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MODA E FUORIMODA Sistema moda e subculture giovanili

Moda E Fuorimoda Capitolo Ii

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In questo secondo capitolo di MODA-FUORIMODA parlo delle subculture giovanili nella scena statunitense tra gli anni 50 e60

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MODA E FUORIMODA

Sistema moda e subculture giovanili

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La scena statunitense tra gli anni 50 e 60 Nel movimento beat la cultura nera è mitizzata, come testimonia un passo tratto da On the road di Jack Kerouac:

Camminavo nella sera piena di lillà con tutti i muscoli indolenziti in mezzo alle luci della Ventisettesima Strada nella Welton in mezzo al quartiere negro di Denver, desiderando di essere un negro, sentendo che quanto di meglio il mondo dei bianchi ci aveva offerto non conteneva abbastanza estasi per me, e neppure abbastanza vita, gioia, entusiasmo, oscurità, musica, né notte sufficiente.

In ambito musicale, i legami che uniscono le culture giovanili bianche alla classe operaia nera sono stretti, particolarmente per quanto riguarda il jazz. Intorno agli anni '30, molti musicisti bianchi hanno suonato insieme con artisti neri nelle jam session, mentre altri ne hanno ripreso la musica traducendola e trasferendola in un contesto diverso. In tale processo la struttura e il significato del jazz subiscono una modificazione: lo swing bianco, infatti, elimina buona parte della carica di rabbia ed erotismo della linea calda del jazz, dando luogo ad un suono delicatamente raffinato da night club. Questi significati repressi vengono trionfalmente riaffermati nel be-bop.

Il bop nacque col jazz ma un pomeriggio, non so su quale marciapiede, forse nel 1939, 1940, Dizzy Gillespie, o Charley Parker o Thelonius Monk, passando davanti a un negozio di abbigliamento da uomo sulla 42a Strada o nella South Main a Los Angeles, a un tratto sentì dagli altoparlanti un errore incredibile e impossibile nel jazz che poteva aver udito solo nella sua immaginazione, ed ecco un'arte nuova. Il bop...

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A descrivere con queste parole la nascita del bop è Kerouac, nel volume di recente pubblicazione intitolato Scrivere bop. L'amore di Kerouac per questo tipo di musica è tale da fargli identificare le regole della scrittura che lui propone con le modalità di improvvisazione di Charlie Parker al sassofono. Il racconto immaginario della nascita del bop prosegue in questo modo:

Dizzy o Charley o Thelonius stava camminando per la strada udì un rumore, un suono, metà Lester Young, metà grezza-nebbia-piovosa che ha quel brivido di eccitamento da baracca, binario, pezzo di terra vuoto, l'improvvisa enorme testa di Tigre sullo steccato dei bagnati di pioggia di un sabato mattina senza scuola, " Ehi!" e corse via a passo di danza. Al piano, quella notte, Thelonius inserì una nota sorda fuori tono rispetto alle calde note di tutti gli altri(...) La strana nota fa alzare il sopracciglio al trombettista della band. Per la prima volta, quel giorno, Dizzy è sorpreso. Porta la tromba alle labbra e suona un'umida evanescenza.(...) ride Charlie Parker piegando a battersi la caviglia. Si porta il contralto alla bocca e - con la linea del jazz - dice << Non ve lo avevo detto?>>. Parlando eloquente come i grandi poeti di una lingua straniera che cantano con la lira in paesi stranieri, per mare, e nessuno li capisce perchè quella lingua non è ancora nota a terra - il bop è la lingua dell'inevitabile Africa D'America, going suona come gong, Africa è la vibrazione dei fiati e il piede che batte obliquo il ritmo - l'improvviso stridio disinibito che urla finché la tromba di Dizzy Gillespie lo soffoca - fai tutto quello che vuoi - deviando la melodia verso un altro bridge improvvisato con un lacerante protendersi di artigli, perchè essere furbi e falsi?

