protezione sociale, anno 2005Previden. 45,7 44,7 37,5 43,5 51,2 41,4 44,0 26,7 60,7 36,6 42,2 48,6 47,3 37,3 40,5 44,0 Salute 28,6 27,1 20,7 27,3 27,8 31,6 29,8 40,9 26,7 25,7 30,9 25,5 30,4 25,9 24,3 30,9 Disabilit 7,9 7,0 14,4 7,7 4,9 7,3 5,9 5,3 5,9 13,1 9,9 8,0 10,4 12,9 15,4 9,0 Famiglia 8,0 7,2 12,9 11,2 6,4 5,6 8,5 14,6 4,4 16,9 4,9 10,7 5,3 11,6 9,8 6,3 Disoccup 6,2 12,2 8,6 7,3 5,1 12,4 7,5 7,5 2,0 5,0 5,9 5,8 5,7 9,3 6,2 2,6 Abitaz. esclusione. 3,5 1,8 5,8 2,9 4,5 1,7 4,3 5,0 0,3 2,7 6,2 1,5 1,0 3,1 3,8 6,3 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte : Eurostat 2007

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Se si d uno sguardo agli anni che vanno dal 1990 al 2005 , il sistema sociale europeo sembra tenere18 e convergere nel senso che la quota di spesa sul pil continua a crescere in quasi tutti i paesi dellUnione passando dal 25,5% del 1990 al 27,8% (vedi tabella n.3) anche se a tassi via via inferiori a quelli registrati in precedenza. Il tasso medio annuo reale di crescita della spesa sociale, come media europea, risulta essere, ad esempio, dell1,8 % per il periodo 1994-1999, del 2,6% per il periodo 1999-2003 a fronte del 3,9 % degli anni 1990 1994. Linversione di tendenza appartiene, in parte, allesigenza di risanamento delle finanze pubbliche, in vista dellattuazione della moneta unica, ma anche al consolidamento del pensiero liberista che spiega, ad esempio, trend analoghi per paesi che non fanno parte dellarea euro (per il Regno Unito il tasso di crescita passa, rispettivamente, dal 7,5 % all 3,9; per la Danimarca dal 5,2 allo 2,2 e per la Svezia dal 3,7 al 3,0). Elementi di convergenza si possono rilevare notando come la spesa aumenti pi nei Paesi che avevano una quota sul Pil nettamente inferiore al valore medio ( in Portogallo, ad esempio, si passa dal 15,2% del 1990 al 24,7% del 2005) rispetto ai Paesi che si collocavano su valori superiori al valore medio ( in Svezia, ad esempio, si passa dal 33,1% del 1990 al 32,0% del 2005). Anche la spesa pro-capite, espressa in valore costante, cresce e poich la crescita abbastanza differenziata tra i diversi Stati membri e maggiore nei paesi a pi basso livello di spesa, la spesa pro-capite tende a convergere; al termine del periodo considerato, ad esempio, il rapporto tra il paese che spendeva di pi (Lussemburgo) e quello che spendeva di meno (Portogallo) passa da 3,6 del 1990 a 3,0 nel 2005.

18

E bene ricordare che la quota di spesa sociale sul pil un rapporto tra la spesa stessa e il pil; se il pil cresce pi lentamente della spesa, la quota aumenta anche a parit di risorse destinate alla protezione sociale.

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15

Tabella n. 3

Spesa per la protezio ne socia le come quota sul Pil 1990 - 2005

Paesi

Anni 199 0

Anni 1991 26,4 27,1 29,7 26,1 21,6 21,2 28,4 19,6 25,2 22,5 32,6 27,0 17,2 29,8 34,3 25,7

Anni 1992 27,7 27,4 30,3 27,6 21,2 22,4 29,3 20,3 26,2 22,6 33,2 27,6 18,4 33,6 37,1 27,9

Anni 1993 28,8 29,3 31,9 28,4 22,1 24,0 30,7 20,2 26,4 23,7 33,6 28,9 21,0 34,6 39,0 29,0

Anni 1994 28,4 28,7 32,5 27,7 22,1 22,8 30,2 19,7 26,0 22,9 31,7 28,9 21,3 33,8 36,8 28,6

Anni 1995 28,3 28,1 32,2 28,9 22,3 22,1 30,7 18,9 24,8 23,7 30,9 29,6 22,1 31,8 35,5 28,2

Anni 1996 28,4 28,6 31,2 29,4 22,9 21,9 30,6 17,6 24,8 24,1 30,1 28,8 20,4 31,4 33,8 28,0

Anni 1997 27,5 27,4 30,1 28,9 20,8 20,8 30,4 16,7 24,9 21,5 28,7 28,6 20,3 29,1 32,7 27,3

Anni 1998 27,1 27,1 30 28,8 21,7 20,2 30,1 15,2 24,6 21,2 27,8 28,3 20,9 27,0 32,0 26,7

Anni 1999 27,0 27,0 29,8 29,2 22,7 19,8 29,9 14,8 24,8 20,5 27,1 28,7 21,4 26,2 31,7 26,2

Anni 2000 27,0 26,5 28,9 29,3 23,5 20,3 29,5 14,1 24,7 19,6 26,4 28,1 21,7 25,1 30,7 26,9

Anni 2001 27,1 27,3 29,2 29,4 24,1 20,0 29,6 15,0 24,9 20,9 26,5 28,4 22,7 24,9 31,2 27,3

Anni 2002 27,4 28,0 29,7 30,0 23,8 20,3 30,4 15,9 25,3 21,6 27,6 29,0 23,7 25,6 32,2 26,2

Anni 2003 27,8 29,1 30,9 30,3 23,6 20,4 30,9 16,5 25,8 22,2 28,3 29,3 24,1 26,5 33,2 26,2

Anni 2004 27,7 29,3 30,9 29,6 23,6 20,6 31,3 .. 26,0 22,3 28,3 29,0 24,7 26,6 32,7 26,3

Anni 200 5 27,8 29,7 30,1 29,4 24,2 20,8 31,5 26,4 21,9 28,2 28,8 24,7 26,7 32,0 26,8

Europa a 15 BELGIO Danimarca Germania GRECIA SPAGNA FRANCIA Irlanda ITA LIA Lussembur go Paesi Bassi AUSTRIAPortogallo

