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U na volta - per essere competitivi - si svalutava la moneta, oggi si svaluta il lavoro: meno diritti, me- no tutele, meno retribuzione. Le politiche neoli- beriste si sono basate in questi decenni su quattro pila- stri: la riduzione della spesa pubblica e del ruolo dello Sta- to; le privatizzazioni e le liberazioni (a partire da quella della circolazione dei capitali); gli investimenti privati (il mercato) e la precarizzazione del mercato del lavoro. La riforma del mercato del lavoro è una di quelle riforme strutturali cui Renzi affida la speranza di rilanciare l’occu- pazione e l’economia. In realtà, come sappiamo tutti, in questi anni l’esistenza di oltre 45 forme di lavoro atipico non ha incoraggiato ad assumere di più, ma semplice- mente a sostituire i contratti di lavoro con tutele con for- me di lavoro precario, senza diritti. Non si sono creati po- sti di lavoro in più, ma solo più lavori precari. Nè queste riforme hanno avuto effetti salvifici sull’economia. Pro- prio nel Def si dice che l’impatto del Jobs Act sul Pil sarà minimo: non più dello 0,1%. Si tratta di previsioni; e quel- le del governo in questi vent’anni sono sempre state trop- po ottimistiche e poi inevitabilmente corrette al ribasso. L’assunto dal quale si parte è noto: bisogna mettere le imprese nelle condizioni di avere meno vincoli e costi possibile. E così potranno assumere. Solo che, probabil- mente, i nuovi assunti saranno assai pochi: la maggior parte dei nuovi contratti saranno sostitutivi, cioè trasfor- meranno rapporti di lavoro pre-esistenti più gravosi in quelli più convenienti introdotti dalla legge di stabilità. Tutte le agevolazioni fiscali di questi anni, le imprese non le hanno utilizzate per fare investimenti nell’econo- mia reale, ma in quella finanziaria e speculativa o per ar- rotondare i loro profitti. CONTINUA |PAGINA II (JVMJP .BSDPO Il capitale è una forza sociale concentrata, mentre dal canto suo l’operaio non dispone che della sua forza riproduttiva in- dividuale. Perciò il contratto tra capitale e lavoro non può mai venir stabilito su basi eque (…). Il solo potere sociale che possiedono gli operai è il loro numero. La forza del numero è annullata dalla disunione. Quest’ultima tra gli operai è prodotta e perpetuata dalla concorrenza inevitabile fra lo- ro stessi. I sindacati originaria- mente sono nati dagli esperi- menti spontanei degli operai per superare la suddetta con- correnza o per lo meno per atte- nuarla, per mutare i termini del contratto (…). L’oggetto im- mediato dei sindacati è tutta- via limitato alle necessità delle lotte quotidiane, ai mezzi per difendersi contro gli attacchi del capitale, alle questioni sala- riali e della durata del lavoro (…). I sindacati si sono occupa- ti finora troppo esclusivamente di lotte locali immediate con- tro il capitale e non hanno avu- to sufficiente consapevolezza del loro potere d’azione contro il sistema della schiavitù del sa- lariato. Si sono perciò tenuti troppo lontani dal movimento generale sociale e politico (…). I sindacati devono oggi impara- re ad agire coscientemente co- me centri organizzatori della classe operaia nel grande inte- resse della sua emancipazione totale. Devono appoggiare ogni movimento sociale e politi- co che proceda in tale direzio- ne (Risoluzioni al Congresso di Ginevra dell’Associazione inter- nazionale dei lavoratori, 1866, in «Lavoratori di tutto il mon- do, unitevi!» a cura di Marcello Musto, Donzelli, 2014, pp.36-37) Sbilanciamo l'Europa Nonostante l’ottimismo parolaio di Renzi, le stime del Def parlano chiaro: il Jobs Act inciderà sul Pil al massimo per lo 0,1%. Per ripartire ci sarebbe bisogno di una politica industriale, di contratti veri e di investimenti pubblici. Una riforma del lavoro per uscire dall’Ottocento 2.0 (SB[JB /BMFUUP ,BSM .BSY SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO VENERDÌ 20 MARZO 2015 WWW.SBILANCIAMOCI.INFO - N°58 U n miliardo e 508 milioni di euro. È l’ammontare dell’evasione di con- tributi e premi assicurativi verifi- cata da parte del ministero del Lavoro, Inps e Inail nel 2014 su 221.476 aziende ispezionate. Il 64,17% (più di una su due) sono risultate irregolari e dei 181.629 lavo- ratori impiegati in modo irregolare, il 42,61% (77.387) erano completamente in nero. I dati sono contenuti nel Rapporto annuale dell’attività di vigilanza in mate- ria di lavoro e legislazione sociale 2014. Il Jobs Act riuscirà davvero a migliorare le condizioni di chi oggi è fuori dal merca- to del lavoro o è relegato nel suo segmen- to invisibile, sommerso e malpagato? E ammesso che alcune migliaia di disoccu- pati possano beneficiare della decontribu- zione triennale prevista nella legge di sta- bilità per i neo-assunti nel 2015, cosa suc- cederà loro quando i tre anni saranno fini- ti? Libertà di licenziare, demansionamen- to, mantenimento delle 45 tipologie con- trattuali esistenti ed estensione del lavoro usa e getta sono ricette che rafforzano il potere delle imprese mettendo sotto scac- co e gli uni contro gli altri i lavoratori. Chi afferma che questo è il prezzo per rilancia- re l’economia e uscire dalla crisi, identifi- cando nel costo del lavoro l’unica variabi- le dipendente per aumentare la produtti- vità e la competitività del nostro paese, non sbaglia: compie un inganno. Consa- pevolmente. E lo fa perché assume come unico punto di vista quello delle imprese. E allora è utile ribaltare la prospettiva e riorientare lo sguardo, leggere non solo la crisi degli ultimi anni e le scelte dell’attua- le Governo, ma anche le trasformazioni dei processi produttivi, del mondo del la- voro e delle politiche economiche dell’ulti- mo ventennio, attraverso gli effetti che hanno determinato e determinano sulla vita delle persone in carne e ossa. Servirebbe un Workers Act. Cambiare punto di vista significa innanzitutto fare i conti con un modello, quello neoliberista, che ha subordinato i diritti delle persone (occupate e non) a quelli delle imprese e ha ridotto progressivamente il ruolo di in- dirizzo dello Stato in ambito economico. Significa confrontarsi con modelli pro- duttivi che grazie allo sviluppo tecnologi- co, alla deterritorializzazione e alla globa- lizzazione delle imprese consentono di precarizzare, frammentare e indebolire il lavoro. Significa avere il coraggio di constatare che, senza un forte intervento pubblico fi- nalizzato a creare buona occupazione e una redistribuzione del lavoro che c’è, mi- gliaia di persone sono destinate a rimane- re escluse dal mercato del lavoro. Significa non rimuovere l’urgenza di ga- rantire un reddito a chi nel mercato del la- voro non riesce ad entrarci o ne è uscito prima di aver maturato il diritto alla pen- sione. Significa infine comprendere a pieno il nesso stringente tra le contro-riforme del mercato del lavoro e della scuola, lo sman- tellamento del welfare e le riforme costitu- zionali. Sono collegati da un filo spinato comune: una svolta autoritaria che parten- do dalla scuola e dal lavoro intende met- terci sotto ricatto ed erodere qualsiasi pro- cesso di partecipazione. Il Jobs Act è approvato e produrrà i suoi effetti, ma le contraddizioni e i nodi lascia- ti irrisolti dalla mancanza di una strategia di lungo respiro, capace di scegliere come priorità il benessere sociale delle persone, restano. Da qui la scelta di Sbilanciamoci! di in- trecciare conoscenze e competenze diver- se per elaborare un Workers Act. Sarà pronto tra qualche settimana. Ci piacereb- be che fosse un’occasione per avviare un dibattito politico e culturale serio sul futu- ro del lavoro, ma soprattutto delle perso- ne la cui vita è condizionata dal lavoro: perché ce l’hanno già o perché non lo han- no ancora. Torniamo al lavoro

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settimanale di economia critica

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  • Una volta - per essere competitivi - si svalutava lamoneta, oggi si svaluta il lavoro:meno diritti, me-no tutele, meno retribuzione. Le politiche neoli-beriste si sono basate in questi decenni su quattro pila-stri: la riduzione della spesa pubblica e del ruolo dello Sta-to; le privatizzazioni e le liberazioni (a partire da quelladella circolazione dei capitali); gli investimenti privati (ilmercato) e la precarizzazione del mercato del lavoro. Lariforma del mercato del lavoro una di quelle riformestrutturali cui Renzi affida la speranza di rilanciare loccu-pazione e leconomia. In realt, come sappiamo tutti, inquesti anni lesistenza di oltre 45 forme di lavoro atipico

    non ha incoraggiato ad assumere di pi, ma semplice-mente a sostituire i contratti di lavoro con tutele con for-medi lavoro precario, senza diritti. Non si sono creati po-sti di lavoro in pi, ma solo pi lavori precari. N questeriforme hanno avuto effetti salvifici sulleconomia. Pro-prio nel Def si dice che limpatto del Jobs Act sul Pil sarminimo: nonpi dello 0,1%. Si tratta di previsioni; e quel-le del governo in questi ventanni sono sempre state trop-po ottimistiche e poi inevitabilmente corrette al ribasso.

