19
Anno XXXV 3 15 Marzo 2012 € 1,00 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96 Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi E-mail: [email protected] tel. 340.2684464 | fax 0831.524296 “C ome si fa a non restare affascinati dalla figura di Gesù Cristo? Si legge il Vangelo e ci si chiede: chi è questo qui? Io resto sconquassato dal Vangelo, basta un rigo delle parabole. Ha una forza spettaco- lare, viene da alzarsi in piedi sulla sedia” . Lui ne sarebbe capacissimo, e non sarebbe la prima volta. A parlare, infatti, è Roberto Benigni. Si ha un bel dire che siamo in epoca postcri- stiana, ma la figura di Gesù di Nazaret sembra proprio continuare a lanciare, anche nei nostri tempi così distratti e superficiali, la domanda che si sentirono rivolgere i dodici, quel giorno a Cesarea di Filippo: “Ma voi chi dite che io sia?” . Pare quasi che la forza e la vitalità di questo di- lemma stia nel non lasciarsi mai esaurire dalle risposte già date e nel suo riproporsi lungo la storia alle diverse generazioni e nelle diverse culture. Sì, Gesù continua a raggiungere gli uomini, credenti e non, come un appello presente. Un interrogativo non solo per gli storici e gli in- tellettuali, ma fortemente esistenziale. “C’è dentro una forza che ti scarabocchia tutta la vita. Ti mette nella condizione di fare ognuno la rivoluzione dentro te stesso” , per dirla anco- ra con il comico toscano. La storia però c’entra eccome, come attesta con forza Benedetto XVI in entrambi i libri su Gesù di Nazaret, oltre cin- que milioni di copie vendute, in venti lingue. L’hanno dipinto in tutti i modi, ma di Gesù ce n’è uno solo: quello della ricerca critica, così at- tenta a situarlo nella Palestina del primo seco- lo, non è diverso da colui che Tommaso chiama “mio Signore e mio Dio” , otto giorni dopo la ri- surrezione. I Vangeli disegnano una figura storicamente sensata e convincente. A riproporre il fascino e lo scandalo di questa tesi, attraversando tutti i linguaggi della cultu- ra, è stato il convegno internazionale “Gesù, nostro contemporaneo” , promosso nell’ambito del progetto culturale della Chiesa italiana. Due anni fa, era stato “Dio oggi” a radunare e mettere a confronto uomini di scienza e di fede dai diversi continenti. Ora si prosegue guar- dando a Gesù, l’unico uomo nella storia a cui sia stato associato così saldamente il nome di Dio. Questa, infatti, è la chiave per compren- derlo, così come la scommessa di chi lo accetta o lo rifiuta: il suo legame strettissimo con Dio, l’essersi presentato come “il Figlio” dell’unico Dio. Non semplicemente un uomo illuminato, ma la luce che illumina ogni uomo. “Dopo Gesù – scriveva la poetessa Alda Me- rini – qualcuno ha imparato a guardarsi negli occhi, a porsi delle domande, a vedere che l’al- tro non era solo una merce” . Ma, anche lui, un figlio di Dio. Ernesto Diaco Quel prete pronto a chiacchierar Angelo Sconosciuto «N eanche un prete per chiacchierar!», cantava oltre 40 anni addietro lo stesso uomo di spettacolo che, proprio di recen- te ha manifestato ancora una volta - vogliamo leggere così la vicenda - il bisogno di affrontare le questioni di senso, che la vita pone sopra ogni altro problema. Eppure, a sentire quel «neanche un prete per chiacchierare» non è venuta alla mente l’immagine stereotipata del «molleggiato» col soprabito fuori misura, in compagnia di una persona che, mani nella tasche di una tonaca sdrucita e passo regolare, dialo- ga con lui, percorrendo il bordo del campo di calcio di un orato- rio sotto il sole d’agosto .... La talare intravista con gli occhi della mente sembrava piutto- sto quella di un uomo vestito di bianco che, malfermo, scende dall’aereo e trova ad accoglierlo un altro uomo, non in divisa, ma in giacca e cravatta e con la barba incanutita, pronto ad un dialogo serrato. Questa, è immagine più recen- te di quella del «molleggiato», che passeggia lungo il campetto di calcio: risale al 21 gennaio 1998, mentre è dell’aprile di un anno addietro la decisione di quell’uomo di essere escluso da qualsiasi carica. Non sappiamo se in questi mesi abbia avuto anche lui «un prete per chiacchierar», ma i tanti bo- atos da un anno in qua dicono che si sia poste diverse questioni di senso. Questioni molto lonta- ne da quel memorabile «vence- remos, y venceremos, y vencere- mos» dell’ottobre 2006, quando ricomparve in pubblico, esiben- dosi in un discorso contro chi li lo credeva morto o gravemente malato; questioni molto vicine alle parole della figlia che pochi giorni dopo quel discorso aveva parlato del suo papà, che si ri- avvicina a Dio ed alla religione, dalla quale era partito per ribel- larsi contro i soprusi perpetrati ai danni di chi non aveva alcu- na dignità. Forse, per guardare alla massa delle persone, aveva trascurato la Persona, alla qua- le ora dicono cerchi di guardare. «Il Papa desidera vederlo ma tutto ciò dipenderà dalla salute di Fidel, gravemente malato», dicono in questi giorni da Roma, mentre si prepara il viaggio di fine mese (26-28 marzo) di Be- nedetto XVI tra Messico e Cuba del 26-28 marzo: il «prete per chiacchierar» c’è sempre, come sempre ci saranno quei media, che avrebbero dovuto chiudere e che invece sono pronti a raccon- tare cosa si diano detti sul Padre comune, che non legge i gior- nali, ma legge nei cuori. EDITORIALE Primo Piano Pastorale giovanile e vocazionale. Aggiornamento del clero Morelli a pagina 3 Vita di Chiesa Pubblicata la seconda edizione del Rito delle esequie A pagina 16 Speciale La comunità cristiana riflette sulle parole di Adriano Celentano Pagine 18-19 Gesù è nostro contemporaneo Speciale alle pagine 12-13 Vita diocesana Mons. Talucci in Albania per celebrare San Pelino A pagina 5 Bagnasco confermato Presidente della Conferenza episcopale italiana Il Papa ha confermato presidente della Confe- renza episcopale italia- na, per il prossimo quin- quennio, il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova. Il porporato era stato nominato presiden- te della Cei il 7 marzo 2007 e creato cardinale nel Concistoro del 24 ottobre 2007. Dal 30 set- tembre 2011, il card. Ba- gnasco è vicepresidente del Consiglio delle con- ferenze episcopali europee (Ccee). Tra gli attuali incarichi: presidente del Consiglio per gli affari economici, presidente della Conferenza episco- pale ligure, membro della Congregazione per le Chiese orientali, membro della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, membro della Congregazione per i vescovi.

“C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

  • Upload
    others

  • View
    2

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

Anno XXXV n° 3 15 Marzo 2012 € 1,00

Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96

Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi E-mail: [email protected]. 340.2684464 | fax 0831.524296

“Come si fa a non restare affascinati dalla figura di Gesù Cristo? Si legge il Vangelo e ci si chiede: chi è questo

qui? Io resto sconquassato dal Vangelo, basta un rigo delle parabole. Ha una forza spettaco-lare, viene da alzarsi in piedi sulla sedia”. Lui ne sarebbe capacissimo, e non sarebbe la prima volta. A parlare, infatti, è Roberto Benigni.

Si ha un bel dire che siamo in epoca postcri-stiana, ma la figura di Gesù di Nazaret sembra proprio continuare a lanciare, anche nei nostri tempi così distratti e superficiali, la domanda che si sentirono rivolgere i dodici, quel giorno a Cesarea di Filippo: “Ma voi chi dite che io sia?”. Pare quasi che la forza e la vitalità di questo di-lemma stia nel non lasciarsi mai esaurire dalle risposte già date e nel suo riproporsi lungo la storia alle diverse generazioni e nelle diverse culture.

Sì, Gesù continua a raggiungere gli uomini, credenti e non, come un appello presente. Un

interrogativo non solo per gli storici e gli in-tellettuali, ma fortemente esistenziale. “C’è dentro una forza che ti scarabocchia tutta la vita. Ti mette nella condizione di fare ognuno la rivoluzione dentro te stesso”, per dirla anco-ra con il comico toscano. La storia però c’entra eccome, come attesta con forza Benedetto XVI in entrambi i libri su Gesù di Nazaret, oltre cin-que milioni di copie vendute, in venti lingue. L’hanno dipinto in tutti i modi, ma di Gesù ce n’è uno solo: quello della ricerca critica, così at-tenta a situarlo nella Palestina del primo seco-lo, non è diverso da colui che Tommaso chiama “mio Signore e mio Dio”, otto giorni dopo la ri-surrezione.

I Vangeli disegnano una figura storicamente sensata e convincente.

A riproporre il fascino e lo scandalo di questa tesi, attraversando tutti i linguaggi della cultu-ra, è stato il convegno internazionale “Gesù, nostro contemporaneo”, promosso nell’ambito

del progetto culturale della Chiesa italiana. Due anni fa, era stato “Dio oggi” a radunare e

mettere a confronto uomini di scienza e di fede dai diversi continenti. Ora si prosegue guar-dando a Gesù, l’unico uomo nella storia a cui sia stato associato così saldamente il nome di Dio. Questa, infatti, è la chiave per compren-derlo, così come la scommessa di chi lo accetta o lo rifiuta: il suo legame strettissimo con Dio, l’essersi presentato come “il Figlio” dell’unico Dio. Non semplicemente un uomo illuminato, ma la luce che illumina ogni uomo.

“Dopo Gesù – scriveva la poetessa Alda Me-rini – qualcuno ha imparato a guardarsi negli occhi, a porsi delle domande, a vedere che l’al-tro non era solo una merce”. Ma, anche lui, un figlio di Dio.

Ernesto Diaco

Quel preteprontoa chiacchierar

Angelo Sconosciuto

«N eanche un prete per chiacchierar!», cantava oltre 40

anni addietro lo stesso uomo di spettacolo che, proprio di recen-te ha manifestato ancora una volta - vogliamo leggere così la vicenda - il bisogno di affrontare le questioni di senso, che la vita pone sopra ogni altro problema. Eppure, a sentire quel «neanche un prete per chiacchierare» non è venuta alla mente l’immagine stereotipata del «molleggiato» col soprabito fuori misura, in compagnia di una persona che, mani nella tasche di una tonaca sdrucita e passo regolare, dialo-ga con lui, percorrendo il bordo del campo di calcio di un orato-rio sotto il sole d’agosto....La talare intravista con gli occhi della mente sembrava piutto-sto quella di un uomo vestito di bianco che, malfermo, scende dall’aereo e trova ad accoglierlo un altro uomo, non in divisa, ma in giacca e cravatta e con la barba incanutita, pronto ad un dialogo serrato.Questa, è immagine più recen-te di quella del «molleggiato», che passeggia lungo il campetto di calcio: risale al 21 gennaio 1998, mentre è dell’aprile di un anno addietro la decisione di quell’uomo di essere escluso da qualsiasi carica.Non sappiamo se in questi mesi abbia avuto anche lui «un prete per chiacchierar», ma i tanti bo-atos da un anno in qua dicono che si sia poste diverse questioni di senso. Questioni molto lonta-ne da quel memorabile «vence-remos, y venceremos, y vencere-mos» dell’ottobre 2006, quando ricomparve in pubblico, esiben-dosi in un discorso contro chi li lo credeva morto o gravemente malato; questioni molto vicine alle parole della figlia che pochi giorni dopo quel discorso aveva parlato del suo papà, che si ri-avvicina a Dio ed alla religione, dalla quale era partito per ribel-larsi contro i soprusi perpetrati ai danni di chi non aveva alcu-na dignità. Forse, per guardare alla massa delle persone, aveva trascurato la Persona, alla qua-le ora dicono cerchi di guardare.«Il Papa desidera vederlo ma tutto ciò dipenderà dalla salute di Fidel, gravemente malato», dicono in questi giorni da Roma, mentre si prepara il viaggio di fine mese (26-28 marzo) di Be-nedetto XVI tra Messico e Cuba del 26-28 marzo: il «prete per chiacchierar» c’è sempre, come sempre ci saranno quei media, che avrebbero dovuto chiudere e che invece sono pronti a raccon-tare cosa si diano detti sul Padre comune, che non legge i gior-nali, ma legge nei cuori.

editoriale

Primo Piano

Pastorale giovanile e vocazionale.Aggiornamento del clero

Morelli a pagina 3

Vita di Chiesa

Pubblicata la seconda edizione del Rito delle esequie

A pagina 16

Speciale

La comunità cristiana riflette sulle parole di Adriano Celentano

Pagine 18-19

Gesù è nostro contemporaneo

Speciale alle pagine 12-13

Vita diocesana

Mons. Talucci in Albania per celebrareSan Pelino

A pagina 5

Bagnasco confermato Presidente della Conferenza episcopale italiana

Il Papa ha confermato presidente della Confe-renza episcopale italia-na, per il prossimo quin-quennio, il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova. Il porporato era stato nominato presiden-te della Cei il 7 marzo 2007 e creato cardinale nel Concistoro del 24 ottobre 2007. Dal 30 set-tembre 2011, il card. Ba-gnasco è vicepresidente del Consiglio delle con-ferenze episcopali europee (Ccee). Tra gli attuali incarichi: presidente del Consiglio per gli affari economici, presidente della Conferenza episco-pale ligure, membro della Congregazione per le Chiese orientali, membro della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, membro della Congregazione per i vescovi.

Page 2: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

Primo Piano 315 marzo 2012

Occorre ricentrare l’attenzione al mondo giovanile e al carattere vo-cazionale dell’agire pastorale. Sono

state queste le linee guida seguite nel corso dell’ultimo incontro di aggiornamento del clero, svoltosi il 12 marzo scorso presso il Se-minario Arcivescovile “Benedetto XVI”.

Al centro della riflessione della Chiesa dio-cesana, dunque, ci sono nuovamente i gio-vani.

Il tema, sviluppato nel corso dell’incontro di aggiornamento del clero, segue alla ri-flessione già avviata nel corso del Consiglio Pastorale diocesano del 15 novembre 2011, oltre a dare concreta attuazione alle propo-sizioni sinodali e alle indicazioni contenute nelle Linee Pastorali dell’Arcivescovo “La Parrocchia comunità educata ed educante”.

L’incontro del 12 marzo, aperto da una bre-ve presentazione da parte dei delegati dioce-sani per la Pastorale giovanile e vocaziona-le, è stato condotto dal prof. don Jean Paul Lieggi, sacerdote della diocesi di Bari-Biton-to, Docente di Teologia alla Facoltà Teologica Pugliese dove insegna Cristologia e Teologia Trinitaria, assistente nazionale della branca Rover-Scolte dell’Agesci.

Secondo don Lieggi, che ha approfondito la tematica dell’incontro per i lettori di Fer-mento, non è facile dire chi siano i giovani oggi, in ragione della complessità della real-tà di fronte alla quale una simile domanda ci pone. Ma soprattutto, a suo modo di vedere, «tutti coloro che si occupano di pastorale giovanile sono chiamati a porsi la domanda “chi sono i giovani?”, cercando la risposta, non semplicemente ricorrendo a ricerche e indagini sociologiche, bensì all’ascolto at-tento dei giovani presenti nelle nostre città, nei nostri quartieri, nelle nostre comunità e gruppi ecclesiali e alla lettura concreta delle loro qualità, speranze, paure, attese».

