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www.arcipelagomilano.org Numero 27 anno III 13 luglio 2011 edizione stampabile L.B.G. PISAPIA UN’ESTATE TRA SCILLA E CARIDDI Guido Martinotti PARTITI E MOVIMENTI: DECIDERE O STALLO Francesco Borella NO FLORA VALLONE. IL VENTO È CAMBIATO Fabio Arrigoni  DECENTRAMENTO: A PICCOLI PASSI MA COMINCIARE Giuseppe Ucciero LA SCOSSA DI BERSANI ATTERA A MILANO? Marco Ponti MILANO E LE TAV: IN GRECIA A GR AN VELOCITÀ Giovanna Franco Repellini L’ARREDO URBANO È ALTRA COSA Jacopo Gardella NAVIGLI: SEMPRE E SOLO PROGETTI? Luca Carra BOSCOINCITTÀ: UNA STRADA GIUSTA Andreas Kipar MILANO CITTÀ VERDE EUROPEA VIDEO LUCIA CASTELLANO L’ESTATE DEI LAVORI PUBBLICI LA NOSTRA MUSICA Villa Lobos PRELUDE 1 Andres Segovia Il magazine offre come sempre le sue rubriche di attualità MUSICA – a cura di Paolo Viola ARTE – a cura di Virginia Colombo CINEMA – a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia www.arcipelagomilano.org 

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Numero 27 anno III13 luglio 2011

edizione stampabile

L.B.G.PISAPIA UN’ESTATE TRA SCILLA E CARIDDI

Guido MartinottiPARTITI E MOVIMENTI: DECIDERE O STALLO

Francesco BorellaNO FLORA VALLONE. IL VENTO È CAMBIATO

Fabio Arrigoni DECENTRAMENTO: A PICCOLI PASSI MA COMINCIARE

Giuseppe UccieroLA SCOSSA DI BERSANI ATTERA A MILANO?

Marco PontiMILANO E LE TAV: IN GRECIA A GRAN VELOCITÀ

Giovanna Franco RepelliniL’ARREDO URBANO È ALTRA COSA

Jacopo Gardella NAVIGLI: SEMPRE E SOLO PROGETTI?

Luca CarraBOSCOINCITTÀ: UNA STRADA GIUSTA

Andreas KiparMILANO CITTÀ VERDE EUROPEA

VIDEO

LUCIA CASTELLANOL’ESTATE DEI LAVORI PUBBLICI

LA NOSTRA MUSICAVilla LobosPRELUDE 1

Andres Segovia 

Il magazine offre come sempre le sue rubriche di attualità

MUSICA – a cura di Paolo ViolaARTE – a cura di Virginia Colombo

CINEMA – a cura di Paolo Schipani e Marco Santarpia

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PISAPIA. UN’ESTATE TRA SCILLA E CARIDDILuca Beltrami Gadola

Sembra proprio che il sindaco Pisa-pia debba navigare i prossimi mesitra due scogli, come Ulisse tra Scillae Cariddi: Expo e PGT. Sembranodue scogli distinti ma, invece, sono

legati tra di loro come da una sortadi ponte sullo Stretto: il ponte degliaffari immobiliari. A questo puntodovrebbe essersi risolta la questio-ne dell’acquisto delle aree: una pe-sante eredità che costringe a segui-re una via comunque onerosa per ilComune ben di là da quello che a-vrebbe potuto essere ma sappiamoin che conto la Giunta precedente ein genere in centro destra tenga ilbene comune, ossia la posposizioneperenne agli interessi della casta edei suoi amici e supporter.

A fronte di questo sacrificio ci devealmeno essere una contropartitaperché, piaccia o non piaccia aglialtri attori che sgomitano al prosce-nio, Expo 2015 è Milano e il sindacoPisapia l’ha sempre avuto presenteanche se gli è costato inghiottirebocconi amari. Mi spiego. Nessunooggi può con certezza dire comefinirà la storia ma, Dio non voglia,andasse a finire male - un insuc-cesso di pubblico e/o un disastrofunzionale tra ingorghi e disservizi –la figuraccia ce la fa Milano. Chi siricorderà a cose finite e fuori dellacerchia dei Navigli della societàEXPO 2015 SPA, dei suoi ammini-stratori, dei suoi pasticci e delle sue

nebbie? Nessuno. La faccia è e sa-rà quella di Milano e con lei quelladei milanesi e del loro sindaco.Per questa ragione abbiamo credo ildiritto-dovere di essere informati

giorno per giorno di quel che succe-de, di che programmi si stanno fa-cendo, di chi si occupa di cosa, dichi ha in mano la regia complessivadell’operazione. Sapere e poter di-scutere e poter esprimere eventualedissenso: niente cambiali in biancovisto che fino ad ora quelle emessesono andate protestate. Potremmofare un lungo elenco delle cose chevorremmo sapere ma certo la piùurgente è un nuovo piano finanzia-rio, dopo le giravolte degli ultimitempi tra le dichiarazioni dell’ammi-

nistratore delegato Sala e quelle delsegretario del BIE Vicente GonzalezLoscertales, giravolte che hannomolto cambiato lo scenario.Veniamo ora al PGT, altro belloscoglio che ha rischiato di dividerela maggioranza. Non sono valse anulla tutte le argomentazioni dei so-stenitori della strategia di riesamina-re le osservazioni e di accoglierequelle accoglibili prima di adottare ilPGT: il drappello di chi vuole il PGTsubito non si è arreso facilmenteagitando forsennatamente lo spau-racchio della paralisi dell’edilizia mi-lanese. Che fosse una panzana l’hadetto in un comunicato stampa an-che l’avvocato Achille Colombo Cle-

rici, presidente di Assoedilizia, fontepoliticamente insospettabile, cheaddirittura considera l’approvazionedel PGT quasi una jattura per unmercato dove ormai l’offerta attuale

non trova assorbimento, per nonparlare di quello che tra poco andràsul mercato, frutto del vecchio PianoRegolatore.Allora eccoci al ponte sullo Stretto:l’operazione Cascina Merlata che,senza l’approvazione del PG ed es-sendo ferma a un accordo di pro-gramma che deve essere ratificatodal Consiglio Comunale, rischia didiventare più difficile, meno lucrosae che, senza un planivolumetricodefinitivo che la colleghi all’areadell’Expo con un ponte a carico di

quest’ultima, perde una delle suemigliori e prestigiose penne. Daqueste colonne ma anche da quelledi Repubblica ho cercato di far capi-re quali siano gli intrecci milanesi aproposito di Cascina Merlata, ope-razione condotta da Euromilano,che è diventato il salotto buonodell’immobiliarismo milanese e cheospita e ha ospitato nel suo consi-glio di amministrazione sia la destrache la sinistra. Ecco perché ci sonotanti mali di pancia. “Follow the bu-siness” – segui gli affari – se vuoicapire la politica.

PARTITI E MOVIMENTI: DECIDERE O STALLOGuido Martinotti

Il nuovo dilemma che si pone oggialla politica locale milanese è in re-altà un problema antico che si rive-ste delle contingenze del momento.La lista civica di Giuliano Pisapia,

che si è presentata con successoalle elezioni amministrative, ha mo-bilitato un numero notevole di mili-tanti e di elettori, che ora si chiedo-no, e chiedono ai loro leaders, senon sia opportuno stabilizzare que-sto movimento trasformando la listacivica in una formazione politicastabile, un “partito”, per brevità, an-che se in questo campo l’esattezzadelle denominazioni è un elementotutt’altro che trascurabile. Va senzadire che i partiti più tradizionali dellacoalizione non vedono di buon oc-chio questa prospettiva e che subitosi è avviato un brontolio di fondo,mentre Pisapia e i suoi elettori te-mono, con un certo grado di buonaragione, che in vista di un percorso

irto di difficoltà il nuovo sindaco ri-schia di trovarsi un Giovanni SenzaTerra nei momenti in cui si dovran-no prendere le decisioni più impopo-lari e meno gradevoli al palato da

parte dei partiti esistenti.D’altro canto, è una vecchia storia:la trasformazione di un gruppo diopinione ancorché di successo inuna forma più stabile che inevita-bilmente dovrà irrigidirsi in una strut-tura con sue regole ed esigenze,non è una operazione facile e le ga-ranzie di successo sono scarse.Suggerisco a tutti, ma seriamente,non come un vezzo letterario o unacitazione dotta, bensì come testo dameditare per l’oggi, Roberto Mi-chels, (tr.it) La sociologia del partito politico , UTET, Torino 1912. Il testoè del 1911 e scontati alcuni inevita-bili anacronismi vale ancora quasiper intero, anche perché certi mec-canismi messi in luce da Michels

sono inerenti a ogni forma organiz-zativa, tanto che non è un caso cheabbia fornito gran parte della baseteorica della Sociologia delle orga-nizzazioni, uno dei settori più origi-

nali dell’investigazione sociologica.In tutta sincerità se dovessi oggiscegliere se trasformare o meno la“lista civica per Pisapia” in un parti-to, tirerei la moneta: vale quindi lapena di approfondire l’argomento,nel quadro di una valutazione piùgenerale di quanto sta avvenendonel sistema politico italiano.Diciamo subito che i partiti tradizio-nali sono scomparsi con la crisi delMuro di Berlino: Mani Pulite è inparte dovuta alla difficoltà dei partitidell’arco costituzionale di trovarefonti di finanziamento diverse daquelle provenienti dagli usuali pa- trons della Guerra Fredda. Si infitti-rono i convegni sui “costi della poli-tica”, ma il risultato fu uno solo. I

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partiti diventarono “leggeri” o tenta-rono vie nuove come il fallimentare“club dei club”, ma contemporane-amente aumentò enormemente lacorruzione d’individui o di piccolecliques  (small c’s :, cliques, clubs,cabals: in Italia le varie P). Anchequelli come il PD, che hanno man-tenuto una sorta di esoscheletro or-ganizzativo, hanno perso largamen-te le loro funzioni originarie: in parti-colare quella di raccogliere la do-manda, ma soprattutto quella di se-lezionare le nuove classi dirigenti edi favorire una decente circolazionedelle élites interne, in partiti semprepiù le leaderisti e cesaristi.Come dice con grande lucidità Vale-rio Onida questa trasformazione èlargamente dovuta a fatti istituziona-li: un finto bipartitismo che si è tra-sformato in un bipolarismo di manie-ra, e la legge “porcata” di Calderoli

che ha dato alle segreterie dei partitiun potere inaudito e devastante,presupposto per ogni forma di cor-ruzione possibile, perché viene reci-so quel legame (accountability )dell’eletto con i suoi elettori che èuno dei meccanismi base di unademocrazia non patriarcale. Pur-troppo negli ultimi quindici-venti annila leadership dei partiti di opposizio-ne si è adagiata in una filosofia di-sfattista: in vent’anni, la sola sa-pienza politica tollerata è stata quel-la di arrovellarsi su una equazione

irresolubile, come quelle della qua-dratura del cerchio o del decimoproblema di Hilbert, e cioè comefare una politica (e proiettare unaimmagine) sufficientemente di de-stra per conquistare l’elettorato dicentro. Filosofia politica espressacon il massimo della lucidità da unodei suoi maggiori teorici quando haproposto ai milanesi di candidarecontro la Moratti l’ex sindaco Alber-tini (a suo tempo personalmentescelto da Silvio Berlusconi con mol-ta intelligenza politica, benintesocome candidato della destra).Ma questa politica dell’acqua nelmortaio, che dura ancora oggi, no-nostante importanti segni di cam-biamento nel paese, la obbrobriosaagonia del berlusconismo e la cata-strofe economica incombente, non èfrutto di insipienza o ingenuità: èfrutto di calcolo, perché ha permes-so a D’Alema e a buona parte delladirigenza politica nazionale e localedel Centrosinistra, di prosperare se-renamente per vent’anni, facendo ipropri interessi e accumulando po-tere. E’ una opposizione che di-

sprezza (e teme) i movimenti e lasocietà civile contrapponendoli aipartiti, come fa appunto D’Alemacon sussiegosa altezzosità nel di-

scorso di Gargonza. “Io non cono-sco questa cosa, questa politica cheviene fatta dai cittadini e non dallapolitica. La politica è un ramo spe-cialistico delle professioni intellet-tuali. E finora questo momento nonsi conoscono società democraticheche hanno potuto fare diversamen-te”. Come è avvenuto per molte al-tre affermazioni apodittiche di que-sto leader, del tipo “La Lega è unacostola della sinistra”, anche questacozza sonoramente contro l’eviden-za dei fatti, ma che importa?In parte i cosiddetti “movimenti” so-no stati il prodotto di questa politica.Con partiti di sinistra e Centrosini-stra più aperti alle istanze, a volteanche verbosamente estreme, manon necessariamente tali Di Pietro eGrillo avrebbero avuto vita molto piùdura Certo occorreva una intelligen-za politica di inclusione che questa

dirigenza arroccata non ha avuto. Ecosì anche i movimenti di societàcivile, i “girotondini”, i “viola” eccete-ra sono stati subito stigmatizzati. Manon è bastato, i cambiamenti sonoin corso e l’intero establishment delPD, con rarissime eccezioni non hacapito cosa stava succedendo fuoridella scatola fino all’ultimissimomomento e forse anche dopo. Sa-rebbe ingiusto non riconoscere cheil riflesso condizionato della buonaorganizzazione ha funzionato anchenelle amministrative e nei referen-

dum. La militanza del PD si è datada fare anche a dispetto dello scet-ticismo dei capi.Ma in tutti i passaggi in cui si senti-va il profumo del nuovo, la dirigenzadel centrosinistra sentiva invecel’odore della vecchia stalla e lì cor-reva: alle primarie, di fronte ai mo-vimenti delle donne (che difatti aSiena hanno rifiutato ogni apparen-tamento), nel complesso arcipelagodel mondo giovanile, nella indigna-zione generale di una politica fattadi soprusi, rapine, ceffi impresenta-bili e azioni disgustose (“l’orrore,l’orrore!”) il PD non ha capito moltoe ha creduto ancor meno nella pos-sibilità di cambiare. In alcuni casi,come a Napoli, questa incompren-sione è stata disastrosa e vecchievolpi della politica come UmbertoRanieri hanno rivelato tutta la loroincapacità di uscire dalla scatola eancora oggi attaccano la giunta diDe Magistris invece di sostenerla.La profezia di Nanni Moretti che conquella leadership ci saremmo tenutiBerlusconi si è avverata ed è signi-ficativo che un leader politico-

politicante come D’Alema in quellaoccasione non abbia trovato la forzadi rispondere alla sfida faccia a fac-cia, ma se ne sia andato.

