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MALPENSA, LINATE, ALER: LO STESSO NODOLuca Beltrami Gadola

Le tre vicende delle quali parlo, inparticolare Malpensa (con l’annessahandling) e Aler, hanno caratteri si-mili. Per le amministrazioni pubbli-che attuali sono una pesante eredità

del passato con la quale si è co-stretti a fare i conti. Tutte e duescontano pesanti vizi di origine: perMalpensa un progetto nato più daragioni politiche che da un appro-fondito esame delle prospettive e-conomiche di redditività o di utilitàcomplessiva; per Aler (già IACP) unmodo di rispondere alla reale ne-cessità di case a basso costo per iceti meno abbienti, sostenuto vigo-rosamente da attese elettorali dellaDC.La deriva è stata la stessa: assun-

zioni clientelari, consigli di ammini-strazione nominati seguendo in par-ticolare il manuale Cencelli in tuttele sue possibili versioni: per pesopolitico, per rappresentanza sinda-cale, per appartenenza a organiz-zazioni della società civile più o me-no identificabili. Ognuna ha poi ge-nerato società possedute e control-late, spesso con il solo obbiettivo difar proliferare consigli di ammini-strazione remunerati. Fin che labarca va, ossia fino a quando i bi-lanci reggono, magari con sostan-ziosi apporti di denaro pubblico (e irelativi fulmini della UEE), tutti desi-derano metterci su le mani maquando le cose cominciano a nonandare per il verso giusto tutti vo-gliono liberarsene. Per Malpen-

sa/Linate il problema si complicaper il legame con le sorti di Alitalia.Proteggere Alitalia garantendole di-ritti di atterraggio preferenziali suidue aeroporti lombardi vuol dire sal-

vare Alitalia nel suo assetto attualema Etihad per entrare nel capitale di Alitalia vuole mano libera, come direche vuole guardare al mercato enon ai nostri precari equilibri politicie ai relativi interessi elettoral-territoriali. Tra il ministro Lupi, il go-vernatore Maroni e il sindaco Pisa-pia è iniziato un menage a trois diseparati in casa. Il compito più diffi-cile sembra quello del ministro Lupiche dietro di sé ha un quarto convi-tato, i famosi cavalieri senza mac-chia (!) e senza paura (?) che spinti

da Berlusconi e col miraggio di altriconsistenti favori, hanno acconten-tato l’allora primo ministro buttandosoldi nel forno di Alitalia. Come sidice oggi: ”Un bel casino”.Per Aler le cose sono più semplici.Fallito il tentativo di sbarazzarsi delproblema vendendo il patrimonio diedilizia pubblica, fallimento che qua-lunque non decerebrato avrebbeprevisto, l’affanno per trovare unasoluzione parte dal fondo del pro-blema, ossia dalla governance, conla complicazione, non manca mai, diuna convenzione tra Aler e il Comu-ne di Milano nata sotto il regno Mo-ratti e frutto delle tortuosità propriedegli avvocati amministrativisti chel’hanno redatta. La solita architettu-ra giuridica perfetta dove il meglio è

nemico del bene ma trionfa, consoddisfazione di tutti.Come venirne fuori? Non lo so e seanche lo sapessi non mi azzardereia dare consigli, e per non sprecare

tempo e perché tanto nessuno ti a-scolta. Però qualche commento sipuò fare. Perché ci si occupa primadella governance e poi dell’effi-cienza delle aziende? Perché è piùsemplice spartire che non gestire?E ancora: in tutto questo turbinio ditrattative chi rappresenta gli interes-si dei cittadini utenti e comunque ditutti quelli che non hanno una rap-presentanza organizzata?Non sono un fanatico renziano, maquando il nostro premier consulta le“ parti sociali” e se non sono

d’accordo, dice ”Ce ne faremo unaragione”, cattura una po’ della miasimpatia: mi sono sempre doman-dato chi rappresenti i non rappre-sentati (consumatori, utenti, mas-saie di Voghera, l’uomo della str a-da, tutti quelli che per atteggiamentodi comodo sono spesso relegati nelruolo di qualunquisti). Anche quiuna risposta l’avrei ma non voglioportare acqua al mulinodell’antipolitica e della demagogia.Però una cosa è certa: se la solu-zione ai problemi di cui ho parlato ècon strategie in continuità con quel-le passate, nessuno si deve stupiredel successo del movimento 5 stellee compagnia cantante.

LA SALUTE E IL CITTADINO CAVIA: IL COMUNE DECIDE PER NOI? Antonella Nappi*

Vogliamo rendere la tutela primariadella salute una pratica non generi-ca ma puntuale della amministra-

zione comunale e un progetto politi-co delle donne. Vogliamo rendereMilano più salubre e i cittadini piùconsapevoli di quanto corpo e salu-te siano il loro patrimonio di forza edi sicurezza a cui non rinunciare.Il programma di Pisapia, fa accennoa “un’idea più femminile di salute datrasmettere e far vivere”…”da af-fermare con campagne di preven-zione”e con “la realizzazione di in-formazione e cura sul territorio”. Ledonne infatti hanno più degli uominiesperienza di osservazione, crescitae cura dei corpi; questa cultura delcostruire salute e benessere è rima-sta arginata nel privato e oggi ri-schia di sparire anche di là, tantoprevale la cultura pubblica patriarca-

le che abusa dei corpi e della saluteper raggiungere altri scopi: econo-mici e di consenso. Noi vogliamo

rivalutare l’ottica delle donne sullasalute e farne un progetto politicocollettivo.La salute dipende più dalla salubritàdell’ambiente che dalla medicina, loscrivono epidemiologi, demografi emolti medici. Spesso non vogliamopensare che l’ambiente in cui vivia-mo possa danneggiare gravementela nostra salute: per non aver paura,per non arrabbiarci, per non sentirciimpotenti! Ma è più conveniente da-re voce al desiderio di difenderci edi essere difese, accettando unaprospettiva di consapevolezza deirischi che corriamo, diffondendo ilsapere che ci viene dagli scienziaticritici e indipendenti da interessi e-conomici sugli inquinanti e chieden-

do alla Giunta e agli assessori delComune di Milano di aiutarci in que-sto, di condividere con i cittadini le

difficoltà di rendere la Città più salu-bre e le rinunce che su altri frontiquesto può comportare.Il gruppo “Difendiamo la salute” harealizzato due incontri di informa-zione sugli inquinanti urbani e sullericadute che hanno sulla salute deibambini e degli adulti. Abbiamo a-scoltato scienziate e scenziati par-larci di inquinamento atmosferico datraffico, da combustione della legna,di quella dei rifiuti (inceneritori); deipericoli delle comunicazioni senzafili: cellulari e Wi-Fi; del costo eco-nomico della malattia e anche diquello in sofferenza  (Paolo Crosi-gnani dell’Istituto dei tumori; LauraMasiero della associazione Asso-ciazione per la lotta all’elettro-

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magnetismo (A.P.P.L.E.); PaolaMarciani insegnante al corso di lau-rea di Scienze della Sicurezza Chi-mica e Tossicologica Ambientale;Maria Letizia Rabbone di Pediatriper un mondo possibile ed ElenaSisti economista di Genitori Anti-smog)Vogliamo farne altri in tutte le zonedi Milano (e presso le associazionifemminili ), abbiamo bisogno di unsostegno organizzativo più vasto edella partecipazione del Comune edegli Assessori perché questi diven-tino dei momenti di impegno e diresponsabilità. Vogliamo che l’am-ministrazione pubblica accolga leinformazioni scientifiche critiche aproposito delle ricadute sulla salutedi prodotti, infrastrutture e compor-tamenti e assuma un atteggiamentopiù problematico verso gli interessicommerciali e verso il consenso

consumistico, fino a realizzare unprincipio di precauzione.Gli interessi economici sospingonol’adozione e la diffusione di prodottie innovazioni chimiche e fisiche dicui non sanno, o tacciono, la nocivi-tà; alle consumatrici, appaiono solo ibenefici e così è impossibile fare unconfronto con i danni. Viviamo in uncontesto sconosciuto e siamo obbli-gate e obbligati a subire danni fisici(e mentali) nella inconsapevolezza,e nella stessa inconsapevolezza èspesso chi ha le redini della comuni-

tà.L’argomento più eclatante oggi èquello del diffondersi nell’ambientedi radiazioni elettromagnetiche nelsilenzio Istituzionale sulla nocivitàche molte ricerche nel mondo han-

no mostrato. Non è il caso di felici-tarsi d’essere le cavie di sistemi dicomunicazione senza fili che ci sot-topongono a radiazioni elettroma-gnetiche e a microonde di cui non èdimostrata la innocuità e al contrariomolte ricerche nel mondo segnalanoi gravi rischi dei danni biologici (nonsono normati) che si producono neltempo.I pericoli per la salute additati dastudi scientifici onesti e indipendentida interessi economici non devonopiù essere censurati e negati comesi è fatto per tanto tempo davanti aiprodotti mossi dagli interessi delmercato. Troppe volte sedicenti "e-sperti" hanno rassicurato sulla inno-cuità di sostanze, prima che unaconoscenza reale fosse stata rag-giunta: così è stato per il DDT, iraggi X, la radioattività, il fumo, l'a-mianto, la BSE, l’esposizione a me-

talli pesanti, l'uranio impoverito, ecc.Dire che sono innocui i prodotti o lesoglie degli inquinanti, fino alla di-mostrazione schiacciante del con-trario, è forse un crimine. Il silenzioche impedisce un confronto tra be-nefici e potenziali pericoli deve es-sere vinto.Vogliamo sia costantemente moni-torato il livello dei Tesla e delle onderadio, e i cittadini possano facilmen-te vedere la situazione del loroquartiere e della loro casa, possanodire la loro sulle presenze inquinan-

ti: come fili dell’alta tensione (ancheinterrati), cabine di scambio di ener-gia anche interrate, stazioni baseper cellulari e quelle per radio e te-levisione. Possano conoscere le di-stanze che hanno segnalato dei pe-

ricoli in qualche parte del mondo. Anche i funzionari devono impararea conoscere questi fatti e porli indiscussione.Scienza e futuro della ricerca sonoal centro del dibattito pubblico inquesti giorni per iniziativa del Co-mune, sono un rilevante “fattore ditraino economico” dice l’assessoreTajani, ma in questo stanno anchegli aspetti critici della ricerca: gli in-teressi mercantili denunciati da moltiscienziati indipendenti. Il dibattitopubblico deve vertere anche sulsenso delle ricerche e sul loro fi-nanziamento. Ai tavoli di Pisapia perla stesura del programma le donnepresenti misero in evidenza chel’attività scientifica è anche quellaumanistica, non riguarda solo la cu-ra medica ma anche la prevenzionedalla malattia, la ricerca scientificasi può occupare di come rendere

sano l’ambiente, “una ricerca di con-trasto al cancro”può essere quellache permette di togliere dall’am-biente una buona parte di cancero-geni!

* con Gabriella Grasso, Franca Maf-fei, Giovanna Cifoletti, Maresa DeFilippi, Silvia Bragonzi, Lea Melan-dri, Maria Carla Baroni, Tiziana Gia-calone, Adalisa Innocenti, VittoriaLongoni e altre … del gruppo “Di-fendiamo la salute” Intervento alla quinta assemblea

delle donne in Sala Alessi "Sognirealizzati e sogni da realizzare" or-ganizzato dalla Commissione   pariopportunità del Comune di Milano presieduta da Anita Sonego 

CASE POPOLARI AI COMUNI. UN PROGETTO POLITICO NAZIONALEEmilio Vimercati

Lo spirito umanitario sociale che fa-vorì la creazione degli Iacp, Istituti Autonomi Case Popolari, si è personel tempo. La legge n. 251 del 31maggio 1903 di iniziativa del vene-ziano Onorevole Luigi Luzzatti, ap-partenente alla destra storica, pre-sidente del consiglio e più volte mi-nistro, ideatore delle Banche Popo-lari, rispondeva a principi di solida-rietà e giustizia sociale e intervenivanel sistema delle abitazioni avendocome obbiettivo il bene casa senzaun interesse economico volto al pro-fitto.Lo sviluppo degli Istituti che ne èseguito dovette affrontare il nuovo

scenario demografico, economico esociale di quel periodo: Milano, adesempio, in poco meno di 40 annipassò da 186.000 abitanti del 1860

agli oltre 400.000 dei primi anni delnovecento; lo spopolamento dellecampagne accompagnò il bisognodi mano d’opera nelle zone indu-strializzate del nord consumandosuolo e ingrossando le periferie dicasermoni popolari, le coree si dirànel secondo dopoguerra. La funzio-ne degli Iacp intesa a risolvere ledomande di case dei ceti meno ab-bienti diventerà un appetitoso pote-re politico da maneggiare e i partiti,in particolare per trent’anni la De-mocrazia Cristiana e poi il PartitoSocialista, ne faranno un feudo elet-torale e clientelare sia nei confrontidegli assegnatari sia dell’apparato

burocratico, con la complicità un po’di tutti volta a distribuire equamentealloggi e posti.