25,5 26,4 28,7 25,4 22,9 19,9 27,9 18,4 24,7 22,1 32,5 26,7 15,2 25,1 33,1 23,0

Finlandia SVEZIA Regno Unito

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Unultima annotazione riguarda il sistema di finanziamento delle politiche sociali. Dal confronto internazionale emergono, essenzialmente, due fonti di finanziamento : la tassazione generale e i contributi sociali sulle retribuzioni corrisposti sia dai lavoratori che dai datori di lavoro. A livello europeo il 60 % circa del finanziamento totale della spesa deriva dai contributi sociali ma esistono sensibili differenze tra Paesi : superano tale valore medio la Francia, il Belgio, i Paesi Bassi e la Spagna ; si collocano al di sotto del valore medio lItalia (47,0 %), il Regno Unito (47,9%), la Finlandia (50,2%), il Lussemburgo (51,3%); il Portogallo (47,4%), lIrlanda (40,0%), sino ad arrivare al 28,8% per la Danimarca (vedi tabella 4 ). Le differenze nella tipologia di finanziamento riflettono, essenzialmente, il modo in cui storicamente si sono formati i sistemi di protezione sociale; quando la quota di finanziamento da contributi sociali relativamente elevata significa che stato privilegiato un approccio di tipo assicurativo con uno stretto legame tra posizione lavorativa e diritto di accesso ai benefici; quando la quota relativamente bassa significa che si in presenza di un sistema fortemente basato su una copertura universalistica dei cittadini (tutti hanno accesso alle prestazioni indipendentemente dallessere o meno lavoratori ) e il sistema si finanzia, prevalentemente, con la fiscalit generale (contributi governativi). Nel periodo considerato (1990-2005), il sistema di finanziamento si modifica in tutti i paesi considerati per far fronte allintensificarsi della concorrenza e guadagnare gradi di competitivit; si cerca, cos, di ridurre il costo del lavoro trasferendo il finanziamento della protezione sociale dai contributi al prelievo fiscale generale servendosi, in alcuni casi, anche di tasse specifiche come la tassa di solidariet in Francia introdotta nel 1991 e limposta regionale sulle attivit produttive (IRAP) introdotta in Italia nel 1998 per compensare i minori introiti derivanti dalla soppressione dei contributi sociali diretti al finanziamento del sistema sanitario nazionale. Come media europea i contributi sociali passano, cos, dal 67 % del finanziamento al 58,9%, e la riduzione coinvolge sia la quota a carico dei datori di lavoro che passa dal 42,5 % del finanziamento totale al 38,2% sia quella dei lavoratori che scende dal 24,6% al 20,7 %. Il ridimensionamento particolarmente sensibile per lItalia ove la quota complessiva dei contributi sociali passa dal 70,4 al 47,0 % ( per la quota a carico dei datori di lavoro si passa dal 54,9 al 41,7 % e per i lavoratori dal 15,5 al 15,3 %). Alla riduzione della quota relativa dei contributi sociali fa riscontro un aumento dei contributi governativi che passano, in media, dal 28,8 al 37,9 % (dal 27,2 al 41,4 % per lItalia ) (vedi tabella n.4 ). Con riferimento alle modifiche introdotte nel sistema di finanziamento della spesa sociale, viene da chiedersi se tale compensazione rappresenti una strategia di breve periodo per evitare un opposizione da parte dei sindacati, ad esempio, o una diversa modalit strutturale di finanziamento dello Stato sociale. Le riforme del sistema fiscale in atto nei diversi Paesi e che avranno come conseguenza , almeno nel breve periodo, una riduzione delle entrate, inducono a ritenere la compensazione pi che una diversa modalit di finanziamento, un graduale ritiro dello Stato dallattivit di redistribuzione.

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Tabella n. 4 Entrate della protezione sociale PaesiContributi govertanivi 1990 2005 Datori di lavoro 1990 Media Eu 15 BELGIO DANIMARCA GERMANIA GRECIA SPAGNA FRANCIA IRLANDA ITALIA Lussemburgo PAESI BASSI AUSTRIA PORTOGALLO FINLANDIA SVEZIA Regno Unito 28,8 23,8 80,1 25,2 33,0 26,2 17,0 58,9 27,2 41,5 25,0 35,9 33,8 40,6 .... 42,6 37,9 24,7 63,2 35,6 30,7 33,4 30,6 53,9 41,4 45,3 19,9 33,1 42,2 43,7 48,0 50,5 42,5 41,5 7,8 43,7 39,4 54,4 51,0 24,5 54,9 29,5 20,0 38,1 36,9 44,1 .... 28,1 2005 38,2 51,4 10,3 35,0 35,5 48,9 44,7 24,7 41,7 26,9 33,4 37,9 31,7 38,8 41,0 32,4 Lavoratori 1990 24,6 25,5 5,3 28,4 19,6 16,9 28,5 15,6 15,5 21,0 39,1 25,1 20,1 8,0 .... 26,9 2005 20,7 22,0 18,5 27,7 22,9 15,6 20,9 15,3 15,3 24,4 34,4 27,4 15,7 11,4 8,8 15,5 Altre entrate 1990 4,1 9,2 6,8 2,7 8,0 2,5 3,5 1,0 2,5 8,1 15,9 0,9 9,2 7,3 .... 2,4 2005 3,2 1,9 8,0 1,7 11,0 2,1 3,8 6,1 1,6 3,4 12,3 1,6 10,4 6,1 2,3 1,6

Fonte : Eurostat 2007

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6. La spesa sociale in Italia Per quanto riguarda LItalia e facendo sempre riferimento alle elaborazioni ESSPROS, il primo dato che emerge, in un confronto europeo, che lItalia presenta, in termini di spesa sociale in rapporto al pil valori inferiori al valore medio e questo da quando sono pubblicati dati armonizzati e, cio, dal 1981. Nellanno 2003, lItalia, come gi visto, destina alla protezione sociale il 26,4 per cento del pil; in termini di spesa media pro capite lItalia presenta, invece, un valore di poco superiore al valore medio (6.024 PPS contro una media europea pari a 6.012). Il secondo dato di interesse, e che rappresenta anche il punto su cui si incentrato il dibattito interno ed internazionale, riguarda il peso che la spesa per la previdenza assume sia come quota sul pil che allinterno della spesa per la protezione sociale. Se in media la Comunit destina alla spesa per la previdenza il 11,1 per cento del pil, sempre con riferimento allanno 2003 e per un Europa a 15, in Italia tale valore sale al 15, 7 %, quattro punti e mezzo in pi, e questo aspetto viene usualmente indicato come la grande anomalia del sistema sociale italiano essendo la quota non solo superiore al valore medio ma anche pi alta di quella presente nella stessa Svezia (12,9%), considerata come il paese che dispone del sistema a pi alta protezione sociale. Esistono, in realt, diverse ragioni che possono spiegare tale differenza; intanto sembra opportuno ricordare che nel calcolo della spesa pensionistica italiana vengono incluse le erogazioni relative al cosiddetto Trattamento di Fine Rapporto (TFR)19, un istituto non presente negli altri Paesi e che se la relativa spesa fosse esclusa, la spesa previdenziale sul pil perderebbe, secondo alcune stime, due punti percentuali circa in termini di peso sul pil (Pizzuti, 2002). C anche da tenere presente che lItalia ha la pi alta quota, in Europa e nel mondo, di persone con unet superiore ai 65 anni (19,2 % contro il 16% del Regno Unito e della Francia, il 12,5 degli Stati Uniti, l12% dellIrlanda, ad esempio ) (vedi tabella n.5) e che spesso la spesa previdenziale stata e viene utilizzata, pi che negli altri paesi, per fini assistenziali o come ammortizzatori sociali (integrazioni al minimo e pensioni sociali come forme assistenziali, pensioni di invalidit come indennit di disoccupazione ). Questultimo elemento spiega anche perch lItalia il paese europeo che destina ai trattamenti di disoccupazione la quota pi piccola: 0,5 per cento del pil contro un valore medio europeo dell1,9 ). Probabilmente, se si riuscisse a separare la componente assistenziale dalla spesa per pensioni, a tenere conto della diversa struttura della popolazione, del TFR e del prelievo fiscale, la spesa previdenziale italiana cesserebbe dallessere considerata come la grande incongruenza del welfare italiano. Per quanto riguarda, invece, la salute anche per lItalia rappresenta, come per gli altri paesi europei, la seconda posta in termini di peso sul pil (6,5% contro il 7,1% come valore medio europeo). Se lItalia destina in media e per linsieme delle prestazioni sociali una quantit di risorse inferiore al valore medio e19

