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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI URBINO “CARLO BO” FACOLTA’ DI SCIENZE MOTORIE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNICHE DELL’ ATTIVITA’ MOTORIA PREVENTIVA E ADATTATA LA TENDINOPATIA ROTULEA NEGLI SPORTIVI: APPROCCIO TERAPEUTICO E RIABILITATIVORelatore: Chiar.mo Prof Tesi di laurea di: Pierangelo De Simoni Luigi Pecoraro __________________________ Anno Accademico 2007- 2008

40La a Rotulea Negli Sportivi Approccio Terapeutico e Riabilitativo

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI URBINO

“CARLO BO”

FACOLTA’ DI SCIENZE MOTORIE

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE E TECNICHE

DELL’ ATTIVITA’ MOTORIA PREVENTIVA E ADATTATA

“LA TENDINOPATIA ROTULEA NEGLI

SPORTIVI: APPROCCIO TERAPEUTICO E

RIABILITATIVO”

Relatore: Chiar.mo Prof Tesi di laurea di:

Pierangelo De Simoni Luigi Pecoraro

__________________________

Anno Accademico 2007- 2008

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INTRODUZIONE

Fine di questa ricerca è di prendere in considerazione le principali patologie

del tendine rotuleo, che costituiscono ad oggi uno dei motivi più diffusi di

infortunio in giovani atleti e discutere le modalità di intervento terapeutico

e riabilitativo.

I tendini rappresentano gli elementi fondamentali della struttura muscolo-

scheletrica per la trasmissione e la distribuzione delle sollecitazione che le

attività muscolari esercitano sulle ossa.

Le lesioni tendinee sono più frequenti nelle aree meno vascolarizzate, e

lesioni traumatiche possono determinare un’ulteriore riduzione della

vascolarizzazione e creare i presupposti per una loro rottura.

L’incidenza epidemiologica delle tendinopatie è in aumento a causa del

crescente numero di soggetti che praticano attività sportiva e varia in

relazione al livello e all’impegno sportivo del singolo, alla frequenza degli

allenamenti e delle gare.

Nella patogenesi delle tendinopatie, la prevenzione assume un ruolo

importante nel preservare dalle lesioni, in particolare non andrebbe

trascurata l’analisi dei fattori estrinseci (terreno, calzature, carichi di

lavoro, riscaldamento, defaticamento); e intrinseci (biologia e biochimica

dell’atleta), nonché la programmazione e periodizzazione dell’allenamento.

Tra le diverse forme cliniche la tendinopatia rotulea è una delle più

conosciute per incidenza e gravità dei sintomi, ed interessa l’apparato

estensore del ginocchio di quegli atleti che, per la loro attività, eseguono in

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modo intenso e ripetitivo, movimenti di corsa e salto, come ad esempio

nella pallavolo, nella pallacanestro, nel salto in alto e nel calcio.

Nei giovani la parte più debole è rappresentata dal punto di ancoraggio del

tendine sulla tibia costituito da osso e cartilagine ancora immaturi.

Nella maggior parte dei casi il processo interessa il tendine rotuleo, in

corrispondenza della sua origine a livello del polo inferiore della rotula.

La lesione si evidenzia attraverso una sintomatologia dolorosa del

ginocchio anteriore, che insorge in alcuni atteggiamenti di base dello sport

praticato (arti inferiori semiflessi, sia in posizione di attesa che di

caricamento) e scompare dopo un periodo di riposo.

In alcuni casi il dolore può comparire dopo che il soggetto è rimasto a

lungo seduto con il ginocchio flesso, o dopo aver guidato, al punto da

obbligarlo ad eseguire energici movimenti di flesso-estensione del

ginocchio per farlo scomparire.

Non bisogna mai sottovalutare una tendinite soprattutto se tende a durare a

lungo e se l’esame ecografico dimostra una generazione della struttura

fibrillare del tendine di grado elevato.

Il trattamento, anche nei casi più lievi; deve essere condotto con rigore, per

evitare la cronicizzazione del fenomeno, o , ancor peggio, la rottura delle

fibre, evento catastrofico e molto temuto in ambito sportivo.

La vera cura della tendinite è la sua prevenzione evitando sovraccarichi.

Bisogna mettere in atto alcuni accorgimenti: riposo attivo (la parte

infiammata va risparmiata per un periodo tanto più lungo quanto più seria è

la tendinite); obbliga torio un riscaldamento molto graduale e

l’applicazione di ghiaccio dopo l’attività fisica, esercizi di stretching,

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rinforzo a difficoltà crescente per consentire al tendine un graduale

adattamento biologico; infine per facilitare la rieducazione e l’attività

sportiva spesso si ricorre alla confezione di un taping sottorotuleo.

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1.ANATOMIA FUNZIONALE E BIOMECCANICA DEL

GINOCCHIO

L’articolazione del ginocchio è l’articolazione più grande del corpo umano;

fa parte di una catena cinetica ed è direttamente interessato dai movimenti e

dalle forze generate e trasmesse da piede, caviglia e gamba.

Il ginocchio deve trasmettere a sua volta forze alla coscia, all’anca al

bacino e alla colonna.

Forze anomale che non possono essere diffuse devono essere assorbite dai

tessuti. In una catena cinetica chiusa le forze sono trasmesse infatti ai

segmenti prossimali o sono assorbite a livello delle articolazioni più distali.

L’incapacità di un sistema chiuso di dissipare queste forze eccessive

conduce di solito ad una rottura di qualche parte del sistema.

Quindi il ginocchio come parte di una catena cinetica è suscettibile ad un

danno determinato dall’assorbimento delle forze in eccesso.

Il ginocchio è comunemente considerato un ginglimo dal momento che i

suoi due movimenti principali sono la flessione e l’estensione; poiché

tuttavia la rotazione della tibia è una componente essenziale del movimento

dell’articolazione , questa non può essere considerata un vero ginglimo.

La flessione è la risultante di un movimento di scorrimento e di rotazione

delle superfici articolari le une sulle altre.

Le facce articolari sono rappresentate dai condili femorali e dai condili

tibiali. L’incongruenza di queste facce articolari viene annullata, sia

mediante uno spesso rivestimento cartilagineo , sia mediante i menischi.

All’articolazione del ginocchio partecipa inoltre la patella (articolazione

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femoropatellare). I condili femorali sono divergenti in basso e indietro; il

condilo laterale è più largo al davanti che indietro, mentre il condilo

mediale ha una larghezza uniforme.

La stabilità dell’articolazione dipende essenzialmente dai legamenti della

capsula e dai muscoli circostanti. Il ginocchio è strutturato in modo da

fornire stabilità in carico ortostatico e mobilità durante la locomozione;

risulta tuttavia instabile specialmente medialmente e lateralmente (fig. 1).

Figura 1

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Il movimento tra la tibia e il femore comprende la flessione, l’estensione e

la rotazione, ma anche i moti artrocinetici di scorrimento e di rotolamento.

Quando la tibia si estende sul femore, questa rotola e scorre anteriormente,

mentre quando il femore si estende rispetto alla tibia si ha uno scorrimento

anteriore e un rotolamento posteriore.

La rotazione assiale della tibia relativamente al femore è un’importante

componente della mobilità articolare. Nel meccanismo screw-home

dell’articolazione, quando il ginocchio si estende, la tibia ruota

esteriormente.

La rotazione avviene perché il condilo mediale è più largo del laterale e,

quando l’arto è in carico, la tibia ruota esteriormente per raggiungere la

completa estensione.

La componente rotatoria conferisce all’articolazione una maggiore stabilità

in estensione .