Come si impone oggi nelle istituzio-ni la semplificazione delle sedi deci-sionali, via il Senato e via le Provin-ce, diminuzione dei componenti leassemblee, occorre accorciare lafiliera degli organi che si occupanodi edilizia pubblica conferendo diret-tamente in capo ai Comuni gestionee titolarità dei patrimoni eliminando icarrozzoni mantenuti in vita solo perrimuovere e scaricare i fastidi. Insintesi: le Regioni dettano le regole,i Comuni assegnano, le Aziendegestiscono, una tri ripartizione ana-cronistica che non può funzionare einfatti non funziona: difficoltà di rap-porti, competenze disarticolate, inte-

ressi separati, autonomia e conser-vazione, con gli inquilini che per unreclamo sono sballottati da un uffi-cio all’altro.

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Con poche righe contenute nelletante leggi degli anni ’90, il patrimo-nio degli Iacp, divenuti Aziende, futrasferito in capo alle Regioni aven-do in più i poteri della riforma deltitolo V della Costituzione. È oraconfacente decidere di conferiredetti patrimoni ai Comuni rimettendonella loro potestà le decisioni che

riguardano i requisiti di assegnazio-ne, i limiti di reddito per l’accesso, ladeterminazione dei canoni e altro,secondo il principio non faccia lacomunità maggiore ciò che può fareo che è naturale faccia la comunitàminore. Altresì secondo il principiodi sussidiarietà fra Unione Europeae Stati membri, l’attribuzione dellecompetenze amministrative e dellerelative responsabilità deve far capoall’autorità territorialmente e funzio-nalmente più vicina ai cittadini, prin-cipio di prevalenza che privilegia lacentralità dei Comuni.Esempio: qual è il problema se perun alloggio pubblico del Monferrato

quella comunità decide chel’inquilino versi cento euro al mese eche per un pari alloggio in Oltrepòne paghi centodieci o novanta, fascandalo? Decidano i Comuni se-condo una equa logica socioeco-nomica territoriale. O lo devono de-cidere le Regioni? I Comuni non de-vono fuggire dal problema ma farsi

carico di salvare e non vendere ilpatrimonio pubblico. Non mancanogli esempi nei paesi del nord Euro-pa dove il settore delle case popola-ri comunque gestito fa sempre capoai Comuni stimolati a competerecon la cooperazione nel proporrequartieri modello.Per le Regioni il patrimonio di edili-zia residenziale pubblica è un mez-zo di potere: ecco perché concen-trano. Il conferimento ai Comuni del-la titolarità dei quartieri popolari si-gnifica peraltro una più complessivae diretta capacità progettuale, diprogrammazione e d’intervento perla riqualificazione delle periferie ur-

bane. Esempio: io Comune decidodi riprogettare il tal quartiere, che èdella Regione, gestito dall’Azienda:che senso ha? Alle Regioni resti ilcompito innanzitutto di ripianare ideficit delle Aziende, poi di stanzia-re le risorse per nuove opere e vigi-lare sull’attuazione dei programmi:per far questo non è necessario di-

sporre del patrimonio.Si conviene che una tale riforma av-venga in modo graduale, tutelando idipendenti. L’importante è gettare ilseme di un rinnovamento avendochiaro l’obbiettivo finale rivolto a unamigliore efficienza della gestioneche ora evidenzia un crescendo diinsoddisfazione degli inquilini per lanon brillante qualità dei servizi oltreche elevati deficit di bilancio simbolodi una esperienza fallita, superata edella necessità di cambiare sistemacon una vera sostanziale riformatornando a perseguire lo scopo so-ciale delle case popolari.

UN EXPO UNIVERSALMENTE ACCESSIBILEMaurizio Trezzi

La Casa dei Diritti di Milano ha ospi-tato nelle ultime due settimane, al-trettanti incontri sul tema dell’acces-sibilità della città in occasione delprossimo Expo 2015. A 14 mesidall’evento la questione r ischiava

infatti di restare confinata nel peri-metro (fisicamente ristretto)dell’esposizione nella zona nord-ovest di Milano e nella visione (cul-turalmente ristretta) della mera ap-plicazione di normative su altezze,pendenze, elevatori e montascale.Per fare un primo passo avanti il 18marzo scorso, su proposta del Con-sigliere regionale Umberto Ambro-soli, l’assessore alle Politiche Socia-li del Comune di Milano Pierfrance-sco Majorino, ha riunito nell’in-contro: “Expo 2015: esposizione u-

niversalmente accessibile”, i diversiattori di un sistema di accessibilitàmetropolitano che riguarderà i visi-tatori di Expo ma anche Milano e laLombardia. Il secondo momento diconfronto si è tenuto il 31 marzoquando, per la prima volta, si è riu-nita la “task-force” antibarriere perExpo 2015, istituita propriodall’assessorato alle Politiche socialidel Comune di Milano. Secondo leintenzioni di Majorino, il gruppo dilavoro si occuperà del processo pergarantire l’accessibilità alla città e ailuoghi dell’Esposizione dei cittadini

e dei turisti con disabilità motorie esensoriali.Quattro anni fa a Shangai - con 73milioni di visitatori - furono 1.5 milio-

ni i turisti, in gran parte cinesi e mol-ti con disabilità, che visitarono il pa-diglione “Lives and Sunshine”, ilprimo nella storia di Expo dedicatoalle persone disabili. Da questo datoè possibile stimare in almeno

250.000 il numero di visitatori disa-bili (motori, sensoriali, cognitivi) pre-senti a Milano nei sei mesidell’Esposizione Universale. Perso-ne, turisti, consumatori, che porte-ranno in città aspettative, la voglia diessere protagonisti di un eventoplanetario e anche le loro esigenzein termini di mobilità e accessibilità.Un tema, quest’ultimo, certamentepresente nelle agende e nei pro-grammi di chi sta organizzandol’evento ma che ora richiede uncambio di passo da parte delle Isti-

tuzioni che coordinano il progetto diattrattività della città e del suo terri-torio. Come emerso nei due incontriil piano di accessibilità resta per oraconfinato al rispetto di norme e pre-scrizioni e non assume, come do-vrebbe, il ruolo di progetto per unreale cambiamento di visione e dicultura. Rendere accessibile un e-vento, una città e il suo territorio,non è infatti una questione da buro-crati, geometri o architetti. È un te-ma assai più vasto che abbracciavisioni multidisciplinari e sociologi-che e deve prevedere, necessaria-

mente, un ampio coinvolgimentodelle Associazioni e delle personedisabili, di chi si occupa di comuni-cazione e promozione, di tutto colo-

ro i quali sono chiamati a far cresce-re il brand   di una città. I numeri,freddi e spesso solo enunciati, degliingressi dedicati alle persone disabi-li, delle stazioni della metropolitanaaccessibili - a volte solo sulla carta -

dei padiglioni senza barriere, nonrendono giustizia alla richiesta dellepersone disabili di un cambiamentodi paradigma.Un nuovo approccio che metta alcentro un concetto allargato di ac-cessibilità e segni una ridefinizionedegli spazi urbani “per tutti” e vada,alla fine del processo, a vantaggiodell’intera comunità e di chi la frui-sce e non solo delle persone disabi-li. Per questo occorre, come recepi-to dall’assessorato di Majorino e, sispera prima possibile, anche da

Regione Lombardia, farsi carico deltema e promuovere la cabina di re-gia che lo governi. Non solo in oc-casione di Expo, qui visto comepunto di partenza, ma più in genera-le, rispetto all’accessibilità e allaqualità futura dell’offerta turistica pertutti a Milano e in Lombardia.Il tavolo convocato vede svolgeredalle Associazioni delle persone di-sabili un ruolo da protagoniste, nonrivendicativo ma propositivo, di cer-tificatori di un’accessibilità valutata etestata da chi si muove in carrozzi-na, è non vedente o sordo o ha di-

sabilità cognitive. Questo lavoro,che segue la recente approvazionedel Piano per l’eliminazione dellebarriere architettoniche da parte del-

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la Giunta Pisapia, potrà, in tempibrevi e certi, creare una lista di prio-rità da affrontare con la massimasolerzia per rendere Milano e la cittàmetropolitana realmente accessibi-le. E per creare una banca dati afavore della realizzazione di guideturistiche - declinate grazie alle tec-

nologie digitali anche ai device por-tatili - realmente utili ai turisti disabiliche potranno, a loro volta, migliorar-le e integrarle costantemente. Unapproccio capace di superare la lo-gica dello sportello e dell’accom-pagnamento e abbracci, finalmente,concetti come quello il “Design for

 All ”, della comunicazione e dellapartecipazione, che possano fare diMilano una città universalmente ac-cessibile, da Expo in poi e per sem-pre.

COME CI SI CHIAMA NEL PSE? COMPAGNI?Massimo Cingolani

La direzione del Partito Democrati-co ha dato il via libera all’adesioneal Pse. Questo l'esito del voto: 121sì, un contrario (Fioroni), due aste-nuti. Grazie a Renzi, che ha ricor-dato che l’associazione al Pse è"punto di arrivo per tante storie maanche un punto di partenza", si èconcluso un dibattito iniziatoall’indomani della nascita del PD. 

La posizione di alcune componenticattoliche era senz’altro capziosa estrumentale, serviva a giustificarerendite di posizione all’interno delpartito che si alimentavano di pre-sunti aspetti identitari. Ci voleva,infatti, il rimescolamento culturaleportato avanti da Renzi per far crol-lare il muro dell’adesione al PSE.Tony Blair è cattolico ed è tranquil-lamente laburista e, viceversa. Adesso potremo chiamarci compa-gni tra noi? A parte il fatto che moltihanno continuato a usare

quest’appellativo, l'aspetto più im-barazzante era l’inizio di riunioniformali come assemblee di circolo oappelli ai militanti. Si passava da:amici, amici e compagni a compa-gni; ogni inizio identificava la storiadel circolo: se veniva dalla tradizio-ne PCI, PDS, DS, oppure da DC,POPOLARI, MARGHERITA; diven-tava più difficile per chi veniva daiPartiti laici, ex socialisti e socialde-

mocratici, potevano essere confusicon ex comunisti: dopotutto sichiamavano già tutti compagni traloro.L’espressione peggiore è comun-que carissime e carissimi, più indi-cata per dei clienti piuttosto che permilitanti e simpatizzanti: infatti èun’espressione usata generalmentenelle promozioni commerciali, non

certo adatta a iniziare lettere o ap-pelli politici.Un partito ha bisogno di pochi sim-boli per essere identificato; valevaquando pochi sapevano leggere evale ancora adesso nella rete: unlogo cioè il simbolo, un colore chelo identifica insieme ai colori dellabandiera nazionale, (il tricolore pur-troppo per anni era poco rappre-sentato a sinistra, ora finalmente efieramente ce ne siamo riappropria-ti), un inno, e un appellativo, cioè ilchiamarsi compagno: quello che

nelle aziende ormai si tende chia-mare layout. Ci sono simboli comel’asinello dei Democratici americaniche sono vecchissimi, nato nel1828 molto tempo prima della falcee martello.Secondo Wikipedia, moderno ver-bo: «Nella cultura socialista, comu-nista, anarchica e in generale disinistra (in Italia anche nell'ambitodel Radicalismo, ovvero la sinistra

liberale e laica) il compagno è unsoggetto che cerca la propria rea-lizzazione attraverso un progettocomune di tipo solidale … . L'abitu-dine di chiamarsi compagno risaleai gesuiti di Ignazio di Loyola. Eti-mologicamente il termine "compa-gno" rimanda al mangiare insieme,dal latino medievale companio."Compagno" significa cum-panis,

quindi colui con cui si spezza in-sieme il pane con una chiara ana-logia alla ritualità cristiana eall’eucarestia.». Con queste premesse, non dovreb-bero esserci troppe resistenze areintrodurre l’appellativo compagno,d'altro canto un'obiezione potrebbeessere che nella storia ci sono an-che i compagni Lenin, Stalin, PolPot e probabilmente anche KimJong. Uno si fa chiamare così? Maogni famiglia, ha i suoi figli degene-rati e comunque sono state stermi-

nate più persone in nome di Cristoche del comunismo, oppure bastipensare ai membri del Ku Klux Klanche erano principalmente aderential Partito Democratico e a Roose-velt che si rifiutò di abolire le leggiche permettevano il linciaggio deineri, per cui evitiamo polemicheinutili ma pensiamo al messaggiopositivo della parola compagno.