    Lassunto dal quale si parte noto: bisogna mettere leimprese nelle condizioni di avere meno vincoli e costipossibile. E cos potranno assumere. Solo che, probabil-mente, i nuovi assunti saranno assai pochi: la maggiorparte dei nuovi contratti saranno sostitutivi, cio trasfor-meranno rapporti di lavoro pre-esistenti pi gravosi inquelli pi convenienti introdotti dalla legge di stabilit.Tutte le agevolazioni fiscali di questi anni, le impresenon le hanno utilizzate per fare investimenti nellecono-mia reale, ma in quella finanziaria e speculativa o per ar-rotondare i loro profitti. CONTINUA |PAGINA II

    ,ARILETTURA

    ,A0RIMA )NTERNAZIONALEE I SINDACATI

    (JVMJP .BSDPO

    Il capitale una forza socialeconcentrata, mentre dal cantosuo loperaio non dispone chedella sua forza riproduttiva in-dividuale. Perci il contrattotra capitale e lavoro non pumai venir stabilito su basi eque(). Il solo potere sociale chepossiedono gli operai il loronumero. La forza del numero annullata dalla disunione.Questultima tra gli operai prodotta e perpetuata dalla

    concorrenza inevitabile fra lo-ro stessi. I sindacati originaria-mente sono nati dagli esperi-menti spontanei degli operaiper superare la suddetta con-correnza o per lomenoper atte-nuarla, per mutare i terminidel contratto (). Loggetto im-mediato dei sindacati tutta-via limitato alle necessit dellelotte quotidiane, ai mezzi perdifendersi contro gli attacchidel capitale, alle questioni sala-

    riali e della durata del lavoro(). I sindacati si sono occupa-ti finora troppo esclusivamentedi lotte locali immediate con-tro il capitale e nonhanno avu-to sufficiente consapevolezzadel loro potere dazione controil sistemadella schiavit del sa-lariato. Si sono perci tenutitroppo lontani dal movimentogenerale sociale e politico ().I sindacati devono oggi impara-re ad agire coscientemente co-

    me centri organizzatori dellaclasse operaia nel grande inte-resse della sua emancipazionetotale. Devono appoggiareognimovimento sociale e politi-co che proceda in tale direzio-ne (Risoluzioni al Congresso diGinevra dellAssociazione inter-nazionale dei lavoratori, 1866,in Lavoratori di tutto il mon-do, unitevi! a cura diMarcelloMusto, Donzelli, 2014,pp.36-37)

    Sbilanciamo l'EuropaNonostante lottimismo parolaio di Renzi, le stime del Def parlano chiaro: il Jobs Act incidersul Pil al massimo per lo 0,1%. Per ripartire ci sarebbe bisogno di una politica industriale,di contratti veri e di investimenti pubblici. Una riforma del lavoro per uscire dallOttocento 2.0

    (SB[JB /BMFUUP

    ,BSM .BSY

    SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNOVENERD 20 MARZO 2015 WWW.SBILANCIAMOCI.INFO - N58

    Unmiliardo e 508milioni di euro. lammontare dellevasionedi con-tributi e premi assicurativi verifi-cata da parte del ministero del Lavoro,Inps e Inail nel 2014 su 221.476 aziendeispezionate. Il 64,17% (pi di una su due)sono risultate irregolari e dei 181.629 lavo-ratori impiegati in modo irregolare, il42,61% (77.387) erano completamente innero. I dati sono contenuti nel Rapportoannuale dellattivit di vigilanza in mate-ria di lavoro e legislazione sociale 2014.Il Jobs Act riuscir davvero amigliorare

    le condizioni di chi oggi fuori dalmerca-to del lavoro o relegato nel suo segmen-to invisibile, sommerso e malpagato? Eammesso che alcune migliaia di disoccu-pati possano beneficiare della decontribu-zione triennale prevista nella legge di sta-bilit per i neo-assunti nel 2015, cosa suc-ceder loro quando i tre anni saranno fini-ti?Libert di licenziare, demansionamen-

    to, mantenimento delle 45 tipologie con-trattuali esistenti ed estensione del lavorousa e getta sono ricette che rafforzano ilpotere delle impresemettendo sotto scac-co e gli uni contro gli altri i lavoratori. Chiafferma che questo il prezzo per rilancia-re leconomia e uscire dalla crisi, identifi-cando nel costo del lavoro lunica variabi-le dipendente per aumentare la produtti-vit e la competitivit del nostro paese,non sbaglia: compie un inganno. Consa-pevolmente. E lo fa perch assume comeunico punto di vista quello delle imprese.E allora utile ribaltare la prospettiva e

    riorientare lo sguardo, leggere non solo lacrisi degli ultimi anni e le scelte dellattua-le Governo, ma anche le trasformazionidei processi produttivi, del mondo del la-voro e delle politiche economichedellulti-mo ventennio, attraverso gli effetti chehanno determinato e determinano sullavita delle persone in carne e ossa.Servirebbe un Workers Act. Cambiare

    punto di vista significa innanzitutto fare iconti con unmodello, quello neoliberista,che ha subordinato i diritti delle persone(occupate e non) a quelli delle imprese eha ridotto progressivamente il ruolo di in-dirizzo dello Stato in ambito economico.Significa confrontarsi con modelli pro-

    duttivi che grazie allo sviluppo tecnologi-co, alla deterritorializzazione e alla globa-lizzazione delle imprese consentono diprecarizzare, frammentare e indebolire illavoro.Significa avere il coraggio di constatare

    che, senza un forte intervento pubblico fi-nalizzato a creare buona occupazione euna redistribuzione del lavoro che c,mi-gliaia di persone sono destinate a rimane-re escluse dal mercato del lavoro.Significa non rimuovere lurgenza di ga-

    rantire un reddito a chi nelmercato del la-voro non riesce ad entrarci o ne uscitoprima di aver maturato il diritto alla pen-sione.Significa infine comprendere a pieno il

    nesso stringente tra le contro-riforme delmercato del lavoro e della scuola, lo sman-tellamento del welfare e le riforme costitu-zionali. Sono collegati da un filo spinatocomune: una svolta autoritaria che parten-do dalla scuola e dal lavoro intende met-terci sotto ricatto ed erodere qualsiasi pro-cesso di partecipazione.Il Jobs Act approvato e produrr i suoi

    effetti,ma le contraddizioni e i nodi lascia-ti irrisolti dalla mancanza di una strategiadi lungo respiro, capace di scegliere comepriorit il benessere sociale delle persone,restano.Da qui la scelta di Sbilanciamoci! di in-

    trecciare conoscenze e competenze diver-se per elaborare un Workers Act. Sarpronto tra qualche settimana. Ci piacereb-be che fosse unoccasione per avviare undibattito politico e culturale serio sul futu-ro del lavoro, ma soprattutto delle perso-ne la cui vita condizionata dal lavoro:perch ce lhanno gi operchnon lo han-no ancora.

    Torniamoal lavoro

  • Duesettimane sonoun tempoas-sai breve, ma i primi segnalidellapplicazione del primo de-creto attuativo del Jobs Act non sonopromettenti, a dispetto degli annunci.I nuovi licenziamenti facili senza art.18 hanno provocato come primissimoeffetto unondata di licenziamenti col-lettivi in uno dei settori pi fragili delmercato del lavoro, che gi aveva uncosto del lavoro pi basso degli altri e

    unoccupazione tempora-nea pi alta: nei

    call-cen-

    ter Almaviva sono stati messi a rischio7 mila posti di lavoro per poterli sosti-tuire con nuove assunzionimeno tute-late. Ora Tito Boeri, dal suo nuovo seg-gio dellInps, dice che 76 mila aziendehanno fatto domanda a febbraio di ac-cedere alla decontribuzione per le nuo-ve assunzioni. Conmeno enfasi la Fon-dazioneConsulenti del Lavoro fa nota-re che nell80%dei casi si tratta di rego-larizzazioni di collaborazioni a proget-to, partite Iva e altra varia precariet esolo nel restante 20% di nuove assun-zioni. da notare che fino ad agostol80%delle nuove assunzioni erano sti-pulate con contratti atipici e solo un15% a tempo indeterminato. La diffe-

    renza che ora il 100% esclusodalla tutela dellart. 18.

    Che dire poi

    della coppia di giovani coniugi che aCagliari, con il contratto unico frescodi firma, corsa in banca a stipulareunmutuo per la casa dei sogni. Hannobussato a 11 istituti di credito, tede-schi, italiani e olandesi, ma nessun di-rettore ha dato loro credito, nel verosenso della parola. Non hanno credu-to, in assenza di ulteriori garanzie fi-deiussorie, alla stabilit del loro reddi-to. Pu darsi che la tendenza sar in-vertita, che arriveranno le assunzionidi Melfi a rimpolpare il numero deinuovi occupati, ma di certo questi se-gnali non sono dovuti a intrinseca cat-tiveria.Per agevolare le assunzioni con quel-

    lo che dallo scorso 7marzo si proponecome il nuovo contratto standard, il go-verno, tramite la legge di Stabilit, hamesso sul tavolo un pacchetto di de-contribuzione che arriva ad un massi-male di 8.060 euro a persona. Il bonus alimentato anche dai 1,5 miliardistanziati dal piano Youth Guaranteedel Fondo sociale europeo, partito 10mesi fa con valutazioni ottimistichedel ministro Poletti: avrebbe portatoallinserimento lavorativo di 900 milagiovani tra i 15 e i 29 anni che non stu-diano e non lavorano nel giro di 24mesi. Secondo il centro studi Adaptfondato da Marco Biagi e diretto daMichele Tiraboschi, su un bacino po-tenziale di 2.254 mila giovani Neet, gliiscritti al piano sono soltanto 435.729.Il flop non si ferma qui. Solo il 48% de-gli iscritti ha ottenuto un primo collo-quio di lavoro e solo l8,1% ha avutouna qualche proposta di lavoro, spes-so assolutamente generica e senza al-cuna formazione o apprendistato.Del resto, per avvicinare i giovani allavoro, durante lExpo si far ampioricorso a stage gratuiti o pagati conqualche ticket-restaurant. Per i nonpi tanto giovani e gi specializzati in-vece si far ampio uso di voucher, stru-mento che si delinea comenuovo sala-rio dingresso.I buoni-lavoro, concepiti inizialmen-