Il Tfr pari al 6,9% della retribuzione lorda e viene accantonato presso le aziende in cui si lavora.

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contemporaneamente presenta un valore superiore per la spesa previdenziale, significa che alcune aree del sociale hanno ricevuto e ricevono minori risorse rispetto a quanto sarebbe stato, probabilmente, necessario. Senza tenere conto del gap presente nella spesa per la disoccupazione e che si pu, in parte, giustificare con lutilizzo improprio delle pensioni di invalidit come indennit di disoccupazione, carenze si rilevano per gli aiuti alle famiglie (assegni familiari), con una quota dell 1% sul pil contro un valore medio del 2,4 e per il sostegno alle spese per affitto ed esclusione sociale pressoch irrilevante ( 0 contro 0,9 ) per un paese che presenta, tra laltro, un tasso di povert relativa superiore al valore medio europeo . Il diverso peso sul pil si riflette, naturalmente, sulla struttura della spesa sociale; ponendo pari a cento la spesa per la protezione sociale, la spesa pensionistica copre, in Italia, il 61,8 per cento del totale contro una media europea del 45,5 per cento e valori pari al 40,1 per la Svezia, al 43,3 per la Francia; al 42,9 per la Germania, e cos via (vedi tabella 3 ). Carenze si rilevano per gli aiuti alle famiglie a cui si destina solo il 4% del totale della spesa contro un valore medio dell8% e per il sostegno alle spese per affitto ed esclusione sociale: 0,2% contro il 3,5% come valore medio europeo ( per quanto riguarda il finanziamento vedi quanto detto in precedenza). Il confronto tra il sistema di welfare italiano e quello degli altri paesi europei, pur nei limiti della non completa omogeneit dei dati e nel ridimensionamento della anomalia riferita alleccessivo peso della spesa pensionistica, evidenzia, comunque, delle specificit che appartengono al modo stesso con cui si sono costruiti, nel tempo, i welfare nazionali, allevolversi delle componenti socio economiche della popolazione (invecchiamento, partecipazione al mercato del lavoro, peso dei lavoratori autonomi, e cos via), e da motivazioni socio culturali. Per un lungo periodo di tempo in Italia, ad esempio, la famiglia ha giocato attraverso una bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro un significativo ruolo di supplenza in una molteplicit di lavori di cura ( nei confronti degli anziani, minori, invalidi, portatori di handicap, ecc.), e di redistribuzione del reddito al suo interno ( per i giovani in cerca di occupazione, per le donne separate/divorziate, per le ragazze madri, e cos via); compiti affidati, negli altri Paesi, allintervento pubblico. Tale atteggiamento spiega, tra laltro, non solo la relativa bassa partecipazione delle donne italiane al mercato del lavoro (ad oggi permangono, ancora, quasi 15 punti di differenziale negativo in termini di tasso di occupazione rispetto alla media europea), ma anche la particolare tutela riservata ai disoccupati adulti ( in termini di fruizione della Cassa Integrazione Retribuzione, prepensionamenti, pensioni di invalidit), rispetto ai giovani in cerca di prima occupazione, esclusi da ogni forma di sostegno. In questo senso e rispetto alla situazione media dellEuropa, la struttura della spesa sociale italiana risulta, come si visto, fortemente sbilanciata a favore della spesa previdenziale con alcuni settori palesemente sottosviluppati quali quelli costituiti dal trattamento di disoccupazione e dallassistenza sociale.

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Tabella n. 5 Alcuni indicatori demografici ed occupazionali

Alcuni indicatori demografici ed occupazionali Paesi Popolazione all1.1.2005 (.000) 10.446 5.411 82.501 11.076 43.038 60.561 4.109 58.462 455 16.306 8.207 10.529 5.237 9.011 60.035 % popolazione 65 anni e pi % occupati su popolazione 15-64 (2004) 60,3 75,7 65,0 59,4 61,1 63,1 66,3 57,6 61,6 73,1 67,8 67,8 67,6 72,1 71,6 Tasso di disoccupazione ( 2005) 8,4 4,9 9,4 10,5 9,2 9,5 4,3 8,020

BELGIO DANIMARCA GERMANIA GRECIA SPAGNA FRANCIA IRLANDA ITALIA Lussemburgo PAESI BASSI AUSTRIA PORTOGALLO FINLANDIA SVEZIA Regno Unito

17% 15% 18% 18% 17% 16% 12% 19% 14% 13% 15% 17% 16% 17% 16%

5,3 4,7 5,2 17,9 8,3 6,3 4,6

Fonte : European Commission 2005, Joint Report on Social Protection and Social Inclusion, Luxembourg

