achab VI MASTER (2) - download.istella.itdownload.istella.it/user/515ca8ee1f7819da2d00005a/originals/c81... · AChAB - Rivista di Antropologia Numero VI - ottobre 2005 Direttore Responsabile

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ACHAB

Rivista di Antropologia 2005 numero VI

Universit degli Studi di Milano -Bicocca

AChAB - Rivista di AntropologiaNumero VI - ottobre 2005

Direttore ResponsabileMatteo Scanni

Direzione editorialeLorenzo D'Angelo, Antonio De Lauri, Michele Parodi

RedazionePaolo Borghi, Lorenzo D'Angelo, Antonio De Lauri, Michele Parodi, Fabio Vicini

Progetto GraficoLorenzo D'Angelo

Tiratura: 500 copie

Pubblicazione realizza con il finanziamento del Bando "1000 lire", Universit degli Studi di MilanoBicocca

Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 697 - 27 settembre 2005

Non siamo riusciti a rintracciare i titolari del dominio di alcune immagini qui pubblicate. Gli autorisono invitati a contattarci.

* Immagine in copertina di Michele Parodi:"videoclube di Sambizanga"(Angola)* Immagine in retro di copertina tratta da: http://www.repubblica.it/

Se volete collaborare con la rivista inviando vostri articoli o contattare gli autori,scrivete a: [email protected]

In questo numero...

2 Ismaele, il testimonePer unetica della testimonianza in antropologia di Lorenzo DAngelo

5 Fra antenati e giocatori di calcioA proposito della Casa della felicit di Bandjoun, Camerundi Ivan Bargna

Dossier Antropologia e Media

14 Etnografia e mediadi Monica Fagioli e Sara Zambotti

17 La rappresentazione del conflitto del Vietnam attraverso HollywoodAnalisi comparata di Apocalypse now di Coppola e Full Metal Jacket di Kubrickdi Fiammetta Martegani

26 Lo tzunami del 26 dicembre 2004 e le comunicazioni mediali in una famiglia srilankesedi Silvana Negro

30 Ma cosa ascolti in un non-luogo?Un esperimento di etnografia di un paesaggio sonoro caratterizzato dai mediadi Tullia Gianoncelli

38 10 Corso Como, MilanoLuogo come discorso e mediadi Serena Bottelli

42 Il pubblico televisivo e la negoziazione del senso Note su una telenovela indianadi Gianni Trimarchi

47 Libri e poesie a cura di Antonio De Lauri

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Ismaele, il testimonePer un'etica della testimonianza in antropologia

di Lorenzo DAngelo

"Chiamatemi Ismaele". Ismaele, il protagonista-narratore di MobyDick, colui che "tormentato da una smania perenne di coseremote" ed ama viaggiare "per mari proibiti e prender terra sucoste barbariche", si rapporta al suo lettore da un punto di vistaprivilegiato. Egli, infatti, l'unico superstite del naufragio delPequod ed il solo pertanto a poter raccontare quanto successoal suo equipaggio. Il racconto di Ismaele a suo modo una testimonianza e comeogni testimonianza contiene una lacuna. Tuttavia essa valeproprio per ci che questa mancanza segnala: dice qualcosa perconto di qualcun altro che non pu dire. Ismaele testimoneinnanzi tutto di un non-testimoniabile e in ci risiede la suaautorit di narratore.

Spesso si fa notare come i testi etnografici classici abbiano fortianalogie con i resoconti di viaggiatori, esploratori, missionari efunzionari coloniali. Gli antropologi, per questo motivo, hanno dasempre cercato di distinguere e caratterizzare il proprio lavoro diricerca e la propria professionalit rispetto ad altri saperi affini ea figure che, per una ragione o per l'altra, si trovano impegnatenelle stesse aree di contatto con i nativi (Marcus, Fischer 1998). Cos come Ismaele, anche l'etnografo si spesso presentato al suolettore come uno scienziato sociale testimone "unico" del propriocampo di indagine. Per molto tempo, anzi, l'antropologia, inquanto "sapere che si legittima per la produzione di unaconoscenza mediata dalla rappresentazione di un Altro assente"(Hastrup, Elsass 1990), si pensata e distinta da altre disciplineanche grazie a questa sua caratterizzazione (Kuklick 1997). Lanon-ripetibilit dei fenomeni, la conoscenza temporalmente espazialmente situata dei "fatti sociali", ha fatto dell'antropologoun interprete privilegiato. E, a lungo, la consapevolezza o,semplicemente, la convinzione, di agire in un campo "unico" eirriproducibile - ma da interpretare, comunque, in maniera"scientifica" -, ha significato un preciso atteggiamento etico edelle specifiche convenzioni metodologiche; una precisa idea dicome costruire il testo etnografico e dell'autorit che lo sostiene. Il testo monografico classico adotta, infatti, il "presente

etnografico" per rappresentare i suoi "oggetti"; predilige ildiscorso indiretto e la terza persona plurale; utilizza il "noi"scientifico; abbonda di dettagli e di riferimenti che gli scrittori-antropologi disseminano nel testo lasciando intendere che questipossono essere forniti solo da chi ha vissuto l'esperienza in primapersona (Kilani 1997) ma, senza spiegare "come sono riusciti aderivare, da un'esperienza unica, quell'insieme di conoscenze dicui chiedono di accettare la validit" (Fabietti e al. 2002 p.46). Inquest'ottica cos poco riflessiva per i nostri standard"postmoderni", e che sembra quasi voler mimare il "reale",l'autore persuade il lettore sulla validit e l'autenticit del suoresoconto dimostrando di essere stato davvero l, di essere entratoin intimit con la comunit locale di cui si occupato grazie aduna permanenza prolungata sul campo. La raccolta dei dati, delleinterviste, dei materiali e dei documenti, contribuiscono alegittimare il suo discorso, ad oggettivare e a costituire,materialmente, la prova del suo essere stato l. Autorizzanol'autore quindi, ma ci che pi conta, fondano etnograficamente lasua autorit di testimone dei fatti contribuendo a renderlaparadigmatica. Altri ricercatori saranno poi autorizzati a seguire eportare avanti i discorsi antropologici che si sono imposti cosautorevolmente da diventare punti di riferimento per ulteriorielaborazioni teoriche (Geertz 1990).Tutto contribuisce a creare quell'artificio retorico che, da un lato,da al lettore la sensazione di una coesistenza temporale e spazialetra etnografo e nativo e, dall'altro, occulta la presenza di chiscrive, al punto che "la peculiarit della retorica della monografiatradizionale consiste nel dare ad intendere che non vi retorica"(Kilani 1997, p.42). Parallelamente all'io c'ero, quindi,l'antropologo opera un peculiare occultamento della propriapresenza dal testo, come se uno stile neutro ed asettico fosse unprerequisito di "scientificit" irrinunciabile per qualsiasiresoconto (Clifford, Marcus 1995; Fabietti 1999).L'antropologo, in breve, parla per conto di coloro che non hannovoce ma la sua stessa voce sembra scaturire da nessun luogoparticolare e questo, in un qualche modo, rende il suo punto divista privilegiato. Tuttavia, nel momento in cui l'etnografo - uno

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Il dramma finito. Perch allora qualcuno si fainnanzi? Perch uno solo sopravvisse alla rovina.

(Melville H., Moby Dick, Mondadori, 1998)

studioso colto che ha seguito un certo percorso accademico -dimostra di essere stato davvero l e riesce a fornire garanzie circal'aver fatto un'esperienza prolungata nel tempo, di prima mano,sembra essere il solo autorizzato ad interpretare i fatti e a parlareper conto di qualcun altro. In questo senso egli necessariamentetestimone e portavoce di un discorso monofonico omonodialogico.

E' significativo come questo modo di intendere il lavoro di ricercasul campo, di costruire le prove e le evidenze per dare garanzie diautenticit e validit scientificit al proprio resoconto abbiasuggerito forme di impegno basate sul "motivo dellasalvaguardia", sull'idea, cio, che solo un intervento esterno diregistrazione delle differenze culturali e di denuncia delleingerenze esterne potesse "salvare" le popolazioni indagate primadi una loro definitiva scomparsa ad opera di un temuto, quantopresunto, processo di omogeneizzazione del mondo (Marcus,Fischer 1998). In altri termini, partendo dall'assunto olisticosecondo cui le societ osservate sono un tutto omogeneo cheoccorre preservare da ogni contatto contaminante epotenzialmente distruttivo di ogni differenza culturale,l'antropologia moderna, a partire dagli inizi del XX secolo (esicuramente da Malinowski in poi), ha trovato nel "motivo dellasalvaguardia" un suo fine e una sua legittimazione moralecoerente con i suoi assunti epistemologici, metodologici edontologici. Il progetto di un'etnografia "di urgenza" si basa,infatti, su un'etica concepita come sfera autonoma di standardsuniversali ed impersonali e, parallelamente, su una concezionedella verit come sapere disinteressato, universale, al servizio delgenere umano; una verit, quindi, di per s morale. Da questopunto di vista, inoltre, la professionalit dell'antropologo simisura nella possibilit e nella capacit di mantenere un certogrado di distacco scientifico e di neutralit politica rispetto aifenomeni e agli "oggetti di studio" indagati. Ritroviamo quindi,ancora una volta, quella duplicit riscontrata sul piano dellascrittura, quel gioco ambivalente tra l'esserci e il non esserci, tral'affermazione dell'etico e la negazione del politico: l'antropologiaha una sua moralit ma non deve essere contaminata da interessie politiche contingenti (Pels 1999). Non un caso cheMalinowski e i suoi allievi riservassero all'antropologia"applicata" lo studio del cambiamento sociale e alla "vera"antropologia, quello delle strutture sociali (Hastrup, Elsass 1990);la prima direttamente coinvolta nella cooperazione con i governilocali - seppure dichiaratamente svincolata da ogni responsabilitamorale e politica (cfr. Malighetti 2001)-, la seconda arroccatanella torre d'avorio del mondo accademico.

Che l'antropologia si occupi, in senso lato, di conoscere gli altri,non sembra aver mai sollecitato una radicale e diffusa presa dicoscienza della peculiare responsabilit etica e politica dellavoro sul campo, almeno fino a tempi recenti (cfr. Hymes 1969).Se vero infatti che l'antropologo un osservatore o un uditore

privilegiato, cos come da pi parti si disposti ad ammettere, cisono contesti in cui la sua "testimonianza" non solo unapossibilit ma anche, e soprattutto, un dovere che la relazionestessa tra l'antropologo e i suoi informatori reclama (Hastrup,Elsass 1990; Scheper-Hughes 1995). Se si accetta questa torsioneinclusiva della nozione di testimonianza, dall'"epistemico"all'"etico", chiaro che occorre rivedere gran parte degli assuntisu cui si basa la pratica etnografica e, pi in generale,l'elaborazione antropologica. A queste considerazioni si aggiungapoi il fatto che, da un lato, le critiche del dopoguerra alcolonialismo e la globalizzazione sempre pi diffusa di persone,idee e cose, hanno messo in crisi il tradizionale (e ideale) campodi indagine dell'antropologia - la piccola e isolata trib esotica - e,dall'altro, con l'emergere della corrente postmodernista el'affermarsi della svolta riflessiva, si sono create le premesse perun ripensamento e un rinnovamento epistemologico,metodologico ed etico che tocca i fondamenti stessi delladisciplina (Flaherty 2002). Se, inoltre, come sottolineano Hastruped Elsass, nella prospettiva postmoderna, teoria e applicazione,soggetto e oggetto, non sono pi nettamente distinguibili - se nonsu un piano analitico - allora pu non bastare limitarsi adesaminare le conseguenze pratiche di ci, come suggeriscono idue antropologi. Occorre ripensare l'idea di un'antropologia cometestimonianza all'interno di un discorso che comprenda, fino infondo, e assuma, consapevolmente, la dimensione etica e politicadella ricerca antropologica. Un approccio deontologico a taliquestioni o, peggio ancora, "moralizzante" non ne pu cogliere ilfondamento n, tanto meno, svelarne la genealogia.La tesi di fondo di questo spunto di riflessione che taleripensamento passa necessariamente attraverso una radicalerielaborazione ontologica. Un'etica della testimonianza non puprescindere, infatti, da un'ontologia della testimonianza.

