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Anche se la maggior produzione è localizzata nel nord-Italia, si produce spumante in quasi tutte le regioni d’Italia . I territori più idonei sono quelli dove il clima va da temperato a freddo, il suolo è magro e poco profondo. Sono idonei terreni di natura calcarea o calcareo-argillosa, a fertilità moderata, ma anche sciolti, ciotolosi e ghiaiosi. In queste condizioni si verifica una la lenta maturazione dell'uva che favorisce il buon accumulo di zuccheri senza un'eccessiva diminuzione degli acidi organici, mentre l'escurs ione termica giorno/ notte arricchisce il corredo degli aromi varietali. Le zone dell o Spuman te di Nichi Stefi Estratto dalla Giuda Oro Gli Spumanti d'Italia '08-'09 Veronelli Editore Siamo arrivati al momento più importante per scegliere lo spumante che desideriamo consumare. Abbiamo visto che gli spumanti possono essere di vari tipi, che possono avere un grado zuccherino molto diverso ed essere quindi adatti a situazioni molto differenziate, ma fino ad ora non siamo entrati nel merito della qualità, né della personalità di uno spumante. La qualità la fa il terroir . Questa mia affermazione farà storcere la bocca a molti convinti che non valga per gli spumanti. Ovviamente, essendoci una lavorazione complessa, il terroir conta meno di quanto non conti per un grande vino rosso, ma conta. Non a caso lo Champagne, che nell'ambito degli spumanti qualche diritto di parola ce l'ha, è il territorio al limite settentrionale della coltura della vite, una zona estrema, irripetibile. Per meglio definire il significato del termine terroir è necessaria una breve digressione. Il con tempo raneo mon do vi ni colo è div iso da du e filo sofie assol uta mente con trastan ti, c'è una filo sofia europea, se vogliamo tradizionale, che crede ed esalta l'influenza del terroir , cioè l'insieme composto dal suolo, sotto-suolo e microclima; ce n'è un'altra che trova i propri adepti nel mondo vinicolo emergente, cioè Stati Uniti, Australia, Sud Africa, Cile che punta soprattutto sul vitigno. Gli europei quindi distinguono i vini prevalentemente per la loro zona d'origine, gli americani invece per il tipo d'uva utilizzata. Zone di produzione http://www.darapri.it/immagini/nuove_mie/spumante/zoneproduzione.ht 1 di 11 16/04/2010 11.27

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Anche se la maggior produzione è localizzata nel nord-Italia, si produce spumante

in quasi tutte le regioni d’Italia .

I territori più idonei sono quelli dove il clima va da temperato a freddo, il suolo è

magro e poco profondo. Sono idonei terreni di natura calcarea o calcareo-argillosa,

a fertilità moderata, ma anche sciolti, ciotolosi e ghiaiosi.

In queste condizioni si verifica una la lenta maturazione dell'uva che favorisce il

buon accumulo di zuccheri senza un'eccessiva diminuzione degli acidi organici,mentre l'escursione termica giorno/notte arricchisce il corredo degli aromi

varietali.

Le zone dello Spumante 

di Nichi Stefi

Estratto dalla Giuda Oro Gli Spumanti d'Italia '08-'09  Veronelli Editore

Siamo arrivati al momento più importante per scegliere lo spumante che desideriamo consumare. Abbiamovisto che gli spumanti possono essere di vari tipi, che possono avere un grado zuccherino molto diverso ed

essere quindi adatti a situazioni molto differenziate, ma fino ad ora non siamo entrati nel merito della qualità,

né della personalità di uno spumante.

La qualità la fa il terroir .

Questa mia affermazione farà storcere la bocca a molti convinti che non valga per gli spumanti. Ovviamente,

essendoci una lavorazione complessa, il terroir conta meno di quanto non conti per un grande vino rosso, ma

conta. Non a caso lo Champagne, che nell'ambito degli spumanti qualche diritto di parola ce l'ha, è il territorio

al limite settentrionale della coltura della vite, una zona estrema, irripetibile.

Per meglio definire il significato del termine terroir è necessaria una breve digressione.

Il contemporaneo mondo vinicolo è diviso da due filosofie assolutamente contrastanti, c'è una filosofia

europea, se vogliamo tradizionale, che crede ed esalta l'influenza del terroir , cioè l'insieme composto dalsuolo, sotto-suolo e microclima; ce n'è un'altra che trova i propri adepti nel mondo vinicolo emergente, cioè

Stati Uniti, Australia, Sud Africa, Cile che punta soprattutto sul vitigno.

Gli europei quindi distinguono i vini prevalentemente per la loro zona d'origine, gli americani invece per il tipo

d'uva utilizzata.