Da una serie di jam-session improvvisate al Minton's nasce, così, intorno agli anni'40, il New York sound. Charlie

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Parker, Dizzy Gillespie e Thelonius Monk, come raccontava la cronaca immaginaria della nascita del bop di Kerouac, erano i protagonisti di questo tipo di suono che diventò la base di una emergente cultura sotterranea. Verso la metà degli anni '50, un pubblico bianco, nuovo e più giovane, cominciò ad avvicinarsi al New York sound, nonostante fosse difficile da ascoltare e ancora più da imitare. Così, i beat e gli hipster cominciarono ad improvvisare un proprio stile esclusivo su una forma di jazz meno compromessa: un jazz di "pura astrazione" che metteva in corto circuito la banalità". Hebdige così descrive le reazioni all'emergere delle sottoculture hipster e beat:

Questa convergenza senza precedenti di nero e di bianco, proclamata con tanta aggressività e con tanta spudoratezza provocò un'inevitabile controversia che si incentrava sui temi della razza, del sesso, della rivolta, ecc., e che si sviluppò rapidamente in panico morale. Tutti i sintomi classici dell'isteria

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più comunemente associata all'emergere alcuni anni dopo del rock'n roll erano presenti nella reazione con cui l'America conservatrice, che si sentì oltraggiata, salutò i beat e gli hipster, e allo stesso tempo si andò sviluppando da parte di osservatori "liberal" interessati al fenomeno tutta una mitologia del negro e della sua cultura. A questo punto il negro andò libero, indenne dalle desolanti convenzioni che tiranneggiavano membri più fortunati della società (cioè gli scrittori) e, sebbene intrappolato in un ambiente crudele di strade e basamenti squallidi, per una curiosa inversione anche lui ne uscì alla fine vincitore (...) Il negro nebulosamente osservato attraverso la prosa di Norman Mailer oppure attraverso gli esangui panegirici di Jack Kerouac (...), poté servire per i giovani bianchi da modello di libertà in schiavitù.

Goldman, autore citato da Hebdige, disegna in modo sintetico il profilo delle sottoculture hipster e beat:

lo hipster era (...) un tipico dandy delle classi inferiori, abbigliato come un magnaccia, che affettava un tono freddo e cerebrale - per distinguersi dai tipi grossolani e impulsivi che lo circondavano nel ghetto - e che aspirava alle cose migliori della vita, come a dell'ottima 'erba', al sound più bello, quello del jazz e quello afro-cubano

laddove...

il beat era in origine uno studente della più schietta classe media, come Kerouac, che si sentiva soffocare dalla città e dalla cultura che aveva ereditato e che voleva sostituire con luoghi lontani ed esotici, dove avrebbe potuto vivere con la 'gente', scrivere, fumare e darsi alla meditazione.

Secondo Hebdige, la sottocultura hipster vive una vicinanza reale, non solo spirituale, con la comunità dei neri:

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hipsters e neri vivono, infatti, a contatto nei ghetti metropolitani. Il beat, invece, vive un rapporto immaginario con il negro-come-nobile-selvaggio.

Così, benché le sottoculture hipster e beat si organizzassero intorno ad un'identità condivisa con i negri (simbolizzata nel jazz), la natura di tale identità, resa palese negli stili adottati dai due gruppi, era qualitativamente diversa. I vestiti da gangster e gli abiti leggeri all'italiana dello hipster incarnavano le aspirazioni tradizionali (...) del magnaccia negro, mentre il beat, deliberatamente vestito di stracci, in jeans e sandali, esprimeva il magico rapporto con una miseria che costituiva nella sua immaginazione un 'essenza divina, uno stato di grazia, un sacro rifugio.

Questa distinzione netta tra la sottocultura hipster e quella beat sembra essere contraddetta dalle parole con le quali Kerouac racconta la nascita del movimento beat.