Pensare la questione etica della testimonianza a partire da unaprospettiva ontologica significa dover occuparsi della questionedella differenza ontologica. Questo il nostro assunto dipartenza. Che l'essere non l'Ente, n tanto meno un ente, secondoHeidegger il rimosso del pensiero occidentale. Da Cartesio in poi,infatti, diventa chiaro che l'uomo soggetto nel senso di sub-jectum (ci che sta sotto) ossia, il fondamento che rapportandosiall'essere per conoscerlo o rappresentarlo, lo riduce ad oggetto,ente tra gli enti. Dal nostro punto di vista interessante notarecome l'oblio della differenza tra essere ed ente abbia un risvoltoetico immediato poich, tale indifferenza, implica un precisomodo d'essere dell'uomo con gli altri enti (Recalcati 2001)Nel paragrafo 25 di Essere e Tempo, Heidegger, dopo avercimesso in guardia sul rischio di interpretare il soggetto sul modelloontologico della semplice presenza, e quindi su un modo di esseredell'ente difforme dall'esserci, affronta la questione dell'essere-con [mitsein]. Contro ogni prospettiva solipstica, il filosofotedesco ribadisce che, cos come "non mai dato un soggetto

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senza mondo", allo stesso modo "non mai dato un io isolato,senza gli altri". Nel paragrafo successivo il punto in questione sottolineato in maniera ancora pi esplicita nella consuetaterminologia heideggeriana: "l'esserci in se stessoessenzialmente con-essere". Fatte queste precisazioni Heideggerdistingue due diversi modi dell'esserci di rapportarsi agli altri enti:il "prendersi cura" [besorgen] - riservato ai mezzi utilizzabili,ossia agli enti in quanto semplici presenze -, e l'"aver cura"[fursorge], vale a dire la costituzione d'essere dell'esserci in cuiquest'ultimo incontra altri esserci. Proponiamo di considerarel'atto del testimoniare come una delle modalit dell'aver cura. Detto ci, per, non basta. Heidegger, infatti, riconosce duepossibilit estreme e positive dell'aver cura. In un caso l'aver curadell'esserci fa s che questi si sostituisca agli altri"intromettendosi" e sollevandoli, per cos dire, dalla possibilit diprendersi cura da s. All'opposto, si pu aver cura degli altri

"presupponendoli" senza cio retrocederli in una posizione in cui impedito loro di aver cura di s in maniera autentica: "Questaforma di aver cura, che riguarda essenzialmente la cura autentica,cio l'esistenza degli altri e non qualcosa di cui essi si prendanocura, aiuta gli altri a divenire consapevoli e liberi per la propriacura" (Heidegger 1977, 158). E' a questa seconda accezionedell'aver cura che fa riferimento il concetto di testimonianza chequi abbiamo cominciato ad elaborare in direzione di un'etica dellatestimonianza.

Possiamo perci affermare che Ismaele, a suo modo, "ha cura" deisuoi sfortunati compagni di viaggio sebbene, giocoforza, il suoresoconto sia un "esserci senza esser-ci"; ma l'antropologo atrovarsi in una posizione in cui non pu semplicemente sostituirsiagli altri bens, li deve "presupporre". Solo cos il suo fare puessere davvero un testimoniare.

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Nel luglio del 2002, quando sono arrivato a Bandjoun conl'intento di studiare il ruolo giocato dall'arte e pi in generale dalleimmagini nelle rappresentazioni dell'identit bamileke, a decideredella focalizzazione dell'oggetto di indagine stato proprio losconcerto che ho provato di fronte a quella che era la recentericostruzione del bung die, la "maison du peuple". Tutte le mieaspettative alimentate da mucchi di fotografie e libri sull'artetradizionale bamileke, che facevano di questo edificio un"classico" del genere, venivano brutalmente disattese2. Negli edifici precedenti infatti, sui pali scolpiti che circondavanola"grande capanna" c'erano le figuredegli antenati che in forma visibileconnettevano presente e passato, lamonarchia ereditaria e la comunit. Ilbung die si presentava quindi come ilcuore o meglio, nei termini usati daglistessi Bamileke, il "ventre" (vam) diBandjoun, la sua parte apparentementepi interna.Nell'ultimo bung die costruito nel 2001se alcuni dei vecchi pali della precedentecostruzione erano ancora presenti eranoper collocati pi indietro, sui latidell'edificio. Sui nuovi pali posti davantialla facciata dell'edificio che, scendendo dalla piazza del mercatoal quartiere del re, la sua parte pi visibile, c'erano ora le figuredi due musicisti jazz, di un giocatore di calcio, di papa GiovanniPaolo II, di un inviato della banca mondiale con la valigetta pienadi denaro e diversi re in giacca e cravatta.I cambiamenti non riguardano solo l'iconografia ma anche lo stile,divenuto pi naturalistico, e alcune importanti innovazioni nellatecnica e nei materiali di costruzione. In particolare si poteva

notare l'introduzione del cemento per il pavimento e il pilastrocentrale che sosteneva il grande tetto conico; mattoni di cementoerano stati usati anche per i muri ma, significativamente, eranocompletamente invisibili perch "rivestiti" (habills) con"bamb" (in realt le nervature delle foglie della palma da rafia).Inoltre la capanna era dotata di impianto elettrico e non rarovedere turisti e locali ricaricare il cellulare a una delle prese dicorrente esterne.A dire il vero anche se lo sconcerto stato reale, avevo, come ovvio, i mezzi per reagire a questo evento: la retorica del

postmoderno, della globalizzazione edella societ multiculturale mi offriva imezzi per reinterpretare questa situazionein termini di "patchwork", "bricolage" o"mtissage". Avevo cos nella mia valigiaun'estetica del "frammento" e della"citazione" pronta a prendere il postodella vecchia estetica della "tradizioneafricana"; scenari prefabbricati chefacevano da sfondo al mio tentativo dicapire qualcosa circa la percezione localedi questo evento. Al fine di raggiungerequesto obiettivo ho intervistato artisti,falegnami, alcuni dignitari, servitori di

corte, intellettuali e gente comune. Sfortunatamente non ho avutola possibilit di incontrare Sua Maest Ngnie Kamga, ChefSuprieur di Bandjoun, perch era a Parigi per cure mediche, acausa di una lunga malattia che lo avrebbe poi condotto allamorte. In particolare ero interessato a capire se il bung die semprepresentato come il centro della ]chefferie e in particolare come "ilcentro nervoso del tsa"3 - il luogo sacro dove il re ha la sua

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Fra antenati e giocatori di calcioA proposito della Casa della felicit di Bandjoun, Camerun

di Ivan Bargna

Quel che intendo proporre in questo articolo una riflessione sul nesso modernit-secolarizzazione quale pu apparire daun'analisi delle espressioni artistiche contemporanee in Africa. Pi in particolare ne discuter con riferimento al mio lavoro sulcampo che ha avuto per oggetto la ricostruzione del bung die, la "Casa del popolo" o "Casa della felicit", della chefferiebamileke di Bandjoun in Camerun. La mia ricerca ha avuto luogo nel 2002-2003 su un periodo di due mesi e per certi aspetti (cuiaccenner alla fine) ha avuto quest'anno una fine forzata. Cosa che mi ha spinto a scriverne prima del previsto. Un terzosoggiorno, per altro, nell'agosto di quest'anno, mi ha stimolato a rilanciare ulteriormente.Questo testo una versione leggermente rimaneggiata di una relazione presentata in un convegno all'Universit della California(Davis) nel marzo di quest'anno1 . Dell'oggetto della mia ricerca appaiono dunque gli aspetti che potevano essere pertinenti inrelazione al tema dell'incontro.

Bung die di Bandjoun

residenza - continui a rappresentare un elemento importantedell'identit Bandjoun o se al contrario sia divenuto soloun'attrazione turistica. In altri termini: dobbiamo interpretarequesto sorprendente cambiamento, in termini lineari, come unospostamento dal sacro al profano, dall'arte religiosa a quellaturistica, dalla tradizione alla modernit? La mia opinione chequesti concetti dicotomici profondamente radicati nella visioneoccidentale della storia, che siano dati in termini di progresso o didecadenza, non sono molto utili per comprendere le dinamicheartistiche e religiose che hanno luogo in Africa.

La religiosit dei Bamileke di Bandjoun ruota intorno all'energiamistica, alla forza (k), al dio Si e al culto degli spiriti e degliantenati. Il k, uno e plurimo, fonte di ogni forma di vita, ed tanto in Dio che nell'uomo e in tutto ci che esiste. Presente allostato diffuso, pu cristallizzarsi in determinate situazioni (inparticolare durante le celebrazioni biennali del ]gu k, l'anno delk, attraverso le quali si procede a unaperiodica rigenerazione del cosmo) o in certioggetti (come certe statuine antropomorfe, ovasi o corni di capra o, ancora, la doppiacloche che uno degli oggetti bamileke pisacri) o ancora pu condensarsi in particolaricategorie di persone come il re (fo), i guaritori(g k) o gli stregoni (g sue)4 . Unacaratteristica che ne consente l'appropriazionee la manipolazione da parte dell'uomo, sia perusi leciti che per quelli illeciti, come ilvampirismo finalizzato all'acquisizione diricchezze o al prolungamento della propriavita. In questo contesto non appare possibileopporre una "magia" che poggia e fa ricorsoalla forza manipolabile del k a unadevozione religiosa che guarda a un Sipuramente trascendente.In Africa, l'identit e le relazioni fra persone,cose, animali, spiriti e divinit si sviluppanosullo sfondo di una consistenza comune. E' lastessa forza, impersonale e divisibile, chenella sua differente distribuzione costituisce larealt in tutti i suoi aspetti. Quel che ritroviamo nellarappresentazioni africane del mondo una visione monistica cheesclude ogni dualismo ontologico, e che rende inservibile ognicategoria che tenti di introdurre differenze sostanziali fra i diversiaspetti della realt, categorie come materiale-spirituale, naturale-sovrannaturale, sacro-profano e magico-religioso. Questo e l'altromondo non sono quindi mondi incommensurabili ma due aspettidella stessa realt. La reversibilit di vita e morte nel ciclo dellareincarnazione mostra il continuo andirivieni che li caratterizza.Questo e l'altro mondo traggono la loro realt dai bordi porosi cheli dividono e che li uniscono.Pi cha a Dio l'attenzione delle religioni africane va all'uomo, alla

sua sopravvivenza corporea nelle generazioni che lo seguono.Attraverso i sacrifici che vengono loro rivolti, spiriti e divinitsono mantenuti in vita dagli uomini per il proprio benessere. Perquanto aperte al "sacro" (l'uomo comprende se stesso soloriferendosi ad altro da s), le religioni africane non sonoteocentriche. Questo particolarmente evidente nella grandeimportanza che il culto degli antenati assume rispetto al cultodella divinit primordiale. Il dio creatore appare spesso distante eremoto se non interamente indifferente alle sofferenze degliumani, ed anche l'arte trova qui i suoi limiti, poich la divinitsembra inimmaginabile o insensibile alla rappresentazioneartistica. Questo sembra valere anche per i Bamileke: per quantoil dio creatore sembri pi prossimo agli uomini che in altrereligioni africane, anche in questo caso non si dannorappresentazioni e gran parte delle attivit sacrificali poggia sulculto degli antenati o di spiriti protettori di luoghi determinati.Le immagini artistiche ci non di meno influiscono su altri esseri.