ARREDO URBANO: DOPO IL DIBATTITO L'ORDINE DEGLI ARCHITETTI PROPONE

Valeria Bottelli*

Proviamo a osservare Milano attra-verso uno zoom stretto sull’arredourbano: un esercizio di inabissa-mento nella trama della città allaricerca di tutto ciò che compone unostrato specifico oggetto del conve-gno: “tutto il visibile da 0 a 5 metri”. Alla ricerca di una metafora utile evisivamente immediata anche perun pubblico di non addetti ai lavori,ci è venuto spontaneo rivolgerci auna lettura “linguistica” del tessuto

urbano e conseguentementedell’arredo urbano come punteggia-tura nel testo della città: anche alfine di comprendere quanti piani in-

terpretativi si concentrino in questotema.I piani di studio del tema sono infattimolteplici, da quelli funzionali, diservizio a quelli di comunicazione,lettura e branding  della città: proce-durali, gestionali, manutentivi, maanche percettivi, di appropriazionedello spazio urbano per sentirlo fa-miliare, proprio, adatto a usi liberi ediversi e pronto a svilupparsi e mo-dificarsi nel tempo.

 Alla luce di questa lettura, l’arredourbano è parte intrinseca del testo,della narrazione dello spazio pubbli-co, e va quindi affrontato con un

progetto complessivo, oppure è unlinguaggio indipendente dallo spaziopubblico nel quale esiste, ha unasotto-narrazione autonoma e dotatadi senso proprio?I molti interventi raccolti da Arcipe-lagoMilano in questi mesi ci indica-no infatti due linee di pensiero pre-valenti, tra chi a vario titolo negaall’arredo urbano una autonomiadisciplinare che lo ridurrebbe a me-ro elemento di decoro, difendendo

la coerenza del progetto site-specific  di spazi urbani, e chi al con-trario ne rivendica la natura preva-lente “di servizio” nel rispondere a

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funzioni specifiche per i cittadini e aun senso di identità e ordine gene-rale.Noi crediamo che le due tesi deb-bano forzatamente convivere; sonodue poli tra i quali il tema si collocaed è necessario coglierle in tutte leloro articolazioni, con un obiettivochiaro e ineludibile: la coerenza di

lettura e d’uso della città. Se proviamo dunque a immaginareMilano, il suo tessuto cresciuto esedimentato nel tempo, come a untesto, l’arredo urbano ne è indub-biamente parte integrante, in forte einscindibile connessione con la tra-ma e la narrazione, ma con una au-tonomia di regole e d’uso tale daconfigurarlo anche come sotto-ordine specifico: la punteggiaturaurbana per l’appunto, necessariaper l’orientamento e la buona letturada parte del cittadino-lettore. Se poiconsideriamo quanto nei prossimianni accadrà nella direzione dellasmart city , ecco che agli strati dellacittà fisica se ne aggiunge ancheuno virtuale, trasformando il testo iniper-testo: l’arredo urbano assumecosì anche la valenza di punteggia-tura ipertestuale, che rimanda con-tinuamente dalla città reale a conte-nuti di realtà aumentata, acquistan-do una ulteriore dimensione di o-rientamento e comunicazione.Lo stato di fatto dello spazio pubbli-co in città oggi, in questa lettura,appare pertanto carente, deludente

e fonte di frustrazione perché oltre aservirci in modo insufficiente, comu-nica in modo poco leggibile, so-vrabbondante, inefficace: una caco-fonia simbolica di difficile uso in cuiemerge un disagio diffuso perl’assenza di progetto globale, di co-erenza, di regia narrativa. Si so-vrappongono infatti senza nessunagerarchia o regola apparente ogget-ti, manufatti, segnaletiche, recinzio-ni, pali, pensiline, chioschi di diversetipologie e generazioni, con vari li-velli manutentivi. Un po’ come un

testo nel quale si affastellino carat-

teri e stili tipografici di molte epoche,con un risultato per certi versi liberoe allegro, in linea con lo sviluppostorico di questa città, ma giunto aun livello di illeggibilità e sciatteriatale da creare disappunto e stra-niamento anziché tranquillità e sen-so di appropriazione da parte deicittadini.

Le cause di questa situazione sonocertamente ascrivibili, tra gli altrimotivi, a una eccessiva frammenta-zione del processo decisionale, auna legislazione sugli appalti pub-blici complessa e spesso auto riferi-ta che non aiuta a premiare la quali-tà, la carenza di protocolli e capito-lati sulla manutenzione, a molti de-cenni nei quali si è perso il senso dispazio pubblico come di spaziocondiviso, di bene comune.Ecco allora che un’attenzione e unriordino di ciò che c’è appare ancorapiù importante, anche in vista diEXPO, per offrire uno spazio pub-blico di chiara e comoda fruizioneper tutti.Quali possono essere le linee di in-tervento per provare a disinnescarequesta situazione di groviglio lingui-stico cercando di dipanare alcunecriticità? E quale può essere il ruolodell’Ordine che, non lo si ricordamai abbastanza, esiste a difesa deiconsumatori di architettura, i cittadi-ni, e non degli architetti? Abbiamo provato a immaginare al-cune linee di azione, che cerchiamo

di sintetizzare come punti:1. avere un buon insieme di regole,chiare e semplici, risultatodell’armonizzazione dei vari soggetticoinvolti, indirizzato alla trama “or-dinaria” della città, ma che ammettaeccezioni;2. l’identificazione di luoghi “sensibi-li” che, per la loro configurazionespaziale o per la loro specificità am-bientale, si possano configurarecome eccezioni, nei quali il progettodello spazio pubblico prevalesull’autonomia dell’arredo urbano;

3. a discendere da una norma spe-cifica la redazione di linee guidachiare e semplici che guidino la se-lezione degli specifici oggetti cheandranno a costituire le soluzionialle varie parti di arredo urbano. Aquesto proposito si apreun’interessante discussione su qualimanufatti abbiano necessità di un

catalogo univoco di prodotti stan-dardizzati (sistemi di segnaletica,pensiline di attesa alle fermate deimezzi ATM, ecc.) e quali beneficinodella maggiore libertà offerta da unsistema di linee guida.4. a monte di tutto, una semplifica-zione e uno sfoltimento di tutti i ma-nufatti ridondanti presenti oggi incittà5. l’attivazione di una sperimenta-zione, in un luogo sensibile in vistadi EXPO, attraverso un tavolo conpresenti tutti gli attori coinvolti, perporre in atto quanto possibile deipunti di cui sopra. L’Ordine, attra-verso i suoi consiglieri e i suoi grup-pi di lavoro, è disponibile a:- collaborare a sviluppare un dibatti-to sul tema aperto a architetti e cit-tadini;- collaborare all’identificazione deglispazi di progettualità, ossia quelliche identificano le eccezioni alla re-gola e che idealmente rientrano inprogetti dello spazio pubblico prefe-ribilmente selezionabili con concorsidi progettazione,- partecipare al tavolo dedicato alla

definizione della sperimentazioneda attivare.Riteniamo che un’azione chiar a evisibile a cittadini e visitatori anchein vista di EXPO possa rappresenta-re un tassello importante nella co-struzione di identità e riappropria-zione dello spazio pubblico e chel’identificazione di una zona di spe-rimentazione pratica possa costitui-re un test dal quale partire per unriordino complessivo.

*Presidente dell’Ordine degli Archi-

tetti PPC della Provincia di Milano

INFRASTRUTTURE LOMBARDE: MARONI RINNEGA MA È RECIDIVOLucia Castellano

Il presidente Maroni, il 25 marzo, haaccolto l’invito delle opposizioni ariferire al Consiglio Regionale suquanto accaduto all’internodell’azienda Infrastrutture LombardeSpa. Ci ha raccontato che c’èun’indagine della magistratura incorso, con 68 capi d’imputazione,

tra cui associazione per delinquere,turbativa d’asta, falso, truffa.L’indagine farà il suo corso, si cele-brerà il processo contro una serie di

dirigenti della Regione e di consu-lenti esterni. Maroni ha specificatoche la vicenda riguarda la passatalegislatura e la sua Giunta ne ècompletamente estranea.Il punto però, non è questo. O me-glio, non solo questo. Quello che ciinteressa mettere in luce è la ge-

stione politica e amministrativa dellaRegione Lombardia e il sistema dipotere che nel ventennio formigo-niano è cresciuto a dismisura, stra-

volgendo man mano l’assetto istitu-zionale e le competenze dell’enteregione.Partiamo da Infrastrutture Lombar-de, “formidabile intuizione” dell’expresidente Formigoni del 2004. Ba-sata sul presupposto che i costi diinternalizzazione siano minori di

quelli dell’accesso al mercato, ossiache sia meno costoso realizzare in-ternamente opere e servizi piuttostoche cercare in modo trasparente e

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rispettoso delle procedure le migliorialternative sul mercato, è diventatanel decennio una potentissimamacchina da guerra, che ha costrui-to, anche bene e velocemente, intutta la Lombardia, con una velocitàdi azione che passa sopra alle rego-le amministrative della distinzionetra controllori e controllati e agisce

in barba alle procedure. E gli attoridel gioco sono sempre gli stessi. Innome dell’efficienza e della rapidità(anche del malaffare, ma di questosi occupa la magistratura).Ritengo che lasciare solo ai giudici ilrimedio a questo scempio, comespesso succede in Italia, non portilontano. Dobbiamo rivedere l’interosistema-regione per riportare l’entealle funzioni che la Costituzioneprevede. Nella pubblica amministra-zione deve essere il mercato a se-lezionare il fornitore più efficiente,che faccia risparmiare risorse allacollettività. E se ciò non avvieneperché la macchina burocratica èlenta e inefficiente, non è il sistema“infrastrutture lombarde” la soluzio-ne. Gli amministratori pubblici devo-no essere controllori dell’efficienza,non devono sostituirsi al mercato.Nel caso di Infrastrutture Lombardela politica si è trasformata in im-prenditore per sostenere se stessa,distorcendo i meccanismi concor-renziali. Non a caso tutto è nato dal-la denuncia di un imprenditore e-scluso da una gara d’appalto.

È un film già visto, che speravamodi non rivedere, quello del

“ghe’pensi mi”, dell’aziendalizzazio-ne della politica e dell’amministra-zione pubblica. Anche escludendole fattispecie di rilevanza penale,non era questa la pubblica ammini-strazione che speravamo di avere inLombardia. L’amministrazione pub-blica che funziona non è quella checorre verso il risultato scegliendo i

propri collaboratori, consulenti e im-prenditori in barba alle regole. Èquella che le regole le applica, legoverna e, se non più efficaci, lecambia con l’unico strumento che laRegione abbia a disposizione, il po-tere legislativo. Ancora, riflettiamo sull’efficienza,l’efficacia, l’eccellenza dei risultati diquesto modo di amministrare. Sonomessaggi devianti, confusivi, falsi.L’autoreferenzialità delle lobbies dipotere, i cerchi magici che, in nomedell’efficienza e della competenzalavorano, da sempre, escludendo difatto le imprese che, pur competentied eccellenti, non appartengono al“giro” non fa risparmiare, costa allacollettività. E allora diventa inutilelegiferare sugli incentivi alle impre-se, aprire alle “start up”, se gli ap-palti, le consulenze della Regionepiù ricca d’Italia girano sempre fra ipochi, “eccellenti,” imprenditori oliberi professionisti. Cosi il mercatonon si apre, la crisi non vede la fine.Sarebbe interessante, dai banchidell’opposizione, studiare le ricadutesul mercato di questo modo di am-

ministrare. Dimostreremo, ne sonoconvinta, che i palazzi costruiti in

poco tempo, le autostrade, gli ospe-dali sono costati, in termini di ingiu-ste esclusioni, di pericolose confu-sioni tra controllori e controllati, mol-to di più alla collettività. Dimostre-remo, e direi che siamo pronti a far-lo, che la politica deve abbandonarele logiche imprenditoriali e fare unpasso indietro, se vuole che il Pae-

se avanzi.Il livello dei commenti dei politici cheabbiamo letto sui giornali, dramma-ticamente, rafforza i contenuti dellamia analisi. E non mi riferisco alleattestazioni di stima (legittime, percarità) nei confronti degli imputati.L’ex presidente Formigoni, comeattenuante,o esimente, dichiara chein fondo Rognoni non è nemmeno diComunione e Liberazione … . Ilmessaggio è: che volete? Non eranemmeno “dei nostri”! Se il presidente del Consiglio Re-gionale insiste nel sottolinearel’efficacia di queste procedure rapi-de e leggere per il perseguimentodel bene comune, non ponendosinemmeno il dubbio che possanoscatenare ricorsi, allora vuol direche il costume è sempre stato que-sto, fortunatamente stoppato, nel2010, proprio da un ricorso. Se ilnostro presidente, che conosciamocosi attento alle procedure e al timo-re dei ricorsi, nello svolgimentodell’attività consiliare, afferma che lavelocità e la competenza scelta ar-bitrariamente sono la ricetta giusta,

vuol proprio dire che il sistema vacambiato alla radice.