La Beat Generation è una visione che abbiamo avuto, John Clellon Holmes e io e Allen Ginsberg in un modo ancora più incredibile, alla fine degli anni '40, la visione di una generazione di splendidi hipster illuminati che di colpo si levavano e si mettevano in viaggio attraverso l'America, seri, curiosi, vagabondando e arrivando dappertutto in autostop, cenciosi, beati, belli nella loro nuova bruttezza piena di grazia (...) beati, nel senso di battuti ma pieni di ferme convinzioni - Avevamo anche sentito vecchi Papà Hipster delle strade del 1910 usare la parola in quel modo, con malinconico scherno - Non designò mai i giovani delinquenti, designava gli individui dotati di una spiritualità diversa che non formarono mai una banda ma rimasero come Bartleby solitari a guardare fuori dalla finestra cieca della nostra civiltà - gli eroi sotterranei che avevano finalmente voltato le spalle all'occidentale macchina "della libertà" e si drogavano, ascoltavano il bop, avevano lampi di

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genio, sperimentavano il "turbamento dei sensi", parlavano strano, erano poveri e felici, profetizzavano un nuovo stile per la cultura americana, un nuovo stile (pensavamo) completamente libero da influenze europee (...) una nuova formula magica-

Sempre sulle pagine dello stesso scritto, intitolato Sulla Beat Generation, Kerouac descrive uno scenario dove la cultura beat rappresenta uno sviluppo coerente della sottocultura hipster. A tratti, anzi, i due termini si confondono:

Scrivevamo storie su non so quale strano e beato santo negro hip col pizzetto che attraversava lo Iowa in autostop con la tromba fasciata, portando il misterioso messaggio del soffiare su altre coste, in altre città, come un vero e proprio Gualtiero Senzaavere alla testa di un'invisibile Prima Crociata - Avevamo i nostri eroi mistici e scrivemmo, anzi cantammo romanzi che parlavano di loro, costruimmo lunghi poemi che celebravano i nuovi "angeli" dell'underground americano - In realtà era solo un gruppetto di ragazzi hip veri patiti dello swing...

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Dalle parole di Kerouac emerge una situazione dove la distinzione tra sottocultura beat e hipster risulta essere una forzatura analitica. Anche per quanto riguarda lo stile vestimentario i termini si confondono:

... la gioventù del dopoguerra di Corea emerse cool e beat, ..., e presto fu ovunque, il nuovo look, il look trasandato e "sconvolto", alla fine cominciò ad apparire anche nei film (James Dean) e in televisione, gli arrangiamenti bop che erano un tempo la segreta musica da estasi dei beat contemplativi cominciarono ad apparire in ogni golfo mistico e in ogni spartito per orchestre tradizionali, le visioni bop diventarono patrimonio comune del mondo della cultura di massa ... l'assunzione di droghe divenne ufficiale (tranquillanti e tutto i resto), e anche il modo di vestirsi degli hipster beat venne trasmesso alla nuova gioventù del rock'n'roll tramite Montgomery Clift (giacche di pelle), Marlon Brando (T-shirt), e Elvis Presley (basettoni)...

Kerouac, nell'articolo del 1959 "Beati: le origini della Beat Generation", così racconta la nascita del movimento beat:

Questo articolo riguarderà necessariamente me stesso. Dirò tutto fino in fondo. Quella mia foto pazzesca sulla copertina di Sulla strada è venuta così perché ero appena sceso dalla cima di un'alta montagna dove avevo passato due mesi in completa solitudine e di solito avevo l'abitudine di pettinarmi i capelli perché devi fare l'autostop in autostrada e tutto quanto e di solito vuoi che le ragazze, guardandoti, ti considerino un essere umano e non una bestia ma il mio amico e poeta Gregory Corso si sbottonò la camicia e tirò fuori un crocifisso d'argento appeso a una catena e disse << Mettitelo, portalo fuori dalla camicia e non pettinarti!>>. Così, ho passato un bel pò di giorni a San Francisco andando in giro con lui e gente come lui, alle feste, nelle gallerie, nei ritrovi, alle jam sessions, nei bar, alle letture di

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poesie, nelle chiese, camminavamo per strada parlando di poesia, camminavamo per strada parlando di Dio (e a un certo punto una strana banda di delinquenti si arrabbiò e disse <<Che diritto ha quello di portare quella roba?>> e la mia banda di musicisti e poeti gli disse di calmarsi) e alla fine il terzo giorno, il giornale <<Mademoiselle>> volle farci delle foto, a tutti noi, così posai com'ero, capelli selvaggi, crocifisso e tutto il resto, con Gregory Corso, Allen Ginsberg e Phil Whalen...