Per esempio l'antropomorfismo dellascultura africana attraverso la sua"deformazione" delle proporzionicorporee manifesta queste relazioni didipendenza reciproca fra uomini, antenati,spiriti e divinit. Gli dei non siidentificano alla loro immagine (quindi glioggetti non sono feticci); tuttavia questeforme appartengono loro e sono loroindispensabili ( e quindi non si riducono asegni di devozione). Si trattadell'apparizione di "entit spirituali" entroforme umane; non si tratta di una finzionema di una presenza. Le forme umanerendono la divinit avvicinabile; ladistanza dalle proporzioni naturalipreserva la loro differenza.5

In questo contesto, come ha osservatoMarc Aug, la distinzione fracomportamenti disinteressati e socializzatiespressi dalla religione da un lato, eatteggiamenti individualisti e utilitariconvogliati dalla magia dall'altra, si rivela

come inadeguata6 . Significato e funzione, morale e relazioni diforza, vanno considerate insieme. Il bene coincide con ilpotenziamento della vita, il male con il suo indebolimento. Ilpeccato o meglio, l'errore, non deriva da una mancanza morale madall'insuccesso nell'adempiere a certe pratiche rituali. Il sacrificioche rappresenta un rimedio non persegue la salvezza dell'animama il riordino del mondo. Bene e male (come bello e brutto) nonsono definiti in termini assoluti ma sempre in relazione aspecifiche relazioni, tempi e persone. Per questo un oggetto cheprotegge il suo proprietario pu essere dannoso per gli estraneiche ignorano le specifiche prescrizioni e proibizioni ad essoassociate.

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Palo della Casa della felicita raffigurantesuonatori jazz

Religione e arte ruotano cos in gran parte intorno alle praticheche favoriscono la fecondit e l'appropriazione della forza.E' qui che l'arte trova il suo potere e i suoi limiti, come tentativoche pu essere rinnovato, variato o abbandonato in vista di altrestrategie ritenute pi proficue7 .Questa consapevolezza dei limiti spiega il carattere sincretico,tollerante e aperto delle religioni africane che, sempre alla ricercadi nuove vie di potenziamento estendono i limiti del loropantheon includendo contributi esterni, cos come rende contodelle contrazioni che pragmaticamenteeliminano gli spiriti meno favorevoli o gliantenati meno solleciti.

Ora, sulle basi di quanto detto, torniamoalla "casa del popolo" ed esaminiamo unadelle immagini pi sconcertanti cheappaiono sui suoi pali lignei. Mi riferiscoalla figura del giocatore di calcio postosulla cima di uno dei pali della facciata. Inrapporto al passato le trasformazioniavvengono non solo nel soggetto maanche nello stile: la figura non posta difronte allo spettatore ma di profilo; ilcorpo non rappresentato in formesimmetriche e tendenzialmente statichema in modo dinamico, nell'atto di calciareil pallone. Infine, anche nelle proporzionie nei dettagli del corpo si assiste a unmaggior mimetismo. Queste differenzestilistiche mostrano una chiara influenzadel naturalismo occidentale anche sedobbiamo pensare pi al cinema, allatelevisione, alle riviste illustrate e alle fotografie che alla storiadell'arte. In realt questi cambiamenti non esprimono solo unascelta artistica ma un mutamento pi esteso e complessodell'esperienza quotidiana.Le preoccupazioni per il futuro sembrano prendere il posto diquelle per la propria origine e per la connessione fra presente epassato. Il mondo esterno sembra sostituire quello interno.Apparentemente abbiamo semplicemente a che fare conun'immagine secolarizzata e triviale dell'industriadell'intrattenimento e niente sembra essere pi lontano dalletradizionali figure degli antenati, ma credo che sbaglieremmo ainterpretare questo cambiamento in termini di opposizioneesclusiva. E' significativo che, sebbene gli artisti che hannoscolpito i pali enfatizzino il cambiamento in termini di progresso,i dignitari e la gente che vive in prossimit del tsa (la residenzadel re) affermino invece che "niente cambiato".Certo il calcio uno dei simboli della modernit pi diffusi almondo e la sua diffusione nel contempo una conseguenza e unfattore attivo dell'espansione del processo di globalizzazione. Ilcalcio una dei pi importanti elementi dello show businessmediatico mondiale e svolge una parte importante nel dare forma

ai sogni, alle emozioni e all'immaginazione di molta gente. Ilcalcio per l'Africa e per il Camerun in particolare rappresenta, alivello collettivo, una delle rare possibilit di essere competitivinell'arena internazionale e di modellare un'immagine positivadella propria identit nazionale e africana di fronte al mondo8 . Alivello individuale invece il calcio offre parecchi esempi digiovani Africani che hanno avuto successo nella vita: una viaimmaginaria di sfuggire alla povert e di entrare nella modernitgrazie al proprio talento. Per questo motivo vittorie e disfatte della

squadra nazionale dei Lions indomptablesassumono una grande importanza emotivaper le singole persone e per l'insieme dellacollettivit. In questo contesto il calcio molto pi cheintrattenimento, esprime speranze e paure,simbologgia mete, riuscite e fallimenti.Come dice l'artista Bandjoun ClestinTawadje: "Se molte persone sicomportassero come Roger Milla,avremmo molti eroi nella nostracomunit". Il calcio legittima la propriapresenza nel bung die come una nuovaversione di un antico dovere: " calcio nonsignifica semplicemente dare un calcioalla palla ma tanto duro lavoro perraggiungere grandi risultati; ognuno nelproprio lavoro dovrebbe fare lo stesso"9 .Ci che conta non tanto Roger Milla ins - il pi famoso giocatore camerunese,che l ritratto - ma la possibilit di usareil suo esempio per attrarre i giovani emostrare che la modernit e la tradizione

non sono incompatibili.Un piccolo curioso dettaglio di questa scultura offre altriinteressanti elementi alla nostra riflessione. Roger Milla stringe inmano una bottiglia. Non si tratta di una generica bottiglia ma diuna bottiglia di birra. A uno sguardo pi attento possiamo ancheindividuare le tracce di un'etichetta. E in effetti l'artista mi dicevache si tratta di una marca speciale: questa una bottiglia diGuinnes. Cosa pensare davanti a ci? A un ritrarsi della religione sottol'incalzare della merce? All'inserzione di uno spot pubblicitario inquello che un luogo sacro? In effetti giravano voci secondo cuiil re era stato pagato dalla Guinness. Pi probabilmente si trattato di un'iniziativa personale dell'artista ingenuamente incerca di sponsor. Ma al di l dei moventi e delle motivazioniindividuali quello che conta che la bottiglia di birra sia l, che lasua presenza sia stata accolta dentro il bung die: questo ne fa unfatto sociale.In effetti il mercato della birra in Camerun ha dimensioninotevoli: i manifesti pubblicitari e i camion che trasportano labirra raggiungono anche i villaggi pi remoti. La birra divenutaun importante mezzo di socializazione al punto che sembrano

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Palo della Casa della felicita raffigurante un giocatore di calcio

esistere "associazioni della Guinness", "associazioni della Thirty-Three Export" e via dicendo, a fianco di associazioni pitradizionali: nei funerali l'abito distintivo dei gruppi di danza,porta spesso stampato come motivo decorativo il logo di unabrasserie. Fa parte infatti della politica pubblicitaria dei birrificidonare una certa metratura di tessuto che finiscono con ilcontrassegnare visivamente il gruppo che li indossa.In particolare interressante notare che c' una connessione moltostretta fra birra e calcio: i birrifici camerunesi sponsorizzano glieventi sportivi " e le pubblicit delle loro birre appaiono sullerecinzioni dei campi di calcio alla vista del pubblico che lpresente e di quello televisivo. La sponsorizzazione di eventipubblici, dalle partite del campionato nazionale di calcio,all'annuale Mount Cameroon race e a festival locali, sono praticacomune"10. I marchi di birra sono massicciamente presenti duranteimportanti cerimonie "sacre" come i funerali dei re, in occasionedei quali le aziende montano i loro stand ed offrono gratuitamenteai notabili un certo quantitativo di birra e ombrelloni con marchioin vista11 . Anche in questo caso il successo commerciale e la piagadell'alcolismo non sono completamente opposti o separati agliaspetti "religiosi": nelle pubblicit il legame fra calcio e birra basato sulla "potenza" (sui grandi manifesti pubblicitari dellaGuinness con la foto di giocatori della nazionale camerunese loslogan era: "nous croyons dans votrepuissance") e potrebbe trarre la sua capacit dipersuasione dalle credenze tradizionali neitrattamenti "magici". Mi stato riferito che finoal 1960 la Guinness era venduta solo infarmacia, nella vicina Bafoussam12 . L'artistache aveva scolpito il palo mi ha detto che luibeve abitualmente la Guinness per avere la"potenza" necessaria al suo lavoro. La suaorigine europea e il prezzo (costa pi di altremarche di birra) sono garanzia della suaefficacia.Bisogna comunque sottolineare che fino a oggila birra occidentale non riuscita a penetrare intutte le cerimonie tradizionali: nei matrimoni enei sacrifici agli antenati il locale vino di palmagli ancora preferito anche se la ragione staforse semplicemente nel fatto che gli antenatinon avevano familiarit con la birra europea.E' anche interessante notare come il calcio siacontemporaneamente un "segno di modernit" eterreno per pratiche di stregoneria (sorcellerie): sia i singoligiocatori che le squadre locali e la nazionale, hanno i loromarabutti e sono solite "blindare" i loro campi di gioco primadella partita (talvolta, pare, con l'intervento di maschere)13 . Ilcalcio che molto pi di un semplice divertimento appare comela forma moderna di antichi combattimenti ritualizzati. In contrasto con le aspettative delle teorie della secolarizzazione,la diffusione dell'economia moderna e della politica statualehanno condotto a un aumento della stregoneria: l'espansione di

una classe media bamileke negli anni '60 andata di pari passocon l'affermarsi della famla, una nuova forma di sorcellerie che,diversamente dal passato, non divora i corpi dei parenti durante ifestini degli stregoni ma li usa come zombie per i lavori di fatica.In questo modo i Bamileke - come osserva Paul Geschiere - hannopotuto spiegare le improvvise accumulazioni di ricchezza e dipotere. Operando entro questa stessa cornice di senso i ricchi aloro volta riescono a difendere la loro ricchezza contro le pretesedl proprio gruppo di parentela: amministrando il terrore che laloro reputazione ispira o, attraverso una strategia differente ecomplementare, possono ripulire la loro ricchezza attraversol'acquisto di titoli di prestigio tradizionali rilasciati dal re.Come ha sottolineato Jean-Pierre Warnier, proprio riferendosi aiBamileke, la modernit pi la conseguenza del mantenimento divecchie disuguaglianze che il risultato di un rovesciamento dellatradizione. La stregoneria chiamata anche a spiegare la fortunae sfortuna di ciascuno nel corso della vita: un certo successo negliaffari pu essere considerato - forse in modo non dissimiledall'etica calvinista secondo Max Weber - come un segno delsupporto degli antenati.