    te come forma di emersione puntifor-me del lavoro nero accessorio - ba-by-sittering e altri lavoretti - hannoavuto negli anni una progressioneesponenziale. Non per perfida casuali-t ma perch il loro campo di applica-zione stato progressivamente estesocon 12 interventi regolativi in 11 annidi vita dello strumento.Ormai sonouti-lizzati in quasi ogni settore, dal turi-smo allagricoltura stagionale, dalleaziende familiari alle imprese con finidi lucro e perfino nelle amministrazio-ni pubbliche e nei tribunali. Ogni tic-ket da 10 euro incorpora una minimacontribuzione Inps e Inail e nelle indi-cazioni si riferisce a una paga oraria,ma il voucher un pagamento a pre-stazione, perci troppo spesso vieneusato per pagare una attivit giornalie-ra, non necessariamente di otto ore.Non prevede malattia o nessuna altraindennit, una specie di gratta e vin-ci del lavoro, acquistabile e riscuotibileanche nelle tabaccherie autorizzate ol-tre che online grazie a una appositacarta Poste-pay. Lunico limite ilmas-simale, ampliato in tre anni da 3mila a5.060 euro eora, nello schemadi decre-to attuativo, fino a 7 mila euro lanno.La bozza di decreto vorrebbe renderlopi tracciabile, prevedendo la certifica-zione anagrafica e fiscale del lavorato-re da parte dellutilizzatore, senza ulte-riori oneri incluso lIrap, ed escludernelutilizzo negli appalti, dove si configu-rerebbe un dumping sociale, cio con-correnza sleale, ma gi c chi si oppo-ne a queste regolamentazioni. Nel frat-tempo si sonoperse le tracce del decre-to che dovrebbe eliminare i cococo(sempre possibili tramite accordoaziendale) e sfoltire la giungla contrat-tuale di altre due tipologie, il job-sha-ring e il lavoro a somministrazione.Tra tagli allIrap e decontribuzione fi-scale paremanchino le coperture. Ora,se anche si avverassero le previsionidelministero dellEconomia sugli effet-ti del Jobs Act, cio circa 250mila nuo-vi posti di lavoro standard lanno pertre anni, chiaro che sarebbe solo unagoccia nelmare. In pi, dal puntodi vi-sta di chi cerca un lavoro, dai tirocinigratuiti fino al punto darrivo del con-tratto unico a fantomatiche tutele cre-scenti, passando per i voucher, si vedesolo una trappola infinita della preca-riet legalizzata.

    I l legislatoremanca di rispetto ai cittadi-ni quando usa in modo improprio leparole, illudendoli che le norme abbia-no un significato diverso da quello chehanno effettivamente. Facciamo un esem-pio: il Contratto a tutele crescenti, in real-t, non un contratto, n prevede tutelecrescenti per i lavoratori. Si tratta, invece,di unabrogazione camuffata dellart. 18dello Statuto dei lavoratori. Per la primavolta dal 1970, la tutela cos detta fortecontro il licenziamento illegittimo (consi-stente nel diritto alla reintegrazione nelposto di lavoro ingiustamente cessato e/oin un risarcimento del danno dignitoso, fi-no a 24 mensilit), non si applicher piai nuovi assunti a partire dal 7 marzo2015. Lunica cosa che sar, quindi, effetti-vamente crescente nel tempo il numerodi lavoratori esclusi dalla tutela dellart.18. Ma forse si intendevano tutele cre-scenti per i datori di lavoro. Alloralespressione giusta.Con la novella, la reintegrazione nel po-

    sto di lavoro si potr ottenere solo nei resi-duali casi di licenziamento orale, nullo odiscriminatorio, sempre che si riesca a dar-ne la difficile prova in giudizio. Negli altricasi si avr diritto solo ad unindennitche non sar pi risarcitoria (come inve-ce prevede lart. 18) in quanto non legataal danno subito dal lavoratore, ma sempli-cemente alla sua anzianit di servizio: duemensilit dellultima retribuzione per ognianno di servizio, con un minimo di quat-tro e unmassimodi ventiquattromensilit(art. 3, comma 1). Per poter arrivare aduna somma di 24 mensilit, il lavoratoredovr avere unanzianit di servizio di al-meno12 anni.Ma sar difficile arrivarci, vi-sto che questo inedito legame del costo diseparazione agli anni di servizio, pi cheincentivare le assunzioni a tempo indeter-minato, sembra scoraggiare linvestimen-to a lungo termine sui lavoratori. proba-bile che la crisi del settimo anno contagianche i rapporti di lavoro, oltre quelli amo-rosi. Peraltro, sar pi facile licenziare per-ch per rendere effettiva lestinzione delrapporto di lavoro, grazie al Jobs Act (recti-us, decreto legislativo n. 23/2015), bastaimputare al lavoratore un fatto qualsiasi,purch sussistente, non importa se non co-s grave da giustificare un licenziamento.La riforma, infatti, preclude al giudice lin-dagine sulla proporzionalit tra fatto com-messo dal lavoratore e recesso del datore.E quindi possibile che si perda il posto dilavoro, ad esempio, per essere arrivati al la-voro in ritardo.Altra novit dal sapore ottocentesco il

    venirmenodella previsione (contenuta, in-vece, nellart. 18) del diritto alla reintegranel caso di illegittimo licenziamento del la-voratore inmalattia o infortunio (senza su-peramento del periodo tutelato, cos dettodi comporto), con il rischio che, persino inquesti casi, il licenziamento, seppure ille-gittimo, resti efficace.Il datore di lavoro che licenza ingiusta-

    mente viene, dalla riforma, persino pre-miato, come risulta dalla disposizione checoncede allo stesso la possibilit di evitareil giudizio offrendo al lavoratore una som-ma non solo dimezzata nellimporto, maanche depurata da oneri contributivi. Perconsentire tale tutela del datore che licen-zia ingiustamente si dovranno accantona-

    re importi crescenti negli anni (ecco le tute-le crescenti!) di risorse pubbliche: 2 milio-ni di euro per lanno 2015, 7,9milioni di eu-ro per lanno 2016, 13,8milioni di euro perlanno 2017, 17,5 milioni di euro per lan-no 2018, 21,2 milioni di euro per lanno2019, 24,4 milioni di euro per lanno 2020,27,6 milioni di euro per lanno 2021, 30,8milioni di euro per lanno 2022, 34,0milio-ni di euro per lanno 2023 e 37,2 milioni dieuro annui a decorrere dallanno 2024. Sinoti, infine, che tali risorse verranno attin-te da quelle riservate, tra laltro, agli am-mortizzatori sociali, ai servizi per il lavoroe le politiche attive. In altri termini, men-tre i datori di lavoro scorretti vengono pre-miati, i lavoratori licenziati ingiustamentevengono penalizzati due volte: prima ridu-cendone la tutela contro lingiusto licenzia-mento, poi riducendo la tutela per la con-sequenziale disoccupazione.In questo diritto del lavoro capovolto

    in cui il soggetto che il legislatore si pre-occupa di tutelare non pi quello de-bole ma quello forte, in cui la libertsindacale ed il controllo giudiziario, in-vece che garanzia di uguaglianza e de-mocrazia vengono ridotti a fastidiosa li-mitazione della discrezionalit impren-ditoriale, in cui a forza di ridurre le tute-le dei lavoratori si arrivati ad intacca-re i diritti fondamentali, non resta cheaffidarsi alla Carta Costituzionale e aquellart. 1 che ponendo il lavoro a fon-damento della Repubblica italiana, ci ri-corda che dal lavoro dovrebbero dipen-dere le politiche economiche eleconomia. E non vice-versa.