La cronaca di Kerouac riguardante la nascita del movimento beat fornisce, allo stesso tempo, la rappresentazione di uno stile di vita e di uno stile vestimentario che lo rappresenta coerentemente. Il crocifisso, così, non è un segno gratuito, ma l'elemento significante che testimonia la ricerca di una nuova spiritualità:

Non mi vergogno di portare il crocifisso di nostro Signore. Perché sono un beat, cioè, credo nella beatitudine e credo che Dio amava il mondo al punto di donargli il suo unico figlio...

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Queste affermazioni possono essere meglio comprese, considerando il significato che Kerouac attribuiva alla parola "beat". Nell'articolo "Agnello, non leone", contenuto nella stessa raccolta Scrivere bop, Kerouac chiarisce che:

Beat non significa stanco, o sconfitto, bensì beato, la parola italiana per beatific : essere in uno stato di beatitudine, come San Francesco, cercare di amare tutto nella vita, cercare di essere sinceri fino in fondo con tutti, praticare la sopportazione, la gentilezza, coltivare la gioia del cuore. Come si può realizzare una cosa del genere nel nostro folle mondo moderno fatto di molteplicità e milioni? Praticando un pò di solitudine, andandosene da soli ogni tanto a far provvista della ricchezza più grande: le vibrazioni della sincerità. Essere seccati non è essere beat. Si può essere chiusi in se stessi ma ciò non significa necessariamente essere scontrosi. Il beat non è una forma di critica stanca e vecchia. E' una forma di affermazione spontanea. Che razza di cultura sarebbe se tutti con faccia rabbuiata dicessero"Questo non mi sembra giusto"?

Dalle parole di Kerouac emerge il profilo di un movimento che cerca una profonda rigenerazione spirituale, sia attingendo dalle fonti più pure della religione cristiana sia cercando di avvicinare le filosofie orientali, in particolare il buddismo. E' una ricerca che propone valori profondamente antagonisti rispetto al materialismo consumista e al "carrierismo" , che possiamo considerare fondanti dell'american way of life. Proprio per questo, la subcultura beat viene presto associata alla devianza:

...e quanto orrore provai nel 1957, e poi nel 1958, quando improvvisamente mi accorsi che tutti, la stampa, la televisione e il circuito dei conferenzieri alla moda usavano la parola "Beat" a significare anche l'esplosione dei giovani delinquenti e gli orrori

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delle folli manganellate di New York e Los Angeles e cominciarono a chiamare quello Beat, beato quattro scemi che marciavano contro i Giants di San Francisco contestando il baseball, come se (adesso) succedesse nel mio nome...Oppure quando un assassinio, un volgare assassinio commesso sulla North Beach, venne etichettato come un omicidio della Beat Generation, e pensare che da piccolo passavo per un eccentrico, nel mio quartiere, perché impedivo ai ragazzi di tirare sassi agli scoiattoli, perché gli impedivo di friggere i serpenti nelle lattine o di gonfiare i rospi con una cannuccia per farli scoppiare.

Sempre nello stesso articolo - "Beati: le origini della Beat Generation"- Kerouac intuisce che un'altra modalità per disinnescare le forze di opposizione (oltre all'etichettamento da parte dei mass media come gruppo di "devianti") è il processo di assorbimento delle controculture all'interno del sistema moda:

Così adesso in televisione danno programmi sui beatniks che cominciano con la satira di ragazze vestite di nero e ragazzi in jeans con coltelli a serramanico e magliette sportive e svastiche tatuate sotto le ascelle, e poi arriveranno ai rispettabili presentatori tutti azzimati in abito Brooks Brothers tagliato a jeans e maglione di lana, in altre parole, è un semplice cambiamento di moda e maniere...Quindi non c'è di che rallegrarsi. I Beat, in realtà, nascono dalla vecchia voglia americana di fare baldoria e cambierà solo qualche vestito e renderà inutili le sedie in soggiorno e presto avremo Segretari di Stato beat e saranno istituiti nuovi orpelli, in realtà nuovi motivi di malizia e nuovi motivi di virtù e nuovi motivi di perdono...

