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Entanglement e coesione di squadra

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“Entanglement”, Empatia e Coesione di Squadra: nuove frontiere teoriche?

Il termine “entanglement” è traducibile letteralmente con “intreccio”.E’ mutuato dalla fisica quantistica e indica una condizione di legame indissolubile fra due particelle elementari, elettroni o fotoni, che abbiano interagito almeno una volta.Ciò significa che entrambe le particelle, a qualunque distanza si trovino l’una dall’altra (non località), si comportano simultaneamente come un tutt’uno.Il fisico austriaco Erwin Schrodinger introdusse l’ipotesi dell’ “entanglement quantistico” in uno scritto del 1935, ispirato da un esperimento proposto nello stesso anno da Albert Einstein con i suoi collaboratori Boris Podolsky e Nathan Rosen,noto come “Paradosso EPR”, secondo il quale una misura eseguita su una parte di un sistema quantistico può produrre istantaneamente un effetto sul risultato di un’altra misura eseguita su un’altra parte dello stesso sistema, indipendentemente dalla distanza che le separa. Ciò dava luogo a quella che Einstein stesso chiamò “una non ragionevole definizione di realtà”, incompatibile con il principio di località e il postulato della velocità ristretta, poichè la velocità della luce è il limite oltre il quale non può viaggiare nessun tipo di informazione.In seguito Alain Aspect (1982) e Gerbach Hergerfeldt (1993) osservarono come il cambiamento di una proprietà, quale la polarizzazione nella prima particella, comportasse un simultaneo e uguale mutamento di stato anche nella seconda.Attualmente le ricerche sull’entanglement sono finalizzate particolarmente alla creazione di computer quantistici (quantum computer), che consentirebbero il trasferimento immediato di interi flussi di informazione.Inquietante e sfuggente, l’ipotesi dell’entanglement, più che dato scientificamente dimostrabile, è divenuta una metafora filosofica idonea a spiegare tutti i fenomeni di “non località”, sincronicità, trasmissione indiretta dell’informazione e comunicazione inconscia. Modelli teorici recenti di “neurodinamica quantistica”, basati sullo studio dell’attività cerebrale tramite tecniche di neuroimaging, ipotizzano che i microtuboli che costituiscono la struttura di base dei neuroni funzionino in uno stato di “entanglement orchestrato” fra loro e svolgano un ruolo centrale nella genesi dell’atto di coscienza. La conseguenza più interessante di queste ricerche è che i collegamenti fra i neuroni (sinapsi), grazie alla citoarchitettura costituita dai microtuboli, potrebbero avere la possibilità di funzionare secondo due diverse modalità: quella tradizionalmente nota e ad una sorta di metalivello quantico,chiamato da Hameroff “superposition”, in cui il cervello avrebbe la possibilità di processare flussi simultanei di informazione come un computer quantistico (quantum computer) e operare una scelta fra molteplici possibilità.

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Penrose e Hameroff (2007), nella loro Teoria Orch-Or, suggeriscono che il collasso della funzione d’onda nei microtuboli dia origine al flusso della coscienza e ad una “orchestrazione”, cioè a processi di computazione quantica che si auto-organizzano.Ciò implica che quanto chiamiamo “realtà” non sia altro che una “scelta” fra le tante possibili.Questo secondo tipo di funzionamento sarebbe all’origine di fenomeni fino ad ora non spiegabili come l’intuizione e la telepatia e dei disturbi del pensiero che si riscontrano nelle psicosi (Stuart Hameroff 2006, 2010; Dean Radin 2006).Fisici teorici come il Premio Nobel Brian Josephson (2008) e Michio Kaku (2008, 2010) e psicologi sperimentali come Dean Radin (2006) e Roger Nelson (2002) ritengono che i cosiddetti fenomeni di “coscienza collettiva” rappresentino una condizione di entanglement fra le coscienze di due o più persone, anche spazialmente separate, che riescono a comunicare senza che avvenga un’interazione diretta.Alcuni ricercatori del Max Planck Insitute di Berlino e dell’Università di Salisburgo (2008, 2010) hanno dimostrato che i cervelli di due o più persone, coinvolte in un compito comune o fra loro legate da un rapporto emotivo, possono raggiungere una condizione simultanea di sincronizzazione dell’attività elettrica interemisferica. Si ipotizza che nel conseguimento di questo risultato un importante ruolo sia svolto dai neuroni specchio, dato che a consentire una sorta di connessione interpersonale non è la razionalità, ma le emozioni connesse all’empatia e alla condivisione di un obiettivo comune.I neuroni specchio, scoperti dapprima nei macachi da Giacomo Rizzolati e Vittorio Gallese del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma, si trovano nella corteccia cerebrale frontale e parietale e sono alla base della capacità di comprendere e imitare le azioni altrui. Funzionano proprio come uno specchio, riproducendo nel cervello comportamenti e stati d’animo osservati in un altro individuo. Secondo Gallese (2003,2006a, 2007) implicano la capacità intersoggettiva di “trasferire significati da una persona all’altra utilizzando il corpo come veicolo di questo trasferimento, sia dal punto di vista dell’espressione del significato, che da quello della capacità di decodificarlo qualora ne siano spettatori” (1). A proposito di tale modalità, lo stesso Gallese parla di soggettività che si definisce esclusivamente nell’intersoggettività, ovvero in una “consonanza” con il mondo degli altri, dove i meccanismi che sottendono la relazione interpersonale implicano un “trasferimento di significato ante-predicativo, pre-verbale, implicito”(2).Tali processi di comunicazione non consapevole venivano interpretati fino a pochi anni fa come il prodotto dei molteplici messaggi non- verbali e para-verbali che il cervello umano registra ed elabora continuamente. Il problema si è però rivelato più complesso perchè il medesimo tipo di scambio dell’informazione è stato riscontrato anche in altri organismi biologici, in cui non può avvenire con le modalità ipotizzate per gli esseri umani.Da tempo gli etologi studiano le geometrie armoniose e sincrone create dagli stormi degli uccelli in migrazione e dai branchi di pesci. Le “formazioni” disegnate da alcune specie di uccelli e pesci sembrano infatti essere coordinate da una sola mente. I cambiamenti improvvisi di direzione e le virate simultanee, avvengono senza che ci