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21

7. Le innovazioni degli ultimi anni Come visto nel prs.2, a partire dagli anni novanta e sino ad oggi, in un quadro fortemente evolutivo a seconda della forma di governo presente nei diversi Paesi e della sua evoluzione (destra, centro-destra, sinistra, centro-sinistra, democratici, repubblicani, socialdemocratici, e combinazioni diverse), si possono cogliere alcune tendenze comuni alla generalit degli Stati membri, e che sembrano muoversi verso uno stato sociale pi residuale che universale, al di l delle affermazioni di principio presenti nei diversi documenti comunitari. Una prima tendenza quella di indebolire la protezione derivante dalle culture universalistiche spostando, pi o meno gradualmente, la copertura dei rischi sociali (vecchiaia, malattia, disoccupazione, ecc) dalla sfera delle decisioni pubbliche a quella delle decisioni individuali. In questa direzione sembrano muoversi, ad esempio, le riforme del sistema previdenziale,21

del sistema sanitario, delle indennit per

disoccupazione (dal welfare al workfare ), dei sussidi per listruzione, per ledilizia pubblica, ecc . Con le riforme pensionistiche, in corso nella generalit dei paesi europei, ad esempio, si innalza let pensionabile, si riduce la copertura per gli aumenti dei prezzi e/o rispetto alla dinamica retributiva, si trasforma il sistema da retributivo (pensione pari ad una certa quota dellultima retribuzione o della media delle retribuzioni di un determinato periodo di tempo) a contributivo, con un collegamento stretto fra contributi e prestazioni, in una logica assicurativa (pensione contributiva ). E poich il nuovo sistema determiner, mediamente, una pensione nettamente inferiore a quella prevista dal sistema retributivo (indebolimento del sistema pubblico), si auspica la costituzione di un secondo pilastro pensionistico (previdenza integrativa). Ma poich sembra probabile che anche questo secondo pilastro possa non essere in grado di ristabilire un adeguato rapporto tra risorse disponibili nellet del lavoro e del non lavoro, si ricercano incentivi per la formazione di un terzo pilastro (previdenza completamente privata). In una situazione di questo genere non difficile ipotizzare, a regime, pensionati che, forti sul mercato del lavoro, saranno in grado di assicurarsi adeguati livelli pensionistici (con un mix di pensione obbligatoria contrattuale volontaria) a differenza dei lavoratori pi deboli (in particolare gli atipici e quelli inseriti nelle piccole imprese) che potranno contare, prevalentemente, solo sul primo pilastro, con un generale processo di aumento della disuguaglianza nella distribuzione personale del reddito. Di fatto, si stanno creando le premesse per riportare ai margini della distribuzione del reddito un gruppo importante della popolazione che, con difficolt, aveva contribuito a determinare un sistema di norme per far s che il tenore di vita dellet del non lavoro non fosse drammaticamente diverso da quello dellet del lavoro.

Anno 2004 Per rendere i sistemi di protezione sociale pi incentivanti sotto il profilo del lavoro, le indennit per la disoccupazione si riducono nel loro ammontare e nei tempi di erogazione sino ad annullarsi se la persona disoccupata non segue oppositi programmi di formazione o riqualificazione o se non accetta opportunit di lavoro offerte dai centri per loccupazione, indipendentemente dalle proprie aspirazioni professionali o vincoli familiari.20 21

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In un medesima direzione si muovono, anche, le misure dirette a contenere la dinamica delle spese per la salute; limporre, ad esempio, agli ospedali budget da rispettare e contenendo, in ogni caso, i trasferimenti alle strutture stesse, come sta accadendo in Italia, determina lunghe code di attesa per analisi, visite specialistiche, piccoli e grandi interventi con il risultato di indurre i pazienti, pi o meno benestanti, verso le strutture private22 e/o a dotarsi di polizze assicurative (in alcuni rinnovi contrattuali stanno entrando polizze assicurative sanitarie con costi condivisi tra aziende e lavoratori). Anche in questo caso non difficile prevedere un aumento della disuguaglianza nellaccesso al diritto alla tutela della salute cos come non difficile prevedere un indebolimento della struttura pubblica nel momento in cui si perde la fruizione dei servizi da parte dei pazienti appartenenti alla classe media e medio-alta che svolgono un importante funzione di controllo nella qualit e nella tipologia delle prestazioni sanitarie. Una seconda tendenza quella di ridurre la tassazione basata sulla capacit contributiva (sono in corso in tutti i paesi europei processo di riforma della tassazione personale tesi ad abbassare i livelli di imposizione a partire da quelli pi bassi) ed aumentare il peso della tassazione in base al principio del beneficio, rafforzando la partecipazione degli utenti al costo dei servizi ( ed anche questo sembra essere un tentativo di risposta alla mobilit del fattore capitale, resa pi agevole dal completamento del Mercato Comune Unico). Il processo, iniziato negli anni ottanta, si sta espandendo coinvolgendo, almeno in Italia, le prestazioni sanitarie, listruzione, la generalit dei servizi sociali. La contribuzione viene, a sua volta, modulata in funzione della capacit contributiva dei soggetti (Indicatore Situazione Economica Equivalente - ISEE) determinando non pochi problemi nella gestione burocratica delle procedure e nei necessari controlli, soprattutto in un paese come lItalia in cui ancora elevato il grado di evasione fiscale e il reddito prodotto nelleconomia sommersa. Una terza tendenza quella di trasferire a livello locale (regioni, province e comuni) la gestione e il finanziamento di quote crescenti di prestazioni e servizi sociali. La tendenza, di per s positiva, presenta, in assenza di una definizione a livello nazionale dei diritti e dei doveri minimi e di un trasferimento di risorse dallo Stato alle Regioni sempre pi ridimensionato, il grave rischio che, a parit di bisogni, ci siano, a livello locale, risposte fortemente differenziate in funzione delle preferenze politiche locali e/o delle risorse che possono essere messe a disposizione in campo sociale. Sembra facile prevedere, anche in questo caso, che le regioni economicamente pi forti e/o pi attente alla dimensione sociale portino avanti unarticolata politica sociale a differenza di quelle pi deboli, determinando, cos, una chiara discriminazione tra soggetti che presentano parit di bisogni. C da dire, infine, che queste tendenze trovano un marginale aggiustamento nella tenuta o nellampliamento ( a seconda del Paese considerato) della spesa prettamente assistenziale e, quindi, molto selettiva (sostegno alle spese daffitto, di acquisto di libri scolastici, di mantenimento dei minori inseriti in22

Nel 1997 la spesa privata per lassistenza sanitaria rappresentava, gi, in Italia, il 30% della spesa sanitaria totale contro il 15% in Svezia, Regno Unito, Belgio, Danimarca e solo l8% in Lussemburgo