Contro queste forze della reazione Kerouac arriva a scagliare un vero e proprio anatèma:

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E tuttavia, tuttavia, sia maledetto chi crede che Beat Generation significhi crimine, delinquenza, immoralità, amoralità...maledetto chi ne attacca le basi soltanto perché non capisce la storia e i desideri struggenti degli animi umani...maledetto chi non capisce che l'America deve, dovrà cambiare e sta già cambiando, per quanto ne so. Sia maledetto chi crede nella bomba atomica, chi crede nell'odio contro i padri e le madri rinnegando il più importante dei dieci comandamenti, maledetto (tuttavia) chi non crede nell'incredibile dolcezza dell'amore sessuale, e maledetti siano i tipici portatori di morte, maledetto chi crede nelle guerre e nell'orrore e nella violenza e riempie i nostri libri e schermi e soggiorni di quelle schifezze, maledetto chi fa cattivi film sulla Beat Generation dove casalinghe innocenti vengono violentate da beatniks ! Siano maledetti i veri squallidi peccatori che perfino Dio trova occasione di perdonare... maledetto chi sputa sulla Beat Generation, il vento restituirà lo sputo.

Questa strenua difesa della purezza degli ideali del movimento beat mette in chiaro quali siano i valori di riferimento di questa subcultura; rivela, allo stesso tempo, una profonda anima mistica e un mal celato senso d'impotenza. Emerge, infatti, una visione del sociale dove l'opposizione al grande Moloc non riesce a trovare altre vie che l'anatèma. Quando, agli inizi degli anni'60, Allen Ginsberg tenterà la via dell'impegno politico, Kerouac così motivò, in una intervista, la sua presa di distanza dalle posizioni dell'amico:

Ginsberg si è interessato alla politica di Sinistra... e io dico come Joyce, come Joyce ha detto a Ezra Pound negli Anni Venti: <<Non mi seccare con la politica, l'unica cosa che mi interessa è lo stile>>. E poi mi sono stufato della nuova avanguardia e del sensazionalismo a razzo. Sto leggendo Blaise Pascal e prendo appunti sulla religione. Mi piace andare in giro con gente intellettuale, come direste voi, e non a ritrovarmi proseliti della

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mia mente, all'infinito... Il gruppo beat, come voi dite, si è disperso all'inizio degli Anni Sessanta, ciascuno è andato per la sua strada, e questa è la strada mia: vita di casa, come all'inizio, con una puntata ogni tanto ai bar locali.

Negli stessi anni, in una lettera indirizzata a Fernanda Pivano, Kerouac scrive:

Devi sapere che noi che abbiamo incominciato la beat generation qui negli Stati Uniti (io, Holmes, Ginsberg) da allora siamo stati trascinati in attacchi di carattere politico e perciò ce ne restiamo per conto nostro (come all'inizio). Il mondo gira, ma l'arte rimane.

Da queste citazioni emerge il ritratto di un artista ripiegato su se stesso, dedito alla propria opera e, per certi versi, sganciato dal nuovo movimento culturale che si afferma negli anni '60, il movimento hippie. Sarà invece Ginsberg a costituire la figura "ponte" tra le due generazioni. Come racconta la Pivano, fu un suo viaggio in India nei primi anni '60 a segnare la svolta:

Quando arrivò dall'India anche la sua apparenza era un pò cambiata. Negli anni dell'università, quando visse con Jack Kerouac e William Borroughs e poi attraversò l'America con Neal Cassidy e Jack Kerouac, l'anticonformismo del suo aspetto esteriore non andava al di là della Resistenza al Consumo sulla quale si basava appunto la più appariscente forma del dissenso di quegli anni: in un momento in cui pareva che il neo-materialismo dilagante avesse fatto del denaro una religione, dell'igiene un Dio, dell'anonimità aziendale una legge e della tecnocrazia un destino inevitabile, era un gesto profondamente contestatario respingere danaro, igiene, anonimità e tecnocrazia. I blue jeans sbiaditi, i sandali e le scarpe da tennis, le giacche a vento portate estate e inverno crearono in quegli anni della