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Questo naturalmente non significa che la tradizionale cultura europea non tenga in considerazione i vitigni da

utilizzare, ma li esalta collocandoli nei terroir  più adatti, poiché non è vero che ogni terreno sia in grado di

esprimersi al meglio con ogni vitigno, anzi ogni zona veramente importante ha selezionato nel tempo i vitigni

che in essa danno risultati di miglior qualità.

Questo vale anche per gli spumanti, e il fatto che spesso non si conoscano i vitigni che compongono un vino

spumante non deve trarre in inganno. Molte sono le cuvée ma ogni zona ha i vitigni del suo privilegio e sempre

li ha codificati in disciplinari rigorosi.

Torniamo al terroir . Come avete capito, è un termine che comprende ogni aspetto del territorio, la

composizione chimica del terreno, la sua origine, la sua capacità drenante, la sua pendenza, l'esposizione

della vigna, la sua altitudine, gli sbalzi di temperatura tra notte e giorno, tra inverno ed estate, l'umidità media,la presenza o meno dei venti, perfino le coltivazioni e la vegetazione del circondario influiscono sulla crescita e

sulla maturazione dell'uva.

Tutto ciò è molto più importante del vitigno, anche se il vitigno differenzia in

modo evidente e più facilmente comprensibile un vino da un altro. Tutti

sappiamo distinguere con facilità un'auto rossa da un'auto nera, e molto

probabilmente preferiamo uno dei due colori e non compreremmo mai

un'auto dell'altro colore, ma nessuno di noi confonderebbe il concetto di

qualità con il colore d'un'auto. Se diciamo Ferrari o Fiat invece, sappiamo

di dire due cose in cui la qualità ha il suo peso, non me ne voglia la Fiat!,

anche se qualcuno potrebbe non essere in grado di riconoscere una dall'altra. La riconoscibilità quindi non

determina necessariamente le caratteristiche che influiscono sulla qualità del vino.

Di seguito presentiamo le zone più vocate, cominciando da quelle che hanno una denominazione di origine

esclusiva, una denominazione cioè sotto la quale si possono commercializzare solo vini spumanti con

caratteristiche ben definite dai disciplinari. Esse sono:

Alta Langa

Asti

Franciacorta

Trento

Poi presentiamo le principali zone a maggior vocazione spumantistica cioè quelle zone in cui si producono con

quella denominazione d'origine prevalentemente, o tradizionalmente, ma non esclusivamente, spumanti, basti

pensare a:

Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene

Oltrepò Pavese.

Con la nuova normativa l'Oltrepò Pavese DOCG potrebbe essere messo nel primo gruppo poiché denota

solo un vino spumante metodo classico a differenza della denominazione Oltrepò Pavese DOC che denota gli

spumanti realizzati con il metodo Charmat oltre ad altri vini fermi. Noi abbiamo comunque inserito l'Oltrepò nel

secondo gruppo anche perché i vini DOCG iniziano con la vendemmia 2007 e non sono quindi ancora in

commercio.

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Infine, con una breve panoramica sull'intera Italia, regione per regione, indichiamo varie zone: quelle con una

lunga tradizione ma limitate come aree, quelle emergenti, che non hanno una grande tradizione spumantistica,

ma che hanno prodotto, soprattutto negli ultimi anni, degli spumanti di grande interesse.

Se uno spumante infine viene prodotto in una zona che non ha né tradizione né significativa quantità non viene

descritto in questa introduzione per il semplice fatto che non c'è nulla da dire; naturalmente quello spumante

può essere di qualità eccelsa, troverà quindi spazio, e magari un voto altissimo, nella parte dedicata alladescrizione dei vini e delle relative degustazioni.

Alta Langa

La Denominazione di Origine Controllata è stata approvata nel 2002, ma la storia dello spumante piemontese

metodo classico è invece ultracentenaria. Basti pensare alle grandi case vinicole e spumantiere che hanno

esportato nel mondo Vermouth, Moscato e spumanti. Possiamo affermare che sono state queste Case, si

pensi a Martini, a Cinzano, a Gancia, ad aver posto le basi di quello che sarebbe diventato il made in Italy,

grazie ovviamente ai prodotti, ma anche all'immagine che hanno saputo creare; la cartellonistica pubblicitaria

di questo periodo in stile Liberty e Novecento con nomi di pittori quali Dudovich, Depero, Codognato, è stato

un veicolo essenziale per le sorti del mercato vinicolo italiano nel mondo.

Era quindi necessario dare un'ufficialità territoriale e un'identità di prodotto a questo universo eterogeneo.

