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L a fotografia scattata un anno fa dallo speciale di Sbilan- ciamo l’Europa sull’alba del renzismo si rivela perfetta- mente a fuoco ancor oggi, in quello che potremmo defi- nire il meriggio del renzismo. Non certo grande come quello dello Zarathustra di Nietzsche, ma, allo stesso modo, capace di mostrare le cose senz’ombre e per questo «rivelatore dell’enigma dell’eterno presente». S’individuavano allora i suoi tratti di continuità con il doro- teismo democristiano, con l’aziendalismo mediatico berlu- sconiano e con l’affabulazione post-socialista e neo-liberista blairiana. Si mostrava il carattere sostanzialmente conserva- tore, se non reazionario, della sua rete sociale di riferimento (di blocchi sociali non si può più parlare nella nostra società liquida), collocato prevalentemente sul versante del privile- gio, cioè di chi nel generale declino sociale conta di salvarsi, grazie a protezioni, giochi finanziari e posizioni di rendita. So- prattutto si denunciava l’internità del suo progetto all’agen- da liberista della finanza internazionale e della cupola che do- mina l’Europa, mascherata sotto una retorica tribunizia da palingenesi totale. Un novum, nel panorama antropologi- co-politico, che permetteva fin da allora di parlare dell’aper- tura di una nuova fase, segnata da uno stile di governo ormai pienamente post-democratico (e sostanzialmente a-demo- cratico). Ed è proprio questo elemento che si è drammaticamente confermato, fino ad assumere carattere dominante, nell’an- no di governo che ci sta alle spalle. Sia le cosiddette riforme istituzionali sbozzate con la scure dei colpi di mano parla- mentari, sia quelle sociali (meglio sarebbe chiamarle anti-so- ciali) come il decreto Poletti e il Jobs Act, ma anche il decreto Sblocca Italia ricalcano, in forma imbarazzante, le linee gui- da della Troika, senza neppure uno scostamento di maniera. CONTINUA |PAGINA II Sbilanciamo l'Europa .BSDP 3FWFMMJ Un anno di renzismo ha lasciato il segno, in negativo: Parlamento esautorato, controriforma del lavoro, nessun cambio di marcia rispetto alle politiche di austerità europee. In assoluta continuità con i precedenti governi Monti e Letta (VHMJFMNP 3BHP[[JOP RenzItaly «Le repubbliche irresolute non pi- gliano mai partiti buoni se non per forza, perché la debolezza lo- ro non le lascia mai deliberare do- ve è alcun dubbio; e se quel dub- bio non è cancellato da una vio- lenza che le sospinga, stanno sem- pre mal sospese». Il Principe di Niccolò Machiavelli ritrae un di- sordine che ritroviamo nell’attua- le governo italiano. Al primo an- nuncio della presenza in Libia di uomini del Califfato (ma quanti gruppi banditeschi si coprono sot- to il Califfato?), il nostro governo ha parlato di intervento militare, più o meno sotto l’ombrello dell’Onu. Il ministro della difesa ha dichiarato che erano pronti 5.000 soldati. Pensate: 5.000 sol- dati in un paese grande più di quattro volte l’Italia e dove, anco- ra negli anni ’20 contro «i ribelli» (cioè i patrioti libici) il generale Graziani dovette combattere a lungo con impiccagioni a catena a più di dieci anni dalla conqui- sta della Libia nel 1911. Ora Matteo Renzi e i suoi mini- stri si sono un po’ calmati e han- no fatto marcia indietro: per la guerra bisogna aspettare, anche se Alfano continua a chiedere l’in- tervento urgente dei nostri solda- ti. E vale ricordare che il guaio li- bico – come oggi gli storici confer- mano – cominciò con la sciagura- ta guerra per abbattere Gheddafi, fino al giorno prima accolto e ri- coperto di onori nella Francia di Sarkozy e nell’Italia di Berlusco- ni. La tentazione di Renzi era di met- tersi alla testa di un’offensiva mi- litare che lo avrebbe proiettato tra i grandi d’Europa, e non più relegato con i meridionali spa- gnoli e greci. Perché per Matteo Renzi - e il suo ego - il duo Hollan- de-Merkel è intollerabile. Quale migliore occasione che mettersi l’elmetto e intervenire in Libia per poi sedersi al tavolo magari anche con Obama? Per nostra for- tuna ha poi dovuto cambiare idea in tutta fretta, pressato dai troppi fronti aperti sul piano in- terno – riforme da approvare, eco- nomia che non riparte, Europa in pezzi . Ma intanto ha fatto ap- provare nella riforma della Costi- tuzione la possibilità di dichiara- re guerra con appena la maggio- ranza assoluta della Camera - che gli verrebbe dal premio di maggioranza di chi ha il 40% dei voti. La tentazione dell’interven- to africano rimane. SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO VENERDÌ 20 FEBBRAIO 2015 WWW.SBILANCIAMOCI.INFO - N°54 I n Italia la sinistra è solitamente una minoranza e deve fare delle al- leanze per governare. Gli ultimi go- verni di Romano Prodi, tra il 2006 e il 2008 sono la drammatica prova. Essi hanno mostrato come le alleanze parti- tiche siano difficili da reggere, e in ge- nere insufficienti, anche per interventi di potentati esterni, nonché improvvi- sazioni, veri e propri tradimenti, ambi- zioni, rivalità personali. Da decenni, per risolvere l’imbarazzante questio- ne, la sinistra, tramontata la speranza di raggiungere una futura presa del po- tere o almeno la prospettiva una buo- na tenuta governativa con l’appoggio internazionale, ha cercato di allearsi con altre forze disponibili in campo: pubblico impiego, soprattutto inse- gnanti ed enti locali, sistema giudizia- rio, credito. Il grido di vittoria «abbia- mo una banca!» rintrona ancora. Man- cavano due anni alla caduta di Leh- man Brothers e all’apertura della crisi bancaria internazionale. Non era dun- que una sinistra così litigiosa e disinfor- mata a offrire spazi a un giovane pieno di ambizioni. Occorreva girarle intor- no, o bypassarla, come dicono non so- lo gli appassionati di calcio. Per farla breve, il problema di Mat- teo Renzi, una volta arrivato al gover- no, («Renzismo in arrivo», Sbilancia- moci.info, 21 febbraio 2014) è stato quello di puntellare questo castello di carte; la soluzione quella di attribuirsi il mazzo intero («Renzismo alla prova», Sbilanciamoci.info, 4 luglio 2014), so- prattutto con la ripetuta minaccia di farlo crollare, rivolta ai possibili antago- nisti. Con rapide mosse, il nostro Nu- mero Uno cambia la natura della politi- ca, si intesta l’eredità del berlusconi- smo, pratica un populismo dall’alto e vince le elezioni europee. La tattica è spiegata con grande acume da Marco Revelli nel suo articolo qui a fianco. I quadri storici del partito democrati- co, sopravvissuti a non meno di quat- tro successivi terremoti, sono per sem- pre rottamati, per riprendere una genti- le immagine. Se ne salva uno che appa- re innocuo agli occhi del Numero Uno. Portarlo al Quirinale in modo impreve- dibile – il top della politica renziana – serve per colpire l’invadente “ala de- stra” della coalizione di fatto e zittire i mugugni di sinistra. Rottamando e pre- miando, il Numero Unico ottiene il consenso di tutti coloro che sono rima- sti ai margini. Anche se i suoi risultati economici, come mostra Leopoldo Na- scia e il suo grafico nella pagina se- guente, sono indistinguibili da quelli dei governi che l’hanno preceduto: la depressione non accenna a finire, ma l’importante è parlare d’altro, accelera- re con gli annunci del nuovo che avan- za, spiegati da Carlo Donolo più avan- ti. Senza la pretesa di scoprire i trucchi di un gioco troppo ben riuscito è da se- gnalare la nascita del partito unico – ne parla Francesco Ciafaloni - una vol- ta fatta a pezzi e assorbita Scelta civica. Il partito unico, la tanto attesa destra moderna, liberal-liberista, vicinissima alla finanza e confindustriale in econo- mia, è finalmente in grado di assestare colpi decisivi ai lavoratori organizzati; come dimostrano la caduta dell’artico- lo 18, la legislazione intera di Giuliano Poletti, gli ottanta euro, e più in genera- le la politica dei voucher, il Jobs act del- le ultime settimane. Inoltre cosa è que- sta critica al semestre italiano? L’Italia è un grande paese; tutti devono inchi- narsi e ammettere che Lady Pesc è no- strana. Quanto poi alla politica econo- mica, la scelta di classe non è forse sta- ta confermata a livello europeo? La Grecia ha avuto perfino la sua cravat- ta. Se la leghi al collo e poi ne faccia ciò che vuole. Il numero unico 7BMFOUJOP 1BSMBUP