Quando il peso corporeo è caricato sull’articolazione il muscolo popliteo

deve contrarsi per far ruotare esternamente il femore e “sbloccare” il

ginocchio in modo che possa avvenire la flessione.

Nell’articolazione del ginocchio si distinguono i legamenti, i menischi e le

borse sinoviali comunicanti con la cavità articolare.

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1.1 LEGAMENTI CROCIATI

Questo gruppo di legamenti servono soprattutto al mantenimento dei

normali rapporti articolari nei confronti dei movimenti di rotazione (fig. 2)

Figura 2

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Il legamento crociato anteriore va dall’area intercondiloidea anteriore della

tibia alla faccia interna del condilo laterale del femore; impedisce al femore

di spostarsi posteriormente durante la fase di carico sull’arto, stabilizza il

ginocchio nell’estensione completa e impedisce l’iperestensione.

Inoltre, stabilizza la tibia evitando l’eccessiva rotazione interna ed è un

supporto secondario agli stress valgo/varo quando i legamenti collaterali

sono danneggiati.

Il crociato anteriore lavora insieme ai muscoli della coscia, in modo

particolare con quelli del distretto posteriore, al fine di stabilizzare

l’articolazione.

Nell’estensione completa il legamento è in massima tensione e si rilascia

durante la flessione.

Il legamento crociato posteriore, più robusto di quello anteriore, si estende

dalla faccia laterale del condilo mediale del femore all’area

intercondiloidea posteriore.

Quando il femore scorre sulla tibia, il legamento crociato posteriore inizia a

tendersi e impedisce un ulteriore scivolamento.

In genere il crociato posteriore impedisce un’eccessiva rotazione interna.

l’iperestensione guida il ginocchio nella flessione e ha un’azione di freno

durante la fase iniziale di scivolamento.

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1.2 LEGAMENTI COLLATERALI

I legamenti collaterali mediale (LCM) e laterale (LCL) uniscono il femore

alla tibia, con il compito di impedire gli spostamenti di questi due segmenti

scheletrici quando la gamba viene sollecitata verso l’interno e verso

l’esterno (fig 2).

Il collaterale mediale è diviso in due componenti, quella superficiale più

resistente e quella più profonda più sottile e debole, detta anche legamento

capsulare, che ha un punto di inserzione sul menisco mediale.

Il LCM è il principale stabilizzatore statico rispetto allo stress in valgo,

risulta in tensione in estensione completa, inizia a tendersi tra i 20° e 30° di

flessione e torna in tensione a 60°- 70° di flessione.

Una porzione di legamento rimane però in tensione durante tutto l’arco di

escursione articolare con la funzione principale di proteggere il ginocchio

dagli stress in valgo e dalle forze rotazionali esterne.

Il legamento collaterale laterale (fibulare) (LCL) si presenta come un

cordone fibroso e rotondo di spessore simile a una matita.

Si inserisce sull’epicondilo laterale del femore e sulla testa del perone. La

sua funzione, assieme a quella della banderella ileotibiale, al tendine del

popliteo, al legamento arcuato e al tendine del bicipite è di sostenere la

parte laterale del ginocchio.

Il legamento collaterale laterale è sottoposto ad una trazione costante e la

sua conformazione solida e compatta è adatta a sopportare questo tipo di

stress. Il LCL è in tensione durante l’estensione, ma è rilasciato durante la

flessione.

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1.3 MENISCHI

I menischi sono fibrocartilaginei a forma di semianello che si interpongono

tra i condili femorali e i piatti tibiali. Ve ne sono due in ogni ginocchio,

quello mediale (interno) e quello laterale (esterno).

L'immagine seguente rappresenta una sezione trasversale del ginocchio

osservata dall'alto, in cui riconosciamo l'estremità superiore della tibia

(piatti tibiali), i principali legamenti e i due menischi ( fig. 3).

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Figura 3

Mentre il menisco mediale ha una caratteristica forma a "C", quello

laterale, più chiuso su se stesso, assomiglia ad una lettera "O". Entrambi

hanno un margine libero rivolto verso il centro del ginocchio ed un bordo

vincolato alla capsula articolare rivolto verso la periferia.

Topograficamente, è utile distinguere in ciascun menisco un corno

anteriore, un corpo ed un corpo posteriore:

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I menischi hanno molteplici funzioni: innanzitutto aumentano la

congruenza tra i condili femorali (convessi) e i piatti tibiali

(sostanzialmente piani), distribuendo così il carico in modo uniforme su

tutta la superficie articolare; partecipano alla stabilità del ginocchio in

modo sinergico con il legamenti; migliorano la distribuzione del liquido

sinoviale sulla cartilagine articolare, facilitandone così la nutrizione.

Si comprende dunque come la rimozione completa di un menisco possa

provocare, nel lungo periodo, una degenerazione artrosica precoce.

1.4 LA ROTULA

L’insieme del quadricipite, del tendine del quadricipite, della rotula e del

tendine rotuleo forma il complesso estensore del ginocchio.

La rotula aiuta il ginocchio nell’estensione , allungando il braccio di leva

del muscolo quadricipite.

Essa distribuisce la forza compressiva sul femore, incrementando la

superficie di contatto; inoltre protegge il tendine dallo sfregamento.

Lo scorrimento nella troclea dipende dalla forza di contrazione del

quadricipite, del tendine rotuleo, dalla profondità dei condili e dalla forma

della rotula.

Il buon funzionamento della rotula è basato sulla presenza di un angolo di

valgismo femoro-tibiale di circa 5 - 7 gradi ed un buon allenamento

dell'apparato estensore. L'angolo Q normale va da 10° a 15°. Un angolo 0

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aumentato determina aumento degli sforzi sulla faccetta interna della rotula

da 20° a 45°(fig. 4).

Figura 4.

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1.5 FUNZIONE DEI MUSCOLI

Affinché il ginocchio funzioni correttamente, numerosi muscoli devono

lavorare insieme in modo molto complesso.

La flessione è determinata dai muscoli bicipite femorale, semitendinoso,

semimembranoso, gracile, sartorio, gastrocnemio, popliteo e plantare.

L’estensione è determinata dal muscolo quadricipite della coscia, formato

dai tre vasti (mediale, laterale e vasto intermedio) e dal retto femorale; la

rotazione esterna della tibia è controllata dal bicipite femorale; la rotazione

interna è determinata dai muscoli poplite, semitendinoso,

semimembranoso, sartorio e gracile; la benderella ileotibiale situata

lateralmente ha principalmente una funzione stabilizzante laterale (fig.5).

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Figura 5.

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2.IL GINOCCHIO DOLOROSO: VALUTAZIONE ED

ESAME CLINICO

Gli strumenti più efficaci per valutare le condizioni del ginocchio sono

l’anamnesi e un attento esame obiettivo.

L’utilizzazione di una scheda standardizzata per la valutazione del

ginocchio assicura che nessun aspetto dell’anamnesi e dell’esame clinico

sia trascurato e che la valutazione proceda in modo logico e sistematico.

2.1 RACCOLTA DELL’ANAMNESI

L’anamnesi di un paziente con problemi al ginocchio fornisce più

indicazioni per giungere a una diagnosi corretta e completa di qualsiasi

altro aspetto dell’esame clinico.

La maggior parte dei chirurghi esperti del ginocchio riesce a ridurre a una o

due le possibilità di diagnosi basandosi sulla sola anamnesi.

Molte cause di dolore al ginocchio possono essere scartate grazie

all’anamnesi (ad es., una storia di dolore graduale e fastidioso nella parte

anteriore del ginocchio, di cedimento o di instabilità esclude la possibilità

di una lesione al legamento crociato anteriore [LCA]).