Tuttavia ciò che noi chiamiamo“movimento” o “movimenti” non èqualcosa di univoco o omogeneo,ma il risultato di una serie di spintetrasformative, In politica il cambia-mento avviene: a) quando i mede-simi gruppi sociali vengono convintidall’offerta politica che la loro rap-presentanza politica tradizionalenon li rappresenta più e quindi spo-stano il loro consenso su un’altraleadership (è stato il caso di moltaborghesia milanese che pure forsein passato aveva votato Moratti oAlbertini); b) quando un gruppo ac-quista quel che si diceva una volta“coscienza” dei propri problemi enon trova chi risponde a questedomande, ma istintivamente si ri-volge al nuovo: è quello che è av-venuto con i girotondini, i dipietristi, igrillini, e ora con gruppi ampi comequello di “se non ora quando?” o i

precari.Oppure c) quando cambia il pesorelativo di alcuni gruppi che hannopropensioni politiche più o menoidentificabili, come è avvenuto nellosmottamento sotterraneo dell’ultimodecennio che ha visto aumentarenel corpo elettorale di circa 5 milionii nuovi ingressi, relativamente piùistruiti e meno teledipendenti masoprattutto più disperati per il pro-prio futuro, mentre ne sono uscitialtrettanti, con pensioni povere, masicure, e gradi di femminilizzazione,

scarsa istruzione e scarsa espe-rienza di lavoro fuori dalla famiglia,largamente tele e Fede dipendenti.Cui vanno aggiunti i 2 milioni di elet-tori generalmente delle coorti anzia-ne della riduzione del corpo eletto-rale.Per tutti costoro il “partito leggero”era già lì pronto nel web, ma biso-gnava saperlo usare, non alla vec-chia maniera come manifestino digi-tale. Questi nuovi elettori non sononecessariamente tutti di sinistra nelvecchio senso, ma certamente riget-tano in blocco i vecchi guitti delladestra, fischiano Sgarbi, si mettonoa ridere quando vedono Ferrara eOstellino in mutande o la Santanchèche fa la santarellina, Rotondi chefa una festa con tartufi grandi comemeloni (con i nostri soldi) il giorno incui un canale televisivo racconta lagiornata di una famiglia romana chenon ha neppure i soldi per andare almare a pochi passi, il sontuoso ma-trimonio di Brunetta due giorni dopoche si è preso del cretino da Tre-monti (con quale piacere per chi de-ve difendere i nostri conti è facile

immaginare) e le facce inceronate diFede e Berlusconi o quelle al molib-deno dei radicali liberi come Capez-zone o Quagliariello, o l’orribilità del-

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la Moratti e dei leghisti con le lorooscene propagande da dirty tricks .Questa gente è fuori: i Cetto LaQualunque sono usciti di scena ealcuni a poco a poco comparirannonelle aule di giustizia come si stagià verificando. Come è avvenutonel ‘92, non ci sono più soldi da di-stribuire e il tronco mangiato dalletermiti si sgretola (vedi Bruce Buenode Mesquita e Alastair Smith, (“HowTyrants Endure”, NYT, OP-Ed, Fri-day June 10th, 2011 A35). E allora?

Io credo che siamo a uno snodo,che la dirigenza del Centrosinistradebba uscire dal comodo letargo del“domani è un altro giorno” e debbaproporsi, ma con molta umiltà, comeattore importante, ma non egemoni-co, in una situazione in flusso, in cuii partiti e i movimenti e i nuovi rag-gruppamenti devono convivere: ivecchi partiti devono imparare a na-vigare in questo mare i nuovi movi-menti devono, se vogliono consoli-darsi, evitare i modelli del passato.

L’elezione di Pisapia ha fornito unmodello proponendo la “propaganda of the deeds ” (la propaganda deifatti) contro la “propaganda of the words ” (“la propaganda delle paro-le”). Non buttiamolo via, facciamo siche l’esperimento milanese vada afondo in questo nuovo mondo dellapolitica in cui si aprono molte possi-bilità per tutti, ma in cui nulla è ga-rantito.

 

NO, FLORA VALLONE. IL VENTO E’ CAMBIATOFrancesco Borella

Che tristezza, leggere su Arcipela-gomilano quella patetica pagina dipubblica autodifesa, di exscusatio non petita , di autocelebrazione (e in

definitiva di autogol) di Flora Vallo-ne. Perché alla fine della lettura lareazione non può essere che: bravoPisapia, bravo Corritore, c’è davve-ro bisogno di aria nuova. Ha datosupporto tecnico al peggior asses-sore al verde del Comune di Milano,a memoria d’uomo, le cui politiche ei cui risultati e slogan i cittadini mila-nesi hanno già bocciato; eppuresembra non rendersene conto.Ancora ‘sta storia dei nuovi alberi.Ne ho già parlato tante volte su Ar-cipelagoMilano (ho perfino paurache i lettori abituali ne siano stufi),sempre mettendola un po’ sul ride-re, perché in effetti non mi pare unacosa seria; dai 400.000 promessi daAlbertini, alla fine del secolo scorso,in poi; ma in fondo, fin che ne parlaun sindaco, passi. Quattro anni fainvece il discorso dei 500.000 nuovialberi veniva spacciato come obiet-tivo dell’amministrazione. Chi si oc-cupa di verde sa che il valore e laqualità del verde è un’altra cosa,dipende da altri fattori e altri equili-bri, anche dall’equilibrio dei vuoti edei pieni, in cui anche le grandi ra-

dure “vuote” (vedi Parco Nord) pos-sono avere un peso e un valore es-senziale.Ma, anche a voler prendere sul se-rio questo discorso ragionieristico, aMilano 500.000 nuovi alberi ci po-trebbero forse stare, solo a patto difare davvero tutti i nuovi parchi dicintura disegnati sulla carta, tutti iraggi verdi e soprattutto il ParcoSud e le sue “teste di ponte” urba-ne: e allora il centro dell’attenzionesi sposterebbe ovviamente sul dise-gno strategico d’insieme, sul siste-

ma delle connessioni e sui progettispecifici dei singoli parchi, sulla loroestensione, i loro caratteri e le loroqualità ambientali e paesaggistiche,

e non certo sul numero di alberi im-piegati.Nossignori, oggi ci vengono a direche ne hanno già piantati 70.000.

Non abbiamo difficoltà a crederlo.Potremmo infatti fare l’elenco deiluoghi snaturati appunto dai troppinuovi alberi, infilati a forza dove sa-rebbe stato meglio non metterli af-fatto, lasciare spazi liberi per il gio-co, rispettare l’alternanza preesi-stente dei vuoti e dei pieni, del solee dell’ombra. Ma i bilanci statistici, ela necessità di rispettare gli obiettividi fine mandato, cui magari sonovincolati i premi di produzione, si sa,hanno le loro esigenze; e impongo-no d’infilare nuovi alberi ovunquepossibile, anche dove non avrebbe-ro alcuna possibilità di sopravvivere.Seconda questione: chi ha fornitoall’Assessore il supporto tecnico perla cacciata di Italia Nostra dal Parcodelle Cave? (pardon, per essereprecisi, ma la sostanza non cambia:per costringere Italia Nostra a rinun-ciare al Parco delle Cave). Anchequesta ai cittadini milanesi non èpiaciuta affatto. Il Parco delle Caveera stato affidato a Italia Nostra nel‘97, quando non solo non riusciva adecollare, ma era diventato luogoingestibile, infrequentabile, pericolo-

so, più noto come luogo di spaccioche come giardino pubblico; ed erastato affidato a Italia Nostra grazieai positivi risultati dell’esperienza delBoscoincittà, prossimo e confinantecon quello delle Cave, realizzato dalnulla da Italia Nostra a partire dal’74, su area avuta in concessionedal Comune, dapprima di trenta et-tari e poco a poco ampliata e arric-chita di verde, di percorsi, di natura,fino all’attuale ben nota e apprezza-ta condizione.Nei primi nove anni della conven-

zione, il CFU (il Centro di Foresta-zione Urbana, il braccio operativo e“centro studi” di Italia Nostra per ilsettore del verde) sempre in grande

sintonia con l’amministrazione co-munale, aveva applicato al Parcodelle Cave il “metodo Bosco”, il me-todo del lavoro sul campo costante,

tenace, continuo, il metodo dellagradualità e dei piccoli passi, con irisultati straordinari che sono sottogli occhi di tutti.Ma il Parco delle Cave è realizzatoper meno della metà, la cava OngariCerutti ad esempio è ancora chiusae inagibile, da riqualificare e recupe-rare a parco, da aprire all’uso deicittadini, da aggiungere a un Parcodelle Cave da ampliare a ben altradimensione e ricchezza; e così, suimargini est e ovest, giacciono im-portanti progetti ancora non realiz-zati. Ma qualcosa era improvvisa-mente cambiato, la nuova ammini-strazione (come noto, del medesimocolore politico della precedente) nonsembrava interessata ai progetti dicompletamento del Parco propostida Italia Nostra; sembrava averealtre priorità, in parte legate a picco-le clientele locali, in parte alla stra-maledetta e imperante necessitàdella “politica” di un risultato e diuna visibilità a breve termine.Preferiva, ad esempio, spendere isoldi (tanti) nelle feste del “Verde inComune”, feste sbagliate e disedu-

cative (e però coerenti con quellacultura del verde come sommatoriadi “parchi dei divertimenti” che èsembrata un po’ la cifra di questaamministrazione; a proposito, ci èandata ancora bene, perché almenol’operazione ruota panoramica alSempione, tante volte riproposta evagheggiata, non è andata in porto).E così Italia Nostra, che non potevae non voleva rendersi corresponsa-bile di una politica del verde noncondivisibile, è stata costretta asgombrare il campo, con tutti i suoi

bellissimi progetti di completamentodel Parco, rimasti inattuati. Dai qua-li, ovviamente, si potrà ancora ripar-tire.

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Fosse almeno vero che il Comunedi Milano si è davvero impegnato aridurre il consumo di suolo: anchequi, abbiamo evidentemente un’ideadiversa dei possibili effetti del nuovo

PGT. Ma sono tante, troppe le valu-tazioni (a partire dalle più clamoro-se, quelle reiterate sulle competen-ze professionali uniche e specialis-sime, o sugli stipendi a costo zero)

sulle quali è forse meglio tacere. Infondo, l’unico parere che contal’hanno espresso i cittadini: il ventoè cambiato.

DECENTRAMENTO: A PICCOLI PASSI MA COMINCIARE

Fabio ArrigoniSembrerebbe fatta, per le Zone mi-lanesi entrate, dichiarazioni allamano, nel cannocchiale che le do-vrebbe condurre a divenire “munici-palità”. Dopo anni a bagnomaria,con pochi poteri e poche disponibili-tà finanziarie, il programma del Sin-daco Pisapia, dove sta scritto chiaroche prima si attuerà il decentramen-to rimasto sulla carta (del regola-mento attuale) per poi passare auna fase di nuove competenze, è la

carta di impegni per la rivincita delleZone. Carta a cui credere, stanteanche il fatto che il Sindaco – in unaserie di incontri in cui poteva ancheevitare l’argomento - l’ha invece ri-preso, confermato e amplificato.Roba da non credere, per chi hafatto il consigliere di Zona consta-tando un decentramento che cam-minava come un gambero. Peraltro,anche l’assessore al Decentramen-to, ha ribadito che la strada è trac-ciata, sollecitando le Zone ad aprirela discussione in concreto, con i cit-tadini, sul futuro assetto.Tuttavia, ci sono una serie di que-stioni che è meglio porsi subito, poi-ché una cosa è scrivere e dire,un’altra tradurre in pratica. La primaè quella che si potrebbe tradurrecon “chi ben comincia …”. Per con-cretizzare l’idea che si cambia, oc-corre qualche segnale a breve ter-mine. Un colpo di rilievo sarebbe iltrasferimento degli indirizzi sullamanutenzione ordinaria di strade,verde, scuole (anche in modo pro-gressivo) alle Zone. Non si tratta,sia ben chiaro, di aumentare le spe-

se, cosa peraltro impossibile, stante

il buco lasciata dalla Giunta prece-dente. Semplicemente, di ripartire(sulla carta) quanto disponibile innove sottocapitoli, relazionare ufficicentrali e Zone, e consentire a que-ste di individuare le priorità. Il se-gnale metterebbe in angolo gli scet-tici, ma soprattutto sigillerebbe unnuovo patto Comune - Zone.La seconda questione sta nellepossibili resistenze alla diffusionedei poteri (di decidere). Si dice che i

funzionari dei settori centrali potreb-bero frapporre ostacoli; e che gli as-sessori, una volta insediati, terreb-bero ben strette tutte le competen-ze, nel gioco di passarsi la “carta” dichi comincia a cedere qualcosaall’infinito. Si tratta, evidentemente,di preoccupazioni che hanno qual-che fondamento in quanto avvenutoin passato. Non è un caso se laprecedente segreteria generale delComune, aveva bocciato le ipotesidi qualche pur timido passaggio dicompetenze formulato nello scorsomandato amministrativo. E, d’altrocanto, è evidente che veri poteri alleZone muterebbero l’assetto delledirigenze.D’altro canto, se qualcuno – con unfilo di cattiveria – va a dire a un as-sessore che gli “sparisce” – per di-sgregazione in nove –l’assessorato, è dubbio che sia con-tento. Anche qui, dovrebbe cambia-re la visuale: la valorizzazione dellerisorse interne – ben reperibili nelpersonale in forza – passa anchedal concetto che le Zone, rafforzate,valgono come un Settore comunale.