    Lapolitica economica continua ad es-sere ancorata a vecchie ricette i cuipilastri sono lausterit fiscale e laflessibilit del lavoro. Non solo si riduconodignit e diritti sociali del lavoro, ma si at-tua con pervicacia la svalutazione salarialecheCommissioneEuropea eBce impongo-no ai paesi europei sulla base della fallaceidea che tutti debbano replicare, ad oltre

    quindici anni di distanza, il modello mer-cantile germanico trainato dalle esporta-zioni, aggravando gli squilibri commercialidentro lEurozona che sono con-causa del-la attuale crisi.Questa strategia, se aumenta la competi-

    tivit di costo di breve periodo sui mercatiesteri, produce la contrazione dei mercatiinterni. La compressione dei salari reali aldi sotto della gi debole crescita della pro-duttivit del lavoro mira a ridurre ancorpi la quota del lavoro sul reddito e favori-sce i profitti che per per carenza di do-manda interna non vengono investiti perallargare la capacit produttiva,ma riversa-ti nelleconomia del debito alla ricerca direndimenti speculativi. Gli animal spiritsimprenditoriali di Keynes sono sempre

    pi miopi e si trasformano in rentiers.LItalia richiede certamente riforme di

    struttura, ma certo non quelle imposte dalpensiero ormai ordo-liberista che questaEuropa germanica del rigore senza cresci-ta ha fatto proprio con la crisi, contribuen-do ad aggravarla. Queste si traducono sem-pre nella ricetta pi privatizzazioni e piflessibilit, come se la competitivit del pa-ese fosse un problema risolvibile con me-no regole e meno Stato, e pi mercato. IlJobs Act nonmuta questo quadro, anzi at-

    tuauna politica del lavoro chemira alla sta-gnazione dei salari nominali ed alla defla-zionedei salari reali. Nullaltro, il resto so-lo rumore di fondo: gli outsider sarannosempre pi esclusi e gli insider si trasfor-meranno in outsider. Non vi traccia di al-cuna politica industriale e dellinnovazio-ne per la quale vi sarebbenecessit di inve-stire risorse pubbliche significative. Recu-perare una prospettiva di crescita di me-dio-lungo periodo richiede azioni integra-te di politica economica sui sistemi indu-striali ed innovativi, per la centralit del la-voro e delle dinamiche retributive. Nonmancano certo proposte per attivare unmeccanismo virtuoso che inneschi e so-stenga la crescita della produttivit e delleretribuzioni. Questa politica consentireb-

    be di uscire dalla trappola ormai ventenna-le della stagnazione delleconomia italia-na.Anzitutto, occorre una politica industria-

    le pubblica per i settori strategici, sia quellitradizionali e maturi, che per quelli nuovied innovativi. La determinazione della poli-tica industriale implica decidere come edove collocare la manifattura italiana nelmercato globale in termini di contenutotecnologico, tipologie di produzioni, soddi-sfacimento della domanda; inoltre qualicambiamenti strutturali realizzare nel siste-ma economico, non solo in termini di cre-scita quantitativa della domanda,ma cam-biamenti nella sua composizione e direzio-ne di sviluppo. noto che linnovazione diprodotto ha un ampio effetto positivosulloccupazione; lo stesso effetto non sipresenta invece per linnovazione di pro-cesso e per quella organizzativa. Tuttavia,linnovazione di processo ed organizzativaha un impatto forte sulle performance eco-nomiche delle imprese e sullinnovazionedi prodotto stessa. LItalia in grave ritar-doper innescare linnovazione sia tecnolo-gica che organizzativa in modo sinergico,focalizzata sui cambiamenti nellorganizza-zione del lavoro a basata anche su modellidi partecipazionediretta ed indiretta dei la-voratori, nellamanifattura e nei servizi. Ungoverno lungimirante e concreto che rifug-ge dai reiterati annunci dovrebbe sostene-re linnovazione organizzativa volta ad ac-crescere la partecipazione dei lavoratorinei processi decisionali delle imprese, ac-crescendo sia le responsabilit che lauto-nomia dei livelli inferiori e riducendo i livel-li gerarchici, incentivando pratiche di orga-nizzazione del lavoro che favoriscono losviluppo e la crescita delle competenze deilavoratori, percorsi di formazione ed accre-scimento dei contenuti dellattivit lavora-tiva.

    Non vi dubbio che lobiettivo da perse-guire attraverso la contrattazione sia ma-croeconomico, individuato nella crescitadella produttivit e nel recupero di compe-titivit dellapparato industriale nazionale; il sistemanel suo complesso che deve in-traprendere un circolo virtuoso. Ci richie-de due pilastri che ripristino le relazioni in-dustriali come strumento di regolazionedel mercato del lavoro e di redistribuzionedel reddito: il contratto nazionale ed il con-tratto decentrato.Nellambito del sistema contrattuale su

    due livelli, quello centrale (nazionale e disettore) e quello decentrato (aziendale eterritoriale), occorre anzitutto rafforzare ilprimo. La contrattazionenazionale e di set-tore nondeve rinunciare a preservare il po-tere dacquisto del salario, con meccani-smi di tutela del salario rispetto alle dina-

    miche dei prezzi. Inoltre, la crescita con-trattata dei salari non pu essere conside-rata componente residuale che nel temposi annulla per lasciare sempre pi spazioad una ipotetica crescita a livello decentra-to lasciata alla discrezione delle imprese.Il coordinamento delle politiche euro-

    peedel lavoro dovrebbe perseguire la rego-la doro delle retribuzioni per sostenereuna crescita trainata dalla domanda inter-na piuttosto che dalle esportazioni. In casocontrario, i processi di consolidamento fi-scale continueranno a deprimere la do-manda aggregata ed il mercato interno eu-ropeo e ad incrementare la disoccupazio-ne, rendendo sempre pi debole la dinami-ca salariale ed aggravando il circolo viziosocon la stagnazione della produttivit.

    (la versione completa pubblicata suwww.sbilanciamoci.info)

    (JVMJP .BSDPO

    /BUBMJB 1BDJ

    OCCORRE UNA POLITICA INDUSTRIALEPUBBLICA PER I SETTORI STRATEGICI,SIA PERQUELLI TRADIZIONALI EMATURICHE PERQUELLI CONSIDERATI INNOVATIVI

    SERVIREBBE UN PIANOSTRAORDINARIOPER CREAREOCCUPAZIONENELLA LOTTAAL DISSESTO IDROGEOLOGICO, IN EDILIZIASCOLASTICA ENELLE PICCOLEOPERE

    /VPWF SFHPMFDPT TJ USBTGPSNBJM QSFDBSJBUP%BJ WPVDIFS BHMJ TUBHF QBHBUJ DPO UJDLFUSFTUBVSBOU FDDP MF OVPWF GPSNF EFM MBWPSPUFNQPSBOFP & B WPMUF UPUBMNFOUF HSBUVJUP

    Dobbiamo aumentare la produttivit del la-voro? Sicuramente, come quella del capi-tale. Tra il 1992 e il 2012 la produttivit delcapitale stata negativa dello 0,7, mentre quelladel lavoro positiva dello 0,8 (Ocse-Istat). Pochialtri paesi hanno registrato valori cos negativi.Cosa si nasconde dietro la bassa produttivit delcapitale rispetto al lavoro?Tanto pi linnovazione impatta su lavoro o ca-

    pitale, tanto pi la produttivit cambia segno. I li-beristi misurano la produttivit come un residuo(differenza) tra laumento del prodotto e laumen-to dei fattori produttivi facilmente osservabili. Daun lato abbiamo la produttivit del lavoro calcola-ta come differenza tra crescita del Pil reale e leore lavorate, dallaltra la produttivit del capitalecalcolata come differenza tra crescita del Pil realee capitale impiegato. Nonostante levidente limi-te statistico del modello, la crescita del Pil dipen-de da troppi fattori che la funzione di produzionenon considera, la bassa produttivit del capitaleitaliano non un fenomeno nuovo. Le impreseitaliane investono in rapporto al Pil pi dellame-dia europea e, nonostante questo rapporto, lacrescita molto contenuta. Se occorre una mag-giore quota di capitale per ottenere la stessa pro-duzione di altri paesi, per definizione il capitale meno produttivo. La pubblicistica sostiene la ne-cessit di aumentare la produttivit del lavoro,ma le ore lavorate per addetto dellItalia sono ol-tre lamedia europea. La debolezza del capitale in-dustriale attribuibile allintensit tecnologicadegli stessi.Mentre il rapporto ricerca e sviluppo/investi-

    menti cresciuto in tutti i paesi avanzati, lItalia rimasta ferma agli anni novanta. LItalia ha unaintensit tecnologica per investimento privatotra il 12-15%, la Germania prossima al 60%, pernon parlare della Finlandia che traguarda il 75%.Questa distanza cambia la produttivit del lavoroe del capitale, con una differenza: la produttivitdel lavoro direttamente proporzionale al comee al che cosa si produce, la produttivit del capita-le direttamente proporzionale alla conoscenzaincorporata e riflette la specializzazione produtti-va. In altri termini, la produttivit dellItalia bas-sa perch produciamo beni e servizi che necessi-tano di lavoro e capitale dequalificato.

    3PCFSUP 3PNBOP

    6O/FX%FBMP JM EJTBTUSP*M HPWFSOP 3FO[J OPO FTDF GVPSJ EBM EPHNBEFM NFSDBUP DBQBDF EJ BVUPSFHPMBSTJ4FO[B QPMJUJDIF QVCCMJDIF MB DSJTJ OPO GJOJTDF

    LUNICACOSACHE CRESCER IL NUMERODI DIPENDENTIESCLUSI DALLA TUTELA DELLARTICOLO 18. IL PIANOGIOVANIDELMINISTRO POLETTI SI RIVELATOUN FLOP E I BUONI LAVOROSONOORMAI UTILIZZATI QUASI INOGNI SETTORE

    VENERD 20 MARZO 2015SBILANCIAMO L'EUROPAN58 - PAGINA III

    5VUFMF DSFTDFOUJNB TPMPQFS J QBESPOJ3FJOUFHSB[JPOF TPMP JO DBTJ SFTJEVBMJ JOEFOOJUMFHBUF BMMlBO[JBOJU BTTVO[JPOJ B MVOHP UFSNJOFTDPSBHHJBUF $PTB DBNCJB DPO JM +PCT "DU

    $%#,)./3ULLA PRODUTTIVIT L)TALIA FERMA AGLI ANNI .OVANTA

    La realt che i governi occi-dentali di questi anni (e Renzi,oggi), rinunciano adogni politi-

    ca pubblica attiva: non c una politicaindustriale, non c una politica degliinvestimenti pubblici (che in 20 annisi sono dimezzati), non c una politi-ca del lavoro.