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ripresa economica del dopoguerra...uno shock che creò una presa di coscienza almeno altrettanto importante di quella creata un decennio dopo dagli abbigliamenti basati sulla creatività e la fantasia cosidetti hippie. In quegli anni Ginsberg aveva i capelli corti e il viso asciutto, il sorriso pronto e un magnetismo che era sempre il protagonista delle descrizioni di biografi e intervistatori...Fu in India che Ginsberg cambiò aspetto, quando visse fra i sapienti e i santoni e si lasciò crescere i capelli fino alle spalle e la barba fin dove voleva arrivare, più che altro per non compiere un atto di violenza tagliandoli contro natura e contro ragione; così girò per l'India, ornato della collana shivaita degli iniziati e così tornò in America nel 1963. Il 10 giugno 1965 mostrò questa sua immagine a un reading di poesia alla Albert Hall di Londra. Erano presenti 7000 persone e ragazze a piedi nudi distribuivano fiori in un'atmosfera greve di incenso e di hashish...Fu questo primo embrione della scena hippie, che esplose a San Francisco nel 1966...

Intorno alla metà degli anni'60, così, Allen Ginsberg, tenne a battesimo il nuovo movimento hippie. Il fatto non è così strano se si pensa che la subcultura beat e quella hippie condividono valori di fondo quali la ricerca di una nuova spiritualità e, in particolare, la filosofia della non-violenza.

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L'epicentro del nuovo movimento culturale fu, comunque, la scuola. La prima rivolta, che prese il nome di Free Speech Movement, si scatenò a Berkeley nel settembre del 1964 quando le autorità amministrative vietarono la raccolta di fondi per una causa politica esterna alla vita dell'università. Nella raccolta di scritti dal titolo L'altra America degli anni '60, tradotta da Fernanda Pivano, si può leggere un resoconto in prima persona di quegli avvenimenti:

Ci siamo messi a sedere intorno a un automezzo della polizia e lo abbiamo tenuto immobilizzato per oltre 32 ore. Finalmente la burocrazia amministrativa ha accettato di negoziare.

Emerge presto, però, che il vero oggetto d'interesse per il Movimento è il rapporto tra studenti e sistema formativo. Poter contare all'interno della struttura scolastica, diventando protagonisti di un processo che riguarda la propria vita, è una esigenza fortemente avvertita. Si afferma, infatti, la percezione che il processo educativo americano sia una crudele cerimonia iniziatica. Nell'articolo di Weinberg "Il Free Speech Movement e i diritti civili", contenuto nella già citata raccolta L'altra America degli anni'60, leggiamo:

...l'istruzione che conduce al conseguimento del diploma di graduation appare un rito per mettere alla prova la capacità di sopportazione del candidato, una serie di prove che, se superate con successo, consentono l'ingresso ai corsi della graduate school; e, a quelli che sono riusciti a passare indenni attraverso le prove dell'intero rito, è concesso il titolo pomposo: il Ph.D. Più uno emerge, migliore è il posto di lavoro che ottiene...Troppo spesso il processo educativo appare come un'eliminatoria, regolata dalle leggi della domanda e dell'offerta. Quanto meglio uno gioca la partita tanto meglio uno è compensato.