Questo valore paritario, ben può

condurre il personale a condividerela via del decentramento. Quantoagli assessori spetta loro la politicaamministrativa d’area vasta: micapoco, in una sfida che si fa sulle i-dee, anziché sui singoli appalti. Ealcuni segni di attenzione, occorredirlo, ci sono già, con provvedimentiche vedono, fin dalla genesi, il coin-volgimento della Zone voluto dagliassessori.Ultimo tema (fra gli altri che si po-

trebbero affrontare, quali la prepa-razione di Zone e consiglieri ai nuo-vi compiti) è quello dei soldi. Essen-docene pochi, ed essendo residualel’ipotesi che aumentino, c’è chi sichiede come si potrà fare, poiché latraslazione di competenze è spessoconnessa a un aumento di spesa.Ora, su questo occorre chiarire cheil patto Comune - Zone deve averecome reciproco obbligatorio impe-gno, che non si spenda un euro inpiù (in realtà, ci sarà qualche euro inmeno). Ciò è possibile se le Zone siassumono un impegno di controllo –quello dell’occhio attento sul e nelterritorio, che potrebbe determinarequalche risparmio.Meno (mi) appassiona il dibattito suquante zone si potranno fare, per-ché alcune sono troppo grandi. E’una discussione che potrà arrivaresolo in chiusura del percorso, quan-do le Zone avranno sperimentato –e i cittadini avranno potuto misurare

 – la capacità di gestione decentratadi una serie di competenze: manu-tenzione per prima, ma non la sola.

LA “SCOSSA” DI BERSANI ATTERRA A MILANO?Giuseppe Ucciero

In molti, dopo i successi di maggio egiugno, parlano di cambio di fase,ma non sembra che tutti intendanola stessa cosa. Per tanti è la fine diun lungo ciclo politico culturale, ilberlusconismo, quella particolareforma spuria ed eversiva del liberi-smo mondiale che ha aggredito alleradici il nostro paese. Non un sem-plice cambio di maggioranza dun-que, ma il tramonto di un’era geolo-gico-politica che ha mortificato e

degradato gli stessi concetti di so-ciale, bene comune, regola, cosapubblica, democrazia e perfino quel-li di decenza e di onore.Questa rappresentazione è condivi-sibile ma parziale, e, se coglie unessenziale carattere della fase, ri-schia di ottundere la comprensionedel cambio di cultura generale che èal fondamento dello stesso tramontodel berlusconismo. Se crolla la poli-tica “personalistica” di Berlusconi

non è che la politica dei partiti stiabene in salute.E anche il Partito Democratico, siapure essa una “crisi” di crescita, nonpuò esimersi da una ricerca e dauna riforma. Potrebbe sembrare unaprovocazione anche solo l’accen-narne, vista l’ampia messe di con-sensi raccolti, ma evidentemente seBersani pone con forza il tema sultavolo vuol dire che la questionescotta. La sua ultima relazione alla

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Direzione è uno snodo importante diriflessione, ma sembra poco cono-sciuta e perfino un po’ snobbata,forse perché la Conferenza Orga-nizzativa che prepara non distribuiràposti ma idee. Eppure temi e ango-lature sono decisivi: dalla sovranitàdegli iscritti e degli elettori, al rico-

noscimento dell’irriducibilità allaforma partito della soggettività dimovimenti della società civile, chechiedono Politica senza essere par-tito.Dal referendum degli iscritti fino allaregolazione delle primarie di coali-zione e al superamento degli orga-nismi dirigenti basati su logiche ver-ticali correntizie. E se l’approcciotende al massimo grado espansivola cultura politica da cui prende lemosse, questo non occulta né im-portanza né lungimiranza dello sfor-

zo. Un grande tema, non un lussoné tanto meno un’autoreferenzialità.Una priorità assoluta, non una que-stione da sistemare tra una birrettae una piadina a un festival di partito.E a Milano che succede? Che fa ilgruppo dirigente, ma non solo, delPD? Per dirla tutta, si hal’impressione un po’ sgradevole chein ogni stagione ci sia sempre unbuon motivo per scansare certi temie certe pratiche. E’ vero, giranomail in cui si allude a un “PD comenon l’abbiamo mai conosciuto”, main concreto restano davvero pochee povere, per ora, le occasioni in cuiil dibattito è stato ampio ed effettivo,e soprattutto in cui questo benedet-to PD mai conosciuto cominci a pa-lesarsi dietro i cartelli del “lavori incorso”.Anche per questo, e proprio nellalogica dell’allargamento di un dibat-tito coinvolgente e non imputabile a

questa o quella componente, alcunihanno ritenuto opportuno di prende-re un’iniziativa per giovedì 14 luglio,come momento di discussione aper-ta e inclusiva: immaginando un fiu-me, il fiume democratico, comel’alveo in cui confluire ciascuno sen-za altre forme di riconoscimento che

la propria, personale, capacità e au-torevolezza. Un’iniziativa “non con-tro, ma per”, non contro qualcuno,ma per fare politica, per cambiareuno stile ancora poco aperto e an-cora autoreferenziale, per confron-tarsi e per elaborare proposte chediano respiro e spazi appropriati allademocrazia diretta dei cittadini ealle forme di partecipazione nel go-verno della città e dei suoi servizi.Ora si fa un gran parlare di parteci-pazione, ma si ha semprel’impressione di un connotato ancil-

lare, consolatorio, del termine, quasisi trattasse di una sorta di spaziogiochi dove il cittadino si deve pursfogare, ma quanto al potere, “behquesta è proprio un’altra cosa”. Sifatica a comprendere che non solo ilcittadino oggi intende partecipare,ma che lo vuole perché vuole “con-tare”, vuole decidere. Pensare auna partecipazione che non preve-da specifici ambiti di potere a essariservati o anche solo condivisi è ingenerale un’illusione, una mistifica-zione, ma per la sinistra e il PD èdavvero la negazione della ragionesociale della ditta, come direbbesempre il buon Bersani. La politicasi occupa del potere e il potere è ungioco a somma zero: se qualcunone dispone, a qualche altro è nega-ta, simmetricamente e inevitabil-mente. Per questo oggi, nel PD enella società il tema sul tavolo è lospazio politico per la decisione diret-

ta, o meglio il ridisegno dei processie dei modi con cui democrazia diret-ta e rappresentativa s’intrecciano.Così si ripensa alle primarie comemetodo per la selezione dei gruppidirigenti e dei rappresentanti nelleistituzioni.Al netto di tutte le questioni del co-

sto e dei privilegi della politica, c’èuna questione grande come unacasa, che riguarda il processo concui si scelgono nel PD i rappresen-tanti. Oggi, come sappiamo, il por-cellum blinda le candidature deiPartiti su liste bloccate. E proprioqui allora si devono pensare mec-canismi di coinvolgimento degli elet-tori, per ora del PD, che bypassino ilblocco legislativo, chiamando il po-polo democratico a una scelta delproprio rappresentante che restitui-sca il piacere della valutazione e

della selezione, insomma della de-cisione, anche qui essendo chiaroche, se il cittadino democratico de-cide, esercita un potere che non sa-rà più nelle mani del gruppo dirigen-te. Pensiamo a quale dirompentevantaggio politico si potrebbe gene-rare a favore del centrosinistra inuna fase in cui i cittadini chiedono dicontare, e come questa prassi de-mocratica potrebbe stimolare un e-lettorato di centrodestra disgustatodall’esproprio sistematico del pro-prio buon diritto a favore di nani eballerine.Tanti sono i temi, tante le questioni,enorme la posta in gioco: alcuni sisono messi in viaggio e naviganonel fiume. Al gruppo dirigente delPD milanese l’onore e l’onere di ri-spondere alla vigorosa sollecitazio-ne di Bersani e del popolo democra-tico tutto.

MILANO E TAV: PRESTO IN GRECIA A GRAN VELOCITA’Marco Ponti

Milano diventerà presto la capitaleitaliana dell’alta velocità! Sarà col-legata con Lione e Parigi via Torino,con Venezia, con Genova, (mentrelo è già con Roma e Napoli). Ottimoper i milanesi, un disastro per i contipubblici e per l’economia del paese.Nessuna di queste nuove costosis-sime linee si ripaga per più del 20%con le tariffe degli utenti: tutto il re-sto lo devono pagare i contribuenticon le loro tasse. Nessuna di que-ste linee ha mai passato un test co-

sti-benefici sociali “terzo” (cioè unaanalisi che tenga conto anchedell’ambiente, dei risparmi di tempo

ecc., ma non sia pagata dai sogget-ti interessati a costruirle).Vediamo più da vicino i tre progetti.Uno la linea AV Milano Venezia, èpensato soprattutto per i passegge-ri. Solo che tra la due estremità iltraffico è e rimarrà modestissimo inrelazione al costo e alla capacitàdella nuova linea (300 treni/giorno).Quindi i guadagni di tempo, doven-do la gran parte dei passeggeri“rientrare” con raccordi sulle cittàintermedie, saranno di pochi minuti.

Ma non c’è problema, non rimarràdeserta: infatti si pensa di proibirela concorrenza ai treni di altri opera-tori (diversi da FS) che volessero,

andando solo un po’ più piano, offri-re tariffe più basse sulla linea esi-stente.Per le altre due, stando alle cifreufficiali, si tratta di progetti dedicatiprincipalmente alle merci, perché iltraffico passeggeri è risibile (la To-rino Lione e la Milano Genova).Peccato che i treni merci adattiall’alta velocità non esistono anco-ra, e le merci via treno non sonointeressate alla velocità, tanto chesulla rete francese non possono

nemmeno passare. C’è poi un altroproblema: il traffico ferroviario mercinon cresce da decenni, nonostantei sussidi, e inoltre passerebbe be-

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nissimo sulle linee esistenti anchese crescesse parecchio (dunque sitratta di costi astronomici certi afronte di un evento molto incerto).Molti penseranno: ma comunque iltraffico arriverà, una volta fatte lelinee. Certo, si è visto sulla Milano-Torino: passavano all’inizio 14 treni

AV, pare che ora li portino a 20, eun domani, chissà, a 30. Peccatoche la capacità aggiuntiva di quellalinea è di 330 treni al giorno, e sa-rebbe costato meno alla collettivitàportare quei passeggeri in elicotte-ro, gratuitamente.… La gran partedegli studiosi (quelli non retribuiti dapromotori) l’aveva ovviamente pre-visto. Uccelli del malaugurio. Diver-sa la storia sulla Milano-Roma, benutilizzata come tutti gli studi preve-

devano, a riprova che forse qualcherazionalità nelle scelte sarebbe uti-le. A parte il trascurabile dettaglioche è costata il triplo del previsto,ma certo per questo non tutti pian-gono.C’è però molto di peggio all’oriz-zonte che fare opere costosissime

e inutili: è non finirle mai. I soldipubblici sono già oggi scarsissimi, elo saranno ancora di più in futuro. Ilrischio maggiore è che per consen-so “bipartisan” si aprano tutti questicantieri, specialmente vicino alleelezioni, e poi si interrompano i la-vori per ricorrente mancanza difondi (i costi però corrono, i cantierinon vengono mai chiusi del tutto).Tempi infiniti e costi alle stelle: l’AVinsegna, come insegna che una

buona sequenza di proteste localiserve ottimamente a far crescereulteriormente questi costi.Che fare? Federalismo spinto, maalla francese. I soldi del centro ven-gono dati, per le infrastrutture, alleregioni per il 50%, ma senza cartel-lino: li possono spendere in opere

costose e di scarsa utilità solo secosì decidono, confrontando questescelte con altre priorità sociali. Cer-to le logiche cambierebbero, e an-che il confronto democratico. Se sicontinua invece sulla strada intra-presa, e nessuno pensa seriamentedi alzare le tasse per finanziarequesti costosi giocattoli, certo il pa-ese d’Europa cui ci avvicineremo dipiù, e con grande velocità, sarà laGrecia.

L’ARREDO URBANO È ALTRA COSAGiovanna Franco Repellini

Negli anni Novanta e in generaleprima della giunta Moratti l’ArredoUrbano e Parchi e Giardini forma-vano due settori distinti con al pro-prio interno tutte le competenze ne-cessarie all’esercizio della propriamissione, dal progetto all’esecu-zione, comprese le pratiche ammi-nistrative. In questo modo funziona-vano come gruppi compatti e orga-nizzati per affrontare i diversi compi-

ti. Quando necessario venivano ri-chiesti contributi esterni e io fui unodi questi, consulente all’Arredo Ur-bano dal ’95 al ’99 e Direttore diSettore fino al 2001. Quella strutturacompleta, professionale e veloce fu,almeno per il Settore Arredo Urba-no, una conquista che richiese annidi lavoro e di affinamento organizza-tivo.Faccio questa piccola premessaperché i due settori sono stati ac-corpati durante la precedente giuntama in pratica l’Arredo si è frammen-

tato con la direzionale (di indirizzo)da una parte, gli amministrativi daun’altra e i tecnici da un’altra anco-ra, anche in sedi differenziate e di-stanziate. La riunificazione dei duesettori, che può sembrare giusta aprima vista in quanto entrambi sioccupano di spazi pubblici urbani, inrealtà è stata negativa perchél’Arredo Urbano ha perso la suaspecificità. Le competenze di quelsettore infatti riguardano sopratuttol’estetica, lo stile e la storia dellestrade, degli spazi pubblici pedonali,come le piazze e i marciapiedi, e ditutti gli elementi che li compongono:dalle pavimentazioni ai manufattitecnici e agli oggetti, le mobilier ur- bain , dai monumenti alle fontane e

anche il verde, nel momento in cuiquesto è parte integrante del siste-ma.In questo senso occorre riprenderel’analisi delle aree pubbliche dellacittà, valutare lo stato di manuten-zione, l’eventuale degrado e le pos-sibilità di valorizzazione impostandoun programma complessivo a varilivelli di finanziamento, dai semplicipiani di riordino degli arredi e del