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Supplemeto economico de Sbilanciamo l'economia del 20-02-15

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Page 1: 54Sbilanciamo_l_Europa_20_02_2015 (1)

Lafotografia scattata un anno fa dallo speciale di Sbilan-ciamo l’Europa sull’alba del renzismo si rivela perfetta-mente a fuoco ancor oggi, in quello chepotremmodefi-

nire il meriggio del renzismo. Non certo grande come quellodello Zarathustra di Nietzsche, ma, allo stesso modo, capacedi mostrare le cose senz’ombre e per questo «rivelatoredell’enigma dell’eterno presente».

S’individuavano allora i suoi tratti di continuità con il doro-teismo democristiano, con l’aziendalismo mediatico berlu-sconiano e con l’affabulazione post-socialista e neo-liberistablairiana. Si mostrava il carattere sostanzialmente conserva-tore, se non reazionario, della sua rete sociale di riferimento

(di blocchi sociali non si può più parlare nella nostra societàliquida), collocato prevalentemente sul versante del privile-gio, cioè di chi nel generale declino sociale conta di salvarsi,grazie a protezioni, giochi finanziari e posizioni di rendita. So-prattutto si denunciava l’internità del suo progetto all’agen-da liberista della finanza internazionale e della cupola che do-mina l’Europa, mascherata sotto una retorica tribunizia dapalingenesi totale. Un novum, nel panorama antropologi-co-politico, che permetteva fin da allora di parlare dell’aper-

tura di una nuova fase, segnata da uno stile di governo ormaipienamente post-democratico (e sostanzialmente a-demo-cratico).

Ed è proprio questo elemento che si è drammaticamenteconfermato, fino ad assumere carattere dominante, nell’an-no di governo che ci sta alle spalle. Sia le cosiddette riformeistituzionali sbozzate con la scure dei colpi di mano parla-mentari, sia quelle sociali (meglio sarebbe chiamarle anti-so-ciali) come il decreto Poletti e il Jobs Act, ma anche il decretoSblocca Italia ricalcano, in forma imbarazzante, le linee gui-da della Troika, senza neppure uno scostamento di maniera. CONTINUA |PAGINA II

Sbilanciamo l'Europa

MarcP ReveMMi

Un anno di renzismo ha lasciato il segno, in negativo: Parlamento esautorato,controriforma del lavoro, nessun cambio di marcia rispetto alle politichedi austerità europee. In assoluta continuità con i precedenti governi Monti e Letta

GVgMieMmP RagPzzinP

RenzItaly

«Le repubbliche irresolute nonpi-gliano mai partiti buoni se nonper forza, perché la debolezza lo-ronon le lasciamai deliberare do-ve è alcun dubbio; e se quel dub-bio non è cancellato da una vio-lenza che le sospinga, stanno sem-pre mal sospese». Il Principe diNiccolò Machiavelli ritrae un di-sordine che ritroviamonell’attua-le governo italiano. Al primo an-nuncio della presenza in Libia diuomini del Califfato (ma quantigruppi banditeschi si coprono sot-

to il Califfato?), il nostro governoha parlato di interventomilitare,più o meno sotto l’ombrellodell’Onu. Il ministro della difesaha dichiarato che erano pronti5.000 soldati. Pensate: 5.000 sol-dati in un paese grande più diquattro volte l’Italia e dove, anco-ra negli anni ’20 contro «i ribelli»(cioè i patrioti libici) il generaleGraziani dovette combattere alungo con impiccagioni a catenaa più di dieci anni dalla conqui-sta della Libia nel 1911.

Ora Matteo Renzi e i suoi mini-stri si sono un po’ calmati e han-no fatto marcia indietro: per laguerra bisogna aspettare, anchese Alfano continuaa chiedere l’in-tervento urgente dei nostri solda-ti. E vale ricordare che il guaio li-bico – come oggi gli storici confer-mano – cominciò con la sciagura-ta guerra per abbattere Gheddafi,fino al giorno prima accolto e ri-coperto di onori nella Francia di

Sarkozy e nell’Italia di Berlusco-ni.La tentazione di Renzi era dimet-tersi alla testa di un’offensivami-litare che lo avrebbe proiettatotra i grandi d’Europa, e non piùrelegato con i meridionali spa-gnoli e greci. Perché per MatteoRenzi - e il suo ego - il duoHollan-de-Merkel è intollerabile. Qualemigliore occasione che mettersil’elmetto e intervenire in Libiaper poi sedersi al tavolo magarianche conObama? Per nostra for-

tuna ha poi dovuto cambiareidea in tutta fretta, pressato daitroppi fronti aperti sul piano in-terno – riforme daapprovare, eco-nomia che non riparte, Europain pezzi . Ma intanto ha fatto ap-provare nella riforma della Costi-tuzione la possibilità di dichiara-re guerra con appena la maggio-ranza assoluta della Camera -che gli verrebbe dal premio dimaggioranza di chi ha il 40% deivoti. La tentazione dell’interven-to africano rimane.

SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNOVENERDÌ 20 FEBBRAIO 2015 WWW.SBILANCIAMOCI.INFO - N°54

In Italia la sinistra è solitamenteunaminoranza e deve fare delle al-leanze per governare. Gli ultimi go-

verni di Romano Prodi, tra il 2006 e il2008 sono la drammatica prova. Essihannomostrato come le alleanze parti-tiche siano difficili da reggere, e in ge-nere insufficienti, anche per interventidi potentati esterni, nonché improvvi-sazioni, veri e propri tradimenti, ambi-zioni, rivalità personali. Da decenni,per risolvere l’imbarazzante questio-ne, la sinistra, tramontata la speranzadi raggiungere una futura presa del po-tere o almeno la prospettiva una buo-na tenuta governativa con l’appoggiointernazionale, ha cercato di allearsicon altre forze disponibili in campo:pubblico impiego, soprattutto inse-gnanti ed enti locali, sistema giudizia-rio, credito. Il grido di vittoria «abbia-mo una banca!» rintrona ancora.Man-cavano due anni alla caduta di Leh-man Brothers e all’apertura della crisibancaria internazionale. Non era dun-queuna sinistra così litigiosa edisinfor-mata a offrire spazi a un giovane pienodi ambizioni. Occorreva girarle intor-no, o bypassarla, come dicono non so-lo gli appassionati di calcio.

Per farla breve, il problema di Mat-teo Renzi, una volta arrivato al gover-no, («Renzismo in arrivo», Sbilancia-moci.info, 21 febbraio 2014) è statoquello di puntellare questo castello dicarte; la soluzione quella di attribuirsiilmazzo intero («Renzismo alla prova»,Sbilanciamoci.info, 4 luglio 2014), so-prattutto con la ripetuta minaccia difarlo crollare, rivolta ai possibili antago-nisti. Con rapide mosse, il nostro Nu-meroUno cambia la natura della politi-ca, si intesta l’eredità del berlusconi-smo, pratica un populismo dall’alto evince le elezioni europee. La tattica èspiegata con grande acume da MarcoRevelli nel suo articolo qui a fianco.