Un’anamnesi e un esame obiettivo dettagliati, approfonditi valgono come

un’ecografia e una RM (un confronto simile a quello tra una carabina e un

fucile). Oggigiorno si attribuisce troppa importanza alle indagini

radiologiche, cosa che dovrebbe essere evitata.

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Se il problema del ginocchio è dovuto a un’unica lesione specifica, la

possibile patologia del ginocchio che ne è responsabile è limitata a un

gruppo ristretto di lesioni ( ad es., dei menischi, dei legamenti, frattura,

rottura tendinea,ecc.).

L’inizio subdolo e non traumatico del dolore al ginocchio è indice di una

lesione da sovraccarico, una sindrome infiammatoria, un’eziologia artrosica

piuttosto che di una lesione legamentosa o meniscale acuta.

Stabilire se la causa del dolore al ginocchio sia stata una lesione acuta e

traumatica, oppure se abbia avuto un inizio subdolo e non traumatico aiuta

a discriminare fra diverse eziologie (ad es., strappo dei legamenti rispetto a

origine

infiammatoria).

Un approfondito esame obiettivo richiede la conoscenza di alcuni fattori:

• Sintomo principale. È importante chiedere come ha avuto inizio e

determinare se il sintomo principale è la tumefazione, la rigidità, il rumore

articolare, l’instabilità oppure il dolore articolare.

• Bilateralità. Di solito corrisponde a un inizio subdolo non traumatico del

dolore al ginocchio.

• Durata e comparsa dei sintomi. È importante capire se il dolore del

paziente sta aumentando o si sta riducendo.

Il paziente può aver avuto un episodio di dolore al ginocchio che non è mai

passato, oppure il dolore potrebbe essere intermittente o esacerbato da

particolari attività.

• Età, sesso e livello di attività. Alcuni problemi al ginocchio sono più

frequenti in alcune fasce di età o tra uomini o donne (ad es., il dolore

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anteriore del ginocchio o il dolore femororotuleo è più comune fra le

giovani atlete).

2.2 ANALISI DETTAGLIATA DEI SINTOMI

A ogni paziente bisogna chiedere se siano presenti rumori, blocco

articolare, episodi di instabilità, tumefazione, rigidità, dolore notturno,

difficoltà al carico, difficoltà a camminare, a fare le scale, a sedersi e

alzarsi da una sedia, ad accovacciarsi o a inginocchiarsi.

• Rumori. I rumori sono così frequenti che sono praticamente inutili per

fare diagnosi. I rumori che provocano dolore sono più significativi di quelli

asintomatici, sebbene qualsiasi tipo di lesione sia in grado di generare

rumori all’interno e all’esterno dell’articolazione del ginocchio.

• Cedimenti. Un’improvvisa ipostenia dell’arto inferiore può portare il

ginocchio in leggera iperestensione o in flessione: ciò è spesso la

conseguenza di un problema

muscolare, come l’ipostenia del muscolo quadricipite. Se il paziente

descrive una vera sublussazione con perdita di aderenza articolare si può

pensare a una rottura

legamentosa (di solito del LCA) e/o a un’instabilità della rotula

(sublussazione).

• Blocco articolare. Il blocco articolare è un sintomo molto utile se il

paziente riferisce che il suo ginocchio si blocca per un periodo di tempo

relativamente lungo e

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deve essere mobilizzato passivamente per riottenere mobilità. Il blocco

articolare è un segno tipico di una lesione meniscale oppure della presenza

di un corpo libero

all’interno dell’articolazione.

Un ginocchio bloccato di solito conserva la flessione, mentre il paziente ha

difficoltà a raggiungere gli ultimi 5-20° di estensione completa.

Per passare all’esame obiettivo, il paziente deve indicare l’area del

ginocchio che gli provoca più problemi.

Quest’area si suddivide in anteriore (quadricipite, rotula, retinacolo rotuleo,

tendine rotuleo), laterale (rima articolare laterale, condilo femorale laterale,

piatto tibiale laterale), mediale (rima articolare mediale, condilo femorale

mediale, piatto tibiale mediale) e posteriore (fossa poplitea, rima articolare

posteromediale e posterolaterale).

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2.3 DISTURBI FEMOROROTULEI

I disturbi femororotulei (dolore anteriore del ginocchio) sono fra le

condizioni che più frequentemente impediscono il normale svolgimento

dell’attività da parte dell’atleta.

L’articolazione femororotulea è un’articolazione complessa che per la

stabilità dipende da freni sia dinamici sia statici. Il dolore anteriore del

ginocchio può dipendere da molte cause e non può essere trattato con un

singolo algoritmo di trattamento.

Il 70% circa dei disturbi femororotulei migliora con un trattamento

conservativo (non chirurgico) e con il tempo.

Quando si considera e si valuta il dolore femororotuleo, prima di tutto

bisogna accertarsi se il problema parte dall’instabilità o dal dolore. Una

volta posta la diagnosi all’interno di uno di questi due gruppi, si può attuare

un lavoro corretto e si possono prendere decisioni terapeutiche corrette.

In letteratura vi è confusione riguardo alla classificazione dei disturbi

femororotulei. Wilk e collaboratori (1998) hanno segnalato che uno schema

completo della classificazione femororotulea dovrebbe definire

chiaramente le categorie diagnostiche, aiutare nella scelta del trattamento

adeguato e permettere il confronto degli approcci riabilitativi per una

diagnosi specifica.

• Instabilità rotulea

• Lussazione acuta della rotula

• Sublussazione cronica della rotula

• Lussazione recidivante della rotula

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• Sindromi da sovraccarico

• Tendiniti rotulee (ginocchio del saltatore)

• Tendinite del quadricipite

• Malattia di Osgood-Schlatter (tubercolo tibiale)

• Sindrome di Sinding-Larsen-Johanssen (polo inferiore

della rotula)

• Sindromi da compressione della rotula

• Sindrome da eccessiva compressione laterale della

rotula (SCLR)

• Lesioni dei tessuti molli

• Sindrome da frizione della benderella ileotibiale (ginocchio

laterale)

• Sindrome sintomatica della plica

• Infiammazione ipertrofica del cuscinetto adiposo

(malattia di Hoffa)

• Borsiti

• Dolore del legamento femororotuleo mediale

• Problemi di connessione biomeccanica

• Iperpronazione del piede

• Dismetria degli arti inferiori

• Perdita di estensibilità

• Trauma diretto

• Lesioni della cartilagine articolare (isolate)

• Fratture

• Fratture e lussazioni

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• Osteocondrite dissecante (OCD)

I punti chiave della riabilitazione dei disturbi femororotulei mirano ad una

riduzione dei sintomi e dell’insatabilità del ginocchio, all’aumento della

forza e della resistenza del quadricipite ed infine all’aumento della stabilità

della rotula con una stabilizzazione dinamica o con meccanismi passivi.

3. STRUTTURA TENDINEA

3.1 GENERALITA’

I tendini sono strutture anatomiche interposte tra i muscoli e le ossa, il

punto di unione al muscolo i definisce giunzione muscolo-tendinea, mentre

il punto di inserzione sull’osso si definisce osteo-tendinea.

La loro forma è notevolmente variabile e dipende direttamente dalla

funzione che devono svolgere in rapporto all’azione specifica dei muscoli,

dai quali dipendono.

La loro robustezza è dovuta alla particolare struttura anatomica.

Essi sono costituiti da fasci di primo ordine, a loro volta formati da fibre

collagene, poche fibre elastiche e tenociti; più fasci di primo ordine,

separati tra loro da sottili setti endotenonici, in cui sono presenti i vasi, si

riuniscono a formare i fasci di 2° ordine.