«I nostri giovani – riflette ancora il relato-re - hanno il desiderio, spesso nascosto, di trovare il senso della propria vita, hanno un bisogno urgente di autenticità e di riscoper-ta dei valori. Ma, questi desideri spesso non emergono, perché non trovano adulti auten-tici e credibili».

E ancora una sottolineatura: «Qualsiasi analisi sociologica, pure ben condotta, non può sostituire il nostro compito di leggere concretamente le storie personali e il vissuto di ciascun giovane». Anche perché, continua don Lieggi, «i giovani, nelle nostre comunità, nonostante difficoltà e cambiamenti, ci sono ancora».

Quando gli chiediamo cosa si intende per Pastorale giovanile, don Jean Paul non ha dubbi: «in primo luogo il termine “giovani-le”, più che l’aggettivo che indica l’oggetto di cui ci deve occupare, dovrebbe ricordarci che la comunità cristiana è chiamata a far sì che i giovani siano i soggetti responsabili e protagonisti dell’azione pastorale. La Pasto-rale giovanile, quindi, deve stimolare tutta la comunità ecclesiale a pensare e realizza-re “spazi” in cui i giovani possano davvero essere protagonisti della vita pastorale delle nostre comunità».

«Se al centro della nostra azione pastora-le, mettiamo i giovani, sappiamo anche che uno dei bisogni da coltivare, quando sono essi i protagonisti, è quello di accompagnarli nella formazione della propria identità, nella quale è centrale l’aspetto vocazionale».

Ecco perché «Pastorale giovanile e Pasto-rale vocazionale non possono essere separa-te», devono progettare e lavorare insieme. E spiega la necessità di tale legame: «I vescovi italiani, nel piano pastorale decennale, tra gli obiettivi e le scelte prioritarie che indi-cano nel quinto ed ultimo capitolo del do-cumento, tracciano i percorsi di vita buona che devono guidare l’azione ecclesiale, e tra questi il primo è quello dell’educazione alla vita affettiva. L’educazione alla vita affetti-va e l’accompagnamento dei giovani nella scoperta della propria vocazione sono due aspetti inscindibilmente connessi, perché è nella scoperta concreta della vocazione di

ciascuno che si realizzano le possibilità di vi-vere il vangelo come vita buona e bella, sulle tracce di Gesù».

E conclude: «Da questo punto di vista si sta lavorando molto anche a livello nazionale».

Poi don Jean Paul passa a descrivere il ruo-lo della Pastorale giovanile diocesana: «La Pastorale giovanile è fatta dalle parrocchie, dalle associazioni e dai movimenti. Il livello diocesano, a mio giudizio, ha il compito, pre-zioso e insostituibile, di coordinare le tante iniziative che già si vivono nelle realtà locali, facendo in modo da valorizzare le esperien-ze e rendere le ricchezze esistenti occasione di crescita e di confronto con e per gli altri. La Pastorale giovanile diocesana non si deve sostituire alle realtà parrocchiali e associa-tive, ma deve incoraggiarle e sostenerle in modo da far respirare a tutti la bellezza della vita ecclesiale».

Don Jean Paul Lieggi, affronta anche il tema dell’accompagnamento dei giovani da parte dei sacerdoti, evidenziando come «una delle responsabilità chieste ai preti che si occupa-no di Pastorale giovanile, è quella di mostra-re, con l’esempio della propria vita, pur con i limiti e le ricchezze proprie di ognuno, in che modo un giovane può riscoprire in Gesù il senso della propria vita».

«Il sacerdote – prosegue il relatore – può es-sere un esempio di come a quell’età si possa-no fare scelte radicali», ma egli, prima di tut-to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale».

Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa ed efficace e l’accompa-gnamento diventerà, prima ancora che un semplice sostegno, una vera testimonianza di vita».

Infine don Jean Paul ha approfondito le te-matiche relative ai grandi eventi che, come le Giornate Mondiali della Gioventù, vengo-no organizzate a tutti i livelli per dare impul-so alla Pastorale giovanile. «Appuntamenti come le Gmg – a parere di don Lieggi - sono un aiuto, un rifornimento per vivere meglio l’azione ordinaria, sono occasioni preziose da valorizzare. Se questi incontri rappre-sentano eventi vissuti solo una tantum nella vita della persona, è chiaro che non lasciano molto il segno, ma se, invece, sono accom-pagnati da un cammino più quotidiano, pos-sono sostenere e rilanciare il cammino dei giovani. È molto significativo, ad esempio, che il Papa, nel discorso alla curia romana in occasione degli auguri natalizi, il 22 dicem-bre del 2011, abbia richiamato la Gmg di Ma-drid come un’occasione preziosa nella quale si è delineato “un modo nuovo, ringiovanito, dell’essere cristiani”. La Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid, definita dal Papa “una medicina contro la stanchezza del cre-dere”, diventa così un punto significativo per guardare a quello che deve essere il modo di vivere in maniera rinnovata la propria fede».

Giovanni Morelli

FORMAZIONE� Incontro con don Jean Paul Lieggi lungo i sentieri della pastorale giovanile e vocazionale

“Giovane chi sei?”, rinnovata attenzione a questo mondo

Don Jean Paul Lieggi

Page 3: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

Vita Diocesana4 15 marzo 2012

seminario� Esercizi spirituali dei nostri ragazzi insieme ai coetanei di Castellaneta e Otranto

La Parola parla alle nostre vite e ci sprona alla sequelaTalvolta fa bene sospendere le attivi-

tà di ogni giorno, chiudere, anche se per poco tempo, la propria agenda

traboccante di impegni, lasciare la routine quotidiana non per fare qualcosa di speciale, per cercare di soddisfare qualche desiderio strano, qualche voglia particolare, come se si stesse in vacanza, ma per far posto a Dio nel-la vita, per ascoltarlo nel silenzio del cuore e concentrarsi sul dialogo con lui. Sono questi gli ingredienti di ciò che chiamiamo “esercizi spirituali”, che altro non sono che un tempo di grazia offertoci dal Signore per incontralo ed incontrarci così come oggi siamo, con le nostre aspettative, i nostri sogni, i nostri de-sideri, le nostre speranze, le nostre fragilità. Per noi seminaristi gli esercizi rappresenta-no una tappa fondamentale dell’intero anno formativo: ad essi ci prepariamo nei primi mesi di seminario e sulla loro scia cammi-niamo e ci confrontiamo fino a giugno. Per molti potrebbe apparire una pratica alquan-to anacronistica il fatto che otto ragazzi, nel bel mezzo delle festività di carnevale, scelga-no di custodirsi nel silenzio e nella preghie-ra; invece, non è mai tempo perso quello dedicato a se stessi, poiché è solo a partire dal rapporto con il nostro spirito, la nostra mente, il nostro corpo che possiamo essere in grado di operare scelte autentiche e non azzardate, che esprimano a pieno la nostra libertà e ci valorizzino al massimo come per-

sone, come figli e figli amati. L’esperienza di quest’anno, vissuta ad Ostuni presso il Cen-tro di Spiritualità “Madonna della Nova” dal 19 al 22 febbraio, ha portato con sé tanti doni e ci ha fatto gustare la ricchezza della Paro-la e la gioia della fraternità: infatti a noi si sono unite le comunità dei seminari minori di Castellaneta (TA) e Otranto (LE) ed insie-me abbiamo percorso questo frammento di cammino; le nostre esperienze si sono incro-ciate, così come anche le storie di ognuno e ci siamo ritrovati attorno all’unico Maestro, in funzione del quale, nonostante fossimo totalmente sconosciuti, siamo fratelli e ci sia-mo sentiti tali. A guidarci nei “meandri del nostro spirito” è stato il nostro caro don Pio Conte, che sin da subito si è mostrato affabi-

le e cordiale, ci ha sviscerato la Parola, non soffermandosi tanto su concetti astratti poco utili, ma ha saputo farcela gustare in pienez-za rendendola attuale e concreta nella nostra vita di giovani in cammino. L’itinerario delle meditazioni riassume l’intero itinerario vo-cazionale: dal semplice “venite e vedrete” (Gv. 1, 39), in cui l’anelito dell’uomo a cerca-re dei punti fissi nella propria vita suscita un grande bisogno di risposte, all’invito “segui-temi” (Mc. 1, 17), che esprime la disponibili-tà che Dio ha nei nostri confronti di colmare quel bisogno di risposte. Tappa successiva è poi l’ “eccomi” (Lc. 1,38), espressione, que-sta volta della disponibilità dell’uomo a la-sciarsi plasmare dalla volontà di Dio, seguita dalla “perseveranza”, in cui le difficoltà e gli

ostacoli del cammino affiorano nella vita del chiamato e rischiano di bloccarlo nell’eter-na indecisione o nella paura di perseguire la scelta sbagliata. Infine perviene l’incorag-giamento da parte di Dio: “al tirà” – che in ebraico significa “non temere” –, prova elo-quente che non siamo mai soli, c’è sempre qualcuno pronto a rassicurarci e a condivi-dere il cammino con noi. Inoltre abbiamo avuto modo di riflettere sul Battesimo, sul suo significato, sul suo meraviglioso mistero che ci rende figli di un unico Padre e fratelli tra di noi. Ognuno di noi, sicuramente, sarà ritornato nella propria quotidianità con tan-te domande, alcune risposte, qualche ine-vitabile (e salutare) dubbio e con la voglia di continuare a mettersi in gioco per Dio e scommettere su di lui; il tempo trascorso a curare se stessi certamente gioverà alla co-munità intera, alla qualità delle nostre rela-zioni, all’impegno effuso per servire l’altro… solo se lo Spirito ci trova docili e malleabili la Parola riesce a convertirci. La Quaresima che anche quest’anno spalanca le sue porte alle nostre vite sia un tempo gravido della pre-senza di Dio e ci aiuti a custodire e far frutti-ficare tutti i germi che lo Spirito ha posto nel cuore di ciascuno di noi, perché tale conver-sione avvenga a partire dalle piccole cose di ogni giorno, per poter risorgere con Cristo come uomini nuovi.

Matteo Notarnicola

Nello stato attuale della natura decadente è impos-sibile amare Dio con un amore autentico senza ri-nunzie e sacrifici. Gesù ai suoi discepoli dice: “Se

qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16, 24). Seguire Gesù, quindi , è rinunciare a se stessi, alle cattive tendenze, all’amore di-sordinato delle persone e delle cose; portare la croce è ac-cettare le privazioni, le umiliazioni, l’impegno nelle perso-nali responsabilità, l’esercizio delle virtù, l’espiazione delle colpe.

Il ritiro spirituale del Mercoledì delle Ceneri è stato arric-chito dalla presenza di S. E. Mons. Domenico Caliandro, Vescovo della diocesi di Nardò-Gallipoli. A conferma di quanto detto sopra, egli ci ha fatto comprendere che spes-so il nostro “io” recupera lo spazio occupato dai buoni pro-positi e dalle buone opere per dedicarsi a cose più effimere che fanno allontanare dalla presenza di Dio. La vita di Gesù

è la risposta a questa esigenza di cambiare rotta per vivere meglio e da cristiani.

Dal presepio al Calvario è una lenta serie di privazioni, di umiliazioni, di fatiche apostoliche, coronate dalle angosce e dalle torture della sua dolorosa passione. Se ci fosse stata una via più sicura e veloce, sicuramente Egli l’avrebbe mo-strata. Si può toccare Dio con una scelta che supera le logi-che umane, ha detto Mons. Caliandro, l’Amore da vita agli atti più belli, e l’amore va rigenerato ogni giorno, perché dove non c’è amore rigenerato tutto diventa insopportabi-le. È l’abitudine che ci distrugge, ha ribadito il Vescovo, la Rivelazione si deve attuare ogni giorno “Ascoltate, oggi, la voce del Signore: non indurite il vostro cuore” (ant. Salmo invitatorio); ascoltare ogni giorno la parola per non irrigi-dirsi. San Paolo, con molta chiarezza, afferma che chi vuo-le essere discepolo di Cristo deve crocifiggere i propri vizi e desideri cattivi, che ostacolano il progetto di Dio: “Ora

quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro car-ne con le sue passioni e i suoi desideri” (Gal. 5, 24). È tal-mente essenziale questa condizione che egli stesso si sente obbligato a castigare il suo corpo e a reprimere le sollecita-zioni della carne, del mondo che lo circonda e di satana che lo tormenta: “Tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato” (1 Cor. 9, 27). Mons. Ca-liandro ha evidenziato come sia necessario, dentro di noi, un continuo restauro. Dobbiamo sempre tenere lo sguardo rivolto a Cristo e diventargli simili; è necessario quindi un “innesto” vero e proprio perché attraverso la linfa del suo corpo possiamo arrivare a quelle Santità che Dio ha previ-sto per noi fin da i secoli antichi.

Siano questi gli obiettivi per i seminaristi, sia questo il progetto di amore, “innesto” che nutre e da vita.

Tony Mameli

vo�ci dal seminario� maggio�re Mercoledì delle ceneri ritiro guidato dal Vescovo Caliandro

Ascoltare la voce del Signore facendo tacere l’«io»

Page 4: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

Vita Diocesana 515 marzo 2012

Pubblicazione quindicinaleReg. Tribunale Brindisi n. 259 del 6/6/1978

Direttore Responsabile: Angelo SconosciutoCoordinatore di Redazione: Giovanni MorelliHanno collaborato: Daniela Negro, don Massimo Alemanno

Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 18 del 7 marzo 2012

Direzione: Piazza Duomo 12 - BrindisiTel. 340/2684464 - Fax 0831/524296

[email protected]

Spedizione in abbonamento postaleart. 2 - comma 20 - legge 662/96

Abbonamento annuale € 15,00su conto corrente postale n. 2784160

intestato a:ASSOCIAZIONE CULTURALE FERMENTO

Piazza Duomo, 12 - 72100 BrindisiResponsabile del trattamento dei dati personali:

Angelo Sconosciuto

Stampa Martano Editrice s.r.l.Viale delle Magnolie, 23 - Z.I. BARI - Tel. 080/5383820

Questo periodicoè associato alla

Federazione ItalianaSettimanali Cattolici

Questo periodicoè associato allaUnione Stampa

Periodica Italiana

Un’esperienza segnata dal reciproco scambio e dalla riscoperta delle comuni radici: è stato questo il senso del viaggio compiuto in Albania da S.E. l’Arcivescovo,

sabato 3 e domenica 4 marzo 2012. Mons. Talucci, infatti, ac-compagnato dal Cancelliere Arcivescovile, Mons. Massimo Alemanno, è stato a Durazzo per partecipare alle celebrazio-ni in onore di San Pelino, vescovo e martire, antico cittadino di Durazzo, il quale fu vescovo di Brindisi.

Il nostro Pastore si è recato in visita alla Chiesa di Tirana-Durazzo, invitato da alcuni missionari presenti in queste zone da circa 20 anni, al fine di rinsaldare i proficui rapporti pastorali e di amicizia con la gente albanese, impegnata in un cammino di riscoperta della fede, a partire dagli apostoli e dai martiri dei primi secoli della cristianità.