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Il sistema educativo americano appare, quindi, come una istituzione che si ispira al modello darwiniano della selezione naturale, finalizzata all'emergere del più forte e ben poco preoccupata della crescita e della formazione culturale degli studenti. Lo scontento manifestato nel settembre 1964 trascende, quindi, l'episodio contingente. I circa quattro mesi di rivolta che seguono, permetteranno di ottenere spazi "liberi" e il diritto di organizzare Teach In su argomenti politici all'interno dell'università. Il primo Teach In fu dedicato al Vietnam. L'impegno americano, infatti, era andato via via aumentando e nel 1965 erano cominciati i primi bombardamenti. Contemporaneamente erano iniziate e si erano estese le manifestazioni di protesta. Le matrici da cui muoveva il rifiuto per la guerra andavano moltiplicandosi: da un lato, c'erano vari comitati, più o meno affiliati ai vari movimenti radicali e antinucleari internazionali, che propugnavano una scelta pacifista e antinucleare per la società occidentale; dall'altro, si faceva strada un modello di pensiero aperto alle culture orientali e precapitalistiche. La scoperta della spiritualità e del misticismo orientale si unì, infatti, alla rilettura in chiave antropologica della mitica comunione con la natura delle popolazioni indiane d'America: l'insieme si formalizzò nella proposta di un "uomo nuovo", impegnato a ritrovare la propria interiorità e pacificamente inserito in un contesto naturale da osservare e rispettare. I maestri del nuovo umanesimo furono i protagonisti della cultura alternativa del decennio precedente: Allen Ginsberg, Gary Snyder, Timothy Leary. La strada da percorrere

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verso l'ideale di "uomo nuovo" viene indicata con estrema chiarezza da Timothy Leary:

Dovete cominciare col cambiare il vostro abito, la vostra casa, i vostri movimenti, il vostro ambiente, in modo tale che rifletta la grandezza e la gloria della vostra visione divina. Dovete avere un aspetto diverso e agire diversamente. Ma questo processo di sintonizzazione dev'essere armonico ed elegante. Per favore nessun gesto distruttivo o ribelle!...Camminate, parlate, mangiate, bevete come se foste un felice Dio della foresta.

La prospettiva terrorizzante da cui si cerca di uscire con questa proposta di vita è quella esemplificata nella figura dell"impiegato di Manhattan", descritta da Leary in questi termini:

...lavora in una camera buia, che puzza di aria inquinata. Si muove in mezzo ad un ammasso di mobili anonimi e fatti in serie per andare in un bagno di celluloide o in una cucina impersonale di plastica. Fa una prima colazione a base di cibo-carburante anonimo, tolto da una scatola o impacchettato. Indossa la divisa anonima del cittadino-robot, biancheria di cotone, scarpe, camicia, cravatta e giacca. Viaggia in gallerie buie di metallo fuligginoso e di cemento grigio verso la scatola di alluminio che è il suo ufficio... Il denaro che guadagna gli serve per il suo cibo di celluloide e per il suo appartamento dall'aria inquinata. Quest'uomo è circondato da un ambiente grigio, inquinato, morto, impersonale, fatto da una catena di montaggio, prodotto in serie e anonimo. Questo è l'ambiente di un robot-meccanico.

Per uscire da questo tunnel esistenziale ci si rivolge alle filosofie orientali e spesso si fa ricorso all'uso di sostanze stupefacenti -funghi sacri, marijuana, LSD-, in grado di

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provocare l'espansione dello spettro percettivo, fare esperienza di nuovi stati di coscienza e liberare grandi energie creative, prive di condizionamenti sociali. Così, anche i canoni estetici e della bellezza corporea subiscono profondi cambiamenti. Nella raccolta già citata L'altra America degli anni'60 troviamo l'articolo "La generazione hippy " di Kupfemberg, estremamente esplicito a questo proposito:

L'hippy decora il proprio corpo come un'opera d'arte. Lo ricopre di collane, lo dipinge, lo addobba con abiti dei colori dell'arcobaleno e nello stile composito formato dalla mescolanza stridente di tutti i tempi e di tutti i paesi; non c'è un modo giusto di vestirsi, non c'è un modo giusto di fare l'amore. Che mille corpi fioriscano.