I quadri storici del partito democrati-co, sopravvissuti a non meno di quat-tro successivi terremoti, sono per sem-pre rottamati, per riprendere una genti-le immagine. Se ne salva uno che appa-re innocuo agli occhi delNumero Uno.Portarlo al Quirinale inmodo impreve-dibile – il top della politica renziana –serve per colpire l’invadente “ala de-stra” della coalizione di fatto e zittire imugugni di sinistra. Rottamando epre-miando, il Numero Unico ottiene ilconsenso di tutti coloro che sono rima-sti ai margini. Anche se i suoi risultatieconomici, comemostra LeopoldoNa-scia e il suo grafico nella pagina se-guente, sono indistinguibili da quellidei governi che l’hanno preceduto: ladepressione non accenna a finire, mal’importante è parlare d’altro, accelera-re con gli annunci del nuovo che avan-za, spiegati da Carlo Donolo più avan-ti.

Senza la pretesa di scoprire i trucchidi un gioco troppo ben riuscito è da se-gnalare la nascita del partito unico –ne parla Francesco Ciafaloni - una vol-ta fatta a pezzi e assorbita Scelta civica.Il partito unico, la tanto attesa destramoderna, liberal-liberista, vicinissimaalla finanza e confindustriale in econo-mia, è finalmente in grado di assestarecolpi decisivi ai lavoratori organizzati;comedimostrano la caduta dell’artico-lo 18, la legislazione intera di GiulianoPoletti, gli ottanta euro, e più in genera-le la politica dei voucher, il Jobs act del-le ultime settimane. Inoltre cosa è que-sta critica al semestre italiano? L’Italiaè un grande paese; tutti devono inchi-narsi e ammettere che Lady Pesc è no-strana. Quanto poi alla politica econo-mica, la scelta di classe non è forse sta-ta confermata a livello europeo? LaGrecia ha avuto perfino la sua cravat-ta. Se la leghi al collo e poi ne faccia ciòche vuole.

Il numerounico

VaMentinP ParMatP

Page 2: 54Sbilanciamo_l_Europa_20_02_2015 (1)

Marco ReveMMi

Riproducono, introiettate co-me proposte autonome, glistessi punti dei famigerati

Memorandum imposti, manu milita-ri dai Commissari europei, a paesicome la Grecia (che di quelle cure èsocialmente morta), ma anche co-me la Spagna (che si dice abbia i con-ti a posto ma una disoccupazione so-pra il 25%), come il Portogallo (14%di disoccupati, quasi il 50% di pres-sione fiscale), e come l’Irlanda (debi-to delle famiglie sopra il 200% del lo-ro reddito). Si chiamano privatizza-zioni, abbattimento del reddito e dei

diritti del lavoro, de-costruzione deisistemi di welfare, tassazione spieta-ta sulle fasce più basse, riduzione de-gli ammortizzatori sociali, riduzionedella Pubblica Amministrazione, li-mitazione della democrazia edell’autonomia delle assemblee rap-presentative, neutralizzazione deicorpi intermedi.

Il tutto coperto da una narrazioneroboante e rivendicativa, fatta di pu-gni sul tavolo, lotta alla casta e suarottamazione, caccia al gufo e apolo-gia della velocità, cambiamenti diverso e taglio delle gambe ai frenato-ri, denuncia dell’inefficienza degliorgani rappresentativi (Senatus ma-la bestia), attacco ai sindacati e in ge-nerale alle rappresentanze sociali. È,appunto, il populismo dall’alto. O il

populismo di governo: una delle peg-giori forme di populismo perchésomma la carica dissolvente di quel-lo dal basso con la potenza istituzio-nale della statualità. E piega il legitti-mo senso di ribellione delle vittimea fattore di legittimazione dei lorocarnefici. Non è difficile leggere, die-tro la struttura linguistica del discor-so renziano, le stesse immagini e glistessi stilemi dell’apocalittica grilli-na, l’enfasi da ultima spiaggia, la de-nuncia dei parassiti, la stigmatizza-zione dei partiti politici (compreso ilproprio), e lo stesso perentorio «ar-rendetevi» rivolto ai propri vecchicompagni diventati nemici interni.Simile, ma finalizzato, in questo ca-so, a una semplice sostituzione dileadership interna. A una sorta di ri-voluzione conservatrice.

Questo è stato Matteo Renzi inquest’anno di gestione del potere:

un populista istituzionale. Forsel’unica forma politica in grado dipermettere al programma antipopo-lare che costituisce il pensiero unicoal vertice dell’Europa di imporsi inun paese come l’Italia, nella crisi ge-nerale e conclamata delle forme tra-dizionali della politica (in particola-re della forma partito), e nel deficitverticale di fiducia nei confronti ditutte le istituzioni rappresentativenovecentesche. È stato lui il primoimprenditore politico che ha sceltodi quotare alla propria borsa quellacrisi: di trasformare da problema inrisorsa il male che consuma alla radi-ce il nostro sistema democratico.

Con un’operazione spregiudicata espericolata, che gli ha garantito fino-ra di galleggiare, giorno per giorno,sulle sabbie mobili di un sistema isti-tuzionale lesionato e di una situazio-ne economica sempre vicina al col-lasso, senza risolvere uno solo deiproblemi, alcuni incancrenendoli, al-tri rinviandoli sempre oltre il succes-sivo ostacolo. E comunque gestendo

il declino col piglio del broker (è lui,d’altra parte, che ha dichiarato sen-za vergognarsene che è stato il pri-mo a capire che l’Italia era un paesescalabile), pronto a uscire dall’inve-stimento un attimo prima del crolloin borsa. Novello funambolo – per ri-tornare alle metafore nietzschiane -in bilico sul filo. E la residua plateaelettorale a naso in su, di sotto, nel

mercato, incerta tra l’aspettativa del-la caduta e il timore che oltre quellasua siepe ci sia solo il buio.

È stato quel buio, finora, il suoprincipale alleato: la promessa-mi-naccia che «après moi le déluge».Dalla Grecia, a oriente, e dalla Spa-gna a occidente, arrivano ora lampidi luce, che potranno, nei prossimimesi, dissipare quel buio.

«C’è oggettivamente oggisull’Italia un grumo di con-nessioni internazionali, di-

nanzi al quale il governo non ha una ri-sposta. Su Renzi si sta esercitando unapressione molto forte, da parte dell’oli-gopolio finanziario, non più filtrata daNapolitano» (in quel momento dimis-sionario). Con queste parole Giulio Sa-pelli, docente di storia economicaall’Università di Milano, ha commenta-to a fine gennaio la riforma delle ban-che popolari – fortemente voluta anchedaBancad’Italia. Il decreto, che la Costi-tuzione vorrebbe motivato da criteri diurgenza («Abbiamo usato questo stru-mento perché volevamo dare un segna-le», è stata la spiegazione del ministrodell’economia Pier Carlo Padoan), pre-vede la trasformazione delle popolarida società cooperative a società perazioni, perdendo il principio di una te-sta, un voto e favorendo gli investitori

più grandi.A seguito dello scardinamento di un

principio che da decenni proteggeva ilsistema cooperativo, il valore dei titolidelle principali banche popolari quota-te a Piazza Affari è esploso. La Consob –autorità di controllo della Borsa guidatadall’ex Forza Italia Giuseppe Vegas –ora indaga sull’esistenza di un «circuitodell’informazione privilegiata» cheavrebbe garantito plusvalenze effettivee potenziali per almeno 10milioni di eu-ro in corrispondenza dell’annuncio diRenzi. Un’ipotesi di insider trading chevede in prima linea l’andamento di Ban-co Popolare (+14,9% nel solo 19 genna-io, contro unamedia del +8,5%per le al-tre quotate): secondo le ricostruzioni,trattando l’1% del capitale totale tra il 2e il 16 gennaio e chiudendo la posizionetra il 19 e il 23 gennaio, un intermedia-rio estero avrebbe guadagnato da solo3,5 milioni di euro.