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sia un ordine impartito da un “capo formazione”. Il processo di condivisione delle informazioni motorie è collettivo e istantaneo.Il delfino tursiope (Tursiops Truncatus) vive in branchi chiamati “pods”, costituiti da due o più individui fino ad un massimo di dodici. Al loro interno le femmine formano associazioni mutuali simbiotiche definite “fission-fusion” allo scopo di proteggere la prole dai predatori, mentre quelle fra maschi sarebbero “alleanze”. Tutti i membri di un “pods”, sia maschi che femmine, mostrano comportamenti sincronizzati come respirazione, salti e “breaching”. La comunicazione avviene attraverso l’emissione di suoni di frequenze diverse e ciascuno emette un fischio caratteristico, una sorta di firma (Signature Whistle) che lo distingue dagli altri. Il cervello, fortemente specializzato nel processare gli stimoli acustici, è grande quanto quello di una scimmia antropomorfa e dotato di due emisferi cerebrali che lavorano in indipendenza funzionale e reciproca anche durante il sonno. Secondo le ricerche l’emisfero destro è preposto all’elaborazione globale delle informazioni, mentre il sinistro dei dettagli . A unirli è un corpo calloso molto sottile. Ciò che è davvero singolare sono i risultati degli studi sulla capacità di imitazione e sincronia motoria del delfino . Il singolo individuo, pur avendo una consapevolezza di sè di tipo quasi umano, per mantenersi in salute ha bisogno di definire la propria soggettività nel rapporto con gli altri componenti del branco e ciò avviene anche nella relazione interspecifica, come ad esempio con l’uomo, di cui il delfino ha la capacità di percepire sentimenti e sensazioni.Sempre più le ricerche scientifiche di diversi ambiti disciplinari sembrano avallare l’ipotesi di una “mente unica universale” e l’interrelazione di tutti gli elementi dell’universo, se non addirittura la loro indistinzione (oneness), incluse le scienze sociali che cercano da tempo di spiegare quali siano i meccanismi che permettono ai membri di un gruppo di influenzare gli altri anche quando si trovano al di fuori della portata dei comuni mezzi sensoriali di comunicazione.Vi sarebbero dunque due diverse potenzialità conoscitive del sistema neuropercettivo umano e di alcune specie animali: la prima “per separazione” e la seconda “per unione”. Nel corso dell’evoluzione, dalla prima sarebbe derivato il pensiero logico-razionale-analitico e dalla seconda il pensiero emotivo-simbolico-analogico. La cultura occidentale ha fino ad ora convalidato soltanto la modalità logico-razionale, mentre ha screditato gli aspetti intuitivi e irrazionali della conoscenza. La mancata integrazione delle due componenti ha dato luogo a una visione della realtà basata sulla separazione e la contrapposizione dualistica.Secondo la fisica quantistica una particella può assumere sembianze corpuscolari o ondulatorie a seconda del modo in cui viene osservata. In quanto particella appare distinta e separata dal resto come una goccia è separata dal mare, mentre come onda costituisce un’increspatura nell’oceano ed è evidente la sua interdipendenza da esso. La percezione per separazione produce allora particelle, individualità, oggetti distinti, mentre quella per unione rileva increspature, onde, flussi, cioè processi dinamici collegati senza soluzione di continuità.