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nuclei numerosi, di reddito minimo, quando previsto,ecc) . Piccoli interventi che sembrano molto lontani da un modello sociale in cui tutti dovrebbero poter condurre una esistenza dignitosa cos come usuale leggere nei documenti della Comunit ed in quelli governativi dei singoli Paesi. 8. I sistemi pensionistici Il sistema pensionistico23 italiano inizia a formarsi nel 1898 con listituzione della prima Cassa di previdenza per linvalidit e la vecchiaia la cui iscrizione era facoltativa per la maggior parte dei lavoratori ed obbligatoria solo per alcune categorie (dipendenti dello Stato, operai dei cantieri navali e delle zolfatare siciliane)24. Nel 1919, partendo dalle conseguenze devastanti del primo conflitto mondiale in termini di vedove, orfani ed invalidi, la Cassa di previdenza per linvalidit e la vecchiaia si trasforma in Cassa nazionale delle assicurazioni sociali e il sistema da volontario si trasforma in obbligatorio per i lavoratori dipendenti con una triplice contribuzione : degli operai, degli imprenditori e dello Stato. Durante il ventennio fascista la Cassa nazionale delle assicurazioni sociali si trasforma in ente pubblico (1933) ed assume la denominazione di Istituto Nazionale Fascista di Previdenza Sociale ( I.N.F.P.S. e, poi, I.N.P.S)25 . Allorigine, il sistema si finanzia assumendo la forma della capitalizzazione ( le pensioni pagate nel corso di ogni anno vengono finanziate attraverso i fondi accumulati dai lavoratori durante gli anni precedenti) e limporto della pensione riflette lammontare dei contributi versati e capitalizzati. Nel 1961 l'assicurazione obbligatoria viene estesa anche agli artigiani e nel 1967 ai commercianti; nel 1969 viene introdotta la pensione sociale per i cittadini privi di reddito26. Nel 1969 l'INPS passa, come era accaduto nella maggior parte dei paesi europei, dal sistema a capitalizzazione al sistema a ripartizione : i contributi versati in un anno da tutti i lavoratori attivi finanziano le pensioni pagate nel corso dello stesso anno. Il sistema a ripartizione, a differenza di quello a capitalizzazione, pu essere retributivo quando le pensioni erogate sono collegate alla retribuzione percepita dal lavoratore durante la sua attivit lavorativa (solitamente le pensioni sono calcolate come percentuale della retribuzione media di n anni lavorativi o dellintera vita lavorativa, sistema vigente sino alla riforma Dini), oppure pu essere contributivo quando le pensioni sono collegate all'ammontare dei contributi ( montante contributivo ) versati durante il periodo lavorativo ( situazione attuale). Labbandono del sistema a capitalizzazione a favore di quello a ripartizione derivava dalla necessit di tener conto del fatto che gli alti tassi di inflazione del secondo dopoguerra avevano eroso le riserve detenute dagli istituti previdenziali ed eroso il potere dacquisto delle pensioni stesse, nel contempo si era in presenza di23

Il sistema pensionistico di un paese determinato dalla combinazione di caratteri diversi che riguardano lobbligatoriet della partecipazione; il carattere pubblico o privato dellistituzione che lo gestisce; il metodo di finanziamento della spesa (a ripartizione o a capitalizzazione): il metodo di calcolo delle prestazioni :retributivo contributivo. 24 Cfr., Sepe Stefano 1999, Le Amministrazioni della Sicurezza Sociale nellItalia Unita, Ed Giuffr, Milano 25 LInps gestisce le pensioni di vecchiaia, .... di dipendenti da imprese private, commercianti, artigiani, coltivatori diretti, .....

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un'economia in rapida crescita, di buon equilibrio finanziario del bilancio dello Stato, di strutture demografiche in equilibrio, di un aumento del monte salariale e delloccupazione27, tutti elementi rassicuranti in termini di equilibrio finanziario tra prestazioni e contributi. Ma a partire dalla met degli anni settanta, il modello pensionistico pubblico inizia ad essere messo in discussione per la caduta del tasso medio annuo di crescita del pil, dei salari e delle entrate contributive che avevano garantito gli impegni di spesa assunti con gli assicurati, per la continua diminuzione del tasso di natalit e il parallelo aumento della vita media ( lallungamento della vita media si riflette, naturalmente, sugli oneri previdenziali nel senso che le prestazioni pensionistiche devono essere erogate per un periodo medio pi lungo nel tempo) nonch laumento dellet scolare ( si entra pi tardi nel mercato del lavoro e si versano, quindi, contributi per un tempo inferiore), la crescita del tasso di disoccupazione, il diffondersi dei casi di prepensionamento, che determinano una progressiva diminuzione del rapporto lavoratori e pensionati, incidendo profondamente su quella relazione numerica tra contribuenti e percettori di pensioni che alla base dei sistemi a ripartizione. I problemi provocati da questa evoluzione economica, demografica e sociale si riflette in un crescente deficit del sistema pensionistico pubblico e nel peso sempre maggiore della spesa pubblica per pensioni rispetto al Pil: due indici che concorrono a spianare la strada alle riforme degli anni novanta che cercano di rendere compatibile la spesa previdenziale con il bilancio dello Stato. Di fronte all'invecchiamento della popolazione e al calo delle nascite, si risponde con l'innalzamento dell'et pensionabile per accedere alle pensioni di vecchiaia; con la revisione dei meccanismi automatici di indicizzazione delle pensioni, con la modifica della formula di computo della pensione stessa, con laumento della contribuzione. Nello specifico si ha una prima riforma, nel 1992, con il governo di G. A mato (D.Lgs. 503 del 30 dicembre 1992, interventi diretti al contenimento della spesa pubblica) che ridisegna il metodo di calcolo della pensione in base ad un criterio di determinazione della pensione che prevede due quote: la prima, per i contributi versati fino al dicembre 1992, calcolata sulla base della retribuzione annua media degli ultimi cinque anni; la seconda, per i contributi versati dal gennaio 1993 in poi, calcolata sulla base degli ultimi dieci anni di retribuzione (la base pensionabile viene determinata facendo una media delle retribuzioni percepite nel tempo e rivalutate) (per i nuovi assunti il riferimento varr per lintera vita lavorativa); si prevede, inoltre, un innalzamento graduale dell'et pensionabile (da 60 a 65 per gli uomini e da 55 a 60 per le donne), la revisione del meccanismo automatico di adeguamento delle pensioni al costo della vita28A partire dal ..... la pensione sociale prende il nome di assegno sociale pari a, dall1.1.2008, 395,59 euro mensili mentre la pensione minima risulta pari a 443,12 euro. 27 In generale, si sostiene che il sistema a capitalizzazione evita i rischi legati a trend demografici sfavorevoli (incremento delle persone non attive rispetto a quelle attive) e consente un controllo finanziario tra contribuzione/prestazione; non c' solidariet intergenerazionale e il rischio di maturare una pensione insufficiente ad uno standard medio di vita grava interamente sull'assicurato. Il sistema a ripartizione ha il vantaggio di un'ampia solidariet intergenerazionale e di assicurare livelli pensionistici concordati tra le parti sociali; di contro vulnerabile a trend demografici sfavorevoli e alla bassa crescita economica. 28 Per le pensioni minime (443,12 euro mensili all1.1.2008) e per le pensioni pari a cinque volte limporto minimo (dal 2008) ( importo della pensione sino a 2.180 euro) previsto un adeguamento pari alla variazione dei prezzi stimata dallIstat; per le26