Davide Serra, il finanziere vicinissimoaRenzi a capodel fondo londineseAlge-bris, è stato convocato a Roma dallaConsob dopo la notizia di una serie diinvestimenti di Algebris proprio su Ban-co Popolare e quella, categoricamentesmentita dall’interessato, di una riunio-ne londinese per coordinare investi-menti sulle banche cooperative italianein prossimità del decreto. Un imbaraz-zo che va ad aggiungersi a quello per lapresenza, tra le banche interessate daldecreto, della Popolare dell’Etruria e delLazio, il cui vice-presidente è Luigi Bo-schi – padre dell’omonimaministraMa-ria Elena, detentrice di un piccolo pac-chetto di azioni della stessa banca.

Questi episodi sono segnali che met-tono in luce il rapporto privilegiato delgoverno Renzi con la finanza privatanella sua versione più spregiudicata.Un’altra fonte d’informazione viene da-gli elenchi dei finanziatori della Fonda-zioneOpen, che ha pagato le campagneelettorali del premier fiorentino. Sonodisponibili i nomi dei donatori del 70%degli 1,9milioni di euro raccolti da Ren-zi.Un terzo del totale - oltre 600mila eu-ro - viene dai settori della finanza odell’immobiliare e solo 300mila euro so-no venuti da impresemanifatturiere.Ol-tre aDavide Serra (principale finanziato-re con 175 mila euro), l’elenco annove-ra l’ex presidente Fiat Paolo Fresco, al-cune fiduciarie, il salotto buonomilane-se (Carlo Micheli in testa) e quello fio-rentino. Le imprese quotate in borsache sono riconducibili direttamente oindirettamente ai finanziatori del pre-mier sono cinque: Acea, Terna, Sias, In-tesa San Paolo e Intek. Vediamo comesono andate le loro quotazioni. Dal 13febbraio 2014 (dimissioni del governoLetta) a metà gennaio 2015, queste im-prese hanno avuto ritorni di mercatoquasi 7 volte superiori agli altri titoliquotati a Piazza Affari, mentre nell’an-no precedente si muovevano insieme alresto del mercato. Il loro andamentoanormalenon significa tuttavia che il go-verno si sia adoperato attivamente perfavorire queste aziende, può rifletteresemplicemente il vantaggio di posizio-ne di queste imprese così vicine al pre-mier. Stessa storia per la Bancadell’Etruria, che nei 45 giorni successivialla nomina di Renzi a segretario del Pdha registrato un rendimento del 53%più alto rispetto a quello atteso.

A reggere queste relazioni privilegiatediMatteo Renzi con la finanza c’è l’ "uo-mo dei poteri forti" Marco Carrai, checon Alberto Bianchi (spedito da Renzi aEnel) e Luca Lotti (sottosegretario tutto-fare all’editoria) forma il nucleo centra-le del potere economico renziano. Attor-no a Carrai, che quando passa a Romaviene ospitato nell’ufficio dell’ex ammi-nistratore delegato di Telecom Bernabé– con il cui figlio è socio del fondo lus-semburghese Wadi Ventures –, c’è il co-lorato mondo dell’aristocrazia e dell’al-ta borghesia toscana: i Frescobaldi, gliAntinori, i Bassilicchi, LorenzoBini Sma-ghi e il cugino Jacopo Mazzei. Di quellicui, nei tempimigliori, venivano stacca-ti i cedolini della Banca Federico delVecchio, oggi controllata daBanca Etru-ria. Un miscuglio di nuovo e di vecchis-simo, che sa usare la politica per ripro-durre il privilegio.

twitter @NicoloCavalli

UNANARRAZIONEROBOANTE E RIVENDICATIVACHENASCONDEUN PROGRAMMAANTIPOPOLARE

Sette anni di crisi e tre anni emezzo di scossoni politici, colsusseguirsi dei governi Monti,

Letta e Renzi, non hanno tirato fuoril’Italia dalla depressione. Le politi-che di austerità imposte dall’Unioneeuropea sono rimaste la stella pola-re della nostra politica economica,una continuità più forte dei cambi aPalazzo Chigi. Nel grafico qui accan-to presentiamo un confronto tra i ri-sultati economici dei tre ultimi go-verni, che mostrano un Prodotto in-terno lordo in continua discesa: semettiamo a 100 il Pil alle dimissionidi Berlusconi, nel novembre 2011,ora siamo a 96 e la ripresa c’è solonei rosei dati di previsione per il2015, come c’era nelle altrettanto ro-see – e sbagliate – previsioni di tuttigli ultimi tre anni.

La situazione politica dei tre ultimigoverni è stata da un lato estrema-mente diversa – perMonti la burrasco-sa fine del ventennio berlusconiano,per Letta il convulso compromessodopo le elezioni che non hanno pro-dotto una maggioranza, per Renzi lapromessa di un nuovo che rottamavail passato. Ma d’altro lato l’orizzontepolitico è rimasto lo stesso: sempre go-verni di grande coalizione tra centro-destra e centrosinistra, e sempre l’au-sterità all’ordine del giorno.

Tre anni e mezzo fa ci sono statele dimissioni di Berlusconi – che ave-va fino all’ultimo negato l’esistenzadella crisi - e il governo Monti si tro-vava a gestire il momento più diffici-le: crisi dell’euro, contagio da Grecia

e Portogallo, spread alle stelle, politi-ca dettata da Bruxelles, Berlino eFrancoforte. I risultati sono stati ilcrollo del Pil, sceso del 3% nell’arcodel governo Monti, con la produzio-ne industriale crollata dell’8% e iconsumi delle famiglie del 7%, 32%in più di disoccupati, la spesa pub-blica che va in rosso e il rapporto de-bito/Pil che balza dal 116 al 126%.Da allora la depressione è calatasull’Italia. L’inarrestabile retromar-cia del Pil riporta il paese al livello direddito del 1999, esattamente comeavviene per la Grecia. La produzioneindustriale resta ferma sia con Lettache con Renzi e se la confrontiamocon il 2008, prima della crisi, la cadu-ta è di oltre il 20%. Tutti confidanonelle esportazioni, che crescono pe-rò di appena il 2% in tre anni e mez-zo, scontando la stagnazione dei pa-esi europei e la sempre più agguerri-ta concorrenza asiatica in molti set-tori del made in Italy.

Stessa storia per i consumi. La per-dita del 7% rispetto all’uscita di sce-na di Berlusconi si mantiene ancheai tempi di Letta e Renzi: gli “ottantaeuro” ai redditi più bassi fanno vince-re le elezioni euroee ma non aggiun-gono nulla alla domanda dell’econo-mia e alle tasche degli italiani.

Le conseguenze della depressionecolpiscono soprattutto il lavoro. Ilnumero di occupati con la crisi pre-cipita, la caduta più forte è sotto ilgoverno Monti, e la ripresa ora è mi-nima. I disoccupati in tre anni au-mentano di un milione – con Renzisiamo a 3,3 milioni di persone checercano lavoro senza trovarlo. An-che qui la continuità delle politiche

- della riforma Fornero al Jobs act –è implacabile: il lavoro sempre me-no costoso per le imprese, più flessi-bile e con sempre meno garanzie.Ma tutto questo ha avuto zero effettisulla crescita degli occupati. Al con-trario, esplodono i giovani che nonstudiano e non lavorano (tra i 15 e i24 anni), più 18% in tre anni e mez-zo, con un’accelerazione proprio sot-

to Matteo Renzi.Tutto questo lo si fa da tre anni e

mezzo in nome del risanamento deiconti pubblici e della riduzione deldebito pubblico. Ma la crisi dell’eu-ro e la depressione hanno peggiora-to i conti pubblici: durante i governiProdi prima della crisi la spesa pub-blica mostrava un avanzo primario –il saldo prima del pagamento degli

interessi sul debito. I conti sono sta-ti compromessi dalle politiche dispesa e riduzione delle tasse dell’ulti-mo governo Berlusconi, e il saldo pri-mario è diventato negativo con Mon-ti e Letta, fino al ritorno all’avanzograzie ai tagli di spesa di Matteo Ren-zi. Ma meno deficit non significa unminor peso del debito pubblico: ilrapporto debito/Pil è cresciuto sen-

za soste, in questi tre anni dal 116 al132%. Il debito italiano - dopo quel-lo tedesco il secondo a livello euro-peo per dimensioni - non ha piùuna dinamica esplosiva, anche gra-zie alla, ma la depressione ha aggra-vato il suo peso sull’economia.