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L’insieme di numerosi fasci di 2° ordine, circondato dal perite nonio

costituisce il tendine (fig. 6).

1 peritenonio

2 setti endotenonici

3 fascio di II ordine

4 fascio di I ordine

5 tenocita

6 fibre collagene

Figura 6.

Il tessuto tendineo possiede tre caratteristiche meccaniche: elasticità,

viscosità e plasticità.

Il tendine ha quindi la tendenza a deformarsi in maniera proporzionale ai

carichi applicati e ad assumere le stesse condizioni iniziali (elasticità).

Ha un comportamento viscoso in quanto esiste proporzionalità tra la

velocità di deformazione del tendine e la forza applicata.

Il tendine è inoltre dotato di plasticità quando è sottoposto ad una

sollecitazione meccanica, non subisce nessuna modificazione finche la

sollecitazione non raggiunge un carico limite.

Il tendine è molto sensibile alle sollecitazioni dovute all’esercizio fisico.

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A queste sollecitazioni reagisce rinforzandosi, gli allenamenti allo sprint ad

esempio provocano un aumento delle dimensioni del tendine.

Osservato al microscopio il tendine ha un aspetto ondulato; ogni livello ha

una sua fascia specifica.

Ciascuno dei fascicoli all’interno del tendine è organizzato in parallelo

rispetto agli altri.

Se un tendine viene sottoposto ad un test di stiramento la risposta alla

sollecitazione avviene in diverse fasi ( Butler e coll. 1978):

Il tendine mostra inizialmente un andamento ondulato (deformazione

dell’ 1-2%).

Lineare, (sollecitazioni legate all’attività sportiva, salto, corsa,

determinano una deformazione attorno al 3%)

Lacerazioni parziali, nel corso del quale il tendini reagisce a

sollecitazioni intense con lacerazioni microscopiche che si

ricompongono alla fine delle sollecitazioni; durante questa fase

avviene il potenziamento del tendine, (deformazione dal 3 all’8%)

Quarta fase che è quella della rottura completa del tendine (la

deformazione supera l’8%)

I quadri anatomo-patologici passano attraverso vari stadi che vanno dalla

semplice infiammazione della guaina che li avvolge, alla infiammazione

vera e propria del tendine, che può apparire assotigliato o ispessito, qualora

si istaurassero fenomeni di tipo degenerativo (tendinosi) per arrivare alla

rottura parziale o totale.

I primi stadi sono tipici dell’atleta giovane, i successivi colpiscono

soprattutto l’atleta anziano o gli ex sportivi.

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Le rotture avvengono quindi generalmente in tendini le cui proprietà

meccaniche sono già alterate e quindi e possono quindi verificarsi anche

per traumi di modesta entità.

Traumi anche particolarmente violenti possono comunque determinare

rotture tendinee acute complete anche in giovani atleti (fig. 7)

Figura 7: rottura completa del tendine rotuleo.

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3.2 CLASSIFICAZIONE DELLE LESIONI TENDINEE

LESIONI ATRAUMATICHE TENDINEE

Tra le lesioni atraumatiche tendinee distinguiamo patologie di natura

metabolica e patologie infiammatorie croniche.

Tra le patologie metaboliche si prenda ad esempio la insufficienza renale

cronica.

Durante il corso della malattia avvengono numerose modificazioni

dell’equilibrio idrosalino che comporta una cattiva idratazione del tendine;

la presenza di osteopatia uremica, legata ad un cattivo metabolismo calcio-

fosforo può indurre sia la osteomalacia (riduzione del tono osseo senza

reazione metabolica) che alla osteodistrofia uremica legata

all’iperparatiroidismo secondario, entrambe comportano una diminuzione

della resistenza tendinea per fenomeni degenerativi ed una minore

resistenza per riduzione delle forze dell’inserzione osteo-tendinea.

La degenerazione tendinea è anche indotta da uso di antibiotici,

chinolonici, associati a uno sforzo eccessivo nei pazienti sani o per minimo

sforzo nei soggetti affetti da patologie croniche.

Caratteristica comune è la difficoltà allo scorrimento del tendine nella

propria guaina che all’inizio causa esclusivamente dolore ma che nel tempo

può dare luogo a a fenomeni di scatto sino al completo blocco articolare.

La diagnosi di questi pazienti può essere molto difficoltosa per la gravità

del quadro e per la scarsità dei sintomi ma va comunque sempre sospettata

di fronte ad una deformità del tessuto colpito.

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LESIONI TRAUMATICHE TENDINEE

Le lesioni traumatiche tendine si distinguono in:

1. Rotture:

- complete (3° grado)

- parziali (1° e 2° grado)

2. Sindromi da sovraccarico:

- tendiniti

- tendinopatie inserzionali

- tenosinoviti

- tendinosi

ROTTURE

La rottura tendinea avviene spesso in un tendine degenerato, ed è frequente

soprattutto negli atleti.

La rottura tendinea avviene spesso in un tendine degenerato ed è frequente

soprattutto negli atleti più anziani, (dopo i 35 anni), che riprendono l'attività

sportiva dopo qualche anno di inattività; ma anche nei non atleti, talvolta

per un brusco movimento.

Tra gli sport, quelli più a rischio sono: tennis, pallamano, basket, rugby,

calcio, football americano, salto in alto e in lungo.

Le lesioni da sovraccarico, tipiche dello sport, sono causate da movimenti

eccessivamente ripetuti (microtraumi), o attuati con troppa intensità.

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29

Possono essere causate da fattori intrinseci (difetti nella lunghezza o

angolazione degli arti, squilibri posturali), o estrinseci (errori di

allenamento, attrezzature e/o attrezzi sportivi non idonei).

SINDROMI DA SOVRACCARICO

Tendiniti: viene definita tendinite una reazione infiammatoria dolorosa del

tendine con paziale degenerazione del tessuto.

Si manifesta con insorgenza del dolore in maniera acuta oppure

gradualmente, con algia sempre più forte; generalmente il dolore non è

presente a riposo anche se in alcune situazioni i dolori compaiono il giorno

seguente l’attività e possono scomparire con il riscaldamento ma

ricomparire alla palpazione del tendine.

Tendinopatie inserzionali: nelle tendinopatie inserzionali (tenoperiostiti),

invece, il dolore si presenta caratteristicamente alla giunzione tra tendine e

osso,è molto forte e tende a cronicizzare .

Si denota un’impotenza funzionale del segmento scheletrico colpito,

ipotrofia da non uso del gruppo muscolare interessato, fino ad una vera e

propria rottura traumatica.

Il trattamento prevede un approccio conservativo.

Vi concorrono vari fattori: fattori esogeni quali l’uso di attrezzi inadatti,

abbigliamento difettoso, piste e superfici di gioco sintetiche ecc.; fattori

endogeni quali carichi elevati in soggetti insufficientemente allenati o

squilibri muscolari per imperfetta esecuzione del gesto atletico.

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30

I sintomi dolorosi sono piuttosto modesti, al pari della palpazione che

rileva un tendine ispessito, che consente di individuare le irregolarità

marginali sotto forma di noduli ed ispessimenti circoscritti, e che da in

genere un modesto dolore.

Sono caratterizzate da tumefazione locale,dolore evocabile alle manovre di

contrazione muscolare attiva contro resistenza e, nelle forme fibrinose, da

crepito locale.

I dolori persistono nel punto di inserzione anche a riposo ma soprattutto

dopo attività intense e prolungate.

Il miglior trattamento in questo caso è il riposo (10-15 giorni) e, se

necessario, immobilizzazione parziale in scarico.