verde fino a nuove pavimentazioniin pietra. Qualche esempio veloce:per quanto riguarda il centro storiconon è mai stata completata l’assepedonale Castello San Babila ed ètutt’ora incompleta e disordinatal’area Cairoli e via Beltrami, semprenella zona di Foro Bonaparte restamodesta la piazza di fronte al Picco-lo Teatro. Leggendaria è la riqualifi-cazione di piazza Fontana e restanoancora da riqualificare piazza Mis-sori, Santo Stefano e largo Augusto.Nomino solo quelle di cui giacciono

negli archivi vari progetti. Tra l’altrogiace anche il “Piano della pietrastorica” che prevedeva il recuperodei masselli da alcune strade ascorrimento veloce o in aree resi-duali e il riposizionamento in zonestoriche come fu fatto in Sant’ Ales-sandro e che oggi potrebbe essereattuato nel quadrilatero della moda(anche in questo caso esistono variprogetti).Andando dal centro verso l’esternovogliamo ricordare i Corsi, gli impor-tanti assi radiali della città di cui larecente riqualificazione di BuenosAires è un esempio complessiva-mente negativo, perchè sono statirealizzati marciapiedi come spianatein pietra, senza alcuna concezione

di design urbano. Tanti soldi spesisenza eleganza. Possiamo citareanche l’area di corso Vercelli colle-gata alle zone commerciali di viaMarghera, Belfiore e Wagner, doveda anni viene chiesto un intervento,una zona che si potrebbe prestareanche a nuove alberature.Nelle periferie durante il periodo del-la mia collaborazione, si era cercatodi valorizzare con piccole pedona-

lizzazioni e nuove piazze i vecchicentri storici come Baggio, Affori,Crescenzago e altri ma resta ancoramolto da fare in questo senso: Chia-ravalle, l’Ortica, Calvairate, la Baro-na, Niguarda, Gorla, e in generale ivecchi Corpi Santi, gli antichi piccolicomuni inglobati nella città che deb-bono ritrovare la propria storia an-che negli spazi pubblici. A questidobbiamo unire la riqualificazionedegli accessi urbani a cominciaredai più degradati e privi di identitàcivica, come via Novara o la Paulle-

se, le aree di frangia a volte terrenidi malavita e discariche abusive, o igrandi viali di ingresso alla città conle piazze connesse, vere e proprieporte di Milano. A tale proposito lenuove fermate delle linee della MM,4 e 5, toccheranno varie località im-portanti che potranno essere valo-rizzate con criteri di progetto urbanoe non solo con caratteristiche pura-mente tecniche di collocazione discale. Un’occasione unica da nonperdere.Infine solo due righe per riassumereun tema che rappresenta una gros-sa potenzialità degli anni a venire.Un campo nuovo tutto da creareche potremmo chiamare Milano Ar- redo Urbano 2.0 , ovvero l’amplia-

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mento delle zone wireless e la crea-zione di un archivio informatico che

raccolga le segnalazioni dei cittadi- ni: un social network milanese diprogettazione partecipata.

NAVIGLI: SEMPRE E SOLO PROGETTI?Jacopo Gardella

Nello studio di Emilio Battisti, e permerito delle sue solerti iniziative,ormai proseguite da più di un anno,e della sua capacità di organizzareincontri sempre interessanti, si ètenuto giovedì 30 giugno un dibattitosui Navigli. Dei tre progetti presen-tati, e firmati rispettivamente da Bo-atti, Cislaghi - Prusicki, Vallara, èutile fare un commento. Sono traloro diversi, eppure uniti da un co-mune interesse: il Naviglio, e acco-munati anche dalla prerogativa dinon contraddirsi né escludersi a vi-cenda.

Boatti ripropone la riapertura deiNavigli storici; e mostra un insiemedi vedute panoramiche dalle qualiappare un Naviglio resuscitato, chetorna a scorrere lungo l’attuale per-corso di circonvallazione interna.Cislaghi - Prusicki propongono unanuova Darsena, non lontano daquella attuale di Porta Ticinese, ecollocata al posto dello scalo Ferro-viario di Porta Genova.Vallara non intende reintrodurrel’acqua nel centro di Milano, mavuole ravvivare la memoria del Na-

viglio coperto, e ricordarne il corso,ormai sepolto, mediante segnali im-pressi sopra l’area dell’alveo origi-nale, ossia sull’asfalto dell’attualecirconvallazione interna.I tre progetti non solo non si con-traddicono, ma si integrano: Vallarapone le premesse per risvegliare inMilano il ricordo del suo passato;Boatti indica i modi con cui concre-tizzare questo ricordo mediante ilripristino del vecchio corso d’acqua;Cislaghi - Prusicki hanno il coraggiodi progettare un nuovo braccio

d’acqua a suo tempo inesistente.Complessivamente il problema deiNavigli dimostra di essere sentito,accolto con favore, e già ampiamen-te studiato. A commento dei tre pro-getti vanno fatte alcune precisazio-ni:1) La riapertura dei Navigli è un atto di amore . I nemici della riaperturadei Navigli, e quanti si oppongonoalla rimessa in funzione della Dar-sena, sono ancora numerosi. Le lo-ro obiezioni sono ancora incalzantie per molti versi convincenti. Unadisputa sulla opportunità o meno di

riaprire i Navigli si protrarrebbeall’infinito. Impossibile arrivare aduna conclusione convincente e defi-nitiva.

La riapertura dei Navigli è una deci-sione non tanto funzionale quantosentimentale. Chi crede di risolleva-re la città di Milano, restituendole iNavigli, non si pone problemi conta-bili e amministrativi; si affidaall’intuizione; si rimette a un impulsoemotivo; si assume una responsabi-lità non tanto razionale, quanto pas-sionale; sa che Milano tornerà a es-sere una città affascinante quandosarà di nuovo percorsa dall’acqua eravvivata da incantevoli vedute suicanali.Non serve avventurarsi in inutili e

inascoltate dimostrazioni, volte asostenere l’utilità dei Navigli; serveinnamorarsi delle visioni magicheche i Navigli porteranno all’internodella città; serve sognare un pae-saggio urbano animato dalla pre-senza dell’acqua, illuminato dai suoiriflessi e dalle sue luci.2) La riapertura dei Navigli è una operazione di profitto . Da questaidilliaca visione di fiaba occorrescendere alla prosaica realtà finan-ziaria. Chi paga la riapertura deiNavigli? Non il Comune, in questo

periodo privo di soldi; e chiamato acompiti ben più urgenti, come quel-lo, per esempio, di costruire casepopolari, da troppo tempo in attesadi essere deliberate e finanziate.Non i privati benefattori, poco con-vinti dell’utilità dell’opera, e propensia sostenere scopi considerati piùurgenti e più concreti, soprattutto inaiuto dei bisognosi e dei derelitti so-ciali.Non le Amministrazioni Provinciali eRegionali, persuase, anche se a tor-to, che il problema sia di sola com-

petenza della Amministrazione co-munale. Potranno pagare, per lariapertura dei Navigli, gli investitoriprivati. Riuniti in Società per azioni,avente come scopo sociale la navi-gazione sui Navigli, essi vedrannonella iniziativa una operazione red-ditizia; alla condizione, tuttavia, cheil loro investimento assicuri un pro-fitto ragionevole. Da quale fonte po-trà arrivare questo profitto?Arriverà da quanti faranno uso deiNavigli sia per scopi culturali e turi-stici, ossia per navigare lungo itine-rari paesaggistici e monumentali;

sia per motivi pratici e funzionali,ossia per effettuare trasporti su ac-qua sia di merci che di persone. Ilbiglietto pagato per l’uso dei natanti

costituirà la fonte da cui gli investito-ri ricaveranno il loro reddito. E’ evi-dente che tale fonte, da sola, nonsarà sufficiente ad ammortizzare erestituire il capitale investito, ma co-stituirà ugualmente una base di par-tenza, alla quale si aggiungerannocontributi comunali, provinciali, re-gionali; nonché l’aiuto offerto dabanche attraverso prestiti a condi-zioni di favore.La riapertura dei Navigli, sia interni,cioè in città, sia esterni, cioè nel ter-ritorio, promuoverà nuove iniziativeturistiche. Ma tali iniziative non sa-

ranno sufficienti a coprire i costi direstauro degli alvei e di gestione delservizio nautico. Oltre alla prospetti-va turistica, sicuramente proficua,occorre metterne in conto una nuo-va, finora mai considerata: la pro-spettiva di un trasporto su viad’acqua messo a servizio sia deilavoratori, che arrivano giornalmen-te da fuori Milano, sia dei cittadini,che ogni giorno si muovonoall’interno di Milano.I Navigli possono diventare una viaalternativa, e in alcuni casi competi-

tiva, tanto del trasporto su treno,usato nei movimenti extra-urbani,quanto del trasporto su filobus, de-stinato ai movimenti intraurbani. Inparticolare i Navigli della cerchiainterna, se percorsi nei due sensi daveloci vaporetti, sostituirannol’attuale filobus n. 94; e fornirannoun servizio altrettanto, e forse anco-ra più efficiente di quello su strada,perché non interrotto da semafori,né arrestato da lunghe code di vei-coli fermi agli incroci.3) La riapertura dei Navigli non è una replica tratta dal passato, ma una innovazione rivolta al futuro. Lariapertura dei Navigli non deve es-sere intesa come un fedele ricalcodel loro aspetto originario; né un ri-pristino di forme e funzioni identichea quelle avute una volta. Non si de-vono né si possono ripristinare i Na-vigli di un tempo, così come ci ap-paiono in tante note vedute roman-tiche. Del passato è giusto prenderele idee, non le forme; è giusto adot-tare i concetti urbanistici, non rical-care gli aspetti fisici; i quali, tral’altro, sono impossibili da resuscita-

re.I Navigli, una volta riaperti, farannorivivere del passato l’utile progettodi servire la città con un trasporto su

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acqua, oltre che su strada, ma delpassato non riprodurranno le stessesituazioni spaziali, né ripristinerannolo stesso trasporto di merci pesanti,né avranno la stessa funzione e-sclusivamente mercantile. La rina-scita dei Navigli sarà l’occasione perridisegnare il volto della nostra città,

e per offrire una magnifica sfida acui verranno chiamati gli architetti egli urbanisti di oggi.

A questa sfida hanno risposto i dueprimi progetti presentati nello studioBattisti; entrambi hanno colto lastraordinaria opportunità di riproget-tare una parte non secondaria diMilano. Merita una particolare lode ilprogetto Cislaghi - Prusicki, il qualeha avuto il coraggio di portare

l’acqua dove prima non esisteva; econ ciò ha dimostrato quanto siasbagliato il ripristino dell’acqua “co-me era, dove era”, e quanto sia le-

gittimo, anzi opportuno, l’invenzionedi una nuova situazione urbanistica,in cui l’acqua diventi elemento quali-ficante, incomparabile sorgente divitalità e di utilità.Il 97% dei cittadini, espressisi nelReferendum e favorevoli alla riaper-tura dei Navigli, sappiano quanto sia

delicato ma entusiasmante il riutiliz-zo dei Navigli per fini non solo este-tici ma anche funzionali.

BOSCOINCITTÀ: UNA STRADA GIUSTALuca Carra

Prosegue l'avventura del Boscoincit-tà. La giunta ha firmato infatti lanuova convenzione che garantiscealtri nove anni di vita al Centro diforestazione urbana di Italia Nostra

che gestisce il Boscoincittà dal1974. Pur disturbato dalle ostilità edalle incertezze degli scorsi anni –che ha portato fra l'altro a restituireal Comune il Parco delle Cave -, il“Bosco” non ha mai smesso di lavo-rare per la città. A maggior ragioneora – con il traguardo sempre piùvicino dell'Expo - è importante avereun Centro di forestazione urbanaattivo e propositivo, in grado di “con-taminare” il sistema del verde pub-blico milanese con il suo particolareapproccio. Ricordo, infatti, che il

Boscoinicittà, insieme al Parco Norde al Parco delle Cave, ha inaugura-to un modo diverso di fare verde,basato su tre cardini.Primo, scommettere su un verdeestensivo e fortemente naturale conil quale riqualificare i margini dellacittà, in un'ideale cintura di boschi eagricoltura che la cinga in un grandeabbraccio verde. Secondo, gestire ilverde con uomini residenti sul cam-po, integrando competenze agro-nomiche, giardinistiche e forestali, esperimentando sempre nuove solu-

zioni tecniche che hanno posto ilCentro di forestazione urbana all'a-vanguardia in molti settori: dagli ar-redi e infrastrutture verdi al tratta-mento delle fitopatologie (come l'at-

tuale attacco alle piante dei nostriparchi ad opera di Anoplophora ci- nensis ). Terzo, coinvolgere il volon-tariato e, attraverso l'educazioneambientale, far crescere una culturadiffusa e non estemporanea delverde e della natura.Il Centro di forestazione urbana hasaputo nei decenni non solo realiz-zare un bel parco forestale, ma so-prattutto sperimentare “prototipi”importanti per tutto il sistema delverde cittadino. Come altro definirele centinaia di orti urbani costruiti

dagli ortisti sotto la guida dei tecnicidel Bosco secondo le migliori espe-rienze studiate in Olanda e Germa-nia? Ora il Centro sta realizzando100 orti urbani nell'area di via Livor-no a Sesto San Giovanni, frutto diun accordo con il Comune e la so-cietà immobiliare che sta costruen-do in quella zona.Il “Bosco” di via Novara, passatonegli anni dagli originari 35 agli at-tuali 120 ettari, ha riscattato un'areadi agricoltura marginale trasforman-dola in un bosco. Una volta realizza-

ta una prima copertura vegetale, ilCentro ha cominciato a lavorare difino sui fontanili, ha attrezzato il re-tro della Cascina San Romano conuna serie di portici per le feste dei

milanesi. Quindi ha realizzato unazona umida attraversata dall'ormaistorico sentiero in traversine cheporta i viandanti all'assordante con-certo di rane delle risaie circostanti.Cercando di proporre sempre nuovedimensioni per una fruizione natura-le del parco, il Centro ha poi creatoun laghetto, quindi un giardino d'ac-qua e ora un frutteto.Il programma di lavoro per il pros-simo novennio è ricco di nuovi o-biettivi, sia dentro che fuori dai con-fini del “Bosco”, che dovrà sempre

più raccordarsi con percorsi ciclabili,pedonali ed equestri al sistema a-gricolo e verde del Nord-Ovest mi-lanese. Saremo forse ingenui, macontinuiamo a credere che l'Expopossa catalizzare trasformazioni ter-ritoriali importanti per Milano, e ilCentro di Forestazione Urbana puòdare una mano esperta a realizzarleper il meglio. Come abbiamo conti-nuato a ripetere a tutte le giunte chesi sono succedute al governo dellacittà: noi siamo a disposizione.Questa volta ci ascolteranno?

