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Rivista ItalianaLa Care in Perinatologia

Volume 3 - Numero 1 - Maggio 2009

Assistant EditorFrancesco Tandoi

Editorial BoardGraziella Andrich, Marina Battaglioli, Maria Elena Bolis,

Onorina Chinetti, Elsa Del Bo, Arianna De Martino,Giusy Di Lorenzo, Anna Maria Di Paolo, Gennaro Disiena,

Elisa Facondini, Matilde Ghinassi, Lorenzo Giacchetti,Sandra Lazzari, Giovanna Liguoro, Gianluca Lista,

Nicoletta Mallozza, Isabella Mondello, Romeo Nicola,Luigi Orfeo, Maria Pia Paganelli, Lorena Paghinini,

Anna Persico, Angela Bossi, Paola Serafini,Gino Soldera, Monika Stablum, Stefania Viero,

Vincenzo Zanardo

www.careperinatologia.it

Autorizzazione Tribunale Bologna (In attesa del n. di registrazione)

Copyright © 2009

Via Gennari 81, 44042 Cento (Fe) Tel. 051.904181/903368 - Fax 051.903368www.editeam.it - [email protected]

Progetto grafico: EDITEAM Gruppo Editoriale.Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, tradotta, trasmessa o memorizzatain qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo senza il permesso scritto dell’Editore.L’Editore declina, dopo attenta e ripetuta correzione delle bozze, ogni responsabilità derivante da eventuali errori di stam-pa, peraltro sempre possibili.Finito di stampare nel mese di Maggio 2009.

Editor in ChiefArturo Giustardi

Executive EditorMassimo Agosti

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Rivista Italiana Care in Perinatologia 1/2009

Indice

Editoriale..................................................................................................pag. IIIFrancesco Tandoi, Massimo Agosti, Arturo Giustardi

Rooming-in L’esperienza del dipartimento materno-infantile dell’Ospedale Civile di Piove di Sacco (Pd) ............................................ “ 1Carlo Crivellaro, Beatrice Moro, Sabrina Romanato, Marika Penazzo, Piove di Sacco

Sindrome da iperattività/deficit di attenzione (ADHD) e prematurità .................................................................................... “ 6Silvia Zanato, Pier Antonio Battistella, Padova

La gestione clinica del lutto perinatale Strategie di intervento e linee guida internazionali .................................. “ 10Claudia Ravaldi, Alfredo Vannacci, Firenze

L’Ostetrica ed il massaggio infantile Analisi di un anno di attività didattica specifica nella Scuola di Preparazione alla Nascita dell’Università di Perugia .............. “ 17Giovanna Di Bartolomeo, Concettina Cacchionni, Anna Maria Di Paolo, Perugia

L’allattamento al seno nel neonato di madre tossicodipendente con sindrome da astinenza da narcotici ................ “ 21Anna Egidi, Perugia, Gabriele Cabiati, Terni, Nicola Michiorri, Terni

Scelti per voi ................................................................................................. “ 27

Home and Abroad ...................................................................................... “ 28

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Per aprire questo editoriale mi viene in men-te la metafora del viaggio. Sebbene siamoancora agli inizi, molteplici sono i paesag-

gi, gli scorci, le sensazioni che percepiamo intor-no a noi.

In un certo senso sapevamo che gettare unosguardo sull’argomento care avrebbe significatoaprire gli orizzonti ad una serie di aspetti che, seb-bene già noti, offrono comunque spazio a con-siderazioni e speculazioni, trattandosi di materiasempre attuale ed in evoluzione con i tempi, conla tecnologia, con le leggi, pur rimanendo stret-tamente legata alle persone, sia che essi si chia-mino operatori, pazienti o famiglie.

E allora quel viaggio si trasforma a volte an-che nello stare fermi in un punto, guardando ciòche vi è intorno, in una osservazione a 360°, sen-tendosi al centro di molteplici considerazioni tut-te rilevanti ed essenziali. In un momento in cui l’at-tenzione verso “le malattie” è equiparata all’atten-zione verso “il malato” ci fa piacere essere il ful-cro di coloro che hanno individuato nella care gliaspetti di essenzialità che tale disciplina deve ormairivestire nella quotidianità del nostro operato.

Pensavamo questo quando ci siamo accintia pubblicare l’attuale numero della rivista, ovve-ro di strutturare questo numero con un’ampia pa-noramica su differenti esperienze in tema di care.

Le opinioni materne sul tema massaggio in-fantile, analizzati nei corsi di preparazione al par-to e dopo la nascita, sono il tema di una lettura chesvela quanto l’attenzione materna sia elevata, nonsolo nei confronti dell’evento nascita, ma anchesu aspetti se vogliamo “accessori” legati ad essoe di come sia centrale, in tal senso, il ruolo dell’O-stetrica nel tracciare i percorsi più adeguati.

Il complesso ambito di problematiche suc-cessive ad una nascita pretermine si arricchiscesempre di più di aspetti comportamentali per cuiil pretermine sembra essere maggiormente a ri-schio. E’ appunto il caso della sindrome da iper -

attività/deficit di attenzione il cui rischio nellapopolazione pretermine sembra essere doppiorispetto ai neonati a termine; questo anche perquei “late preterm” a torto considerati preter-mine “minori” se confrontati con quadri di mag-giore gravità.

Un momento delicato non solo nella vita pro-fessionale degli operatori, ma nella capacità del-l’intero sistema ospedaliero è rappresentata dal-la gestione del lutto perinatale. Ci si rende benconto che un tale momento deve richiedere lastessa capacità organizzativa di una procedura te-rapeutica. E’ per questo che, al pari di queste ul-time, i reparti moderni di Terapia Intensiva Neo-natale debbono dotarsi di linee guida adeguatealla gestione di tale eventualità.

Sappiamo che quando si parla di care la pro-mozione dell’allattamento materno riveste un ruo-lo centrale. Un valido supposto è dimostrato es-sere costituito dal rooming-in. Ce lo confermal’analisi dell’Ospedale di Piove di Sacco che hainteso valutare quest’aspetto, dandoci inoltre unaidea di come quest’intervento venga percepito evissuto dalle madri.

Il tema della tossicodipendenza implica nu-merose ricadute in ambito perinatale. Sempre piùcomplessi si fanno i quadri legati, ad esempio, al-l’allattamento proprio nelle donne che hanno ma-nifestato sindrome da astinenza durante la gra-vidanza oltre alle implicazioni medico-legali ad essalegate nonché alla tutela giuridica del neonato.

Gli aspetti quindi sono tanti, altrettante sonole esperienze che ogni Centro matura e che por-ta alla nostra attenzione al fine di aggiungere unsasso con cui lastricare questo percorso; equesto è un viaggio che dobbiamo percorreretutti insieme.

Francesco TandoiMassimo AgostiArturo Giustardi

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Rivista Italiana Care in Perinatologia 1/2009

Editoriale

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Rivista Italiana Care in Perinatologia 1/2009

Rooming-in L’esperienza del dipartimento materno-infantile

dell’Ospedale Civile di Piove di Sacco (Pd)

Carlo Crivellaro, Beatrice Moro, Sabrina Romanato, Marika PenazzoOspedale Civile di Piove di Sacco U.L.S.S. 14

Abstract

Il latte materno, offerto come alimento esclu-sivo, è il nutrimento “ideale” per i bambini nei pri-mi sei mesi di vita, ed apporta al neonato e alla ma-dre basi biologiche ed affettive ineguagliabili.

Il Rooming-in, ossia la permanenza di madree bambino nella stessa stanza 24 ore su 24 duran-te la degenza, è una delle pratiche ospedaliere piùefficaci nel favorire l’allattamento al seno. Grazieal Rooming-in la madre può allattare a richiesta ilneonato e più frequentemente, e in questo modosi anticipa la montata lattea.

Il Rooming-in presenta inoltre altri vantaggi: fa-cilita il processo di bonding tra genitori e neonato,rappresenta un’occasione per la neomamma di con-frontarsi subito con i segnali ed i bisogni del suo bam-bino, ha un impatto positivo sulla prevenzione del-le infezioni ospedaliere e crociate del neonato.

Presso l’Ospedale di Piove di Sacco (Pd) la pra-tica del Rooming-in è iniziata nel maggio 2006. Sco-po di questo studio è di valutare a distanza di 6 mesila sua efficacia, prevalentemente per quanto riguar-da l’allattamento al seno, attraverso un questionarioanonimo somministrato alle madri in dimissione.

Dai risultati ottenutisi si può affermare che talepratica è risultata efficace. L’83% delle madri in di-missione ha allattato esclusivamente al seno, ed il97% ha dichiarato di voler continuare ad allattareal seno dopo la dimissione.

Introduzione

Dal 1991 l’UNICEF e l’OMS hanno promos-

so una campagna mondiale conosciuta come “Ini-ziativa Ospedale amico del bambino” con l’obiet-tivo di mettere a disposizione del neonato e del-la madre, un ambiente adatto a promuovere, sup-portare e proteggere l’allattamento al seno neipunti di nascita.

Tra le 10 regole a cui devono attenersi scru-polosamente gli Ospedali per poter essere qua-lificati come “amici del bambino” viene inseri-ta la pratica del rooming-in, ossia la permanen-za di madre e bambino nella stessa stanza nell’ar-co delle 24 ore a partire dal momento in cui lamadre risulti in grado di rispondere dopo il par-to alle richieste del suo bambino.

Il rooming-in dovrebbe rivestire il carattere diroutinaria proposta istituzionale da parte del Cen-tro Nascita e non di semplice opportunità offertain alternativa alla custodia del bambino presso il Nido.

Questo tipo di modello organizzativo vie-ne considerato valido a promuovere l’allattamen-to al seno per i suoi innumerevoli vantaggi. In-fatti, con il rooming-in sono favorite le poppa-te al seno a vera domanda, riducendo il bisognodi supplementazione di liquidi diversi dal lattematerno, aumentando la capacità di suzione delneonato e quindi lo stimolo alla lattazione. Perquanto riguarda il neonato sono stati osservaticasi marcatamente ridotti di iperbilirubinemianeonatale, grazie alla fisiologica attivazione del-la funzionalità intestinale ed epatica da parte dellatte umano; l’allattamento di notte, inoltre, pro-muove la crescita del neonato, poiché la quan-tità di grassi nel latte di notte è più alta. Il roo-ming-in ha impatto positivo anche sulla preven-zione delle infezioni ospedaliere e crociate del

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neonato a prevalente sede cutanea, gastroente-rica e respiratoria.

Dal punto di vista materno, si riduce l’insor-genza di ragadi mammarie dovuta ad una pop-pata inefficiente; inoltre lo svuotamento conti-nuo del seno previene la comparsa di ingorghimammari, ascessi e mastiti. L’attaccamento al senoprecoce anticipa, poi, la montata lattea.

Il rooming-in rappresenta un utile periodo diconoscenza precoce tra madre e neonato: tra gli ef-fetti a breve termine si nota che le madri guarda-no, parlano, toccano di più i loro bambini e vieneintensificato lo stretto legame emozionale che si svi-luppa tra i genitori ed il neonato alla nascita.

Un’altra caratteristica positiva del rooming-in è quella di poter contare sulla capacità mater-na di rilevare precocemente i bisogni del neona-to e le manifestazioni proprie dei comuni distur-bi. Ad esempio, i primi segnali di fame del bam-bino possono essere movimenti di suzione,portarsi le mani alla bocca, movimenti veloci de-gli occhi, tenui vagiti o sospiri.

Secondo un’accezione allargata di rooming-in si possono includere fin da subito nella stessastanza anche il padre e altri membri della famiglia.Secondo uno studio di Erlandsson e Fagerberg viè una riduzione del rischio di abuso e maltratta-mento da parte dei genitori che partecipano atti-vamente alle cure del bambino in ospedale.

Per consentire una maggiore partecipazionedelle madri (e delle famiglie) nella gestione del roo-ming-in, è necessario creare occasioni di forma-zioni e incontro con le famiglie, non solo duran-te la degenza in ospedale, ma già in gravidanza,nei corsi di preparazione al parto, da parte di me-dici e infermieri. Informazione, ascolto di grup-po e individuale, assistenza personalizzata alla ma-dre diventano, quindi, parte integrante di questomodello organizzativo.

La pratica del rooming-in all’interno dell’As-sistenza Neonatale facente parte dell’unità ope-rativa di Pediatria dell’Ospedale di Piove diSacco è iniziata nel maggio 2006. Il nuovo siste-ma organizzativo è nato grazie alla collaborazio-ne fra le èquipes delle unità operative di Pedia-tria ed Ostetricia e Ginecologia.

A distanza di 6 mesi dall’avvio, si è voluto ve-rificare l’efficacia della pratica del rooming-in.

Scopo dello Studio

Lo scopo dello studio è stato quello di va-lutare:

• l’efficacia del rooming-in nell’allattamen-to al seno e nell’acquisizione di autono-mia nell’igiene del neonato da parte del-la mamma;

• l’eventualità di interventi correttivi qualo-ra emergessero aspetti negativi su questapratica.

Materiali e metodi

I dati sono stati ottenuti somministrando unquestionario in modo anonimo presso il Nido diPiove di Sacco nel periodo luglio-dicembre2006 dalle infermiere dello stesso reparto; desti-natarie erano tutte le neomamme in dimissione.