CONSUMO DI SUOLO: SERVE UNA STRATEGIA METROPOLITANASerena Righini e Emanuele Garda

Nel 1973 il noto etologo Konrad Lo-renz incluse in un suo pamphlet,quale peccato capitale della nostraciviltà, la “devastazione dello spaziovitale”. Se osserviamo quanto è sta-to fatto in Italia nell’arco delle ultimetre generazioni, in termini di utilizzoe trasformazione degli spazi aperti,non possiamo che provare un sensodi sgomento di fronte alle inusitate edrammatiche dimensioni raggiuntedal fenomeno dell’urbanizzazionediffusa. Ciò che in particolare colpi-sce è la rapidità e l’intensità con cuiè avvenuto questo processo anchenei territori lombardi, dovel’urbanizzazione dei suoli agricoli,sovente stimolata da quella cheCalvino, in un suo celebre racconto,definiva “febbre del cemento”, hacomportato la creazione di distese

di capannoni, palazzine, villette,centri commerciali, parcheggi estrade. Questi materiali rappresen-tano i frammenti di quella “grande

città infinita” che è entrata a pienotitolo entro la nostra vita quotidianae che dà forma a un paesaggio tra-cotante ed eterogeneo, eppure dimodesta qualità, ottenuto a caroprezzo.Storicamente, nel contesto europeo,il fenomeno dilagante della città edel consumo di suolo è stato causa-to dal venir meno di alcune caratte-ristiche tipiche delle principali cittàdel passato, quali ad esempio lacompattezza e la densità, che, pro-gressivamente, hanno lasciato ilpasso alla rarefazione delle diversefunzioni urbane entro territori sem-pre più estesi. Ad aver reso possibile, nel giro diqualche decennio, l’affermarsi diquesto modello territoriale anche nelnostro Paese sono stati senza dub-

bio alcuni progressi tecnici (rivolu-zione tecnologica e informatica) chehanno fatto da sfondo a cambia-menti sociali (dal mutare delle scelte

abitative a una nuova concezionedel concetto di libertà individuale), atrasformazioni del mercato econo-mico e a una stagione di politicheurbanistiche improntate alla flessibi-lità, all’incoraggiamento del mercatoimmobiliare e a un più genericolaissez faire  normativo, in Lombar-dia particolarmente evidente a parti-re dall’approvazione della LeggeRegionale n. 12/2005.Dal 2005, inoltre, con l’approva-zione della legge finanziaria da par-te del governo Berlusconi, le entratederivanti dalla riscossione degli one-ri di urbanizzazione, e quindidall’attività edilizia in generale, han-no iniziato a finanziare la spesa cor-rente delle amministrazioni comuna-li, diventandone progressivamentela principale fonte di sostentamento.

Tale operazione ha comportatol’aumento della previsione di nuovearee di espansione per poter ampli-are la base imponibile. In questo

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modo i Comuni sono stati incentivatiad attuare politiche di espansioneinsediativa che, al di là delle realiesigenze locali e ricorrendo siste-maticamente a procedure eccezio-nali o di deroga, consentissero lorodi assicurare il funzionamento el’erogazione di molti servizi ai citta-dini.

L’insieme di queste tendenze haportato molte Amministrazioni Co-munali che, nell’ordinamento italia-no e in particolare in quello lombar-do, detengono le maggiori compe-tenze urbanistiche, a intraprenderepratiche fatte di piccole aggiunte einterventi diffusi, affermando unalogica improntata sempre più al bre-ve periodo piuttosto che a una lettu-ra più lungimirante delle trasforma-zioni.Il tema del consumo di suolo è giàstato affrontato in ambito europeocon approcci differenti. In Germania,ad esempio, a partire dagli anni Ot-tanta, il governo ha introdotto criteridi valutazione e monitoraggio delfenomeno, per approvare, nel 1998,un ambizioso programma di politicaambientale che intendeva disgiun-gere in modo duraturo lo sviluppoeconomico dall’occupazione di suo-lo e poneva, per la prima volta, unobiettivo quantitativo di riduzionedell’occupazione di suolo. Il pro-gramma, proposto dall’allora Mini-stro per l’Ambiente Angela Merkel,ha fissato la soglia di consumo

massimo di 30 ettari al giorno, (con-tro una tendenza pari a 129ha/giorno nel 2000), da attuare en-tro il 2020, quale tappa intermediaper poi raggiungere la crescita zeroentro il 2050.Questo tema è stato poi affrontatoanche a livello dei singoli Länder,che hanno introdotto misure per ilsuo contenimento attraverso politi-che di defiscalizzazione degli inter-venti di rigenerazione urbana e dicompensazione ecologica preventi-va per le nuove espansioni. In Ba-

viera, ad esempio, nel 2003 è statosottoscritto un accordo (noto come“patto per il risparmio delle aree”)fra governo regionale, comuni e as-sociazioni con l’obiettivo di diminuirela quantità di aree da urbanizzareogni anno, obiettivo inserito anche

nel programma di sviluppo regiona-le.Nonostante l’obiettivo sia ancoralontano dall’essere raggiunto, il ca-so tedesco rappresenta un impor-tante esempio di come, per contra-stare il consumo di suolo, sia ne-cessaria l’elaborazione di strumentidi diversa natura: giuridica, pianifi-

catoria, economica, fiscale, da attu-are però ad una scala territorialevasta. Anche nel nostro Paese serve unastagione di politiche innovative, chesappiano rimettere in discussione lemodalità con cui si è gestito il terri-torio negli ultimi anni, che assuma-no un approccio multilivello, da at-tuare attraverso strategie che pre-vedano il coinvolgimento di tutti gliambiti amministrativi (dal Comunealla Regione), e multitematico, ingrado di integrare strumenti di natu-ra diversa (fiscale, normativa, incen-tivante).I dati pubblicati dalla Direzione Ge-nerale Territorio e Urbanistica diRegione Lombardia sulle previsionidi espansioni contenute nei Piani diGoverno del Territorio riportano inprimo piano la tematica del consu-mo di suolo che molti considerava-no superata a causa della recessio-ne economica in corso. Secondo inumeri ufficiali, la sommatoria delleprevisioni edificatorie contenute neiPiani di Governo del territorio di1.126 Comuni lombardi prevede, nei

prossimi anni, l’edificazione di414.193.400 metri quadrati, un’areapari alla superficie della provincia diMonza e Brianza, più del doppiodell’intero comune di Milano.I numeri indicano quanto sull’uso (esul consumo) di suolo sia necessa-rio e urgente un’autentica frattura eun cambiamento di ordine prima ditutto culturale e poi normativo, ingrado di orientare il governo del ter-ritorio verso pratiche maggiormentesostenibili. A livello nazionale l’approvazione

del Disegno di Legge “Contenimen-to del consumo del suolo e riuso delsuolo edificato”, avvenuta lo scorsodicembre, ha rappresentato un pri-mo passo importante per orientareuna nuova stagione di politiche delterritorio. Seppure la nuova leggeabbia un approccio fortemente

quantitativo, che non risulta il piùefficace per arginare un fenomenocosì complesso come il consumo disuolo, certamente ha avuto il meritodi portare la discussione all’ordinedel giorno in molti contesti discipli-nari, accademici e normativi. In Re-gione Lombardia, ad esempio, sonoin discussione alcune proposte di

legge, presentate dai diversi schie-ramenti politici.In questo senso anche l’istituzionedella città metropolitana di Milanorappresenta un’importante opportu-nità per poter affrontare a una scalaterritoriale finalmente adeguata iltema del consumo di suolo. Infatti ilnuovo ente avrà competenze di a-rea vasta più forti, che consentiran-no di governare il territorio in modomaggiormente efficiente associandoa funzioni di coordinamento ancheuna visione strategica in grado diindirizzare le scelte dei piani locali.Soltanto in un’ottica metropolitana sipotrà, infatti, tentare di elaborarepolitiche integrate, che sappianofinalmente superare la tradizionaleframmentazione amministrativa (eterritoriale) lombarda.Ricordando le parole di un famosostudioso di città, Leonardo Benevo-lo, che già negli anni Sessanta de-nunciava come l’urbanistica moder-na fosse giunta solo tardivamente aporre rimedio a problematiche urba-ne già consolidate, noi riteniamoche l’istituzione della città metropoli-

tana possa contribuire a superareanche questo “peccato originale”dell’urbanistica contemporanea,guidando il processo per la costru-zione di un nuovo modello di gover-nance che consentirà l’elaborazionedi piani e politiche territoriali cheabbiano come obiettivo la tutela e lavalorizzazione del suolo.

n.b - Le presenti note nascono aseguito di un seminario intitolato “Ilsuolo cancellato” che il 17 marzo2014 si è tenuto presso l’Università

degli Studi di Milano (nel corso diUrbanistica del professor EmanueleGarda) al quale hanno partecipatoin qualità di relatori Mario Petitto,Tiziano Cattaneo, Silvia Ronchi, Ja-copo Scandella, Serena Righini eMarco Cappelletti.

CINEMA MANZONI: SPAZIO PER LA CULTURA O ENNESIMO MEGASTORE?Pierfrancesco Sacerdoti

 All’inizio del 2012 si è costituito un

comitato di cittadini milanesi per sot-trarre il cinema Manzoni, una dellepiù belle sale storiche di Milano, aquello che sembra essere il suo de-

stino: diventare l’ennesimo negozio

di moda. Il cinema Manzoni, situatonell’omonima galleria che collegavia Manzoni con via Borgospesso, èstato realizzato alla fine degli anni

’40 insieme alla galleria e al teatro

sotterraneo. Si tratta di un comples-so di grande valore artistico e archi-tettonico, ideato dall’architetto AlziroBergonzo (autore della Torre dei

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Venti che segna l’uscita dell’auto-strada a Bergamo) e dall’ingegnereMario Cavallè, autore di vari cinemateatri in area milanese tra anni ’30 eanni ’50.  All’effetto finale di quest’architettura,sospesa tra gusto neoclassico e ar-ditezze moderne, contribuiscono lenumerose opere d’arte che costel-

lano galleria, cinema e teatro: in-nanzitutto la statua bronzea di Apol-lo, opera di Leone Lodi che cam-peggia nel grande atrio di ingresso.E poi i bassorilievi dell’atrio,anch’essi di Lodi, le sculture dellagalleria e le maniglie delle porte diGino Oliva, le sculture di FrancescoMessina e Pericle Fazzini, gli affre-schi di Ghino Baragatti, Nicolò Se-gota e Achille Funi. Un’opera d’artetotale che costituisce un ecceziona-le documento del gusto architettoni-co e artistico a Milano della fine de-gli anni ’40, dove elementi del clas-sicismo e della metafisica si sposa-no con soluzioni strutturali ed e-spressive tipiche dell’architetturamoderna più avanzata, come lagrande trave che permette di so-spendere il cinema sopra l’atrio,senza pilastri intermedi, o la vetratacontinua senza telaio che separal’atrio dalla galleria. Questa straordinaria testimonianzadell’architettura milanese dello spet-tacolo, legata a particolari innova-zioni come quella del cinerama (ilManzoni fu il primo cinema in Italia

a dotarsi di questa tecnologia) eimmortalata in celebri film di Anto-nioni (Cronaca di un amore e La si-gnora senza camelie, entrambi conLucia Bosè), rischia ora di esseresnaturato da un progetto di naturasmaccatamente commerciale. Laproprietà originale è passata nel2008 dell’ENPAM alla società PirelliRE Spa, oggi Prelios Sgr, che hal’obiettivo di trarne il massimo bene-ficio economico.Oggi il teatro sotterraneo ospitaspettacoli di prosa e i prestigiosi

spettacoli jazz dell’”Aperitivo inConcerto”, mentre il cinema è chiu-so dal 2006. La grande sala del ci-nema, che poteva contenere fino a