MILANO CITTÀ VERDE EUROPEAAndreas Kipar

A dire il vero la sfida é sempre lastessa: come rendere la città piùvivibile, più verde, più attrattiva e piùaccogliente, senza perdere in termi-ni di disponibilità, di spazio, di fun-zionalità del traffico e di competizio-ne economica-produttiva. La paurache una maggiore qualità ambienta-le potesse danneggiare l'organismo

produttivo della città sembra ancoraesistere anche se da tempo é con-traddetta dai fatti sia nella città stes-

sa che da altre metropoli e non soloeuropee.Per Milano, città europea per eccel-lenza, (piccola, ma determinanteper il suo hinterland; compatta, mapiena di spazi interstiziali di notevo-le bellezza a sorpresa; industriale,ma già ampiamente convertita etrasformata; ben infrastrutturata, ma

ancora troppo concentrata sullospostamento individuale automobili-stico; attraente, ma solo per chi su-pera un certo reddito di base) e ol-

tretutto all'inizio di una nuova sta-gione Politica - Amministrativa deveporsi degli obiettivi molto ambiziosianche per tornare nella centralitàdel dibattito europeo sulle Smar-tCity, per ora prese sul serio solo daGenova e Torino.Il sindaco di New York ha puntatotutto sul Piano dell’apparente con-

traddizione: chiamandolo Greener and Greater NYPlan , aumentando ilverde contestualmente a una mag-giore densificazione urbanistica (a

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oggi sono stati piantati 495.215 al-beri sul milione prefissato per il2016). Il sindaco di Berlino ha volutoaprire alla cittadinanza, più di unanno fa, la più grande area dismes-sa della città, l’ex aeroporto di Tem-pelhof (300 ha), senza progetti ap-provati e in attesa degli esiti deiconcorsi internazionali. Più di unmilione dei suoi cittadini l'hanno rin-graziato scoprendo un parco nonancora parco, nel senso più tradi-zionale del termine.Londra ha voluto presentare il suoParco Olimpico senza neanche unparcheggio per le automobili, pun-tando tutto su un ben calibrato ser-vizio di trasporto pubblico. La città diFrancoforte, tra l'altro anche partne- riata  con Milano, ha recuperato ilsuo ring interno, il suo rapporto conil fiume Meno e con la sua vastacintura agricola, attraverso un ap-

posito Piano della Cintura verde ca-pace di collegare sia interventi dinatura pubblica che privata. L'elen-co potrebbe continuare ma bastanopoche esperienze per capire comeoggi sia arrivato il tempo di agire,delle azioni e delle realizzazionistrutturali, commisurate al tessutourbano milanese, specie in riferi-mento al suo delicato rapporto con ilvasto territorio che lo circonda.Se non fosse per l'appuntamentodel 2015 l'obbligo di agire si potreb-be presentare anche in secondo

piano, ma la vicinanza di un appun-tamento mondiale non concede al-cuna proroga. Il referendum sul ver-de ha fatto capire senza alcunapossibilità di equivoco che cosa de-siderano i cittadini: più alberi in città,più spazi verdi e spazi gioco in città,più possibilità di passeggiate in cittàe anche più opportunità nel parteci-pare nelle scelte future degli inter-venti sul verde. Questo plebiscitoper Milano, ossia per migliorare laqualità quotidiana di chi vive in città,non ci può far dimenticare, come tral’altro l'amico Francesco Borella haricordato molto bene su queste pa-gine, come sia indispensabile la ri-connessione dei sistemi dei parchiterritoriali e dei grandi sistemi am-bientali come la Valle del Lambro, laValle dell’Olona e non per ultimo ilParco Agricolo Sud Milano.Ma tutto ciò in fondo lo sappiamo daanni, ce lo ricordiamo in ogni occa-sione eppure continuiamo a riman-

dare la soglia dell’attuazione (diven-tata sempre più alta). Questioni dicompetenze, di risorse finanziariema soprattutto di mancanza di uncoraggioso Piano di azione che nonpuò che partire dal sindaco stesso.Per diventare Milano città verde eu-ropea le condizioni e le premessetecniche e progettuali ci sono tutte:1) innanzitutto gli otto Raggi Verdi,uno per zona, partendo dalle perife-rie e confluendo in un anello circola-re, autentica cinta di verde urbanoin grado di connettere la città con isuoi sistemi ambientali di riferimen-to. Già verificati nella fattibilità conquattro assessorati, già predispostie corredati di una manualistica spe-cifica e già realizzati nei primi tratti.Si dovrebbe partire subito con l'a-scolto del territorio, anche attraver-so apposite biciclettate come quellastorica organizzata dall’AIM nel

maggio del 2007 lungo i Raggi Verdi1 e 8. Un modo semplice ed effica-ce per risvegliare tutta la città, an-che attraverso la raccolta di progettirealizzati da privati come quello bensperimentato dalla Fondazione Ri-cardo Catella FRC con i PROGETTIdella GENTE.2) La ripresa della Darsena edell’intero sistema dei Navigli inter-ni, come luoghi della più coraggiosastoria milanese. Basta andare nellavicina Zurigo e godere della loromanifestazione Gardinia, per ren-

dersi conto di quanto sia possibileun coinvolgimento della milanesis-sima Società Orticola di Lombardia,nell’ampliare la ben nota manifesta-zione Orticola, che oggi si svolgenei Giardini Pubblici, anche neglispazi sulla Cerchia dei Navigli finoalla saturazione nel 2015. Un bou-levard fiorito che possa connetteretutte le maggiore presenze storichedella cultura della città.3) infine la promozione, senza esi-tazione, del Centro della Foresta-zione Urbana, che ha saputo realiz-zare il BoscoInCitta, attivare e sal-vare dal degrado definitivo il Parcodelle Cave e lavorare con metodi etecniche intimamente connesse aitemi dell’EXPO stesso. La loro plu-ridecennale esperienza andrebbesubito attivata per realizzare il ParcoForlanini in connessione con il Par-co della Valle del Lambro, per crea-re le Porte urbane al Parco AgricoloSud Milano. Si potrebbe andare a-

vanti su questo elenco riempiendopagine e pagine, ma ho voluto sot-tolineare quelle azioni sulle quali disolito la pubblica e ordinaria Ammi-nistrazione si trova più in difficoltàrispetto alle attività legate principal-mente alla gestione del patrimonioesistente.Parlando di Milano città verde euro-pea occorre soprattutto pensareall’impalcatura amministrativa capa-ce di rispondere ai cittadini al di làdegli obblighi di legge. Anche inquesto caso Milano si presenta giàavvantaggiata, disponendo di unservizio tecnico ben strutturato epiuttosto avanzato rispetto allamaggioranza dei comuni italiani.L'uscente direttore Flora Vallone haportato proprio su queste pagine ilsunto del suo operato fin d'ora uniconel panorama italiano. Ma tuttaviaoccorre ricordare che per raggiun-

gere obiettivi straordinari occorronoanche strutture straordinarie. A NewYork si e voluta una piccola ma effi-cace agenzia a fiancodell’Amministrazione ordinaria, aBerlino si é costituita una Srl, laGrünBerlin, a 100% di capitale pub-blico, Francoforte ha semplicementeraddoppiato il budget a disposizionedell’Assessorato al verde urbano.A Milano potrebbe nascere GEO,ossia il GreenExpoOffice, una spe-cie di sportello - agenzia dedicatoalla comunicazione, al confronto, al

dialogo e alla raccolta dei progetti ilpiù svariati possibili. Uno spazio chepossa contenere e monitorare tutti iprogetti sul verde, informare i citta-dini sullo stato di avanzamento deglistessi, promuovere dibattiti, conve-gni, forum, workshop per una pro-gettazione sempre più partecipata.Un punto di riferimento anche per leGEV, le guardie ecologiche volonta-rie, che per l’occasione potrebberoanche diventare GEP, ossia deiGreenExpoPeople, girando per lacittà non solo per un motivo di ordi-ne pubblico ma anche per saldare ladistanza tra il singolo cittadino el’Amministratore comunale. Un luo-go come punto di riferimento peruna nuova politica ambientale chemette al centro il verde sia per i suoicittadini sia per i cittadini del mondoche vorranno ricordare Milano, qua-le città verde europea.

Scrive Giuseppe Vasta a Michele Sacerdoti 

Condivido gran parte delle conside-razioni fatte da Michele Sacerdoti

sull'ultimo numero di Arcipelago-Miano. Solo, suggerirei maggiore

prudenza sul tema "nuovi quartierisenza parcheggi". Certo, questo po-

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trebbe essere un obiettivo, l'esitofinale di un lungo e non scontatoprocesso di riduzione dell'uso delleauto in città. Ma oggi come oggi èanche un escamotage fatto proprioda costruttori e politici di destra perridurre i costi delle urbanizzazioni

dovute. Il costo parcheggi sotterra-nei, infatti, sia pubblici a standardche pertinenziali, a oggi è intera-mente a carico dell'operatore (per iparcheggi a standard si scomputano

solo i costi delle finiture, le superficisono oggetto di cessione gratuita).Molto più semplice quindi "fingere"di costruire quartieri senz'auto, conun bel risparmio sulle opere, per poisuccessivamente alla prova dei fattiaccollare i costi dei nuovi parcheggi

alla collettività, scavando sotto igiardinetti ecc. L'esempio dei sotto-tetti è del tutto pertinente: il presup-posto (falso) della legge era la sus-sistenza delle urbanizzazioni all'in-

torno: poi quando i marciapiedi e lestrade si riempiono di auto, eccoche sono l'amministrazione comu-nale e i cittadini a doversene farecarico. Suggerirei quindi maggioreprudenza. I nuovi quartieri senzaparcheggi li potranno fare forse i

nostri figli. Per ora, realizziamoquartieri CON parcheggi. Se poi nonce ne fosse davvero bisogno... (du-bito) si potranno sempre utilizzareper qualcos'altro!

Scrive Flavia Cavaler a Flora Vallone 

Non so come l'architetto Vallonepossa difendere il suo operato, ilverde a Milano è in condizioni disa-strose. 1 Non è stata fatta una rego-lare "manutenzione ordinaria", adesempio si sono piantati alberi di

pessima qualità, troppo giovani eche sono stati scarsamente bagnati,con il risultato che moltissimi sonomorti. Vedasi come esempio la si-tuazione dei platani di via Lorenteg-gio; 2 Sono state messe a dimoramigliaia di piante annuali e poi sisono lasciate crescere le erbacce inmezzo, insomma uno spettacolodesolante che si presenta indifferen-temente in zone centrali e periferi-che;

3 Nelle aree date in concessione aiprivati nessuno ha verificato se ilconcessionario rispettava le regoledi contratto, vedi ad esempio l'areadata in concessione a Citylife soprai parcheggi di piazza Giulio Cesare

dove ci sono da anni piante morteche non sono state sostituite nono-stante le segnalazioni: 4 Si sonolasciate diverse zone della città inuna condizione di completo abban-dono, vedi ad esempio piazza GiulioCesare, dove la fontana è spenta dapiù di 4 anni perchè qualcuno si èaccorto che consumava troppo enon si è stati capaci di pensare adun semplice impianto di riciclo del-l'acqua e dove i giardinieri hanno

piantumato le aiuole ma hanno la-sciato crescere le erbacce su tutti imarciapiedi intorno.Consiglierei l'architetto Vallone diandare quest'estate a farsi un giroper le città europee, le sarebbe mol-

to utile. Trovo comunque che indi-pendentemente dalla professionalitào meno dell'architetto Vallone, lacifra da Lei percepita fosse vera-mente esagerata, sopratutto se con-frontata con la remunerazione deisuoi collaboratori. Anche perchè lasituazione precedente al suo arrivoera senz'altro migliore.

RUBRICHE

MUSICAquesta rubrica è curata da Palo Viola

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Kundera, Schönberg e Stravinskij

E’ difficile trovare della buona musi-ca a Milano in luglio, e così finisceche ci si concentri sulla lettura; cosìmi sono imbattuto in una pagina di

Milan Kundera (“L’ignoranza ”, Adel-phi 2001, pagine 137 e seguenti)che ripropongo ai miei lettori per lasua straordinaria attualità. Nel 1921,Arnold Schönberg proclama che,grazie a lui, la musica tedesca re-sterà per i prossimi cento anni pa-drona del mondo. Quindici anni piùtardi, deve lasciare la Germania persempre. Dopo la guerra, ormai inAmerica e coperto di onori, non haperso la certezza che la gloria ac-compagnerà per sempre la sua ope-ra. Rimprovera a Stravinskij di pen-sare troppo ai contemporanei e di

trascurare il giudizio del futuro.Considera la posterità il suo alleatopiù sicuro. In una lettera sferzante aThomas Mann fa appello all’epoca,

«di lì a due o trecento anni», in cuisarà finalmente chiaro chi dei due èil più grande, lui o Mann!Schönberg è morto nel 1951. Nei

due decenni successivi, la sua ope-ra è stata acclamata come la piùgrande del secolo, venerata dai piùbrillanti fra i giovani compositori, chesi dichiarano suoi discepoli; ma inseguito scompare dalle sale daconcerto così come dalla memoria.Chi la suona adesso, sul finire delsecolo? Chi fa riferimento a lui? No,non voglio prendermi stupidamentegioco della sua presunzione e so-stenere che si sopravvalutava. Millevolte no! Schönberg non si soprav-valutava. Sopravvalutava il futuro.Ha commesso un errore di valuta-

zione? No, era nel giusto, ma vivevain sfere troppo elevate. Discutevacon i più grandi tedeschi, con Bach,con Goethe, con Brahms, con Ma-

hler, ma le discussioni che hannoluogo nelle alte sfere dello spirito,per quanto intelligenti, peccanosempre di miopia nei confronti di ciò

che, senza ragione né logica, acca-de in basso: due grandi eserciticombattono all’ultimo sangue peruna causa sacra; ma è il minuscolobatterio della peste che li annienteràentrambi.Che il batterio esistesse, Schönberglo sapeva bene. Già nel 1930 scri-veva: «La radio è un nemico, unnemico implacabile che avanza irre-sistibilmente e contro il quale ogniresistenza è vana»; essa «ci ingoz-za di musica…senza chiedersi seabbiamo voglia di ascoltarla, se ab-biamo la possibilità di percepirla»,

cosicché la musica diventa un sem-plice rumore, un rumore fra altri ru-mori.