Tenosinoviti: nei tendini muniti di guaina sinoviale (membrana che avvolge

il tendine), come quelle dei muscoli flessori ed estensori delle dita delle

mani e dei piedi, si sviluppa una tenosinovite, che è appunto

un’infiammazione che coinvolge le guaine sinoviali.

Può essere provocata da un trauma o dall’ impianto di batteri.

Nel primo caso si tratta generalmente di traumi lievi, ripetuti per un lungo

periodo di tempo, caratteristici appunto di alcuni sport agonistici. Questi

piccoli traumi provocano lievi danni, che però non possono guarire,

mancando il necessario riposo, e quindi si accumulano.

L’infiammazione rende le guaine dei tendini rugose e irregolari, oppure

dure, spesso con la formazione di un nodulo.

La malattia è caratterizzata solitamente da dolore lieve, da riduzione dei

movimenti della regione colpita, e in alcuni casi dal blocco improvviso del

tendine durante il movimento.

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31

Le forme di tenosinoviti infettive, sono dovute perlopiù a streptococco,

quasi sempre, il batterio, raggiunge il tendine in seguito ad una ferita

profonda , più raramente proveniente da un’infezione vicina.

I sintomi sono dati da dolore intenso, spesso di tipo pulsante, gonfiore e

arrossamento lungo il tendine colpito e impossibilità di movimento.

La terapia è generalmente antibiotica.

Tendinosi: sono caratterizzate da processi degenerativi del tessuto tendineo

che appare ormai degenerato, e alterato nelle sue caratteristiche istologiche

e strutturali presentando aree più o meno estese di degenerazione e

calcificazioni, nonché piccole aree di necrosi che intaccano le qualità di

resistenza meccanica del ventre tendineo.

Il tendine appare chiaramente modificato ed irregolare ma i sintomi

dolorosi sono modesti.

Questo tipo di patologia tendinea è piuttosto frequente in chi pratica sport

essendo spesso causa di rotture sottocutanee.

Nei casi, fortunatamente non frequenti, di insuccesso della terapia

conservativa si può ricorrere al trattamento chirurgico allo scopo da un lato

di eliminare i tessuti degenerativi, esempio calcificazioni o borsiti sierose e

dall’altro di stimolare una rivascolarizzazione del tessuto danneggiato.

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32

4. IL TENDINE ROTULEO

4.1 GENERALIA’

Il tendine rotuleo collega la rotula alla tibia e decorre longitudinalmente in

posizione centrale alla rotula (fig.8).

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33

E’ un tendine dalla forma piatta, molto resistente lungo circa 8 cm, largo

3,5- 4 cm.

È facilmente individuabile nello spazio sotto la rotula e sopra la testa della

tibia.

Converge medialmente e lateralmente con il retinacolo prossimale degli

estensori fino alla propria inserzione sul tubercolo tibiale. Questo rapporto

è importante in quanto una rottura del tendine di solito coinvolge anche il

retina colo.

Figura 8.

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34

È formato dalle spesse fibre del tendine del retto femorale che attraverso la

superficie anteriore della rotula.

La tensione massima viene generata sul tendine durante l’estensione attiva

del ginocchio con l’articolazione a circa 60° di flessione.

È stato dimostrato che la tensione che si sviluppa sul tendine è molto

maggiore alla sua inserzione ossea che nel decorso del tendine. Anche la

rigidità della fibra di collagene si riduce in queste zone periferiche. Tali

differenze nella trasmissione delle forze possono spiegare perché le rotture

avvengono piu’ comunemente vicino all’inserzione prossimale che lungo il

tendine.

È diventato tristemente famoso per il caso Ronaldo (rottura), anche se fra i

runner esistono molti casi di tendinite del rotuleo.

Essendo un tendine molto robusto (tant'è che il terzo centrale del rotuleo

può essere impiegato come neolegamento nella ricostruzione del legamento

crociato anteriore) è importante capire che alla base delle sue patologie c'è

sempre un errore dell'atleta. Infatti la corsa non è particolarmente

traumatica per il rotuleo (a differenza del tendine d'Achille).

Lo può diventare però nei casi in cui l’atleta corre in sovrappeso oppure

abbina la corsa a sport elastici a connotazione esplosiva come basket,

pallavolo o calcio su superfici sintetiche.

In questo caso la corsa predispone a praticare l'altro sport in condizioni di

stanchezza muscolare con conseguente superlavoro del tendine rotuleo nei

gesti in cui si richiede molta elasticità.

Anche un allenamento di tipo eccentrico (corsa in discesa, discesa dalle

scale) può provocare un sovraccarico del tendine durante l’azione frenante.

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35

Le ipersollecitazioni che derivano da questo tipo d'attività sportive

costituiscono senza dubbio una delle cause principali dell'insorgenza della

patologia, ma la determinazione del meccanismo responsabile della lesione

resta comunque un argomento abbastanza controverso.

Le alterazioni di tipo degenerativo a carico del tendine rotuleo, infatti,

costituiscono senza dubbio un'importante causa predisponente, inoltre

occorre considerare anche come possibile causa il conflitto tra il polo

distale della rotula e il tendine stesso durante il movimento di flessione

della gamba.

In effetti, molte lesioni del tendine rotuleo sono localizzate sulla faccia

posteriore del suo tratto prossimale, a conferma dell'importanza che il

conflitto tra tendine e rotula può rivestire in questo tipo di lesione (fig.9 ).

Figura 9.

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36

La cronaca sistematicamente segnala la difficoltà al recupero e le frequenti

recidive per quegli atleti che accusano dolori, tendinopatie, complicanze

meniscali non traumatiche, dove anche una eventuale e minima riduzione

della funzionalità legamentosa non giustifica assolutamente i sintomi

accusati: esiste una ragione ben specifica, non necessariamente collegabile

alla pura sofferenza da "overuse".

Attraverso un accurato studio che impiega il rigore di fisica e biomeccanica

è possibile interpretare in maniera inconfutabile quali sono le reali cause

che portano il ginocchio a questo tipo di problematiche.

Il tendine rotuleo presenta, in prossimità del sua giunzione ossea con la

tuberosità tibiale, un angolo di inserzione: condizione permessa grazie al

ruolo della rotula e dei tessuti molli peri-rotulei (recessi sinoviali laterotulei

e corpuscolo adiposo di Hoffa) che, distanziando lo stesso tendine dal

piano osseo, creano la possibilità per questo inserimento angolato.

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37

Alcuni studi mediante RMN evidenziano un orientamento delle fibre

tendinee fino a 55° rispetto all'asse diafisario tibiale.

Ma qual è il beneficio di tale particolarità?

Attraverso la scomposizione vettoriale della forza applicata sulla tibia dal

tendine rotuleo, si ottengono due componenti:

fm è la componente che genera il movimento estensorio durante la

contrazione del quadricipite;

fc è la componente che agisce in senso compressivo

sull'articolazione, senza azione nella dinamica del gesto.

In sintesi, quanto più l'angolo di inserzione si riduce, tanto più aumenta la

componente fc, con conseguente incremento delle sollecitazioni in

compressione articolare e logica riduzione del vantaggio nel produrre il

movimento estensorio.

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38

Da non trascurare è anche l'effetto logorante sulle stesse fibre del tendine:

se la forza generata dal quadricipite e applicata dal tendine rotuleo viene

dispersa per la maggior parte in senso compressivo (caso 3 nella tabella

sopra), lo smorzamento sarà inferiore per cui l'usura delle stesse fibre

tendinee aumenterà a dismisura fino a provocare la tendinite e la

conseguente definizione di "tendine debole".

Le conseguenze nel tempo di queste sollecitazioni, considerando la tipica

predisposizione del tessuto connettivo a perdere elasticità, portano la rotula

ad "abbassarsi" ed a lavorare più vicina ai condili femorali con la

conseguente riduzione dell'angolo di inserzione del tendine rotuleo.