La DOC Alta Langa è frutto di una ricerca ultradecennale per definire il territorio con l'obbiettivo dichiarato di

identificare uno spumante metodo classico totalmente piemontese e produrlo. Finalmente si è scelto di

privilegiare il territorio di origine come mezzo di definizione e determinazione dell'identità che altrimenti si

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sarebbe persa; non si tratta soltanto di una esigenza storica, ma anche e forse soprattutto di un'esigenza

commerciale. La zona d'origine è sempre un valore aggiunto di notevole importanza, tanto più se si tratta di

una zona quale le Langhe, ricca di tradizioni vinicole centenarie e di tradizioni fortemente identitarie, si pensi

soltanto al tartufo bianco di Alba. L'iniziativa è partita da un consorzio allora denominato Tradizione Spumante

che ha visto insieme sette aziende del gruppo Case Storiche Piemontesi, ma ha avuto la partecipazione attiva

di tutti i vignaioli i cui vigneti sono entrati in sperimentazione. Alta collina e un disciplinare che prevede l'utilizzo

di pinot nero e chardonnay per almeno il 90%, con una resa di 110 q per ettaro, sono state la scelta finale.

L'elaborazione non deve essere inferiore ai 30 mesi. L'Alta Langa può essere prodotto in versione rosso,

bianco o rosé.

Lo si può produrre nelle particelle fondiarie di collina e di spiccata vocazione viticola situate nelle province di

Cuneo, Asti ed Alessandria, alla destra del Tanaro nei territori dei 142 comuni esplicitamente citati nella

legge.

Asti

Quell'insieme di colline che si collocano sulla destra del Tanaro, e che si confondono tra Langhe e Alto

Monferrato hanno una composizione geologica molto simile; terreni di formazione terziaria, con rocce

sedimentarie molto friabili, caratterizzate da frequenti movimenti franosi soprattutto in autunno quando la

pioggia è piuttosto abbondante. Eppure alla vista appaiono diverse, più morbide le colline monferrine, più

aspre quelle langarole, più scoscese, con calanchi a strapiombo.

Questa è la terra del moscato. Un unico vitigno ma sfumature di gusto molto diverse: levigne risentono dei microclimi che variano da un comune ad un altro, ed ogni territorio

propone nuances  che i palati più raffinati colgono immediatamente. Ci sono vigneti

appena sopra i 100 metri sul livello del mare in provincia di Alessandria, nei pressi di

Strevi, e altre oltre i 600 metri in provincia di Cuneo.

Come per ogni uva conta molto l'esposizione, non solo perché un vigneto esposto a

sud raccoglie ed accumula una quantità di energia notevole che gli permette di

superare l'inverno che da queste parti è particolarmente rigido, ma anche perché, dove

le colline sono più alte, è notevole la differenza della composizione dei terreni tra nord

e sud, più calcarei i sorì , sono così chiamate le vigne assolate sulla parta alta del

colle, più argillosi i versanti settentrionali e le parti basse delle colline. L'uva moscato è

solare e non può essere piantata dovunque. I fondovalle non le si addicono e nemmenoi versanti più ombrosi.

L'uva matura precocemente, in Piemonte infatti è il moscato che apre la stagione della vendemmia.

Ovviamente la data della vendemmia dipende dalla stagione, ma anche dalla zona e soprattutto dalla sua

altitudine ed esposizione.

Geograficamente si può affermare, con buona approssimazione, che la vendemmia comincia nelle zone

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alessandrine, Cassine, Strevi, poi arriva a Nizza Monferrato, a Costigliole, Castagnole Lanze, Neive, e si ha

una vendemmia più tardiva verso il cuneese e le colline più alte a Castiglion Tinella, Mango e Loazzolo.

L'uva una volta pressata, parzialmente pigiata o intera, produce al massimo 75 litri di mosto ogni 100 chili;

tale mosto è refrigerato a basse temperature allo scopo di evitare l'avvio di fermentazioni indesiderate;

vengono quindi eliminate le particelle solide in sospensione con coadiuvanti di chiarifica, oppure centrifugato,

filtrato e mantenuto in celle frigorifere.

Per quanto riguarda la presa di spuma, tranne qualche rara eccezione, si preferisce il metodo Charmat in

generale più adatto alle uve aromatiche. Va però detto che la fermentazione in autoclave non parte

immediatamente in sistema chiuso.

Si attende che il mosto abbia raggiunto circa i 5° di alcool per chiudere le valvole di scarico e trattenere il gas

che si forma per la fermentazione, che altro non è se non anidride carbonica. Si fa questo perché ci sia una

pressione di almeno 6 bar nel momento in cui il liquido raggiunge i 7° di alcool previsti dal disciplinare. Una

pressione di 6 bar risulta sufficiente per mantenere in bottiglia almeno i 3 bar previsti dalla legge.