Il questionario è composto da 20 domande,prevalentemente a risposta chiusa. Nello speci-fico, le domande mirano ad esplorare i proble-mi di salute per madre e neonato dopo il parto,che possano comprendere l’allattamento al seno,il desiderio delle madri di continuare ad allatta-re al seno dopo la dimissione, l’assunzione du-rante la degenza di glucosata e/o latte formula-to, l’arrivo della montata lattea, le eventualicomplicanze mammarie da allattamento, le co-noscenze della madre riguardo il rooming-in, ei benefici del rooming-in per quanto riguarda l’al-lattamento e le pratiche di igiene del bambino.

Risultati

In 6 mesi sono stati raccolti 74 questionaridi donne di nazionalità italiana.

Nel nostro campione le donne erano di etàcompresa tra 20 e 30 anni nel 43,20% dei casi,tra i 31 e i 40 anni nel 54%, una donna di età su-periore ai 40 anni.

Nel 78,37% erano lavoratrici. Le donneprimipare erano il 37,83%.

Dai nostri dati emerge il forte desiderio del-le madri di allattare al seno (97,29% dei casi) eper un lungo periodo (44,44% dei casi almenoper sei mesi, 50% per un anno) (Fig. 1 e Fig. 2).

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Figura 1: Vuole allattare al seno?

no

non

risponde

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Alla dimissione l’82,43% delle donne ha di-chiarato di allattare esclusivamente al seno, il9,45% con l’aggiunta di latte formulato (Fig. 3).

Tra le donne che hanno dichiarato di non al-lattare al seno alla dimissione (8,1%), la metà era-no primipare, le altre avevano allattato al massi-mo per tre mesi i loro precedenti bambini e spes-so con aggiunta di latte formulato (Fig. 4).

Dai dati raccolti emerge che il 67,56% dei neo-nati ha assunto glucosata durante la degenza inOspedale, il 48,64% latte formulato. E’ da sotto-lineare che mentre la glucosata viene somministra-ta dal personale del Nido soltanto in alcuni casi,quando sembra che il neonato non si sazi con il lat-te della madre, un latte di formula nel nostro Ospe-dale viene somministrato solo per decisione del Pe-diatra nel caso di cali ponderali superiori del 10%o, a volte, per diretta richiesta della madre.

Grazie all’immediato attaccamento al seno eall’allattamento a richiesta la montata lattea nel 58%dei casi ci è stata segnalata essere arrivata entro il

terzo giorno dal parto, mentre il 25,67% delle don-ne non l’hanno percepita, grazie al continuo svuo-tamento del seno attuato dal neonato (Fig. 5).

Sono inoltre, venute meno, nell’83,78% deicasi le complicanze mammarie da allattamento,quali ascessi, ragadi, ingorghi, mastiti (Fig. 6).

La maggioranza delle donne era a conoscen-za di cosa fosse il rooming-in [75,67% grazie alcorso preparto (53,57%) e ai mass media(26,78%] (Figg. 7, 8).

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Rivista Italiana Care in Perinatologia 1/2009

Figura 2: Per quanto tempo desidererebbe allattareal seno?

Figura 3: Sta allattando al seno?

Figura 4: Se ha altri figli, li ha allattati al seno?

Figura 5: Quando è arrivata la montata lattea?

Figura 6: Durante il ricovero ha avuto complicanzecome ascessi, mastiti, ingorghi mammari, ragadi al seno?

Figura 7: Era a conoscenza di cosa fosse il rooming-inprima del parto?

1 mese

1a giornata

2a giornata

3a giornata

4a giornata

5a giornata

6a giornata

Non ho avuto

la montata lattea

non risponde

1 anno

3 mesi

6 mesi

no

no

no

no

non

risponde

non

risponde

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L’85,13% delle mamme ritiene che il roo-ming-in sia stato utile per l’allattamento al seno,2 madri hanno dichiarato di gradirlo solo di gior-no (Figg. 9, 10).

La presenza del bambino in stanza ed il so-stegno e l’aiuto del personale del Nido ha resol’89,18% delle donne autonome nella pratica del-l’allattamento ed il 97,29% autonome nell’igie-ne del neonato (Figg. 11, 12, 13).

Conclusioni

Dai dati raccolti emerge il forte desiderio del-le mamme di allattare al seno. Si ritengono a talproposito efficaci gli interventi di sensibilizzazio-ne all’allattamento al seno, quali i corsi prepar-to, che in questo campione sono stati frequen-tati dal 44% delle donne.

Si può affermare che l’avvio della pratica delrooming-in presso l’Ospedale di Piove di Sacco,applicato in modo coordinato a informazione eaiuto pratico delle madri, sia risultato un inter-vento efficace sia nell’allattamento al seno, sia nelrendere le puerpere il più possibile autonome nel-la gestione del neonato. Questo soprattutto se siconsidera che alla dimissione l’83% delle madri

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Rivista Italiana Care in Perinatologia 1/2009

Figura 9: Ha praticato il rooming-in?

Figura 10: Se si, per 24 ore o solo di giorno?

Figura 11: A suo avviso il rooming-in le è stato utile perl’allattamento?

Figura 12: Durante il ricovero ha acquisito autonomianella pratica dell’allattamento al seno?

Figura 13: Durante il ricovero ha acquisito autonomianell’igiene del bambino?

no

non

risponde

no

non

risponde

no

non

risponde

no

non

risponde

per 24 ore

solo di giorno

non risponde

Figura 8: Se si, da quali fonti ha avuto le informazioni?

corso preparto

giornali/televisione

personale sanitaria

conoscenti

altro

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allatta esclusivamente al seno e che l’86% dichia-ra che il rooming-in è stato loro utile per l’allat-tamento.

Tra le donne che hanno dichiarato di non al-lattare al seno alla dimissione, la metà (8%) era-no primipare, le altre avevano allattato al massi-mo per tre mesi i loro precedenti bambini, e spes-so con aggiunta di latte formulato, avendo avu-to, quindi, esperienze negative per quanto riguar-da l’allattamento.

La montata lattea nella maggioranza dei casiè stata precoce, per il 6% delle donne è arriva-ta entro la terza giornata. Il 26% delle donne nonl’ha percepita, grazie al continuo svuotamento delseno attuato dal neonato. L’immediato inizio del-l’allattamento e il continuo svuotamento dellaghiandola mammaria hanno sostanzialmenteeliminato complicanze materne precoci dell’al-l’allattamento al seno, quali ascessi, ragadi, ma-stiti, ingorghi mammari.

Nei primi mesi di applicazione di questo mo-dello organizzativo, si è riscontrata, tuttavia, qual-che resistenza da parte delle mamme che hannodichiarato in alcuni questionari di gradire che ilneonato sia tenuto al Nido durante l’orario del-le visite e durante la notte.

Per ovviare a tali incertezze e insicurezze è au-spicabile puntare sulla corretta informazione, sullavoro di “counselling” e sostegno delle madri, chepotrà essere utile anche dopo la dimissione.

Naturalmente si dovrà lavorare ancora perridurre il più possibile l’assunzione di glucosa-ta e di latte formulato durante la permanenzain Ospedale.

Nonostante l’esiguità del campione, le indi-cazioni che emergono ci sembrano positive e in-teressanti, tali da stimolare a continuare nell’im-pegnarci in questa esperienza.

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Rivista Italiana Care in Perinatologia 1/2009

Sindrome da iperattività/deficitdi attenzione (ADHD)

e prematuritàSilvia Zanato, Pier Antonio Battistella

Servizio di Neuropsichiatria Infantile, Università degli Studi di Padova

Riassunto

La sindrome da deficit di attenzione e ipe-rattività (ADHD) è un disturbo di origine neu-robiologica fortemente influenzato dalle carat-teristiche ambientali e relazionali di vita del bam-bino (1). Con riferimento alla letteratura e a unostudio retrospettivo condotto presso il Diparti-mento di Pediatria di Padova, si descrivono le ca-ratteristiche epidemiologiche ed eziopatogene-tiche dell’associazione fra prematurità e ADHD.

Definizione

La sindrome da iperattività/deficit di attenzio-ne (ADHD: Attention Deficit/Hyperactivity Di-sorder o DDAI: Disturbo da Deficit di Attenzio-ne/Iperattività) è un disturbo dello svilupponeuropsichico del bambino e dell’adolescente, che,se non adeguatamente trattato, può protrarsicon caratteristiche differenti anche nell’età adul-ta. Il disturbo si manifesta principalmente con ipe-rattività, impulsività, incapacità a concentrarsi, ed,inoltre, attraverso una possibile costellazione sin-tomatologica di difficoltà scolastiche, difficoltà del-le relazioni sociali, disturbi comportamentali, di-sturbi dell’umore. La classificazione del disturboderiva dalla descrizione diagnostica del DSM-IV,che richiede il criterio della pervasività: i sintomisi devono manifestare in almeno 2 ambiti (casa,scuola, ecc.), compromettendo il funzionamentoscolastico e sociale del bambino. L’esordio dei sin-tomi deve risalire a prima dei 7 anni di età e la du-rata degli stessi non deve essere inferiore ai 6 mesi.Esistono 3 sottotipi differenti di ADHD: uno pre-valentemente disattentivo, uno prevalentementeiperattivo-impulsivo e uno di tipo combinato (2).

Sottotipi

I bambini con disturbo prevalentemente di-sattentivo presentano un’evidente difficoltà a ri-manere attenti o a lavorare su uno stesso com-pito per un periodo di tempo sufficientementeprolungato, passano da un’attività ad un’altra sen-za averne completata alcuna, non riescono a se-guire le indicazioni fornite, si fanno distrarre fa-cilmente, sono disorganizzati (2).

Il sottotipo prevalentemente iperattivo-impul-sivo presenta difficoltà di inibizione dei compor-tamenti inappropriati. Questi bambini parlano ec-cessivamente, spesso con tono di voce elevato, efrequentemente interrompono il discorso altrui;manifestano inoltre un’attività motoria intensa,quasi spinti da un “motore” sempre acceso, condifficoltà a rimanere fermi o seduti, incapaci di at-tendere il proprio turno (2).

In generale, i bambini con ADHD eviden-ziano adeguate risorse cognitive ed affettive, manon sono sufficientemente orientati nel compi-to e faticano a pianificare l’esecuzione delle at-tività loro assegnate (3).

Epidemiologia

I dati epidemiologici in letteratura risultanoestremamente variabili per i differenti strumen-ti ed approcci metodologici utilizzati; si stima chela prevalenza dell’ADHD in Italia oscilli fra l’1%e il 7%. Il disturbo da deficit di attenzio-ne/iperattività è maggiormente presente fra i ma-schi, con un rapporto maschi-femmine pari a 4:1.Viene riferita una certa familiarità nei parenti diprimo grado (tra il 50 e il 90% dei fratelli mono-zigoti) (1, 4, 8).

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ADHD e prematurità

Nel 1999 presso il reparto di Neonatologiadel Dipartimento di Pediatria dell’Università diPadova, in collaborazione con la Facoltà di Psi-cologia patavina, è stato condotto uno studio va-lutando 40 soggetti prematuri (25% nati primadella 28a s.g., 75% dopo la 28a s.g.), ricoverati frail 1994 e il 1995, con peso inferiore o uguale a1.500 grammi, confrontati con un gruppo di con-trollo di bambini nati a termine, senza compli-cazioni alla nascita, di pari età al momento del-la valutazione. Lo studio ha dimostrato una mag-giore incidenza di ADHD nel gruppo dei prema-turi (15%), rispetto al gruppo di controllo (7,5%),con maggiore prevalenza del sottotipo iperatti-vo/impulsivo.

I meccanismi alla base del disturbo sonocomplessi, comprendendo fattori genetici, bio-logici, neuropsicologici e socio-ambientali. Sul-la base di evidenze genetiche e neuroradiologi-che si può parlare di un disturbo neurobiolo-gico della corteccia prefrontale e dei nuclei del-la base, che si manifesta come alterazione del-l’elaborazione delle risposte agli stimoli ambien-tali, per un difetto evolutivo nei circuiti cerebra-li che stanno alla base dell’inibizione e dell’au-tocontrollo (3, 8).

Come si è osservato nella nostra casistica,questo disturbo così frequente nella popolazio-ne pediatrica si può riscontrare con maggiore pre-valenza nei soggetti nati prematuri o con bassopeso alla nascita. Secondo la letteratura, i picco-li nati fra la 34a e la 36a settimana gestazionale equelli nati a termine, ma con peso fra 1.500 e2.500 g, hanno un rischio doppio, rispetto alla po-polazione pediatrica di controllo, di sviluppareADHD prevalentemente di tipo iperattivo. Neibimbi nati prima delle 34 settimane il rischio au-menta fino a 3 volte rispetto a quello della po-polazione di controllo ed anche nel campione deiprematuri viene conservata la prevalenza nel ses-so maschile. Le cause dell’associazione fra ADHDe prematurità risiedono probabilmente nellavulnerabilità di sviluppo del sistema nervoso im-maturo del prematuro, che può andare incontroad eventi di ipossia e ipotensione con danni ce-rebrali focali a livello dei nuclei della base e con-seguente disregolazione del numero dei recetto-ri dopaminergici. La maggiore incidenza nel ses-so maschile può trovare una spiegazione nei tem-pi più lenti di maturazione del sistema dopami-nergico, più esposto, quindi, nel maschio anoxae patogene (5, 6).