1600 spettatori e vanta uno spetta-colare soffitto a lacunari dorati conun cupolino affrescato, oltre a raffi-nate boiserie sulle pareti, è statariaperta occasionalmente negli ulti-mi anni per mostre ed eventi cine-matografici di grande successo: dal-la mostra della video artista svizzeraPipilotti Rist (2011), a quella sul

rapporto tra Fendi e il cinema (set-tembre 2013) alla serata inauguraledel festival Filmmaker, con la proie-zione del film Alberi di MichelangeloFrammartino (novembre 2013). Ep-pure la proprietà è intenzionata aeliminare la funzione cinematografi-ca della sala e intende trasformarlain spazio commerciale, destinatopresumibilmente a un grande mar-chio dell’alta moda, in accordo con ilcontesto del Quadrilatero: a duepassi ci sono via della Spiga e viaMontenapoleone, oltre alla faraoni-ca sede di Armani in via Manzoni. Anche Armani è subentrato a unostorico cinema di Milano, il Capitol,che negli anni ’60 ospitò le primedei film di Fellini e Visconti, da LaDolce Vita a Rocco e i suoi Fratelli.Fortunatamente esiste un vincolomonumentale della Soprintendenza,ma il vincolo a destinazioni d’usoculturali, compreso nel testo origina-le del 2007, è stato rimosso nel2008 con una procedura poco chia-ra, in seguito a ricorso della proprie-tà. Per salvaguardare il ruolo delcinema Manzoni come spazio per

proiezioni di qualità e per eventi cul-turali e per la formazione nel settoredegli audiovisivi, anche con l’ado-zione di attrezzature tecnologicheall’avanguardia (sulla scia del cine-rama installato negli anni ‘50) si èformato il Comitato Cinema Manzo-ni. Il primo passo è stato la creazio-ne di un sito web, sul quale è possi-bile aderire a una petizione che aoggi è stata firmata da circa 1200persone, tra cui eminenti personalitàdella cultura e dello spettacolo.Il comitato ha tentato di intessere

contatti e collaborazioni con il Co-mune e con la proprietà, ma senzasuccesso: il Comune è fermo nelsostenere che riproporre la funzione

cinematografica sia oggi insostenibi-le sul piano economico, mentre laproprietà procede con il suo proget-to, affidato allo studio One Works erecentemente presentato in Soprin-tendenza. Progetto abbastanza ri-spettoso delle parti comuni ma im-pietoso verso la sala del cinema,destinata a negozio con gli elementi

tipici dello spazio di vendita: balco-nate perimetrali e scale mobili nelvuoto centrale. In questo modovengono eliminati gli elementi tipicidella sala attuale ed è negata lapossibilità di fare proiezioni.Il comitato guarda a esempi stranieri(il cinema Louxor a Parigi)  ma an-che italiani, come l’ex cinema Gam-brinus di Firenze, che pur trasforma-to recentemente in Hard Rock Café ha però mantenuto platea, galleria esoprattutto sala di proiezione eschermo, usato per video musicali.Intelligente principio di reversibilitàche è stato invece ignorato nel pro-getto del Manzoni dove, tranne al-cuni gradoni superstiti, nulla rimanedel boccascena e dello schermo,sostituiti da spazi di servizio e ma-gazzini. L’ultima versione del pr o-getto è ora visibile nell’atrio di in-gresso, dove Prelios ha allestito unapiccola mostra con modello in legnoe simulazioni fotorealistiche.Il destino del Manzoni sembra dun-que quello della maggioranza deicinema storici milanesi: oltre al Ca-pitol, già citato, si pensi all’Astra,

diventato negozio Zara, al cinemaCorso o all’Excelsior, il cui successocommerciale è tra l’altro nettamenteinferiore a quello previsto. Se il pro-getto di Prelios ha il merito di salva-re il teatro e di mantenere l’archi-tettura originaria di galleria e atrio,viene da chiedersi se non esistanoaltre soluzioni per il cinema, ancheconsiderando la scarsità di spazi aMilano per proiezioni importanti efestival di cinema (spesso allestitinei teatri), anziché ricadere nel soli-to cliché del negozio di moda, che

oltretutto, con la crisi attuale, nongarantisce neppure i sospirati gua-dagni.

LEGGE ELETTORALE EUROPEA: UNA SOLUZIONE AL PROBLEMA DI GENEREIlaria Li Vigni

Mentre l’Italicum, il progetto di leggeelettorale presentato dal Governo,ristagna a Palazzo Madama edev’essere ancora assegnato allacommissione Affari Costituzionali, è

un’altra riforma della legge elettora-le a tenere banco al Senato in que-sti giorni, quella per le elezioni eu-ropee.

La situazione, anche in questo ca-so, è molto complessa: anche inchiave europea si rigenerano glistessi problemi affrontati alla Came-ra per l’Italicum, con dispute più o

meno di bandiera per quanto ri-guarda la problematica degli sbar-ramenti.

Per quanto concerne la parità di ge-nere, clamorosamente bocciata nelprimo passaggio di approvazionealla Camera qualche settimana fa, ildisegno di legge elettorale sulle ele-

zioni europee fa registrare un datomolto significativo, anche grazie adalcune parlamentari proponenti del

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Partito Democratico che non si sonoarrese alla sconfitta.Il progetto di legge elettorale per leeuropee, infatti, prevede chel’elettore possa esprimere tre prefe-renze e una di queste dovrà esseredel genere meno rappresentato, ov-vero indicare una donna.Nel caso di voto con tre preferenze

maschili, il progetto prevede l’annul-lamento del voto stesso, ma sel’elettore si limitasse a esprimeresolo due preferenze maschili il votosarebbe valido. Si tratta però di unadisposizione transitoria: le preferen-ze saranno due - e non più tre - perle elezioni del 2019 e una dovrà es-sere di genere.La proposta, votata a larga maggio-ranza nell’assemblea dei senatoriPd convocata ad hoc, ha trovatoun’intesa di massima nella maggio-ranza che sostiene il Governo e an-che in qualche partito di opposizio-ne, quale Forza Italia. Ora bisognafare in fretta, con un’approvazioneda parte del Parlamento in tempoutile per le elezioni del prossimo 25maggio. Auguriamoci che questasterzata, che ci si augura solutoriaper l’approvazione della legge elet-torale per le europee, possa esseredi spinta per il Parlamento per rive-dere la bozza di progetto elettorale

nazionale nel senso della rappre-sentanza minima di genere.La questione è molto complessa, aparere di chi scrive e non deve es-sere utilizzata artificiosamente pernascondere un problema reale. Èovvio e naturale che in una societàin cui la parità di genere nella rap-presentanza politica e istituzionale

fosse comune denominatore accoltoda tutti, una legge elettorale basatasulle cosiddette “quote” - termineorrendo, in quanto permeato da unaltro alfabeto, quello dei numeri enon quello delle persone - sarebbeinutile oltre che fuorviante il realepensiero degli elettori.Ma la situazione italiana, assoluta-mente impari per le donne sia inpunto di rappresentanza sia di pro-spettive professionali, non consentea oggi un’autoregolamentazione. Occorre un input normativo cheformi la società civile, nella concretasperanza che, dopo alcuni anni, nonsia più necessaria questa “riserva”alla rappresentanza di genere.Ricordiamo che la legge 120/2011,la cosiddetta “Golfo/Mosca”, ha pr e-visto che gli organi sociali delle so-cietà quotate in scadenza dal 12agosto 2012 dovranno essere rin-novati riservando una quota pari adalmeno un quinto dei propri membrial genere meno rappresentato, ov-

vero quello femminile. Donne che, apartire dal secondo e terzo rinnovodegli organi sociali, dovranno esse-re pari ad almeno a un terzo deicomponenti i Consigli di Ammini-strazione. Tale legge ha una validitàtemporale di soli dieci anni, entro iquali si auspica di raggiungerel’obiettivo di rimuovere gli ostacoli

che sinora hanno limitato l’accessodelle donne a ruoli di comando, fa-vorendo un processo di rinnova-mento culturale a supporto di unamaggiore meritocrazia e di opportu-nità di crescita.I risultati della “Golfo Mosca” sonodavanti agli occhi di tutti: oltre il 90%delle società quotate ha ottempera-to agli iniziali obblighi di legge nelprimo rinnovo dei Consigli di Ammi-nistrazione.Credo che, sulla spinta di tale nor-mativa, sia un dovere politico e mo-rale del nostro Parlamento l’appro-vazione di una legge elettorale conuna riserva di genere, sia per quan-to concerne le elezioni europee siaper quanto riguarda quelle naziona-li. Solo con questa spinta potremo,in futuro, non aver più bisogno dellegislatore, in una società davveroparitaria che valorizzi le diverse pe-culiarità e professionalità di donne euomini.

Scrive Cesare Prevedini ad ArcipelagoMilano

Francamente ArcipelagoMilanoquesta da te non me l’aspettavo!Posso essere d’accordo che sia ne-cessario mantenere il senso critico,ma però qui siamo al “gratuito” pernon essere sgradevoli … . Sono onon sono anni che ci diciamo chebisogna abolire il Senato e che ilnostro bicameralismo perfetto è unasovrastruttura che non da garanziedi miglior rappresentanza, ma creasolo problemi nell’efficienza dellarappresentanza? Sono o non sonoanni che le menti democratiche piùnobili, addirittura La Malfa allora (U-go naturalmente, lamentanol’inutilità e il costo delle Province?Sono o non sono anni che ci lamen-tiamo del costo della politica e dellesue inutili sovrastrutture?

Ora abbiamo scoperto che questo“era il programma della P2”! Hasenso questa “interessante scoper-ta” di questo articolo? Non solo, mascopriamo pure che il nuovo Senato(meglio in ogni caso scriverlo maiu-scolo), sarebbe “di nominati”. Crostiafferma che un Senato rappresenta-tivo delle realtà locali sarebbe dinominati. Le realtà locali non ven-gono forse elette dai cittadini? Unaelezione di secondo grado è quindi“una nomina”? Allor a anche il Presi-dente della Repubblica “è un nomi-nato”! Scopriamo anche che delle funzionidelle Province si dovranno occuparei Sindaci, “già oberati da gravosi im-pegni”. Come risolviamo questogravissimo impasse? Annulliamo la

funzioni delegate alle Province? Annulliamo l’edilizia scolastica delleScuole Superiori? Annulliamo lestrade e gli acquedotti? Se nonpossiamo farlo ci terremo evidente-mente le Province!Ma che senso ha scrivere tali cose?Non è evidentemente possibile, se-condo questa curiosa tesi, pensarea delle razionalizzazioni e a degliaccorpamenti, come si fa dovunquesi vuole semplificare. Mamma mia èimpressionante scoprire che sonod’accordo con la P2! Che il mio ma-estro Don Benedetto Croce mi per-doni … 

Replica LBG  

 ArcipelagoMilano ospita molte opi-nioni diverse purché non a sostegnodi posizioni estremiste che il giorna-le comunque non ospiterebbe per-

ché totalmente in contrasto con la propria linea. Dunque ovviamenteanche quanto sostiene MicheleCrosti, per altro non il solo sul ver-

sante delle critiche a Renzi ma incompagnia di altri autorevoli opinio-nisti a cominciare da Zagrebelski.

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Scrive Antonio Rusconi a Michele Crosti 

Non capisco perché i problemi delPD debbano ricadere su tutti noi.Non ne abbiamo avuto abbastan-za di Forza Italia e compagnia?Per non parlare di Monti e Forne-

ro? Se il PD è con Renzi è meglioandare a votare. La legge eletto-rale è un attentato alla democra-zia e del resto è meglio non par-larne. Sì, c'è un avventurismo po-

litico che si accompagna a un'in-competenza amministrativa. Po-veri noi!!!.

Scrive Giorgio Chiaffarino a Michele Crosti

Sono d’accordo: siccome tutto quel-lo che oggi si dice normalmente ègià stato detto da qualcun altro - più

o meno raccomandabile - megliocontinuare come sempre senzaprovare a cambiare niente, che tra

l’altro è così difficile. Era meglioquando era peggio o no?

Scrive Vito Antonio Ayroldi a Michele Crosti

L'abitudine a maneggiare in modopiuttosto disinvolto concetti alquantomal digeriti è una delle nostre peg-giori abitudini. Forse si scrive troppoe si legge male. Se il novellato art.

81 fosse stato letto con attenzioneci si sarebbe accorti che la parolapareggio non è contemplata mini-mamente. È invece previsto unprincipio sano, dinamicamente etendenzialmente perseguibile nelleattuali condizioni di economia aper-ta: "Lo Stato assicura l'equilibrio tra

le entrate e le spese del proprio bi-lancio". Equilibrio e non pareggio. Edi cui si avverte la necessità ora, dalmomento che, quel debito, genera-zioni di locuste per scelta hanno la-

sciato crescere indefinitamente.Debito che ora dovrà essere risana-to da generazioni di giovani, formi-che per forza. E a molti di loro verràconculcato il diritto a un futuro de-gno di essere vissuto. Per il resto sipuò anche concordare parzialmentenel merito dell'articolo. Una cosa è

certa quando si leggono certe cor-bellerie vien voglia di dar ragione aRenzi. A Renzi e non a Gelli. Si co-mincia ad averne abbastanza di chipontifica sulla pelle di giovani a cui

si è presentato il conto di un lautopranzo a cui non sono mai stati invi-tati dovendo per giunta sorbirsi ilpredicozzo postprandiale da parte diqualcuno che non sa nemmeno dache parte è girato. Vediamo di pian-tarla che è ora.