Alcuni produttori, in minima parte a dire il vero, producono una versione di Asti a metodo classico, anche

perché originariamente, quando Carlo Gancia "inventò" questo vino, nell'Ottocento, tornato da un viaggio

rivelatore in Champagne, utilizzò tale metodo che però cadde in disuso per motivi economici e per enormi

difficoltà tecniche di realizzazione del prodotto. Non è una regola fissa e assoluta, ma i vitigni aromatici

preferiscono il metodo Charmat che permette una migliore conservazione dei profumi. Vino da dessert per

eccellenza l'Asti è un prodotto riconosciuto in ogni parte del mondo.

Un appunto per non creare confusione: l'Asti, rigorosamente DOCG, non va confuso con il Moscato d'Asti,

anch'esso DOCG. Si tratta di due ottimi vini ma solo il primo è uno spumante.

Oltre che dal nome si possono distinguere perché l'Asti ha il tappo a fungo, come tutti gli spumanti, il Moscato

d'Asti invece il tappo raso come i vini fermi.

Franciacorta

I vigneti della Franciacorta stanno tra l'Oglio e il Mella ad ovest di Brescia. A nord la zona è delimitata dal

lago d'Iseo e dalle ultime propaggini delle Alpi Retiche, a ovest dalla sponda sinistra dell'Oglio, a est dal

Mella e dalle colline moreniche, infine, a sud dalla fascia pianeggiante subcollinare alluvionale della pianura

padana.

Benché la Franciacorta abbia una tradizione vinicola antichissima, infatti già ne parlano Plinio e il Columella, e

Gerolamo Conforti che nel 1570 nel suo Libellus de vino mordaci  colloca un vino mordacissimo, cioèspumeggiante proprio in Franciacorta, la sua storia vinicola contemporanea è molto recente. Sostanzialmente

sono gli ultimi trent'anni che hanno trasformato il vigneto Franciacorta in quel gioiello che oggi è.

Ne sono testimonianza i vari tipi di impianti. Ancor oggi si possono trovare dei residui impianti a pergola degli

anni 60, pochi e in via di estinzione. Gli anni 70 invece sono stati caratterizzati dalla spalliera alta ed esistono

ancora parecchi vigneti con queste caratteristiche; ma il vero Rinascimento ci fu negli anni 90 quando si

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utilizzò la spalliera bassa, il Guyot, il cordone speronato, e si cominciò a rendere più fitti gli impianti con circa

5000 ceppi per ettaro. Qualche azienda aveva già fatto da apripista, ma è nell'ultimo decennio del secolo

scorso che questa diventa la linea dominante della Franciacorta: viti con scarso sviluppo vegetativo e

produzione per ceppo estremamente ridotta, vicina a 1 Kg.

Veniamo ai vitigni. Il Franciacorta è prodotto con uve chardonnay, pinot nero e pinot bianco maturati per

almeno 25 mesi dalla vendemmia di cui almeno 18 mesi in bottiglia a contatto dei lieviti.

Per quanto riguarda le tipologie il disciplinare ammette: il pas dosé, l'extra brut, il brut, l'extra dry, il sec, il

demisec. Dunque tutte le tipologie, tranne la versione dolce.

Inoltre dal ' 95 il Consorzio ha registrato la tipologia satèn, disponibile per tutti i consorziati pur che si

attengano al disciplinare che prevede tra l'altro l'utilizzo di sole uve bianche, chardonnay e pinot bianco, e una

pressione non superiore ai 4,5 bar in modo da rendere il vino più morbido.

Esiste anche un rosé che deve contenere almeno il 15% di pinot nero e prevede la vinificazione separata

delle uve bianche e delle uve rosse.

Il termine Franciacorta, non ci stanchiamo mai di

ripeterlo, fa coincidere il territorio con il vino, con

un unico tipo di vino, e questo è l'unico modo per

tutelarlo davvero. Il fatto che il termine

Franciacorta definisca un vino soltanto ha

permesso, dopo una lunga battaglia politico-

legale, di togliere la definizione "spumante"

dall'etichetta. Il Franciacorta, che è DOCG, è il

Franciacorta, cioè un vino spumante ottenuto con

le uve determinate dal disciplinare ed elaborato

con il metodo classico della fermentazione in

botti-lia. Gli altri vini del territorio, quelli fermi,

hanno un'altra denominazione, Terre di

Franciacorta, e sarebbe auspicabile che questo

nome piano piano sparisse per non generare

confusione, magari sostituito dal già parzialmente

utilizzato "Curtefranca".

Quante volte capita che al ristorante si chiede un

Franciacorta e ci si sente rispondere "Bianco,

rosso o spumante?". E in effetti, un tempo, prima della creazione della DOCG, la parola Franciacorta

racchiudeva tutte queste tipologie. Lo Champagne nell'immaginario di tutti è uno spumante e nessuno si

sogna di chiedere "Lo vuole fermo o rosso, o frizzante"? La storia sedimenta il valore e lo restituisce nel

tempo.