Abbiamo già visto gli effetti sul tendine, ma vi saranno anche ripercussioni

per la cartilagine del comparto femoro-rotuleo, con la possibilità di

sviluppare una condropatia: partendo da uno spazio femoro-rotuleo ridotto

ogni sollecitazione imposta dal carico rotuleo troverà un'ammortizzazione

inferiore (impingement femoro-rotuleo).

Per comprendere quest'ultimo concetto è importante "proiettare" l'anatomia

nella dinamica: i recessi sinoviali laterorotulei hanno la capacità, per la

rotula, di comportarsi come una sospensione idraulica che perde

funzionalità quando il liquido sinoviale, proprio a causa dell' abbassamento,

sarà in altri comparti dell'articolazione.

Questo spiega chiaramente alcuni reperti clinici segnalati dalla valutazione

ecografica o dalla risonanza magnetica, fra cui anche il processo flogistico

localizzato spesso in prossimità del corpuscolo adiposo di Hoffa.

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39

Un altro meccanismo di rilievo che si crea con l'abbassamento rotuleo, è la

possibilità di determinare perturbazioni a quei sincronismi presenti nella

mobilità meniscale fino a indurne la lesione, soprattutto su base

degenerativa.

Poiché l'obbiettivo terapeutico è quello di ricreare le migliori condizioni di

funzionalità sull'apparato estensore del ginocchio, sarà fondamentale

ripristinare l'adeguata ripartizione delle sollecitazioni, sia dal punto di vista

articolare che tissutale.

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40

4.2 LESIONI DEL TENDINE ROTULEO

Nelle lesioni croniche si avrà un quadro sintomatologico dominato da

ricorrente dolore soprattutto nei movimenti articolari di flesso estensione e

durante gli sforzi di carico assiale ( accosciarsi o effettuare esercizi tipo

squat).

Alla digitopressione si evoca dolore lungo il tendine. Raramente si assiste a

tumefazioni o gonfiori locali. Tipica e’ la sintomatologia dolorosa che

compare dopo che il soggetto e’ rimasto a lungo seduto con il ginocchio

flesso. Spesso la tendinosi del rotuleo, sviluppa piccole calcificazioni nel

contesto inserzionale del tendine.

Nella lesione acuta del tendine si assiste ad un quadro di estrema

drammaticità il paziente avverte un crack accompagnato da violento dolore

e assoluta impotenza funzionale; i movimenti di flesso estensione sono

completamente aboliti, la rotula che in precedenza nella sua porzione

inferiore era ancorata al tendine, risale per alcuni centimetri uscendo dalla

sua sede naturale.

All’esame obiettivo il riscontro più importante è rappresentato

dall’impossibilita’ di estendere attivamente e completamente il ginocchio

contro gravità.

Nelle lesioni croniche ( tendinosi), la storia di insorgenza e la

sintomatologia riferita dal paziente, ci indirizza ad un quadro di sofferenza

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41

tendinea, poi attraverso una accurato esame obiettivo, si valuta il grado di

sofferenza e di funzionalità.

Utile il sostegno strumentale con un esame ecografico e di risonanza

magnetica. Nelle lesioni acute, la modalità del trauma, la sintomatologia

riferita e l’esame obiettivo da parte dello specialista, dirime ogni dubbio

sulla patologia; si prescrive comunque sempre un esame RM per valutare al

meglio l’entità del danno e per poter pianificare l’intervento chirurgico.

4.3 CLASSIFICAZIONE DELLE LESIONI DEL ROTULEO

Tendinopatia inserzionale del quadricipite e prossimale del

rotuleo

Questo tipo di tendinopatia è frequente in sportivi nei quali il massimo

sovraccarico funzionale si ha a livello del polo superiore od inferiore della

rotula.

Ogni sport ha un momento di massima sollecitazione tendinea; nella

pallacanestro e nella pallavolo il continuo impatto contro il suolo degli arti

inferiori atteggiati in semiflessione causa un forte stress al tendine; nella

corsa veloce è la partenza ad avere i suoi maggiori effetti negativi; nei

salti invece è il momento del distacco da terra; mentre nei lanci è la fase

del brusco arresto per non uscire fuori dalla pedana.

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42

In tutte queste discipline, e particolarmente nei momenti ricordati, si ha un

violento aumento delle sollecitazioni del quadricipite sulle inserzioni

rotulee.

L’interessamento maggiore dell’una o dell’altra inserzione varia in

funzione del grado di flessione in cui si viene a trovare il ginocchio al

momento della massima concentrazione quadricipitale.

Anche delle alterazioni della normale anatomia del meccanismo estensore

del ginocchio (disassiamenti rotulei ) possono aumentare ulteriormente il

sovraccarico funzionale.

Tendinopatia inserzionale del rotuleo

È caratterizzata da vivo dolore in corrispondenza dell’apice della rotula,

dolore che aumenta facendo contrarre il qudricipite con il ginocchio

semiflesso.

La sintomatologia dolorosa tende ad irradiarsi alle emirime articolari e

lungo i legamenti alari, ma alla palpazione il dolore si risveglia solo a

livello dell’apice della rotula.

L’esame radiografico può evidenziare fini calcificazioni tendinee o

irregolarità del contorno rotuleo, oppure esiti di osgood slatter o di

osteocondrosi dell’apice della rotula.

Tendinopatia inserzionale quadricipitale

Nella tendinopatia inserzionale quadricipitale il dolore e’ tipicamente

riferito alla base della rotula con irradiazione lungo il quadricipite.

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43

La tendinopatia inserzionale va anche distinta dalla peritendinite con o

senza tendinosi del rotuleo.

In questo caso il dolore e’ localizzato a livello del ventre tendineo che

appare aumentato di volume e più pastoso che di norma.

Rotture del tendine rotuleo

La rottura del tendine rotuleo è una lesione relativamente poco frequente,

che avviene soprattutto in pazienti di età inferiore a 40 anni durante lo

svolgimento di un gesto sportivo.

La maggior parte di queste lesioni è unilaterale, sebbene siano state

descritte rotture bilaterali nei pazienti con malattie sistemiche che

indeboliscono le strutture di collagene.

La rottura è causata sempre da una contrazione importante del quadricipite

contro una struttura fissa oppure da un improvviso aumento del carico sul

corpo del paziente contro un quadricipite che si sta contraendo attivamente.

Il comune denominatore in entrambe queste modalità di lesione è la

contrazione eccentrica del quadricipite con un allungamento del muscolo

durante la contrazione.

Una rottura acuta del tendine rotuleo avviene di solito dopo una

degenerazione del tendine di lunga data.

I reperti patologici comprendono la tendinopatia ipossica e calcifica, la

degenerazione mucoidale e la tendolipomatosi.

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44

I pazienti con disturbi sistemici preesistenti come il diabete mellito,

l’insufficienza renale cronica e altri disturbi autoimmuni possono andare

incontro a rotture tendinee durante attività non impegnative.

Queste rotture sono di solito bilaterali come conseguenza dell’ipostenia

generalizzata

del tessuto collagene.

Le rotture si possono avere anche dopo iniezioni di farmaci corticosteroidei

nel tendine oppure nelle sue vicinanze. Rotture del tendine rotuleo si

possono avere anche dopo interventi chirurgici che alterano il meccanismo

estensorio del ginocchio, come l’artroplastica totale del ginocchio o la

ricostruzione del LCA eseguite prelevando dal terzo medio del tendine

rotuleo.