CINEMAquesta rubrica è curata da Anonimi Milanesi

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Idadi Pawel Pawlikowski [Danimarca Polonia, 2013, 80']

con Agata Trzebuchowska, Agata Trzebuchowska, Agata Kulesza, Joanna Kulig, Dawid Ogrodnik

Film austero con tante chiavi di let-tura, tutte sotto la chiave della me-moria come rivelazione: della storia,della persecuzione, della ricerca in-dividuale di sé. Nella Polonia deiprimi anni ’60, Anna, giovanissimanovizia entrata orfana in convento,

senza ricordi e completamente igna-ra delle sue origini, prima di prende-re i voti cerca e ritrova l’unico lega-me con la sua famiglia: Wanda,donna emancipata, apparentementearida, ma tormentata dal suo passa-to di ex magistrato del regime cheha combattuto il nazismo.Dopo la rivelazione della prima veri-tà, quando la giovane scopre di ave-re origine ebraiche e di chiamarsiIda, le due donne affrontano insie-me un doloroso viaggio verso la co-noscenza di verità scomode, sullaloro famiglia e sulla Storia grande dicui fanno parte, viaggio che cambie-rà entrambe. Anime profondamente diverse, sonomosse dall’attrazione dell’una verso

l’altra, da ciò che pur non cono-scendo sentono come loro partemancante e quindi complementare: Anna completamente ignara delmondo esterno al microcosmo delpiccolo convento, cerca risposte sul-la sua identità, Wanda carica di fan-

tasmi del passato, è incapace di pa-cificarsi con una memoria che moltotormento ha portato nella sua vita.Insieme affrontano la scoperta dieventi drammatici e crudeli chehanno distrutto la loro famiglia, met-tendo a nudo le fragilità della donnaapparentemente più forte e cinica eaprendo alla giovane novizia mondisconosciuti, dove si agitano senti-menti forti mai provati, dolore, perdi-ta e amore, vissuti come rivelazioni.Ida percorre un cammino faticoso diricerca e crescita personale, che latrasforma da adolescente inconsa-pevole di tutto, a giovane donna chedietro la castità e la riservatezza,possiede grande femminilità e bel-lezza che la risvegliano verso la vita

vera. L’apertura al mondo, ridottonella vita conventuale a pochi econfessabili desideri, porta doman-de e curiosità nella più giovane e favacillare le poche certezze su cui sifondava il suo quieto modo di vive-re.

Il film ricostruisce con discrezione elucidità la memoria storica comunedella Polonia del passaggio dalladominazione nazista al comunismo.Lo fa attraverso i percorsi di cam-biamento nella coscienza delle duedonne, meravigliosamente interpre-tate da attrici di grande sensibilità,che hanno grande forza di gesti esguardi, una bella e intensa AgataKulesza e l’esordiente Agata Tze-buchowska, che il regista accompa-gna per tutto il film con sguardo at-tento e affettuoso.Il regista ricostruisce per il suo ro-manzo di formazione un’atmosferacontenuta e rigorosa, senza strappi,che ricorda i film di Kieslowski, sce-gliendo un bianco e nero poco con-

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n. 13 VI - 2 aprile 2014 12

trastato, che sviluppa tutta la scaladei grigi (valorizzando paesaggi concieli spenti senza sole, alberi spogli)privilegiando tagli asimmetrici per leinquadrature fisse, che lascianomolto spazio intorno alle figure, ecurando molto la colonna sonora sianegli equilibri tra silenzi e dialoghi,

sia nella scelta di brani musicali raf-finati.In questo discreto rigore della mac-china da presa, che osserva senzagiudizio, rientra anche il lungo pianosequenza finale, che accompagnaverso la conclusione della storia,scegliendo la strada della pacatezza

e della dignità di una scelta ragiona-ta e consapevole.Presentato all’ultima edizione delFestival di Torino, e premiato alLondon Film Festival Festival di To-ronto. Adele H.

MUSICAquesta rubrica è a cura di Paolo Viola

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Uno strascico polemico

La rubrica “musica” della scorsa set-timana, con il commento di RaffaeleValletta alla performance di Nobu-yuki Tsujii alla Filarmonica dellaScala, ha scatenato - era prevedibi-le - una vivacissima polemica intor-

no al tema dell’esibizione in concer-to di una persona handicappata etuttavia di straordinaria bravura eintelligenza interpretativa. Ricordo,per chi non avesse letto la rubrica,che il giovane pianista giapponese -cieco dalla nascita e con evidentidisabilità fisiche - aveva eseguitocon grande perfezione tecnica il dif-ficile terzo Concerto per pianoforte eorchestra di Pr okof’ev sotto la dir e-zione di Valerij Gergiev e che ilpubblico, ovviamente impreparatoalla sorpresa, era rimasto ammalia-to ma anche sconcertato.Dunque mercoledì scorso Arcipela-goMilano era uscito da pochi minutiquando già arrivava dalla Californiaquesta mail del signor Mei-Ling L.Liu “… mi fa orrore che si dica diMr.Tsujii che è un "monstrum"! … emi permetta di spiegare: Tsujii po-trebbe apparire imbarazzante sul palco, ma non è affatto innaturale.Ho parlato con lui di persona moltevolte. La sua abilità al pianoforte èdel tutto naturale … è molto risoluto,ha molti pensieri. Compone ed ese-gue musica per dare speranza alla

gente dopo la tragedia del terremo-to. Nuota, fa escursioni, scia, parlaaffettuosamente al pubblico alla finedelle sue performance. È amato nelsuo paese non solo per la musicama anche per la sua personalità.Penso che gli occidentali, che noncapiscono il giapponese, spesso lofraintendano. Questo è il motivo percui mi piacerebbe che avesse cer-cato di comunicare in inglese; finchénon sarà messo in grado di espri-mersi sarà sempre frainteso. Mr.

Tsujii non è un "monstrum", è una persona non vedente che ha mas-simizzato il talento e l'uso degli altrisensi. Molti di noi “vedenti” sonoconsapevoli dei sorprendenti risulta-ti dei ciechi per cui i successi di No-

buyuki Tsujii sono sbalorditivi maanche perfettamente spiegabili ”(http://sites.google.com/site/nobufans).Evidentemente Mr. Mei-Ling L. Liunon conosce il significato della paro-la monstrum (ci ricorda Valletta che“… etimologicamente il termine lat i-no descrive «un fatto prodigioso»,da «mostrare», e come tale è statol’evento della Filarmonica a cui hoassistito”) ma per il resto non pos-siamo che accogliere le sue osser-vazioni e ringraziarlo per le informa-zioni relative a questo “prodigio”.Ci ha scritto però anche il MaestroRobert Sélitrenny dicendoci che “ri-guardo all’articolo «Alla Filarmonicadella Scala » mi ha colpito comePaolo Viola accenni rispettosamen-te e con grande tatto all’infermità del pianista, rimuovendo così la digadel «tabù ». Non è precisamente ciòche un lettore esigente si aspetta daun resoconto, su qualsiasi argomen-to? Questo vale a fortiori per la mu-sica, essendo essa per definizionesoggettiva e quindi spesso sfruttatadai predatori del mercato. Sfortuna-

tamente ho cercato invano qualcheriga sulla prestazione artistica di Va-lerij Gergiev. Eppure mi sembra checi sarebbero tantissime cose da diree scrivere su Gergiev proprio inquesto preciso contesto …” ed ag-giungendo che “l’ultimo castrato  A-lessandro Moreschi, ufficialmenteattivo alla Capella Sistina, morì il 21 Aprile 1922, quindi meno di un se-colo fa. Dicevo alla Cappella Sistinaa Roma… «Mulier taceat in ecclesia»! "

Non dubito che ci sarebbe statomolto da dire su Gergiev, che datroppo tempo vive svolazzando coninvidiabile leggerezza sull’onda del-la sua solida fama, e che forse an-che in questa occasione ha voluto

un po’ sbalordire il pubblico scalige-ro. Ma quella sera non c’ero e igrandi critici - tranne qualche rara enota eccezione - scherzano con ifanti ma lasciano stare i santi.Una lettrice scrive, a proposito dellarubrica, che del “ pianista (Tsujii) miverrebbe da dire «folle», nel sensodi al di fuori dell'umano comune onormale”, mentre un altro dice che“ per quanto mi riguarda il tuo scrittorende esattamente la sensazioneche ho provato, un'assoluta incapa-cità di giudizio tremendamente im-barazzante. E non so neppure sesia giusto che sia così ”.Come si vede, il tema è caldo e ipareri sono tanti; resta però il fattoche dobbiamo ancora capire benequando e quanto si debba essere politically correct   e se sia proprionecessario lasciar stare i santi.Mi chiedo, ad esempio, se si puòdire che lunedì scorso al Conserva-torio Salvatore Accardo ci ha lascia-to a dir poco perplessi, eseguendomolto stancamente e svogliatamen-te due Quartetti di Č aikowskij (la noiosa opera 11 e la

più accattivante opera 22), salvatosolo dalla presenza dei tre ben piùgiovani collaboratori e cioè da LauraGorna (secondo violino), da Fran-cesco Fiore (viola) e dalla bravissi-ma Cecilia Radic (violoncello).Ma perché, allora, ripetiamoall’infinito di voler dare spazio  aigiovani e poi restiamo sempre lì,inamovibili, ad occupare tutti glispazi possibili, anche quando nonne possiamo più?

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LIBRIquesta rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero

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 Antonio MorescoFiaba d'amore

Libellule Mondadori, 2014p. 160, euro 12

Mercoledì 2 aprile, ORE 20,30, illibro verrà presentato a PalazzoSormani, sala del Grechetto, via F.Sforza 7, Milano, con PiersandroPallavicini e Marilena Poletti Paseroa cura di  Unione Lettori Italiani

Della fiaba il romanzo ha l'indeter-minatezza, non si sa quando o dovesi svolga, e come nelle fiabe rac-conta fatti inverosimili slegati dal

principio causa effetto, e dalla fiabamutua la reiterazione delle situazio-ni che qui compaiono speculari nellaprima e nella seconda parte, finoall'apoteosi finale, il lieto fine propriodelle fiabe. Ma è un lieto fine in unaltrove misterioso, come se l'autoreavesse dovuto cambiare passo,cambiare mondo, perché in questonon è dato essere felici.Manca una morale dichiarata e unoscopo didattico come nelle fiabedell'ottocento, perché la radice delnarrare parte da un proposito diver-so, dal profondo di un'anima inquie-

ta, quella dell'autore, che mai hafatto mistero della sua difficoltà delvivere, dai tempi di un collegio ves-satorio, all'onta del rifiuto, per quin-dici anni, di pubblicazione dei suoiprimi romanzi, come Clandestinità, La cipolla, da parte di tutti gli editori,ai quali dedica in seguito il saggio alvetriolo Lettera a nessuno.È la storia di un male del viveresenza speranza, di una rinuncia ra-dicale alla vita nella società, sentitacome nemica e non degna di atten-zione da parte di un uomo, chissà

forse un tempo importante, che peròun giorno ha deciso di cambiare ra-dicalmente stile di vita e diventareun barbone. D'ora in poi un cartonereperito alla discarica dei supermer-cati gli farà da letto e solo una logo-ra coperta lo riscalderà dalle intem-

perie dell'inverno, noncurante delsottile strato di neve che lo ricopredi notte, attorniato da plastiche ri-piene di croste di pane e avanzi dicibo trovato nei rifiuti fuori dai risto-ranti. E sentire, senza vedere, ipassanti che ti camminano accanto,tracciando un ansa per evitare latua massa informe maleodorante epiena di croste, i capelli ispessiti inuna selva informe.