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(viene sospeso e non pi riattivato quello relativo alla dinamica dei salari e reso pi morbido quello relativo alla dinamica dei prezzi); si aumentano le aliquote contributive. Il diritto allintegrazione per una pensione minima viene legato non pi al reddito personale del richiedente ma a quello familiare. Si armonizzano le normative tra pubblico e privato; si introduce, infine, un divieto parziale di cumulo tra pensione e lavoro autonomo. Con la riforma di L. Dini (L. 335 dell8 Agosto 1995), il sistema pensionistico subisce una seconda e pi radicale riforma attraverso lintroduzione del sistema a capitalizzazione per il calcolo delle pensioni che saranno pari alla sommatoria dei contributi versati29 nel corso dellintera vita lavorativa rivalutati ad un tasso di rendimento pari al tasso medio annuo di variazione nominale del PIL ( montante contributivo). Alla fine della carriera lavorativa il montante contributivo viene moltiplicato per un coefficiente di trasformazione che rapporta il trattamento allet del pensionato premiando chi arriva sempre pi vicino alla soglia dei 65 anni di et30, e trasformato in una rendita vitalizia che rappresenta la pensione che viene pagata fin quando il pensionato o i suoi superstiti sono in vita. Correttivi migliorativi vengono previsti per chi effettua lavori usuranti, per chi ha iniziato a lavorare da giovanissimo, ecc. Landata a regime del nuovo sistema prevista in modo graduale nel senso che il nuovo metodo di calcolo viene applicato immediatamente ai nuovi assunti ( 1 gennaio 1996) e a coloro che non avevano maturato almeno 18 anni di contribuzione ( il sistema di calcolo rimane retributivo per gli anni precedenti all1.1.1996); vengono, quindi, esclusi tutti i lavoratori che avevano maturato pi di 18 anni di contribuzione per i quali la pensione rimane calcolata con il metodo retributivo. Il nuovo sistema, partendo dalla considerazione che l' ingresso nel mondo del lavoro avviene sempre pi tardi e in modo precario, per cui le prestazioni pensionistiche future sono destinate a ridimensionarsi rispetto al passato, incoraggia, attraverso la destinazione del Tfr trattamento di fine rapporto a fondi pensione ( di categoria, aziendali o territoriali), la formazione di una pensione aggiuntiva attraverso la previdenza complementare quale secondo pilastro del sistema pensionistico, per avere, quindi, livelli di copertura previdenziale pi adeguati rispetto a quelli assicurati dal solo primo pilastro.

pensioni comprese tra 2.180 e 3.490 euro, laliquota percentuale di aumento pari al 75% della variazione dei prezzi mentre non si adeguano allaumento dei prezzi le pensioni di importo superiore a otto volte limporto minimo. 29 I lavoratori dipendenti versano ( al 21 ottobre 2006) il 32,7% della retribuzione : 8,89 a carico del lavoratore e 23,81 a carico del datore di lavoro. I parasubordinati versano ( al 21 ottobre 2006) il 18,20%. 30 Il montante contributivo individuale viene moltiplicato per 4,720%, ad esempio, se il lavoratore va in pensione a 57 anni di et e per 6,136% se va in pensione a 65 anni di et. La riforma prevede anche di rivedere, ogni dieci anni, i coefficienti di trasformazione in funzione dellandamento della speranza media di vita; una prima modifica di tali coefficienti ci sarebbe dovuta essere nel 2005, governo Berlusconi; non essendoci stata, per ragioni di opportunit politica, dovrebbe esserci con il governo Prodi; poich la speranza di vita si allungata di 2,5 anni dal 1995 al 2005 il Ministero del Lavoro (Ministro Cesare Damiano) dovrebbe rivedere i coefficienti di trasformazione che implicherebbero una riduzione delle pensioni future del 6-8% .

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Schema n.1 Dal sistema retributivo al contributivo riforma Dini del 1995 Lavoratori con meno di 18 anni di contributi Al 31.12.1995 almeno 18 anni di contributi al 31.12.1995 lavoratori assunti a partire dall1.1.1996 Schema n.2 Esempio di metodo di calcolo della pensione per un lavoratore che inizia la sua attivit il primo gennaio 2006 con una base retributiva annua imponibile pari a 15.000 euro. Al 31 dicembre 2006 si definisce la prima quota di contribuzione da considerare ai fini del calcolo della pensione e tale prima quota sar pari al 33% della retribuzione imponibile (15.000 euro) e, quindi, 4.950 euro su base annuale e versati mensilmente dal lavoratore e dal datore di lavoro. Alla fine del secondo anno di lavoro, 31 dicembre 2007, la quota maturata nellanno precedente, 4.950 euro, viene rivalutata in relazione al tasso medio annuo nominale del Pil degli ultimi cinque anni. Ipotizzando una variazione media del pil pari al 3%, la quota del primo anno rivalutata risulter pari a 5.098,5 : 4.950 pi 148,5 pari al 3% di 4.950; i 5.098,5 euro rappresentano, quindi, la prima quota di quella sommatoria di quote che andranno a costituire il montante contributivo. Nel corso del secondo anno il lavoratore e il datore di lavoro continueranno a versare, complessivamente, il 33% della retribuzione e, quindi, 4.950 euro. Alla fine del terzo anno di lavoro, 31 dicembre 2008, la quota versata nel 2007, 4.950 euro, viene rivalutata sempre in relazione al tasso medio annuo nominale del Pil degli ultimi cinque anni. Ipotizzando una variazione media del pil pari al 3,5%, la quota del secondo anno rivalutata risulter pari a 5.127,25 : 4.950 pi 173,25 pari al 3,5% di 4.950; i 5.127,25 euro rappresentano, quindi, la seconda quota del montante contributivo. E cos via nel tempo; naturalmente nel momento in cui la retribuzione dovesse aumentare per scatti di anzianit, rinnovi contrattuali, passaggi di carriera, ecc, si modificherebbe anche la base imponibile e, quindi, lammontare di contributi versati e, quindi, anche la quota che andr a costituire il montante contributivo. Alla fine della carriera lavorativa si determiner il montante contributivo individuale inteso come somma dei contributi via via accreditati e rivalutati. Per determinare limporto annuo della pensione bisogner compiere unulteriore operazione; occorrer, infatti, moltiplicare il montante contributivo per deiLa revisione dei coefficienti dovrebbe partire dal 2010 ed essere inserita nel protocollo sul welfare approvato dal Parlamento a dicembre 2007.