Un elenco dettagliato del vasto repertorio vestimentario del movimento hippy ce lo fornisce Fernanda Pivano, cronista d'eccezione della nuova cultura americana.Così, descrive la moltitudine degli spettatori presenti ad un concerto di Dylan, al Community Theatre:

Ma per me che venivo da un'Europa sopraffatta da una idea gotica della politica e medioevale del costume, ottocentesca della cultura e vittoriana della moralità, quella serata rappresentò soprattutto l'immersione nel New Look (come già si diceva allora per difendersi dall'etichetta sociologica del New Style of Life), che poche settimane dopo sarebbe stato fregato nello stereotipo hippie inventato dai media. C'erano ragazze con vestaglie di velluto abbottonate fino alla bocca e aperte dalla cintola in giù, ragazzi vestiti da principi del Rinascimento, le giacche di daino frangiate che 4 anni dopo sarebbero arrivate in Europa nella scia del musical Hair, cappotti di montone bianco lunghi fino a terra, colori sgargianti nelle sete lucide e campanelle tintinnanti

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portate al collo, alle caviglie, sulla testa, ai polsi; occhiali verdi e gialli, giacche napoleoniche e da ammiraglio, pantaloni da generale della Guerra di Secessione, piume indiane, berretti di velluto raffaelleschi, camicie di cotone Mayflower, code di volpe, mantelle da Dracula, magliette bianche di cotone da marinai alle caldaie della nave, gonne lunghe da film western, granny dresses, fiori, collane, pizzi. La rivolta al consumismo era passata dalla fase rinunciataria e polemica dei blue jeans alla fase creativa e ribelle del vestito <<inventato>> invece che <<subìto>>: beffa insolente e pacifica all'industria della moda.

La scoperta della Pivano del New Look hippy durante un concerto di Dylan non è certo stata casuale. Dylan, infatti, è uno degli artisti che meglio diede voce agli ideali del movimento, firmando quelli che diventarono dei veri e propri inni generazionali. Pivano, così, spiega le ragioni del successo di Bob Dylan:

Il miscuglio folk-blues-rock di Bob Dylan, con le sue storie che non riguardavano gli amori di un ragazzo per una ragazza o viceversa ma erano ispirate allo scontento sempre più incalzante tra la gioventù americana, raggiungeva un pubblico ormai quasi disabituato a leggere versi ma disposto ad ascoltarli attraverso la musica e d'altra parte già stanco dei diluvi imitativi dei Beatles ma disposto ad ascoltare questo rock and roll rivoluzionario, con la sua carica polemica e il suo messaggio liberatorio: un messaggio che era diventato di massa nel 1962, quando Blowing in the Wind venne cantata da milioni di persone come canto di raccolta nel corso del Movimento negro in Difesa dei Diritti Civili.

Nel 1965, lo stesso anno in cui Pivano si accorge di Dylan, Ginsberg stila, un programma per una grande manifestazione, cercando così di chiarire in modo

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inequivocabile a tutti le intenzioni e le modalità della riunione e impedire reazioni disordinate in caso di provocazioni:

Annunciate in anticipo che è una marcia sicura, portate la nonna e i bambini, portate famiglia e amici. Dichiarazioni aperte: "Non veniamo a combattere e non combatteremo"

La manifestazione diventa una grande festa pacifica fatta di suoni, canti, colori e tantissimi fiori. Il momento culminante del movimento è, però, il grande raduno del 14 gennaio 1967, tenutosi nel Parco del Golden Gate a San Francisco, vero e proprio centro della cultura alternativa giovanile. La mutazione culturale proposta da Leary è avvenuta; lo spettacolo è senza precedenti:

Ventagli, piume, pennacchi e zanne; campanelli, tamburi, carillons e incenso; stendardi, fiamme, bandiere e talismani; collane portafortuna, arance e carote; palloni, fiori, bambù e vesti-animali; flauti e ceste; mani giunte, occhi chiusi, fronti serene e sorrisi; stoffe da preghiera e bastoni da shaman...

In mezzo a tutto questo:

il prof. Leary... con un fiore giallo dietro l'orecchio; Leonore Kandel, in rosso e arancione; Gary Snyder seduto sull'orlo della piattaforma...maestro di cerimonia, parla con gioia. Allen Ginsberg, catalizzatore e distillatore di tutto, in una tunica bianca.

Questo grande rito collettivo si chiude, al tramonto, con Allen Ginsberg e Gary Snyder che salmodiano il mantra Om Sri Maitreya rivolti verso il sole, in una atmosfera di grande pace e poesia.

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