I risultati del primo anno di gover-no Renzi non si scostano in misura si-gnificativa da quelli che – in condizio-ni internazionali più difficili – aveva-no ottenuto Monti e Letta. Ora abbia-mo una politica più generosa dellaBce e la riduzione degli spread, il de-prezzamento dell’euro e il calo delprezzo del petrolio, c’è stato anche ilsemestre europeo a guida italiana.Ma di tutto questo non c’è traccia neidati dell’economia italiana a un an-no dall’arrivo di Matteo Renzi. La de-pressione continua, l’austerità è lastessa del passato, le politiche – sul fi-sco, il lavoro, la produzione - non mu-tano di segno. Il cambio di retoricapuò ingannare, forse, solo fino a uncerto punto.

IM pPpuMiTUBiTUiUuziPnBMeCPNe iM DBpP deM gPveSnP geTUiTDe iM deDMinP iUBMiBnPe fB pBTTBSe MB DuSB dB DBvBMMP Ue TenzB.eNPSBnduN

Il «versatile» di Eric DekkerLe immagini di queste pagine sono di Eric Dekker, tratte da Niente di Remy Char-lip. Frutto della più sofisticata ricerca scientifica, Niente è versatile e polivalente.Ottimo come shampoo o dentifricio, è ideale per lavarsi il viso, ma anche per de-tergere il lavandino. Per la puzza ai piedi poi, Niente fa le scarpe a tutti. Modernoelisir, Niente guarisce mal di denti e reumatismi, emicrania e mal di pancia. Enon c’è nulla di meglio di Niente per colmare i vuoti della vita! Allegri e scanzona-ti, i suoi consigli per gli acquisti sono lo straordinario ritratto dell’anima del com-mercio. Niente.Niente, Orecchio acerbo 2007, 48 pagine, 10 eurowww.orecchioacerbo.com

NicoMò CavaMMi

VENERDÌ 20 FEBBRAIO 2015

SBILANCIAMO L'EUROPA

N°54 - PAGINA III

LeopoMdo Nascia

.PnUi, LeUUB e Renzi:USe gPveSni peS unB depSeTTiPneuniDB. NeM TegnP deMMB TSPiLBLB DPnUinuiUà neMMe pPMiUiDIe di BuTUeSiUà è TUBUB più fPSUe dei DBNCiB PBMBzzP CIigi. DBMMB DBDDiBUB di BeSMuTDPni UuUUi gMi indiDBUPSi eDPnPNiDiIBnnP TegnBUP un BSSeUSBNenUP. NPnPTUBnUe gMi PUUBnUB euSP in CuTUB pBgB

DAL 2011I DISOCCUPATISONOAUMENTATIDI UNMILIONE,LA PRODUZIONEINDUSTRIALE ÈRIMASTA FERMAE I CONSUMI SONODIMINUITI DEL 7%.LA SPESA PUBBLICAÈ PERENNEMENTEIN ROSSOE IL RAPPORTODEBITO/PIL È SALITODAL 116AL 126%IL FALLIMENTODELLE POLITICHEDI AUSTERITÀ

VENERDÌ 20 FEBBRAIO 2015

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I TBMPUUi CuPnivPUBnP.BUUePLB SifPSNB deMMe CBnDIe pPpPMBSi, iM SuPMPdeM finBnzieSe SeSSB e i TPUUPTDSiUUPSi deM pSeNieS

Page 3: 54Sbilanciamo_l_Europa_20_02_2015 (1)

Marco ReveMMi

Riproducono, introiettate co-me proposte autonome, glistessi punti dei famigerati

Memorandum imposti, manu milita-ri dai Commissari europei, a paesicome la Grecia (che di quelle cure èsocialmente morta), ma anche co-me la Spagna (che si dice abbia i con-ti a posto ma una disoccupazione so-pra il 25%), come il Portogallo (14%di disoccupati, quasi il 50% di pres-sione fiscale), e come l’Irlanda (debi-to delle famiglie sopra il 200% del lo-ro reddito). Si chiamano privatizza-zioni, abbattimento del reddito e dei

diritti del lavoro, de-costruzione deisistemi di welfare, tassazione spieta-ta sulle fasce più basse, riduzione de-gli ammortizzatori sociali, riduzionedella Pubblica Amministrazione, li-mitazione della democrazia edell’autonomia delle assemblee rap-presentative, neutralizzazione deicorpi intermedi.

Il tutto coperto da una narrazioneroboante e rivendicativa, fatta di pu-gni sul tavolo, lotta alla casta e suarottamazione, caccia al gufo e apolo-gia della velocità, cambiamenti diverso e taglio delle gambe ai frenato-ri, denuncia dell’inefficienza degliorgani rappresentativi (Senatus ma-la bestia), attacco ai sindacati e in ge-nerale alle rappresentanze sociali. È,appunto, il populismo dall’alto. O il

populismo di governo: una delle peg-giori forme di populismo perchésomma la carica dissolvente di quel-lo dal basso con la potenza istituzio-nale della statualità. E piega il legitti-mo senso di ribellione delle vittimea fattore di legittimazione dei lorocarnefici. Non è difficile leggere, die-tro la struttura linguistica del discor-so renziano, le stesse immagini e glistessi stilemi dell’apocalittica grilli-na, l’enfasi da ultima spiaggia, la de-nuncia dei parassiti, la stigmatizza-zione dei partiti politici (compreso ilproprio), e lo stesso perentorio «ar-rendetevi» rivolto ai propri vecchicompagni diventati nemici interni.Simile, ma finalizzato, in questo ca-so, a una semplice sostituzione dileadership interna. A una sorta di ri-voluzione conservatrice.

Questo è stato Matteo Renzi inquest’anno di gestione del potere:

un populista istituzionale. Forsel’unica forma politica in grado dipermettere al programma antipopo-lare che costituisce il pensiero unicoal vertice dell’Europa di imporsi inun paese come l’Italia, nella crisi ge-nerale e conclamata delle forme tra-dizionali della politica (in particola-re della forma partito), e nel deficitverticale di fiducia nei confronti ditutte le istituzioni rappresentativenovecentesche. È stato lui il primoimprenditore politico che ha sceltodi quotare alla propria borsa quellacrisi: di trasformare da problema inrisorsa il male che consuma alla radi-ce il nostro sistema democratico.

Con un’operazione spregiudicata espericolata, che gli ha garantito fino-ra di galleggiare, giorno per giorno,sulle sabbie mobili di un sistema isti-tuzionale lesionato e di una situazio-ne economica sempre vicina al col-lasso, senza risolvere uno solo deiproblemi, alcuni incancrenendoli, al-tri rinviandoli sempre oltre il succes-sivo ostacolo. E comunque gestendo

il declino col piglio del broker (è lui,d’altra parte, che ha dichiarato sen-za vergognarsene che è stato il pri-mo a capire che l’Italia era un paesescalabile), pronto a uscire dall’inve-stimento un attimo prima del crolloin borsa. Novello funambolo – per ri-tornare alle metafore nietzschiane -in bilico sul filo. E la residua plateaelettorale a naso in su, di sotto, nel

mercato, incerta tra l’aspettativa del-la caduta e il timore che oltre quellasua siepe ci sia solo il buio.

È stato quel buio, finora, il suoprincipale alleato: la promessa-mi-naccia che «après moi le déluge».Dalla Grecia, a oriente, e dalla Spa-gna a occidente, arrivano ora lampidi luce, che potranno, nei prossimimesi, dissipare quel buio.