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Alcune squadre, appartenenti a varie discipline sportive, nei momenti di “grazia” riescono a stabilire sincronie simili a quelle presenti nel mondo animale.I singoli giocatori in questi casi affermano di sentirsi una sola cosa con il gruppo-squadra e di sperimentare una sorta di comunicazione globale, intuitiva, empatica, anche se indiretta, con i propri compagni.Sono evidenti le potenzialità agonistiche derivanti dallo sviluppo e dall’incremento di una tale condizione in alcuni sport di squadra come il nuoto sincronizzato, la pallavolo, il basket, il rugby, il calcio.Aumentare la coesione del gruppo attraverso il lavoro sulle emozioni e la motivazione è uno dei compiti principali e più difficili della psicologia dello sport, che deve senz’altro trarre spunto anche da ricerche ancora ritenute “di confine” e aprirsi a una integrazione eclettica con altre discipline.Con il concetto psicosociologico di coesione si intende un processo dinamico che si riflette nella tendenza di un gruppo a rimanere unito al fine di raggiungere degli obiettivi comuni e soddisfare un bisogno socio-affettivo di appartenenza (Carron,, 1998).Le caratteristiche di un gruppo coeso sono i ruoli ben definiti, la condivisione di obiettivi, norme, responsabilità, il rispetto degli altri e il desiderio di cooperare, l’identificazione di ciascun membro con il gruppo e una buona comunicazione sinergica.Una modalità già collaudata per accrescere il senso di unità e di appartenenza in una squadra è l’utilizzazione di rituali collettivi pre-gara.A tutti sono noti e ben visibili i giochi di mani e i circoli formati dalle pallavoliste o i canti e le danze rituali dei rugbisti.L’Haka-Ka Mate dei Maori è divenuto il simbolo della squadra di rugby neozelandese “All Blacks”. La danza consiste nel battito ritmato di mani, piedi, gambe, estroflessione della lingua e rotazione degli occhi, mentre i movimenti sono accompagnati da un canto gridato, ripetitivo e mantrico. Il rituale è finalizzato all’espressione spettacolarizzata di forza, vitalità, energia, coraggio e vuole essere propiziatorio dello spirito di squadra. Originariamente era inscenato dalle popolazioni Maori allo scopo di conciliare i conflitti interni alla comunità. Il testo del canto è un ringraziamento alla benevolenza dell’universo e degli dei.Recentemente anche l’Ho’Oponopono, un rituale dell’antica civiltà hawaiana Huna, è entrato a far parte della routine pre-gara di alcune squadre americane di football.Canti e balli collettivi richiedono coordinazione e armonia che rafforzano l’unione.Comportamenti simili si riscontrano anche in alcune specie animali. Le scimmie urlatrici, i gibboni e i lemuri del Madagascar si impegnano spesso in cori che hanno il senso di rafforzare l’unità del gruppo. Coordinarsi in un’attività che richiede di muoversi all’unisono come in una danza, ma che di per sè è poco utile o inutile, secondo l’etologia è un sistema generale per creare un legame fra più individui. Le interazioni che hanno come scopo la coesione sono del tutto particolari perchè non hanno altra ricompensa oltre il piacere dell’appartenenza e sembrano dunque