Sistema di calcolo della pensione Contributivo a partire dal 1.1.1996 e retributivo per gli anni precedenti retributivo Solo contributivo

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coefficienti di trasformazione che consentono di trasformare il capitale accumulato (montante) in una rendita vitalizia. I coefficienti di trasformazione partono da 0,04720, per un lavoratore che decide di andare in pensione a 57 anni, ed arrivano a 0,06136 per un lavoratore che decide di andare in pensione a 65 anni; in tal modo si incoraggia la permanenza nel mercato del lavoro. La riforma prevede anche una graduale abolizione delle pensioni di anzianit ( pensione che matura indipendentemente dallet e che legata agli anni di contribuzione 39 anni di contribuzione nel privato e 40 se un lavoratore autonomo) entro il 2008 ed introduzione della flessibilit dellet pensionabile ( 5767 per maschi e donne). Le pensioni di invalidit e reversibilit si riducono in presenza di altri redditi; si istituisce un fondo pensione per le casalinghe. Una fase ulteriore di riforma generale del sistema pensionistico si ha con il primo governo di R. Prodi ( legge 27 dicembre 1997 n.449 finanziaria 1998) che accelera l'inasprimento dei requisiti minimi per il pensionamento di anzianit previsto da Dini per i lavoratori dipendenti del settore privato (tranne operai e lavoratori precoci), che prevede lequiparazione dei requisiti di accesso alla pensione di anzianit del pubblico impiego a quelli previsti per i lavoratori del privato, l equiparazione dei pensionati ex dipendenti a quelli ex autonomi in materia di cumulo fra pensione e redditi da lavoro autonomo. Eleva le aliquote contributive di artigiani e commercianti. Con la legge delega in materia previdenziale 23 agosto 2004 n.243 (governo Berlusconi ministro R. Maroni), si innalza let di pensionamento (per le donne si fissa una fascia da 60 a 65 anni mentre per gli uomini il pensionamento consentito solo al raggiungimento dei 65 anni) si prevedono incentivi a rimanere al lavoro per il periodo 2004-2007 (la norma prevede lopzione per i dipendenti privati, al raggiungimento dei requisiti minimi per il pensionamento, di continuare a lavorare con un super bonus che si traduce nellesenzione totale dal pagamento dei contributi pensionistici e nel congelamento in termini reali dellammontare della pensione maturata. Il risparmio fiscale viene interamente versato in busta paga e si concretizza in un aumento valutabile in almeno un terzo in pi dello stipendio, essendo laliquota contributiva fissata al 32,7%; inoltre tale risparmio esente dallimposta personale sul reddito); eliminazione progressiva del divieto di cumulo tra pensioni e redditi da lavoro, il passaggio da 57 a 60 anni ( pi tre anni di lavoro) per poter andare in pensione di anzianit con 35 anni di contribuzione a partire dall1.1.2008 (il famoso scalone Maroni in discussione nel 200731) (in presenza di 40 anni di contributi non 31

Allalba del 21 luglio 2007 i sindacati firmano con il governo un accordo per modificare la riforma Maroni : dallo scalone agli scalini, una salita graduale che alzer i requisiti anagrafici per avere accesso alla pensione di vecchiaia ( linnalzamento dellet non opera per chi matura 40 anni di contributi nel senso che chi ha versato 40 anni di contributi - pensione danzianit - potr andare in pensione indipendentemente dallet anagrafica raggiunta e lo potr fare in quattro periodi dellanno finestre gennaio, aprile, luglio ed ottobre) fino a 61 anni dal 2013. Dal 2008 per andare in pensione bisogner avere almeno 58 anni ( e non 60) e 35 di contributi; dal 1 luglio 2009 e sino al 2010 per andare in pensione bisogner avere almeno 59 anni e raggiungere quota 95 che pu essere rappresentata da 59 anni e 36 di contributi o da 60 anni e 35 di contributi ; da gennaio 2011 e 2012 il lavoratore dovr avere almeno 60 anni e raggiungere quota 96 ( 60 anni e 36 di contributi o 61 anni e 35 di contributi ); da gennaio 2013 let minima di pensionamento sar di 61 anni e la quota sar pari a 97 ( 61 anni e 36 di contributi o 62 e 35). Per i lavoratori autonomi si dovr aumentare, di volta in volta, di un anno sia per let anagrafica richiesta

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previsto alcun limite di et); ed infine il rilancio della previdenza complementare destinando il Tfr maturando ai fondi pensione. In base al principio del silenzio-assenso, il lavoratore (gi in servizio al primo gtennaio 200732) ha sei mesi di tempo dallentrata in vigore dei decreti attuativi per dire no alluso del Tfr ai fini pensionistici, se non esplicita la sua volont, il Tfr maturando confluisce nei fondi pensione; la scelta di destinare il Tfr ai fondi irreversibile mentre il lavoratore che ha scelto di mantenere il proprio Tfr, in un qualsiasi momento, pu cambiare idea e trasferire il suo Tfr ad un fondo. Per reperire risorse da destinare ad investimenti in infrastrutture, le parti sociali (Confindustria e Sindacati) firmano, il 23 ottobre 2006, un accordo ( inserito nella legge finanziaria 2007) con il governo in base al quale le aziende con pi di 50 dipendenti ( lo 0,6% del totale delle imprese per il 46,3% dei dipendenti) dovranno dirottare il Tfr non destinato alla previdenza integrativa (non optato dai lavoratori) in un fondo specifico della Tesoreria istituito presso lINPS ( trattandosi, comunque, di risorse accantonate per fini previdenziali)33

e le aziende che non avranno pi il Tfr a disposizione per il proprio autofinanziamento

saranno compensate dallo Stato con una serie di benefici fiscali. Laccordo prevede anche lanticipo della decorrenza della previdenza complementare dal 2008 all1.1.2007 : i lavoratori avranno, quindi, sei mesi di tempo per decidere se destinare il Tfr ad un fondo pensionistico complementare o mantenerlo presso il proprio datore di lavoro. Se il lavoratore non decide entro i sei mesi (1 gennaio 2007-30 giugno 2007) scatta il silenzio assenso e il datore di lavoro trasferisce il Tfr maturando in un fondo collettivo di previdenza complementare per i lavoratori inseriti in imprese con meno di 50 addetti ed al fondo Inps per quelle con pi di 50 addetti. In ogni caso, per i lavoratori, non cambia nulla rispetto alla titolarit del Tfr, sia nel caso in cui rimanga in azienda che nel caso in cui confluir al Fondo presso la Tesoreria dello Stato gestito dallINPS: la rivalutazione, le anticipazioni e la liquidazione al termine del rapporto di lavoro continueranno ad essere erogati dallazienda secondo le attuali (2006) disposizioni normative e contrattuali.