In queste situazioni, la rottura non interrompe il processo rigenerativo, ma i

risultati

a lungo termine variano in conseguenza delle alterazioni dell’anatomia e

alla necessità di innesti ricostruttivi per ripristinare l’estensione del

ginocchio quando i tessuti locali sono deficitari.

Dopo una lesione acuta, il paziente di solito ha un importante emartro del

ginocchio e non riesce a caricare sull’arto leso.

Per lo più, l’estensione attiva del ginocchio risulta impossibile, in modo

particolare se la rottura coinvolge i retinacoli mediale e laterale.

Benché possibile, la flessione attiva del ginocchio è limitata per il dolore.

A livello della frattura si può palpare un solco e la rotula può sembrare

spostata prossimalmente a causa della tensione non bilanciata del

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45

quadricipite. Potrebbero esserci lesioni intrarticolari associate (come una

lesione del LCA) che devono

essere escluse.

Le radiografie abituali sono di solito l’unico esame strumentale necessario

per confermare la diagnosi di una rottura acuta. Occasionalmente, se la

lesione è stata causata da un’avulsione al tendine sono attaccati uno o più

frammenti ossei.

Anche l’ecografia ad alta risoluzione si è dimostrata efficace nel

confermare sia le rotture acute sia quelle croniche. Le immagini sagittali

ottenute con un trasduttore a vettore lineare permettono l’identificazione di

un’area confluente di ipoecogenicità, sinonimo di rottura completa. Le

lesioni croniche mettono in evidenza ispessimenti del tendine combinati

con una disorganizzazione del normale schema ecografico del tendine.

L’ecografia, sebbene economica e facile da effettuare, è operatore-

dipendente, il che determina livelli di accuratezza spesso differenti fra i

diversi istituti.

La RM si è dimostrata un eccellente, benché costoso, mezzo di valutazione

del meccanismo estensorio. Nelle rotture si nota la discontinuità del

tendine insieme alla fluttuazione del moncone del tendine e alla presenza di

emorragia nello spazio circostante.

Questa indagine strumentale è utile per valutare lesioni intrarticolari

associate del ginocchio.

Le rotture del tendine rotuleo sono state classificate in base alla posizione,

al tipo e alla cronicità della lesione, ma non esiste a oggi un sistema di

classificazione universalmente accettato.

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Il più ampiamente utilizzato è quello di Siwek e Rao (1981), che hanno

raggruppato le rotture in due categorie basate sull’intervallo fra la lesione e

la riparazione: immediata rispetto a ritardata (riparazione che avviene più

di 2 settimane dopo la lesione). Questo è l’unico sistema che vede correlato

significativamente il tipo di lesione alla modalità di trattamento

(riparazione primaria rispetto a ricostruzione del tendine) e l’esito finale.

In riabilitazione, la differenza fra i due tipi di lesione è più influenzata dal

metodo

di trattamento che dal tipo di rottura.

Per una buona funzionalità del meccanismo estensorio del ginocchio è

necessaria la riparazione chirurgica del tendine rotuleo rotto.

Per questa lesione non è previsto un trattamento conservativo.

La riparazione chirurgica deve essere eseguita il più presto possibile dopo

la lesione.

Sono state descritte molte tecniche di riparazione, ma il metodo più usato è

la semplice riparazione terminoterminale dei monconi, con o senza una

sutura circolare di rinforzo.

In presenza di una rottura cronica (più di 6 settimane), il riavvicinamento

dei monconi tendinei è spesso impossibile a causa della retrazione del

quadricipite e la risultante migrazione prossimale della rotula.

In questa situazione, sono necessari la trazione rotulea preoperatoria ed

esercizi di mobilizzazione passiva.

Sono molti gli interventi di ricostruzione che vengono eseguiti una volta

ristabilita la motilità del ginocchio: riparazione primaria unita

all’utilizzazione di autoinnesti prelevati dai tendini degli ischiocrurali o

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47

della fascia lata, fibre di carbonio inerte o riparazione con filo di sutura non

assorbibile e tessuti di alloinnesto dal tendine di achille o da un tendine

rotuleo intatto.

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4.4 APPROCCIO TERAPEUTICO

Terapia chirurgica: principi generali

Si procede al trattamento chirurgico dopo che quello conservativo risulta

inefficace dopo sei mesi, quando il dolore impedisce l’allenamento e la

conseguente attività sportiva portando ad infortuni collaterali e quando si è

in presenza di una rottura sottocutanea.

Scopo di ogni gesto chirurgico è quello di sfruttare gli effetti positivi del

tessuto cicatriziale quale processo ripartivo del tendine.

Le tecniche chirurgiche dipendono dalla severità della lesione, dalla

cronicità o meno della lesione, dalla qualità del tessuto residuo.

Le lesioni acute che interessano il corpo del tendine possono solitamente

essere trattate con delle suture dirette termino-terminali dopo evacuazione

dell’ematoma ed eliminazione del tessuto necrotico.

Nei casi di avulsione in cui il tendine è stato strappato dall’osso, questo

viene preparato e successivamente fissato il tendine con una sutura non

riassorbibile. In ogni caso è molto importante assicurare al tendine così

riparato, l’adeguata tensione preesistente al trauma, onde evitare una rotula

troppo alta o troppo bassa con conseguenti problemi biomeccanici e dolore

anteriore.

Nei casi con forte componente degenerativa che obbliga ad una

asportazione di parte del tendine e nei casi in cui non è possibile fare la

sutura diretta, può essere opportuno ribaltare il tendine quadricipitale o una

parte del muscolo steso per ovviare al difetto tendineo. In altri casi può

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essere invece necessario ricorrere ad un trapianto tendineo (solitamente

dalla fascia lata o dal semitendinoso).

Solitamente la riparazione deve essere effettuata nei giorni seguenti

all’infortunio perché un eventuale differimento rende tutto più difficile per

la comparsa di contratture e retrazioni cicatriziali del complesso estensore.

Il trattamento postoperatorio prevede immobilizzazione in apparecchio

gessato o tutore per 5-6 settimane.

In rapporto alla presunta validità della tenuta della sutura può essere

iniziata gradualmente e precocemente una mobilizzazione assistita in

flessione di 20°-30° , mai prima però delle due settimane.

Orientativamente può essere implementata la flessione di circa 30° ogni

due settimane. Il carico, parziale, può essere concesso fin dai primi giorni.

Può essere molto utile nelle prime fasi la riabilitazione in acqua.

Il ritorno ad attività sportive avviene orientativamente dopo circa sei mesi

dall’infortunio.

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4.5 METODO TOPAZ MICRODEBIDER

È una tecnica semplice, veloce e miniinvasiva e utilizza le proprietà della

“coblation” (ablazione controllata). La elettrochirurgia con radiofrequenza

(RF) bipolare è ideale per il trattamento dei tessuti molli. Questo

dispositivo è costituito da un puntale con l’estremità della grandezza di una

punta di penna.

Si identifica e marca la zona sintomatica del tendine prima

dell’intervento,mentre il paziente è ancora sveglio.

Il paziente è in decubito. Si può eseguire una anestesia periferica o

generale.

Si utilizza una fascia ischemica e si esegue una piccola incisione,lunga

circa 3 cm sulla zona marcata (immagine A).

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Si seziona il peritenonio per esporre il tendine danneggiato.

Si collega il dispositivo al tubicino che fornisce la soluzione

salina,regolando il flusso salino a 2-3 gocce al secondo ( immagine B).

Si posiziona la punta del dispositivo sulla superficie del tendine

perpendicolarmente alla stessa e si eseguono delle applicazioni di 0,5 sec.

sopra e intorno al tendine danneggiato,ad una distanza di 0,6 cm,fino a

formare una schema a griglia (immagine D-E).