Al suo arrivo all’aeroporto di Tirana, intitolato a Madre Te-resa, Mons. Talucci è stato accolto da don Antonio Sciarra, sacerdote fidei donum della diocesi di Avezzano, e da padre Giovanni Salustri, missionario murialdino.

Nella mattinata di sabato il nostro Arcivescovo ha avuto la possibilità di visitare la capitale dell’Albania, la sua Cattedra-le, intitolata a san Paolo e la campana della Pace, opera rea-lizzata da don Antonio Sciarra con i bossoli delle armi sparati durante la guerra e raccolti dai ragazzi per fonderli insieme e ricavarne una grande Campana: il monumento, realizzato in Italia, è stato inaugurato il 1° gennaio del 2000 come auspicio di prosperità e di pace per il Paese.

Mons. Talucci e don Alemanno hanno potuto constatare come Tirana sia una città con tantissime sedi universitarie, tra cui anche una Università cattolica, “Nostra Signora del Buon Consiglio”, inaugurata nel 2005 e nella quale insegnano e studiano molti italiani.

Tra le vie del centro, la nostra delegazione ha potuto am-mirare i tanti palazzi risalenti all’epoca fascista, quando il nostro Paese occupò il Regno di Albania e l’Ospedale, for-temente voluto da Madre Teresa di Calcutta, ma non ancora completato, per ricordare la visita di Giovanni Paolo II, avve-nuta il 25 aprile del 1993, quando il Beato si fermò a Scutari e a Tirana.

Gli accompagnatori della nostra delegazione hanno illu-strato le tante contraddizioni di Tirana, che sogna un nuovo assetto urbanistico, ma attualmente è piena di edifici e mo-numenti in stato di degrado, risalenti principalmente all’epo-ca della dittatura, e in attesa di essere abbattuti e sostituiti.

Nel pomeriggio di sabato 3 marzo, Mons. Rocco Talucci e don Massimo Alemanno, accompagnati da padre Giovanni Salustri, si sono recati alla periferia di Tirana dove opera la missione murialdina. Qui hanno potuto toccare con mano il contrasto, tipico di ogni grande città, esistente tra il centro “occidentalizzato” e una periferia dove, invece, regna l’abu-sivismo e il degrado. La chiesa della missione di padre Gio-vanni , per esempio, non è altro che una fatiscente baracca di legno.

Successivamente è avvenuta la visita presso la nunziatura apostolica albanese, dove la nostra delegazione ha incon-trato il nunzio apostolico, S.E. Mons. Ramiro Moliner Inglés. In un clima cordiale e familiare, il Vescovo Inglés ha raccon-tato dell’Albania, dei rapporti con il governo «decisamente migliorati» e del clima di tolleranza e rispetto reciproco nel quale convivono ortodossi, musulmani e cattolici, le religio-ni più praticate nel Paese delle aquile.

Subito dopo c’è stata la visita alla casa dei murialdini dove, nel 2001 è stato ucciso padre Ettore Cunial, proclamato “No-bile di Durazzo”, e che oggi sta diventando un Centro di spiri-tualità rivolto alle famiglie, ai giovani e, in generale, ai gruppi che vogliono vivere momenti di interiorità.

Al termine della visita, Mons. Talucci ha presieduto la pre-ghiera del Vespro.

Domenica mattina, alle ore 9, il nostro Arcivescovo ha con-celebrato una Santa Messa presso la Concattedrale “Santa Lucia” di Durazzo, insieme al Vescovo ausiliare, Mons. Ge-orge Frendo.

I fedeli di Durazzo si sono preparati all’appuntamento con un triduo di preghiera, accogliendo il busto di san Pelino do-nato dalla diocesi di Sulmona dove, nella località di Corfinio il santo fu martirizzato. Dopo le celebrazioni del 3 e 4 marzo, il busto è stato collocato nel santuario dei santi martiri alba-nesi, presso la missione di Blinisht.

Durante la celebrazione è avvenuto lo scambio di doni tra la delegazione brindisina e il vescovo ausiliare di Durazzo. Mons. Talucci ha fatto dono alla Chiesa albanese della copia, in tela, di un dipinto settecentesco raffigurante san Pelino, custodito nell’Episcopio di Brindisi.

«La nostra visita in Albania – ha affermato l’Arcivescovo nel corso dello scambio dei doni – intende essere una testimo-nianza di fede che la Chiesa brindisina vuole portare insie-me alle Chiese di Sulmona e di Avezzano».

Dopo la Santa Messa, Mons. Talucci e don Alemanno han-no preso parte alla presentazione del libro “San Pelino vesco-vo e martire”, curato da Antonio Masci, Angelo Melchiorre e Francesca Romana Letta, volume presentato da un medico cattolico nella versione tradotta in albanese.

Nel corso della presentazione, don Antonio Sciarra, sacer-dote fidei donum della diocesi di Avezzano, ha sottolineato tre aspetti legati alla figura di san Pelino. Il primo è connes-

so alle persecuzioni avvenute sotto l’impero romano e nelle quali morì san Pelino che, insieme all’invasione dell’impero ottomano e alla persecuzione comunista, hanno sradicato il cristianesimo presente in Albania fin dai primi secoli, non lasciando né memoria, né culto al martire san Pelino. Il se-condo aspetto evidenziato da don Sciarra è stato quello della restituzione di questo santo a Durazzo, affinché la città pos-sa acquisire sempre più la consapevolezza di annoverare tra i suoi, un illustre cittadino. Infine è stato sottolineato l’aspet-to del ricongiungimento familiare di san Pelino.

Subito dopo ha preso la parola Mons. Talucci, il quale ha fatto notare che «così come Pelino approdò nella città di Brindisi per annunciare il vangelo della carità, allo stes-so modo i brindisini hanno esercitato la carità del vangelo quando, vent’anni fa, hanno accolto nelle loro case migliaia di fratelli albanesi giunti in città». Mons. Talucci ha invitato i presenti a venire Brindisi «per ammirare l’altare di san Pe-lino nella Basilica Cattedrale, ma anche le sponde del mare dove tanti sono approdati in cerca di fortuna, e quel lembo di mare che ha visto morire molti albanesi nella famosa tra-gedia del venerdì santo del 1997».

La presentazione del libro su san Pelino, tradotto in alba-nese, è stata organizzata dal comitato culturale interreligioso operante a Durazzo, il quale ha fatto dono al nostro Arcive-scovo di una pergamena firmata dal segretario dell’associa-zione, Shpetim Metani, e dal sindaco della città, Vangjush Dako, in cui San Pelino viene definito “cittadino di qualità per la città di Durazzo”.

Nel pomeriggio di domenica 4 marzo, Mons. Talucci e don Alemanno sono partiti alla volta di Zadrima, nella missio-ne di Blinisht (Lezhe) villaggio dove dal 1993 don Antonio Sciarra e una laica consacrata nell’Ordo Viduarum, Elsa Del Manso, hanno avviato la missione dando un notevole contri-buto a livello, sia pastorale che sociale.

Nella missione di Blinisht, Mons. Talucci ha presieduto la celebrazione eucaristica, concelebrata dai missionari della zona, tra cui Padre Antonio Leuci, rogazionista originario di Guagnano. A Mons. Talucci è stata donata una casula confe-zionata dalle donne della missione. Al termine della Messa si è vissuto un momento di adorazione eucaristica animata dai giovanissimi della missione. Subito dopo è giunto an-che Mons. Luciano Augustino, vescovo della diocesi di Sape, il quale si è intrattenuto familiarmente con Mons. Talucci e con tutti i presenti.

Visitando i villaggi della missione, in cui è evidente lo sta-to di povertà della gente che vi abita, la nostra delegazione ha potuto notare come all’interno di ognuno di questi, don Sciarra vi abbia costruito tante chiese e, intorno a queste, alcune importantissime opere formative e socializzanti: un ambulatorio, un centro di fisioterapia, l’oratorio, il centro

della pace, un laboratorio per la lavorazione della ceramica, una scuola materna e la scuola agraria e tutto intorno, ulive-ti, vigneti, frutteti e persino un frantoio.

La celebrazioni che hanno inteso ricordare San Pelino, han-no permesso al popolo di Durazzo di riscoprire, attraverso i martiri, le radici cristiane della propria terra, e di vivere nella prospettiva di una speranza grande che li permette uscire da una cultura prevalentemente individualistica e li apre ad una maggiore esperienza di solidarietà e fraternità.

La nostra Chiesa diocesana, presente sull’altra sponda dell’Adriatico attraverso l’Arcivescovo, desidera confermare e rafforzare i legami di profonda amicizia con i fratelli di Al-bania. Il tutto nel nome di San Pelino, il cui solco, tracciato dalla sua vita, sia aurora di una Chiesa sempre più testimone del Vangelo.

Giovanni Morelli

REPORTAGE Il 3 e 4 marzo scorsi l’arcivescovo Talucci, insieme a don Alemanno, a Tirana e Durazzo

San Pelino, quell’antico legame tra Brindisi e l’Albania

Durazzo, Palazzo della Cultura. Consegna della pergamena

Celebrazione nella Concattedrale di Durazzo

L’Arcivescovo celebra nella missione di Blinisht

Visita nella chiesa della missione dei murialdini

Page 5: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

Vita Diocesana6 15 marzo 2012

La Grecia brucia. Per noi che siamo sull’altra sponda del mare, per anni è stata solo considerata un luogo di va-

canza per il mare o per il tour culturale alla ricerca di comuni radici. Per pochi è stata un’occasione di affari nel settore del turismo o per progetti europei comuni. I “filelleni” si sono costruiti i loro canali di contatto e di informazione, ma l’opinione pubblica, fino a quando i riflettori dell’economia mondia-le non sono stati accesi prepotentemente, si è andata formando in maniera somma-ria e soprattutto frammentaria. E adesso? Adesso, proviamo a capire qualcosa in più, avviando un colloquio a distanza. Iniziamo con un interlocutore vicinissimo, quale può essere considerato mons. Ioannis Spiteris Arcivescovo di Corfù, Zante e Cefalonia, Am-ministratore Apostolico di Tessalonica (Sa-lonicco). Egli è corfiota di nascita, religioso cappuccino della stessa Provincia del nostro San Lorenzo da Brindisi e, prima di dire sì al papa per guidare la diocesi corfiota, apprez-zato docente nelle Università pontificie.

Eccellenza, in Italia giungono poche im-magini dalla Grecia e molte da Bruxelles; poche da Atene, nessuna dagli altrui luo-ghi. In Grecia, però, le misure di austeri-tà stanno avendo un impatto devastante sulla vita dei cittadini. Molti anziani si rifugiano in zone rurali... Come al solito, giovani ed anziani sono tra i più colpiti?

«La nostra impressione è che all’estero, non escluso l’Italia, si parli spesso della Grecia e non certamente in maniera molto positiva. Per alcuni mezzi di comunicazione sociale della c.d. “Comunità Europea”, infatti, i greci sono presentati come inaffidabili, non paga-no le tasse e non lavorano, vivendo così alle spalle dei contribuenti europei, in Grecia regnerebbe sovrana la corruzione ecc. ecc. Insomma la Grecia non è la Germania e nep-pure uno dei Paesi Scandinavi. Si tratta sem-pre dello stesso giudizio dei ricchi nei riguar-do dei poveri: se sono poveri è colpa loro, ed essi, solo perché poveri, sono niente di buono. In questo momento il popolo greco si sente profondamente umiliato dagli europei oltre ad essere economicamente dissangua-to da essi e dai suoi governati incapaci, che l’hanno condotto nel baratro. La vera ten-sione sociale sta nella rabbia, nella dispera-zione, nell’angoscia della povera gente. Tutta la Grecia è una pentola che bolle e non sap-piamo dove porterà tutto questo. Il 29 aprile o il 6 maggio ci saranno le elezioni politiche e proprio in quell’occasione la gente espri-merà tutta la sua rabbia. Forse il risulto delle elezioni determinerà una grave situazione di ingovernabilità con una consistente crescita dei tre partiti comunisti più staliniani che esistono in tutto il mondo. Intanto i giovani fuggono all’estero; la delinquenza aumenta; i senza tetto si moltiplicano come del resto anche i suicidi. Stiamo assistendo ad una de-pressione collettiva».

Quale lettura ha potuto dare, lei, cattolico corfiota, cappuccino, vescovo, della si-tuazione che si è verificata in Grecia?

«La lettura che io posso dare a questo feno-meno è come uomo, come credente e come pastore. Nella lettera pastorale in occasione

della quaresima scrivevo ai miei fedeli: “Ri-petiamo spesso che stiamo attraversando la più grande crisi economica dopo quella at-traversata in occasione del disastro della Se-conda Guerra mondiale. Questo è vero, ma come cristiani, in occasione della Quaresi-ma, possiamo scorgere anche alcuni aspetti positivi per la nostra vita cristiana per la no-stra preparazione alla Pasqua. Ci viene offer-ta un’occasione per liberarci dal superfluo, per ritrovare l’essenziale per la nostra vita, per scoprire che ci sono milioni di fratelli e sorelle nel mondo che stanno molto peggio di noi. Dobbiamo capire che, oltre l’econo-mia, esistono per noi altri valori molto più

preziosi, come la scoperta continua di Dio nella preghiera, nell’amore verso il prossimo, condividendo con lui ciò che abbiamo e ciò che siamo, e specialmente ci si offre un’oc-casione per scoprire di nuovo che esiste la Provvidenza di un Padre amoroso a cui pos-siamo e dobbiamo avere fiducia. Gli uomini ci hanno tradito, l’unico a cui possiamo an-cora deporre la nostra speranza è Dio”».

La Chiesa cattolica, la sua diocesi (qui in Italia siamo poco abituati a pensare a diocesi estese come quella affidata alla sua cura) come si sta muovendo nel con-creto?

«Oltre ad essere arcivescovo delle Isole Io-nie e di Epiro, sono Amministratore Aposto-lico di Tessalonica che comprende la Mace-donia, la Tracia e la Tessaglia. Si tratta quasi di tre quarti della Grecia. In questo vasto ter-ritorio stiamo vivendo la crisi economica in una duplice dimensione: interna, come isti-tuzione, ed esterna come aiuto da offrire ai bisognosi che vengono a bussare alla nostra porta.

Mentre la Chiesa Ortodossa è sovvenziona-

ta dallo Stato (i vescovi e i preti sono impie-gati statali, come pure una parte degli impie-gati dei metropoliti sono pagati dallo Stato), non succede invece lo stesso per il clero cat-tolico e gli impiegati delle diocesi. Per di più i nostri sacerdoti e i nostri religiosi non han-no nessuna assistenza sanitaria. È la Diocesi che deve pensare a tutto questo con degli af-fitti di immobili. Le tasse che siamo chiamati a pagare per gli immobili e le entrate che ci provengono dagli affitti, almeno per la no-stra situazione, sono veramente proibitive. Si aggiunga che molti nostri affittuari sono impossibilitati a pagarci i loro affitti a causa dei tagli imposti ai loro salari e alle loro pen-

sioni. Per di più il 20% degli immobili, che affittavamo, sono vuoti per mancanza di in-teressati. Risultato, l’anno passato la Diocesi non ha potuto pagare le tasse e i preti da pa-recchi mesi restano senza il contributo ver-sato dalla Diocesi per le loro necessità. Ci sa-rebbe la soluzione di vendere qualche nostro immobile, ma attualmente nessuno rischia di comprare. Almeno che non si venda per un pezzo di pane.