Senza voler negare il drammatico fenomeno della deculturazioneche spesso l'effetto principale dell'impatto della modernit, mi

sembra che l'opposizione radicale fraun'Africa tradizionale e una moderna, inparticolare nel caso dell'arte, sia dovuta aglistereotipi occidentali, alla polarizzazionenell'immaginario occidentale fra un'Africa"autentica" sottratta al tempo e consegnataalle radici, all'inconscio, alla natura, eun'Africa "spuria" ridotta a periferiadell'occidente, cos mettendo l'Africa e le suearti al di fuori della storia. In questo modoalla purezza delle origini si contrapposta lacorruzione del presente. In ogni contatto si vista una diluizione dell'identit, unacontaminazione: "arte tribale" da un lato e"arte turistica" dall'altro.In realt le societ tradizionali conoscono ildisordine e il cambiamento. La tradizioneimplica la capacit di trattare il futuro. La suaimmutabilit solo formale e cela unsostanziale rinnovamento di contenuti. Seinfatti la tradizione a disciplinare il gioco il

gioco delle relazioni, la tradizione anche , comunque, il frutto diquel gioco e cambia con esso.Il passato diviene quindi un oggetto di scelta. Il valore di unatradizione nella sua capacit di persistere, di fare i conti con ilpresente14 .In realt la tradizione reinventata continuamente e questo anche il caso del bung die.Secondo Dominique Malaquais molto improbabile che il bungdie si esistito dagli inizi del regno Bandjoun; pi probabile che

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Manifesto pubblicitario della Guinness in un locale di Bandjoun

la prima "casa del popolo" sia stata costruita fra 1926 e 1931 dalre Kamga II; nello stesso periodo e nei pressi della "grandecapanna" veniva edificato, in stile europeo, il nuovo palazzo delre15 . Mai prima di allora edifici legati alla figura del re - di solitocollocati in una posizione nascosta e protetta - erano stati costruitiin posizione cos elevata e visibile. La ragione stava neisommovimenti che avevano colpito il paese bamileke: ladiffusione delle idee democratiche, la pericolosa influenza degliideali egualitari del cristianesimo, le nuove possibilit di riuscitapersonale offerte dalle scuole missionarie e dall'economiacoloniale agli inizi del XX secolo). Si trattava dunque diinnovazioni intese a realizzare una politica di apertura neiconfronti dell'amministrazione coloniale e gli strati socialiinferiori: il palazzo adempiva al primo scopo e il bung die - unacasa costruita dal popolo e per il popolo - al secondo. Per la primavolta la gente comune poteva, in certe circostanze, scendere alquartiere del re. Il bung die doveva essere l'espressione visibiledella ricostituita unit fra re e popolo ma allo stesso tempofunzionare - a livello materiale e simbolico - come una barrieraaggiuntiva che rinforzava la separazione degli insediamenti realipi remoti. Il bung die quindi ha operato dall'inizio come un "discorsodoppio"16 che incorpora il progetto di una "modernizzazioneconservatrice"17 ; in questa prospettiva guardando alla sua recentericostruzione dobbiamo allora ritenere che, a dispetto di ognidisorientamento iniziale di fronte alle sue immaginiapparentemente dirompenti, stia completamente dentro la propriatradizione.Quando i servitori di palazzo e i dignitari mi assicuravano che"niente cambiato", mi spiegavano che l'uso del cemento non contro la tradizione ma, al contrario, mira a preservarla in modopi efficace. I muri di cemento rivestiti di "bambu" nonrappresentano una resa alla modernit o un simulacropostmoderno ma la tradizione attuale che dinamicamente cerca dimantenersi nei tempi duri del presente. Similmente il pavimentoall'interno fatto completamente in cemento ma ci nonostante"niente cambiato" perch al centro vi un punto in cui la terra stata lasciata e in cui si pu continuare a eseguire i rituali. Anchein passato d'altronde la tradizionale propensione verso la novit -che attestata anche in parecchie altre estetiche africane18 -procedeva di pari passo con la conservazione cos che in ogninuovo bung die c'erano sempre alcuni pali di quello vecchio.E questo anche nel caso delle immagini. Infatti alcune delletrasformazioni iconografiche - come abbiamo visto nel caso delgiocatore di calcio - sono pi apparenti che effettive. Inparticolare questo probabilmente il caso della disposizione deipali e, su ogni singolo palo, del posto attribuito alle diverse figure.Se per esempio guardiamo ai concetti di "alto" e "basso"scopriamo che hanno un valore inverso rispetto a quello cheassumono in occidente: "basso" meglio di "alto"19 ; per questomotivo re e dignitari vivono nelle terre in basso mentre la gentecomune vive sulle colline; la ragione sta nel fatto che le primesono terre fertili vicine ai fiumi e che le seconde sono suoli poco

produttivi posti sulle colline. La stessa prospettiva presiede alladisposizione dei soggetti sui pali: i musicisti jazz e il giocatore dicalcio sono sulla cima dei pali, e cio nella posizione menoimportante; diversamente le figure dei re sono in basso, cio nelluogo pi importante. Questo confermato a livello percettivo:quando ci poniamo di fronte alla costruzione, a una distanza dacui possiamo riconoscere i soggetti sui pali (ad esempio ladistanza da cui le guide locali raccontano le loro storie ai turisti),abbiamo le figure principali davanti agli occhi, mentre perguardare le immagini sulla cima dobbiamo alzare la testa e neabbiamo comunque una visione incompleta. Le figure poste inalto inoltre sono spesso scolpite con minor cura e con minoridettagli.Considerazioni simili si possono fare anche a proposito delladisposizione dei pali intorno all'edificio sebbene in questo casosembri esserci una sfasatura fra punto di vista simbolico epercettivo. Apparentemente gli antenati (specialmente quelliscolpiti sui pali della vecchia costruzione, nello stile"tradizionale") arretrano, posti come sono sui lati, meno visibili,del bung die, lontano dall'entrata principale. Sul retro,normalmente non visibile ai turisti e alla gente comune perch dsullo spazio proibito della residenza reale, ci sono alcuni vecchipali non scolpiti. Questa circostanza conferma da un lato che c'una scala di valori visivi che procede in modo decrescentedall'accesso principale sulla facciata, lungo i lati fino al retro edall'altro lato ci mostra che non c' armonia e sovrapposizione fravalori simbolici e visivi. In realt il meno visibile il piimportante. A questo proposito alcuni dignitari - parlando dellefigure degli antenati - mi dicevano che "come in guerra i soldatistanno davanti e i comandanti stanno dietro". Questa enfasi sul segreto poggia sulla figura del fo (il re) che non considerato un dio ma che visto tuttavia come una figura sacrai cui poteri vengono dagli antenati: un re infatti non muore mai mavive nel suo successore. In questo contesto si suppone che il fogoverni in accordo con Si (Dio) e gli spiriti per garantire lafertilit delle donne e della terra e si ritiene possieda poteri magicicome la capacit di trasformarsi in un leopardo, in un elefante, inun bufalo o in un boa20 . Quindi, in modo simile ad altri re africani,la sua figura possiede un lato terribile e oscuro. Come tutto ciche sacro il re allo stesso tempo benefico e pericoloso e perquesto necessario che sia tanto visibile quanto nascosto. Questospiega la prudenza che l'uso delle immagini richiede quando si haa che fare con il "sacro".In questo contesto, in cui il segreto e l'invisibilit dei poteri sacrali cos importante, le forme visibili dell'arte rischianoapparentemente di cadere nel profano. Ma ancora una volta i dueaspetti non sono separati ma fra loro connessi. Il bung die collocato non solo al centro ma anche alla frontiera, o meglio, conla sua presenza costituisce la frontiera come spazio abitabile.Come rappresentazione metonimica dell'attuale mondo bamilekenella sua complessit, appare come un tentativo di tenere insiemepassato e presente, interno ed esterno, locale e globale, offrendoin questo modo un orientamento riguardo al futuro. A dispetto

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della sua sconcertante diversit possiamo vedervi lo sforzo dielaborare un'immagine coerente della vita della comunittracciando una mappa del mondo che produca senso per tutti e perciascuno. Non riflette semplicemente un'identit esistente ma dad essa forma.Il nuovo bung die esprime la rappresentazione del mondo deinuovi dignitari appartenenti alla nuova classe medio-alta degliemigrati nelle citt che a partire dagli anni '80 ha favorito ilsalvataggio e la reinvenzione del regno dopo i disordini deglianni '50 e '60 che avevano portato all'incendio di numerosechefferie colpendo anche il bung die21 . Una riconfigurazione dellatradizione che avviene nel contesto delladistruzione della vecchia nobilt e nellacornice di una politica nazionale che semprepi basata sulle identit etniche22 . A questolivello il bung die non rappresenta solol'identit Bandjoun ma una pi ampia identitbamileke da giocare non nel contesto localema in quello nazionale, nel confronto con glialtri gruppi etnici camerunesi. E oltre a ci,un'immagine di se stessi data all'occidente, aituristi in visita o su internet23. Certamentequesta operazione funzionale agli interessidi una borghesia aperta sul mondo ma comunque significativo che le sue chance disuccesso si alimentino anche dallamobilitazione dei repertori simbolicitradizionali.In realt continuit e cambiamento, tradizionee modernit vanno insieme e prendono corponon in persone diverse ma nelle stessepersone che rivestono ruoli differenti suscenari parzialmente separati: la nostradistinzione fra "moderno" e "tradizionale"corrisponde in una certa misura alla distinzione locale fra "nero"e "bianco", che non una differenza razziale basata sul coloredella pelle ma il risultato delle diverse posizioni occupate nellavita sociale; per questa ragione, in luoghi e tempi diversi, le stessepersone possono essere "nere" o "bianche": un impiegato biancoin citt ma diviene "nero" quando torna al proprio villaggio. Allostesso modo "agli occhi del suo popolo il capo supremo,naturalmente "nero", ma la sua posizione talvolta ambivalentepoich il governo lo considera "bianco" per le sue funzioninell''amministrazione"24 .