che per le annualit contributive richieste. Resta salva let delle donne per aver accesso alla pensione di vecchiaia : 60 anni. Dalle modifiche sono esclusi i lavoratori che hanno lavori usuranti (conducenti di mezzi pubblici, lavoratori su tre turni, addetti alle catene di montaggio, lavoratori delle miniere, ....) circa 1,4 milioni di lavoratori, per loro rester il mix 57 anni e 35 di contributi. Per quanto riguarda i coefficienti di trasformazione ( da rivedere per adeguarli alle maggiori aspettatitive di vita), ne discuter unapposita Commissione di esperti ed i nuovi parametri entreranno in vigore nel 2010. Nel contempo viene sospeso ladeguamento delle pensioni alle variazioni del costo della vita ( per un anno?) per le pensioni che superano i 3.500 euro mensili. Il costo dellaccordo viene stimato pari a 10 miliardi di euro in 10 anni: 7,1 per la revisione dello scalone e 2,9 per il fondo lavori usuranti; le fonti di copertura saranno trovate nella riorganizzazione degli enti di previdenza ( 3,5 miliardi in 10 anni); nellaumento delle aliquote contributive dei parasubordinati (3,5 miliardi); nellaumento delle aliquote contributive dei parasubordinati non esclusivi (0,8 miliardi); nella sospensione dellindicizzazione per le pensioni superiori otto volte il minimo (1,4 miliardi) e nellarmonizzazione dei fondi speciali (0,7 miliardi). Laccordo verr inserito nella Finanziaria 2008 e soggetto allapprovazione del Parlamento. 32 Se la data di assunzione successiva al primo gennaio 2007, il lavoratore avr sei mesi di tempo, dalla data di assunzione, per esplicitare o meno la sua scelta. 33 Il governo stima in sei miliardi di euro la somma che potrebbe confluire nel fondo.

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Dal retributivo al contributivo La riforma Dini ha segnato il passaggio da un sistema a ripartizione di tipo retributivo a un regime di tipo contributivo. Quello retributivo un sistema che presenta poche incertezze: tutto si basa sugli anni di lavoro e sulla media dei redditi percepiti nel tempo. Il sistema contributivo da una parte ha il vantaggio della trasparenza che garantita dal fatto che ciascuno deve contribuire personalmente a finanziare le prestazioni future, dallaltra per ha lo svantaggio di esporre il lavoratore ad una serie di incertezze circa la reale consistenza della pensione poich l'importo effettivo della stessa dipender da tre variabili: a) la propria storia contributiva, vale a dire quanti contributi ha versato; b) la rivalutazione del montante contributivo, collegata alla crescita economica del paese; c) i coefficienti di conversione in rendita che saranno in vigore al momento della pensione, collegati alla speranza di vita media. Per quanto riguarda il montante contributivo, esso rivalutato con la media della crescita economica dell'intera nazione. Nei calcoli che di solito sono fatti per stimare le pensioni future si ipotizza una crescita dell'1,5%, al netto dell'inflazione. Si tratta di ipotesi basate sulla storia pregressa, ma non dato sapere se la crescita economica passata si ripeter negli anni futuri. Uno scostamento della rivalutazione dell'1% pu significare una pensione superiore o inferiore anche del 20% (confronta Boeri). I coefficienti di trasformazione in rendita sono collegati alla speranza di vita media rilevata dall'Istat. Se al momento della pensione la speranza di vita media sar molto pi lunga, con lo stesso montante contributivo si potrebbe percepire una pensione sensibilmente inferiore. Nel sistema contributivo, quindi, si ha lo svantaggio di avere una pensione molto incerta rispetto al sistema retributivo perch molto pi difficile la sua stima. Inoltre la pensione percepita dai giovani viene stimata intorno al 60% dellultima retribuzione, mentre i lavoratori che beneficiano del vecchio calcolo retributivo possono arrivare fino all80% dellultima busta paga. I giovani quindi avranno bisogno, pi degli anziani, di integrare la futura rendita con la pensione complementare. Un altro svantaggio legato alle riforme via via introdotte, il fatto che si andr in pensione pi anziani ; con la riforma Dini, per esempio, un giovane che aveva cominciato a lavorare a venticinque anni nel 1996 poteva ritirarsi a cinquantasette anni nel 2028. Adesso, invece, come minimo dovr lavorare quattro anni in pi per raggiungere, nel 2032, la pensione danzianit (quota 97, con almeno sessantuno anni di et anagrafica).

Economia e Politica Sociale 2009-10 Terzo modulo: welfare e modelli di welfare, Carmela D'Apice

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La previdenza complementare : il nuovo sistema previdenziale (riforma Dini) si regge su due tre pilastri: la previdenza pubblica, quella complementare e quella individuale attraverso le quali i lavoratori potranno costituirsi pi pensioni aggiuntive. Con lespressione previdenza complementare si fa, quindi, riferimento a tutti quegli istituti previdenziali che prevedono l'erogazione di trattamenti pensionistici complementari a quelli del regime obbligatorio con lo scopo principale di assicurare pi elevati livelli di copertura previdenziale e, quindi, consentire il mantenimento di un tenore di vita non molto diverso da quello raggiunto durante il periodo lavorativo. La previdenza complementare una forma di risparmio gestito professionalmente che differisce dal puro e semplice risparmio finanziario in quanto finalizzata, dal legislatore, a scopi socialmente rilevanti e, quindi, fiscalmente incoraggiata (i contributi versati, ad esempio, possono essere dedotti in una misura massima annua pari a 5.164,57 euro cos come pi vantaggiosa risulta essere la tassazione rispetto a quella prevista per il Tfr 34). Il lavoratore, in qualit di risparmiatore previdenziale, versa dei contributi e il gestore, grazie alla propria specifica attivit, consegue un rendimento finanziario che si cumula con i contributi versati. Le forme di previdenza complementare sono tre: fondi pensione chiusi o negoziali o di categoria; fondi pensione aperti; piani individuali di previdenza attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita (PIP). I fondi chiusi, disciplinati dall'art. 4 comma 1 del D.Lgs. n. 124/93, sono quegli strumenti finanziari a cui si pu accedere solo se si appartiene ad una determinata categoria di lavoratori, sono, quindi, istituiti sulla base di contratti o accordi tra lavoratori di un determinato settore oppure tra i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, se i destinatari sono lavoratori dipendenti; i fondi negoziali dei lavoratori autonomi e liberi professionisti sono invece istituiti dalle rispettive associazioni di categorie. I fondi aperti, disciplinati dall'art. 9 del D.Lgs.n. 124/93, sono, invece, sottoscrivibili da chiunque, senza alcuna limitazione derivante dalla propria occupazione; possono essere istituiti e gestiti dai soggetti abilitati alla gestione di un fondo pensione: banche, societ di gestione del risparmio, societ di intermediazione mobiliare (SIM), compagnie di assicurazione e societ di gestione dei fondi comuni di investimento. Ladesione a tali fondi pu essere individuale o collettiva;