Diagnosi e terapia

Il DDAI non va infine considerato un distur-bo esclusivamente a carico del singolo individuo,ma va preso in carico come problema evolutivo checoinvolge il complesso sistema bambino-ambien-te sia in senso etiopatogenetico che terapeutico. Pertale motivo, prima di avviare un progetto terapeu-tico, sarà necessario valutare il bambino attraversoun’accurata anamnesi familiare, fisiologica e pato-logica; seguirà un’attenta osservazione clinica e lasomministrazione di materiale testistico standardiz-zato (7). Successivamente al processo diagnosticoverrà avviata una terapia psico-comportamentale peril bambino, e verranno coinvolti anche i genitori ela scuola. Nei casi in cui questi approcci risultasse-ro inefficaci o insufficienti, sarà possibile fare ricor-so a terapie farmacologiche, che da pochi mesi sonostate autorizzate anche nel nostro Paese; queste po-tranno essere prescritte solo presso i Centri di Ri-ferimento selezionati e previo inserimento di datiindividuali all’interno di un apposito Registro Na-zionale, gestito e protetto dall’Istituto Superiore diSanità. Il sistema descritto, integrato nella rete deiServizi del Territorio, garantirà il monitoraggio e lasicurezza d’uso del farmaco, evitandone inoltre unaprescrizione impropria (8).

Bibliografia1. Millichap JG. Etiologic classification of attention-deficit/

hyperactivivity disorder. Pediatrics 2008 Feb; 121 (2): e358-65.2. American Psychiatric Association. DSM IV Manuale diagnos-

tico e statistico dei disturbi mentali, Milano 1994; Masson.3. Zuddas A et al. Il Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattiv-

ità”, Prospettive in Pediatria 2002, 35: 83-94.4. Banerjee TD et al. Enviromental risk factors for attention deficit

hyperactivity disorder. Acta Paediatr. 2007 Sep; 96 (9): 1269-74.5. Hack M et al. Behavioral outcomes and evidence of psy-

chopathology among very low birth weight infants at age 20years. Pediatrics 2004 oct, 114 (4): 932-40.

6. Skranes J et al. Clinical findings and white matter abnormalitiesseen on diffusion tensor imaging in adolescents with very lowbirth weight” Brain 2007 Mar, 130 (pt3): 654-66.

7. American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, Jour-nal of the American Academy of Child and Adolescent Psychi-atry, 2002; 41: 26S-49S. “Practice parameters for the assessmentand treatment of attention deficit hyperactivity disorder”

8. Linee guida per il DDAI e i DSA, SINPIA, Erickson, 2006.

Risorse e letture consigliate

• AIDAI (Associazione Italiana Disturbi Attenzione e Iperattivi tà)www.aidai.org

• AIFA (Associazione Italiana Famiglie ADHD) www.aifa.it • www.iss.it/adhd• www.webmd.com/add-adhd • Burkley RA, Bentos CM. Figli irrequieti - come migliorarne il

comportamento. Armando Ed., 2007.• Marzocchi GM. Bambini disattenti e iperattivi. Il Mulino, 2003.• Vio C, Marzocchi GM, Offredi F. Il bambino con deficit di at-

tenzione/iperattività - diagnosi psicologica e formazione deigenitori. Erickson, 1999.

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Rivista Italiana Care in Perinatologia 1/2009

La gestione clinica del luttoperinatale

Strategie di intervento e linee guida internazionali

Claudia Ravaldi, Alfredo Vannacci*Psichiatra e Psicoterapeuta Presidente Associazione CiaoLapo Onlus

*Medico Farmacologo, Università degli Studi di Firenze, Associazione CiaoLapo Onlus

Introduzione

Molti operatori dell’area materno-infantilesono chiamati a confrontarsi con la morte di unbambino durante la gravidanza o dopo il parto.Di fronte alla morte, e di fronte alle reazioni didolore e di shock dei genitori, molti operatori pro-vano emozioni negative, come senso di impoten-za, inutilità, vissuto di fallimento professionale(non sono riuscito a fare nulla, non sono in grado di aiu-tare). Il sovraccarico emotivo legato al ripetersidi situazioni luttuose, se non adeguatamente ge-stito all’interno del team professionale, mette l’o-peratore a rischio di sviluppare un profondo di-sagio che si ripercuote sulla qualità dell’assisten-za fornita (sono cose che capitano, non riguardano me).Il rapporto personale con la morte e le preceden-ti esperienze di lutto, ma anche la scarsa condi-visione nel gruppo di lavoro, condizionano l’o-peratore e riducono le sue capacità assistenzialiad un mero tecnicismo (distacco emotivo, fred-dezza, negazione del problema). Una formazio-ne adeguata può incrementare le risorse perso-nali e del team di fronte all’evento morte. Sco-po di questo articolo è descrivere i protocolli as-sistenziali del lutto perinatale e fornire agli ope-ratori lo strumento per affiancare le famiglie col-pite, assumendo un ruolo attivo nella cura psi-cologica dei genitori.

Corpo del testo

La morte di un figlio in epoca perinatale mo-difica drasticamente il percorso esistenziale del-

la coppia genitoriale: questo lutto, spesso misco-nosciuto ai più (dopo 3 mesi piangi ancora?) e ne-gato nella sua drammaticità (pensa a chi perde unfiglio grande!), può alterare in modo permanentel’equilibrio affettivo e psicologico dei genitori,che restano ancorati a quella perdita senzaprogredire nel percorso di lutto (sarà sempre il fi-glio più amato; quando penso a lui soffro come il primogiorno ancora oggi dopo 10 anni). Aver perso un bam-bino in epoca perinatale rappresenta un noto fat-tore di rischio psicologico e comportamentaleanche per le gravidanze successive e per il futu-ro stile di attaccamento genitore-bambino: un ap-proccio adeguato al lutto è dunque essenziale, daparte di tutti gli operatori, per la salute dei geni-tori e per fornire un’assistenza ottimale (1, 2).

L’operatore che si trova di fronte al lutto pe-rinatale si trova spesso a dover gestire emozio-ni personali e altrui estremamente difficili e do-lorose, e fa i conti con il proprio vissuto relati-vo al lutto e alla morte. Il rapporto personale chesi ha con la morte, la perdita recente o significa-tiva di una persona cara può condizionare for-temente il proprio modo di sostenere i genitoricolpiti da lutto perinatale: non sono rare situa-zioni in cui l’operatore “fugge” dal dolore sia fi-sicamente che mentalmente, creando un di-stacco emotivo o fisico rispetto all’evento (la dot-toressa che mi ha fatto l’ecografia per prima si è alzataed è uscita dalla stanza senza dire una parola; il medi-co mi disse: non pianga, che suo figlio sarebbe stato unvegetale). In altre circostanze l’operatore più sen-sibile ed empatico viene lasciato solo a gestire l’e-vento (pensaci tu che ti riesce!) con notevole sovrac-carico emotivo. In altri, sfortunati casi, l’équipe

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si trincera dietro un tecnicismo perfetto, senzadedicare una sola parola alla morte di quelbambino e al dolore dei genitori (il parto è anda-to benissimo, riprovateci subito e tornate presto a parto-rire!) (3, 4).

La formazione di base spesso non prevedela cura degli aspetti psicologici e degli eventi dif-ficili, per cui molti operatori si trovano imprepa-rati, pur dovendo fare fronte periodicamente allamorte. Molti di loro assumono un atteggiamen-to di negazione nei confronti del bambino, chediventa “oggetto inanimato” da nascondere agliocchi di tutti il più velocemente possibile (è me-glio se non lo vedi e te lo immagini soltanto; è per il tuobene, prima te lo scordi, meglio stai). Il vissuto dell’o-peratore condiziona in questo modo la sua prac-tice, che diviene meccanica e spesso lontana dal-le reali esigenze di quei genitori.

Quando si parla di lutto perinatale, dobbiamotenere a mente che si parla di un bambino chemuore lasciando dietro di sé una famiglia addo-lorata. Non importa quanto fosse malato, quan-to la morte sia giunta inaspettata, quanto preco-ce sia stata rispetto all’epoca gestazionale e quan-te fossero le possibilità di vita di quel bambino fuo-ri dall’utero. Anche in caso di bambini gravemen-te compromessi o di gravidanze gemellari, in cuimuore uno solo dei bambini, i genitori si trova-no a dover fare i conti con il vuoto (mentale e fi-sico), che quella perdita comporta. Il rispetto perquel genitore nasce anche dal rispetto per quel bam-bino, membro per pochissimo tempo di una fa-miglia, che adesso piange la sua scomparsa. L’o-peratore che riconosce quel bambino come esse-re umano degno di rispetto e di cura, che prestaattenzione a quel corpo fornendo quelle poche curedi cui necessita dopo la morte, che non si fa spa-ventare da una minuscola vita, ma la onora, crean-do le condizioni per cui possa essere lasciata an-dare dai genitori nel migliore dei modi, aiuta inmodo significativo i genitori a intraprendere unbuon percorso di lutto (5, 6).

Il ruolo dell’operatore (medico ginecologo,anestesista, neonatologo, pediatra, psicologo, in-fermiere e, più in generale, tutta l’équipe che simuove in un reparto o in un consultorio) è quel-lo di adottare una buona pratica (non soltanto tec-nica, ma anche emotiva ed empatica) di lavora-re con e non solo per il genitore, cercando di ca-pire di volta in volta i particolari bisogni di quel-la coppia. Negare un aiuto psicologico, negare unsupporto equilibrato ed aperto, significa trauma-tizzare nuovamente i genitori. Molti di loro, an-che dopo anni, riportano nitidamente ricordi le-

gati ad una cattiva assistenza e al profondo sta-to di abbandono e trascuratezza in cui sono sta-ti lasciati, soprattutto nel momento dell’acuzie(diagnosi di morte intrauterina, parto, dimissio-ne) (7, 8). Numerosi studi che si occupano di trau-ma psichico e di resilienza, e quindi studiano lacapacità del singolo di fare fronte ad un eventonegativo e di superarlo senza conseguenze psi-copatologiche, osservano come oltre all’eventoluttuoso, anche gli eventuali traumi aggiuntivi, le-gati al contesto, siano fonte di notevole distresspsicologico e complichino notevolmente l’elabo-razione del lutto. Molti studi ci dicono che un at-teggiamento comprensivo ed empatico da par-te degli operatori facilita un corretto processo dilutto nei genitori (9, 10). Ricordiamo che la mor-te di un bambino durante la gravidanza o in epo-ca perinatale è un evento inaspettato e improv-viso, anche durante una gravidanza a rischio; i fa-miliari sono emotivamente (e biologicamente) im-preparati quando si trovano a dover affrontarequesta situazione (11). Per i genitori si tratta spes-so del primo incontro diretto con la morte di unapersona importante e può essere molto diffici-le, nelle fasi acute, organizzare con razionalità elucidità le scelte possibili. Nelle primissime fasidi shock confusione e totale black out (ero comeun automa, mi vedevo dall’esterno ma non riuscivo a cre-derci, non potevo essere io), l’operatore ha il compi-to di sostenere il genitore e di guidarlo senza con-dizionare le sue scelte o scegliere al suo posto,ha il compito di informare il genitore di tutte lepossibilità presenti e deve per questo conosce-re accuratamente i protocolli sul lutto perinata-le e tutte le opzioni di cura possibili (12).

Una buona elaborazione del lutto dipendemolto da come vengono gestiti quei pochi mi-nuti che spesso separano la speranza di vita dal-la diagnosi di morte, e dall’atteggiamento del per-sonale nei confronti del bambino morto e del-la famiglia.

Per i genitori, a qualunque epoca gestazio-nale, un bambino è un bambino, una persona, enecessita di rispetto, ricordo e memoria; quindiparticolare attenzione va riservata ai modi di ri-ferirsi all’evento: ad esempio non si dirà “questasignora è una MIF”, ma preferibilmente “questasignora ha perso il bambino/a alla x settimanadi gestazione”

Per questi motivi in molti Paesi del mondo sonopresenti protocolli che prevedono non solo l’assi-stenza al genitore, ma anche la formazione e l’as-sistenza all’operatore, considerato il suo ruolo cen-trale per l’elaborazione del lutto e per la corretta

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gestione delle gravidanze successive alla perdita.Sono attualmente disponibili linee guida provenien-ti dall’Inghilterra (Stillbirth and neonatal death so-ciety) (13), dall’Australia (Perinatal society of Au-stralia and New Zealand) (14) e dall’associazioneinternazionale che si occupa nel mondo di morteintrauterina (International Stillbirth Alliance).

In queste linee guida solitamente una sezio-ne è dedicata alla comunicazione tra personalee genitori, una sezione è dedicata al counsellingda attuare fin dai primi momenti con i genitoried infine una sezione si occupa della relazione del-l’operatore col bambino defunto, spiegando al-cune semplici regole che negli anni si sono rive-late utili per i genitori e per il team ospedalieroin numerosi Paesi e in numerose culture (soprat-tutto di stampo occidentale).