Trento

Le colline che affiancano l'Adige tra Rovereto e Trento, appaiono al

viaggiatore che le attraversa una ininterrotta catena di vigne ordinate

e tenute perfettamente; allevata tradizionalmente a pergola la vigna

sale fino al sommo del colle, fino a settecento metri ed oltre escende, nei luoghi meglio esposti, fino quasi a valle. In questa zona lo

chardonnay soprattutto, ma anche il pinot nero, sono destinati a

diventare spumante Trento, denominazione di origine controllata

ottenuta nel 1993, la prima esclusiva per un vino spumante.

La tradizione spumantistica trentina ha origine all'inizio del Novecento

quando la zona era ancora una provincia dell'impero austroungarico e

un nobile del luogo, Giulio Ferrari, che aveva studiato agraria alla

scuola di San Michele all'Adige prima e poi a Montpellier, anche lui

come tanti affascinato da un viaggio in Champagne, notando che i

terreni calcarei della sua zona non differivano molto da quelli della

Champagne, e che anche le forme delle colline avevano simili decliviin cui le acque potevano percolare con grande facilità, decise di

credere nella potenzialità spumantistica della zona e, nel 1902,

cominciò la produzione con barbatelle di chardonnay importate dalla

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Francia, che risultavano assolutamente sconosciute in Trentino.

Oggi tale vocazione spumantistica di ogni singolo vigneto deve essere

certificata da disciplinare; si prevede infatti che la Provincia Autonoma

di Trento, attraverso il Servizio di Vigilanza Promozione, accerti

l'idoneità delle condizioni naturali, verifichi anche gli impianti dal punto di vista tecnico e colturale e perfino di

rispondenza alla tradizione, pena la non iscrizione del vigneto all'albo di quelli autorizzati alla produzione del

Trento.

Lo spumante Trento può essere prodotto in versione bianco o rosato, ha una produzione massima di 150

quintali per ettaro e deve essere prodotto esclusivamente col metodo classico con una permanenza sui lieviti,

in bottiglia, per almeno 15 mesi.

Oltrepò Pavese

L'anno scorso, nel presentare questa zona, abbiamo lamentato il fatto che una sola DOC tutelasse una

ventina di vini diversi, tra cui gli spumanti. Oggi siamo soddisfatti nell'informare il lettore-consumatore che le

cose sono sostanzialmente cambiate: è stata approvata la DOCG per quanto riguarda gli spumanti elaborati

con il metodo classico ed è prevista anche la dicitura Oltrepò Pavese DOCG Pinot Nero per quei vini

realizzati con la presenza di almeno l' 85% di questo vitigno; percentuale che scende al 70% nel caso della

denominazione Oltrepò Pavese DOCG senza indicazione di vitigno; il resto, in entrambi i casi, deve essere

chardonnay o pinot bianco o pinot grigio. Il nuovo disciplinare prevede sia la vinificazione in bianco sia il rosé e

permette inoltre le varie tipologie di gusto dalle più secche fino al demisec, con la sola esclusione dellatipologia dolce.

Se ne deduce che esisteranno ancora degli

spumanti metodo Charmat, ma si

differenzieranno perché potranno fregiarsi

soltanto della DOC. Interessante notare il

fatto che il disciplinare non prevede un blanc

de blanc, cioè un vino realizzato soltanto

con uve bianche, a conferma del fatto che il

pinot nero è la vera bandiera di questo

territorio.

Dobbiamo considerare che questo territorioper la sua vastità, oltre 16000 ettari vitati,

ha zone fortemente differenziate,

pianeggianti vicino al Po e collinari man

mano che ci si allontana dal grande fiume e

si prosegue verso sud lungo le valli allineate

perpendicolarmente al Po. Qui si produce

oltre il 70% del vino lombardo e quasi il 6%

di quello nazionale. Le zone sono molto

diverse tra loro, sia per clima che per

composizione del terreno, ed anche

differenti come tradizioni agricole. Questasorta di cuneo lombardo che si infila tra

Piemonte ed Emilia risente ovviamente delle

culture e delle colture delle due regioni

confinanti.

I colli mediamente non superano i 400 metri

d'altitudine e presentano un clima asciutto d'inverno e abbastanza ventilato in estate, con elevate escursioni

termiche dovute alle correnti ascensionali delle zone montane che favoriscono la qualità delle uve.

Le zone morfologiche che caratterizzano l'Oltrepò sono sostanzialmente due: i terreni della zona collinare

bassa, costituiti da rocce sedimentarie marine, con una rilevante componente argillosa, e quelle più alte di

origine gessosa, entrambe, seppur con caratteristiche diverse atte alla produzione di vini.