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La radio fu il piccolo ruscello dalquale tutto ebbe inizio. Vennero inseguito altri mezzi tecnici per ripro-durre, moltiplicare,aumentare ilsuono, e il ruscello si trasformò inun immenso fiume. Se un tempoascoltavamo la musica per amoredella musica, oggi essa urla ovun-que e sempre, «senza chiedersi se

abbiamo voglia di ascoltarla», urlanegli altoparlanti, nelle auto, nei ri-storanti, negli ascensori, nelle stra-de, nelle sale d’attesa, nelle pale-stre, nelle orecchie tappate daiwalkman, musica riscritta, ristru-mentata, scorciata, dilaniata, fram-menti di rock, di jazz, di opera, flus-

so in cui tutto si mescola, al puntoche non sappiamo chi sia il compo-sitore (la musica diventata rumore èanonima), che non distinguiamol’inizio dalla fine (la musica diventa-ta rumore non ha forma): l’acquasporca della musica dove la musicamuore.Schönberg conosceva il batterio,

era consapevole del pericolo, madentro di sé non gli attribuiva troppaimportanza. Viveva, come ho giàdetto, nelle più alte sfere dello spiri-to, e l’orgoglio gli impediva di pren-dere sul serio un nemico cosi minu-scolo, così volgare, così ripugnante,così spregevole. L’unico grande av-

versario degno di lui, il rivale subli-me che egli combatteva con brio eseverità, era Igor’ Stravinskij. Eracon la sua musica che duellava perconquistare il favore del futuro.Ma il futuro fu il fiume, il diluvio dinote in cui i cadaveri dei compositorigalleggiavano tra le foglie morte e irami spezzati. Un giorno il corpo

senza vita di Schönberg, sballottatodalla furia delle onde, urtò quello diStravinskij ed entrambi, in una ri-conciliazione tardiva e colpevole,proseguirono il loro viaggio verso ilnulla (verso quel nulla della musicache è il frastuono assoluto).

ARTEquesta rubrica è a cura di Virginia Colombo

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Sere d’estate al Museo Diocesano

Anche quest’anno il Museo Dioce-sano propone una ricca serie di ini-ziative per le sere d’estate. Il Museoinfatti, smesso il consueto orariodiurno, apre le sue porte dalle 19alle 24, con una serie di attività inte-ressanti e insolite che si protrarran-no fino al 3 settembre. La formula èquella già collaudata nelle scorseestati: aperitivo nei suggestivi chio-stri del museo, appartenenti all’exconvento domenicano di Sant’ Eu-storgio, dove ci si può rilassare go-dendo della quiete e del verde delprato, nonostante ci si trovi nel pie-no centro della città.Dopo l’aperitivo sarà possibile visi-tare le collezioni permanenti delmuseo, eccezionalmente gratuite, eaperte fino alle ore 24. Meritano si-curamente una visita i fondi oro del-la Collezione Crespi, 41 tavole, e-seguite tra Trecento e Quattrocento,di ambito toscano e umbro; la Col-lezione Pozzobonelli con i suoi pae-

saggi arcadici; la Collezione Monti,che vanta nomi come Tintoretto, Pe-terzano (maestro di Caravaggio),opere dei fratelli Campi e un GuidoReni; ma notabili sono anche tanteopere provenienti dalla Diocesi diMilano, tra cui una Crocifissione  diFrancesco Hayez e Il furto sacrilego  del Magnasco.Dipinti ma non solo. Nell’ipogeo sa-rà possibile ammirare una vastagamma di arredi liturgici, reliquiari emessali, così come nel corridoiod’ingresso, dedicato a Sant’ Ambro-

gio, sarà possibile ammirare un nu-cleo di opere provenienti dal sop-presso Museo della Basilica di San-t'Ambrogio. Tra questi, di particolareimportanza il Busto di Sant'Ambro- 

gio benedicente , X secolo circa, e laLettiera di Sant'Ambrogio  (IV seco-lo), dove, secondo la tradizione, sa-rebbe stato esposto il corpo del san-to durante le esequie avvenute nellabasilica che prende il suo nome.Ma il Museo non è solo arte dei se-coli scorsi. Quest’anno sono cinquele mostre di arte contemporanea,sempre gratuite, che si potrannovisitare all’interno del museo stesso,in un connubio di storia e modernitàche da sempre caratterizza le scelteespositive del museo.Espone Giovanni Frangi, con “La règle du jeu. Atto secondo. Dieci giardini ”, dove protagonista è la na-tura, vista secondo una forte idea diteatralità, con tele di grosse dimen-sioni che spingono lo spettatore aguardare gli alberi e le loro ombreda un diverso punto di vista, quasionirico. La seconda mostra è quelladi Nazzareno Guglielmi, “Sei ore per la mia testa ”, ovvero una riflessione

sul rapporto tra le tre dimensionidello spazio e la quarta dimensionedel tempo. L’opera è una videoin-stallazione costituita da 365 fotogra-fie, incentrate sul tema della croce edella sua visualizzazione attraversoimmagini rintracciate dall’artista intutte le esperienze del quotidiano.Inoltre, nel corridoio d’ingresso delmuseo è presente anche una sele-zione dei libri dell’artista, che costi-tuiscono parte importante della suaproduzione.La terza mostra è quella di Giorgio

Majno, che attraverso fotografie eritratti studia il tema della bellezza,in relazione alle persone e alla natu-ra: donne e uomini ma anche ele-menti vegetali che hanno pari digni-

tà all’interno della sua opera. E’presente anche Franco Marrocco,con “Trittico ”, prima tappa di unviaggio che porterà questa impo-nente opera in altre città italiane.Dell’artista sono presenti anche al-tre opere, tra cui “Alito o costato ”,tutte tele caratterizzate da grandidimensioni e da un uso del coloremolto intenso ed evocativo.L’ultima artista presente in questesere d’estate è Paola Marzoli, con ilsuo “Bètfage. Opere 2009-2011”,pitture che sembrano fotografie, o-pere che sono più un diario di viag-gio, come indicano i titoli stessi, eche raccontano esperienze spiritualie sensazioni raccolte durante i suoiviaggi in Terra Santa. Ulivi, sole ab-bagliante, animali e paesaggi sono isegni di una pittura che vuole rac-contare il cammino quotidiano com-piuto dall’artista.Ma il museo non è solo arte. Nelchiostro, infatti, tutte le sere sono

previste attività ludico-culturali conproposte sempre diverse: si inizia ilmartedì, con i concerti di musica

  jazz e di classica a cura del Con-servatorio di Musica "G. Verdi" diMilano; il mercoledì si terrà un ciclodi conferenze su Leonardo da Vinci;il giovedì sono previsti spettacoliteatrali a cura dei comici di Zelig; ilvenerdì concerti e intrattenimentimusicali a cura della Scuola Civicadi Jazz; infine il sabato è dedicato aibambini e alle famiglie con burattini,fiabe e spettacoli dedicati.

Museo Diocesano di Milano, finoal 3 settembre. Da martedì a saba-to, ore 19-24. Ingresso gratuito pertutte le attività

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. Hayez nella Milano di Verdi e Manzoni

Per celebrare i 150 anni dell’Unitàd’Italia, la Pinacoteca di Brera ospi-ta una grande mostra, dedicata auno dei suoi artisti più celebri e si-gnificativi, il veneziano FrancescoHayez. Ideata da Fernando Maz-

zocca, uno dei più importanti stu-diosi italiani di Hayez, e da IsabellaMarelli, conservatrice delle operedell’Ottocento della Pinacoteca diBrera, con la collaborazione di San-drina Bandera, direttrice della Pina-coteca, la mostra è divisa in sei se-zioni tematiche, che analizzanobuona parte della produzione artisti-ca e della vita del grande maestro.Una mostra a tutto tondo che coin-volge anche altri illustri protagonistidell’Ottocento nella Milano pre-unitaria, come Alessandro Manzoni

e Giuseppe Verdi, uniti da persona-le amicizia al pittore del “Bacio”. Pit-tore romantico ma di formazioneclassicista, Hayez ebbe grandesuccesso come ritrattista presso lenobili famiglie milanesi, come dimo-strano il ritratto del Manzoni stesso,1841, di solito schivo e riservato mache accettò di farsi ritrarre in unaposa informale dall’amico, e quellidella sua seconda moglie TeresaStampa, ma anche quello dell’amicoAntonio Rosmini e di Massimod’Azeglio (che aveva sposato unafiglia del Manzoni).

Attraverso i 24 dipinti esposti (in-sieme e opere di Boldini, Beretta eBertini), si passa dalla giovanileproduzione a soggetto storico-romantico, che richiama direttamen-te alcune opere del Manzoni, come i

dipinti ispirati alla tragedia del Conte di Carmagnola , il Ritratto dell’ Inno- minato , 1845, fino ai due dipinti sa-cri, L’Arcangelo San Michele  e La Vergine Addolorata , opere amatedal Manzoni e che rimandano aisuoi stessi Inni Sacri.Ma l’altro importante protagonista èanche Giuseppe Verdi, con cuil’Hayez collaborò per la messinsce-na di alcune opere. Hayez infattiaveva già trattato in pittura alcuni diquesti temi tratti dai melodrammiverdiani, come I Lombardi alla prima 

Crociata , I Vespri siciliani  e I due Foscari , esposti in mostra accantoai ritratti dei loro antichi proprietari,quale l’imperatore Ferdinando Id’Austria per la prima versione deL’ultimo abboccamento di Jacopo Foscari  con la propria famiglia, o ilpoeta Andrea Maffei e la moglieClara, animatori di un celebre salot-to sociale, proprietari della secondaversione di questo soggetto. Tele diincredibili dimensioni e intensità,che mostrano tutta la forza melo-drammatica e i tumulti di un secolo.Accompagnati, per l’occasione, daun sottofondo di musiche verdiane.

Ed è proprio nell’ultima sezione checompare un altro grande protagoni-sta musicale italiano, GioacchinoRossini, con il quale Hayez ebbe unrapporto privilegiato, come dimostraanche il Ritratto di Giocchino Rossi- 

ni , 1870, affiancato a quello di Verdieseguito da Boldini. Purtroppo Ha-yez, nonostante la grande amicizia,non riuscirà mai a ritrarre l’amicocompositore.Chiude la rassegna l’opera più fa-mosa di Hayez e della Pinacoteca,“Il Bacio”. Un’opera tutt’altro che in-nocente, ma che anzi, come spessoaccade nella sua pittura, Hayez usaper mascherare, dietro temi appa-rentemente innocui ed episodi distoria del passato, istanze e aspira-zioni risorgimentali, ai tempi impos-

sibili da esprimere liberamente acausa della censura austriaca. Nellaprima versione de «Il Bacio» (1859),esposto a Brera dopo la liberazionedella Lombardia dall'Austria, si puòleggere infatti il saluto del patriotaalla sua amata, ma anche il sacrifi-cio e l'amore dei giovani per la nuo-va nazione, loro che saranno poi iprogenitori di un’Italia nuova, liberae finalmente unita.Hayez nella Milano di Manzoni eVerdi - Pinacoteca di Brera, fino al25 settembre Orari: 8.30 -19.15 damartedì a domenica Biglietti: Interoeuro 11. Ridotto euro 8.50

All’Hangar Bicocca si gioca a ping pong

La nuova mostra all’HangarBicoccaè dedicata all’artista tailandese Su-rasi Kusolwong, che realizza unainsolita installazione site specificnello shed, la parte iniziale delgrande spazio dell’Hangar. Nellenavate grandi è possibile ancoravedere, per le ultime settimane, lamostra del progetto Terre Vulnerabi-

li.L’installazione prevede cinque tavolida ping-pong, che i visitatori potran-no davvero utilizzare per giocare.Sopra ogni tavolo sono posizionatidiversi tipi di oggetti e materiali de-dicati a vari aspetti del lavoro di Ku-solwong: oggetti di uso quotidiano,semplici, domestici e a volte kitschcome animali in gesso coperti dapezzi di conchiglie, o animali inta-gliati in legno o ancora oggetti tipicidi diverse culture collezionati duran-

te i suoi viaggi o fatti dall’artista.Nell’installazione sono presenti an-che materiali e oggetti che rimanda-no al mondo dell’arte povera: spec-chi e forme ritagliate collegate aisimboli e ai manoscritti di AlighieroBoetti.Lo “scopo del gioco” è semplice: ilprogetto è una sorta di specchio che

proietta i visitatori dentro quellacomplessa e a volte contraddittoriarete di comunicazione che avvolgela società contemporanea: un dialo-go non stop fatto di domande e ri-sposte.Nell’installazione trovano posto peròanche altre forme d’arte: una scultu-ra a forma di cubo collegata a unamacchina del fumo; una scultura-vulcano fatta da una montagna disale con al centro una lampada; ungruppo di sculture-tenda fatte di

marmo, ferro, legno e specchio; unascultura fatta di tutte le pagine dellibro “Living in the End Times” diSlavoj Zizek; una scultura morbidafatta di spugne con un cartello dallascritta “Prenditi del tempo per se-derti e pensare”; e una serie di lam-pade pendenti realizzate da Kusol-wong.

Un lavoro giocoso e di grande im-patto visivo, ma che riflette, e fa ri-flettere, sui temi della comunicazio-ne e delle relazioni.