Ma la situazione anche pi complicata poich quello cheabbiamo appena descritto in realt solo ci che supponiamoessere il punto di vista del re e dei dignitari, ma non ci dice nullacirca la percezione effettiva delle altre parti e persone coinvolte.In realt l'unione fra il popolo e il re di cui il bung die lamanifestazione simbolica visibile dovrebbe effettivamenteprodursi nelle relazioni che si realizzano intorno alle diverse fasidella costruzione dell'edificio, cosa che avviene pubblicamente e

che si presta quindi a riscontri. In effetti sembra che gran partedella popolazione di Bandjoun abbia cooperato all'impresaraccogliendo e devolvendo il denaro necessario all'opera. Adessere stati coinvolti sono stati non solo i residenti nella chefferiema anche gli emigrati nelle grandi citt camerunesi di Yaounde eDouala o all'estero, in Europa o negli Stati Uniti. Tutto questo hacomportato un'intensa attivit diplomatica che ha impegnato il rein parecchi viaggi tesi a rafforzare le sue relazioni con tutti iBandjoun. E' interessante notare a questo proposito quantoimportante sia la connessione fra i Bandjoun della diaspora equelli residenti nel villaggio di origine: cosa confermata anche dal

costume diffuso, quando nasce un bambino, diritornare a Bandjoun per seppellire il suocordone ombelicale25 ; e quando questo non possibile, di spedire il cordone ai propriparenti che dando loro l'incarico di eseguire ilrito.Tuttavia nelle mie interviste ho notato - adispetto delle ripetute affermazioni circal'esistenza di un consenso unanime - undiffuso malcontento: il re era sospettato di averspeso altrimenti il denaro e falegnami e artistilamentavano di non aver ricevuto i titolionorifici che il fo aveva loro promesso diconferire. Un problema di rapporti che inrealt risale alla designazione del re NgniKamga II nel 1975: molta gente vi ha visto unusurpatore che ha spezzato la linea ereditarialegittima. Vi quindi un dissenso nonapertamente dichiarato che colpisce il re inquanto uomo ma al fine di riaffermarel'integrit dell'istituto monarchico.Anche le trasformazioni nei materiali e nelletecniche di costruzione possono essere

interpretate tanto come un segno di questa disaffezione da partedel popolo che come indice dei dubbi e delle preoccupazionicirca il futuro nutriti dalle elite. Se il bung die opera come unmezzo per attrarre il popolo intorno al re, questo avvieneattraverso il lavoro collettivo che richiede. La raccolta, il trasportoe il lavoro del "bambu", della terra rossa e delle liane usate per lacostruzione coinvolgono l'insieme della popolazione facendo diogni quartiere il responsabile di un particolare lato dell'edificio.La deperibilit dei materiali richiede periodici restauri e consentenel contempo un rinnovo dell'alleanza fra re, capi minori epopolo. In questo evento ciclico il potere trova una fonte dilegittimazione ma corre anche il rischio di un rifiuto. A partire daquesta prospettiva possiamo forse vedere nella commistione dimateriali vecchi e nuovi del bung die un problematico tentativo difissare e preservare la "tradizione" evitando il rischio dellaverifica periodica. Oltre a questa volont politica vi anche lapreoccupazione circa la perdita di competenze tecniche che stacolpendo Bandjoun (gli scultori per esempio, hanno pochissimiapprendisti cui trasmettere la loro arte) e quindi, da questo lato, la

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Palo della Casa della felicitaraffigurante uno chef bamileke

nuova "grande capanna" un tentativo - cos mi stato detto - diguadagnare tempo in vista di una futura generazione piqualificata e coinvolta nelle attivit tradizionali.Nel trattare le questioni del sacro e della religione, dobbiamoquindi considerare il ruolo svolto dagli individui che dai repertoritradizionali di simboli e credenze attingono utilizzandolistrategicamente come risorse per accrescere i propri benefici nelcontesto dell'interazione sociale.Non quindi sufficiente descrivere sistemi o strutture, ma bisognaconsiderarle come insiemi di vincoli e opportunit entro le qualigli individui negoziano la loro posizione attraverso lamanipolazione di significati comuni e condivisi.Non si tratta dell'uso cinico di un simulacro ideologico,conseguente al ritrarsi della religione e all'avanzare dellasecolarizzazione; piuttosto abbiamo a che fare con pratiche ecredenze normalmente connesse al sacro e in particolare all'usodelle immagini nei luoghi sacri.L'antropologia attribuendo alla credenza un senso collettivo hatalvolta presupposto un'uniformit di atteggiamento ecoinvolgimento da parte di tutti gli individui facenti parte delgruppo, ma la distribuzione degli atteggiamenti verso una certacredenza non necessariamente uniforme. Nel parlare di"credenza" non dobbiamo pensare solo " alla fede assoluta e allaconvinzione inalterabile. Le cose che uno dice, quello che sente,quello che fa, non detto siano fra loro coerenti. () Le personepossono differire individualmente nel modo in cui vedono laverit di quello che sostengono in comune con gli altri membridella loro comunit"26 .Alla fine, come afferma Roy Rappaport, ci che conta nelleperformance rituali non la sincerit della credenza, che unostato privato, ma l'accettazione dell'impegno richiesto che unatto pubblico"27.Questo il caso, in particolare dell'atteggiamento nei confrontidelle immagini: le figure del bung die condividono la sacralit delluogo ma non sono oggetto di adorazione; i riti sono eseguitiall'interno dove non ci sono immagini. E tuttavia queste immaginicontribuiscono a creare il contesto significativo entro il qualeopera il "sacro": mostrano i problemi, le risorse e le mete perchlo scopo non di guadagnarsi la salvezza in un mondotrascendente ma di accrescere la forza della comunit in questomondo. Immagini che comunque non compongono una storiacoerente; abbiamo piuttosto una molteplicit di simbolidiversamente attivati dalle interpretazioni, secondo le aspettativee gli scopi di ciascuno.

Il bung die di Bandjoun non c' pi. E' stato distrutto dal fuoco,

molto probabilmente da un incendio doloso, il 19 gennaio diquest'anno. Anche il palazzo, gli archivi e una parte del tesororeale sono stati danneggiati28 . Ma proprio con la sua sparizione el'enorme emozione che ha suscitato a Bandjoun continua amostrare la sua importanza29. A questo proposito significativo ilgran numero di persone che si recato sul luogo dell'incendio pereseguire il rito Pimuk: versando un po' d'acqua sulle rovinedell'edificio, lavandosi il volto, si attesta la propria innocenza e siscongiura il ripetersi di eventi simili30 .Sebbene nessuno sia stato incolpato per questo crimine opinionediffusa che si tratti di un fatto maturato nel contesto delle lotteche hanno seguito la morte di re Ngni Kamga (il costruttore delbung die andato distrutto) nel dicembre 2003 e la designazione delnuovo re, Djomo Kamga Honor nel gennaio 200431 . Da un latoi membri della famiglia del re defunto sono accusati di volersivendicare e dall'altra il re attuale sospettato di aver volutocancellare la memoria del suo predecessore colpendone quellache la sua eredit maggiormente visibile. Il giornale cameruneseLa Nouvelle Expression parlava di uno scenario in cui "la rabbiadegli antenati" era monito ai figli di Bandjoun affinch vadanod'accordo32 . In questi atteggiamenti possiamo vedere all'operanon solo una lotta politica ed economica ma anche e nel contempola presenza di credenze religiose che hanno i caratteri che MarcAug ha attribuito al paganesimo: pragmatismo, immanenza edimensione persecutiva33 .Anche questi incendi d'altra parte appartengono alla tradizione delbung die e ne testimoniano l'importanza: come la sua costruzioned corpo all'unit ideale del popolo Bandjoun cos la suadistruzione ne esprime le lacerazioni. Cos nel rogo non l'esistenza del bung die in quanto tale a essere messa in questioneed quindi certo che ne avremo un altro molto presto.

Cos chiudevo il mio testo nel mese di marzo. Nell'ultimo viaggiolo scorso agosto ho trovato che i lavori di ricostruzione erano giiniziati; quanto meno gli artisti avevano gi cominciato a scolpirei pali (ancora una volta con significative variazioni rispetto alpassato). Molti problemi sembrano tuttora aperti, da quellofinanziario a quelli concernenti la sicurezza nonch, soprattutto,la composizione dei dissidi che hanno portato alla distruzione delprecedente bung die e che potrebbero continuare pesare anchesull'esistenza del successivo. Significativo per il fatto che SuaMaest Djomo Kamga Honor e le elite di Bandjoun abbianoritenuto di dover comunque dare inizio ai lavori al fine diriaffermare in modo visibile la continuit del potere e dell'unit diBandjoun. Vi si gioca una prova di forza. E per me, naturalmente,si riapre un terreno di ricerca.