Vasta è la gamma dei vini prodotti in Oltrepò e grande la produzione tanto da farne la terza denominazioned'origine, per quantità, in Italia, così come forte è la tradizione spumantistica (il primo spumante di cui si abbia

documentazione risale al 1872), e il pinot nero di questa zona viene utilizzato non solo dai produttori pavesi,

ma anche da quelli piemontesi e lombardi che qui si approvvigionano. Gli spumanti più interessanti sono

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senz'altro quelli prodotti con il metodo classico oggi, come abbiamo detto tutelati dalla DOCG, ma fino a ieri

definiti anche dall'Associazione Produttori di Classese che con questo termine fonde le parole Classico e

Pavese, ha voluto dare un'identità anche mercantile a questo vino; ma la complessità e sontuosità del metodo

classico non deve far considerare serie B i vini realizzati in zona con il metodo Charmat, ovviamente più

semplici e meno ricchi, ma indubbiamente anche più freschi e beverini e adatti a tante occasioni quotidiane.

Valdobbiadene e Conegliano

Le vigne di prosecco, da queste parti sembra entrino nelle case, ci sono filari dappertutto lungo la strada che

congiunge Conegliano a Valdobbiadene. Siamo a nord di Treviso in quella Marca gioiosa et amorosa che èdiventata il simbolo della gioia di vivere, e lo spumante di questa zona sembra esserne lo strumento più

adatto, così come il panorama che sullo sfondo delle Dolomiti presenta, lungo la Strada del Prosecco,

versanti scoscesi e ripidi alternati a dolci declivi, il tutto totalmente ricoperto a vigna.

Il prosecco è di casa qui da più di due secoli, ed è stato studiato a lungo da quando nell' 800 vennero fondate

la Scuola di Viticoltura ed Enologia e la Stazione Sperimentale per la Viticoltura a Conegliano; ma si sa

ancora molto poco sulla sua origine, a meno che non si voglia dar credito a chi afferma che il prosecco non

sia altro che il pucino tanto amato dall'imperatrice Livia Augusta. Resta il fatto che in questa zona ha saputo

dare i suoi frutti migliori, tanto da identificare Valdobbiadene e Conegliano con Prosecco.

Questo non è un bene perché il mercato è pieno di vini Prosecco che provengono da altri luoghi e non si

possono fregiare della DOC Valdobbiadene, generando come sempre confusione.

I nostri lettori ci auguriamo sappiano ormai che la prima cosa da guardare quando si acquista un vino è la

DOC e la zona di provenienza, quindi attenzione.

La DOC Prosecco di Valdobbiadene e Conegliano non coincide però esclusivamente con la versione

spumante, il relativo disciplinare contempla infatti anche le tipologie frizzante e tranquillo.

Per quanto riguarda la vinificazione, in questa sede ci interessa naturalmente solo la versione spumante, dopo

una vendemmia a mano e una pressatura leggera tale da non superare i 70 litri di mosto per 100 chili d'uva,

si lascia decantare il vino per una decina d'ore al termine delle quali lo si separa dalla parte solida, quindi si

inizia a vinificarlo provocando la fermentazione con lieviti selezionati e lasciando che la fermentazionealcoolica si protragga per circa venti giorni. Inizia a questo punto, quando il vino si è illimpidito, la presa di

spuma.

Piccola parentesi: la tradizione vorrebbe, e credo che la qualità ne avrebbe un notevole

incremento, che si spumantizzasse direttamente il mosto; purtroppo fattori economici e

difficoltà tecniche sconsigliano questa pratica, ma qualche produttore la sta riprendendo

con eccellenti risultati.

Vengono quindi create le cuvées e lavorate con il metodo Charmat lungo per i

Valdobbiadene-Conegliano più ambiziosi. Lo spumante viene prodotto sia in versione brut,

che in genere però si mantiene su toni sempre piuttosto morbidi, con un tenore zuccherino

quasi mai inferiore ai 10 g/l, tranne qualche rara eccezione, sia extra dry (quella della

tradizione), sia dry, quest'ultima la tipica tipologia del Prosecco di ValdobbiadeneSuperiore di Cartizze, vino caratterizzato da grande equilibrio, eleganza e morbidezza,

prodotto con uve provenienti da un'enclave ristretta il cui terreno roccioso, collinare assai scosceso e difficile

garantisce una qualità estrema.

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Il resto d'Italia

Sarebbe assurdo dedicare un paragrafo intero ad ogni zona che produce spumante, alcune perché sono zone

di dimensioni minime pur avendo una tradizione spumantistica radicata nel tempo, altre perché producono

magari buoni o ottimi spumanti ma senza alcuna tradizione.

Scopo di questo volume è quello di dare informazioni e consigli pratici per cui credo sia più utile informare il

lettore sulle zone anche minori ove una tradizione spumantistica esiste o sta nascendo con buoni prodotti.