Questa situazione condiziona la possibili-tà che abbiamo di venire incontro alla gente che ogni giorno bussa alle porte delle nostre chiese. Eppure la Caritas e le altre nostre istituzioni, le parrocchie e i conventi fanno l’impossibile per venire incontro ad alcuni bisogni di chi ci chiede il nostro aiuto e, na-turalmente non chiediamo a nessuno di dir-ci se è cattolico! A Corfù abbiamo una casa di riposo per anziani che riceve tutti senza di-stinzione di religione, lo stesso con un asilo dei bambini. A Salonicco le suore di Madre Teresa gestiscono l’unica istituzione esisten-te in città, che accoglie le donne maltrattate con i loro bambini. E tutto questo senza nes-sun aiuto da parte dello Stato. La Chiesa cat-

tolica non esiste per lo Stato greco».

Nei periodi meno intensi di questa crisi, come parola di speranza si faceva passa-re il concetto che “crisi” non significa di-struzione, ma separazione, quasi a dire, abbandono di cose vecchie e di vecchi sistemi, se non proprio di vecchi criteri anche di condotta e di giudizio. Lei cosa pensa?

«Come dice il proverbio: “Non tutti i mali vengono per nuocere”. La crisi economica in Grecia certamente nuoce e nuocerà ancora di più ad una grande fascia della nostra po-polazione specialmente quella più bisogno-sa, che diverrà ancora più povera. Però ci offre anche un’occasione per una “cernita” (una crisi, appunto) di valore, come afferma-vo precedentemente. Fino ad ora eravamo abituati ad un consumismo sfrenato, ora ne-cessariamente impariamo a vivere con poco. Molta gente aveva abbandonato la campa-gna, ora ritornano a coltivare la terra con nuovi metodi e con prodotti biologici. Prima molti giovani (e ancora oggi per alcuni) esi-gevano dal papà l’ultima marca del telefoni-no, le scarpe e i vestiti firmati. Ora tutto que-sto non è più possibile, questi figli di papà si devono accontentare di marche meno costo-se e devono imparare a lavorare. Insomma la crisi ci insegna a vivere secondo le nostre possibilità reali e non con prestiti!».

Ci separa un breve tratto di mare: cosa vorrebbe comunicare ancora ai suoi fra-telli brindisini?

«Più volte ho espresso il desiderio di una specie di gemellaggio con la diocesi di Brin-disi. Noi abbiamo bisogno di essere sostenuti nella fede cattolica vivendo dentro un conte-sto non cattolico. Per es. la nostra Arcidiocesi possiede in un villaggio vicino al mare (Me-sogghi), una bella struttura per campi estivi (ma anche invernali) per ragazzi e giovani. Durante l’estate potremmo ospitare giovani o ragazzi per campi scuola. Così essi potreb-bero conoscere la realtà di una piccola chie-sa cattolica minoritaria, incontrare i nostri giovani a dire loro che è bello essere cattoli-ci. Conoscere un po’ il mondo ortodosso così differente da quello cattolico. Insomma non bisogna che si realizzi anche per le due no-stre chiese locali il proverbio: “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. No, c’è di mezzo la solidarietà nella fede comune e l’amore cri-stiano».

Angelo Sconosciuto

INTERVISTA A colloquio con mons. Iannis Spiteris, arcivescovo cattolico di Corfù

«La crisi serve a farci ritrovarel’essenziale della nostra vita»

Grecia, 21 febbraio: proteste contro le misure di austerity proposte dal governo

Bruxelles, 20 febbraio: Eurogruppo. Christine Lagarde (Fmi) con Lucas Papademos, premier greco

Mons. Ioannis Spiteris

Page 6: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

Parrocchie & Associazioni 715 marzo 2012

È sempre una festa quando tutta l’AC si ritrova: mani che si intrecciano, sorrisi donati e ricevuti, cuo-re aperto e sguardo che si spinge un po’ più in là. E

sabato 18 febbraio 2012 ad aiutare l’assemblea diocesana dell’Azione Cattolica di Brindisi-Ostuni a fare quel salto nell’oltre ci ha pensato il prof. Michele Illiceto, docente di storia e filosofia presso il liceo classico di Manfredonia e il seminario maggiore di Molfetta. Il tema dell’assemblea “Se mi guardo dentro vedo fuori- la cura dell’interiorità a ser-vizio della vita” era un tema carico di significati spontanei, ma anche di tanti preziosi risvolti nascosti. Il prof Illiceto ha saputo essere minatore attento alla scoperta di queste piccole vene di oro puro che abitano ciascuno di noi. Ha parlato di Spiritualità come luce nella notte, una notte fat-ta dei deliri di onnipotenza del mondo e della sua assenza di speranza; una luce che è puro desiderio di incontro con il Signore, che non si può tacere, ma che ha pienamente senso se condiviso con chi attraversa le nostre strade ogni giorno. Ma non è semplice far sì che questa apertura ci trovi forti e saldi, abbiamo bisogno di un luogo di “gesta-zione”, che ci nutra e ci permetta di vivere nel mondo con convinzione e differenza significativa. Guardarsi dentro per poter contribuire a rifare coraggiosamente l’uomo, a colmare quel vuoto pieno di inutilità, che oggi caratterizza il nostro quotidiano e le nostre scelte di vita. Rifare l’uomo dal di dentro, senza dimenticare che il dentro ed il fuori sono in perenne contatto e da questo contatto si può vol-gere lo sguardo verso l’oltre, luogo dell’alterità e del passag-gio. Rifare l’uomo presuppone comunque una sua ricerca appassionata ed una cura sincera perché si creino relazio-

ni significative. Imprescindibile resta la ricerca di se stessi, una ricerca interiore che ci fa inciampare in Chi da sempre ci cerca: Dio. L’interiorità rappresenta proprio questo sco-prire Dio dentro ciascuno di noi e riscoprirsi così in Dio.

L’uomo dello Spirito è quell’uomo che sa riconoscere che la sua forza è il Signore, che lo ha aiutato a trovarsi e che lo aiuterà a donarsi. Infatti, ciò che il Signore riporta in luce non ci appartiene più, ma ha senso solo se ne facciamo dono agli altri: alla famiglia ed alla società, a chi è vicino, ma anche a chi tanto vicino non è. Bisogna servire l’uomo cercando la giustizia prima che la carità, indignandoci per tutto ciò che svuota di senso e riempie di non senso le stra-de del mondo. A conclusione del suo intervento il profes-sore ci ha lasciato una grammatica dell’interiorità fatta di silenzio, ascolto, distacco e discernimento. Silenzio come gestazione di un amore che continua fino alla fine, anche se non compreso, e che trova nell’interiorità il punto zero, dove Dio scrive le sue cifre. Ascolto per preparare il terre-no del cuore ad accogliere il seme della Parola. Distacco perché l’uomo interiore è quello che non si lascia domina-re dalle cose, ma le vive nella giusta misura. Discernimen-to che permette di capire e di capirsi e che ci consente di creare ponti e far risplendere arcobaleni nella nostra vita. La ricerca di se stessi non per se stessi ma per divenire stru-mento del Signore ben si è incarnata nella successiva testi-monianza di Maria Annunziata Spagnolo, già responsabile diocesana ACR, missionaria in Brasile e nei propositi dei giovanissimi e dei ragazzi dell’ACR presenti in assemblea. Le parole conclusive del Padre Arcivescovo hanno accom-pagnato il nostro ritorno a casa, pieno di voglia di cercarsi,

per trovarsi e donarsi perché l’oltre solo immaginato trovi compimento.

Tita Saponaro

Erano un centinaio gli acierri-ni di quattro parrocchie brin-disine che, nella mattinata

di domenica 29 gennaio, sono stati accolti con aria festosa dalla par-rocchia Maria S.S. Addolorata di Tuturano, in occasione della “Festa della Pace”, l’annuale appuntamen-to promosso dall’Azione Cattolica Italiana in tutto il Paese. Una gio-iosa festa interparrocchiale che ha coinvolto, oltre alla parrocchia ospitante, anche quelle di quattro rioni della città: la parrocchia San Nicola del quartiere Paradiso, la parrocchia San Giustino de Jacobis del quartiere Bozzano, la parroc-chia della Cattedrale e la parroc-chia San Lorenzo da Brindisi del rione Sant’Elia.

Quest’anno è toccato a Tutura-no spalancare le porte della Casa di Dio per condividere, assieme ai suo fratelli, un momento di profon-da riflessione, dialogo e confronto sul tema della Pace che, come con-suetudine, si fonda sul tradizionale messaggio annuale rivolto dal Santo Padre il 1° gennaio in occasione del-la Giornata Mondiale della Pace. “Il mondo ha bisogno di pace come e più del pane” ha ricordato Papa Benedet-to XVI durante l’Angelus il 1° gennaio scorso in Piazza San Pietro, gremita di gente, sottolineando la necessità e l’importanza di una educazione glo-bale alla pace, a partire dai giovani che “guardano con apprensione al futuro”, ricordando loro “la pazienza e la costanza di ricercare la giustizia e la pace e coltivare ciò che è retto e vero”. Il Pontefice pone l’accento, in una chiave di lettura educativa, sulla giustizia e sulla legalità, vie maestre per la pace, intese appunto come ri-spetto delle regole più importanti ed essenziali per la convivenza pacifica tra le persone.

Dopo l’accoglienza alle ore 9.30 presso piazza Mercato, gli acierrini

delle parrocchie di Brindisi, muni-ti di bandierine colorate sventolanti che recavano un messaggio persona-le sulla Pace e accompagnati dai loro educatori, si sono recati in corteo nel cortile retrostante la parrocchia S.S. Addolorata dando inizio al primo gioco, preparato e animato dagli edu-catori di Tuturano. La festa è andata avanti con la celebrazione eucaristi-ca delle ore 10.00 presieduta dal par-roco don Francesco Funaro. Prima dell’ingresso in chiesa, gli acierrini hanno infilzato le bandierine colorate in una montagna di polistirolo che ha ricordato lo slogan e il simbolo 2012 dell’Azione Cattolica: “Punta in alto” e la “montagna”, quest’ultima l’obiet-tivo da raggiungere al termine di que-sto anno associativo, il lungo sentiero che consentirà di perseguire la vetta, Gesù, e quindi la Pace interiore. Al termine della Santa messa, bambi-ni, giovanissimi ed educatori si sono trasferiti nella scuola elementare “E.

De Amicis” per l’inizio dei giochi di gruppo. Divisi in fasce d’età, si sono distribuiti in tre zone esterne all’edi-ficio scolastico, ogni zona dedicata ad attività ludiche improntate allo spirito della Pace. Gli acierrini dai sei agli otto anni hanno occupato la pale-stra, quelli dai nove agli undici hanno giocato nel cortile antistante la scuo-la, i più grandi, quelli dai dodici ai 14 anni, nello spazio scoperto a ridosso della palestra.

Non sono mancate l’animazione con musica e il momento di ristoro. Du-rante la festa, giovani e adulti hanno potuto degustare dolci preparati da-gli educatori tuturanesi e sorseggiare bevande calde. Tutto questo sotto la supervisione di don Francesco Funa-ro e don Adriano Miglietta, parroco della cattedrale di Brindisi, che ha raggiunto la frazione dopo la celebra-zione della messa domenicale nella sua parrocchia.

Mino Semeraro

ACR� A Tuturano una grande festa interparrocchiale

Se anche i ragazzi chiedono pace

AzIone CAttolICA Il prof. Michele Illiceto relatore all’Assemblea diocesana del 18 febbraio

La cura dell’interiorità a servizio della vita

Domenica 26 febbraio si è svolto il “Thinking Day2012” della zona Messapia, che riunisce la maggior parte degli scout provenienti dalle pro-

vincie di Brindisi, Lecce e Taranto.Lo scopo di tale manifestazione è quello di sensibiliz-

zare i giovani su tematiche di interesse mondiale, in par-ticolare problemi che affliggono il pianeta. Da tre anni il “Thinking Day” è incentrato sul tema della salvaguardia ambientale, nonché sul problema dell’inquinamento e della diminuzione delle risorse.

Il motto di quest’anno è appunto “ raccogliamo e con-dividiamo i semi del cambiamento” che succede ai mot-ti del precedenti due anni quali, “piantato il seme del cambiamento” del 2010 e “facciamo crescere il seme del cambiamento” del 2011.

Per gli scout questo giorno ha anche un altro significa-to: infatti il “Thinking Day” viene svolto generalmente in prossimità della data del compleanno di Robert Baden-Powell, fondatore dello scoutismo.

A Ostuni quindi si sono ritrovati ben 700 scout prove-nienti dai gruppi Brindisi 1, Brindisi 2, Ceglie 1, Franca-villa 1, Locorotondo 1, Manduria 1, Maruggio 1, Mesagne 1, Mesagne 2, Ostuni 1, Sava 1, Sava 2 e Veglie 1.

È stato un momento di festa fra questi gruppi, i qua-li hanno organizzato diverse attività basate sul corren-te tema, quali realizzazioni di giochi, che interessavano maggiormente la branca dei lupetti e degli E/G, e video reportage, svolti invece dalla branca Clan/Fuoco.

Angelo Russo

Gli scout della zona Messapia ad Ostuni

Page 7: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

Parrocchie & Associazioni8 15 marzo 2012

Nell’ambito delle iniziative di forma-zione rivolte ai docenti, alle famiglie ed al territorio, la sezione di Ostuni

dell’UCIIM, unione cattolica italiana inse-gnanti medi, ha tenuto mercoledì 29 febbraio l’incontro su Scuola e famiglia di fronte alle nuove sfide educative. Relatore il prof. Miche-le Illiceto,docente di filosofia al liceo scien-tifico di Manfredonia e di teologia e filosofia alla facoltà teologica di Molfetta.

All’incontro hanno partecipato docenti, genitori, rappresentanti delle istituzioni e di comunità educanti, sacerdoti ed il nostro Ar-civescovo.

Il dibattito sulla funzione della scuola e le interazioni di essa con le altre agenzie educa-tive e formative, essenzialmente la famiglia, può essere condotto con tagli e sfaccettature diverse, a seconda di quale dei protagonisti si voglia mettere al centro dell’attenzione.

Originale, a tratti emotivamente molto coin-volgente in alcuni passaggi, destando qual-che interrogativo sulla “fattibilità” del suo progetto di scuo-la, è stato l’intervento del prof. Illiceto. Persona ricca di una forte e significativa esperienza spirituale e umana di forma-zione cristiana, ha suscitato nelle persone presenti una em-patia non comune, leggendo la situazione di grave crisi che attraversa il nostro tempo, quindi la scuola e la famiglia,e al contempo prospettando speranze e modalità con cui tentare di gestirla e non di “farsi sprofondare” da essa.

Partendo da alcuni interrogativi il relatore ha puntualizzato, offrendo validi spunti di riflessione, alcuni concetti-chiave.