«C’è oggettivamente oggisull’Italia un grumo di con-nessioni internazionali, di-

nanzi al quale il governo non ha una ri-sposta. Su Renzi si sta esercitando unapressione molto forte, da parte dell’oli-gopolio finanziario, non più filtrata daNapolitano» (in quel momento dimis-sionario). Con queste parole Giulio Sa-pelli, docente di storia economicaall’Università di Milano, ha commenta-to a fine gennaio la riforma delle ban-che popolari – fortemente voluta anchedaBancad’Italia. Il decreto, che la Costi-tuzione vorrebbe motivato da criteri diurgenza («Abbiamo usato questo stru-mento perché volevamo dare un segna-le», è stata la spiegazione del ministrodell’economia Pier Carlo Padoan), pre-vede la trasformazione delle popolarida società cooperative a società perazioni, perdendo il principio di una te-sta, un voto e favorendo gli investitori

più grandi.A seguito dello scardinamento di un

principio che da decenni proteggeva ilsistema cooperativo, il valore dei titolidelle principali banche popolari quota-te a Piazza Affari è esploso. La Consob –autorità di controllo della Borsa guidatadall’ex Forza Italia Giuseppe Vegas –ora indaga sull’esistenza di un «circuitodell’informazione privilegiata» cheavrebbe garantito plusvalenze effettivee potenziali per almeno 10milioni di eu-ro in corrispondenza dell’annuncio diRenzi. Un’ipotesi di insider trading chevede in prima linea l’andamento di Ban-co Popolare (+14,9% nel solo 19 genna-io, contro unamedia del +8,5%per le al-tre quotate): secondo le ricostruzioni,trattando l’1% del capitale totale tra il 2e il 16 gennaio e chiudendo la posizionetra il 19 e il 23 gennaio, un intermedia-rio estero avrebbe guadagnato da solo3,5 milioni di euro.

Davide Serra, il finanziere vicinissimoaRenzi a capodel fondo londineseAlge-bris, è stato convocato a Roma dallaConsob dopo la notizia di una serie diinvestimenti di Algebris proprio su Ban-co Popolare e quella, categoricamentesmentita dall’interessato, di una riunio-ne londinese per coordinare investi-menti sulle banche cooperative italianein prossimità del decreto. Un imbaraz-zo che va ad aggiungersi a quello per lapresenza, tra le banche interessate daldecreto, della Popolare dell’Etruria e delLazio, il cui vice-presidente è Luigi Bo-schi – padre dell’omonimaministraMa-ria Elena, detentrice di un piccolo pac-chetto di azioni della stessa banca.

Questi episodi sono segnali che met-tono in luce il rapporto privilegiato delgoverno Renzi con la finanza privatanella sua versione più spregiudicata.Un’altra fonte d’informazione viene da-gli elenchi dei finanziatori della Fonda-zioneOpen, che ha pagato le campagneelettorali del premier fiorentino. Sonodisponibili i nomi dei donatori del 70%degli 1,9milioni di euro raccolti da Ren-zi.Un terzo del totale - oltre 600mila eu-ro - viene dai settori della finanza odell’immobiliare e solo 300mila euro so-no venuti da impresemanifatturiere.Ol-tre aDavide Serra (principale finanziato-re con 175 mila euro), l’elenco annove-ra l’ex presidente Fiat Paolo Fresco, al-cune fiduciarie, il salotto buonomilane-se (Carlo Micheli in testa) e quello fio-rentino. Le imprese quotate in borsache sono riconducibili direttamente oindirettamente ai finanziatori del pre-mier sono cinque: Acea, Terna, Sias, In-tesa San Paolo e Intek. Vediamo comesono andate le loro quotazioni. Dal 13febbraio 2014 (dimissioni del governoLetta) a metà gennaio 2015, queste im-prese hanno avuto ritorni di mercatoquasi 7 volte superiori agli altri titoliquotati a Piazza Affari, mentre nell’an-no precedente si muovevano insieme alresto del mercato. Il loro andamentoanormalenon significa tuttavia che il go-verno si sia adoperato attivamente perfavorire queste aziende, può rifletteresemplicemente il vantaggio di posizio-ne di queste imprese così vicine al pre-mier. Stessa storia per la Bancadell’Etruria, che nei 45 giorni successivialla nomina di Renzi a segretario del Pdha registrato un rendimento del 53%più alto rispetto a quello atteso.

A reggere queste relazioni privilegiatediMatteo Renzi con la finanza c’è l’ "uo-mo dei poteri forti" Marco Carrai, checon Alberto Bianchi (spedito da Renzi aEnel) e Luca Lotti (sottosegretario tutto-fare all’editoria) forma il nucleo centra-le del potere economico renziano. Attor-no a Carrai, che quando passa a Romaviene ospitato nell’ufficio dell’ex ammi-nistratore delegato di Telecom Bernabé– con il cui figlio è socio del fondo lus-semburghese Wadi Ventures –, c’è il co-lorato mondo dell’aristocrazia e dell’al-ta borghesia toscana: i Frescobaldi, gliAntinori, i Bassilicchi, LorenzoBini Sma-ghi e il cugino Jacopo Mazzei. Di quellicui, nei tempimigliori, venivano stacca-ti i cedolini della Banca Federico delVecchio, oggi controllata daBanca Etru-ria. Un miscuglio di nuovo e di vecchis-simo, che sa usare la politica per ripro-durre il privilegio.

twitter @NicoloCavalli

UNANARRAZIONEROBOANTE E RIVENDICATIVACHENASCONDEUN PROGRAMMAANTIPOPOLARE

Sette anni di crisi e tre anni emezzo di scossoni politici, colsusseguirsi dei governi Monti,

Letta e Renzi, non hanno tirato fuoril’Italia dalla depressione. Le politi-che di austerità imposte dall’Unioneeuropea sono rimaste la stella pola-re della nostra politica economica,una continuità più forte dei cambi aPalazzo Chigi. Nel grafico qui accan-to presentiamo un confronto tra i ri-sultati economici dei tre ultimi go-verni, che mostrano un Prodotto in-terno lordo in continua discesa: semettiamo a 100 il Pil alle dimissionidi Berlusconi, nel novembre 2011,ora siamo a 96 e la ripresa c’è solonei rosei dati di previsione per il2015, come c’era nelle altrettanto ro-see – e sbagliate – previsioni di tuttigli ultimi tre anni.

La situazione politica dei tre ultimigoverni è stata da un lato estrema-mente diversa – perMonti la burrasco-sa fine del ventennio berlusconiano,per Letta il convulso compromessodopo le elezioni che non hanno pro-dotto una maggioranza, per Renzi lapromessa di un nuovo che rottamavail passato. Ma d’altro lato l’orizzontepolitico è rimasto lo stesso: sempre go-verni di grande coalizione tra centro-destra e centrosinistra, e sempre l’au-sterità all’ordine del giorno.

Tre anni e mezzo fa ci sono statele dimissioni di Berlusconi – che ave-va fino all’ultimo negato l’esistenzadella crisi - e il governo Monti si tro-vava a gestire il momento più diffici-le: crisi dell’euro, contagio da Grecia

e Portogallo, spread alle stelle, politi-ca dettata da Bruxelles, Berlino eFrancoforte. I risultati sono stati ilcrollo del Pil, sceso del 3% nell’arcodel governo Monti, con la produzio-ne industriale crollata dell’8% e iconsumi delle famiglie del 7%, 32%in più di disoccupati, la spesa pub-blica che va in rosso e il rapporto de-bito/Pil che balza dal 116 al 126%.Da allora la depressione è calatasull’Italia. L’inarrestabile retromar-cia del Pil riporta il paese al livello direddito del 1999, esattamente comeavviene per la Grecia. La produzioneindustriale resta ferma sia con Lettache con Renzi e se la confrontiamocon il 2008, prima della crisi, la cadu-ta è di oltre il 20%. Tutti confidanonelle esportazioni, che crescono pe-rò di appena il 2% in tre anni e mez-zo, scontando la stagnazione dei pa-esi europei e la sempre più agguerri-ta concorrenza asiatica in molti set-tori del made in Italy.