Cominciamo dalla Valle d'Aosta ove non esiste una vera e propria cultura storica dello spumante, ma ha

avuto un certo successo negli ultimi anni la versione spumantizzata del Blanc de Morgex et de La Salleottenuta con il vitigno prié blanc.

In Piemonte, oltre all'Alta Langa e all'Asti, ci sono prodotti ottimi e zone particolarmente votate alla

spumantizzazione. Basti pensare al Gavi vinificato con uve cortese che dona caratteristiche inconfondibili.

A questo punto è necessario aprire una parentesi.

Quando si parla di spumanti ottenuti con la rifermentazione in bottiglia, cioè i metodo classico, si pensa

immediatamente ad uno spumante di gusto internazionale, ottenuto utilizzando pinot nero e chardonnay e

magari pinot bianco. Insomma si pensa ad uno Champagne di casa nostra. Proprio questa mentalità

provinciale ha danneggiato l'immagine dei nostri spumanti considerati per molto tempo delle imitazioni dei più

illustri francesi. Oggi la mentalità è cambiata, anche se non del tutto e, mentre si codifica il concetto di

spumante di gusto internazionale, nasce, con orgoglio del tutto italico, un movimento d'opinione che difende il

binomio vitigno autoctono-territorio per la realizzazione di spumanti metodo classico. Un gruppo di aziende dizone dalla tradizione spumantistica più o meno consolidata, e che vogliono esaltare la presenza di vitigni per

altri irripetibili si sono riunite in una associazione chiamata ANIMA: Associazione Nazionale Italiana Metodo

Classico Autoctono; e l'acrostico dà un senso al progetto!

Per fare un esempio, Gavi e l'uva cortese sono

un binomio inscindibile, in nessun altro luogo

nel mondo quell'uva, per altro molto diffusa, si

esprime con le caratteristiche che presenta a

Gavi.

Ma tali binomi perfetti ci sono in molte zone

d'Italia, basti pensare all'erbaluce e Caluso,

all'Arneis e il Roero, e, fuori Piemonte, aldurello e i Monti Lessini, al verdicchio e la zona

dei Castelli di Jesi, all'asprinio ad Aversa, al

bombino nel foggiano, al nerello mascalese

sulle pendici dell'Etna, al trebbiano di Lugana a

sud del lago di Garda, e altri ancora: testimoni

tutti della possibilità di spumantizzare ad alto

livello con un'altra identità rispetto a quella del

resto del mondo, con coraggio e con quell'anima, la sigla ne è l'esplicito augurio, che il vino non può non

avere.

Ma chiudiamo la parentesi "animistica" e continuiamo con le microzone come Castelnuovo Don Bosco la cui

Malvasia è un piccolo gioiello, o pensiamo alla Freisa di Chieri e d'Asti, alla Malvasia di Casorzo, o alBrachetto d'Acqui, o al Roero Arneis Spumante non molto diffuso come invece lo sono abbastanza

nell'alessandrino lo spumante dei Colli Tortonesi ed anche il Cortese dell'Alto Monferrato. Inoltre è possibile

realizzare uno spumante in seno alla DOC Piemonte.

In Lombardia oltre all'Oltrepò e al Franciacorta si producono ottimi spumanti nella zona del Garda e del

Lugana.

In Trentino non c'è solo il Trento, vi è anche l'Alto Adige che non ha una sua DOC specifica ma accetta la

denominazione spumante Alto Adige solo se prodotto con il metodo classico secondo un preciso disciplinare;

la zona Terlano, quella lungo il corso dell'Adige in provincia di Bolzano, permette la spumantizzazione

utilizzando quasi tutti i vitigni a bacca bianca accettati dalla DOC.

In Veneto la fa da padrone Valdobbiadene e Conegliano, ma anche

Montello e i Colli Asolani sono zone ad alta vocazione spumantistica enon dobbiamo nemmeno dimenticare la famiglia dei Recioto, quello di

Soave, quello di Valpolicella e quello, ancor più raro, di Gambellara,

spumanti da dessert conosciuti in tutto il mondo. Inoltre i vari

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disciplinari permettono la produzione di spumante anche con la DOC

Arcole, Bagnoli, Bardolino, Colli Berici, Colli Euganei, Lison

Pramaggiore, Riviera del Brenta, Vicenza a dimostrazione del fatto che

in Italia si fatica ancora ad operare delle scelte precise finendo così col non riuscire a difendere l'identità di un

territorio.