    Non c pi una politica della do-manda (di sostegno, programmazio-ne, investimento), ma solo dellofferta,dove - per quel che ci riguarda - non pi nemmeno offerta di lavoro, ma of-ferta di lavoratori alle condizioni pivantaggiose per le imprese. Nel frat-tempo gli ultimi dati Istat ci diconoche la situazione in Italia continua apeggiorare. E gi questo dovrebbe in-durre i governi ad un serio ripensa-mento delle politiche sin qui seguite.Lidea di lasciare al mercato la crea-

    zione di occupazione non funziona enon ha funzionato mai, se non per laproduzione di posti di lavoro precari,effimeri, mal retribuiti, senza tutele.Maquale sistema economico e produt-tivo pu pensare di sopravvivere gra-zie ad una idea di lavoro cos retriva epadronale? Altro che modernit, quisiamo al ritorno allottocento, anchese 2.0. Un lavoro senza qualit portacon s una economia senza futuro.Senza un investimento nel lavoro (intermini di risorse, ma anche di forma-zione, di tutele, ecc.) non ci pu esserealcuna economia di qualit, innovati-va, capace di competere. Unimpresache si serve del lavoro usa e getta, nonha speranze, di bassa qualit, durapoco: non pi impresa,ma solo busi-ness di piccolo cabotaggio (anche semagari di grande ritorno affaristico).Servirebbe invece una politica pub-

    blica per il lavoro: una sorta di pianostraordinario del lavoro fondato sugliinvestimenti pubblici per creare occu-pazionenella risposta alle grandi emer-genze nazionali (lotta al dissesto idro-geologico, edilizia scolastica, piccoleopere, ecc) e nelle frontiere delle nuo-

    ve produzioni della cosiddetta GreenEconomy (mobilit sostenibile, ener-gie pulite, ecc.). Servirebbe uno Statoche fosse attivo -indirettamente, maanche direttamente- nella creazionedi posti di lavoro, attraverso unagen-zia nazionale come quella (la WorksProgress Administration) che fu creatada Franklin Delano Roosevelt duranteil New Deal. E servirebbero degli inve-stimenti pazienti (che danno riscontrosul medio periodo) in settori fonda-mentali per creare buona economia ebuona occupazione: nellinnovazionee nella ricerca, nel settore formativo ededucativo e nella coesione sociale. Epoi, bisognerebbe riprendere un di-scorso che oggi pu sembrare incontrotendenza (sicuramente rispet-to alle politiche neoliberiste), maquanto mai attuale e necessario: lariduzione dellorario di lavoro. Se illavoro poco, bisogna fare in modoche il lavoro sia redistribuito il pipossibile. Lasciare milioni di perso-ne nella disoccupazione e nellinatti-vit economicamente sbagliato,moralmente disumano e socialmen-te ingiusto e pericoloso.

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    VENERD 20 MARZO 2015SBILANCIAMO L'EUROPAN58 - PAGINA II

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  • Duesettimane sonoun tempoas-sai breve, ma i primi segnalidellapplicazione del primo de-creto attuativo del Jobs Act non sonopromettenti, a dispetto degli annunci.I nuovi licenziamenti facili senza art.18 hanno provocato come primissimoeffetto unondata di licenziamenti col-lettivi in uno dei settori pi fragili delmercato del lavoro, che gi aveva uncosto del lavoro pi basso degli altri e

    unoccupazione tempora-nea pi alta: nei

    call-cen-

    ter Almaviva sono stati messi a rischio7 mila posti di lavoro per poterli sosti-tuire con nuove assunzionimeno tute-late. Ora Tito Boeri, dal suo nuovo seg-gio dellInps, dice che 76 mila aziendehanno fatto domanda a febbraio di ac-cedere alla decontribuzione per le nuo-ve assunzioni. Conmeno enfasi la Fon-dazioneConsulenti del Lavoro fa nota-re che nell80%dei casi si tratta di rego-larizzazioni di collaborazioni a proget-to, partite Iva e altra varia precariet esolo nel restante 20% di nuove assun-zioni. da notare che fino ad agostol80%delle nuove assunzioni erano sti-pulate con contratti atipici e solo un15% a tempo indeterminato. La diffe-

    renza che ora il 100% esclusodalla tutela dellart. 18.

    Che dire poi

    della coppia di giovani coniugi che aCagliari, con il contratto unico frescodi firma, corsa in banca a stipulareunmutuo per la casa dei sogni. Hannobussato a 11 istituti di credito, tede-schi, italiani e olandesi, ma nessun di-rettore ha dato loro credito, nel verosenso della parola. Non hanno credu-to, in assenza di ulteriori garanzie fi-deiussorie, alla stabilit del loro reddi-to. Pu darsi che la tendenza sar in-vertita, che arriveranno le assunzionidi Melfi a rimpolpare il numero deinuovi occupati, ma di certo questi se-gnali non sono dovuti a intrinseca cat-tiveria.Per agevolare le assunzioni con quel-

    lo che dallo scorso 7marzo si proponecome il nuovo contratto standard, il go-verno, tramite la legge di Stabilit, hamesso sul tavolo un pacchetto di de-contribuzione che arriva ad un massi-male di 8.060 euro a persona. Il bonus alimentato anche dai 1,5 miliardistanziati dal piano Youth Guaranteedel Fondo sociale europeo, partito 10mesi fa con valutazioni ottimistichedel ministro Poletti: avrebbe portatoallinserimento lavorativo di 900 milagiovani tra i 15 e i 29 anni che non stu-diano e non lavorano nel giro di 24mesi. Secondo il centro studi Adaptfondato da Marco Biagi e diretto daMichele Tiraboschi, su un bacino po-tenziale di 2.254 mila giovani Neet, gliiscritti al piano sono soltanto 435.729.Il flop non si ferma qui. Solo il 48% de-gli iscritti ha ottenuto un primo collo-quio di lavoro e solo l8,1% ha avutouna qualche proposta di lavoro, spes-so assolutamente generica e senza al-cuna formazione o apprendistato.Del resto, per avvicinare i giovani allavoro, durante lExpo si far ampioricorso a stage gratuiti o pagati conqualche ticket-restaurant. Per i nonpi tanto giovani e gi specializzati in-vece si far ampio uso di voucher, stru-mento che si delinea comenuovo sala-rio dingresso.I buoni-lavoro, concepiti inizialmen-

    te come forma di emersione puntifor-me del lavoro nero accessorio - ba-by-sittering e altri lavoretti - hannoavuto negli anni una progressioneesponenziale. Non per perfida casuali-t ma perch il loro campo di applica-zione stato progressivamente estesocon 12 interventi regolativi in 11 annidi vita dello strumento.Ormai sonouti-lizzati in quasi ogni settore, dal turi-smo allagricoltura stagionale, dalleaziende familiari alle imprese con finidi lucro e perfino nelle amministrazio-ni pubbliche e nei tribunali. Ogni tic-ket da 10 euro incorpora una minimacontribuzione Inps e Inail e nelle indi-cazioni si riferisce a una paga oraria,ma il voucher un pagamento a pre-stazione, perci troppo spesso vieneusato per pagare una attivit giornalie-ra, non necessariamente di otto ore.Non prevede malattia o nessuna altraindennit, una specie di gratta e vin-ci del lavoro, acquistabile e riscuotibileanche nelle tabaccherie autorizzate ol-tre che online grazie a una appositacarta Poste-pay. Lunico limite ilmas-simale, ampliato in tre anni da 3mila a5.060 euro eora, nello schemadi decre-to attuativo, fino a 7 mila euro lanno.La bozza di decreto vorrebbe renderlopi tracciabile, prevedendo la certifica-zione anagrafica e fiscale del lavorato-re da parte dellutilizzatore, senza ulte-riori oneri incluso lIrap, ed escludernelutilizzo negli appalti, dove si configu-rerebbe un dumping sociale, cio con-correnza sleale, ma gi c chi si oppo-ne a queste regolamentazioni. Nel frat-tempo si sonoperse le tracce del decre-to che dovrebbe eliminare i cococo(sempre possibili tramite accordoaziendale) e sfoltire la giungla contrat-tuale di altre due tipologie, il job-sha-ring e il lavoro a somministrazione.Tra tagli allIrap e decontribuzione fi-scale paremanchino le coperture. Ora,se anche si avverassero le previsionidelministero dellEconomia sugli effet-ti del Jobs Act, cio circa 250mila nuo-vi posti di lavoro standard lanno pertre anni, chiaro che sarebbe solo unagoccia nelmare. In pi, dal puntodi vi-sta di chi cerca un lavoro, dai tirocinigratuiti fino al punto darrivo del con-tratto unico a fantomatiche tutele cre-scenti, passando per i voucher, si vedesolo una trappola infinita della preca-riet legalizzata.