Quali sono le sfide educative del nostro tempo?Come adulti dobbiamo stare, capire e gestire il cambia-

mento in atto nella nostra società, scegliendo metodi edu-

cativi nuovi e adeguati al tempo che i nostri giovani stanno vivendo;

La crisi non coinvolge solo gli adolescenti, ma anche gli adulti che devono aiutarli a formarsi: è opportuno imposta-re un metodo educativo, che sappia coniugare tre verbi: cer-carsi, trovarsi e donarsi.

Cosa vuol dire educare oggi?Innanzitutto convincersi che educazione è viaggio nell’uo-

mo, quindi sforzarsi come adulti e insegnanti di passare da un ruolo di “Trasmissione” a uno di “Comunicazione”, fa-cendolo con strumenti nuovi e utilizzando l’ironia, la poesia e l’ascolto continuo e infaticabile.

Viviamo una situazione di “analfabetismo affettivo” , quin-

di l’educatore ha come primo obiettivo far nascere le passioni verso lo studio, l’impegno sociale e civile, l’attenzione all’altro.

Scuola e famiglia come si pongono di fronte a queste sfide?

Entrambe nella loro specificità, devono con-correre a formare nel giovane una identità aperta e non chiusa, fondata sui valori e sulle virtù e non sugli stereotipi;

L’educatore non è amico, è Compagno di viaggio dell’adolescente, quindi una presen-za-assente che crea intorno ad esso un alone di sicurezza: è una presenza autorevole e co-stante;

Aiutare i giovani a scoprire tutte le loro po-tenzialità, suscitando ed incrementando la loro autostima, attraverso un dialogo fondato sulla attenzione e significazione dei messag-gi.

In un secondo momento il prof. Illiceto ha evidenziato alcune specificità:

- della famiglia: la Sponsalità, Genitorialità, Figliolanza e Fraternità.

- della Scuola: Comunità educante, Luogo di socializzazio-ne, Luogo di cultura e non solo di saperi.

In conclusione l’educazione per essere incisiva ed efficace deve essere graduale, armonica e integrale.

Oggi è più che mai necessario riscoprire e realizzare una educazione al vero, al bello e al bene.

È una sfida che la comunità locale può far propria, metten-do in atto strategie e operosità individuali e collettive, così come ci ha invitati il nostro Arcivescovo e il Sindaco nel loro intervento conclusivo.

Maristella Greco

uciim� Convegno pubblico con il prof. Michele Illiceto organizzato dal gruppo di Ostuni

Scuola e famiglia di fronte alle nuove sfide educative

Grazie all’entusiasmo sempre giovane di Monsignor Angelo Catarozzolo il 27 ottobre 2011, nella chiesetta

del “SS.Crocifisso” parrocchia di Mater Domini di Mesagne, si è tenuto il primo incontro di preghiera “sorelle faioli”. Questo evento è diventato, per noi mamme dei bambi-ni che frequentano la Scuola dell’Infanzia “SS. Crocifisso”, occasione propizia per conoscere più da vicino le Serve di Dio Teresa, Cecilia e Antonia Faioli, Educatrici-Fonda-trici delle Suore dell’Immacolata di S.Chiara. Questa Con-gregazione ha portato a Mesagne una piccola comunità di suore:suor Bernarda Arduini, coordinatrice scolastica, suor M. Giovita Concepcion, suor Cecilia Cagande e suor Maria Rosaria Mazzara che seguono quotidianamente un gruppo di 30 bambini offrendo loro, oltre ad una eccel-lente preparazione didattica a passo con i tempi, anche un ambiente cristiano dove poter crescere serenamente i bambini con passione e grande cura. Il centro propulsore di ogni iniziativa di questo Istituto è la presenza viva del Signore nella Sua Parola e nei Sacramenti, corroborata dalla preghiera costante e silenziosa.

Tutto questo ha avuto inizio nel lontano 1721 quando le tre sorelle ancora molto piccole sentono una prima chia-mata, probabilmente alla morte della mamma Marta Ter-roni, che aveva lasciato al marito ed ai sei figli un’eredità ricca e feconda. Saranno queste le basi che devono aver favorito quella straordinaria assunzione di responsabilità. Neppure va tralasciata la loro forza interiore che, special-mente a partire da quella tragica esperienza, è divenuta palestra di solidarietà, generosità e condivisione. Se pochi anni più tardi Teresa, Cecilia ed Antonia potranno rivelar-si capaci di accogliere altre ragazze che le stimavano,ciò poteva voler dire che le loro personalità ben delineate avevano superato la prova, cogliendo nella vita impegna-tiva della quotidianità gli stimoli per una crescita umana e cristiana considerevole. La conduzione di una vita fa-miliare ordinaria, hanno sistematicamente forgiato le tre sorelle al sacrificio gioioso di chi sa che la vita così spesa promette un fine pieno di speranza e di immortalità.

La Missione Popolare organizzata ad Anticoli, provincia di Frosinone, nel giugno del 1741 portò benefici effetti non solo nelle tre sorelle: la forza della Parola di Dio se-minata da Don Tommaso Struzzieri, futuro Passionista e principale collaboratore di S. Paolo della Croce a fare in modo che le tre sorelle si sentissero “chiamate da Dio” per un progetto del tutto singolare. Esse opteranno per una unica scelta: quella di donarsi totalmente a Dio per

la vita nella preghiera. La Provvidenza non farà mancare loro la forza ed il “necessario “; furono presto seguite da altre ragazze che andavano a pregare con loro. Sentiro-no allora il dovere di istruirle meglio nella religione sotto forma di catechismo e pratiche di pietà. Da qui nacque “come una scuola”, ovviamente diversa da quelle attuali ma originalissima perché nata da una richiesta spontanea delle allieve attratte dalla luminosa esemplarità di quelle tre sorelle liberamente scelte come maestre di vita. Dopo sei anni la casa delle sorelle Faioli si trasformò progressi-vamente nel “Conservatorio di Anticoli”, ricevendo le con-vinte approvazioni delle Autorità religiose e civili. Quella originalissima “scuola nata dal basso”, divenne esempio luminoso di donazione totale a Dio attraverso l’educazio-ne e la cultura indirizzate ai poveri che, diversamente, mai avrebbero potuto conoscere ed assimilarne i conte-nuti.

Sorsero così le Suore dell’Immacolata di S. Chiara.Il 6 Febbraio 1987 la Congregazione per la causa dei

Santi ha dato il “nulla osta” per l’inizio del processo di Be-atificazione delle Serve di Dio. La fase diocesana del pro-cesso si è conclusa il 1° luglio e gli atti sono ormai allo studio della Congregazione stessa. Voglia Iddio consenti-re di giungere alla conclusione che è nei voti di tutti:la glorificazione delle Serve di Dio Teresa, Cecilia e Antonia Faioli.

Oggi le Suore Faioline hanno esteso le loro radici in mol-ti istituti in Italia,Brasile e nelle Filippine. E pertanto noi mamme, volendo dare un piccolo contributo per il mol-to ricevuto, per l’esempio e per il sacrificio di queste tre sorelle attraverso l’operato della comunità del “SS.Cro-cifisso”, abbiamo avuto l’idea di realizzare con le nostre modeste capacità un fascicolo contenente un fumetto di poche pagine dal titolo: tre sorelle un solo amore con lo scopo di far conoscere questa stupenda storia, offrendolo alle Comunità Parrocchiali mesagnesi e a quanti sentono ancora, ai giorni nostri, l’entusiasmo ad “Educare alla vita buona del Vangelo” con sana capacità di guardare avanti, mettendo le loro fresche energie e tutta la loro vita a ser-vizio di Dio e dei fratelli.

Carissime Sorelle Faioli,”insegnateci un atteggiamento positi-vo, volto a costruire più che a rivendicare. Insegnate ancora, brave educatrici. Insegnate ancora. Grazie!

Le mamme

scuola cattolica Singolare esperienza di un gruppo di mamme

Il gruppo di preghiera “Sorelle Faioli”

La Comunità Parroc-chiale del Santuario SS. Medici Cosma e

Damiano di Ostuni, ha vis-suto, domenica 5 febbraio, Giornata della vita, duran-te la celebrazione della S. Messa delle ore 10,30 il rito della Benedizione delle mamme in attesa di un figlio. Aspettare un bambino è una gioia infinita, ha affer-mato il Parroco don Paolo Zofra, ma per molte don-ne è anche un motivo di angoscia: c’è chi teme per l’esito della gravidanza, chi attende trepidante degli esami, chi – e sono tante – spera da anni di diventare madre. Un’iniziativa che l’anno scorso ha subito raccolto un inatteso con-senso. Tutto è cominciato con l’idea di mettere sotto la protezione del Signore i piccoli che vengono alla luce nel grembo materno. Io credo nel valore del-

le benedizioni. Credo sia importante avere un’at-tenzione da parte nostra per la maternità. È un bel modo per aiutare le ma-dri che decidono di avere un figlio, mettendole nel-la condizione di sentire la presenza, la protezione e il ben volere di Dio attraver-so la Chiesa. “Niente alcol, nè droghe. No allo sballo ma sì al ballo”, invece, è lo slogan di un’altra iniziativa svol-tasi nel salone parrocchia-le l’ultima domenica di carnevale, animata dai de-ejay di Rcb. L’inziativa, alla quale hanno preso parte oltre 200 ragazzi, ha avu-to lo scopo di promuovere «momenti di incontro, ag-gregazione e divertimen-to con la musica e il ballo, senza alimentare la cultura dell’eccesso e dello sballo, per sviluppare nei giovani un senso critico alla scelta e la gioia di divertirsi stan-do insieme».

Ostuni. Iniziative ai Santi Medici

Le mamme in attesa insieme al parroco don Paolo Zofra

L’intervento dell’Arcivescovo

Page 8: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

9Attualità & Territorio 915 marzo 2012

il ricordo Nei suoi testi una lettura sapienziale della vita

Lucio Dalla, il poeta che cantava“Le volpi con le code incendiate non

parlano ma gridano pazze/ fra gli alberi per il dolore”.

Era vero. È vero. Il dolore non si può dire a parole, non è più né poesia né canzone, né retorica. Se mai solo la condivisione può avvicinarsi all’ustionante dimensione della sofferenza, per sentire insieme. Altrimenti è inutile. Con un’eccezione: quei due versi di Roberto Roversi cantati da Lucio Dalla in un disco che finché il sole splenderà rimarrà uno dei più importanti della musica e della poesia italiana del Novecento, “Anidride sol-forosa”. Adesso che Lucio Dalla se ne è anda-to all’improvviso, mancando di 3 giorni l’or-mai famoso 4 marzo (per via di una canzone eseguita all’odioso-amato Sanremo), quando avrebbe compiuto 69 anni, ci si rende conto che le sue “canzonette”, soprattutto quelle scritte insieme a Roversi tra il 1974 e il 1977, hanno fatto anche un pezzo di storia della letteratura contemporanea. Perché se è vero che finalmente le antologie letterarie si stan-no adeguando inserendo le poesie, perché di poesie si tratta, di Cohen, Dylan, Brel, Bras-sens, De Andrè, Lennon, McCartney e altri, è altrettanto vero che in quell’irripetibile periodo sono apparse alcune tra le più belle canzoni d’autore: per rimanere a Dalla e Ro-versi, “Tu parlavi una lingua meravigliosa” (e si guardi alla semplice e spoglia bellezza dei titoli), da cui abbiamo tratto i versi iniziali, la stessa “Anidride solforosa”, e poi “L’auto tar-gata TO” o “L’operaio Gerolamo”.

Cinquant’anni di carriera piena, dal jazz dei primordi con gli Idoli e i Flippers alle canzo-ni più vicine all’impostazione dei suoi idoli (Ray Charles e James Brown), come “Paff...bum!” e “Questa sera come sempre”, alla semplicità, che non vuol dire minor impegno artistico, de “Il gigante e la bambina” (una canzone in cui si parlava della pedofilia) e “Piazza Grande” (con protagonista un senza tetto), o “La casa in riva al mare” (la storia di

un carcerato), il periodo della denuncia so-ciale con Roversi e poi il ritorno a una con-cezione più popolare della canzone, ed ecco il tour con De Gregori, “Bugie”, “DallAmeri-caCaruso” e tanti altri successi, oltre che vere e proprie “spedizioni di confine”, nella lirica, nel teatro e nel cinema.

Ma di lui rimane anche un’altra lezione: la sua indipendenza. Attaccava lo sfruttamen-to e la violenza del sistema senza mai essersi dichiarato marxista, e questo, ai suoi tempi, era un’eresia, a sinistra. È riuscito a dare voce a mendicanti, operai morti sul lavoro, pazzi, emarginati senza fare propaganda di partito, ma anzi, affermando sempre la sua identità di cattolico. E questo nel mondo della cul-tura non era una passeggiata: erano i tempi in cui si faceva a gara nel dichiararsi più a sinistra di chi stava a sinistra del Pci e nello sventolare un brillante, intelligente, ipercriti-co materialismo ateo.

Dalla non ha mai voluto sentir parlare di conversione, perché lui cristiano ci si è sem-pre sentito. Non è tanto per la sua parteci-pazione ad appuntamenti ufficiali, come “La notte dell’Agorà” o per alcuni testi chia-

ramente riferiti a Dio, ad esempio “I.N.R.I” o “Come il vento” (ma tanti anni prima, nei Sessanta aveva cantato “Il cielo”), ma per una impressionante, anticonformista pre-senza di immagini sacrificali nella sua mu-sica e nei suoi testi, fossero essi viaggiatori senza meta, uomini soli e apparentemente privi di uno scopo nella vita, abbandonati da tutto e da tutti.

Ha fatto più politica sociale (nel senso no-bile del termine) lui che tutti i partiti dell’ar-co costituzionale, perché milioni di persone, giovanissimi e attempati padri di famiglia hanno amato – e talvolta capito – le ragioni dei clochard, dei carcerati, dei solitari, degli sfruttati e degli emarginati.

Valga per questo nostro ultimo saluto quel-lo che Roversi scrisse sulle note di “Anidri-de solforosa”: “Io ti segno a dito e tu segna pure me: sono felice”. Nonostante la tristezza dell’addio, rimane la felicità di quella lunga stagione in cui bellezza e autenticità hanno camminato insieme. Grazie per questo.