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Note

* Le immagini che compaiono nellarticolo sono dellautore. 1 "Rethinking Secularization", 2005 International Society for Intellectual History, University of California, Davis, 31 marzo - 3 aprile2005.2 Paul Gebauer, Art of Cameroon, Portland Art Asoociation, Portland, 1979; Tamara Northern, Art of Cameroon, SmithsonianInstituition Press, Washington DC, 1984; Pierre Hartier, Art anciens au Cameroun, Editions Arts d'Afrique Noire, Arnouville, 1986;Louis Perrois, Les rois sculpteurs, art et pouvoir dans le Grassland camerounais, Muse national des Arts d'Afrique et d'Ocanie /Runion des Muses Nationaux, Paris, 1993; Louis Perrois, Jean-Pierre Notu, Rois et sculpteurs de l'ouest Cameroun. La panthre etla mygale, Editions Karthala Orstom, Paris, 1997; Jean-Pierre Notu, Batcham. Sculptures du Cameroun, Muses de Marseille /Runion des Muses Nationaux, Avignon, 19933 L. Perrois, 1993, p. 534 Bernard Maillard, Pouvoir et religion. Les structures socio-religieuses de la chefferie de Bandjoun (Cameroun), Peter Lang, Berne,Francfort s. Main, New York, 1984, 1984, pp. 131-1715 Ivan Bargna, Arte africana, Jaca Book, Milano, 20036 Marc Aug, Gnie du pagansime, Gallimard, Paris, 19827 Jack Goody, Representations and Contradictions. AmbivalencesTowards Images, Theatre, Fictions, Relics and Sexuality, Blackwell,London, 1999 (tr. it. Le ambiguit della rappresentazione. Cultura, ideologia, religione, Feltrinelli, Milano, 2000)8 Paul Darby, Africa Football and Fifa Politics Colonialism and Resistance, 2001; G. Armstrong, R. Giulianotti, Football in Africa :Conflict, Conciliation and Community, McMillan 2004; E. Mve Elemva, Le livre blanc du football camerounais, Editions le matin,Yaounde, 1998.9 Ivan Bargna, Intervista a Clestin Tawadje, Bandjoun, luglio 200210 Susan Diduk, "European Alcohol, History and State in Cameroon", African Studies Review , 36,1,199311 10 agosto 2002, funerale della regina madre della chefferie di Bangangte12 Ivan Bargna, intervista con Patrice Kayo (University of Yaounde, Cameroon), Bafoussam, agosto 200313 Peter Geschiere, Sorcellerie et politique en Afrique. La viande des autres, Editions Karthala, Paris, 1995, p. 914 Eric J. Hobsbwam, Terence Ranger, The Invention of Tradition, Cambridge University Press, Cambridge, 1983 (tr. It. L'invenzionedella tradizione,Einaudi, Torino, 1994)15 Dominique Malaquais, Architecture, pouvoir et dissidence au Cameroun, Karthala, Paris - Presse de l'UCAC, Yaound, 2002, pp.344-35216 Malaquais, Op. Cit., p. 35017 Jean-Pierre Warnier, L'esprit d'entreprise au Cameorun, Editions Karthala, Paris, 1993, p. 281; Dan Soen, Patrice de Comarmond,"Savings associations among the Bamileke. Traditional and modern cooperation in south west Cameroon", Journal de la Socit desAfricainistes, 41,2,197118 Wilfried Van Damne, A comparative analysis concerning beauty and ugliness in Sub-Saharian Africa, Africa Gandensia, Gand, 198719 Charles-Henry Pradelles de Latour, Le crne qui parle. Ethnopsychanalise en pays bamilk, E.P.E.L., Paris, 1997, pp. 45-5320 Jaques Hurault, La structure sociale des Bamilk, Mouton, Paris, 1962, pp. 59-63; Bernard Maillard, Op. Cit., pp. 50-8721 Jean-Paul Warnier, Op. Cit. , pp. 197-22222 Dieudonn Zognong ," La question bamilk pendant l'ouverture dmocratique au Cameroun", Publications du CIREPE, n1 ,http://www.unesco.org/most/p95cir1.htm; Joseph-Patrice Onana Onomo, "Symtries hgmoniques bti-bamilk et rivalitspolitiques au Cameroun", Publications du CIREPE, n1 , http://www.unesco.org/most/p95cir1.htm23 si veda per esempio: http://festivalbamileke.org/24 Jan H. B. Ouden, "In Search of Personal Mobility: Changing Interpersonal Relations in Two Bamileke Chiefdoms, Cameroon",Africa, 57,1, 1987, p. 325 D. Malaquais, 2002, p. 19926 Gilbert Lewis , "Magic, Religion and the rationality of Belief" in Tim Ingold (ed.), Companion Encyclopedya of Anthropology,Routledge & Kegan Paul, London New York, 1994 pp. 567-56827 Roy A. Rappaport, Ritual and Religion in the Making of Humanity, Cambridge University Press, Cambridge, 1999, pp. 107-13828 Alain C. Godonou, Sdhou E. Koutinh, Rapport technique mission chefferie de Bandjoun (Cameroun), Ecole du Patrimoine Africandi Porto-Novo,Bnin, 2005 (dattiloscritto)29 Si vedano per esempio,T Defo F Fotu, "Incendie criminel Bandjoun", Jeune AfriqueEcononomie, 360, February, 2005; The

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forum http://festivalbamileke.org/article.php3?id_article=6130 Alain C. Godonou, Sdhou E. Koutinh, Op. Cit. 31 Emblematico il titolo di copertina con cui il mensile Jeune Afrique Economie, diretto da Blaise-Pascal Talla, un notabile di Bandjoun,salutava il nuovo re: "Dopo 19 anni senza re Bandjoun festeggia l'arrivo di Sua Maest Djomo Honor": i "diciannove anni senza re"sono quelli del regno del fo precedente, Ngnie Kamga.32 Edmond Kamguia, "Chefferie de Bandjoun. Un incendie comme bougie d'anniversaire", La Nouvelle Expression, Douala,1/26/2005.33 Marc Aug, Op. Cit.

Maschera Elefante BamilekeIl re e i membri della societ Kuosi in Bandjoun, 1930

(fonte: http://www.randafricanart.com)

Lo studio dei media da una prospettiva antropologica harinvigorito il mercato editoriale anglofono dei testi diantropologia, istituendo nuovi corsi e nuovi programmi di studioin diverse universit americane e inglesi, per fare alcuni esempitra i pi conosciuti. Anche qui all'Universit degli studi di Milano-Bicocca, Ugo Fabietti ha avviato nel 2004 un corso diAntropologia dei Media allinterno della laurea Triennale inScienze della Comunicazione. Lo scorso anno linsegnamento diSociologia dei Media per la specialistica di antropologia, tenutol'anno precedente da Paolo Ferri, stato affidato a noi. Date lenostre rispettive competenze e interessi di studio, il corso statoimpostato accostando alcuni esempi della letteraturaantropologica sui media e testi di sociologia dei media aventi incomune alcune premesse metodologiche. Questa non la prima volta che Achab accoglie e pubblica alcuneetnografie prodotte all'interno dei corsi di antropologia dellaFacolt (cfr. N. 2, giugno 2004). Questo tipo di spazio editoriale particolarmente importante perch permette di rendereaccessibile ad un pubblico pi ampio dei soli partecipanti ai corsii materiali didattici prodotti. Inoltre, questo tipo di pubblicazioneimpone una nuova scadenza e insieme un'occasione per rivedereil proprio lavoro e riorganizzarlo in tempi successivi alla fine delcorso (questo sia per gli studenti che per i docenti). Cos,prendendo spunto dalla pratica gi sperimentata da diversi docentidi antropologia della facolt, abbiamo richiesto agli studenti direalizzare un'etnografia dei media a partire dalla premessa, dataper scontata al livello della specialistica, che intende l'etnografiasoprattutto come pratica per la produzione di un sapere critico.Per quanto i tempi imposti dal calendario didattico siano ristrettie limitanti, abbiamo ritenuto che valesse comunque la penaproporre ai partecipanti di provare a progettare e realizzare unproprio percorso di ricerca a partire dagli spunti teorici emetodologici presentati durante le lezioni; un percorso in cuiscegliere autonomamente l'argomento e la tipologia di media datrattare. In questo senso, se le etnografie qui presentate (unaselezione di tutte quelle prodotte), sono prima di tutto frutto di unlavoro personale, tuttavia esse sono anche il risultato dei contenutipresentati durante le lezioni. Per presentare questi lavorivorremmo, quindi, spendere qualche parola riguardo alleprincipali questioni affrontate durante il corso e ai contributi pisignificativi che sono stati presentati al suo interno, non solo daparte nostra, ma soprattutto da altri docenti, sociologi dei media(Federico Boni, Gianpiero Mazzoleni, Paolo Ferri), antropologi(Setrag Manoukian, Vicente Rafael, Simona Vittorini) efilmmaker (Vision Machine Film Project).In un momento in cui la sociologia dei media si sta aprendo alla

ricerca sul campo, attingendo sia alla letteratura della propriatradizione disciplinare sia all'antropologia, ci sembravaimportante vedere quali potevano essere nella ricercaantropologica i contributi specifici, e quindi le assonanze edivergenze metodologiche con la sociologia dei media. Il corso si quindi concentrato sulla pratica etnografica dei media, cercandodi fare incontrare sociologia e antropologia sul terreno comunedella ricerca sul campo. Ma come si fa un'etnografia dei media?Fare etnografia dei media, non una cosa semplice da spiegare eneanche illustrare i vari filoni teorici della ricerca sociologica suimedia era un compito facile, considerato il vasto corpo di lavoriche esistono in materia e le varie ramificazioni, ma soprattuttonon era scontato per noi che non avevamo una formazionedisciplinare in sociologia. Come accennato all'iniziol'antropologia dei media nasce, invece, come sottodisciplinadell'antropologia nel momento in cui alcuni antropologifinalmente si accorgono che, nei loro lavori, lo studio dei mezzi dicomunicazione non aveva trovato uno spazio rilevante o chequesta dimensione non era mai stata esplorata fino in fondo. Dauna parte, troviamo antropologi che si ritagliano una fetta di

sapere nominandolaantropologia dei mediaconferendole lo statutodi sottodisciplina,dall'altra, ci sono lavoriche appartengono adun ambito di studi noni d e n t i f i c a b i l inecessariamente conl'antropologia, ma a cuigli antropologiattingono per costituireil loro bagaglio diletture e riflessioni:come gli studi

sull'estetica, gli studi culturali, gli studi sul cinema, sul genere,sulla religione e gli studi postcoloniali che nelle diverseprospettive si sono occupati di media e di pratiche mediatiche.Questi lavori non sono riconducibili ad un'unica definizione di ciche si intende per antropologia dei media, ma insiemecontribuiscono tutti, talvolta in maniera originale, allo studio deimedia in una prospettiva multidisciplinare aggiornando laletteratura sugli studi della comunicazione di massa e quellaantropologica allo stesso tempo.Tra questi molteplici aspetti, durante il corso, prima di passarealla lettura di ricerche etnografiche, sono stati presentati due saggi

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Etnografia e mediadi Monica Fagioli e Sara Zambotti

dossier

pi teorici che intendevano definire due distinte possibilit diapproccio allo studio dei media, di cui ci interessavasuccessivamente indagare le possibili "ricadute" e "applicazioni"etnografiche. Da una parte, la Discourse Network Analysis diFriedrich Kittler che riprende il modello di analisi del discorso diFoucault per "riaprirlo" e integrarvi l'attenzione all'interazionecorpo/tecnologia cos come stata approfondita da McLuhan. Aquesto segue un'analisi di come in ogni dato momento storico ilsistema delle tecnologie comunicative, gestito e diffuso dastrutture di potere, influenza il nostro modo di processareinformazioni e di come le tecnologie danno forma (in suoni,immagini e testi) alle nostre percezioni autorizzando particolarirappresentazioni di realt a discapito di altre. Dall'altra, il modelloEncoding-Decoding di Stuart Hall che, attingendo anche allasemiotica, applica i concetti di ideologia, articolazione(Althusser) e egemonia (Gramsci) allo studio dei processicomunicativi, non pi pensati come lineari e omogenei ma comediscorsi significativi, generati da lotte e negoziazioni di codicioppositivi, spostando quindi l'attenzione sulle pratiche e i discorsimediatici e sui loro significati ideologici.Il primo passo stato quello di contestualizzare questi dueapprocci richiamando brevemente, per il primo, le innovazioniportate da quei ricercatori che a partire dagli anni '50 hannoprodotto studi in cui la storia e l'analisi dell'effetto dei mezzi dicomunicazione venivano ripensate mettendo in luce l'evoluzionedegli aspetti tecnologici e funzionali dei mezzi. McLuhan e Innis(poi identificati come gli studiosi canadesi della Media Theory),ognuno a suo modo, hanno sottolineato l'importanza delfunzionamento e della struttura materiale del mezzo comeelementi da considerare per comprenderne l'effetto sullepercezioni umane, pensando le tecnologie e la sensorialit comeelementi integrati e inscindibili (McLuhan). Per il secondo,invece, inquadrando lo sviluppo degli studi culturali dal secondodopoguerra, come studio della working class e come critica agliapprocci empirici e quantitativi americani nello studio dei media,attraverso il ricorso alla semiotica, al metodo etnografico e allateorie neomarxiste, con l'avvio di studi sulla cultura popolare, sulconcetto di razza e di genere. In seguito si cercato di discutere quali potevano essere lericadute etnografiche di questo tipo di approcci, non tanto intermini di rigida applicazione di paradigmi, ma sotto forma didomande: che cosa significa fare un'etnografia dei media che siinterroghi sulle modalit specifiche in cui le tecnologieprocessano informazioni? Come integrare la tecnologia all'internodell'etnografia senza che questa diventi una dimensioneschiacciante, deterministica e meccanica? Come cambia ilconcetto di media se a "medium" sostituiamo "tecnologia"?Come cambia la collocazione della dimensione del potere? E,sull'altro versante, quali sono gli schemi di significazione chesottendono ad una rappresentazione? Le nostre aspettative, inostri pareri, opinioni, rimandano ad un ideale di oggettivit nelgiornalismo o nei media in generale? Come si compone ildiscorso mediatico, quali sono i suoi posizionamenti e le sue