    I l legislatoremanca di rispetto ai cittadi-ni quando usa in modo improprio leparole, illudendoli che le norme abbia-no un significato diverso da quello chehanno effettivamente. Facciamo un esem-pio: il Contratto a tutele crescenti, in real-t, non un contratto, n prevede tutelecrescenti per i lavoratori. Si tratta, invece,di unabrogazione camuffata dellart. 18dello Statuto dei lavoratori. Per la primavolta dal 1970, la tutela cos detta fortecontro il licenziamento illegittimo (consi-stente nel diritto alla reintegrazione nelposto di lavoro ingiustamente cessato e/oin un risarcimento del danno dignitoso, fi-no a 24 mensilit), non si applicher piai nuovi assunti a partire dal 7 marzo2015. Lunica cosa che sar, quindi, effetti-vamente crescente nel tempo il numerodi lavoratori esclusi dalla tutela dellart.18. Ma forse si intendevano tutele cre-scenti per i datori di lavoro. Alloralespressione giusta.Con la novella, la reintegrazione nel po-

    sto di lavoro si potr ottenere solo nei resi-duali casi di licenziamento orale, nullo odiscriminatorio, sempre che si riesca a dar-ne la difficile prova in giudizio. Negli altricasi si avr diritto solo ad unindennitche non sar pi risarcitoria (come inve-ce prevede lart. 18) in quanto non legataal danno subito dal lavoratore, ma sempli-cemente alla sua anzianit di servizio: duemensilit dellultima retribuzione per ognianno di servizio, con un minimo di quat-tro e unmassimodi ventiquattromensilit(art. 3, comma 1). Per poter arrivare aduna somma di 24 mensilit, il lavoratoredovr avere unanzianit di servizio di al-meno12 anni.Ma sar difficile arrivarci, vi-sto che questo inedito legame del costo diseparazione agli anni di servizio, pi cheincentivare le assunzioni a tempo indeter-minato, sembra scoraggiare linvestimen-to a lungo termine sui lavoratori. proba-bile che la crisi del settimo anno contagianche i rapporti di lavoro, oltre quelli amo-rosi. Peraltro, sar pi facile licenziare per-ch per rendere effettiva lestinzione delrapporto di lavoro, grazie al Jobs Act (recti-us, decreto legislativo n. 23/2015), bastaimputare al lavoratore un fatto qualsiasi,purch sussistente, non importa se non co-s grave da giustificare un licenziamento.La riforma, infatti, preclude al giudice lin-dagine sulla proporzionalit tra fatto com-messo dal lavoratore e recesso del datore.E quindi possibile che si perda il posto dilavoro, ad esempio, per essere arrivati al la-voro in ritardo.Altra novit dal sapore ottocentesco il

    venirmenodella previsione (contenuta, in-vece, nellart. 18) del diritto alla reintegranel caso di illegittimo licenziamento del la-voratore inmalattia o infortunio (senza su-peramento del periodo tutelato, cos dettodi comporto), con il rischio che, persino inquesti casi, il licenziamento, seppure ille-gittimo, resti efficace.Il datore di lavoro che licenza ingiusta-

    mente viene, dalla riforma, persino pre-miato, come risulta dalla disposizione checoncede allo stesso la possibilit di evitareil giudizio offrendo al lavoratore una som-ma non solo dimezzata nellimporto, maanche depurata da oneri contributivi. Perconsentire tale tutela del datore che licen-zia ingiustamente si dovranno accantona-

    re importi crescenti negli anni (ecco le tute-le crescenti!) di risorse pubbliche: 2 milio-ni di euro per lanno 2015, 7,9milioni di eu-ro per lanno 2016, 13,8milioni di euro perlanno 2017, 17,5 milioni di euro per lan-no 2018, 21,2 milioni di euro per lanno2019, 24,4 milioni di euro per lanno 2020,27,6 milioni di euro per lanno 2021, 30,8milioni di euro per lanno 2022, 34,0milio-ni di euro per lanno 2023 e 37,2 milioni dieuro annui a decorrere dallanno 2024. Sinoti, infine, che tali risorse verranno attin-te da quelle riservate, tra laltro, agli am-mortizzatori sociali, ai servizi per il lavoroe le politiche attive. In altri termini, men-tre i datori di lavoro scorretti vengono pre-miati, i lavoratori licenziati ingiustamentevengono penalizzati due volte: prima ridu-cendone la tutela contro lingiusto licenzia-mento, poi riducendo la tutela per la con-sequenziale disoccupazione.In questo diritto del lavoro capovolto

    in cui il soggetto che il legislatore si pre-occupa di tutelare non pi quello de-bole ma quello forte, in cui la libertsindacale ed il controllo giudiziario, in-vece che garanzia di uguaglianza e de-mocrazia vengono ridotti a fastidiosa li-mitazione della discrezionalit impren-ditoriale, in cui a forza di ridurre le tute-le dei lavoratori si arrivati ad intacca-re i diritti fondamentali, non resta cheaffidarsi alla Carta Costituzionale e aquellart. 1 che ponendo il lavoro a fon-damento della Repubblica italiana, ci ri-corda che dal lavoro dovrebbero dipen-dere le politiche economiche eleconomia. E non vice-versa.

    Lapolitica economica continua ad es-sere ancorata a vecchie ricette i cuipilastri sono lausterit fiscale e laflessibilit del lavoro. Non solo si riduconodignit e diritti sociali del lavoro, ma si at-tua con pervicacia la svalutazione salarialecheCommissioneEuropea eBce impongo-no ai paesi europei sulla base della fallaceidea che tutti debbano replicare, ad oltre

    quindici anni di distanza, il modello mer-cantile germanico trainato dalle esporta-zioni, aggravando gli squilibri commercialidentro lEurozona che sono con-causa del-la attuale crisi.Questa strategia, se aumenta la competi-

    tivit di costo di breve periodo sui mercatiesteri, produce la contrazione dei mercatiinterni. La compressione dei salari reali aldi sotto della gi debole crescita della pro-duttivit del lavoro mira a ridurre ancorpi la quota del lavoro sul reddito e favori-sce i profitti che per per carenza di do-manda interna non vengono investiti perallargare la capacit produttiva,ma riversa-ti nelleconomia del debito alla ricerca direndimenti speculativi. Gli animal spiritsimprenditoriali di Keynes sono sempre

    pi miopi e si trasformano in rentiers.LItalia richiede certamente riforme di

    struttura, ma certo non quelle imposte dalpensiero ormai ordo-liberista che questaEuropa germanica del rigore senza cresci-ta ha fatto proprio con la crisi, contribuen-do ad aggravarla. Queste si traducono sem-pre nella ricetta pi privatizzazioni e piflessibilit, come se la competitivit del pa-ese fosse un problema risolvibile con me-no regole e meno Stato, e pi mercato. IlJobs Act nonmuta questo quadro, anzi at-

    tuauna politica del lavoro chemira alla sta-gnazione dei salari nominali ed alla defla-zionedei salari reali. Nullaltro, il resto so-lo rumore di fondo: gli outsider sarannosempre pi esclusi e gli insider si trasfor-meranno in outsider. Non vi traccia di al-cuna politica industriale e dellinnovazio-ne per la quale vi sarebbenecessit di inve-stire risorse pubbliche significative. Recu-perare una prospettiva di crescita di me-dio-lungo periodo richiede azioni integra-te di politica economica sui sistemi indu-striali ed innovativi, per la centralit del la-voro e delle dinamiche retributive. Nonmancano certo proposte per attivare unmeccanismo virtuoso che inneschi e so-stenga la crescita della produttivit e delleretribuzioni. Questa politica consentireb-

    be di uscire dalla trappola ormai ventenna-le della stagnazione delleconomia italia-na.Anzitutto, occorre una politica industria-

    le pubblica per i settori strategici, sia quellitradizionali e maturi, che per quelli nuovied innovativi. La determinazione della poli-tica industriale implica decidere come edove collocare la manifattura italiana nelmercato globale in termini di contenutotecnologico, tipologie di produzioni, soddi-sfacimento della domanda; inoltre qualicambiamenti strutturali realizzare nel siste-ma economico, non solo in termini di cre-scita quantitativa della domanda,ma cam-biamenti nella sua composizione e direzio-ne di sviluppo. noto che linnovazione diprodotto ha un ampio effetto positivosulloccupazione; lo stesso effetto non sipresenta invece per linnovazione di pro-cesso e per quella organizzativa. Tuttavia,linnovazione di processo ed organizzativaha un impatto forte sulle performance eco-nomiche delle imprese e sullinnovazionedi prodotto stessa. LItalia in grave ritar-doper innescare linnovazione sia tecnolo-gica che organizzativa in modo sinergico,focalizzata sui cambiamenti nellorganizza-zione del lavoro a basata anche su modellidi partecipazionediretta ed indiretta dei la-voratori, nellamanifattura e nei servizi. Ungoverno lungimirante e concreto che rifug-ge dai reiterati annunci dovrebbe sostene-re linnovazione organizzativa volta ad ac-crescere la partecipazione dei lavoratorinei processi decisionali delle imprese, ac-crescendo sia le responsabilit che lauto-nomia dei livelli inferiori e riducendo i livel-li gerarchici, incentivando pratiche di orga-nizzazione del lavoro che favoriscono losviluppo e la crescita delle competenze deilavoratori, percorsi di formazione ed accre-scimento dei contenuti dellattivit lavora-tiva.

    Non vi dubbio che lobiettivo da perse-guire attraverso la contrattazione sia ma-croeconomico, individuato nella crescitadella produttivit e nel recupero di compe-titivit dellapparato industriale nazionale; il sistemanel suo complesso che deve in-traprendere un circolo virtuoso. Ci richie-de due pilastri che ripristino le relazioni in-dustriali come strumento di regolazionedel mercato del lavoro e di redistribuzionedel reddito: il contratto nazionale ed il con-tratto decentrato.Nellambito del sistema contrattuale su

    due livelli, quello centrale (nazionale e disettore) e quello decentrato (aziendale eterritoriale), occorre anzitutto rafforzare ilprimo. La contrattazionenazionale e di set-tore nondeve rinunciare a preservare il po-tere dacquisto del salario, con meccani-smi di tutela del salario rispetto alle dina-

    miche dei prezzi. Inoltre, la crescita con-trattata dei salari non pu essere conside-rata componente residuale che nel temposi annulla per lasciare sempre pi spazioad una ipotetica crescita a livello decentra-to lasciata alla discrezione delle imprese.Il coordinamento delle politiche euro-

    peedel lavoro dovrebbe perseguire la rego-la doro delle retribuzioni per sostenereuna crescita trainata dalla domanda inter-na piuttosto che dalle esportazioni. In casocontrario, i processi di consolidamento fi-scale continueranno a deprimere la do-manda aggregata ed il mercato interno eu-ropeo e ad incrementare la disoccupazio-ne, rendendo sempre pi debole la dinami-ca salariale ed aggravando il circolo viziosocon la stagnazione della produttivit.