L’operatore e il lutto: disagi e risorse

Chi svolge una professione “d’aiuto” e chiè parte di uno staff sanitario (medici, infermie-ri, ostetriche, ausiliari), all’interno di una strut-tura ospedaliera, di un distretto, o in uno studioprivato, ha spesso il difficile compito di dover-si confrontare con la comunicazione dell’even-to e con la reazione dei familiari. L’operatore sa-nitario non è immune dalle emozioni negative chesi associano alla morte perinatale, può trovarsi indifficoltà nell’affrontare una situazione così de-licata e avere reazioni di imbarazzo, chiusura, anes -tesia emotiva, rabbia. Per superare l’enpasse emo-tivo gli operatori possono attuare in modo au-tomatico e inconsapevole comuni meccanismi didifesa (negazione, evitamento, proiezione, ecc.)e adottano stili comportamentali difensivi (comeabbassare lo sguardo, chiamare altro personalee uscire dalla stanza, irrigidirsi e parlare in linguag-gio tecnico, staccare comunque ogni canale co-municativo di tipo empatico o emotivo). Tali rea-zioni, dettate dall’emergenza di superare una si-tuazione emotivamente critica, non sono soddi-sfacenti né per l’operatore in sé (che in questa ma-niera non ha la possibilità di osservare consape-volmente i suoi reali sentimenti e pensieri rispet-to all’accaduto), né per i genitori, che si sento-no soli con il loro dolore.

Attraverso l’ascolto partecipe l’operatore sanitario haun ruolo chiave nella gestione della morte perinatale: se rie-sce a fornire un supporto sensibile ed una presenza di curaadeguata può facilitare l’elaborazione del lutto genitoria-le, al contrario, con atteggiamenti errati, può ostacolareil processo di elaborazione.

Dal momento della diagnosi fino ad alcunigiorni dopo il parto i genitori e in particolare lemadri vivono “sospese” al di là del tempo (fasedi shock, disorganizzazione); l’organismo gesti-sce il grave stress post traumatico con il restrin-gimento parziale della coscienza (fino alla disso-ciazione), creando una sorta di barriera isolantetra sé e il mondo circostante. Le madri sotto shocksanno cosa è loro capitato, ma non riescono spes-so a verbalizzare o a pensare in modo progettua-le e programmato a ciò che accadrà. Semplicemen-te, assorbite dalla tragicità dell’evento, attuano unasorta di pilota automatico, per cui spesso neces-sitano di dialoghi semplici, ripetuti e numerose ras-sicurazioni. Passata la prima fase, se adeguatamen-te sostenute e protette dal personale, le madri rie-scono a focalizzare l’attenzione sulle diverse de-cisioni da prendere, e possono dare un loro per-sonale contributo a tutte le fasi che seguono la dia-gnosi e precedono al dimissione.

Nonostante la difficoltà iniziale le madri sup-portate dall’équipe possono decidere al megliodelle loro possibilità come partorire, quando par-torire, se vedere e come il bambino, quali pro-cedure diagnostiche effettuare. Dare ai genitorila possibilità di pensare al da farsi e di decidere,dando loro il giusto tempo e spiegando le giu-ste opzioni, li rassicura sulla loro capacità di aversaputo gestire quel momento drammatico, e ren-de migliore l’elaborazione del lutto (Tab. 1).

Comunicare nel lutto perinatale

Il lutto è un percorso a fasi che inizia fin dal-la diagnosi di morte, e in alcuni casi ha radici an-cora più lontane (ad esempio, in caso di gravidan-ze a alto rischio, in caso di parti prematuri, ecc.).Di fronte ad un genitore che ha perso suo figlio,l’operatore ha spesso un ruolo difficile, quello dicomunicare la notizia e di offrire contempora-neamente sostegno. La comunicazione di mor-te è dolorosa, per chi la fa e per chi la riceve, maè più facile se si cerca un contatto partecipe ecompassionevole con il genitore. Non potendofuggire da quella situazione, e sapendo che nonsi può non comunicare, perché tutto di noi par-la e rivela all’altro le nostre difficoltà e il nostrodisagio, come operatori dovremmo provaresemplicemente a stare lì, accanto, trovando pa-role semplici (Tab. 1).

Non ci sono parole magiche per dare la no-tizia e alleviare il dolore, ci sono le parole oppor-tune e adeguate, che non sminuiscono la perdita,

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ma non aggiungono altro dolore. Lavorare, an-che in équipe, per dare la notizia guardando i ge-nitori in faccia, con parole semplici e promuo-vendo un atteggiamento (anche fisico) di aper-tura, disponibilità e sincero dispiacere, rappresen-ta un momento importante per il genitore. Tut-ti, a distanza di anni, si ricordano di cosa è sta-to detto loro e di come è stato detto, e una cat-tiva comunicazione ha un effetto traumatico sulgenitore. In generale, tutto ciò che tende a sot-tovalutare l’importanza della perdita e dellamorte di quel bambino è comunque inappropria-to: un bambino che muore è una perdita che col-pisce le persone nel nucleo più profondo dellaloro identità, non è mai, in nessun caso, un even-to trascurabile e non può essere consolato, so-prattutto in fase acuta.

Molte donne non dimenticheranno mai il mo-mento della diagnosi, e quello che accade subi-to dopo. Il comportamento degli operatori sani-tari può contribuire ad un miglior adattamentoalla situazione e facilitare ad esempio la natura-lità del parto, o rendere tutto più difficile. La pre-senza partecipe del ginecologo o dell’ostetrica inquesto momento è importantissima. La madre

non dovrebbe sentirsi sola, dovrebbe poter rice-vere un conforto nella presenza empatica e ras-sicurante. In alcuni casi serve il silenzio parteci-pe, in altri può servire una spiegazione sempli-ce delle cause, in altre basta uno sguardo uma-no. Sentirsi soli in un momento così drammati-co aumenta i livelli d’ansia e rende difficile unacorretta elaborazione del trauma.

Per non far sentire sola una persona basta sedersidi fronte a lei e ascoltare, senza preoccuparsi del fatto chepotrebbe piangere o potrebbe essere disperata. Lo sare-ste anche voi, al suo posto, è normale esprimere emozio-ni dolorose in questa situazione e l’unica cosa da fare èoffrire un sostegno, con una presenza partecipe.

La comunicazione con i genitori dovrebbeavvenire in modo diretto, semplice e partecipe;non ci sono frasi ideali, ma dire “Mi dispiace chevi sia capitato questo” può essere un buon ini-zio. Non è importante dire molto, o essere con-vincenti, essere partecipi è la cosa migliore chepossa essere fatta in quel momento. Non biso-gna mai spingere i genitori a parlare dell’accadu-to; soprattutto nel primo mese dopo la perditai genitori possono provare emozioni contrastan-ti, da un lato disagio, imbarazzo, timore di es pri -

Tabella 1 Riflessioni operative su una buona care in caso di lutto perinatale

1. Sii consapevole che ogni bambino è unico e irripetibile.

2. Non tentare di razionalizzare la perdita, di per sé NON razionalizzabile. Evitare frasi tipo “Ne farai altri” o “Hai già unbambino a casa”, “E’ stato meglio così”, “E’ la volontà di Dio”, “E’la natura che provvede quando c’è qualcosa che nonva nel bambino” “Ne puoi sempre avere un altro”.

3. Se vuoi, dì piuttosto “Mi dispiace”, “Deve essere davvero difficile” o, “Come posso aiutarti?”

4. L’età del bambino non ha alcuna importanza per stabilire l’entità della perdita: è importante comprendere che il legamegenitore-bambino inizia molto prima della nascita, e che il neonato è da tempo parte della sua famiglia.

5. Rassicura i genitori sul fatto che le loro espressioni di dolore e le intense emozioni associate alla perdita sono normali.L’intensità del lutto non è correlata all’età gestazionale.

6. Vivi il momento in piena consapevolezza, condividi la tristezza e le sensazioni di difficoltà con i genitori. Questo non si-gnifica affatto avere un comportamento non professionale. I genitori apprezzano grandemente medici, ostetriche e in-fermieri che esprimono sinceramente ed adeguatamente le loro emozioni.

7. Per i bambini che muoiono durante o subito dopo il parto pensate ad un modo discreto per segnalare rapidamente l’ac-caduto a tutto il personale, in modo da evitare spiacevoli equivoci (basta apporre sulla cartella un adesivo identificativoo mettere sulla porta della stanza un piccolo segnale).

8. Tratta quel bambino con la dignità che ogni essere vivente che non è più merita di ricevere.

9. E’ diritto di ogni genitore ricevere informazioni esaurienti, chiare ed adeguate relativamente ad ogni fase decisionale (dalparto, alle terapie ricevute, alle indagini post mortem, alla sepoltura).

10. E’ diritto di ogni bambino avere un proprio luogo dignitoso dove riposare in attesa della sepoltura, essere accudito percome è possibile, essere trattato con rispetto.

11. Raccogli pochi e semplici ricordi del bambino (peso, altezza, bracciale identificativo, metro usato per misurarlo, impron-ta delle mani e dei piedi, certificato di nascita o di battesimo ecc.): ciò è di grande conforto per molti genitori, soprattut-to qualche mese dopo la perdita, quando l’assenza del bambino è più difficile da sopportare.

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mere le loro reazioni emotive di pianto o dispe-razione; dall’altro assoluto bisogno di com-prensione e sostegno. E’ importante cercare didimostrarsi disponibili e soprattutto non evita-re l’argomento. Per i genitori percepire un po’di interesse può essere di grande conforto(“L’infermiera mi ha chiamato dicendo: lei è la mammadella piccola Anna, vero? Ha parlato di mia figlia, e misono sentita davvero capita.” “Nessuno pronuncia il suonome, nessuno la vuole ricordare.” “Alla visita di control-lo, il ginecologo mi ha chiesto se il bambino era cresciuto.Non si ricordava più che lui è morto dopo il parto”).

L’incontro con il bambino morto

Il momento del contatto diretto con il bam-bino è un momento molto importante. Come ènoto l’esperienza genitoriale inizia fin dal conce-pimento e, anche grazie alle frequenti ecografie,è possibile iniziare precocemente un legame vi-sivo con il bambino. Questo legame rinforza lenormali e comunque presenti fantasie maternee paterne sull’aspetto del bambino.

Il “bambino” immaginario ha delle suesembianze, il bambino reale ha una sua identitàfisica, che i genitori, soprattutto la madre, sen-tono profondamente per tutta la gravidanza. Almomento della nascita si realizza come è ovvioil primo tanto atteso incontro, incontro che è im-portante anche quando, purtroppo, il bambinoha smesso di vivere. Al momento della notizia re-lativa alla morte del bambino molte madri pro-vano sentimenti contrastanti, di dolore, paura, ri-fiuto dell’esperienza. Per questo motivo è pos-sibile che qualche madre resti incapace di deci-dere il da farsi, o non voglia assolutamente par-torire. E’ anche possibile invece che le madri chie-dano espressamente di partorire il prima possi-bile, perché provano l’amara sensazione di esse-re la bara del loro figlio. Questo momento è estre-mamente complesso: si affronta un grave trau-ma e inizia il percorso di adattamento ad unarealtà nuova e terribile, cioè l’elaborazione del lut-to. Una buona elaborazione inizia col riconosci-mento della perdita della persona cara e con l’e-secuzione di precisi rituali, culturalmente deter-minati, che sanciscono l’addio alla persona chenon c’è più. Nel caso della morte endouterina,è davvero molto triste dover dire ciao e addio allostesso tempo, e dall’esterno può essere difficilecomprendere tutto il significato e l’amore chesono contenuti in nove mesi di vita intrauterina;tuttavia è importantissimo non banalizzare mai

questa perdita, non sminuirla, non riferirsi a que-sto evento come passeggero e facilmente dimen-ticabile. Un percorso di vita si è interrotto bru-scamente, e inaspettatamente la famiglia deve sa-lutare un figlio senza averlo mai visto negli oc-chi, o senza mai averlo sentito piangere. In que-sti casi l’aspetto traumatico è molto forte, ed èpossibile che i genitori non sappiano assolutamen-te cosa è meglio per loro, e non abbiano idea dicome sia il percorso dell’elaborazione del lutto.Alcuni si lasciano andare alla rabbia, altri razio-nalizzano all’estremo, altri ancora subiscono unvero e proprio blocco emotivo per cui mettonouna sorta di pilota automatico e appaiono indif-ferenti a tutto.

Spesso ci sono molti timori e paure riguar-do alla morte e all’aspetto del bambino. L’ope-ratore può contribuire a dissolvere queste pau-re semplicemente descrivendo con onestà epartecipazione l’aspetto del bambino.

E’ importante offrire ai genitori la possibi-lità di abbracciare e toccare il loro bambino e ave-re qualche tempo per conoscere e salutare il pro-prio figlio, in un ambiente per quanto possibileprotetto. Bisogna tenere presente che i tempi direazione sono diversi da persona a persona e chesolitamente, dopo un parto avvenuto in circostan-ze così drammatiche e inusuali, la madre soprat-tutto può essere troppo affranta per pianificarequalunque cosa, nonché troppo spaventata all’i-dea di aggiungere dolore a dolore. Molte madrihanno una sorta di rifiuto e inizialmente chiedo-no di non vedere il bambino. Questa decisionepuò e deve essere ponderata, in modo da noncreare future angosce e sensi di colpa. Nonostan-te alcune ricerche condotte in modo sommariosuggeriscano che il modo migliore per supera-re il lutto sia “allontanarsene velocemente”,l’opinione di tutti i maggiori esperti internazio-nali di lutto perinatale e di counselling alle fami-glie va decisamente in direzione opposta, comeperaltro sembra confermare un recentissimo stu-dio condotto su 2.000 madri colpite da morte in-trauterina (15-18).