lacune?A questo tentativo di traduzione dei testi teorici in domande, seguita l'analisi di alcune etnografie in cerca di possibili risposte.Rudolf Mrazek usa fonti storiche d'archivio e letterarie peranalizzare la colonizzazione olandese delle isole nell'attualearcipelago indonesiano guardando alle trasformazioni dellemodalit di sentire introdotte dall'importazione di tecnologie dallamadrepatria. L'uso della radio, dell'elettricit' e dell'automobile(per citare alcuni esempi) trasformarono i modi di vivere e disentire in colonia e introdussero nuovi modelli comportamentali.L'etnografia di Vicente Rafael, che ricostruisce i recenti sviluppipolitici nelle Filippine attraverso l'analisi del ruolo del telefonocellulare nell'aggregare e dar forma alle proteste popolari nellestrade di Manila, apre su altre dimensioni del rapporto tra soggettie tecnologie come, per esempio, quella delle "fantasietelecomunicative", sui significati culturali attribuiti allapossibilit di comunicare a distanza (e quindi in assenza) e sullaloro ricaduta politica. O ancora, su come si costruisce in un certocontesto sociale la credenza e la fiducia nell'attendibilit di untesto (messaggio, suono, immagine) mediatica e su quali sono ledimensioni e le fonti da indagare per capire come e perch unmessaggio o una rappresentazione ritenuta pi veritiera diun'altra.

Lo studio etnografico di Arvind Rajagopal, invece,guarda alla programmazione televisiva di un film epico hindunella televisione di stato indiana e alla sua audience comedimensione in cui non solo possibile rintracciare i frammentidell'idea di nazione indiana e ricostruire i vari significaticontrastanti di appartenenza nazionale, ma anche possibileconstatare l'inadeguatezza del concetto di nazione come"comunit immaginata" applicato al contesto indiano, compostodi elementi premoderni e in via di modernizzazione. Guardando agli esempi di queste e altre etnografie sono emerseprevalentemente alcune critiche a certe categorie e teorie nellostudio dei media che accusavano di eurocentrismo sia la letturamediacentrica delle media theories canadesi, sia alcuni assuntidegli studi culturali sui media che non tengono conto dellepratiche e dei contesti non occidentali in cui i media vengonofruiti o praticati. Le etnografie emerse dall'ambito degli studi sulmulticulturalismo e gli studi postcoloniali, hanno spinto cos lanostra riflessione etnografica sul contesto e sulle rappresentazionieurocentriche che concorrono alla formazione dell'immaginariocinematografico, televisivo o che popolano le testategiornalistiche .Grazie a questi esempi, il nostro intento stato prima di tuttoquello di trasmettere uno degli assunti che ha caratterizzato ilnostro apprendimento in ambito etnografico che consiste nelpensare l'etnografia come una ricerca che si deve costruire neltempo come sintesi dinamica, mutevole e riflessiva di diversiapprocci e strumenti. Andando avanti nel corso delle lezioni,quella che era stata la distinzione iniziale tra tecnologie e politicadella significazione (su cui avevamo impostato anche le nostrerispettive specificit didattiche) ha perso molto del suo potere

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classificatorio. Il confronto con le etnografie, infatti, ha prestorivelato come entrambe queste dimensioni (insieme a molte altre)sono presenti nella complessit delle pratiche socialicomunicative. Inoltre, la fluidit e la pervasivit di una categoriacome quella di comunicazione contribuiscono a rendere l'ambitodi studi vasto e difficilmente etichettabile. Tuttavia, la nostrarichiesta stata quella di cercare di fare emergere la presenza diquesti aspetti nelle ricerche individuali, invitando gli studenti apraticare percorsi di ricerca anche poco battuti (comenell'etnografia dello spazio sonoro nell'area Europlex-Bicoccaelaborata da Tullia Gianoncelli). Avremmo voluto anche poterintegrare nel corso la pratica di un mezzo di comunicazione videoo audio, se avessimo avuto il tempo e le risorse, ma questo non stato possibile. La manipolazione, l'uso, la conoscenza deimeccanismi attraverso cui si producono testi, suoni, immaginipu essere un metodologia didattica efficace tanto quantol'etnografia per impadronirsi della "lingua" dei mezzi e capiremaggiormente come questa influisca sui contesti e le pratiche. Il contributo di altri docenti (Federico Boni che ha presentatocome l'etnografia si inserisce negli studi sociologici sui media,Gianpiero Mazzoleni che ha analizzato l'assetto della proprietdei media in Italia proponendo cosi un esempio di analisi attentaal potere dei mezzi di comunicazione, Setrag Manoukian che hapresentato alcune parti della sua etnografia sulle pratiche di"editing" nell'Iran contemporaneo e Simona Vittorini infine haillustrato alcuni aspetti della politica contemporanea in India apartire dalle immagini di manifesti politici e serials televisivi)hanno ulteriormente allargato lo spettro dei possibili approccietnografici allo studio dei media. Inoltre Michael Uwemedimo, eAndrea Zimmermann, hanno presentato il lavoro del lorocollettivo, i Vision Machine Film Project, che combinano lapratica video all'antropologia, al cinema e alla storia ispirandosi allavoro del filmmaker francese Jean Rouch e adoperando partedella metodologia partecipativa che Rouch utilizzava nellaproduzione dei suoi film in Africa, (il gioco dei ruoli, la re-interpretazione, la rinarrazione, l'impiego dell'immaginariocinematografico e di attori non professionisti come protagonisti)

sul loro lavoro in Indonesia e negli USA che indaga sul circuito oloop tra violenza spettrale e spettacolare, la violenza dellacolonizzazione e delle politiche neocoloniali americane.

Le etnografie scritte da Fiammetta Martegani, SilvanaCalzolari, Tullia Gianoncelli, Serena Bottelli sono alcuni esempidi come si possa condurre una prima ricerca etnografica a partireda un testo mediatico (messaggio, suono, immagine), da luoghi diproduzione di "svago" pi o meno commercializzato estandardizzato o, ancora, a partire dall'immaginario tecnologico.Nel testo di Fiammetta Martegani, la comparazione di due testifilmici e delle rappresentazioni simboliche che compongonol'immaginario sulla guerra nel cinema occidentale anglofonomette in rilievo quali siano i tropi della rappresentazionenell'immaginare la guerra in Vietnam e far emergere cos alcunecaratteristiche della societ per le quali questo immaginario stato creato. L'analisi semiotica di uno spazio espositivo milanesenel cuore della citt, condotta da Serena Bottelli osserva invecequali siano le pratiche di fruizione di quello spazio e i significatiad esso connessi, secondo un tipo di analisi formale degli spazi edi un luogo come mezzo di comunicazione. Silvana Calzolari hacondotto un'etnografia sul cellulare guardando all'eventoTsunami. La promessa legata alla possibilit data dal cellulare difar pervenire gli aiuti dalle famiglie srilankesi residenti in Italia ailoro parenti e amici in Sri Lanka emerge da un'attenta analisi delmezzo come tecnologia comunicativa che partecipa allacostruzione dell'immaginario tecnologico e influenza le pratichequotidiane. Attraverso un'immersione attenta alla sonorit dialcuni spazi "ricreativi" di un centro commerciale nella periferiamilanese, l'etnografia di Tullia Gianoncelli svela le modalit incui questo design sonoro stato pensato e presenta diversemodalit di subirlo e/o percepirlo da parte di coloro che lo abitanoe lo attraversano. Nello stesso modo il paesaggio sonoro pone unaserie di domande all'etnografa riguardo a quali strumenti usare peranalizzarlo (paesaggi e spazi, forse non a caso, ripropongonometafore visuali) e a come raccontare, utilizzare, definire l'ascoltocome pratica di ricerca.

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1. Introduzione: dal war movie al viet movie

Il 30 aprile 1975, con la firma dell'armistizio e la caduta definitivadi Saigon, cessano ufficialmente le ostilit che hanno segnato inmodo drammatico la storia non soltanto del Vietnam, ma anche, ein modo decisamente significativo, degli Stati Uniti d'America.Se, come afferma lo storico militare inglese John Keegan, "tuttele guerra dei tempi moderni hanno provocato una rispostaletteraria, ma sempre a una certa distanza dalla fine delle ostilit"1,anche nel caso del conflitto del Vietnam, Hollywood inizier ainteressarsi alla sua rappresentazione soltanto sul finire degli annisettanta, "per poi inondare gli schermi come seduta psicoanaliticadi massa a partire dagli anni ottanta"2.Le resistenze da parte delle majors nell'affrontare il tema delVietnam negli anni in cui la guerra era in corso e nell'immediatodopoguerra, vanno individuate in pi fattori concomitanti, , mache tendenzialmente convergerebbero in ragioni pi di tipofinanziario che non politico. I produttori hollywoodiani hannoinfatti sempre dimostrato grande prudenza nel finanziare filmriguardanti temi politicamente controversi, per timore di eventualiboicottaggi ai botteghini.Tuttavia l'assenza di film hollywoodiani sul tema del Vietnam trail 1964 e il biennio 1978-1979 non pu non essere ricondottaanche all'inevitabile difficolt da parte dei registi cinematograficidi parlare in maniera diretta di un argomento cos violentementedibattuto in tutto il Paese, tanto che i primi tentativi da parte deicineasti di avvicinarsi al delicato argomento, avverranno inmaniera obliqua, attraverso l'allegoria del western filo-pellerossa,come in Piccolo grande uomo di Penn e in Soldato blu di Nelson,entrambi girati nel 1970.Altre modalit con cui verr colmato il vuoto lasciato daHollywood, saranno la produzione documentaristicaunderground, legata alla controcultura e al movimento pacifista,da un lato, e i B-movies dall'altro, che, oltre a puntare subassissimi costi di produzione, vedranno nel viet movie unamodalit attraverso cui poter parlare di temi scottanti comeviolenza, droga e sesso, argomenti con cui potersi assicurare unospazio di nicchia anche all'interno di un mercato dominato dallemajors.Ma il biennio in cui le grandi produzioni inizieranno ad affrontaredirettamente il tema della dirty war sar soltanto quello del 1978-79, ovvero con l'uscita rispettivamente di Il cacciatore di Ciminoe Apocalypse now di Coppola, che peraltro sceglieranno entrambi