    (la versione completa pubblicata suwww.sbilanciamoci.info)

    (JVMJP .BSDPO

    /BUBMJB 1BDJ

    OCCORRE UNA POLITICA INDUSTRIALEPUBBLICA PER I SETTORI STRATEGICI,SIA PERQUELLI TRADIZIONALI EMATURICHE PERQUELLI CONSIDERATI INNOVATIVI

    SERVIREBBE UN PIANOSTRAORDINARIOPER CREAREOCCUPAZIONENELLA LOTTAAL DISSESTO IDROGEOLOGICO, IN EDILIZIASCOLASTICA ENELLE PICCOLEOPERE

    /VPWF SFHPMFDPT TJ USBTGPSNBJM QSFDBSJBUP%BJ WPVDIFS BHMJ TUBHF QBHBUJ DPO UJDLFUSFTUBVSBOU FDDP MF OVPWF GPSNF EFM MBWPSPUFNQPSBOFP & B WPMUF UPUBMNFOUF HSBUVJUP

    Dobbiamo aumentare la produttivit del la-voro? Sicuramente, come quella del capi-tale. Tra il 1992 e il 2012 la produttivit delcapitale stata negativa dello 0,7, mentre quelladel lavoro positiva dello 0,8 (Ocse-Istat). Pochialtri paesi hanno registrato valori cos negativi.Cosa si nasconde dietro la bassa produttivit delcapitale rispetto al lavoro?Tanto pi linnovazione impatta su lavoro o ca-

    pitale, tanto pi la produttivit cambia segno. I li-beristi misurano la produttivit come un residuo(differenza) tra laumento del prodotto e laumen-to dei fattori produttivi facilmente osservabili. Daun lato abbiamo la produttivit del lavoro calcola-ta come differenza tra crescita del Pil reale e leore lavorate, dallaltra la produttivit del capitalecalcolata come differenza tra crescita del Pil realee capitale impiegato. Nonostante levidente limi-te statistico del modello, la crescita del Pil dipen-de da troppi fattori che la funzione di produzionenon considera, la bassa produttivit del capitaleitaliano non un fenomeno nuovo. Le impreseitaliane investono in rapporto al Pil pi dellame-dia europea e, nonostante questo rapporto, lacrescita molto contenuta. Se occorre una mag-giore quota di capitale per ottenere la stessa pro-duzione di altri paesi, per definizione il capitale meno produttivo. La pubblicistica sostiene la ne-cessit di aumentare la produttivit del lavoro,ma le ore lavorate per addetto dellItalia sono ol-tre lamedia europea. La debolezza del capitale in-dustriale attribuibile allintensit tecnologicadegli stessi.Mentre il rapporto ricerca e sviluppo/investi-

    menti cresciuto in tutti i paesi avanzati, lItalia rimasta ferma agli anni novanta. LItalia ha unaintensit tecnologica per investimento privatotra il 12-15%, la Germania prossima al 60%, pernon parlare della Finlandia che traguarda il 75%.Questa distanza cambia la produttivit del lavoroe del capitale, con una differenza: la produttivitdel lavoro direttamente proporzionale al comee al che cosa si produce, la produttivit del capita-le direttamente proporzionale alla conoscenzaincorporata e riflette la specializzazione produtti-va. In altri termini, la produttivit dellItalia bas-sa perch produciamo beni e servizi che necessi-tano di lavoro e capitale dequalificato.

    3PCFSUP 3PNBOP

    6O/FX%FBMP JM EJTBTUSP*M HPWFSOP 3FO[J OPO FTDF GVPSJ EBM EPHNBEFM NFSDBUP DBQBDF EJ BVUPSFHPMBSTJ4FO[B QPMJUJDIF QVCCMJDIF MB DSJTJ OPO GJOJTDF

    LUNICACOSACHE CRESCER IL NUMERODI DIPENDENTIESCLUSI DALLA TUTELA DELLARTICOLO 18. IL PIANOGIOVANIDELMINISTRO POLETTI SI RIVELATOUN FLOP E I BUONI LAVOROSONOORMAI UTILIZZATI QUASI INOGNI SETTORE

    VENERD 20 MARZO 2015SBILANCIAMO L'EUROPAN58 - PAGINA III

    5VUFMF DSFTDFOUJNB TPMPQFS J QBESPOJ3FJOUFHSB[JPOF TPMP JO DBTJ SFTJEVBMJ JOEFOOJUMFHBUF BMMlBO[JBOJU BTTVO[JPOJ B MVOHP UFSNJOFTDPSBHHJBUF $PTB DBNCJB DPO JM +PCT "DU

    $%#,)./3ULLA PRODUTTIVIT L)TALIA FERMA AGLI ANNI .OVANTA

    La realt che i governi occi-dentali di questi anni (e Renzi,oggi), rinunciano adogni politi-

    ca pubblica attiva: non c una politicaindustriale, non c una politica degliinvestimenti pubblici (che in 20 annisi sono dimezzati), non c una politi-ca del lavoro.

    Non c pi una politica della do-manda (di sostegno, programmazio-ne, investimento), ma solo dellofferta,dove - per quel che ci riguarda - non pi nemmeno offerta di lavoro, ma of-ferta di lavoratori alle condizioni pivantaggiose per le imprese. Nel frat-tempo gli ultimi dati Istat ci diconoche la situazione in Italia continua apeggiorare. E gi questo dovrebbe in-durre i governi ad un serio ripensa-mento delle politiche sin qui seguite.Lidea di lasciare al mercato la crea-

    zione di occupazione non funziona enon ha funzionato mai, se non per laproduzione di posti di lavoro precari,effimeri, mal retribuiti, senza tutele.Maquale sistema economico e produt-tivo pu pensare di sopravvivere gra-zie ad una idea di lavoro cos retriva epadronale? Altro che modernit, quisiamo al ritorno allottocento, anchese 2.0. Un lavoro senza qualit portacon s una economia senza futuro.Senza un investimento nel lavoro (intermini di risorse, ma anche di forma-zione, di tutele, ecc.) non ci pu esserealcuna economia di qualit, innovati-va, capace di competere. Unimpresache si serve del lavoro usa e getta, nonha speranze, di bassa qualit, durapoco: non pi impresa,ma solo busi-ness di piccolo cabotaggio (anche semagari di grande ritorno affaristico).Servirebbe invece una politica pub-

    blica per il lavoro: una sorta di pianostraordinario del lavoro fondato sugliinvestimenti pubblici per creare occu-pazionenella risposta alle grandi emer-genze nazionali (lotta al dissesto idro-geologico, edilizia scolastica, piccoleopere, ecc) e nelle frontiere delle nuo-

    ve produzioni della cosiddetta GreenEconomy (mobilit sostenibile, ener-gie pulite, ecc.). Servirebbe uno Statoche fosse attivo -indirettamente, maanche direttamente- nella creazionedi posti di lavoro, attraverso unagen-zia nazionale come quella (la WorksProgress Administration) che fu creatada Franklin Delano Roosevelt duranteil New Deal. E servirebbero degli inve-stimenti pazienti (che danno riscontrosul medio periodo) in settori fonda-mentali per creare buona economia ebuona occupazione: nellinnovazionee nella ricerca, nel settore formativo ededucativo e nella coesione sociale. Epoi, bisognerebbe riprendere un di-scorso che oggi pu sembrare incontrotendenza (sicuramente rispet-to alle politiche neoliberiste), maquanto mai attuale e necessario: lariduzione dellorario di lavoro. Se illavoro poco, bisogna fare in modoche il lavoro sia redistribuito il pipossibile. Lasciare milioni di perso-ne nella disoccupazione e nellinatti-vit economicamente sbagliato,moralmente disumano e socialmen-te ingiusto e pericoloso.