Marco Testi

L’uomo, lungo il cam-mino, vive la sua

storia nel tempo ricca di esperienze, ricordi, emo-zioni, al quale si contrap-pongono ansie, paure e aspettative disattese. Ed è proprio grazie alla nar-razione, che a volte gli individui riescono ad ela-borare tali delusioni ed eventi incomprensibili per trasformarli in poesia. La narrazione è un viaggio formativo di retrospezio-ne, di rinascita, che con-ferisce senso e significato alla nostra esistenza, e ci dona la forza necessaria per condividere il proprio percorso con gli altri. Da questa riflessione prende vita l’iniziativa promossa dall’Associazio-ne ARIMP, denominata “L’autobiografia: narrare per vivere….vivere per narrare”. «Il seminario in program-ma per sabato 24 marzo alle ore 17, presso la li-breria Paoline di Brin-disi, dichiara la Dott.ssa Silvia Errico, Presidente dell’ARIMP, nasce con l’obiettivo di riscoprire il

valore della narrazione, per comprendere quel filo rosso che lega e da signifi-cato a tutti gli avvenimen-ti della nostra vita». Al dibattito parteciperà Ia dott.ssa Concetta Brandi, psicologa e psicoterapeu-ta, Presidente dell’Aspic sezione di Brindisi, che illustrerà la narrazione come strumento per pren-dersi cura di sé, all’interno del percorso terapeutico; Don Maurizio Caliandro, Parroco e Docente di Re-ligione, che si soffermerà sull’importanza del valo-re formativo tramandato dalla storia del popolo di Israele.A concludere il seminario saranno le immagini e le poesie del libro “ a Pella Nuda” di Giovanna Tra-monte, come testimonian-za diretta di una scelta co-raggiosa e consapevole di una donna, che condivide con il mondo ed espri-me in parole, il proprio percorso esistenziale e la propria intimità.Per qualsiasi informazio-ne relativa al seminario, [email protected].

autobiografia Alla libreria Paoline

Narrare per vivere...vivere per narrare

briNDisiCambio al vertice della Forza da Sbarco (Comforsbarc) della Marina Militare. Lu-nedì 6 febbraio, nella sede operativa del Reggimento ‘San Marcò, a Brindisi, c’è stato il passaggio di consegne tra il con-trammiraglio Eduardo Serra (cedente) e il contrammiraglio Pasquale Guerra (subentrante). Alla cerimonia, nella ca-serma ‘Carlottò, ha partecipato l’ammi-raglio di Squadra Luigi Binelli Mantelli, comandante in Capo della Squadra na-vale, che da marzo ha assunto l’incarico di capo di Stato Maggiore della Marina militarei.

ostuNiIl Consiglio comu-nale di Ostuni, nella seduta del 2 marzo, a maggioranza, ha approvato l’istitu-zione e il regola-mento sull’imposta di soggiorno nel Comune di Ostuni. Dalla prossima sta-gione sarà quindi

istituita la “Ostuni Card”, carta dei servi-zi da offrire a chi soggiorna nella nostra città, che consentirà di beneficiare di una serie di sconti ed agevolazioni nella utilizzazione e fruizione delle strutture comunali (accesso al museo, teatro, pi-scina comunale etc) e nell’acquisto dei beni e servizi offerti dai privati che si convenzioneranno.

rigassificatoreDopo undici anni di attesa per le auto-rizzazioni British Gas ha deciso di ab-bandonare il progetto del rigassificatore di Brindisi. L’Amministratore Delegato di British Gas Italia, Luca Manzella, con un articolo su Il Sole 24 Ore ha annunciato di aver chiesto la mobilità per i venti di-pendenti e che, nonostante i 250 milio-ni di euro già investiti, «la casa madre delusa e scoraggiata dall’infinto braccio di ferro con le autorità italiane ha de-ciso di riconsiderare dalle fondamenta la fattibilità dell’investimento». Dal 6 marzo tutte le attività dell’azienda in-glese sono infatti chiuse. Alla base della decisione c’è l’interminabile iter di au-torizzazioni: la prima richiesta è infatti del 2001 a cui sono seguiti una serie di ricorsi amministrativi locali mentre il Governo centrale non convocava la con-ferenza dei servizi decisiva.

carceriAl 31 gennaio scor-so nelle undici car-ceri pugliesi c’era-no 4.533 detenuti rispetto a una ca-pienza regolamen-tare di 2.463 posti, con un sovraffolla-mento di 2.070 per-sone. In particolare, nelle undici carceri

pugliesi (inclusa la sezione femminile di Trani) sono detenuti 4.317 uomini (la capienza è di 2.282) e 216 donne (181). I detenuti totali in attesa del giudizio di primo grado sono 1.129 (su complessivi 1.876 imputati) mentre quelli condanna-ti a pene definitive sono 2.649, esclusi gli internati. Nel penitenziario di Brindi-si i i detenuti al 31 gennaio erano 214 (la capienza regolamentare è di 147); a Lecce 1.399 (680).

uLivi patrimoNio uNescoL’Amministrazione comunale di Ostuni ha deliberato che un gruppo di lavoro composto da esperti rediga tutta la do-cumentazione necessaria affinché il pa-esaggio degli olivi millenari possa can-didarsi a far parte della lista propositiva per l’avvio del procedimento di candi-datura del sito per il riconoscimento da parte dell’Unesco come “patrimonio mondiale dell’umanità”.

in Breve

Obiettivo raggiunto e superato per la Campagna “L’Italia sono

anch’io”: sono state raccolte oltre 100.000 firme, il doppio delle 50.000 firme necessarie per le due proposte di legge di iniziativa popolare per cambiare la normativa sulla citta-dinanza ai figli di cittadini stranieri (secondo il principio dello “ius soli”, ossia è cittadino chi nasce in Italia) e il diritto di voto alle elezioni ammi-nistrative per gli stranieri residenti. I risultati sono stati presentati a Roma durante una conferenza stampa, a cui hanno partecipato anche rappre-sentanti di Caritas italiana, Fondazio-

ne Migrantes, Acli, Centro Astalli, tra i promotori della Campagna insieme a numerose altre organizzazioni. «Ora faremo il possibile perché le proposte vengano calendarizzate in tempi rapidi”, afferma Oliviero Forti, responsabile dell’area immigrazione di Caritas italiana. Le Caritas dioce-sane, spiega Forti, «hanno dato un enorme contributo nella raccolta di firme sul territorio, facendo un otti-mo lavoro. Questo dimostra che la Chiesa, nelle sue diverse componenti oggi presenti, ha fortemente a cuore questo tema».

Gli anziani in Italia - che è il Paese “più vecchio

d’Europa” – saranno sem-pre più a rischio povertà, per il peso della crisi e gli effetti delle manovre cor-rettive del vecchio e nuovo governo. Aumenteranno fino al 5% le spese per abitazione e consumi energetici, mentre le ma-novre governative avranno un peso di circa 3.000 euro annui a famiglia. Con l’introduzione dell’Imu (Imposta municipale unica) sulla casa i più colpiti saranno gli anziani soli. La povertà incide sul 13% degli anziani, mentre il 5,5% vive in condizioni di povertà assoluta, soprattutto al Sud.

I pensionati poveri sono 2,3 milioni, “una cifra de-stinata a crescere”. Sono alcuni dati che emergono dalla seconda indagine nazionale sulla condizio-ne sociale degli anziani, presentata il 22 febbraio a

Roma dall’Auser.Gli anziani, secondo l’Auser, sono “doppiamente colpiti dalle manovre correttive”, perché da un lato contri-buiscono, quali ammortizzatori so-ciali, al reddito delle generazioni più giovani. dall’altro, sono considerati i “soggetti privilegiati” sui quali poter applicare riduzioni della spesa pub-blica.

Norma sulla cittadinanza agli stranieriCentomila firme per cambiarla

Secondo l’Auser gli anziani italiani sono sempre più soli e più poveri

Page 9: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

Giovani Talenti10 15 marzo 2012

l’intervista� Incontro con Daniela Pedali, giovane cantante originaria di San Donaci

«La mia voce “nera” nata nel coro parrocchiale»Continuiamo a conoscere i giovani talenti del nostro

territorio e diamo spazio, in questo numero, ad una giovane cantante originaria di San Donaci, Daniela

Pedali, uno dei volti emergenti nel panorama della musica italiana. Classe 1978, si appassiona alla musica sin dall’in-fanzia, e coltiva questa inclinazione entrando nel coro par-rocchiale della Chiesa madre. Ascolta tanta musica italiana in particolare black music, soul e rithm&blues e le sue inter-preti preferite sono Whitney Houston e Mariah Carey. Finiti gli studi, decide di intraprendere la carriera artistica dapprima esibendosi in svariati locali e discoteche pugliesi, poi iscrivendosi a numerosi festival canori e vincendo diver-se manifestazioni.

Viene apprezzata da Angelo Valsiglio, noto produttore e compositore di numerose artiste quali Raffaella Carrà, Lau-ra Pausini e Anna Oxa, il quale la aiuta a frequentare alcuni studi di registrazione dove Daniela acquisisce la tecnica di respirazione, perfeziona il suo modo di cantare definendo al meglio il genere a lei più congeniale.

Nel 2001 esce il suo primo album “Libera” e partecipa al Festival di Sanremo nel 2003 con il brano “Vorrei” per la ca-tegoria giovani mostrando le sue capacità vocali soul, nota-te da importanti discografici latino-americani. Si esibisce al Madison Square Garden di New York e all’America Air Lines Arena di Miami.

Raggiungendo i vertici della classifiche anche in America Latina, nel 2003, esce il suo nuovo cd pieno di virtuosismi vo-cali che dimostra la sua interpretazione vocale ed interpre-tativa. Scelta come unica artista italiana per un progetto di pace che vede coinvolti diversi artisti su scala internazionale, incide con loro il brano “Mai più la guerra” tratto dalla pre-ghiera di Giovanni Paolo II, davanti al quale Daniela canterà in Piazza San Pietro. Negli anni successivi incide numerose canzoni e dopo un tour in Danimarca, Russia e Ucraina, esce nel 2009, il suo quinto disco guadagnando il primo posto nelle classifiche degli album, presentato anche alla Sala della Musica di Bruxelles dove è ospite del Festival Internaziona-le della canzone italiana nel mondo, condotto da Antonella Clerici. In occasione del Wind Music Awards 2010, viene pre-miata come Miglior Artista Emergente all’Arena di Verona.

La tua passione per la musica nasce sin da piccola. Che ricordi hai di quegli anni, di quando hai iniziato a canta-re nel coro della tua parrocchia?

«Ho cominciato a cantare da bambina, cantavo dappertutto, a scuola, in macchina quando ero in giro con i miei, d’estate quando tutti erano soliti sedersi fuori perché dentro casa era troppo caldo. Mi piaceva organizzare dei veri e propri festi-val dove ognuno doveva cantare il suo brano preferito, ogni occasione era quella giusta per farmi ascoltare. Ma il ricordo più dolce è stato quando ho affrontato il primo provino della mia vita, ed è stato in una chiesetta, quella di San Vincenzo, nel mio paese a San Donaci. Avrò avuto circa 8 anni e volevo

assolutamente entrare a far parte del coro dei bambini che cantava per la messa della domenica mattina, ricordo di aver cantato emozionantissima “Tu scendi dalle stelle”. Quando il maestro che mi ascoltava decise che potevo far parte addirit-tura del gruppo delle “voci alte” tornai a casa piena di orgo-glio e quella fu la mia prima grande emozione nella musica. In seguito, anche da adolescente, ho continuato a cantare nel coro della mia parrocchia Santa Maria Assunta, sono stati anni bellissimi, eravamo un gruppo di ragazzi molto affiatati, ci siamo divertiti tanto, eravamo contenti e onorati di avere un impegno e una passione così».

Cosa rappresenta, per te, la musica? «La musica per me è vita, amore, passione, sogno, dedizione, sacrificio, emozione, privilegio. È tutto».

Ti sei esibita anche in piazza San Pietro alla presenza di Giovanni Paolo II. Cosa hai provato in quella occasione?

«Quando mi hanno comunicato che ero stata scelta come unica italiana ad interpretare una canzone per la pace con le parole scritte da Papa Giovanni Paolo II e che sarebbe stata interpretata da artisti di tutto il mondo, mi è mancato il re-spiro, e quando mi sono ritrovata a Piazza San Pietro dinan-

zi a migliaia di persone e soprattutto dinanzi a lui, il Papa, credo di poter dire che sia stato uno dei ricordi più belli del-la mia vita, non ci sono parole per descrivere l’emozione di quel momento, posso solo dire che mi sono sentita parte di una squadra molto speciale, la squadra “della pace” che ave-va come allenatore un Santo come Papa Giovanni Paolo II».

Che idea di sei fatta frequentando il mondo artistico? È possibile, in quel contesto, mantenere la propria essenza e rimanere sempre se stessi?

«Il mondo artistico, come tutti gli altri ambienti, ha le sue re-gole e le sue caratteristiche. C’è sicuramente, e come è giu-sto che sia, una buona dose di ambizione, di valori e anche di ipocrisie, ma credo che il mondo stesso sia un equilibrio tra sfumature e che si debba essere se stessi in qualsiasi am-biente uno si ritrovi, uno può scegliere di essere sincero con se stesso e con gli altri a prescindere dal contesto».

Tirando le somme della tua carriera: sei soddisfatta del tuo percorso?

«Sì, perché chi ha la fortuna di incontrare o di trovare nella propria vita, una passione o un sogno come quello che è sta-to, e che è per me la musica, è una persona fortunata Ecco perché la musica, per me, è anche un privilegio,. Nello spe-cifico, grazie al mio lavoro ho la fortuna di viaggiare tanto, di conoscere mondi e culture differenti, di vivere esperien-ze uniche come quando mi sono esibita al Madison Square Garden di New York, o quando ho cantato per il Papa. Ho ricevuto numerosi riconoscimenti, ma la cosa più importan-te è aver avuto la possibilità di incontrare e conoscere tantis-sime persone che mi hanno lasciato un bagaglio di umanità che non potrò mai dimenticare. Già per questo mi sento di dire che le soddisfazioni sono maggiori delle sconfitte. Non credo che possa ancora tirare le somme, se mi guardo indie-tro, mi rendo conto di aver fatto molto, ma se guardo avanti mi sento di essere ancora all’inizio».

Progetti per il futuro?«Proprio in questi giorni sto ultimando il lavoro di due anni al mio nuovo album che sarà presto in uscita. Questo disco è un viaggio nella musica e tra quelli che sono stati i più gran-di artisti del secolo scorso, come i Beatles, i Rolling Stones, Michael Jackson etc.. che farà conoscere un nuovo aspetto di me come interprete, perché è una rivisitazione di brani im-portanti e un punto d’incontro tra il pop e il jazz. Infatti ho avuto l’onore e il piacere di ospitare alcuni dei nomi tra i più grandi musicisti jazz italiani conosciuti nel mondo, da Paolo Fresu, Marco Tamburini alla tromba, Roberto Gatto alla bat-teria, Dado Moroni al pianoforte, Furio Di Castri al contrab-basso... Potrete trovare presto notizie a riguardo sul mio sito www.danielapedali.com».