I genitori hanno bisogno di concluderequello specifico percorso di genitorialità con quelbambino, anche se le cose sono andate nel peg-giore dei modi. Le madri hanno assai spesso bi-sogno di dare un volto reale al bambino imma-ginario, hanno bisogno di conservare ricordi perpoter superare adeguatamente il lutto. Quelbambino e quella triste perdita sono nella loro vita,ne fanno parte, non saranno mai ridimensiona-te o cancellate dall’assenza di ricordi; disporre di

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ricordi è una parte importante del lutto, laddo-ve non avere nulla, aumenta la sensazione di pre-carietà e di vuoto che i genitori provano in que-sti casi.

Alcune madri chiedono esplicitamente di ve-dere il bambino già durante il travaglio; in que-sti casi l’operatore deve costruire un rapporto direciproca fiducia e tranquillità, e aiutare la ma-dre a prendere confidenza con il suo bambinoin modo graduale, senza fretta. Se non è possi-bile in sala parto, questo incontro può prosegui-re in camera, sotto la guida iniziale di un opera-tore. Solitamente, se l’operatore è tranquillo e bendisposto ad accogliere il dolore e l’amore dei duegenitori per il bambino perduto, è possibile chela madre e il padre esprimano il desiderio di pren-dere in braccio il bambino e stringerlo, non solodi guardarlo. Questo genere di richiesta va asse-condata, sostenendo i genitori nel primo approc-cio all’elaborazione del lutto.

Alcune madri preferiscono invece non vede-re i loro figli per paura di soffrire troppo; que-sta decisione va rispettata senza insistenze, maè opportuno riflettere insieme sui significati ge-nerali della maternità e della perdita della mater-nità, fornendo informazioni su cosa accade psi-cologicamente nei mesi successivi, e rassicuran-do sulla normalità di certi vissuti e pensieri del-la perdita (19).

Bisogna anche riflettere sul fatto che al di fuo-ri dell’ospedale, il percorso del lutto proseguiràinevitabilmente (certificazioni anagrafiche, riti fu-nebri, scelta delle modalità di sepoltura), ed i ge-nitori saranno chiamati a rapportarsi con la mor-te del proprio figlio in circostanze emotivamen-te difficili come, ad esempio, vegliare il figlio nel-la bara. In contesti così difficili, molti genitori rea-lizzano per la prima volta la realtà delle cose, ela loro ineluttabilità; sentono che dovranno de-finitivamente salutare il loro bambino e quindipossono provare improvvisamente ed impetuo-samente il desiderio di prenderlo in braccio o faredelle foto ricordo. Tale apertura verso il bambi-no e la “scoperta” di un’intimità genitoriale in unluogo non emotivamente neutro ma evidente-mente associato alla morte costituisce una poten-ziale e pericolosa fonte di trauma aggiuntivo (sonomolte le mamme che possiedono unicamente fo-tografie scattate prima del funerale, e che asso-ciano l’immagine del bambino alla bara, piutto-sto che alla sua famiglia). Considerato ciò, poterdiscutere coi genitori di cosa potrebbe essere piùopportuno fare per loro, anche raccontando te-stimonianze di altri genitori, e lasciare loro il tem-

po per decidere, è senz’altro la via più giusta dapercorrere (20).

Negli ultimi 50 anni, con l’incremento del-le tecnologie mediche (ecografia) e con il miglio-ramento delle condizioni igienico-sanitarie, la na-timortalità si è ridotta (circa 5 su 1.000 la mediadei Paesi occidentali). Partorire un figlio sano evivo rappresenta dunque una regola, e le mam-me, peraltro informate dei rischi di perdita lega-ti al primo trimestre di gravidanza, qui in Italianon sono messe a conoscenza dei rischi presen-ti durante i successivi trimestri di gravidanza.

Chi va incontro a morte perinatale subisceun doppio shock: la perdita del proprio figlio, ela totale disinformazione relativa a questo rischio.Questo doppio shock rende particolarmente dif-ficile mantenere una lucida aderenza alla realtà,e soprattutto, esaminare con cura e obiettività ciòche è meglio fare. Nelle ore successive alla dia-gnosi di morte endouterina il tempo si appiatti-sce, e pensare in modo progettuale al futuro è pra-ticamente impossibile. In un momento di così gra-ve shock, la madre è difficilmente in grado di fareprogrammi o di pensarsi in situazioni differen-ti, quindi non è capace di scegliere se non cor-rettamente assistita, e soprattutto se non le vie-ne dato il giusto tempo. Si deve programmare ladegenza della donna per tappe intermedie:

1) diagnosi2) ricovero in ambiente protetto (e con pre-

murosa assistenza; lasciare sola una don-na in attesa dell’induzione del parto ren-de tutto più difficile)

3) induzione e travaglio (le primipare posso-no essere in grave difficoltà; è necessarioun supporto ostetrico valido, per facilita-re la scelta del parto naturale e per con-durre il parto nel modo meno traumati-co possibile)

4) parto: (durante il parto NON si chiedo-no informazioni sul dopo, tipo vuole ve-dere il bambino, vuole fare l’autopsia) sirassicura la donna che ci sarà tempo emodo per decidere, e che in questo mo-mento è importante che lei si concentri sulsuo corpo, che sta lavorando per far na-scere il suo bambino (chiamare il bambi-no con il suo nome è molto significativoe importante per i genitori). Rispettare ilbambino, e l’essere comunque madre delladonna è molto importante. Procedere concalma e con sicurezza, mantenendo un ap-proccio empatico con la donna e rivolgen-dosi con delicatezza anche al piccolino può

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di per sé aiutare la donna ad esplicitare l’af-fetto che prova per il figlio, sciogliendo inparte il dolore e la paura per ciò che è ca-pitato

5) post-partum: se possibile riportare la ma-dre in camera, al riparo da altri neonati. Fa-cilitare la presenza del marito/compagno,e di un membro dello staff ospedaliero, cheaccompagni la fase di ripresa. Dopo qual-che tempo (15 minuti, mezz’ora), se i ge-nitori non hanno chiesto informazioni alriguardo, parlare delle diverse opzioni discelta riguardanti il bambino e il loro in-contro. L’argomento è molto delicato(per cui sarebbe opportuno condividerlocon i genitori senza la presenza di altri pa-renti, a meno che non siano esplicitamen-te richiesti dai genitori), ed è bene dare aigenitori il tempo per riflettere (consideran-do che abbiamo a disposizione circamezz’ora: per i primi trenta minuti il neo-nato mantiene una temperatura corporeacalda e dunque può essere preso in brac-cio con maggiore facilità, regalando ai ge-nitori una sensazione rassicurante e “nor-malizzante” (Quando mi hanno portato Alle-gra lei era avvolta nella copertina rosa, aveva le guan-ce tiepide, e sembrava che dormisse. L’ho presa inbraccio, ed è stata una sensazione meravigliosa, misono sentita a tutti gli effetti una mamma).

Conclusioni

L’assistenza ai bambini colpiti da morte pe-rinatale è un momento molto particolare, com-plesso ed emotivamente rilevante nella pratica cli-nica di ostetriche, infermieri e ginecologi.

La letteratura internazionale prevede unsostegno continuativo alla coppia genitoriale, fon-dato sulla partecipazione e sull’organizzazionecapillare di protocolli di intervento, che coinvol-gano figure intra ed extra ospedaliere in mododa creare un nucleo protettivo e partecipe (bril-lantemente riassunto dal concetto di “cure pal-liative” in caso di morte perinatale). In molti ospe-dali esteri è presente un servizio di assistenza psi-cologica per le famiglie e per i membri dello staffospedaliero, in modo da elaborare i vissuti di per-dita sia nei genitori che negli operatori coinvol-ti in fase acuta (e non tardiva, dopo le dimissio-ni, quando tutto è già accaduto).

Il rispetto ed il riconoscimento indiscutibi-le del valore di ogni vita è fondamentale per com-

prendere il dolore dei genitori e per intervenirein modo professionale ma empatico durante tut-te le fasi del percorso, dalla diagnosi alle visite difollow-up (Tab. 1).

Poter discutere con i colleghi dei propri vis-suti emotivi e dei ricordi personali associati adogni esperienza di perdita che avviene in repar-to è un modo semplice per aprirsi all’assistenzadei genitori con sensibilità ed empatia, e miglio-ra notevolmente il benessere psicologico dellostaff e della coppia genitoriale.

Bibliografia

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Premessa

Durante la gravidanza, tra madre e feto si creaun profondo legame; al momento del parto la ma-dre sente che questo legame viene spezzato e cheil figlio, con il quale ha condiviso tante emozio-ni, sta per lasciarla. Ciò può portare ad un con-flitto interiore molto intenso: la voglia di parto-rire il proprio bambino per vederlo, per avere uncontatto fisico con lui, per sapere se ciò che siera immaginato corrisponde alla realtà, contra-sta con il desiderio di non staccarsi dal figlio.Dopo il parto tuttavia, la donna si rende gradual-mente conto che tra lei e il suo bambino si in-staura un nuovo rapporto, un legame diverso, conun soggetto ora visibile e non più immaginario.In particolare, quando il neonato si attacca al seno,si ricrea quel legame che i due avevano in gravi-danza (1, 2, 4, 6, 9, 10). Anche per il neonato, co-munque, il passaggio dalle sensazioni del mon-do intrauterino a quelle del mondo esterno richie-de una complessa fase di riequilibrio; per far siche tale fase si svolga in modo proficuo, si puòanche utilizzare una pratica antica ed efficace: ilmassaggio infantile (3, 5, 7, 8). Il massaggio è unmezzo privilegiato per comunicare ed essere incontatto con il proprio bambino, in quanto fa-vorisce il legame di attaccamento, rafforza la re-lazione genitore-bambino, favorisce uno stato dibenessere nel bambino, aiuta il bambino a sca-ricare le tensioni provocate da piccoli malesserie può rivelarsi un buon sostegno nei disturbi delritmo sonno-veglia. La stimolazione tattile ha in-fatti effetti sia neurofisiologici sia comportamen-tali: toccare il bambino con affetto crea inoltre,

comunque, un senso di intimità, di amore, di si-curezza e di benessere. Il massaggio infantile nonè una sequenza di movimenti da compiere“meccanicamente”. E’ necessario creare un am-biente accogliente, sufficientemente caldo, conluci soffuse e suoni attutiti; un’atmosfera di agio,serenità e protezione. Il massaggio è praticato sul-la pelle nuda del piccolo: il bambino può esserespogliato man mano che si prosegue il massag-gio. E’ importante che il tocco sia gentile, deli-cato e ritmato. Con questi accorgimenti, il mas-saggio può costituire un valido strumento perrafforzare il legame madre-bambino.

Tenuto conto di quanto sopra e per un ri-scontro obiettivo è stato somministrato un que-stionario a donne che avevano frequentato il Cor-so di Massaggio Infantile tenuto presso la Scuo-la di preparazione alla nascita dell’Università diPerugia.

Materiale e metodi

Il campione, composto da 100 donne, cheavevano frequentato il Corso di Massaggio Infan-tile negli anni 2006 e 2007, è stato reclutato tra-mite richiesta di collaborazione alle donne da par-te dell’Insegnante di Massaggio al neonato del Cor-so di Preparazione alla Nascita. Il questionario,composto di ventidue domande (le prime sei ri-guardanti la fase prenatale, le altre sedici riguar-danti il rapporto madre-bambino dopo la nasci-ta) è stato somministrato alle donne per via telefo-nica, previo consenso delle stesse. Molte donne,oltre a rispondere al questionario, hanno propo-

L’Ostetrica ed il massaggio infantile

Analisi di un anno di attività didattica specificanella Scuola di Preparazione alla Nascita

dell’Università di Perugia

Giovanna Di Bartolomeo, Concettina Cacchionni, Anna Maria Di Paolo Corso di laurea in Ostetricia, Università di Perugia

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sto un racconto spontaneo della loro gravidan-za e della loro esperienza con il massaggio. Ciòè stato molto utile per ampliare il risultato dell’in-dagine con esperienze che hanno permesso di co-noscere il legame madre-prodotto del concepi-mento anche da punti di vista non trattati espli-citamente nel questionario. I risultati dell’indagi-ne si possono sintetizzare come segue. La mag-gior parte delle donne afferma di aver “parlato”con il bambino durante la gravidanza (Fig. 1).

Tutte le donne, in gravidanza, erano curiosedi vedere il proprio bambino: solo il 3% non ave-va mai avuto la curiosità di vedere il bambino, maaveva aspettato con calma la nascita (Fig. 2).

In correlazione a quanto sopra, alcune don-ne, in gravidanza, fantasticavano sull’immaginedel bambino: alcune si impegnavano in questa raf-figurazione con il compagno, altre tenevano talesegreto per se stesse (Fig. 3).

Alla nascita, le madri hanno provato nellaquasi totalità un forte attaccamento al proprio pic-colo (92%), mentre solo per una piccola percen-tuale (5%) l’emozione dell’incontro con il pro-prio bambino è stata minore rispetto alle aspet-tative. Pochissime sono le madri che ritengonodi aver provato una sensazione di estraneità neiconfronti del neonato (Fig. 4).

E’ noto che il bambino, per apprendere, ha in-nanzitutto bisogno della mamma: per il suo trami-te, anche mediante canzoni, suoni, filastrocche, poe-sie il bambino riesce ad imparare molto. Le mam-me in base alle risposte date al questionario (Fig. 5)hanno mostrato di conoscere questo aspetto; solouna percentuale minima di madri non ha mai avu-to un contatto “musicale” con il proprio bambino.