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soddisfare un bisogno di livello superiore rispetto a quelli riferiti alla soggettività individuale.Le tecniche di accrescimento del legame di squadra vengono chiamate team building o team work e hanno il fine di costruire e accrescere il senso di unità del gruppo, stimolandone la produttività e l’orientamento verso un risultato.I passaggi di qualunque programma di team building prevedono attività volte a facilitare la comunicazione, incrementare la collaborazione, aumentare il livello di fiducia, il senso di autoefficacia e la motivazione. Inoltre creano integrazione, empatia, ascolto e veicolano mission e valori, distribuendo ruoli appropriati e condivisi secondo le potenzialità e attitudini di ciascuno.Gli strumenti utili per generare un forte “spirito di squadra” sono i più vari e vanno dallo storytelling, il role-playing e l’apprendimento cooperativo alla condivisione di momenti comuni di carattere ludico ed extrasportivo.Lo storytelling è una metodologia ormai consolidata che fonda i propri presupposti sulla constatazione di come la struttura narrativa sia la base del linguaggio e della naturale rappresentazione cognitiva di un concetto. Ogni esperienza è infatti elaborata in un “incipit” (inizio), sviluppo, “climax” (momento di massima tensione), “lisis” (scioglimento o risoluzione). Tale modalità è sempre utilizzata nel processo di esplorazione, comprensione e relazione con noi stessi, con gli altri e con gli eventi. La creazione di storie è una forma di comunicazione naturale e intuitiva, capace di coinvolgere, consentire possibili soluzioni ai problemi, attribuire nuovi significati agli accadimenti, veicolare valori e accrescere le motivazioni, generando un clima di condivisione emotiva.In un team sportivo si possono costruire storie che rappresentino simbolicamente il bagaglio esperienziale della squadra e che consentano ai suoi componenti di sentirsi parte di qualcosa che va oltre la propria individualità. Per ottenere il massimo impatto occorre fare leva su tutti e cinque i sensi, sull’emozione più che sulla razionalità. Il famosissimo discorso di Steve Jobs “ Stay Hungry, Stay Foolish” è l’esempio più noto e citato di storytelling poichè contiene gli elementi cardine della storia perfetta: fallimento, sogno, riscatto e successo.Il role-playing, o gioco di ruolo, consiste invece in una drammatizzazione delle problematiche e relazioni presenti nel gruppo. E’ una rappresentazione di ruoli in interazione, mentre alcuni partecipanti fungono da osservatori e commentatori dei contenuti e dei processi manifestati. Si tratta di una tecnica mutuata dallo “psicodramma” e permette di affrontare difficoltà, problemi, emozioni e conciliare eventuali conflitti. “Mettersi nei panni degli altri” attraverso l’identificazione, incrementa l’empatia e favorisce il contenimento di possibili dinamiche interferenti con il rendimento sportivo.L’apprendimento cooperativo, infine, è utile soprattutto nelle prime fasi di formazione di una squadra perchè facilita la collaborazione, il superamento degli individualismi e il coinvolgimento di ciascuno nell’impegno a raggiungere un obiettivo comune.

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Alcuni protocolli di mental training, come ad esempio il Modello SFERA, ideato dallo psicologo Giuseppe Vercelli, seppure creati per essere applicati al singolo atleta, possono essere adattati proficuamente allo sport di squadra e inseriti in un programma di apprendimento cooperativo.SFERA è un acronimo che indica i cinque fattori fondamentali sia nell’allenamento fisico che mentale e cioè: Sincronia, punti di Forza, Energia, Ritmo, Attivazione.Sincronia significa essere concentrati nel presente sull’azione di gioco, in una totale connessione mente-corpo. I punti di Forza, nel caso di una squadra, riguardano la sinergia fra reciproci ruoli e abilità tecnico-tattiche di ciascuno, mentre l’Energia consente di utilizzare al meglio le risorse costituite dai punti di forza. Il Ritmo genera il giusto flusso nella sequenza dei movimenti e degli schemi. L’ Attivazione è la condizione fisica e mentale percepita come ottimale durante una partita ed è fortemente legata ai rituali e al clima creato dall’intero gruppo-squadra.Essere nella SFERA, secondo Vercelli, vuol dire creare i presupposti per accedere a risorse inaspettate provenienti dalla noosfera , ovvero andare oltre le proprie potenzialità attingendo a una sorta di competenze innate : “ ...a qualcosa di impersonale che va oltre l’individuo, una specie di fonte comune, alimentata dalla collettività e attingibile da tutti”(3).In questo modello si fa riferimento alle teorie del mistico gesuita Pierre Teilhard de Chardin, che usa il termine “noosfera” per indicare una sorta di coscienza collettiva, creata dalle interazioni fra le menti umane nel corso della storia.Secondo il filosofo francese, più l’umanità si organizza in reti sociali complesse, più la noosfera si arricchisce e acquista consapevolezza. A tale concetto si è recentemente sovrapposta l’ipotesi di una “coscienza globale” formulata dalla pseudoscienza noetica(4), secondo la quale esisterebbe un campo unificato di coscienza in grado di produrre variazioni significative nei Generatori di Numeri Casuali in relazione a eventi e fatti di cronaca di importanza mondiale. E’ evidente che, se ciò fosse vero, le emozioni giocherebbero un ruolo primario nei processi di correlazione fra le menti individuali. Questo può essere particolarmente vero nel caso di una squadra che a volte riesca a giocare come fosse una sola unità e le motivazioni scientifiche in grado di spiegare tale fenomeno forse, come abbiamo visto, non sono troppo remote.

Note

1- Gallese, V., “Dai neuroni specchio alla consonanza intenzionale: Meccanismi neurofisiologici dell’intersoggettività”, Rivista di Psicoanalisi, 2007, LIII, 197-208

2- Ibidem3- Vercelli, G., L’intelligenza Agonistica, Affrontare le sfide nella vita, nel lavoro, nello sport,

Ponte alle Grazie, Milano 2009 p.474- Zarkadakis, G., “Noetics: A proposal for a Heretical approach to consciousness”, Proceedings

of International Conference “Toward a Science of Consciousness and its place in Nature”, Sweden 2001, University of Skoude, Sweden, 7-11 August 2001

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