Daniela Negro

Page 10: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

Speciale15 marzo 201212 Speciale

15 marzo 2012 13

«Lo scandalo dei discepoli di ieri e di oggi è non capire l’importanza della gra-tuità», sulla quale peraltro si fonda «il

rapporto tra Dio e gli uomini». Parlando di “Gesù e i poveri”, Armand Puig Tarrech, docente di Nuo-vo Testamento presso la Facoltà teologica della Catalogna, ha richiamato l’attenzione sul concetto di povertà secondo Gesù Cristo. Egli «sfugge ogni pauperismo - ha sottolineato - allargando la defi-nizione di poveri». «La vita di Gesù - ha ricordato - è percorsa da un rapporto costante con i poveri, che spesso hanno il volto dei malati, nel corpo e nello spirito». I poveri, insomma, «sono i biso-gnosi», qualunque sia la natura del loro bisogno. Certo, «il discepolo non può fare a meno dell’ele-mosina, come atto di compassione»; una genero-sità, ha richiamato Puig Tarrech portando l’esem-pio evangelico dell’obolo della vedova, che «non va collegata con la ricchezza, con la possibilità di dare, ma con la gratuità, con la volontà di dare ciò che si ha». Per il discepolo, infine, amore per Dio e per i poveri non devono avere una gerarchia, «la vicinanza ai poveri si basa proprio sul primato di Dio» e «mettendo l’amore per il prossimo accanto all’amore di Dio», ha concluso, «il primato di Dio non viene sminuito».Ricordare «il vero significato» dell’opzione prefe-

renziale per i poveri: significa «che la solidarietà verso i poveri è la prima di altre forme di solida-rietà» e «non esiste contraddizione tra l’opzione preferenziale per i poveri e l’universalità del’amore divino», ha aggiunto Mons. Ignazio Sanna, arcive-scovo di Oristano e membro della Pontificia Acca-demia di teologia. Mons. Sanna ha centrato l’attenzione su tre diverse accezioni della povertà. Dapprima la «povertà rea-le» che è drammatica in quanto coincide con «l’in-significanza sociale»: è «marginalità, esclusione, non solo dal punto di vista economico, ma anche per fattori culturali o sociali». In secondo luogo la «povertà spirituale», che ha in-vece un valore positivo dal momento che è «fiducia totale in Dio e nella sua provvidenza»; si potrebbe definire «infanzia spirituale», ha aggiunto il vesco-vo intendendola come «capacità di porre la propria vita nelle mani di Dio e fare la sua volontà». Infine «la povertà come scelta di vita». Dunque, «c’è una povertà subita che va combattuta e una liberamen-te scelta». A tal riguardo, ha messo in guardia mons. Sanna, «talvolta si pensa di essere solidali con i poveri di-venendo la loro voce, ma questo non basta: biso-gna far sì che i poveri stessi abbiano voce».

gesù e i poveri Le opzioni preferenziali del cristiano

L’importanza della gratuità

«Separare Cristo dalla sua Chiesa è operazione che conduce alla falsificazione sia dell’uno che dell’altra». Così ha detto il card. Angelo Bagna-

sco, introducendo i lavori del convegno “Gesù nostro con-temporaneo”, svoltosi a Roma dal 9 all’11 febbraio. «La sto-ria del cristianesimo, pur con tutte le sue contraddizioni e i suoi fallimenti è stata giustamente qualificata come storia della libertà». Parole del card. Camillo Ruini, chiudendo il medesimo convegno. Cristo e Chiesa, cristianesimo e libertà sono due legami, che meritano di essere stabiliti e approfonditi, perché la loro negazione è oggi più o meno latente.

«Cristo senza la Chiesa – ha proseguito il card. Bagnasco – è realtà facilmente manipolabile e presto deformata a se-conda dei gusti personali, mentre la Chiesa senza Cristo si riduce a struttura solo umana e in quanto tale struttura di potere». Chi dice di credere in Cristo, ma non di credere la Chiesa può facilmente costruirsi un’immagine molto sog-gettiva: Gesù sarebbe un maestro tra i tanti apparsi nella storia dell’umanità, più uomo che Dio, avrebbe fatto i suoi sbagli e, per questo, capirebbe i nostri. La sua missione sarebbe stata quella di fare del bene, impegnandosi nelle emergenze del suo tempo, così che oggi chi vuole seguir-lo dovrebbe impegnarsi al punto da perdersi nel sociale. E deformazioni simili ne esistono molte. Che cosa manca a questo Gesù terreno? Tutto quello che gli viene dal suo essere Dio. Egli è Maestro di una parola che, talvolta, non esige compromessi. Egli è la piena e definitiva rivelazione del Padre, al punto che chi vuole conoscere chi sia Dio re-almente, deve passare attraverso di lui. Non solo. Egli è il Salvatore, che è venuto a liberare l’uomo dalla vera malat-tia: quella del peccato.

Ora, l’immagine piena e vera di Gesù ci è consegnata dal-la Chiesa, che custodisce le parole del Maestro, le parole di coloro che hanno scritto del Maestro e le parole di coloro che hanno interpretato le une e le altre. La verità di Gesù e su Gesù è quella che appare dalla Scrittura e dalla Tradi-zione vivente, che nei secoli conserva, accresce e trasmette la verità di Cristo. La Chiesa è custode dell’una e dell’altra, ma non lo è come un guardiano del museo. La parola di Cristo è viva ed efficace, interpella l’uomo e gli comunica la salvezza, attraverso l’azione sacramentale della Chiesa. Non è esagerato dire che, se Cristo fa continuamente vive-re la sua Chiesa, la Chiesa rende vivo e operante il Cristo, in quanto animata essa stessa dallo Spirito.

E la Chiesa senza Cristo? Si riduce a una struttura solo umana, perché le manca quell’orizzonte soprannaturale, che conferisce la misura e il giusto peso alla dimensione umana. Senza Cristo ci si apre al potere, al carrierismo, all’efficienza dei propri mezzi, ai programmi troppo umani e, talvolta, al peccato. No: non è possibile separare Cristo dalla Chiesa, come non si può separare la testa dal corpo (cfr 1Cor 12,12).

Proprio perché Cristo è legato alla sua Chiesa, il cristia-nesimo è necessariamente una storia di libertà. La Chiesa rende Cristo contemporaneo, rende efficace l’azione del mistero pasquale, che continuamente rinnova l’esistenza, conducendola verso la pienezza del bene. L’evento pasqua-le nel suo dinamismo di morte e risurrezione, di passaggio dal vecchio alla condizione di colui che fa nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5), è la fonte di operosità del cristianesimo. Dirige la storia, orientandola verso la crescita del genere umano, realizzando un’autentica storia di libertà. Da quan-do il cristianesimo, nella pienezza del tempo della Pasqua, ha cominciato il suo cammino molte cose nel mondo sono cambiate in bene. È cresciuta, ad esempio, la concezione della dignità della persona, che ha portato alla condanna e all’abolizione della schiavitù; è cresciuta la sensibilità verso il debole, così che associazioni laiche di solidarietà vivono, in realtà, valori cristiani. Si ricordi ancora la cura dei malati: per tanto tempo è stata svolta da organizza-zioni religiose e, solo in un secondo momento, assunta dalla comunità civile; questi e altri esempi documentano che il cristianesimo ha aiutato l’umanità a migliorare se stessa. Esempi che conducono a toccare quasi con mano come «oggi – ha rilevato il card. Ruini – Gesù sia in real-tà molto più presente nella vita e nella cultura di quanto noi stessi siamo consapevoli». E la Pasqua non ha ancora perso la sua efficacia! La presenza di Cristo nella storia e l’incontro personale con lui, riconosciuto come il Maestro e il Salvatore, che non cessa di educare e di salvare, sono le condizioni per tendere ad una umanità nuova e piena. Egli parla all’intelligenza e agisce nel cuore di ciascuno, raggiungendo tutti gli uomini di buona volontà. Questo è il Cristo annunciato dalla Chiesa e donato dal cristianesimo nei secoli. Come è lontana l’immagine sfocata di un Gesù che nulla esigerebbe, che mai rimprovererebbe, che tutto accoglierebbe e in ogni scelta ci approverebbe! Lontana e poco coinvolgente.

Marco Doldi

Non ci sono più dubbi: Gesù è un nostro contemporaneo

«Gesù rimarrà sempre no-stro contemporaneo, perché vive con noi e

per noi nell’eterno presente di Dio». Con queste parole il card. Camillo Ruini, presidente del Comitato Cei per il progetto culturale, ha concluso l’evento internazionale “Gesù nostro contemporaneo” svoltosi a Roma dal 9 al 11 febbraio. «Affinché però an-che noi viviamo da suoi contempora-nei, con lui e per lui – ha proseguito il cardinale esprimendo un auspicio per il futuro - mi sembra necessario che oggi la missione ritorni ad essere quello che è stata all’inizio: una scelta di vita che coinvolge l’intera comuni-tà cristiana e ciascuno dei suoi mem-bri, ciascuno naturalmente secondo le condizioni concrete della sua esi-stenza. Se contribuirà a questo scopo, il nostro evento avrà portato frutto». Il Gesù storico e l’«autocoscienza» di Gesù. Dopo un ampio excursus sullo «stato attuale della ricerca sul Gesù storico» il card. Ruini ha cita-to alcuni «aspetti salienti della figura storica di Gesù di Nazaret»: le parole e gli insegnamenti, «parole antiche e nuove, ma uniche e attuali nella loro sostanza anche dopo duemila anni», gli «atti di potenza», «segni» o «opere» che Gesù ha compiuto, la cui «storici-tà sostanziale appare incontestabile e la «questione decisiva della coscienza che Gesù ha avuto di se stesso, del suo rapporto con il Padre e della missione che ne scaturiva», che «emerge anzi-tutto dalla sua preghiera, dalla chia-mata dei discepoli e dal tipo di rap-porto che egli ha instaurato con loro». Storia paradossale ma efficace. «Gran parte dell’evento è stata giu-stamente dedicata non a quanto è ac-caduto a Gesù in Palestina bensì alla

presenza attuale di Gesù nella storia e nella vita degli uomini», ha sottoli-neato il cardinale: «Da Gesù è scatu-rito cioè un grande movimento, una comunità di uomini e donne, che poi, certo, si è divisa e anche frammentata, conservando però una inestirpabile tendenza a ritrovare in lui la propria unità. Questa comunità ha dato vita a una ‘storia efficace’, perché è stata e rimane la forza in grado di incidere più in profondità sui modi di pensa-re e sui comportamenti, sulla cultura e sul vissuto delle persone come dei popoli. Storia efficace ma anche pa-radossale, perché si svolge secondo la forma della croce-risurrezione, della sconfitta che diventa vittoria: questo paradosso che si rinnova è il segno, o l’indizio, della presenza di Dio». Il cristianesimo come “storia della libertà”. «Esiste un’identificazione dinamica tra Gesù Cristo e lo Spiri-to Santo, in virtù della quale Gesù si rende presente e contemporaneo mediante l’opera del suo Spirito». Secondo il card. Ruini, «Gesù di Na-zaret, nella sua vita terrena, ha ma-nifestato in maniera sovrana questa libertà, che è il riflesso della libertà di Dio, e la storia del cristianesimo, pur con tutte le sue contraddizioni e i suoi fallimenti è stata giustamente qualificata come ‘storia della liber-tà’, storia cioè della crescita del gene-re umano in direzione della libertà. Tocca a noi, oggi, vivere in noi stessi e manifestare al mondo questa me-desima libertà che, contrariamente a un pregiudizio diffuso nella cultura attuale, non è coartata ma alimen-tata dal suo rapporto con la verità». Futuro “aperto” alla missione. Nella conversazione sui giovani e Gesù è «ri-suonata una domanda», ha fatto nota-

re il card. Ruini al termine della sua relazione: «questa grande presenza di Gesù ha il futuro assicurato, qui in Italia e in Occidente, o invece i giova-ni, pur amandolo e ammirandolo per tanti aspetti, stanno perdendo la fede in lui, in concreto stanno abituando-si a vivere a prescindere dal Gesù vivo e reale, sostituendolo magari con un Gesù immaginario, fabbricato da una cattiva letteratura o costruito sulla mi-sura dei nostri gusti? ». «A questa do-manda – ha affermato - non c’è una ri-sposta prestabilita, una risposta, cioè, in grado di prevedere il futuro della fede in Italia e in Occidente. In realtà questo futuro è aperto, aperto alla no-stra libertà e prima ancora alla libertà e alla misericordia di Dio». C’è, però, «una risposta precisa e vincolante per ogni credente, che non prevede gli esiti ma indica il nostro compito. Que-sta risposta si riassume in una parola, che è tra le più antiche e originarie del cristianesimo: la parola missione. Oggi probabilmente non basta più che alcuni membri della Chiesa viva-no la loro fede come missione, in pae-si lontani o qui da noi».

ruini Il cristianesimo è “storia della libertà”

Con e per noi nell’eterno presente di Dioriflessioni La prospettiva di fondo del nostro essere

Cristo e la sua Chiesa, un unicum

Quello di Gesù con le donne è «un rapporto di reciproco riconoscimento e reciproca ac-cettazione, che è un passo necessario per

un’uguaglianza intesa come rispetto reciproco della differenza». Lo ha detto Paola Ricci Sindoni, docente di filosofia morale all’Università di Messina, intro-ducendo la sezione di “Gesù nostro contemporaneo” dedicata al rapporto di Gesù con le donne. Citando gli episodi dell’incontro di Gesù con la Maddalena al pozzo di Giacobbe e con Maria di Magdala dopo la Risurrezione, Ricci Sindoni ha spiegato che «Gesù si espone senza titubanza» al rapporto con le donne, manifestando in particolare «l’esigenza di guardare al mondo femminile secondo l’ottica della relazione per-sonale». Ed è proprio nella caratteristica della «relazio-nalità», secondo la filosofa, che si rende più evidente la “contemporaneità” di Gesù: «La rivelazione di Gesù - ‘Io sono la via, la verità, la vita’ - è una rivelazione che rivela ciascuno a se stesso, accogliendo la presenza dell’altro in una relazione intersoggettiva sempre nuo-va e sempre possibile». Gesù, in altre parole, «preten-de altro da coloro che vogliono seguirlo: non soltanto l’adesione, ma la sequela». Da qui «nasce la certezza di vedere eternate le nostre vicende quotidiane in una di-mensione salvifica: questo significa che nulla di noi e del mondo può andare mai perduto».

La Chiesa deve recuperare «l’alleanza con il femmini-le», perché le donne «possono essere il centro propul-

sore di una nuova costituente antropologica», grazie alla loro peculiare capacità di essere «ponte con i non credenti». È l’invito rivolto da Emma Fattorini, docen-te di storia contemporanea presso l’Università “La Sa-pienza” di Roma. Nella «relazione con il maschile», ha detto la storica a proposito del cortometraggio di Lilia-na Cavani, «bisogna imparare dalle Clarisse: loro non si lamentano e non rivendicano, ma esprimono l’ama-rezza, lo stupore dell’indifferenza. Si rammaricano di non essere viste, di non essere riconosciute in quanto donne, come se non ci fosse niente da imparare dalle donne». Chiedere alla Chiesa «un’alleanza con le don-ne», ha puntualizzato la storica, «non è una rivendi-cazione di quote», ma la «consapevolezza dell’errore, della perdita secca che non loro, ma la Chiesa subisce, se non valorizza le donne». Di qui la necessità di «ve-dere la donna non come una minaccia, ma come una risorsa», a partire dalla «svolta antropologica» propo-sta da Giovanni Paolo II nella “Mulieris Dignitatem”.

«Il femminismo spontaneo di Gesù nasce dal fat-to che Gesù vede la donna alla luce della dignità con cui Dio la considera, a cui si aggiunge la sua conside-razione intuitiva eccezionalmente acuta». Lo ha detto Ermenegildo Manicardi, rettore del Collegio Caprani-ca di Roma. «Lo stile di Gesù è sorprendente», ha det-to il relatore definendolo «sincero, cordiale, aperto», sulla scorta di ciò di cui è rimasta traccia nei Vangeli. «Anche i discepoli sono stupiti dallo stile di Gesù con

le donne», ha fatto notare il teologo, ma «Gesù non in-dietreggia». Il rapporto di Gesù con le donne, ha preci-sato però il rettore del Capranica, «non è impostato su una lettura sociologica: non c’è in lui un paternalismo femminista, ma proprio per questo Gesù spalanca uno spazio enorme per le donne, partendo dalla visione di Dio e da come Dio intende l’essere umano». Quella di Gesù sulle donne, come scrive Giovanni Paolo II nel-la “Mulieris Dignitatem”, è “un’ottica caratterizzata da grande trasparenza e profondità”, al punto che - come si legge nei Vangeli - alcune donne, come la samarita-na e la cananea, diventano «vere e proprie collabora-trici di Gesù in terre nuove». «Non troveremo nessun interlocutore maschile di Gesù che dilata la sua azio-ne», ha fatto notare il teologo.