Ping-Pong, Panda, Povera, Pop-Punk, Planet, Politics and P-Art-Surasi Kusolwong HangarBicocca.Fino al 15 settembre Orario: 11.00-19.00, giov dalle 14.30 fino alle22.00, lun chiuso  Ingresso: intero 8euro, ridotto 6 euro 

L’inferno visto da Dali’ e RauschenbergLa Fondazione Pomodoro proponefino al 17 luglio un inedito e inaspet-

tato confronto: l’Inferno  di Danteraccontato, o meglio, illustrato, da

Salvador Dalì e Robert Rauschen-berg. Si tratta di 34 xilografie a colo-

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ri del più estroso tra i surrealisti e di34 serigrafie di uno dei maestri dellapop art americana. Scopo della mo-stra quello di mettere a confronto lerappresentazioni dell’Inferno  dante-sco, con un parallelo tra due artistiche non hanno mai avuto punti di

tangenza o interessi comuni, mache, neanche a farlo apposta, neglistessi anni (1959 - 1960 Rauschen-berg e 1960 Dalì), ebbero la stessaidea, se pur sviluppata con temi emodalità differenti.L’interesse è tutto per la prima can-tica, con le sue descrizioni cruente eterrificanti, popolate da dannati edemoni, personaggi storici e figuremitologiche, condottieri antichi, poetie filosofi, tutti condannati al tormen-to secondo la legge del contrappas-so. Le 34 xilografie in 35 colori di

Dalì sono una selezione delle 100tavole concepite dall’artista in cin-que anni di un lavoro conclusosiappunto nel 1960. Il linguaggio sur-realista sembra calzare a pennelloper i personaggi tormentati e oscuriche popolano i gironi infernali. Figu-

re mostruose e deformi, paesaggidesolati e brulli, mostri grotteschi sicontrappongono alle nobili e alterefigure di Dante e Virgilio, spessorappresentati in muta e sconvoltaosservazione, in un angolo o al cen-tro dell’immagine. A volte i simboli e

le figure si intrecciano cosi tanto cheè quasi impossibile riconoscere leterzine in questione, lasciando allospettatore una vena di sottile inquie-tudine, dovuta anche all’armamen-tario iconografico tipico della pitturae dei deliri visionari di Dalì.Opposto ma non così diverso Rau-schenberg, che utilizza per le suetavole immagini e oggetti della vitacontemporanea e moderna, attua-lizzando il messaggio di Dante conla sua caratteristica tecnica delcombine-painting. Figure, ritagli di

giornale, frammenti ripetuti e modifi-cati dal colore, spesso rendono il-leggibili le serigrafie e impossibilericonoscere il canto infernale esa-minato dall’artista. Moderni viaggia-tori sono un Dante e un Virgilio sim-boleggiati da un uomo avvolto in un

asciugamano bianco, inserito in uncontesto assolutamente caotico,confusionario e oscuro. Solo in al-cuni lavori compaiono, ogni tanto, lelettere D e V, a indicarci che i dueprotagonisti sono nascosti nellascena.

L’artista americano rivitalizza cosìun capolavoro del passato con unlinguaggio moderno, rappresentan-do quello che, secondo il curatoredella mostra Lorenzo Respi, èl’inferno tutto contemporaneo diRauschenberg, ovvero il mondoreale, la vita quotidiana. Un ineditotrio per un interessante parallelo tradue grandi della pittura del secoloscorso, intenti a confrontarsi con unmostro sacro della letteratura italia-na.

L’Inferno di Dante. Dalì e Rau-schenberg - Fondazione ArnaldoPomodoro, fino al 17 luglio, Orari:mercoledì-domenica ore 11-19; gio-vedì ore 11-22, biglietti: 9 Euro inte-ro, 6 Euro ridotto.

Cattelan tra piccioni imbalsamati e foto surrealiste

Nuovo scandalo (preannunciato)per l’enfant prodige dell’arte nostra-na, Maurizio Cattelan. Alla 54esimaBiennale di Venezia, inaugurata il 4giugno e che andrà avanti fino al 27novembre, l’artista padovano, chia-mato in extremis a partecipare, haproposto una particolarissima ope-ra-installazione: The others , 2000piccioni imbalsamati e collocati suisolai, le travi e gli impianti del Padi-glione centrale della Biennale. Inrealtà l’idea tanto nuova non è vistoche riprende un’installazione del1997, Tourists , già esposta nellaBiennale di quell’anno, curata daGermano Celant, e che consistevain duecento colombi imbalsamati.Alcuni dei quali, è bene dirlo, sono

stati poi battuti all’asta da Christie’sper l’incredibile somma di 150 milasterline.Insomma altri piccioni tassidermiz-zati appollaiati su travi. Questo hacomportato una inevitabile protestada parte degli animalisti, che hannomanifestato con slogan e cartelliall’ingresso dei Giardini. Certo Cat-telan non è nuovo all’uso di animalinelle sue opere, come fece nel 1996per La ballata di Trotskij , in cui ap-pese un cavallo imbalsamato a unodei soffitti del Castello di Rivoli (sti-

ma: due milioni di dollari), oppure unaltro cavallo, sempre imbalsamato,

trafitto da un cartello con la scrittaINRI, esposto nel 2009 alla TateModern di Londra; la “statua anima-le” dei quattro musicanti di Brema, oancora l’irriverente regalo alla Fa-coltà di Sociologia dell'Università diTrento in occasione del conferimen-to della laurea honoris causa: unasino impagliato dal titolo Un asino tra i dottori . Ultimo ma non menocrudele, il topolino incastrato in unabottiglia di vodka Absolut per unodegli eventi legati alla Biennale del2003 organizzato proprio dal mar-chio Absolut.Magra consolazione far notare che ipiccioni non sono stati imbalsamatiappositamente per l’evento e che, inrealtà, nel 2007, per la giornata del-

l'arte contemporanea promossa daAmaci (Associazione dei musei d'ar-te contemporanea italiani) Cattelanaveva realizzato un canguro nasco-sto dietro un albero dal quale spun-tavano solo le orecchie dell'animale,un lavoro eseguito con il sostegnodel Wwf stesso.“Quattrocento di questi piccioni an-dranno poi alla mia retrospettiva alGuggenheim di New York che apriràil 4 novembre. Confermo che quellosarà il mio ultimo impegno prima dilasciare il mondo dell’arte”. Così si

giustifica Cattelan, sostenendo an-cora una volta che il suo ritiro dal

mondo dell’arte è davvero imminen-te. Verità o strategia? Sarebbe inogni caso un ritiro parziale, perchél’obiettivo di Cattelan è occuparsisempre di arte, ma in modo collate-rale, attraverso la sua nuova rivistaToilet Paper . “Come annunciato miritiro a occuparmi della mia rivistaToilet Paper , anzi ne farò anche al-tre”. Per l’appunto. Questa nuovaimpresa editoriale, diretta e curatainsieme all’amico e fotografo Pier-paolo Ferrari, presentato nello spa-zio milanese “Le Dictateur ”, è unarivista fotografica, una sorta di mo-derno giornale dada-surrealista (ab-bondano occhi, nasi e dita mozza-te), dedicata solo alle immagini,niente spiegazioni, che accosta fo-

tografie diverse e un tantino scioc-canti, per permettere allo spettatorepindarici voli interpretativi e sugge-stivi. L’importante, suggeriscono gliautori, è la sequenza con cui le fotosono proposte. Insomma il solito,irriverente e autoreferenziale Catte-lan.

54. Esposizione Internazionaled’arte Biennale di Venezia, Giardinie Arsenale  dal 4 giugno al 27 no-vembre, Orari: 10 18 chiuso il lune-

dì. Costi: 6  € per ciascuna sede, 10 € per entrambe le sedi

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n.27 III – 13 luglio 2011 15

Doppio Kapoor a Milano

Sono tre gli appuntamenti che l’Italiadedica quest’anno ad Anish Kapoor,artista concettuale anglo-indiano.Due di questi sono a Milano, e sipreannunciano già essere le mostrepiù visitate dell’estate. Il primo è alla

Rotonda della Besana, dove sonoesposte sette opere a creare unamini antologica; il secondo è "Dirty Corner ", installazione site-specificcreata apposta per la Fabbrica delVapore di via Procaccini. Entrambecurate da Demetrio Paparoni eGianni Mercurio, con la collabora-zione di MADEINART, gli stessinomi che hanno curato anche la re-trospettiva di Oursler al Pac.Una mostra di grande impatto visi-vo, quella della Besana, con operefatte di metallo e cera, realizzate

negli ultimi dieci anni e che sonopresentate in Italia per la prima vol-ta. Opere di grande impatto sì, madal significato non subito compren-sibile. Kapoor è un artista che simuove attraverso lo spazio e la ma-teria, in una continua sperimenta-zione e compenetrazione tra i due,interagendo con l’ambiente circo-stante per “cercare di generare sen-sazioni, spaesamenti percettivi, cheporteranno a ognuno, diversi, maga-ri insospettabili significati”, comespiega l’artista stesso. Ecco perchénon tutto è lineare, come si può ca-pire guardando le sculture in acciaio

“C-Curve ” (2007), “Non Object (Do- or)” 2008, “Non Object (Plane)” del2010, ed altre che provocano nellospettatore una percezione alteratadello spazio. Figure capovolte, de-formate, modificate a seconda della

prospettiva da cui si guarda, un for-te senso di straniamento che portaquasi a perdere l'equilibrio. Questesolo alcune delle sensazioni che lospettatore, a seconda dell’età e del-la sensibilità, potrebbe provare da-vanti a questi enormi specchi metal-lici.Ma non c’è solo il metallo tra i mate-riali di Kapoor. Al centro della Ro-tonda troneggia l’enorme “My Red Homeland ”, 2003, monumentale in-stallazione formata da cera rossa (ilfamoso rosso Kapoor), disposta in

un immenso contenitore circolare ecomposta da un braccio metallicoconnesso a un motore idraulico chegira sopra un asse centrale, spin-gendo e schiacciando la cera, in unlentissimo e silenzioso scambio tracreazione e distruzione. Un’opera,come spiegano i curatori, che nonpotrebbe esistere senza la presenzaindissolubile della cera e del bracciometallico, in una sorta di positivo enegativo (il braccio che buca la ce-ra), e di cui la mente dello spettato-re è comunque in grado di rico-struirne la totalità originaria.

Il lavoro di Kapoor parte sempre dauna spiritualità tutta indiana che sicaratterizza per una tensione misti-ca verso la leggerezza e il vuoto,verso l’immaterialità, intesi comeluoghi primari della creazione. Ecco

perché gli altri due interessanti ap-puntamenti hanno sempre a chefare con queste tematiche: “Dirty Corner ”, presso la Fabbrica del Va-pore, un immenso tunnel in acciaiodi 60 metri e alto 8, all’interno deiquali i visitatori potranno entrare, e“Ascension”, esposta nella Basilicadi San Giorgio Maggiore a Venezia,in occasione della 54° Biennale diVenezia. Opera già proposta in Bra-sile e a Pechino ma che perl’occasione prende nuovo significa-to. Un’installazione site-specific che

materializza una colonna di fumo dauna base circolare posta in corri-spondenza dell’incrocio fra transettoe navata della maestosa Basilica eche sale fino alla cupola.

ANISH KAPOOR - Rotonda di viaBesana – fino al 9 ottobre Fabbricadel Vapore, via Procaccini 4 – finoall’11 dicembre Orari: lun 14.30 -19.30. Mar-dom 9.30-19.30. Giov esab 9.30-22.30. Costi: 6  € per cia-scuna sede, 10  € per entrambe lesedi.

Ritorna “Brera mai vista”

Dopo tre anni di assenza riprendel’iniziativa “Brera mai vista”,un’occasione unica per vedere dalvivo, nelle sale della sempre affa-scinante Pinacoteca di Brera, dipintipoco noti, generalmente conservatinei depositi della Pinacoteca perproblemi di spazio, ma che prendo-no vita attraverso speciali esposi-zioni incentrate su di essi. Importan-

te anche la presentazione che diquesti dipinti viene fatta: studiosi estorici dell’arte si mettono in primalinea per studiarli, analizzarli e pre-sentarli al grande pubblico. Maquest’anno c’è una novità. L’operain questione non è da sempre unbene di Brera, bensì un nuovo ac-quisto.E’ la piccola ma preziosa tavola del-la Madonna con il Bambino , datata1445 circa, attribuita al Maestro diPratovecchio. Una tavola presumi-bilmente creata per la devozione

privata, visto il piccolo formato, eche mostra una giovane Madonnadallo sguardo rassegnato, intenta ascrutare l’avvenire, che sa essere

già carico di dolore. La madre e ilBambino, nell’atto di benedire, sonoracchiusi in una sorta di nicchia co-perta da quello che sembra essereun motivo damascato. La tavola èun dipinto poco noto, non solo per ilpubblico ma anche per gli esperti, eche fu studiato e fotografato già daRoberto Longhi, che dedicò ancheun saggio per ricostruire le vicende

del misterioso pittore.Un artista fino a poco tempo fa ano-nimo, conosciuto appunto comeMaestro di Pratovecchio, ma a cuirecentemente si è potuto dare unnome: Giovanni di Francesco delCervelliera. Non un illustre scono-sciuto però, ma un collaboratore ar-tistico di Filippo Lippi, tra gli anni1440-1442. E che sia proprio diquegli anni è evidente guardando ilsuo disegno, attento al rigore pro-spettico tipico fiorentino, ma ancheinteressato ai colori luminosi e can-

gianti che compaiono nelle vesti del-la Madonna. Riprendendo in questosia il più noto Filippo Lippi, con isuoi personaggi inquieti, che i colori

di Domenico Veneziano. La somi-glianza con lo sfondo damascatodella sua Madonna Berenson èdavvero notevole. Gli stessi espe-dienti e artifici formali che hannoispirato anche altri artisti, presentinella raccolta della Pinacoteca: Gio-vanni Boccati, Giovanni Angelo diAntonio, Fra Carnevale e natural-mente Piero della Francesca, allievo

di Domenico Veneziano. Prima di essere esposta la tavola hasubito anche un restauro conserva-tivo, ma che non ha alterato i tratti ela storia del dipinto, fattore impor-tante per ricostruirne le vicende enon cancellare quelli che sono i se-gni del tempo della storia dell’arte.Ecco dunque che la piccola tavolapotrà essere un’utile “scusa” per ri-vedere la Pinacoteca, integrandoanche questo dipinto nel percorsostorico e cronologico che la Pinaco-teca propone.