strategicamente di collocarsi non solo al di fuori della tradizionedel war film, ma pi in generale al di fuori di ogni ipotesi di tipomimetico, rifiutando a priori di raccontare la guerra attraverso icodici del realismo, peculiari al genere bellico, e optando inveceper una rappresentazione simbolica e metastorica.Sar dunque grazie all'exploit Cimino-Coppola che gli anniottanta vedranno una vera e propria fioritura del viet movie comegenere autonomo, del resto, non a caso, in corrispondenza alclima di orgoglio patriottico creato dalla presidenza Reagan, che,impiegato in una nuova guerra fredda contro il comunismomondiale, far in modo che il Vietnam venga riletto non pi comeuna pagina oscura da dimenticare in fretta, bens come unepisodio glorioso, seppure segnato dalla sconfitta, in cui i soldatiamericani si sono fatti onore.Nel marzo 1983 Reagan arriver a firmare la "National SecurityDecision Directive 75". Tale direttiva, come analizzato da Virilio,annunciava la realizzazione del "Progetto Democrazia", vale adire il richiamo ad un accresciuto impegno americano in materialidi propaganda per accompagnare le misure di sanzioneeconomica e l'impegno militare americano. A tal fine,l'Amministrazione reclamava 85.000.000 di dollari di credito in"film, libri e mezzi di comunicazione, per promuovere le forme didemocrazia"3.L'esperienza vietnamita spezza cos, usando le parole di Valantin4,il "complesso militar-cinematografico" in due poli: unoconservatore che si rivolge alla maggioranza silenziosa, e l'altroliberale che denuncia con virulenza la guerra in Vietnam, i suoieffetti sociali ed ideologici, cos come l'apparato politico estrategico che l'ha sostenuta.Come analizzato efficacemente da Stefano Ghislotti5, lacostruzione dell'eroe forgiato dall'esperienza vietnamita occuperil cinema americano a partire dagli anni ottanta anche attraversofilm che non parleranno direttamente della guerra: in questocontesto emergeranno quei diversi generi di film che spaziano dalmissing in action alla Rambo (Kotcheff, 1982) al tema del"ritorno", come nel caso di Taxi Driver (Scorsese, 1976).Molteplici e spesso diametralmente diversi tra di loro sarannodunque i punti di vista con cui il cinema americano tenter dirappresentare il vissuto del Vietnam.La dining-room war, la guerra vista in televisione, costatadrammaticamente sia in termini finanziari che umani (il bilancioa guerra finita di oltre 58.000 morti) e alla fine abbandonata, rimasta nel corso degli anni settanta come una ferita

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La rappresentazione del conflitto del Vietnamattraverso Hollywood

Analisi comparata di Apocalypse now di Coppola e Full Metal Jacket di Kubrick

di Fiammetta Martegani

irrimarginabile nel sentimento nazionale americano. Negli anniottanta, alle prese con questa ferita ancora aperta, l'industriaculturale americana, e quella hollywoodiana in particolare,manifester orientamenti diversi che oscilleranno tra l'adesionealle ragioni dell'intervento, attraverso la ricerca di una rivincitamorale, alla denuncia esplicita nei confronti di una guerra maidichiarata, combattuta con i mezzi tecnologici pi avanzati,costata migliaia di vite umane, e alla fine perduta.Punti di vista e quindi modalit di rappresentazionidiametralmente differenti, non soltanto nella produzione deicontenuti, ma, con conseguenze significative e pervasive,soprattutto attraverso la codifica delle forme.Sia in Apocalypse Now che in Full Metal Jacket (Kubrick, 1987)si ha a che fare con l'iniziazione di un anti-eroe, viaggio iniziaticoche si svolge attraverso l'esperienza nel corpo dei marines,culminante nella metabolizzazione del diritto legittimo diuccidere, in modo da poter rientrare all'interno di quel sistema, dacui il soggetto, nel momento stesso in cui cerca di emanciparvisi,viene, de facto, inevitabilmente inglobato.Tuttavia le forme con cui verranno rappresentati i due diversipercorsi di iniziazione prenderanno strade talmente antitetiche dadeterminare uno stravolgimento degli stessi contenuti, ed conquesta prospettiva che si intende effettuare un'analisi comparatadei due film, attraverso una decodifica delle strutture narrative edei riferimenti letterari, dell'ausilio della colonna sonora, dellascelta dell'ambientazione e dell'uso della luce.

2. Strutture narrative e riferimenti letterari

Come si era accennato in anticipo, le modalit adottate daCoppola nel rappresentare il conflitto del Vietnam risultano deltutto innovative rispetto alla dinamiche di rappresentazione deifilm di guerra canonici.Intimamente vincolato al romanzo di guerra novecentesco, il warmovie canonico, da Niente di nuovo sul fronte occidentale(Milestone, 1928) in avanti, tender a seguire quella tipicatripartizione della trama, schematizzabile in:1.addestramento2.arrivo al fronte, battesimo del fuoco e perdita dell'innocenza3.rigenerazione attraverso la violenzaQuesti ritmi narrativi, ben accolti da Kubrick in FMJ, verrannoinvece rifiutati da Coppola in Apocalypse now, e questi dueantitetici tipi di scelte non saranno casuali, ma strettamente legatiai romanzi da cui i due film vengono rispettivamente tratti: Natoper uccidere di Gustav Hasford, del 1979, e Cuore di tenebra diJoseph Conrad, del 1902.Volendo dunque parlare delle strutture narrative peculiari a generiletterari specifici, se Nato per uccidere tende a rispettare latradizione del romanzo bellico novecentesco (per quanto, comevedremo in seguito, Kubrick operer degli stravolgimentisignificativi rispetto alla dimensione onirica del testo), Cuore ditenebra si colloca piuttosto nella tradizione del romance

americano ottocentesco (Alonge, portando avanti quest'ipotesi, fariferimento a Cooper, Melville e Twain)6, incentrato nella figuradi un uomo bianco in fuga dalla civilt, il quale, in compagnia diun "selvaggio" (a seconda dei casi: pellerossa, polinesiano onero), si inoltra in un territorio incontaminato, una wilderness dicui l' "altro" ne risulta espressione fisica.Vedremo infatti che in Apocalypse now la giungla non si presentamai come un luogo "reale", connotato in termini tattici egeografici, ambiente in cui un esercito occidentale ha difficolt adoperare, come avviene ad esempio in Platoon (Stone, 1986). Nelfilm di Coppola, sulla falsa riga del romanzo di Conrad, la massascura degli alberi si configura piuttosto come il simbolo di unanatura arcaica e incomprensibile rispetto ai canoni dellarazionalit dell'"uomo bianco".Per quanto Apocalypse now non sia una trasposizionecinematografica in senso stretto, (nei credits non si fa alcunriferimento all'opera di Conrad, e la sceneggiatura viene attribuitasoltanto a Coppola e Milius) i "modi della narrazione"7 con cui

viene rappresentato ilprodotto discorsivo, hannosubito inequivocabilmenteuna decisa influenza daparte di Cuore di tenebra.Ci che compie Coppola un trasferimento dellacolonizzazione belga delCongo della fined e l l ' o t t o c e n t onell'occupazione americanaavvenuta in Vietnam.In entrambe i casi, comeafferma Alonge, i dueautori muovono il loroattacco alla Kulturoccidentale, facendo uso (esovvertendoli dall'interno)dei codici e delle formeculturali che quello stesso

modello culturale aveva prodotto e utilizzato per lagiustificazione ideologica del proprio operato: Conrad si serve delromanzo esotico-avventuroso dell'et vittoriana, che in scrittoricome Kipling era servito da veicolo di propaganda per la teoriadel "fardello dell'uomo bianco"; allo stesso modo Coppolautilizza il film bellico, tradizionale canale per la creazione delconsenso intorno alla politica dell'establishment americano8.Si potrebbe dunque affermare, rifacendosi all'approccio analiticodi Metz9, che sia nell'opera di Conrad che in quella di Coppola possibile leggere pi sotto-livelli testuali: un primo livello, pievidente e immediato, di tipo storico-politico (l'impresa colonialebelga in Congo e l'occupazione americana del Vietnam); unsecondo livello pi implicito, definibile psicanalitico-iniziatico,costituito dal viaggio come romance, culminante con l'incontrocon il proprio doppio malefico; un ultimo e pi sottile livello di

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tipo metalinguistico, ovvero un racconto sullo stesso raccontare, omeglio, sull'impossibilit di raccontare, ragion per cui la derivastilistica in cui soccombono entrambi gli autori, viene a esplicarsinel ricorso a una dimensione di tipo onirico-esoticizzante.Il tal senso il viaggio attraverso il fiume risulta in entrambe i casiun viaggio verso l'inferno: attraverso la navigazione avviene unaprogressiva perdita di contatto con la civilt, una caduta in ununiverso primordiale che si concretizza man mano chel'imbarcazione risale il fiume, e che raggiunge il suo culmine allafine del viaggio, in un'atmosfera di nebbia e malattia, incorniciatada un paesaggio di teste mozzate e di riti pagani, tanto che nellascena finale di Apocalypse now Willard, prima di uccidere Kurtz,si immerger in un bagno rituale da cui emerger brandendoun'arma primitiva con cui compir una sorta di assassinio-sacrificio. L'immersione di Willard viene cos a rappresentareun'immersione totale nella wilderness, da cui, una volta inglobati,diverr impossibile uscirne.In modo completamente antitetico si muove invece Kubrick, conun deciso rifiuto verso tutto ci che avrebbe potuto rischiare difarlo rimanere imprigionato in una dimensione di tipo onirico-esoticizzante.Come si accennato precedentemente, Nato per uccidere unromanzo di guerra che rispetta buona parte degli snodi narrativicodificati dalla letteratura di genere: addestramento, campo dibattaglia, esperienza e maturazione. Ma ci che avviene diinnovativo, e che viene invece appositamente rifiutato daKubrick, il ricorso ad un registro di tipo onirico-surreale: nelromanzo di Hasford compare a un certo punto un colonnello-vampiro, e non solo Palla di lardo finisce a parlare da solo con ilproprio fucile, come accade in FMJ, ma il fucile stesso detiene ildono della parola.Questa necessit di aderenza al verosimile tale da portareaddirittura Kubrick a stravolgere, in modo tutt'altro che pocosignificativo, la macro-struttura dell'intreccio.Hasford suddivide gli avvenimenti in tre grandi capitoli: "Lospirito della baionetta", "La conta dei caduti" e "Combattimenti".Rispetto a questa tripartizione Kubrick opta invece per un disegnoduale, che contrappone l'addestramento a Parris Islandall'esperienza sul fronte in Vietnam.Il terzo capitolo di Nato per uccidere, in cui avvienel'emblematico episodio del cecchino, si svolge nella giungla,Kubrick, invece, sceglie volutamene di girare la sequenza inquestione presso un ex-stabilimento industriale, situato neisobborghi di Londra.La strategia adottata dunque quella della voluta non-rappresentazione della giungla, una sorta di dis-ambientamentoattraverso l'architettura delle rovine moderniste.Inoltre in Nato per uccidere, una volta che Cowboy viene feritodal cecchino, Joker decide di finire l'amico con una fucilata, inmodo tale che il reparto possa ripiegare, dal momento in cui nonc' pi nessuno da andare a salvare. Laddove nel romanzo ilprotagonista rimane dunque un out-sider fino all'ultima pagina,nel film invece Joker non riesce a ribellarsi alla cultura

autodistruttiva dell'esercito, per cui una volta morto