Stessa storia per i consumi. La per-dita del 7% rispetto all’uscita di sce-na di Berlusconi si mantiene ancheai tempi di Letta e Renzi: gli “ottantaeuro” ai redditi più bassi fanno vince-re le elezioni euroee ma non aggiun-gono nulla alla domanda dell’econo-mia e alle tasche degli italiani.

Le conseguenze della depressionecolpiscono soprattutto il lavoro. Ilnumero di occupati con la crisi pre-cipita, la caduta più forte è sotto ilgoverno Monti, e la ripresa ora è mi-nima. I disoccupati in tre anni au-mentano di un milione – con Renzisiamo a 3,3 milioni di persone checercano lavoro senza trovarlo. An-che qui la continuità delle politiche

- della riforma Fornero al Jobs act –è implacabile: il lavoro sempre me-no costoso per le imprese, più flessi-bile e con sempre meno garanzie.Ma tutto questo ha avuto zero effettisulla crescita degli occupati. Al con-trario, esplodono i giovani che nonstudiano e non lavorano (tra i 15 e i24 anni), più 18% in tre anni e mez-zo, con un’accelerazione proprio sot-

to Matteo Renzi.Tutto questo lo si fa da tre anni e

mezzo in nome del risanamento deiconti pubblici e della riduzione deldebito pubblico. Ma la crisi dell’eu-ro e la depressione hanno peggiora-to i conti pubblici: durante i governiProdi prima della crisi la spesa pub-blica mostrava un avanzo primario –il saldo prima del pagamento degli

interessi sul debito. I conti sono sta-ti compromessi dalle politiche dispesa e riduzione delle tasse dell’ulti-mo governo Berlusconi, e il saldo pri-mario è diventato negativo con Mon-ti e Letta, fino al ritorno all’avanzograzie ai tagli di spesa di Matteo Ren-zi. Ma meno deficit non significa unminor peso del debito pubblico: ilrapporto debito/Pil è cresciuto sen-

za soste, in questi tre anni dal 116 al132%. Il debito italiano - dopo quel-lo tedesco il secondo a livello euro-peo per dimensioni - non ha piùuna dinamica esplosiva, anche gra-zie alla, ma la depressione ha aggra-vato il suo peso sull’economia.

I risultati del primo anno di gover-no Renzi non si scostano in misura si-gnificativa da quelli che – in condizio-ni internazionali più difficili – aveva-no ottenuto Monti e Letta. Ora abbia-mo una politica più generosa dellaBce e la riduzione degli spread, il de-prezzamento dell’euro e il calo delprezzo del petrolio, c’è stato anche ilsemestre europeo a guida italiana.Ma di tutto questo non c’è traccia neidati dell’economia italiana a un an-no dall’arrivo di Matteo Renzi. La de-pressione continua, l’austerità è lastessa del passato, le politiche – sul fi-sco, il lavoro, la produzione - non mu-tano di segno. Il cambio di retoricapuò ingannare, forse, solo fino a uncerto punto.

IM pPpuMiTUBiTUiUuziPnBMeCPNe iM DBpP deM gPveSnP geTUiTDe iM deDMinP iUBMiBnPe fB pBTTBSe MB DuSB dB DBvBMMP Ue TenzB.eNPSBnduN

Il «versatile» di Eric DekkerLe immagini di queste pagine sono di Eric Dekker, tratte da Niente di Remy Char-lip. Frutto della più sofisticata ricerca scientifica, Niente è versatile e polivalente.Ottimo come shampoo o dentifricio, è ideale per lavarsi il viso, ma anche per de-tergere il lavandino. Per la puzza ai piedi poi, Niente fa le scarpe a tutti. Modernoelisir, Niente guarisce mal di denti e reumatismi, emicrania e mal di pancia. Enon c’è nulla di meglio di Niente per colmare i vuoti della vita! Allegri e scanzona-ti, i suoi consigli per gli acquisti sono lo straordinario ritratto dell’anima del com-mercio. Niente.Niente, Orecchio acerbo 2007, 48 pagine, 10 eurowww.orecchioacerbo.com

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DAL 2011I DISOCCUPATISONOAUMENTATIDI UNMILIONE,LA PRODUZIONEINDUSTRIALE ÈRIMASTA FERMAE I CONSUMI SONODIMINUITI DEL 7%.LA SPESA PUBBLICAÈ PERENNEMENTEIN ROSSOE IL RAPPORTODEBITO/PIL È SALITODAL 116AL 126%IL FALLIMENTODELLE POLITICHEDI AUSTERITÀ

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Page 4: 54Sbilanciamo_l_Europa_20_02_2015 (1)

I l partito della nazione ripropostoda Matteo Renzi - e purtroppo nontramontato con la dichiarata rottu-

ra del patto del Nazareno - e la frantu-mazione del Parlamento non sono incontrasto. Le due forme di degenera-zionedella democrazia descritte da To-queville un paio di secoli fa, il trionfodel demagogo e il «moto browniano»,il confuso agitarsi dei singoli, sonospesso complementari. È la mancanzadi idee socialmente condivise, legateagli interessi di gruppi sociali e alle scel-te etiche e culturali dei singoli, e di rap-presentanti che esprimano gli uni e lealtre - anziché la pura occupazione del-lo spazio politico da parte dei loro capi- a generare insieme il trionfo del de-magogo e la frantumazione politica, aseconda delle fortune dei capi. Bastache un capo traballi e un altro trionfiperché le variegate schiere di servi si di-sgreghino e riaggreghino. Non hannorappresentati cui rendere conto, coe-renze da rispettare, prospettive diverseda realizzare; solo carriere da difende-re.

Il partito della nazione, in effetti, pre-cedeRenzi di una ventina di anni alme-no, e si regge sul consenso implicito oesplicito di istituzioni potenti, aziendepotenti, alleati internazionali potenti,singoli ricchi e potenti, tenuti insiemeda una corazza ideologica condivisa,così forte da poter essere data per scon-tata e battezzata come fine delle ideolo-gie, o fine della storia: l’economia, inte-sa come ricchezza dei padroni, dei ric-

chi, è l’unica forza, l’unica dimensioneche esista. Chi non riesce ad accapar-rarsi una fetta degli avanzi, o dei rifiuti,o dei sottoprodotti dei ricchi, è fuori,ha violato le regole, non è necessarioall’aumento della ricchezza dei ricchi enon merita attenzione. «Non c’è alter-nativa», diceva Margaret Thatcher.

Renzi, oltre all’esplicito ritorno a slo-gan e atteggiamenti che erano rimastiappannaggio solo dell’estrema destra

(ma come nostalgia, non come pro-gramma) ora un po’ messi in sordina,ha avuto la novità, il terribile vantaggiodel non avere nessuno alla sua sinistracapace di elaborare e comunicare unmessaggio politico. Se quello che erastato il partito del lavoro, in veste co-munista o cristiana, dice che i lavorato-ri non meritano una rappresentanzapropria perché li rappresentano abba-stanza i padroni, il gioco per i ricchi èfatto. Il taglio della sanità pubblica edella scuola pubblica può proseguire;può proseguire, salvo attriti tra capi, lacostruzione dello Stato azienda. È im-pressionante la mancanza di contenu-

ti, di idee, della discussione politica,non solo in Parlamento,ma sui giorna-li. Si dice riforme senza neppure accen-narne la natura o i fini, lasciamo starele alternative. Il conflitto è sui regola-menti, sui tempi, sulla velocità («il tur-bo»), non sulle alternative. Capiscoche, dati imodi di elezione, passati e fu-turi, in Parlamento non ci sia moltospazio, ma il deserto della stampa, conminime e lodevoli eccezioni, è senzaprecedenti.