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Ogni 4 applicazioni,il dispositivo viene inserito sempre più

internamente,ad una profondità di circa 0,6 cm.

Poiché il dispositivo rilascia leggere irradiazioni di energia a

radiofrequenza (RF), vengono rimosse piccole quantità di tessuto.

Solitamente,la procedura TOPAZ dura meno di 20 minuti, dopodiché il

paziente è in grado di lasciare la clinica, appena svanisce l’effetto della

leggera anestesia.

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5.RIABILITAZIONE DOPO RIPARAZIONE

CHIRURGICA DELLA ROTTURA DEL TENDINE

ROTULEO

Una riabilitazione efficace dopo riparazione del tendine rotuleo richiede

l’integrazione dei concetti di guarigione tissutale e biomeccanica uniti al

rinforzo muscolare e a tecniche di condizionamento.

Per un recupero ottimale sono essenziali la mobilizzazione articolare

precoce, l’applicazione graduale di forze al tendine rotuleo, la

normalizzazione del movimento e un progressivo rinforzo del quadricipite.

Il programma ideale utilizza un approccio a più fasi che comprende

strategie di riabilitazione funzionale, per permettere il completo ritorno alle

attività della vita quotidiana e alle attività sportive.

Il protocollo seguente è disegnato per la riabilitazione di una riparazione

tendinea acuta e unilaterale (tab.1)

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Tabella 1.

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Tabella 2.

Termine della riabilitazione

La riabilitazione termina quando il paziente ha raggiunto il completo ROM

articolare e una forza alla valutazione isocinetica pari all’85-90% dell’arto

inferiore controlaterale.

La ripresa dell’attività sportiva strenua è proibita per 4-6 mesi.

Oltre al test isocinetico, prima di ritornare all’attività agonistica si

consiglia una valutazione funzionale delle prestazioni degli arti inferiori.

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60

Il test di distanza del salto su un solo arto dovrebbe essere incluso come

modalità per confrontare la capacità funzionale dei due arti inferiori e

confermare la possibilità di ritornare all’attività precedente.

Prima di ritornare all’attività sportiva, un atleta deve mostrare di essere in

possesso di uno schema di movimento simmetrico e di un normale

allineamento in statica.

5.1 RIABILITAZIONE DOPO TRATTAMENTO

CONSERVATIVO DELLA TENDINITE ROTULEA

Principi di riabilitazione

Le strategie riabilitative possono seguire uno dei due seguenti approcci, dal

momento che il ginocchio evolve verso un’infiammazione cronica.

Si può scegliere di usare, per ridurre l’infiammazione, le tecniche

tradizionali che includono riposo, gli antiinfiammatori, il ghiaccio e gli

ultrasuoni.

L’altro approccio più aggressivo consiste nella tecnica del massaggio

trasverso, con lo scopo di accentuare il processo antiinfiammatorio acuto,

affinché il processo di guarigione non presenti una lunga stasi in fase

infiammatoria e vada verso la fase di riparazione fibroblastica.

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La tecnica comprende 5-7 minuti di frizioni al polo inferiore della rotula in

una direzione perpendicolare rispetto quella delle fibre tendinee, tutti i

giorni per circa una settimana.

Durante questo periodo devono essere evitate tutte le metodiche che

riducono l’infiammazione.

Se il dolore non diminuisce dopo 4-5 giorni, è improbabile che questa

tecnica risolva il problema.

Programma di riabilitazione

Per i pazienti con tendinopatia e senza rottura può essere indicato un

trattamento conservativo con antinfiammatori, riposo, arto in elevazione,

ghiaccio, bendaggi compressivi.

Quando il problema inizia a risolversi, l’atleta deve effettuare un accurato

riscaldamento prima di intraprendere l’attività sportiva.

Inizialmente gli esercizi di corsa e salto devono essere limitati; inoltre in

questa fase il potenziamento del quadricipite è fondamentale.

Secondo Curwin e Stanish esercizi di tipo eccentrico sia per il quadricipite

che per gli estensori dell’anca stimolano la guarigione del tendine.

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Il programma riabilitativo è diviso in cinque fasi: riscaldamento, stretching,

piegamenti eccentrici, stretching, ghiaccio.

I piegamenti eccentrici, detti drop squat, sono seguiti con l’atleta che si

muove lentamente, da una posizione eretta a una posizione di squat e

ritorno alla posizione di partenza.

Per aumentare lo stress, si può incrementare la velocità di esecuzione

dell’esercizio fino a quando non compare un leggero dolore.

L’obbiettivo è di seguire 3 serie di dieci ripetizioni ad una velocità che

causa un lieve dolore all’ultima serie.

La presenza del lieve dolore è indice di un moderato stress.

Jensen e Di Fabio hanno proposto di trattare la tendinite rotulea con un

programma di esercizi isocinetici eccentrici per il quadricipite.

Il programma inizia con sei serie di cinque ripetizioni alla velocità di 30° al

secondo, tre volte alla settimana; si prosegue per otto settimane eseguendo

quattro serie di cinque ripetizioni ognuna alla velocità di 30-50-70° al

secondo.

All’inizio e al termine di ogni sezione di lavoro si effettuano esercizi

intensi di stretching del quadricipite e dei muscoli posteriori della coscia.

Le iniezioni di cortisonici a livello del tendine rotuleo per ridurre

l’infiammazione non sono consigliate, perché possono indebolire il tendine

e aumentare la possibilità di una rottura tendinea.

Criteri per il ritorno all’attività sportiva

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L’atleta può tornare alla completa attività quando il dolore raggiunge livelli

tali da permettergli di saltare e correre senza che si verifichi gonfiore o

esacerbazione del dolore al termine della seduta.

Il quadricipite deve possedere una forza muscolare paragonabile a quello

del contro laterale.

CONCLUSIONI

Dopo aver descritto le cause delle varie forme di tendinopatia rotulea

possiamo avviarci alla conclusione considerando come risulti evidente che

la scelta di un’appropriato protocollo riabilitativo costituisca il mezzo più

efficace per un tempestivo ritorno all’attività agonistica; e che una costante

e regolare attività fisica determini un rafforzamento della struttura tendinea

poiché molto sensibile alle sollecitazioni dovute all’esercizio.

Come in farmacologia per somministrare un farmaco è fondamentale

l’esatta individualizzazione della patologia e la stadi azione della malattia,

cosi al riconosciuto generale beneficio che l’attività fisica provoca, deve

corrispondere una valutazione clinico-riabilitativa che stabilisca

esattamente il tipo di attività, la durata e l’intensità adatta caso per caso.

Occorre perciò individuare tutti gli elementi di partenza mediante

un’analisi dettagliata dei sintomi, un’attenta raccolta dell’anamnesi, in

modo da procedere alla scelta del più adeguato protocollo riabilitativo da

svolgere.

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Stabilire se la causa del dolore al ginocchio sia stata una lesione acuta o

traumatica, oppure se abbia avuto un inizio subdolo o non traumatico aiuta

a discriminare fra le diverse eziologie ( ad esempio dilacerazione parziale

del tendine rispetto a origine infiammatoria) con conseguente terapia da

seguire.

Mai sottovalutare una tendinite soprattutto se tende a durare a lungo e se

l’esame ecografico dimostra una degenerazione della struttura fibrillare del

tendine di grado elevato.

Il trattamento anche nei casi più lievi deve essere condotto con rigore, per

evitare la cronicizzazione del fenomeno, o , ancor peggio, la rottura delle

fibre, evento catastrofico e molto temuto in ambito sportivo.

La vera cura della tendinite è la sua prevenzione evitando sovraccarichi.

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