Il contatto fisico tra genitore e figlio è molto im-portante, e di questo le mamme sono a conoscen-za. Infatti la maggior parte di esse ha risposto che ilcontatto fisico aiuta a costruire il rapporto. Solo l’8%non ha saputo dare una risposta precisa (Fig. 6).

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Figura 1: Ha mai parlato con il suo bambino non an-cora nato?

Figura 2: In gravidanza era curiosa di vedere il suobambino?

Figura 3: Si è mai soffermata ad immaginare come sarebbestato fisicamente e caratterialmente il suo bambino?

Figura 4: Alla nascita ha sentito subito un forte attacca-mento al neonato?

Figura 5: Quando si rivolge al suo bambino, utilizza maicanzoni, suoni, filastrocche o poesie?

Figura 6: Secondo lei, è importante il contatto fisico tragenitore e bambino?

Si, per me era giàpresente

Qualche volta

No

Si, tantissimo

Si

No, ho aspettato

con calma la nascita

Si, anche mio marito eracoinvolto: fantasticavamoinsieme

Qualche volta me èpiaciuto pensarci

No, mai

L’ho visto

Si, moltissimo

Pensavo, sarebbestata un’emozionepiù forte

No, lo vedevo comeun estraneo

Si, spesso

Non frequentemente

Mai

Si, aiuta a cotruire ilrapporto

No, è solo una cosamarginale

Non saprei

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Il 99% delle donne ha affermato che ilmassaggio infantile è molto utile. I motivi sonodue: uno di ordine affettivo (aiuta la madre eil bambino ad aumentare il loro legame), l’al-tro fisico (aiuta la madre e il bambino a rilas-sarsi) (Fig. 7).

Il massaggio nell’opinione delle donne , haaumentato l’attaccamento tra madre e bambinonella maggioranza dei casi; il 16% ha espressodubbi in merito, mentre solo l’1% ha affermatodi non essere stata soddisfatta dal massaggio in-fantile (Fig. 8) sotto questo profilo.

Va rilevato, inoltre, che per la maggioran-za delle donne (63%) i benefici del massaggiosi prolungano nel tempo (Fig. 9); in un terzocirca, dei casi, i benefici vengono definiti comesolo transitori.

Per quanto riguarda specificamente il Cor-so di Massaggio Infantile, quasi tutte le mam-me hanno viste soddisfatte tutte le loro aspet-tative (Fig. 10).

La maggioranza delle mamme ha dichiara-to in particolare di avere apprezzato il fatto dipoter aumentare l’attaccamento al propriobambino.

Molte mamme hanno trovato utile l’esser-si trovate con altre persone aventi le stesse ne-cessità (avere dei bambini piccoli può infatti crea-re molte incertezze, che stando con altre per-sone possono essere almeno in parte elimina-te); altre mamme hanno gradito portare il lorobambino in un luogo dove vi erano altri neo-nati (Fig. 11).

Le mamme intervistate hanno quindi dichia-rato in complesso di essere state soddisfatte delCorso, per la organizzazione, per la definizio-ne degli obiettivi, per l’affiatamento e coinvol-gimento del gruppo, nonché per la risponden-za alle loro aspettative e per l’insegnamento ri-cevuto.

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Figura 7: Pensa che il massaggio neonatale sia utile?

Figura 8: Il massaggio ha aumentato l’attaccamento alsuo bambino?

Figura 9: Ha tratto benefici per sè e per il suo bambino?

Figura 10: Il corso di massaggio neonatale ha soddis-fatto le sue aspettative?

Figura 11: Quali aspetti del corso le sono maggior-mente piaciuti?

Si, aiuta me e il miobambino a comunicare,ad aumentare il nostrolegame

Si, aiuta me e il miobambino a rilassarci

No, credevo fosse piùutile

Si, da tutti i punti di vista

Forse, ma non nesono certa

No, non sono soddistatta

Si, adesso siamo unacoppia affiatata suqualsiasi fronte

A volte

No, la situazione èuguale al periodo pre -cedente al massaggio

Si, pienamente

Si, ma pensavamo miavrebbe coinvolto dipiù

No, affatto

Stare con altre persone con le stessenecessità

Aumentare l’attaccamento con il mio bambino

Portare il mio bambino in un luogodove ci sono altrineonati

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I risultati hanno permesso, in conclusio-ne, di osservare gradi abbastanza elevati diattaccamento materno-fetale nel campionedi donne utilizzato, e dall’altro, di afferma-re l’efficienza del Massaggio e i benefici sca-turiti dal suo utilizzo.

Le donne hanno confermato ciò che ri-sulta dalla letteratura: il Massaggio Infanti-le è utile sia per la madre sia per il bambi-no e per l’attaccamento che deve instaurar-si tra i due; la madre si rilassa e trova un nuo-vo modo di comunicare con il proprio bam-bino attraverso il contatto fisico, il bambi-no ne ricava benefici fisici e psichici in quan-to si rilassa ed inizia a percepire il propriocorpo mentre madre e bambino entrano insintonia.

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L’allattamento al seno nel neonato di madre

tossicodipendente con sindrome da astinenza

da narcoticiAnna Egidi*, Gabriele Cabiati**, Nicla Michiorri***

*Università di Perugia, Scuola di Specializzazione in Pediatria**Azienda Ospedaliera “S. Maria” Terni, Unità Organica di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale;

Giudice Ordinario Tribunale per i Minorenni di Perugia***Avvocato esperto di Diritto Minorile, Terni

Riassunto

Gli Autori presentano un’indagine su neona-ti figli di madre tossicodipendente nati dal gen-naio 1998 al maggio 2007 presso l’Ospedale“S. Maria” di Terni, che hanno manifestato unaSindrome da Astinenza da Narcotici.

Gli stessi, dopo aver richiamato gli aspetti cli-nici e terapeutici della Sindrome da Astinenza daNarcotici nel neonato, esaminano le implicazio-ni medico-legali della sindrome e le possibili for-me di tutela giuridica del neonato da parte del Tri-bunale per i minorenni.

Key words: Sindrome da Astinenza da Narco-tici e neonato; abuso neonato; sospensione po-testà genitoriale.

Introduzione

Il neonato di madre tossicodipendente si qua-lifica come un bambino ad elevato livello di ri-schio, non soltanto in corso di gestazione, ma an-che e particolarmente nel periodo perinatale.

In letteratura è documentato come le sostan-ze d’abuso provochino una dipendenza passiva

del neonato (da eroina, metadone, ecc.), come al-cune di queste sostanze (spesso associate fra loroe/o ad alcol e barbiturici) siano teratogene, comecompromettano in senso negativo lo sviluppo ce-rebrale fetale e come frequenti siano i parti prema-turi o i neonati di basso peso alla nascita (1-3).

I narcotici assunti dalla madre giungono alfeto attraverso la barriera placentare. Nel feto siaccumulano i metaboliti tossici in quanto i pro-cessi catabolici nei confronti delle sostanze cherichiedono attività enzimetica epatica (es. oppioi-di) risultano notevolmente rallentati in relazio-ne alla fisiologica immaturità del fegato e al po-tere escretivo renale, che - sempre nel feto - è fi-siologicamente deficitario.

Com’è noto il movente eziopatogenetico del-la Sindrome da Astinenza da Narcotici (SAN) èreperibile nelle interazioni tra sostanze oppioi-di e il sistema nervoso centrale.

La dipendenza fisica dal farmaco è la risul-tante dell’adattamento dell’organismo all’usoripetuto della sostanza in causa. A tale adattamen-to segue un nuovo assetto di diversi equilibriomeostatici, che viene a mancare bruscamentenel momento in cui si sospende l’introduzionedella sostanza che lo ha indotto. Spesso le ma-dri in trattamento metadonico assumono sostan-

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ze stupefacenti proibite, anche a breve distanzadal parto e dopo mesi di sospensione dall’assun-zione.

Sovente agli effetti della droga si possono as-sociare situazioni concomitanti, assai frequentitra i tossicodipendenti: malnutrizione, alcolismo,tabagismo, infezioni con possibile trasmissioneverticale, abitudini di vita irregolari, ecc., che ven-gono a costituire ulteriori fattori di rischio per ilnascituro.

A causa del passaggio transplacentare deglioppioidi e dell’adattamento dell’organismo a que-sti, durante la gravidanza la dipendenza fisica daoppioidi presente nelle gestanti si trasmette al pro-dotto del concepimento.

Nel neonato la gravità della Sindrome da Asti-neza da Narcotici non è soltanto in rapporto conil grado di tossicodipendenza materna, conl’entità e la distanza da parte dell’ultima dose as-sunta, ma anche con l’assunzione di più sostan-ze stupefacenti in cocktail (tipica l’assunzione dieroina in partorienti in trattamento metadonico).

La sintomatologia della Sindrome da Astinen-za da Narcotici nel neonato è tipicamente carat-terizzata da una serie di sintomi quali: ipertonomuscolare, ipereccitabilità, insonnia, tremori,convulsioni, vomito, diarrea, difficoltà di alimen-tazione, starnuti, sudorazione, febbre, tachi-pnea, tachicardia e ridotta interazione con l’am-biente (4-13).

L’astinenza da metadone compare nel 60-70% dei neonati, mentre quella da eroina si ma-nifesta con maggior frequenza, insorge più rapi-damente ed ha minore durata.

Le droghe di uso comune agiscono sul fetosecondo due diversi meccanismi, direttamentedopo il passaggio attraverso la placenta, ed indi-rettamente influenzando la circolazione utero-pla-centare e le condizioni di omeostasi materne.

Gli effetti sul feto possono essere molteplicie dipendono dal tipo di droga assunta, dal dosag-gio, dalla via e dalla durata dell’assunzione, dal pe-riodo di gestazione in relazione con l’ontogenesifetale, ed infine dalla quantità della droga che rag-giunge il feto e rimane nel compartimento fetale.

In epoca predifferenziata (fino alla 3a setti-mana) si verificheranno nel feto effetti del tipotutto/nulla, in epoca embrionale (3a-14a settima-na) hanno luogo in genere gli eventi malforma-tivi, in epoca fetale (14a-termine) si verificano ano-malie di ordine più funzionale che anatomico.

Una volta che il farmaco assunto dalla ma-dre raggiunge il feto, l’incidenza degli effetti av-versi feto-neonatali dipende non soltanto dalla

quantità che si concentra nel feto, ma anche dal-la relativa distribuzione della circolazione fetalea sistemi ed organi di importanza rilevante(SNC, fegato, reni), dalla permeabilità delle bar-riere (es. ematoencefalica), dalla presenza di re-cettori tissutali e dal metabolismo operato dal fetostesso sul farmaco.

Un elemento molto importante consistenel fatto che la concentrazione di albumina è mol-to più bassa nel sangue materno rispetto aquello fetale, per cui la capacità di legame del pla-sma per alcune droghe è doppia nel feto rispet-to alla madre, per cui si concentrerà nel SNC inquantità doppia.

Il feto ed il neonato pretemine sono più su-scettibili agli effetti delle droghe a causa della di-minuzione della parte di proteine leganti il far-maco, degli elevati livelli di bilirubina (che com-pete con il farmaco per il legame con le protei-ne), della scarsa mielinizzazione del SNC che con-sente il raggiungimento di elevate concentrazio-ni di farmaco, dell’aumentata permeabilità del-la barriera emato-encefalica.

L’abuso di cocaina durante la gravidanza è le-gata ad una più elevata frequenza di rottura pre-matura delle membrane e di aborti spontanei, dimorte fetale e di distacco placentare; quest’ulti-mo può provocare morte fetale intrauterina o, seil bambino sopravvive, maggiore incidenza di com-plicazioni neonatali e danno neurologico grave.

I neonati da madri tossicodipendenti presen-tano in genere un basso peso alla nascita, lunghez-za e circonferenza cranica inferiori alla norma edun basso indice di Apgar. Alcuni neonati posso-no manifestare sintomi da astinenza, se la madreha fatto uso di cocaina poco prima del parto, magli effetti sono diversi e meno gravi rispetto al-l’astinenza da narcotici.

L’obiettivo fondamentale del trattamento metadoni-co in gravidanza è quello di stabilizzare la paziente adun dosaggio di farmaco che impedisca l’insorgere di sin-tomatologia astinenziale e che le consenta l’abbandono del-le abitudini sregolate dettate dalla necessità di procurar-si la droga. Il conseguente miglioramento delle con-dizioni socio-ambientali ed emozionali favoriràun trattamento farmacologico adeguatamente in-tegrato con l’assistenza psicologica ed ostetrica.

E’ tassativo evitare l’astinenza, poiché ogni sintomoastinenziale che si manifesta nella madre può causare sof-ferenza cronica o acuta nel feto.

La disintossicazione con metadone va pre-sa in considerazione, sia per donne già in tratta-mento sostitutivo sia per donne che richiedanouna rapida disintossicazione, solo in presenza di

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un contorno di forte supporto o per profondemotivazioni personali (la gravidanza viene spes-so idealizzata ed il bambino vissuto come elemen-to di riscatto); in ogni caso la disintossicazioneva eseguita non prima della 14a e non oltre la 32a

settimana, per il rischio di aborto spontaneo e diparto pretermine.

Per moltissimi anni c’è stato grande dibattitosulla pratica dell’allattamento al seno per le madritossicodipendenti, soprattutto in quelle in terapiametadonica durante la gravidanza e dopo il parto;senza dubbio il metadone è la terapia migliore e rap-presenta a tutt’oggi il trattamento di scelta.