Una rinuncia alla vita che solo inapparenza è simile a quella delBudda, perché manca del nobileobiettivo dell'illuminazione, è fine ase stessa, una rinuncia più assimi-labile al nichilismo, una tensioneverso il nulla, all'annullamento dellacoscienza di sé, perché nulla vale lapena di essere considerato.Fino all'avverarsi di un fatto assur-do, che solo nelle fiabe può accade-re, una meravigliosa ragazza incro-cia il suo sguardo, lo prende permano e lo porta nella sua piccolacasa, piccola come nelle fiabe più

accreditate, lo spoglia, lo mette nel-la doccia, si spoglia anch'ella e lolava da tutte le sue croste. Non cirisparmia l'autore la crudezza di o-sceni particolari corporei, forse uneco dell'antica ferocia delle fiabegermaniche, e, udite udite, poi loama.E lui, il "vecchio pazzo", muto, os-serva allibito gli accadimenti, equando nel tempo riacquista la fa-vella, e pur vecchio ripercorre ilcammino inverso verso la scopertadelle mollezze del vivere, come i

bambini delle fiabe, ripiomba nelsuo antico incubo, ributtato sullastrada dalla volubilità della meravi-gliosa ragazza. E qui inizia l'attesa,e una nuova discesa agli inferi. Etutto intorno i barboni commentano,

vecchio pazzo ti sei illuso e lo pren-dono in giro, come in un coro greco.E poi inizia la seconda parte del ro-manzo la più perturbante, perchéandiamo con il vecchio pazzo nellacittà dei morti, dove tutto è buio an-che se si vede meglio che nella cittàdei vivi e dove tutto è fermo, i treninon partono, le case hanno le fine-stre chiuse ed emanano un rumoredi sottofondo misterioso. Fino a un

nuovo inaspettato incontro del de-stino, che cambierà ancora la sortedel vecchio, che vecchio forse nonè.Come nello spiazzante romanzo LaLucina, che inizia "sono venuto quiper sparire", l'autore ripropone comeprotagonista un vecchio, manca so-lo il bambino, ma lui stesso è diven-tato un bambino nell'annullamentodi sé, e solo grazie all'aiuto dellasua salvatrice ,riuscirà per un brevetempo a risalire la china della cono-scenza perduta. Alla fine si scopre che il romanzo,

iniziato come una rinuncia disperataalla vita, è un'invettiva contro l'inaf-fidabilità delle donne dalle parolemendaci, ma anche un inno all'amo-re, faticosamente conquistato, per-duto,e forse vissuto solo in un altro-ve.Moresco sta per terminare con  Gliincreati  anche la sua potente trilogi-a, che comprende già l'oceanico evisionario Canti del caos  e Gli in-cendiati , e si rivela come uno dei piùgrandi romanzieri dei nostri tempi,per potenza di immagini, capacità di

costruire narrazioni ricche di perso-naggi dissonanti, luminosi o perver-si, ove persino Dio ha una sua par-te, quando cerca di vendere il mon-do a una agenzia di pubblicità.

SIPARIOquesta rubrica è a cura di E. Aldrovandi e D.Muscianisi

[email protected] 

In scena Al  Teatro Franco Parenti ultimigiorni per vedere le due nuove pro-

duzioni di quest’anno di Filippo Timi,Skianto, e della direttrice artistica

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 Andrée Ruth Shammah, Gli innamo-rati di Goldoni , entrambe in scenafino al 6 aprile.Sempre fino al 6 al Piccolo I pilastridella società  di Ibsen, regia di Ga-

briele Lavia, ex-direttore del Teatrodi Roma. All’Elfo Puccini fino al 13 aprile Go-li Otok , con Elio De Capitani e Re-nato Sarti.

 Al Teatro I  fino al 7 aprile StabatMater  di Antonio Tarantino.Emanuele Aldrovandi

ARTE

questa rubrica è a cura di Virginia [email protected] 

Quel provocatore di Manzoni

Ironico, irriverente, scandaloso, in-compreso. Piero Manzoni è questoe molto altro. A 50 anni dalla mortedell’artista, scomparso prematur a-mente all’età di 30 anni, Milano pr o-pone una grande retrospettiva conpiù di 100 opere per celebrare il ge-nio di questo “surrealista” mancato,che ebbe solo sette anni di attività

artistica. Una parabola fulminanteche, dalla originaria Soncino, lo por-ta a legarsi a doppio filo alla Milanodi metà anni ’50, ponendosi a fiancodi artisti quali Lucio Fontana e ilgruppo degli spazialisti.In mostra si potrà ripercorrere il bre-ve cammino di Manzoni, dai lavorid’esordio, nella sezione dedicataalle opere nucleari, fino alle seriepiù note. Immancabili i tre grandifiloni tematici su cui Manzoni operòe che sono ormai immediatamenteassociati al suo nome: gli Achrome,

le Linee e la famosa Merda d’artista. In particolare degli Achrome la mo-stra è ben nutrita: sono tanti e fattidi materiali diversi, dai sassi al poli-stirolo, dalla pelle di coniglio allacarta, dal peluche ai panini. Sono leopere forse più interessanti di Man-zoni, in cui, attraverso la neutralitàdel colore bianco, sempre prevalen-te, Manzoni cerca uno spazio totale.Secondo la definizione stessa datadall’artista, sono "superfici acrome",senza colore, aperte a infiniti signifi-cati possibili. Inizialmente fatti digesso, colla e caolino, gli Achrome

non sono manipolati, ma lasciati a-

sciugare naturalmente, affidando latrasformazione del materiale in ope-ra d’arte a un processo che avvieneda sé. Se per Fontana o Pollock ilgesto dell’artista era fondamentale,costruiva o distruggeva l’opera, perManzoni quel potere creativo èbloccato, congelato, lasciando que-sto dono all’opera stessa.

 Altro filone affrontato è quello dellalinea: strisce di carta di diverse lun-ghezze prodotte in maniera mecca-nica, misurate, inscatolate e “pronteper la vendita”, così come pronteper il consumo erano le uova sodeche Manzoni creò per un happeningin galleria dal titolo Divorare l’arte,del 1960: uova sode, simbolo di ri-nascita, erano offerte ai visitatori peressere mangiate. Lo scopo eraquello di rendere lo spettatore operad’arte, renderlo partecipe della per-formance, dargli un ruolo attivo nel-

la vita artistica. Le uova rimangonopoi protagonista dell’opera di Man-zoni, quando in quello stesso annodecise di contrassegnarle con lasua impronta digitale, creandoun’identità inequivocabile tra l’operae l’artista stesso. Manzoni non era nuovo a questotipo di exploit , tanto che l’anno dopodecise di firmare i corpi di spettatorie curiosi, con tanto di autentica ebollini riconoscitivi. Lo spettatorediventa arte vivente.In mostra completano la panorami-ca anche i celebri fiati d’artista, i

corpi d’aria (palloncini gonfiati che

sembrano sculture) e le basi “magi-che” per le cosiddette sculture vi-venti.Certo l’opera che tutti si aspettano èla serie delle Merde d’artista, in cuiManzoni polemizza contro il nuovomercato dell’arte, sempre più atten-to ai meccanismi economici e sem-pre meno all’oggetto artistico in sé.

Ecco perché con un’operazionequasi duchampiana, Manzoni inse-gna che, ai giorni nostri, tutto puòormai essere considerato arte, adiscapito della qualità e del conte-nuto … . Ecco perché decise divendere queste confezioni a pesod’oro (700 lire al grammo, indican-dolo in trenta grammi d’oro).  Artista che ammicca mentre bac-chetta, con le sue opere ha decon-testualizzato e ribaltato il sensodell’opera d’arte. L’allestimento nonbrilla per inventiva, ma almeno ha il

pregio di presentare fotografiedell’artista all’opera e citazioni dellostesso, attraverso le quali si potràcomprendere più a fondo l’universodi questa meteora dell’arte italianache ebbe però un ruolo di rotturacon l’arte del suo tempo. 

Piero Manzoni 1933 – 1963 Palaz-zo Reale Fino al 2 giugno 2014 Ora-ri: lunedì 14.30-19.30 da martedì adomenica 9.30-19.30 giovedì e sa-bato 9.30-22.30 biglietti: Intero €11,00 - Ridotto € 9,50 

Klimt, Beethoven e la Secessione Viennese

Gustav Klimt è il maestro indiscussodella Secessione viennese, movi-mento artistico sviluppatosi tra lafine dell’800 ed esauritosi alla finedegli anni ’10 in Austria e che dilagòanche in città come Monaco e Berli-no. È uno degli artisti più amati,ammirati e idolatrati di sempre, ben-ché il corpus delle sue opere sia re-lativamente esiguo, 250 lavori circa.Nulla a confronto della prolificità diartisti come Picasso, Warhol o Kan-dinsky, per citare solo alcuni degli

artisti ospitati di recente a PalazzoReale.Ed è proprio qui che da mercoledì12 marzo sarà possibile scoprire eammirare anche i capolavori delmaestro viennese. “Klimt. Alle origi-ni di un mito” è l’ultima mostra pr o-mossa dal Comune di Milano e dalSole24 Ore.È bene dire fin da subito che non èuna monografica su Klimt, ma piut-tosto una panoramica su Klimt, suifratelli Georg e Ernst e su alcunidegli artisti più significativi della Se-

cessione. Di lavori puramente klim-tiani ce ne sono una ventina. Piutto-sto quella proposta da Palazzo Rea-le è una mostra, con un allestimentomolto accattivante e suggestivo, conopere notevoli e lavori che farannocapire il senso di quella straordina-ria rivoluzione artistica che va sottoil nome di Art Nouveau, Art Decò o,appunto, Secessione.Il motivo è presto spiegato. I capo-lavori di Klimt non sono più assicu-rabili, spiega il curatore della mo-stra, Alfred Weidinger, che cura

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l’esposizione insieme a un’altragrande esperta klimtiana, Eva diStefano. I premi assicurativi sonoaltissimi, le opere troppo significati-ve perché i musei se ne possanoseparare con facilità. Retrospettiveimportanti a livello numerico sonoormai rarissime. Per gli amanti deinumeri basti ricordare che 'Il ritratto

di Adele Bloch Bauer'   fu acquistatonel 2006 da Ronald Lauder per 135milioni di dollari, diventando uno trai quadri più costosi di sempre.Nonostante tutto le opere in mostrasono comunque tante, un centinaio,divise in sezioni. Si inizia con la se-zione sulla famiglia Klimt, significati-va perché mostra qualcosa di forsepoco noto, l’origine della vocazioneartistica del maestro. Il padre, orafo,passa ai tre figli maschi la passionee la pratica dell’arte, che i ragazziportano avanti studiando presso laKunstgewerbeschule (scuola d'artee mestieri), dove si esercitano inpittura e in svariate tecniche, il tuttoancora seguendo uno stile storicistaed eclettico. Particolare attenzione èstata dedicata all'opera giovanile,alla formazione di Klimt e ai suoiinizi come decoratore dei monu-mentali edifici di rappresentanzalungo il nuovissimo Ring di Vienna.La sezione successiva è dedicataalla Kunstler-Compagnie, la Com-pagnia degli Artisti che Klimt creòcon i fratelli Ernst e Georg insieme aMatsch, e alla quale vennero affida-

te prestigiose commissioni ufficiali eonorificenze, riprendendo e portan-do avanti lo stile pomposo del loromaestro Hans Makart.Ma il nuovo stava per arrivare. Ab-bandonato lo stile storicista GustavKlimt e compagni, nel 1898, dopo loscandalo causato con i dipinti perl’università di Vienna (bruciati in un

incendio ma riproposti in mostratramite incisioni) inaugurano la pri-ma mostra della Secessione vien-nese, con la pubblicazione della ri-vista ufficiale, Ver Sacrum. È l’annoin cui l’architetto Otto Wagner crea ilfamoso Palazzo della Secessione,decorato internamente dagli stessiartisti.È in questo ambito che nascono al-cuni dei capolavori esposti, come labellissima Giuditta II. Salomè, pre-stito della veneziana Ca' Pesaro, Adamo ed Eva, Acqua Mossa, Fuo-chi fatui   (una chicca di collezioneprivata difficilmente prestata in mo-stra) e altre opere preziose, ricchedi decorazioni eleganti e sinuose, incui il corpo femminile diventa prota-gonista. La donna prima madre poifemme fatale, intrigante e sensuale,portatrice di estasi e di tormento è ilsoggetto prediletto da Klimt.Paesaggi (con l’incredibile Girasole)e ritratti sono altre sezioni della mo-stra, disseminate qua e là daglistraordinari disegni su carta. Opereche mostrano tutta l’abilità del gran-de maestro che con un solo tratto di

matita riusciva a creare un languidocorpo femminile.Ma varrebbe il costo del bigliettoanche solo la straordinaria ricostru-zione del Fregio di Beethoven, ametà percorso, ispirato dalla nonasinfonia del musicista e creato per ilPalazzo della Secessione di Vienna.Copia dell'originale, irremovibile e

danneggiato, realizzata durante ilcomplesso lavoro di restauro com-piuto negli anni ‘70-80, è stato rico-struito così come Klimt l’aveva alle-stito nel 1902, con 7 pannelli di 2metri di altezza per 24 di lunghezza.Tributo a un musicista consideratoleggendario dagli artisti viennesi, ilFregio  rappresentata l’eterna con-trapposizione tra il bene e il male, ilviaggio dell’uomo - cavaliere el’aspirazione al riscatto e alla sal-vezza possibili solo attraverso l’arte,rappresentata dalla donna; un’operaforte di quel messaggio allegoricosempre presente nelle opere diKlimt. Maestro indiscusso di ele-ganza e raffinatezza.