Brera mai vista. La Madonna conil Bambino del Maestro di Prato-vecchio - Pinacoteca di Brera, sala

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n.27 III – 13 luglio 2011 16

XXXI, fino all’11 settembre - Orari:8.30 -19.15 da martedì a domenica

- Costo: intero euro 9, ridotto euro6.50.

L’anello debole che spezza la catena

Termina con la mostra L'anello più debole della catena è anche il più forte perché può romperla , l’ultimo

quarto di Terre Vulnerabili , progettocurato da Chiara Bertola pressol’HangarBicocca, contrassegnatodal tema della vulnerabilità. Quattrole mostre che si sono succedute eintegrate l’una all’altra, per un totaledi nove mesi, divise in quattro fasicome quelle lunari, e che hannoraccolto ben trentuno artisti interna-zionali e altrettante opere che sonovia via cresciute, evolute, cambiate,modificate e si sono adattate aglispazi dell’Hangar.L’ultima mostra, inaugurata il 5

maggio, vede la presenza di quattronuovi artisti, gli ultimi in ordine cro-nologico che sono stati inseriti nelprogetto: Roman Ondák, PascaleMarthine Tayou, Nari Ward el’italiano Alberto Tadiello. Il titolodella quarta fase, L'anello più debo- le della catena è anche il più forte perché può romperla , è forse la di-chiarazione più significativa rispettoallo scopo del progetto. La vulnera-bilità è anche forza. Bisogna asse-condarla e accettarla, farla diventa-re il punto di forza.“Le catene rappresentano ancheuna struttura dinamica - dice ChiaraBertola - che conduce alla produ-zione di forme e di lavoro; all’internodel ciclo (o del processo) rappre-sentato da una catena, esiste sem-pre un anello debole (non allineato)che alla fine può rivelarsi come il piùforte perché rompe uno schema dicomportamenti prevedibili diventan-do così il più “creativo”. L’anello "di-fettoso" interrompe un ingranaggio erompe dunque la normale succes-sione delle azioni”. Ecco il significa-to di questa nuova fase, tutta in di-

venire, che presenta quattro nuoviinteressanti lavori.

L’artista slovacco Ondák, presentaResistance , un video nel quale a ungruppo di persone è stato chiesto di

recarsi a un evento pubblico pressoil quale essi si mescolano nella follacon i lacci delle proprie scarpe slac-ciati. In questa opera l’artista da unaparte lavora sul rituale dell’opening,dall’altro crea una condizione stra-niante in chi guarda il video, “ab-bandonato” e incerto sulla correttainterpretazione.Pascale Marthine Tayou, cameru-nese, costruisce nel CUBO Plastic bag  una spettacolare installazionecon un grande cono rovesciato inte-ramente costituito da diecimila sac-

chetti di plastica biodegradabili dicinque tonalità diverse. Una primaversione dell’opera era già stata e-sposta nel 2010 in Australia, in que-sta sede è stata appositamente rivi-sitata e viene presentata per la pri-ma volta in Italia. Già dal titolo sipuò intuire il materiale favorito diTayou, il sacchetto di plastica, unoggetto assolutamente banale eanonimo, accessorio della quotidia-nità, che diventa simbolo della cre-scente globalizzazione, del consu-mismo, ma anche simbolo del no-madismo che sempre più caratteriz-za l’uomo moderno, una sorta divagabondo che trascina nei sac-chetti i pezzi importanti della suavita. Con un risvolto assolutamentenuovo: oggi che i sacchetti di plasti-ca sono banditi dal commercio, en-trano “di diritto” a far parte dei mate-riali usati per l’arte.E’ presente anche Nari Ward, gia-maicano ma newyorkese di adozio-ne, artista che usa come veicolod’arte i materiali di riciclo della vitamoderna e industriale, spesso rac-colti direttamente nel suo quartiere,

Harlem, ai quali dà nuova funzionee significato, usandoli per affrontare

temi sociali come la povertà,l’immigrazione e la questione raz-ziale. Per Terre Vulnerabili  ha rea-

lizzato Soul soil , un grande conteni-tore ovale dove sono intrappolati edal quale fuoriescono resti di oggettiabbandonati, materiali di recupero,parti in ceramica di sanitari e alcunidei vestiti usati provenientidall’installazione di Christian Bol-tanski, Personnes , espostaall’Hangar lo scorso anno, sfuggitiallo smantellamento di fine settem-bre 2010, interpretando così, in li-nea anche con la sua poetica, unodei temi portanti di Terre Vulnerabili .L’ultimo artista presente è l’italiano

Alberto Tadiello, con il suo Senza titolo  (Adunchi ), una installazione ditubi di ferro, lamiere, dadi e bullonisu una colonna aggettante e spigo-losa. Il significato è più che mai le-gato al tema della vulnerabilità edella precarietà. Così l’artista stes-so, spiega la sua opera: “Un grumodi forze. Di aggettanza, di torsione,di urto, di trazione, di spinta. Di iso-lamento, di deformazione, di dissi-pazione, di accoppiamento, di riu-nione, di separazione. È solo metal-lo, ferro. Tagliato, smussato, graffia-to, bucato, piegato, imbullonato. Siaffaccia. Pesa, pende, gravita”.E’ il momento di tirare le somme evedere queste quattro fasi al com-pleto, per comprendere a pieno co-sa sia oggi la vulnerabilità secondoquesti artisti ma soprattutto per ve-dere quanto questi progetti sianodavvero definitivi. Lo sono?Terre Vulnerabili 4/4 L'anello piùdebole della catena è anche il piùforte perché può romperla -Hangar Bicocca Fino al 17 luglio.Orario: tutti i giorni dalle 11.00 alle19.00, giovedì dalle 14.30 fino alle

22.00, lunedì chiuso Ingresso: intero8 euro, ridotto 6 euro

Al Museo del Novecento l’arte scende in piazza

Il Museo del Novecento ha da pocoinaugurato la sua prima mostratemporanea, intitolata “Fuori! Arte espazio urbano 1968-1976”. La mo-stra, curata da Silvia Bignami e A-lessandra Pioselli, è allestita al pia-no terra del museo, uno spazio pic-colo e raccolto ma forse, c’è da dir-lo, non troppo funzionale per questa

mostra, fatta da video, filmati, pan-nelli e grandi fotografie. Il tema è trai più interessanti: far luce su un pe-riodo particolare della vita politica,

artistica e sociale italiana, quellamanciata d’anni che va dalle conte-stazioni giovanili del ’68 fino al de-cennio successivo. Momento socia-le importante ma non solo, anchel’arte e gli artisti giocarono un ruolocruciale nel risveglio delle coscienzepopolari. Sono gli anni in cui l’arte siallontana da musei, gallerie e luoghi

tradizionalmente deputati alla frui-zione, per uscire “fuori”, appunto, instrada, per coinvolgere il pubblico eil mondo reale. Peformance, azioni,

installazioni, poco importa il me-dium, l’importante era la riappro-priazione del tessuto urbano cittadi-no e il farlo insieme al pubblico.Per capire la vicenda artistica diquegli anni, la mostra ne ripercorrealcune tappe significate, quali “Artepovera + azioni povere” (Amalfi,1968; a cura di Germano Celant);

“Campo Urbano” (Como, 1969; acura di Luciano Caramel); il Festivaldel Nouveau Réalisme (Milano,1970; a cura di Pierre Restany);

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“Volterra ’73” (Volterra, 1973; a curadi Enrico Crispolti), ma anche la Bi-ennale di Venezia del 1976. Perspiegare queste azioni e perfor-mance così effimere sono stati usativideo, filmati restaurati, registrazionisonore, fotografie e manifesti, le“armi” di quella rivoluzione artisticache tanta importanza ebbe nel ri-svegliare pensieri e passioni.Ecco allora in mostra le fotografie diUgo Mulas per Campo Urbano; igonfiabili di Franco Mazzucchelliallestiti fuori dai cancelli dell’AlfaRomeo di Milano (1971); i “lenzuoli”di Giuliano Mauri alla Palazzina Li-berty di Milano contro la guerra inVietnam (1976); le azioni incompre-se sul territorio fatte da Ugo La Pie-tra e le prime ricerche sulla comuni-cazione, rivolte agli studenti, del La-boratorio di Comunicazione Militan-te. E ancora le pratiche di progetta-

zione partecipata di Riccardo Dalisia Napoli, per creare asili nei rionidisagiati; le fotografie della gentequalunque di Franco Vaccari; la“passeggiata con la sfera” di Miche-langelo Pistoletto, riproposta dal film

di Ugo Nespolo (1968/69); le inter-viste di Maurizio Nannucci, fatte diuna sola parola ai passanti (Firenze,1976). Ma anche le indimenticabili escioccanti performance di Rotella,Restany e Niki de Sainte Phalle, du-rante il Festival del Nouveau Reali-sme a Milano, con il banchetto fu-nebre, una sorta di macabra ultimacena per decretare la fine del grup-po, fatta dai membri del gruppostesso; i monumenti impacchettati diChristo; le espansioni gommose diCesar in Galleria Vittorio Emanuelee il monumento fallico di Tinguely.Tutto visibile attraverso filmati, do-cumenti preziosi di momenti ormaiperduti.Insomma una carrellata di artisti eazioni che hanno profondamenteinfluenzato l’arte di oggi e che ide-almente completano il percorso e-spositivo del Museo del Novecento,

che si conclude all’incirca agli anniSessanta, con lavori pensati per su-perare il limite tradizionale del qua-dro o della scultura: dagli ambientiprogrammati e cinetici all’arte pove-ra alla pittura analitica. In contempo-

ranea, il Museo ospita anche altredue esposizioni: una sala è dedicataalla famiglia Carpi e ai suoi maggioriesponenti, Aldo e Pinin; all’ultimopiano invece sarà possibile studiareuna selezione di disegni e cerami-che di Alessandro Mendini, prove-nienti dalla collezione di Casa Bo-schi-Di Stefano.Per concludere, nell’ultima vetratadello spazio mostre è stato allestitoun white cube , dove dal 15 aprile al30 giugno sarà esposta “Nice ball”,opera di Paola Pivi. Una composi-zione fatta di sedie di design in mi-niatura che, illuminate dall’interno,proiettano sulle pareti giochi di om-bra. Seguiranno poi a rotazione an-che un’opera d’arte, un oggetto didesign e una fotografia.

Fuori! Arte e spazio urbano 1968-1976 - Museo del Novecento - finoal 4 settembre.  Lun 14.30-19.30;mar, mer, ven e dom 9.30-19.30;giov e sab 9.30-22.30 Biglietto inte-ro 5 euro, ridotto 3 euro. 

CINEMAquesta rubrica è a cura di M. Santarpia e P. Schipani

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Potiche, la bella statuina di François Ozon [Francia, 2010, 103']

con Catherine Deneuve, Gérard Depardieu, Fabrice Luchini e Karin Viard

"Il mio posto non è in cucina, il mioposto non è al Badaboom, dov'è ilmio posto?" Suzanne Pujol (Cathe-rine Deneuve) domanda candida-mente al marito quale debba essereil suo ruolo nel mondo. La fabbricaricevuta in eredità dal padre é gesti-ta dal marito, la casa viene portataavanti dalle governanti. Cosa resta,quindi, da fare a Catherine Deneuve

se non la bella statuina che osservapassivamente l'universo che le giraattorno?François Ozon riscrive e reinterpre-ta la creazione originale di PierreBarillet e Jean-Pierre Grédy. MentreSuzanne porta i segni di una pro-fonda evoluzione, il contesto e latrama restano rigorosamente fedeliall'originale. A seguito di trambusti erivolte operaie nella piccola impresaPujol, che danno origine a uno scio-pero e al conseguente infarto delpadrone, il cinico e autoritario signor

Pujol (Fabrice Luchini) è costretto acedere il potere nelle mani della be-nevola moglie.

Quest'ultima, imprigionata nelle ve-sti e nella psiche di una casalingainerme, senza nulla cui badare, ècostretta improvvisamente a usciredal coma di identità in cui era cadu-ta. Deve prendere in mano le redinidella società ricevendo così l'ereditàdel padre. Il compito impegnativo lepermette di scoprirsi una vera don-na d'affari, rispettosa e comprensiva

con gli operai, idealista ma seduttri-ce con il deputato comunista (Gé-rard Depardieu), capace di dare le-zioni di femminismo alla figlia (Ju-dith Godrèche) e alla segretaria delmarito (Karin Viard).La presa del potere da parte di Ca-therine Deneuve e il relativo seguitopopolare ricordano la sbocciatura diSégolène Royale del 2007. I toni delfilm restano comunque sempre ca-ratterizzati da una forte senso del-l'umorismo, i personaggi quasi cari-caturali. Luchini è un capo misogino

e reazionario, la Deneuve resta, intenuta da jogging, attonita di frontea un uccello e a uno scoiattolo. L'al-

lusione alla politica reale non puòche rimanere tale, non deve esserepresa seriamente. Ma non è un ma-le. François Ozon vuole divertire lospettatore senza appesantire il tonodella sua commedia.Il successo del film è indubbiamentedovuto anche alla celebre coppiaritrovata del cinema francese De-neuve-Depardieu. Lei borghese e

padrona, lui proletario e deputatocomunista, vecchi amanti di un po-meriggio di gioventù che si ritrovanoper caso. Il regista riserva loro sce-ne ad alta intensità emozionale.Danze, sguardi, ricordi condivisi,queste due leggende del cinemad'oltralpe offrono allo spettatoremomenti di pura complicità e di pro-fonda tenerezza.

Marco Santarpia 

In sala a Milano: AriAnteo P.ta Ve-

nezia 13 luglio, AriAnteo Conserva-torio 2 settembre

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LUCIA CASTELLANO. L’ESTATE DEI LAVORI PUBBLICIhttp://www.youtube.com/watch?v=e7T8TV7Aakkideo