Ci sono forti evidenze secondo le quali il me-tadone, pur essendo come già detto la terapia discelta in caso di tossicodipendenza, è correlatoa maggior incidenza di prematurità, di ritardo dicrescita intrauterina (IUGR) e di microcefalia (Ar-lettaz, Kashiwagi et al.)

Esistono molti studi riguardanti la pratica del-l’allattamento al seno per le madri tossicodipen-denti, nei quali viene sottolineata l’importanza del-l’allattamento come sempre per la formazione delrapporto madre-figlio e l’assoluta sicurezza del-l’allattamento nel caso in cui la madre sia in trat-tamento con metadone; Jansson et al. hanno ef-fettuato uno studio sulle concentrazioni di me-tadone nel latte e hanno notato che, indipenden-temente dal dosaggio del farmaco, la quantità chesi ritrova nel latte è bassissima e all’interno deirange accettati (21-314 ng/ml).

Alcuni Autori consigliano comunque, soprat-tutto nel caso di dosaggi molto elevati di metado-ne, una sospensione dell’allattamento al momentoprestabilito, mai netta, ma graduale, per abituare ilbambino a dosi sempre più basse della sostanza.

Il concetto secondo cui c’è un minimo pas-saggio di metadone nel latte è presente in nume-rosissimi studi (Geraghty, Graham, Logan et al.,Lemire, Wilbourne et al., ecc.) i quali hanno raffor-zato l’idea che la compatibilità dell’allattamentoal seno con la terapia metadonica sia sicura.

L’allattamento al seno svolge un ruolo chia-ve nella formazione della diade madre-figlio edalcuni Autori l’hanno aggiunto a rooming-in comeelemento di ulteriore miglioramento: il roo-ming-in è associato ad una significativa riduzio-ne della necessità di trattamento in corso di Sin-drome da Astinenza da Narcotici (Abrahams, Kel-ly, Payne et al.)

In tutti quei neonati in cui si viene a deter-minare una Sindrome da Astinenza da Narcoti-ci c’è alla base una caratteristica psichica tipicadella madre tossicodipendente, rappresentata dal-

la mancata attivazione di alcuni meccanismipsichici di protezione (paura verso la morte suae del feto o verso possibili malformazioni del fetostesso), che sviluppano un’attenzione ed una tu-tela, tutte materne, nei confronti del prodotto delconcepimento. Il perseverare della gestante nel-la condotta di tossicodipendenza evidenzia que-sto negativo, peculiare atteggiamento psichico.

E’ evidente che nei casi di neonati in condi-zione di Sindrome da Astinenza da Narcotici sus-siste per il medico dell’Unità Organica di Neo-natologia ospedaliera l’obbligo di segnalazione delfatto all’Autorità Giudiziaria (Procura della Re-pubblica o, meglio, Tribunale per i Minorenni).L’omissione di tale obbligo “notizia criminis” è san-zionabile come reato (art. 361 e 362 c.p.) (18).

L’intervento iniziale del Tribunale per i Mi-norenni si estrinseca nella prima fase attravesola “limitazione della potestà genitoriale”, sottoforma della non dimissione dall’Unità Organicadi Neonatologia o - meglio - della emissione diun provvedimento di “non consegna ad alcuno”del neonato. Provvedimento che è sovente asso-ciato all’apertura di un “procedimento di adot-tabilità” al fine di consentire ai servizi pubblicipreposti di avviare un’approfondita indagine su-gli aspetti prognostici delle reali capacità dei ge-nitori naturali o di quelli adottandi (14-17).

Per questa serie di motivi di ordine giuridi-co-tutelare la permanenza in ospedale si protraeper questi neonati per diversi giorni, ben oltre ildivezzamento dal metadone, soprattutto perchéi servizi sociali locali non possiedono struttureidonee o non sono collegati con comunità in gra-do di accogliere neonati, anche temporaneamen-te (18, 19).

Materiali e metodi

Nella presente indagine sono stati inseriti ineonati nati dal gennaio 1998 al maggio 2007presso l’Azienda Ospedaliera “S. Maria” di Ter-ni, figli di madre tossicodipendente e che alla na-scita hanno presentato una Sindrome da Astinen-za da Narcotici.

Su un totale di 10.036 nati, sono stati 35 i casidi neonati da madri tossicodipendenti affetti da Sin-drome da Astinenza da Narcotici, nei quali è coe-sistente anche la possibilità di trasmissione verti-cale di infezioni del genere HBV, HCV e HIV.

La gravità della sintomatologia della Sindro-me da Astinenza da Narcotici è stata valutata me-diante ricorso ad un sistema standardizzato de-

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finito come “punteggio di Finnegan”, con valu-tazione delle condizioni del neonato 2 ore dopola nascita e poi ogni 4 ore con assegnazione direlativi punteggi.

E’ stata avviata una terapia farmacologica neicasi in cui lo score, secondo Finnegan, è risulta-to maggiore o uguale a 8, o se - indipendentemen-te dal punteggio totalizzato - erano comparse con-vulsioni o sintomi gravi (diarrea e/o vomito condisidratazione).

Si è seguito inoltre il percorso della diade ma-dre-lattante e si è verificata l’adesione alle pro-cedure di recupero genitoriale indicate dal Tri-bunale per i Minorenni, in funzione dell’allatta-mento materno.

Risultati dell’indagine

L’esordio della Sindrome da Astinenza daNarcotici o nei casi trattati è stato alquanto pre-coce (sovente prima delle 48 ore dalla nascita) siain quella indotta da metadone che in quella de-terminata da eroina. E’ stato rilevato un picco trala sesta e la decima giornata di vita.

Il trattamento medico usato è stato quellometadonico, con tempi di trattamento, però, piut-tosto lunghi (durata media di circa 32 giorni e ta-lora raggiungendo dosaggi massimi). In 6 casi èstato associato il diazepam specie durante la te-rapia a scalare, sebbene l’efficacia sia controver-sa (3, 12, 20, 21).

Quasi nessuna delle madri ha dichiarato l’u-so degli stupefacenti anche di fronte all’eviden-za clinica della Sindrome da Astinenza da Nar-cotici dei propri figli; uso ammesso soltanto dopoanalisi e contro-analisi dei dosaggi urinari di con-trollo sul neonato.

Per tutti i casi, dal momento della limitazio-ne della potestà genitoriale al momento della di-missione, sono passati in media 46 giorni (mini-mo 27, massimo 89).

Ogni trattamento sanitario che prevedesse ilconsenso genitoriale è stato deciso dal Diretto-re dell’Unità Organica di Neonatologia dopo avercomunque informato il Tribunale per i Minoren-ni sulle alternative e sui possibili rischi.

Nelle esperienze vissute non sono mancatimomenti difficili o di tensione, rappresentati datentativi della madre, sottoposta all’influenza disostanze stupefacenti o alcoliche, di non rispet-tare lo statuto e di riprendersi il neonato, o ma-nifestazioni di pericolosità di questa per manipo-lazione non corretta del minore.

L’esperienza del nostro Reparto in quanto allapromozione dell’allattamento materno è ampia.Normalmente le madri vengono edotte ed edu-cate in merito all’utilità di questa pratica, trami-te la distribuzione di materiale informativo e lacomunicazione diretta con il personale medico,ostetrico ed infermieristico.

Le madri inoltre sono invitate ad esporre i lorodubbi e domande per fare sì che alla dimissionel’allattamento sia pratica nota e consolidata.

Nel caso della madre tossicodipendente lapratica di educazione risulta più complessa, inquanto appena dopo il parto il neonato dovrà es-sere ricoverato in una Unità di Neonatologia aprescindere dal suo stato di salute generale, perconsentire l’esecuzione degli esami ematochimi-ci, tossicologici ed infettivologici di routine e de-gli esami strumentali (ECG, EEG, eco cerebra-le, ecc.) atti a verificare l’eventuale presenza di al-terazioni secondarie o meno all’abuso maternodi sostanze durante la gravidanza.

Nel contempo sono stati eseguiti gli esamiematochimici, tossicologici ed infettivologicianche alla mamma, per escludere situazioni pa-tologiche che potessero rappresentare controin-dicazione all’allattamento.

Nei giorni immediatamente successivi, si pro-cedeva al graduale avvicinamento della donna allagestione quotidiana del bambino e all’allattamen-to, non prescindendo naturalmente dai risultati del-le analisi infettivologiche effettuate e nel caso in cuinon esistessero controindicazioni all’allattamento.

Diversi sono stati gli epiloghi delle vicende:alcune a lieto fine sono sfociate in un’adozione,affidamento parentale o etero-familiare del neo-nato; altre purtroppo con triste epilogo.

Per molti casi la soluzione è stata reperita me-diante l’inserimento della triade (neonati e genitoritossicodipendenti) nelle Comunità di Recupero.

Il problema maggiore è stata la scarsa dispo-nibilità delle Comunità di Recupero all’inserimen-to immediato della coppia genitoriale durante laterapia metadonica, con allungamento dei tem-pi di degenza del neonato presso l’Unità Orga-nica di Neonatologia.

Tale soluzione è stata accettata anche da ge-nitori tossicodipendenti di “vecchia data”, chehanno vissuto la nascita del figlio come occasio-ne ultima di riscatto dall’uso di sostanze stupe-facenti, anche quando in precedenza non avreb-bero mai accettato l’inserimento in una Comu-nità di Recupero.

L’adesione alla Comunità è stata quasi sem-pre un successo per le madri, mentre molti pa-

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dri hanno rinunciato dopo vario periodo a pro-seguire il percoso terapeutico, con conseguentesospensione della potestà genitoriale.

In 4 casi, uno di madre nubile dedita all’u-so di cocaina e in 3 coppie, si è scelto di recupe-rare la famiglia tramite un progetto del SERT lo-cale. Purtroppo uno di questi neonati con Sin-drome da Astinenza da Narcotici dopo circa unmese dalla dimissione (terzo mese di vita) è sta-to vittima di una S.I.D.S (sudden infant death syn-drome o morte in culla).

Otto casi di neonati con Sindrome da Asti-nenza da Narcotici, in cui la problematicità dei ge-nitori (fra cui un caso di ragazza madre con tra-smissione verticale di HCV al neonato) non hapermesso di elaborare un progetto di recupero dal-la tossicodipendenza, si sono conclusi con l’ado-zione, in 4 casi da parte di familiari resisi dispo-nibili e in 4 casi con adozione eterofamiliare.

Possiamo affermare che l’allattamento ha gio-cato un ruolo chiave nel destino delle madri e deiloro figli.

Nella quasi totalità dei casi il legame instau-ratosi tra la mamma ed il bambino attraverso l’al-lattamento è stata la molla che ha spinto le ma-dri ad accettare l’ingresso in comunità e a sotto-porsi a percorsi di disintossicazione, esperienzenotoriamente difficili da affrontare per personecon questo tipo di problemi.

Tutte le madri che avevano iniziato ad allat-tare il proprio bambino durante la degenza inospedale hanno accettato di buon grado l’ingres-so in strutture di recupero, probabilmente spin-te da diverse motivazioni; in primis il forte de-siderio di tenere e crescere il figlio, con cui ine-vitabilmente si era creato un legame ‘’speciale’’,senza oltretutto incorrere nel rischio di perderela potestà genitoriale e quindi il bambino stesso;in secundis, il bambino appena nato rappresen-tava una importantissima possibilità di riscattopersonale e di riappropriazione di autostima e diconsapevolezza di potersi prendere cura e di es-sere utile ed importante per qualcuno.

In particolare ci preme sottolineare come, alcontrario, nei casi in cui per svariati motivi lamamma non ha potuto da subito allattare il pro-prio bambino, la situazione a distanza si è pre-sentata profondamente diversa. Queste donnehanno accettato se non in minima percentualel’ingresso in strutture deputate al loro recuperoed il follow-up a distanza per quanto riguarda lacontinuazione e la ripresa dell’uso di sostanze stu-pefacenti e lo stile di vita ad esse collegato ha di-mostrato un miglioramento pressoché nullo; na-

turalmente i bambini sono stati in questi casi tol-ti alle madri e affidati ai servizi sociali per esse-re inseriti in percorsi di adozione, intra ed extra-familiare come già detto.

Ciò a dimostrare ulteriormente che il preco-ce incoraggiamento della pratica dell’allattamen-to al seno è un fondamento imprescindibile peril recupero non solo della madre dal punto di vi-sta sociale e sanitario, ma dell’intera famiglia.

Conclusioni

In conclusione corre l’obbligo di ribadire che,se da una parte il senso di umanità e di amore ver-so un essere indifeso (qual è il neonato), devonoessere patrimonio di ogni singolo operatore atti-vo nell’ambito neonatologico, quest’ultimo deve es-sere adeguatamente informato, preparato e forma-to sui temi giuridici, medico-legali, psico-socio-re-lazionali ed assistenziali inerenti queste situazioni.

Gli operatori neonatologi debbono ben cono-scere tutti gli interventi tesi ad eliminare le condi-zioni di disagio, dovendo svolgere anche attività disostegno al genitore inadeguato, in modo tale che,ove possibile, recuperi una capacità genitoriale.

Le professionalità che si occupano dei bam-bini dalla primissima infanzia all’adolescenza, ne-cessitano di una formazione di base che preve-da non solo conoscenze cliniche, ma anche que-sti concetti e un aggiornamento continuo.