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    VENERD 20 MARZO 2015SBILANCIAMO L'EUROPAN58 - PAGINA II

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    Oggi in Italia ci sono 3milioni didisoccupati ufficiali; se ad essisi aggiungono i disoccupatiparziali e gli inattivi disponibili si trat-ta di 9 milioni di persone: una situa-zione sociale drammatica che il JobsAct non affronta. La sua filosofia diaumentare i posti di lavoro facilitan-do i licenziamenti e sussidiando le im-prese a espandere i contratti a tempodeterminato non una soluzione. Ba-

    sti pensare che il Cnel stima che conuna crescita annua delloccupazionedell1,1% (scenario ritenuto ottimi-sta) solo nel 2020 il tasso di disoccu-pazione si riporterebbe alla situazio-nepre-crisi (e a 1,8milioni di disoccu-pati).Mauna tale situazione richiede-rebbeuna crescitamedia della produ-zione del 2% e non facile trovarequalcuno anche con laria nuova diCernobbio disposto a scommetter-ci. A condizioni sostanzialmente inal-terate di disoccupazione si accompa-gnerebbero condizioni di precariet

    del lavoro: attualmente vi sono 3,4mi-lioni di working poor (0,8 tra gli auto-nomi), 2,5 milioni di lavoratori inpart-time involontario (32% femmini-le), 65% dei nuovi contratti a tempodeterminato di cui il 46% registra unadurata inferiore al mese. Se non simodificano le attuali istituzioni e poli-tiche del lavoro, anche la prossima ge-

    nerazione vivr una situazione di ec-cesso di offerta di lavoro che estende-r la precariet alla maggioranza del-la popolazione attiva. Il futuro di scar-sa e cattiva occupazione il prodottodi un mercato del lavoro che operacome meccanismo di ingiustizia e diimmiserimento sociale.Non cera certamente bisogno di

    un Jobs Act che volutamente conse-gna le vite dei lavoratori alle scelte so-cialmente regressive delle imprese.Vi invece lesigenza che di garantirea tutti unattivit (sia essa dipendente

    o indipendente) che assicuri una pro-spettiva di lavoro e di vita dignitosa. in questa direzione che Sbilanciamo-ci! ritiene necessario proporre un ter-reno di confronto per elaborare unWorkers Act, un progetto di politicaper il lavoro, che si articoli lungo treassi: attivazione di lavori concreti, ri-duzionedellorario di lavoro, unwelfa-re universalistico per il lavoro (dipen-dente e non). In primo luogo, va rilan-ciato il ruolo dello Stato (e degli entipubblici) come occupatore di ultimaistanza (Piani del lavoro, ma ancheServizio civile nazionale) finalizzandogli aumenti occupazionali alla creazio-ne di valori socialmente utili. Inoltreoccorre intervenire sugli orari di lavo-ro poich - data lattuale dimensionedella disoccupazione, inoccupazione,sottoccupazione possibile amplia-re i posti di lavoro solo riducendo iltempo medio di lavoro. Per garantirelivelli adeguati di reddito a chi lavoraa orari pi ridotti occorre ristrutturarelimposizione fiscale e previdenzialealleggerendola drasticamente su con-tratti pi brevi e accentuandola suquelli prolungati.Ma anche cos dif-ficile garantire allintera popolazioneattiva, in particolare a chi svolge unat-tivit autonoma, la disponibilit di unreddito.Occorre, terzopunto, ridefini-re il sistema di welfare attorno a unaformadi redditominimo che, fungen-do da salario di riserva, contrasti lapressione al ridimensionamento sala-riale. Si tratta di pensare a una misu-

    ra, universale e incondizionata, chesia un punto di riferimento per il rias-setto delle altre forme esistenti di so-stegno del reddito.Sono temi che richiedonouna rifles-

    sione impegnativa, ma non tanto peri molti e importanti aspetti tecniciche si pongono: a questo livello, le ca-pacit, le competenze e le intelligenzesono ampiamente disponibili. Quelloche importa la convinzione cheque-sta prospettiva possa costituire il fon-damento della politica economica. Anessuno sfugge infatti che, per realiz-zare una tale politica per il lavoro, sia-nonecessari opportuni indirizzi di po-litica industriale per rafforzare e rio-rientare la crescita produttiva; che sirichiedaunapolitica fiscale che ne ga-rantisca lopportuno finanziamento euna amministrazione pubblica effi-ciente in grado di controllare e gestirelinteroprocesso. Si deve peraltro ave-re consapevolezza delle difficolt cheincontrauna tale riflessionenellattua-le situazione culturale caratterizzatadauna subordinazioneal pensierodo-minante che impedisce di pensare aqualcosadi diverso rispetto allamanu-tenzione dellesistente.Ma, a fronte di una tendenza strut-

    turale che prospetta un futuro diffici-le per i lavoratori, doveroso impe-gnarsi nel costruire unalternativa al-trettanto strutturale, con la consape-volezza che la soluzione non dietroallangolo, ma che importante sce-gliere langolo sul quale svoltare.

    CI SONO3,5MILIONI DIWORKING POOR E2,5MILIONI IN PART TIME INVOLONTARIO.VA RILANCIATO IL RUOLODELLO STATOCOMEOCCUPATORE DI ULTIMA ISTANZA

    Dagli anni novanta i governi siadi centrodestra sia di centrosi-nistra hanno introdotto diver-si cambiamenti nel mercato del lavo-ro: riforma delle pensioni, pacchettoTreu, legge Biagi, legge Fornero eJobs act sono i principali interventiche, con ottica bipartisan, hanno cam-biato il mondo del lavoro. Utilizzan-do i dati Istat, si nota come loccupa-zione - che include i dipendenti a tem-po indeterminato, a tempo determi-nato, gli interinali e i datori di lavoroche partecipano attivamente nellim-presa ma esclude il lavoro atipico -sia cambiata molto nel tempo.Le oltre 21,5 milioni di posizioni la-

    vorative del 1990, nel 2014 aumentanodi circa unmilione di unit, con un in-cremento complessivo di appena cin-que punti percentuali. Il tasso di occu-pazione negli anni resta costante, regi-strando una variazione massima nel2008 (58,6%) rispetto al 1990 (54,9%),mentre nel 2014 registra un aumentodi un solo punto percentuale (56%).Lamaggior presenza di donne e immi-grati sono stati i due elementi di novi-t. I dati mostrano una crescita soste-nuta delle donne occupate con un in-cremento complessivo di oltre ventipunti percentuali fra il 2014 e il 1990.Invece gli occupati extracomunitarifra il 2004 e il 2014 passano da 965milaa oltre 2,3 milioni.Il tasso di disoccupazione possiede

    un andamento discontinuo acceleran-do nei primi anni novanta fino al pic-co dell11,3% nel 1990. Da allora la di-soccupazione si riduce fino al 2008(6,1%) per poi tornare in crescita conla recessione e le politiche di austeritche la riportano stabilmente al di so-

    pra del 10% con oltre 1,6 milione dipersone in cerca di lavoro. In pochi an-ni la disoccupazione torna ai valori deiprimi anni novanta, ma con unoccu-pazione pi precaria e con minori ga-ranzie. I contratti di lavoro dipendentea tempo determinato, liberalizzati dalsecondo governo Berlusconi e i con-tratti interinali, prendono piede assairapidamente e nellarco di dieci annicrescono costantemente fino a rag-giungere nel 2014 un livello assai mag-giore rispetto al 2004 (+56%). Al contra-rio i contratti a tempo indeterminatoregistrano in dieci anni un incrementoassai minore, pariall8%. Loccupazio-ne negli anni nonpremia n il Mezzo-giorno n i giovani.Dal 1990 gli occupa-ti nel Sud si riduco-no fino a scenderenel 2014 dell8%. Ledonne nel Sud au-mentano la loro par-tecipazione ma conmiglioramenti infe-riori alla media na-zionale: registrano un picco nel 2012(+19% rispetto al 1990), che poi nel2014 si ridimensiona al 12%.Gli occupati, con et compresa fra i

    15 e i 24 anni, diminuiscono ogni an-no e nel 2014, il loro livello di occupa-zione si ridotto di oltre due terzi ri-spetto al 1990: i quasi 3 milioni di gio-vani occupati nel novanta diventanoappena un milione nel 2014.Anche se i pi giovani con gli anni si

    riducono di numero per la dinamicademografica il mercato del lavoro rie-sce ad assorbirne sempre pochi tantoche il tasso di disoccupazione per i la-voratori fra i 15 e i 24 anni , pari al 27%nel 1990, pur subendo qualche riduzio-

    ne fino al 2008 tocca picchi maggioridel 40% tra il 2013 e il 2014.Il fenomeno di meno occupati, me-

    no disoccupati e maggior tasso di di-soccupazione fra i giovani si spiega an-che per il diffondersi del fenomenodei Neet oltre allaffermarsi di formedi lavoro atipiche non contabilizzatenegli indicatori tradizionali.Oltre 1,4 milioni di giovani fra i 15 e

    i 24 anni e 3,7milioni fra i 15 e i 34 an-ni nel 2014 hanno scelto di rimanerefuori dal mercato del lavoro e dal cir-cuito della formazione e dellistruzio-ne. La flessibilit non sembra in gra-do di attrarli e farli tornare attivi: fra il2004 e il 2014, i numeri ufficiali evi-denziano un incremento del 41% deiNeet con 15-24 anni e del 24% perquelli con 15 e i 34 anni.Degli oltre 1,2milioni di collaborato-

    ri attivi nel 2013, circa 600 mila nonpossiedono caratteristiche professio-nali definite, mentre gli altri in granparte appartengono agli amministrato-ri di societ, e inmisuraminore a cate-gorie specifiche quali i dottorandi e imedici specializzandi. Circa 80 milagiovani fra i 18 e i 24 anni svolgono col-laborazioni nel 2013, assieme ad oltre200 mila ultrasessantenni. Il mondodel lavoro atipico passa trasversalmen-te fra le generazioni, facilitando il ritor-no nelmondo del lavoro dei pensiona-

    ti e creando sacche di precariato fra igiovani. Degli oltre 179mila collabora-tori esclusivi che erano attivi nel 2000,solo il 36% dopo tredici anni ha rag-giunto un contratto a tempo indeter-minato, mentre la maggior parte uscita dal mondo del lavoro.Ad oggi tutte le promesse delle rifor-

    medel lavoro non sono statemantenu-te, dalla flexicurity, mai realizzata dalministro Fornero, ai sussidi universali,ventilati a inizio legislatura e oggi sepol-ti fra le carte del Parlamento. La rifor-ma del Jobs act non sembra far altrocheprecarizzare tutti sferrandounnuo-vo colpo ai diritti dei lavoratori, in atte-sa della prossima miracolosa riforma.

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    VENERD 20 MARZO 2015SBILANCIAMO L'EUROPAN58 - PAGINA IV

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