Negli ultimimesi, dopo anni di bron-tolii, scosse di avvertimento, esplosioni– e centinaia dimigliaia dimorti, in pa-esi non lontanimadi cui evidentemen-te non ci importa nulla – la guerra è ar-rivata alle frontiere orientali e meridio-nali dell’Europa. Lasciando da parte leconsiderazioni sulle cause delle dueguerre più vicine e sulle alternative, re-sta il fatto che la guerra incoraggia ilpartito della nazione, brucia gli spaziintermedi, può persino riportare nelpartito unico gli ipernazionalisti, gli xe-nofobi, gli interventisti. Per un giornoabbiamo temuto che il Capo al mo-mento vincente si mettesse in divisa,preludio alla sua fine,ma anche alla no-stra sventura. Poi deve aver prevalso la

convinzione che le guerre - che non bi-sognerebbe fare - se si fanno bisogne-rebbe anche vincerle, e che una guerraoffensiva, cioè in territorio nemico, dioccupazione, in Libia la si perde. Han-no perso guerre simili eserciti moltopiù forti del nostro e di quelli dei nostripossibili alleati. Senza contare i morti,l’imbarbarimento, i traumi.

Non ci liberemo del partito della na-zione a spallate. Ci sono state rispostesociali, sindacali; c’è una risposta cultu-rale, umana, solidale nei confronti deiprofughi, dei poveri, degli stranieri,che ha una voce importante, ma nonisolata, nell’attuale Papa; ci sono idee e

mobilitazioni in difesa di singoli diritti.Dovremmo riuscire, a cominciare dalleidee e dal loro rapporto con gli interes-si dei gruppi sociali più deboli, a tra-sformare le molte risorse che abbiamoin proposta politica. La solidarietà coni profughi, con i poveri, la pratica dellacollaborazione dove si rischia la guer-ra, sono ungradino della proposta poli-

tica. Il sostegno alla Grecia, il rifiuto del-la politica dei missili alle frontiere nesono aspetti importanti. Una inversio-nedi tendenza in sensopluralistico nel-le riforme istituzionali, che può deriva-re anche da incidenti di percorso delpartito unico, è insieme unmezzo e unfine. È difficilema non è come volere laLuna.

Carlo Donolo

Tutti gMi ingannideM nuovo che avanzaLe paroMe chiave deM renziTmo Tono innovazionee riforme. .a con iM riformiTmo Ttorico non hannonuMMa a che vedere, e TpeTTo Ti riToMvono neM Tuo contrario

Una delle parole più in uso per legittimareil renzismo è riforma. Tale termine è in-quadrato nel discorso sul nuovo, da intro-

durre velocemente, e sulla corrispondente lottacontro il vecchio, che si esprime per gufi e de-pressi. Si tratta di un abuso piuttosto evidente,dato che il nuovo passa per controriforme, comenel caso emblematico dell’articolo 18, ma la di-sputa non è verbale, bensì sui contenuti. Rifor-me, nella tradizione della sinistra, ma direi an-che in quella liberale, sono interventi che risolvo-no problemi, rimuovendo ostacoli che impedi-scono soluzioni più avanzate, o nel sensodell’equità o dell’efficacia o dellamaggiore razio-nalità sociale. La riforma implica un certo gradodi progresso su un percorso che può essere lun-go, ma che tra alti a bassi si muove seguendo il

criterio indicato nell’art. 3 della Costituzione. Leriforme si ottengono con lotte e conflitti socialisu parità, equità, benessere, opportunità, e conprogrammi politici perseguiti con costanza emolta cura. Non si puòdire riformismoper fattis-pecie che ne contraddicono la semantica stori-ca. Si tratta di un abuso e di un inganno, anchedi un autoinganno, necessariamente.

Il nuovo assume la formaprevalente della con-troriforma, nel campodel lavoro e dello stato so-ciale, ma anche dell’istruzione o del governo delterritorio, perché esso non ha realmente piùniente a che vedere con la tradizione storica delriformismo. Le controriforme servono a risolve-re problemi, beninteso seri ed anche drammati-ci. I problemi sono quelli derivanti dallo stare inuna rete obbligante di regolazioni comunitarie edi imperativi globali, specie al livello finanziario,che hanno implicazioni di ogni genere, socialied economiche, e specificamente impattano sul-

le politiche del lavoro e su quelle sociali. Per ri-spondere a quelle esigenze – che ripeto non pos-sono essere semplicemente negate, ma che van-no de-costruite a loro volta – si impongono con-troriforme, ovvero rinunce forzate a acquisizionidi civiltà giuridica e sociale. Naturalmente an-che le controriforme riformano, in quanto negliassetti ereditati specie delwelfare si annidano ef-fettivamente un sacco di problemi e di sprechi.Ma la loro correzione si potrebbe fare solo an-dando avanti e non indietro, con una spendingreview attenta, piuttosto che contagli lineari che sono l’espressionepiù rustica delle controriforme.

Il nuovo si pone fuori dal quadrodella cultura riformista e evoca ilvocabolario dell’innovazione. L’in-novazione connette la componen-te post-ideologica con le compe-tenze necessarie per una realizza-zione razionale delle politiche. L’in-novazione (sociale, istituzionale,di policy) si basa su saperi fondati,paradigmi, attenzione ai valori eagli impatti. L’innovazione è alta-mente cognitiva, diciamoweberiana e schumpe-teriana insieme, e fa appello alla razionalità col-lettiva. Ma proprio l’innovazione dopo le rifor-me risulta in Italia particolarizzante difficile daperseguire. Per il progressivo scollamento dellapolitica e amministrazione dalle competenze edai saperi, per il carattere sempre più opportuni-stico e occasionale degli interventi, per il peso de-gli imperativi esterni cui si è incapaci di rispon-dere. Le controriforme non sono solo una formadi lotta di classe, come mostra Luciano Gallino,ma sono intrinsecamente povere cognitivamen-te.

E dunque ci troviamocon l’esaurimento del di-scorso riformista, l’egemonia di una rozza prati-ca di controriforme, e con l’incapacità di transita-re a un nuovo paradigma di governance tramiteinnovazione. Al suo posto il nuovo a tutti i costi,che ha principalmente la decrepitezza ostinata

del vecchio (nel partito comenella pubblica am-ministrazione). La sua vera legittimazione stanella lotta contro il peso morto (la palude) e suquesto Renzi è diventato sempre più esplicito.Nel merito è incerto sui mezzi, continuamentein bilico tra promessa esagerata e realizzazioneprocrastinata. Il nuovo vive essenzialmente dienergia politica, proprio quella del leader, e discarne argomentazioni, a volte ossessivamenteripetute. Si puòdire che il nuovo, per il suo atteg-giarsi a spallata politicista, non riesce a trasfor-

marsi in innovazione, né il richiamo alla speran-za collettiva può tradursi in progettualità, poi-ché tutto ciò che è civico è sabotato in quanto in-gombrante e perditempo.

Un anno fa nello speciale Sbilanciamo l’Euro-pa sul renzismo in arrivo avevo sottolineato l’oc-casionalismo renziano come un modo di opera-re in condizioni d’incertezza. L’occasionalismoschiaccia sulle novità del presente, e oscural’orizzonte del futuro, così tanto retoricamenteevocato. Ma appunto il futuro è ora. Mettendoinsieme occasionalismo e nuovismo forse si puòspiegare abbastanza ragionevolmente sia il pri-mato della comunicazione, sia un certo bricola-ge arruffato nelle politiche, poco sensibile a con-tenuti e impatti. E cogliere ancora una volta la di-stanza che si va allargando tra tradizione riformi-sta – anche quella cristiano-sociale – e l’iperboledel nuovo.

IL PARTITODELLANAZIONE SI REGGESUL CONSENSODI ISTITUZIONI, AZIENDE,ALLEATI INTERNAZIONALI, TENUTI INSIEMEDALL’IDEOLOGIADA FINE DELLE IDEOLOGIE

L’ENERGIA POLITICADELLEADER, POCHI ARGOMENTIRIPETUTI, COMPETENZEE POST-IDEOLOGIA

LlaMternativaaM partito unicoCome Ti comCatte Ma degenerazionedeMMa democrazia, che precede Renzi di 20 anni

FranDFsDo Ciafaloni

VENERDÌ 20 FEBBRAIO 2015

SBILANCIAMO L'EUROPAN°54 - PAGINA IV