Le ultime acquisizioni sul funzionamento esullo sviluppo della mente infantile e sulle pos-sibilità di intervento sul maltrattamento, risulta-no di aiuto ai bambini, solo se le persone che sioccupano di loro hanno tale bagaglio professio-nale e, soprattutto, sanno porlo in pratica, ge-stendo situazioni come quelle descritte.

Molto può essere fatto per prevenire le diffi-coltà dello sviluppo attraverso un’attenzione par-ticolare alla salute del feto e del neonato e assicu-rando loro uno sviluppo più adeguato possibile.

Le Unità Organiche di Ostetricia e di Neona-tologia possono e devono diventare setting per unaprevenzione precoce dell’abuso nei neonati da ge-nitori tossicodipendenti, perché un normale attac-camento tra neonato ed essere adulto è il presup-posto per la creazione di “una base sicura”, su cuicostruire tutti i successivi rapporti esistenziali.

E’ stato ampiamente dimostrato quali sianoi danni provocati a breve e lungo termine sul neo-nato per l’uso di sostanze narcotiche in gravidan-za, mentre molto poco si è meditato sui proble-mi legati ad un’adeguatezza delle cure e degli in-

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terventi di tutela giuridica fin dai primi istanti divita o addirittura già nel grembo materno.

Proprio sull’importanza delle primissimedinamiche relazionali si fondano le possibilità diuna prevenzione primaria e precoce, basata sul-l’individuazione delle famiglie a rischio e sulla ri-mozione tempestiva e mirata dei fattori di rischio.

I lunghi tempi di degenza, seguenti al decre-to di “non consegna ad alcuno” emesso dal Tri-bunale per i Minorenni in conseguenza dell’aper-tura di un “procedimento di adottabilità” per quelminore, sono condizionati sia dalle necessità dinursing e di intervento medico per il trattamen-to della Sindrome di Astinenza da Narcotici, maanche e soprattutto dal necessario accertamen-to delle capacità genitoriali, dal loro possibilerinforzo tramite interventi di sostegno, dalla di-sponibilità all’inserimento dell’intero nucleo fa-miliare e quindi - quale “ultima ratio”- dalla pos-sibile adozione del minore.

Conoscere e saper intervenire in questaparticolare forma di abuso significa spesso inter-rompere una probabile spirale di violenza futu-ra, dando così la possibilità ad un bambino di unavita sicura e di una crescita sana ed equilibrata (22).

Come abbiamo espresso e dimostrato in pre-cedenza, l’allattamento rappresenta un mezzo fon-damentale per la costruzione di una relazione ade-guata e sana tra la mamma ed il suo bambino e,soprattutto, per indirizzare il destino futuro del’in-tero nucleo familiare di cui essi fanno parte.

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Alcuni aspetti curativi legati ad appropriate stimolazioni sen-soriali hanno sempre fatto parte della cultura medica sin da-

gli albori di questa disciplina. Nel ricercare una selezione di arti-coli per questa rubrica, mi sono imbattuto in alcuni articoli che,al di là della singolarità degli argomenti trattati, mi sono sembra-ti interessanti proprio per il loro approccio più vicino ai temi trat-tati dalla Rivista, pur affrontando delle tematiche molto delicatee rilevanti in ambito perinatale. Si tratta per lo più di studi pic-coli che necessitano di conferme successive, ma che aprono in-teressanti scenari per un trattamento meno invasivo anche su aspet-ti di patologia importanti.

Olfactory stimulation prevents apnea in premature newbornsMarlier L, Gaugler C, Messer J. Pediatrics 2005; 115: 83-8.

Sebbene non recentissimo, questo articolo si è distinto comecaposcuola della neonatologia moderna per impostazione e visio-ne nei confronti della terapia delle apnee. Lo sviluppo dell’olfattoè ben presente già precocemente nella vita intrauterina, stimolan-do continuamente il feto mediante una serie composti (si parla dialmeno 120) veicolati attraverso il liquido amniotico. Parimenti, èstato dimostrato che esperienze sensoriali avvengono attraverso iltrasporto di molecole dal circolo materno nella placenta e quindinel circolo fetale tanto da far ipotizzare, ad esempio, una “cono-scenza” già in utero di alcune caratteristiche organolettiche del lat-te materno da parte del feto. Per questi motivi la nascita pretermi-ne non sarebbe di ostacolo all’utilizzo di terapie sensoriali attraver-so le vie olfattive.

Per la terapia delle apnee centrali l’approccio tradizionale è nor-malmente basato sull’utilizzo di xantine e doxapram, le quali pon-gono problemi relativi ad effetti collaterali oltre che ad una rispo-sta non sempre efficace; questo gruppo di Strasburgo ha sperimen-tato la somministrazione di vanillina proprio nei pretermine non re-sponders al trattamento farmacologico.

Nello studio venivano arruolati 14 pretermine, nati fra la 24a

e la 28a settimana postconcezionale e al momento dello studio dietà gestazionale compresa fra le 27 e le 31 settimane p.c., clinica-mente stabili e non in ventilazione con CPAP.

La registrazione dei fenomeni apnoici avveniva su 3 giorni: ilprimo e il terzo di non trattamento, il secondo in concomitanza del-la somministrazione di 15 gocce di una soluzione a base di vanil-lina (che produce lo stesso odore della vaniglia) sul cuscino dellaculla. Emergeva che durante la somministrazione di vanillina (se-condo giorno) si assisteva ad una importante riduzione delle apnee(c.a. 33 nei giorni 1 e 3 vs 22 il giorno 2). L’effetto era presente in12 dei 14 neonati.

Due ipotesi venivano formulate per supportare l’effetto di talestimolazione:• un effetto “centrale” della vanillina sui centri del respiro, me-

diante passaggio delle molecole inalate nei capillari della mu-cosa nasale;

• un effetto facilitante della vanillina sullo stress.Il trattamento appare promettente in quanto semplice da som-

ministrare, privo di effetti collaterali ed economico oltre che efficace.

The effect of the odour of mother’s milk on breastfeding beha-viour of premature neonatesRainbault C, Saliba S, Porter RH. Acta Pediatrica 2007; 96: 368-71.

L’articolo parte dalla considerazione che l’odore del latte ma-terno facilita l’inizio dell’allattamento al seno guidando il neonatoverso il capezzolo e provvedendo a stereotipare i movimenti di su-

zione, fondamentali all’istituzione di tali automatismi. Di contro,una capacità di suzione precoce è poco sviluppata nei neonati pre-termine, tuttavia tali patterns appaiono migliorabili con la cresci-ta e l’esperienza.

Un gruppo di 13 neonati con età gestazionale alla nascita com-presa fra 30 e 33 settimane, clinicamente stabili e in respiro spon-taneo veniva randomizzato in due sottogruppi per ricevere una sti-molazione olfattiva con latte materno fresco (7) o con acqua (6).La stimolazione con latte materno avveniva a 35 settimane p.c. perun periodo di 120 sec. prima di un tentativo di allattamento al senoper 5 giorni consecutivi. Un secondo trial era effettuato nei 2 gior-ni precedenti la dimissione. I patterns comportamentali analizza-ti erano i seguenti: tempo di latenza del grasping verso il capezzo-lo, durata e numero di salve di suzione (composte da almeno 7 mo-vimenti di suzione ognuna), durata della sessione di suzione. Unadoppia pesata veniva effettuata al termine di ogni sessione al finedi determinare la quantità di latte assunto. Veniva inoltre registra-ta l’età gestazionale alla dimissione.

I pretermine sottoposti a stimolazione con latte materno mo-stravano salve di suzione più lunghe e di numero più elevato rispet-to a quelli stimolati con acqua. Inoltre assumevano maggiori quan-tità di latte oltre ad esser dimessi prima del gruppo di controllo. Itentativi di avvicinamento al capezzolo non differivano sostanzial-mente fra i due gruppi.

Nel complesso emergeva l’effetto di promozione all’allattamen-to al seno che una breve stimolazione olfattiva con latte maternoesercitava su neonati pretermine in termini di una maggior efficien-te attività di suzione e maggior prontezza ad alimentarsi al seno ol-tre al minor periodo di ospedalizzazione.

Chocolate consumption in pregnancy and reduced like-lihood of preeclampsiaTriche EW, Grosso LM, Belanger K, Darefsky AS, Benowitz NL, BrackenMB. Epidemiology 2008; 19: 459-64.

Prendendo spunto dal recente Congresso tenutosi lo scorsoOttobre 2008 a Perugia in tema di Cioccolato, donna, gravidanza, misembrava opportuno approfondire con un riferimento bibliogra-fico uno dei temi discussi in tale contesto. Le note proprietà del cioc-colato legate alla presenza di flavanoli (antiossidanti), xantine e fer-ro hanno spinto alcuni gruppi a ricercare gli effetti di tale cibo sul-la gravidanza, spinti peraltro dall’osservazione di alcune popolazio-ni dell’America centromeridionale, che utilizzano il cioccolato datempi antichissimi mostrando una bassa incidenza di malattie car-diovascolari e di gestosi.

Proprio quest’aspetto veniva preso in analisi in questo studioprospettico. Una coorte di 2.291 donne, arruolate da 1996 al 2000,che avevano partorito dopo gravidanza singola, avevano registra-to il consumo di cioccolato durante il primo e il terzo trimestre digravidanza. Era stata inoltre dosata alla nascita la concentrazionesierica di teobromina, la principale xantina del cioccolato, su san-gue cordonale.

I risultati ottenuti evidenziavano che l’assunzione di ciocco-lato era inversamente correlato allo sviluppo di ipertensione in gra-vidanza; nello specifico donne che assumevano 5 porzioni di cioc-colato a settimana mostravano un ridotto rischio di incidenza dipreeclampsia sia nel I trimestre (aOR = 0,81) sia nel terzo (0,60),rispetto alle donne che ne consumavano solo una porzione a set-timana. La concentrazione di teobromina cordonale correlava ne-gativamente con lo sviluppo di preeclampsia. Sarà questa la stra-da per non considerare più il cioccolato solo il cibo dei golosi?

Scelti per voiUna panoramica sulla più recente letteratura in tema di...

…dove c’è (olfatto e) gusto…!!?A cura di Francesco Tandoi

Collaboratori: Arianna De Martino, Lorenzo Giacchetti

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Rivista Italiana Care in Perinatologia 1/2009

Corsi dell’Associazione Italiana per la Care in Perinatologia

www.careperinatologia.it

18-19 maggio 2009“Educazione prenatale, vita prenatale e neona-tale (educare i genitori durante la gravidanza)” (19 crediti) Crediti ECM richiesti per medici, ostetriche, infermiere pediatriche e professionali, assisten-ti sanitari, educatori professionali, psicologi.Costo 180 euro, max 20 partecipanti.

8-9 giugno 2009 “La stabilizzazione del neonato”(20 crediti)Crediti ECM richieste per medici, ostetriche, infermiere pediatriche e professionali, assisten-ti sanitari, educatori professionali, psicologi.Costo 180 euro, max 20 partecipanti.

24-25 settembre 2009 “Il neonato che non respira”(18 crediti) Crediti ECM richiesti per medici, ostetriche, in-fermiere pediatriche e professionali, assistenti sa-nitari.Costo 180 euro, max 20 partecipanti.

19-20 ottobre 2009 “Pronto Soccorso emozionale”(18 crediti)Crediti ECM richieste per medici, ostetriche, infermiere pediatriche e professionali, assisten-ti sanitari, educatori professionali, psicologi.Costo 180 euro, max 20 partecipanti.

3-4 novembre 2009 “Il pianto del neonato e del lattante come ge-stirlo. L’uso della fascia, prove pratiche”(20 crediti)Crediti ECM richieste per medici, ostetriche,

infermiere pediatriche e professionali, assistentisanitari, educatori professionali, psicologi.Costo 100 euro, max 20 partecipanti.

16-17 novembre 2009 “Assistenza della madre e del neonato in acqua”(20 crediti)Crediti ECM richiesti per medici, ostetriche, in-fermiere pediatriche e professionali, puericultrici,assistenti sanitari, assistenti sociali, psicologi.Costo 180 euro, max 20 partecipanti.

9-10 dicembre 2009 “Kangaroo Mother Care e assistenza persona-lizzata del prematuro”(18 crediti)Crediti ECM richieste per medici, ostetriche, in-fermiere pediatriche e professionali, educatori pro-fessionali, psicologi.Costo 180 euro, max 20 partecipanti.

Convegni

I Sessione 23 Marzo/28 Settembre 2009 II Sessione 20 Aprile/19 Ottobre 2009Corso di aggiornamento teorico-pratico peranestesisti rianimatori “Ecografia nei pazienti in terapia intensiva”

15 maggio 2009“Dissincronia & Resincronizzazione Cardiaca”

Home and AbroadUno sguardo a convegni, corsi ed eventi, in Italia e all’estero,

che hanno come tema la “care” in medicina perinatale

Iscrizioni e informazioni: Monika Stablum,

Tel.: 3383679491 dalle 15:00 alle 18:00 e-mail: [email protected]

Iscrizioni e informazioni: Eidomedica S.r.l. Via Aurelia, 678-00165 Roma

Iscrizioni: Eidomedica: fax 06/66502953e-mail: [email protected]

Docenti: Arturo Giustardi - Monika StablumSala Kolping, Via Ospedale - Bolzano

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