Il Friuli non ha ancora un'identità spumantistica, molti produttori si sono cimentati con l'uvaggio più classico di

pinot, sia nero che bianco, e chardonnay, altri stanno lanciando sul mercato spumanti di grande qualità

realizzati da vini base di vitigni autoctoni ed esclusivi, come per esempio la ribolla gialla, ma si tratta di

prodotti isolati che nemmeno il marchio Talento Friuli Venezia Giulia riesce a fornire di identità, nonostante un

disciplinare con una normativa molto restrittiva. Naturalmente anche se carenti sul piano identitario gli

spumanti del Friuli sono il frutto che nasce da una terra enoicamente eccelsa e da viticoltori capaci, vini quindi

degni di estrema attenzione. La legge permette comunque di produrre spumanti nelle zone di Aquileia, Isonzo,

Latisana.

Man mano che si scende lungo la penisola italiana scema l'interesse per la produzione dello spumante. Del

tutto sporadici i casi in Liguria, e altrettanto in Emilia Romagna, dove il Lambrusco è quasi sempre un vino

frizzante, di rado spumante; fanno eccezione alcune Case storiche ed alcune aree particolari come piccole

zone dei Colli Piacentini e degli Albana di Romagna.

Le Marche invece hanno un piccolo gioiello nella Vernaccia di Serrapetrona. Questo vino è l'unico spumante

rosso dolce a DOCG. Producibile nelle versioni secco e dolce, lo si ottiene partendo dalla vinificazione di uve

vernaccia nera.

Forse la maggior peculiarità di questo originale prodotto sta nel processo di vinificazione. Infatti il disciplinare

di produzione prevede che almeno il 40% del vino base atto a essere spumantizzato derivi dalla

fermentazione del mosto di uve passe. In questo modo si avrà una prima base, derivante da uve

normalmente vendemmiate, a ottobre; a fine dicembre si raccoglieranno le uve appassite in pianta (la

vernaccia si presta a essere vendemmiata così tardivamente), mosto e vinacce verranno aggiunte al vino già

ottenuto e ripartirà una lenta fermentazione. Dopo un paio di mesi, verso marzo, terminerà anche la seconda

fermentazione. A questo punto, dopo la malolattica e il necessario illimpidimento, si passerà alla

spumantizzazione col metodo Charmat: due mesi di rifermentazione e altrettanti di affinamento in autoclave; e

il gioco, si fa per dire, è fatto; non resterà che la delicata fase di imbottigliamento e, dopo almeno sei mesi di

maturazione in vetro, il vino è pronto per la commercializzazione.

Sempre nelle Marche una discreta quantità di spumante di interessante qualità viene prodotta nella zona del

Verdicchio, un tempo area spumantistica decisamente più alla ribalta di oggi, sia intorno a Jesi, sulle colline

più alte e lontane dal mare, nel comprensorio di Cupramontana, che a Matelica.

Toscana e Umbria, patria di vini grandissimi, non producono quasi spumanti, anche se alcuni produttori, a

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macchia di leopardo, si sono cimentati sia con vini classici, sia con vini provenienti da vitigni autoctoni. La

disaffezione dei toscani allo spumante è documentabile dal fatto che le DOC lo prevedono soltanto per il

Bianco di Pitigliano, per l'Elba e per il Val di Chiana. Pressoché insignificante la produzione laziale, tranne

qualche sparuta, anche interessante produzione; così come è di scarso interesse quella abruzzese, ove è

prevista soltanto nella DOC Controguerra; mentre nel Molise è difficilissimo trovare un degno prodotto.

La Campania ha una antica tradizione con l'Asprinio di

Aversa spumante, ma si tratta ovviamente di prodotti di

nicchia che interessano come curiosità e per la forte

identità che questi vini storici sanno presentare. Stesso

discorso per il Greco di Tufo spumante. Qualcuno poi

spumantizza anche partendo dall'uva fiano.

La Puglia con la sua enorme produzione di uva si è

ritagliata, soprattutto negli ultimi anni, una discreta

produzione spumantistica. Da segnalare alcune

interessanti produzioni, nella zona di San Severo, a base

di bombino bianco, ma anche di montepulciano e pinot

nero. Pressoché nulla la produzione in Basilicata e in

Calabria, quest'ultima unica regione d'Italia in cui nessuna

DOC ne prevede la realizzazione.

La Sicilia è una realtà vinicola da alcuni anni in fermento,

anche se ultimamente ha fatto registrare qualche battuta

d'arresto, e periodicamente arrivano sul mercato prodotti

nuovi di qualità via via crescente; anche gli spumanti

hanno cominciato a fare la loro comparsa: da registrare

al proposito, alcuni interessanti prodotti etnei a base

soprattutto di nerello mascalese, e produzioni più

classiche nell'ambito della DOC Contea di Sclafani.

Da ultima la Sardegna, più tradizionalista, per cui la spumantizzazione è vista come una rottura con la

tradizione, anche se alcune aziende producono uno spumante per completare la gamma dell'offerta, con

risultati di discreto interesse ottenuti partendo da uve vermentino o moscato.

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