Klimt. Alle origini di un mito Pa-lazzo Reale, fino al 13 luglio Apertu-re e costi: Lunedì dalle ore 14:30alle ore 19:30, da martedì a dome-nica dalle ore 9:30 alle ore 19:30,giovedì e sabato orario prolungatofino alle ore 22:30 Biglietto intero 11euro, ridotto 9,50.

105 disegni di grandi artisti per il Museo Diocesano

Una nuova collezione arricchirà ilgià nutrito percorso artistico del Mu-seo Diocesano di Milano. Da vener-dì 24 gennaio sarà infatti possibileammirare un nuovo lascito, espostoinsieme alla collezioni vescovili edella diocesi, donato al Museo dalgrande collezionista e uomo d’affari Antonio Sozzani. Centocinque dise-gni, perlopiù inediti, saranno espostiin maniera permanente dopo unlungo restauro che ha visto prota-gonisti non solo queste preziose edelicate opere, ma anche le lorocornici originali.Sozzani, uomo di spicco della finan-za milanese e grande collezionistadi arte dell’Ottocento francese, suconsiglio di Giovanni Testori, amicoe consigliere, inizia a comprare ecollezionare disegni su carta di moltisignificativi maestri, italiani e non,mettendo insieme una ricca colle-zione di cui Testori stesso assunsela guida scientifica.

Forse fu su consiglio di un altro a-mico, quell’Alberto Crespi già dona-tore dell’omonima collezione Crespidi fondi oro italiani, depositata pres-

so lo stesso Diocesano, che Sozza-ni decise di donare anche i suoi di-segni al Museo. Con delle clausoleben precise: i disegni dovevano es-sere esposti tutti e tutti insieme, conle loro cornici, e mai conservati oesposti diversamente.La raccolta Sozzani è costituita dadisegni databili dal XV al XX secolo,eseguiti da artisti principalmente ita-liani e stranieri, soprattutto francesi,offrendo una ricca varietà di fogliriconducibili a ‘scuole’ diverse, perepoca e geografia. Tra questi, per lasezione antica, spiccano i nomi diMatteo Rosselli, Luca Cambiaso,Bartolomeo Passarotti, LudovicoCarracci, Guercino, Elisabetta Sira-ni, Gian Lorenzo Bernini, CarloFrancesco Nuvolone, FranciscoGoya, e altri ancora.Cospicuo è anche il nucleo di dise-gni attribuiti a maestri dell’Ottocentofrancese e dell’Impressionismo,come Jacques Louis David, Jean-

 Auguste-Dominique Ingres, CamilleCorot, Eugène Delacroix, ThéodoreGericault, Gustave Courbet, É-douard Manet, Auguste Rodin, E-

dgar Degas, Pierre-Auguste Renoir,Camille Pisarro, Paul Gauguin, Vin-cent van Gogh.Per il Novecento sono presenti al-cuni lavori di autori quali Lucio Fon-tana, Jaques Lipchitz, Marcello Du-dovich, Jean Cocteau, Balthus, TotiScialoja, Graham Sutherland.L’apertura di questa nuova sezionesarà accompagnata da un catalogoscientifico, a cura di Paolo Biscottinie Giulio Bora, che propone, oltre aisaggi introduttivi sulla storia e sullostudio scientifico della collezioneSozzani, la pubblicazione integraledei disegni, quasi tutti inediti, corre-data da una documentazione foto-grafica e da schede scientifiche.

La collezione Antonio Sozzani -Museo Diocesano di Milano (Milano,c.so Porta Ticinese 95)Dal 24 gennaio 2014 Orari di aper-tura: martedì - domenica, 10.00-18.00 (la biglietteria chiude alle ore

17.30) Ingresso: intero: € 8.00, Ri-dotto: € 5.00, martedì 4 euro 

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n. 13 VI - 2 aprile 2014 16

Kandinsky e la nascita della pittura astratta

Che cos’è l’astrattismo? Che signif i-cato hanno cerchi, linee, macchie dicolori a prima vista casuali ma digran impatto visivo? C’è qualcosaoltre la superficie del quadro? Perrispondere a questi leciti interrogati-

vi arriva a Milano una grande retro-spettiva dedicata a uno degli artistipiù significativi del secolo scorso:Vassily Kandinsky.Sono oltre 80 le opere in mostra,tutte provenienti dal Centre Pompi-dou di Parigi e tutte firmate dal pa-dre dell’astrattismo. Una esposizio-ne che offre una panoramica com-pleta dell’evoluzione dell’artista, par-tito da una figurazione semplice elegata alla tradizione, ma che è arri-vato a concepire alcune delle teorieartistiche più interessanti del ‘900.

Un percorso di ricerca lungo e fattodi molte sperimentazioni, che carat-terizza l’arte di Kandinsky comequalcosa di complesso ed estre-mamente affascinante.L’apertura è di grande impatto, conla ricostruzione, per la prima voltaportata fuori dalla Francia,dell’"ambiente artistico totale" ricrea-to nel 1977 dal restauratore JeanVidal, ovvero pitture parietali ese-guite riportando fedelmente i cinqueguazzi originali con cui Kandinskydecorò il salone ottagonale dellaJuryfreie Kunstausstellung di Berli-

no, esposte tra il 1911 e il 1930.Il percorso prosegue poi in ordinecronologico, esaminando le tantefasi vissute da Kandinsky. Già dalleprime opere l’artista russo dimostrauna passione per il colore, le atmo-sfere di gusto impressionista e fau-

ve  con un’attenzione ai temi leg-gendari e legati al passato, come adesempio i cavalieri, soggetti che sitrova ad affrontare all’inizio del ‘900. Abbandonata la Russia, Monacosembra offrire una vita migliore a

Kandinsky, che frequenta l’Acca-demia di Belle Arti e si lega ad artistiche sperimentano con lui un tipo diarte ancora di gusto Art Nouveau: èil momento del gruppo Phalanx.Dopo viaggi che lo conducono ingiro per il mondo insieme alla nuovacompagna, la pittrice Gabriele Mun-ter, Kandinsky si trasferisce a Mur-nau, in Baviera, ed è lì che, passodopo passo, nascerà l’astrattismo.Gradatamente i disegni si fannopiatti, il colore prende piede e nel1910 vedrà la luce il primo acquerel-

lo astratto, dipinto con i colori prima-ri che hanno, agli occhi dell’artista,una valenza e un significato unico efondamentale.Nel 1912, in compagnia dell’amicoFranz Marc, nascerà il celebreBlaue Reiter, quel Cavaliere Azzur-ro protagonista degli esordi di Kan-dinsky e che diverrà anche un fortu-nato almanacco artistico. Seguirà abreve  Lo spirituale nell’arte, trascri-zione del pensiero e della dottrina diKandinsky sull’arte astratta. Con lo scoppio della guerra Kan-dinsky è costretto a tornare in Rus-

sia, momento in cui tornerà a unafugace figurazione e in cui conosce-rà la futura moglie Nina. Nel 1922accetta il prestigioso invito del Bau-haus di Gropius e si trasferisce aDessau come insegnante. Dopo lachiusura nazista di questa prestigio-

sa scuola, Kandinsky decide di re-carsi a Parigi, sua ultima meta e cit-tà allora pervasa dalle grandi novitàdel cubismo e del surrealismo, cor-rente quest’ultima, che influenzeràfortemente gli ultimi lavori dell’arti-

sta.Figure biomorfe sembrano galleg-giare leggere e impalpabili su cieliblu, diagonali di colore, griglie e co-lori pastello. Il cielo e la luce tantoamata della ville lumiere lascerannoun’ultima suggestione nelle grandicomposizioni così come nei piccolidipinti su cartone che Kandinskycreò durante la Guerra.In mostra sono presenti alcune delleopere più significative dell’artista,quelle che tenne per sé costante-mente appese in casa o che donò

all’amata moglie Nina, e che dannoquindi il resoconto esatto di un’arteche si è rivelata fondamentale an-che per i pittori moderni. Molto do-vettero a Kandinsky Pollock e i suoi“irascibili”, così come, l’arte astrattae l’Informale ebbero un debito e-norme nei confronti di quest’uomoche ebbe il coraggio di dire che leforme e i colori sono fondamentali,spirituali, e che la pittura deve tra-smettere l’essenza più profonda dichi la crea e di chi la guarda.

Kandinsky: la collezione del Cen-

tre Pompidou fino al 4 maggio2014 Orari: lunedì:14.30 - 19.30 dalmartedì alla domenica: 9.30 - 19.30giovedì e sabato: 9.30 - 22.30 Bi-glietti: intero 11,5, ridotto 9,5

Perché il Museo del Duomo è un grande museo

Inaugurato nel 1953 e chiuso perrestauri nel 2005, lunedì 4 novem-bre, festa di San Carlo, ha riaperto

le sue porte e le sue collezioni ilGrande Museo del Duomo. Ospitatonegli spazi di Palazzo Reale, pro-prio sotto il primo porticato, il Museodel Duomo si presenta con numeri ecifre di tutto rispetto. Duemila metriquadri di spazi espostivi, ventisettesale e tredici aree tematiche permostrare al pubblico una storia fattad’arte, di fede e di persone, dalquattordicesimo secolo a oggi.Perché riaprire proprio ora? Nel2015 Milano ospiterà l’Expo, diven-tando punto di attrazione mondialeper il futuro, così come, in passato,

Milano è stata anche legata a dop-pio filo a quell’editto di Costantinoche quest’anno celebra il suo1700esimo anniversario, con cele-

brazioni e convegni. Non a caso laVeneranda Fabbrica ha scelto diinserirsi in questa felice congiuntura

temporale, significativa per la città,dopo otto anni di restauri e un inve-stimento da 12 milioni di euro.Il Museo è un piccolo gioiello, per laqualità delle opere esposte cosìcome per la scelta espositiva.L’architetto Guido Canalico lo haconcepito come polo aperto versoquella varietà di generi e linguaggiin cui è riassunta la vera anima delDuomo: oltre duecento sculture, piùdi settecento modelli in gesso, pittu-re, vetrate, oreficerie, arazzi e mo-delli architettonici che spaziano dalXV secolo alla contemporaneità.

E l’allestimento colpisce e coinvolgegià dalle prime sale. Ci si trova cir-condati, spiati e osservati da statuedi santi e cherubini, da apostoli, da

monumentali gargoyles - doccioni,tutti appesi a diversi livelli attraversoun sistema di sostegni metallici e di

attaccaglie a vista, di mensole esupporti metallici che fanno sentirel’osservatore piccolo ma allo stessotempo prossimo all’opera, permet-tendo una visione altrimenti impos-sibile di ciò che è stato sul “tetto” delDuomo per tanti secoli.Si è poi conquistati dalla bellezza diopere come il Crocifisso di Aribertoe il calice in avorio di san Carlo; sipossono vedere a pochi centimetridi distanze le meravigliose guglie inmarmo di Candoglia, e una sala al-tamente scenografica espone le ve-trate del ‘400 e ‘500, alcune su di-

segno dell’Arcimboldo, sopraffiniesempi di grazia e potenza espres-siva su vetro.

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C’è anche il Cerano con uno dei“Quadroni” dedicati a San Carlo,compagno di quelli più famosi espo-sti in Duomo; c’è un Tintoretto ritr o-vato in fortunate circostanze, duran-te la Seconda Guerra mondiale, nel-la sagrestia del Duomo. Attraversoun percorso obbligato fatto di nic-chie, aperture improvvise e sculture

che sembrano indicare la via, pas-sando per aperture ad arco su pare-ti in mattoni a vista, si potrà gustareil Paliotto di San Carlo, pregevoleparamento liturgico del 1610; gli A-razzi Gongaza di manifattura fiam-

minga; la galleria di Camposanto,con bozzetti e sculture in terracotta;per arrivare fino alla struttura por-tante della Madonnina, che più cheun congegno in ferro del 1700,sembra un’opera d’arte contempo-ranea. E al contemporaneo si arrivadavvero in chiusura, con le portebronzee di Lucio Fontana e del

Minguzzi, di cui sono esposte fusio-ni e prove in bronzo di grande im-patto emotivo.Il Duomo è da sempre il cuore dellacittà. Questo rinnovato, ampliato,ricchissimo museo non potrà che

andare a raccontare ancora megliouna storia cittadina e di arte che eb-be inizio nel 1386 con la posa dellaprima pietra sotto la famiglia Viscon-ti, e che continua ancora oggi inquel gran cantiere, sempre biso-gnoso di restauro, che è il Duomostesso.

Museo del Duomo Palazzo Reale – piazza Duomo, 12 Biglietti: Intero6 euro, ridotto 4 euro Orari: Martedì-Domenica: 10.00 -18.00.

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GIULIO IACCHETTI: L’INIZIATIVA “EXPO È DI TUTTI” Http://youtu.be/bpxo1akfjau