«Se c’è qualcuno a cui Gesù è veramente contemporaneo sono i giovani, in tut-to il mondo. Giovani che soffrono per

la guerra, lo sfruttamento sessuale, la mancanza di futuro, la droga…». La provocazione di don Ar-mando Matteo, docente di teologia fondamenta-le alla Pontificia Università Urbaniana, è giunta all’evento su “Gesù nostro contemporaneo”, nella conversazione su “i giovani e Gesù”. Il teologo ha parlato di una generazione adulta per la quale «il massimo della vita è restare giovani”, che «odia l’essere adulti», che «ha paura della morte e quin-di non può comprenderne il messaggio di passag-gio». Dunque, «a che servono mille prediche - ha domandato - se negli occhi di mio padre e di mia madre non c’è scritto che la sete di giustizia, verità, bellezza richiama Dio? ». «Questa generazione - ha rimarcato don Matteo - ha trasformato la salvezza dell’anima in cura ossessiva del corpo, all’ascesi ha sostituito l’abbonamento della palestra, alla mes-sa il calcetto o il jogging domenicale». «È vietato invecchiare, questo è il nostro problema, e perciò siamo incapaci di cogliere la verità della giovinez-za» come età di passaggio. Conseguenza di tutto ciò, però, è che «questa società crea sacche di sof-ferenza che occultiamo, come il milione e mezzo di giovani con problemi di alcolismo, i suicidi tri-

plicati nell’ultimo decennio, la depressione, gli in-cidenti stradali…».

«Ci sono persone capaci di guardare gli altri fa-cendo percepire con gli occhi la dignità che cia-scun uomo ha». È il caso di padre Pino Puglisi, assassinato dalla mafia a Brancaccio, quartiere di Palermo, nel 1993. Il sacerdote era insegnante di religione nella scuola superiore di Alessandro D’Avenia, oggi a sua volta insegnante e scrittore. D’Avenia ha portato questo ricordo nella conversa-zione su “i giovani e Gesù”. Questo sguardo che Pu-glisi ha rivolto al suo killer alla fine è stato «sconfit-to» secondo un’ottica mondana, perché l’assassino ha premuto il grilletto, eppure ha portato ad un cambiamento: catturato, dopo cinque anni l’omi-cida deciderà di collaborare con la giustizia per-ché «quello sguardo - dirà poi - non mi faceva più dormire». Uno sguardo che comunichi digni-tà e bellezza è quello che D’Avenia chiede per gli educatori. «Gesù - ha affermato - può farsi nostro contemporaneo se i ragazzi vedono negli adulti la capacità di trovare la bellezza che ciascuno di noi ha in se stesso», una bellezza che «viene dal Cre-atore». «Il punto - ha aggiunto - è trasformare lo sguardo che si ha sui giovani» affinché non siano considerati «oggetto», ma «soggetti», persone «le cui potenzialità sono tutte lì pronte a fiorire».

gesù e i giovani Il tema nelle parole di tanti osservatori

Stesso tempo e stesso passo ovunquegesù e le donne L’invito alla Chiesa al recupero del “femminile”

Quel reciproco riconoscimento ed accettazione

Page 11: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

«Siamo una Comunità educante in quanto offria-mo a tutti riflessioni per scoprire, apprendere ed apprezzare il vero senso della vita, per co-

struire un futuro capace di avviare ad una società educa-ta». Quest’affermazione del nostro Arcivescovo non è né uno slogan o un semplice modo di dire, né un artificio, ma una vera sintesi delle linee pastorali di quest’anno, grande “pedagogia ecclesiale” capace di dare risposte concrete, ri-volta soprattutto ai giovani perché la loro vita, fondata sul passato e vissuta nel presente, è «aperta al futuro, ricca di prospettive, ma anche di incognite che però non devono mai essere tali da abbattere speranze, aneliti, aspirazioni». E perché l’educazione dei giovani sia capace di superare la sfida dei nostri tempi, essa deve trovare sostegno nella te-stimonianza e nei comportamenti concreti di adulti, dispo-sti a condividere con autorevolezza e simpatia i loro pro-getti, alleati per la vita in una «complicità preziosa» verso il bene. Proprio per questo la scelta del tema per la Festa della Vita è stato quello di “Giovani e adulti: alleanza per la vita”, legato anche alla preoccupazione, come ha sottoline-ato l’Arcivescovo, che i giovani, incominciando ad interro-garsi sul senso della vita, non dovessero trovare delle valide risposte.

A sostegno della vita in tutte le sue tappe e manifestazio-ni, la Consulta per il laicato, l’Ufficio per la Pastorale della famiglia, il Servizio per la Pastorale giovanile, con il con-tributo di associazioni e movimenti presenti sul territorio, hanno realizzato il 5 febbraio scorso una serata per la Fe-sta della Vita nel teatro della Parrocchia S. Vito Martire in Brindisi: giovani e adulti hanno voluto dare una rappresen-tazione della vita nella ricchezza delle vicende quotidiane, nelle varie situazioni di disagio e di fragilità, di gioia e di speranza.

Spezzoni di film, testimonianze di giovani e di adulti, can-zoni e brani di poesie legati al tema della vita, strumenti

per stabilire una relazione con il pubblico, che ha rivelato attenta partecipazione e sincero compiacimento, sono stati introdotti e commentati da una coppia, che per età e non solo, si sentiva intimamente coinvolta in quanto giovani e genitori.

Le disavventure di una famiglia che si sforza di fare tesoro delle sue difficoltà per superarle con una maturità nuova, l’accoglienza di chi vive il disagio di stare lontano dalla pro-pria terra, la leggerezza con cui si rompe una unione, l’im-pegno di costruire una famiglia come “luogo di arricchi-

mento e di crescita”, la necessità della presenza di entrambi i genitori nell’educazione dei figli, l’atteggiamento di ser-vizio in difesa della vita nonostante le resistenze sul piano sociale e ospedaliero, la forza di superare il dolore della na-scita di un figlio disabile, il dramma di un padre in fuga di fronte alla diversità del figlio e la successiva conquista di un rapporto di amore e di complicità, sono state le sequenze della rappresentazione di una festa del tutto particolare, in cui i protagonisti erano animati dalla voglia sincera di stare accanto a tutti, specie a quelli per i quali la vita non è festa. È emersa prepotentemente la convinzione di difendere la vita, di non emarginarla quando essa si presenta fragile o ferita, ma di accettarla ed apprezzarla nel suo valore intrin-seco e nella sua forza di rigenerare con la propria sofferen-za l’esistenza degli altri.

A conclusione della serata l’Arcivescovo ha rivolto un rin-graziamento particolare alla Consulta del laicato, perchè rappresenta il contesto ecclesiale nel quale confluiscono e vengono ripensate le iniziative delle associazioni e delle commissioni, per dare unità a tutto quello che viene prepa-rato in Diocesi. Rifacendosi poi alla storia dei due genitori separati, presentata in uno spezzone filmato, Mons. Taluc-ci, insistendo sull’opera educativa della Chiesa, ha voluto soffermarsi sul problema delle coppie in difficoltà, ricor-dando le iniziative prese nei loro confronti, per non farle sentire emarginate o abbandonate, per accompagnarle in un cammino di fede e di speranza, in una Chiesa che mai ha rinunciato alla propria maternità.

Concludendo il suo intervento ha ricordato ai giovani che, alla legittima richiesta di credibilità agli adulti, deve accom-pagnarsi dei giovani ad educarsi, per diventare anche loro credibili e seri, prendendo a modello quei giovani santi che hanno saputo «vivere la propria sofferenza nella gioia della presenza di Dio».

Giuseppe e M. Carmela De Riccardis

la festa Il tema è stato: Giovani e adulti alleanza per la vita

A sostegno della vita in tutte le sue tappe

È inverno pieno, in Italia e in Puglia, e non solo per la neve che cade e per le recenti tempera-

ture polari, è inverno anche sul piano demografi-co.

Il tasso di natalità in Italia nel 2010 è stato di 9.3 neonati per mille donne in età fertile (il valore più basso degli ultimi dieci anni); in Puglia il 9.0 per mille. In Puglia, dal 2003 al 2008, le famiglie con figli si sono ridotte da 757.000 a 732.000. Il numero medio di figli per donna è di 1.4 in Italia, 1.32 in Puglia ove le donne arrivano al primo par-to mediamente a circa 31 anni. Sicchè, nella no-stra regione, nel 2020, si prevede un rapporto di 1 bambino fra 0 e 5 anni per 5 anziani con più di 65 anni.

A lanciare l’allarme è Lodovica Carli, Presiden-te del Forum delle Associazioni Familiari di Puglia che, in una nota, evidenzia come “in Puglia le donne, le coppie desiderino più figli ma evitino o temano di farli nascere. Ciò apre la porta a con-seguenze pesantissime in merito alla sostenibilità dell’intero sistema Italia. Perché tutto questo? Per motivi strutturali,- l’annosa carenza di politiche familiari strutturali -, ma anche i profondi cam-biamenti antropologico-culturali avvenuti nella nostra società”.

L’argomento è stato messo in evidenza anche da Francesco Belletti, Presidente nazionale del Fo-rum delle Famiglie che, in una dichiarazione, ha sottolineato come “quello che sorprende è che la politica non si sia ancora resa conto dei gravissi-mi rischi di collasso sociale – reali, e in parte già operanti – che il blocco della natalità può portare. Un inverno demografico senza precedenti, in cui il nostro Paese ha l’amaro privilegio di primeggiare in Europa da decenni, richiede con la massima ur-genza politiche in grado di incoraggiare il formarsi di nuove famiglie e la conseguente natalità. Per-ché una società incapace di generare nuovi figli è una società incatenata, senza futuro, senza pro-

getti, in cui la creatività diventa inutile, e in cui, come è sotto gli occhi di tutti, una gerontocrazia sempre più arrogante impedisce ai giovani di co-struire i propri progetti, occupando spazi e occa-sioni di vita. Il risveglio del nostro Paese, prosegue Belletti, non potrà avvenire senza una generosa capacità di accoglienza per le nuove generazioni; viceversa, saremo condannati ad una guerra tra le generazioni. Solo una società capace di accoglie-re le nuove vite sarà capace di costruire sistemi di solidarietà tra le generazioni, di accudire meglio i propri anziani, le persone fragili, chi è emargina-to. Perché il futuro di un popolo sono i suoi figli; un popolo senza futuro, invece, non si preoccupa nemmeno dei propri anziani. L’emergenza demo-grafica del nostro Paese è quindi una urgenza globale del sistema Paese. E’ una sfida per la so-cietà tutta, per la politica, per l’economia, ma è anche un richiamo alla responsabilità di ciascuno di noi”.

Di questo argomento se ne è discusso a Bari, il 29 febbraio, nel corso di un convegno sul tema: “Un futuro senza figli?”, promosso dal Forum delle Associazioni Familiari di Puglia e dalla Casa Edi-trice Laterza e tenutosi presso l’aula “Aldo Moro” dell’Università degli Studi.

forum famiglie Puglia Convegno a Bari

Un futuro senza figli?

Page 12: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

Nel rispetto di una tradizione consoli-data, ma che mai è caduta nel ritua-le, la Commissione Famiglia e il Ser-

vizio diocesano di Pastorale Giovanile hanno dato l’avvio ad un vero e proprio raduno di tutte le coppie di giovani fidanzati, la sera di domenica 12 febbraio, tra i suggestivi affre-schi murali della Chiesa di S. Maria del Casa-le in Brindisi.

Se fuori vento e gelo la facevano da padro-ni, all’interno un’atmosfera di calorosa acco-glienza familiare investiva, sin dal primo in-gresso, una folla festosa di giovani fidanzati seguiti da parenti e accompagnatori: tutti si ritrovavano insieme per un momento impor-tante della propria vita per vivere consape-volmente l’impegno della Promessa in pre-parazione di un rapporto di coppia, fondato su “relazioni vere” e su cammini “edificati dall’amore di Gesù”. La bellezza e il fascino di un cielo stellato che popolava con miriadi di stelle cangianti gli antichi affreschi della vol-ta, offriva l’immagine armoniosa dell’amore infinito di Dio, elemento fondamentale per perpetuare il mistero della Vita.

Canti e danze, eseguiti da gruppi giovanili della Diocesi, hanno aperto la cerimonia che, attraverso momenti di preghiera e la simbo-logia dei colori, hanno presentato l’amore di coppia come dono di sé, come relazione co-struita sul rispetto, sulla fiducia, sull’ascolto attento e sulla convinzione che l’esperienza matrimoniale, se pur attraversata da dubbi ed interrogativi, debba essere vivificata, per trasformarsi in comunione feconda, dalla luce della Parola di Gesù e dalla preziosità del suo sacrificio rigeneratore.

Proprio per sottolineare la centralità di que-sta prospettiva, rifacendosi al documento dei Vescovi italiani, i responsabili della Pastorale Familiare Arturo e Anna Maria Destino, han-no rivolto alle coppie l’invito a intraprende-re un cammino fondato sull’abbraccio della proposta di vita cristiana, radicata nel desi-derio di cercare Cristo e di “rimanere” con Lui, nella tensione quotidiana verso la “vita buona”.

E con l’invito a fidarsi e ad affidarsi a Gesù è proseguito il colloquio dell’Arcivescovo Mons. Rocco Talucci con l’assemblea dei fi-danzati: ha ricordato a tutti la rilevanza, da-vanti a Dio e alla Comunità, della “Promes-

sa” sottolineando che in essa è naturalmente implicita la difesa e la sacralità della vita, la inscindibilità del patto sancito e che nel con-tempo essa non può assolutamente prescin-dere dalla fiducia in “Colui che è sorgente dell’Amore”, capace di far superare ogni sfida e ogni dubbio anche nell’esperienza di cop-pia.

E quale esempio più eloquente di quello di una coppia, presente per dare testimonian-za di una unione lunga cinquantatrè anni, capace di provocare generale ammirazione e coinvolgimento commovente, con la sem-plicità e l’efficacia di parole piene di umana saggezza e di sincera fiducia nel sostegno di-vino!

A simboleggiare il coraggio ad intraprende-re nuove relazioni tra le asperità e le gioie di un cammino, le giovani coppie hanno depo-sto ai piedi dell’altare manciate di breccio-lina, un paio di sandali e mattoni per solide mura domestiche; poi hanno consegnato nelle mani del Vescovo una pergamena con tutte le loro firme a testimoniare la volontà di costruire una nuova famiglia e di rispetta-re il patto per diventare “una carne sola”, di “aprire il cuore all’amore e di donarlo” nella certezza della vicinanza di Dio.

Alla fine la Croce: portata all’altare sulle braccia dei giovani fidanzati, invitava a ri-scoprire, al di là di ogni paura, il mistero del “risorgere” dopo ogni difficoltà e sofferenza, vissute con la profondità dell’amore testimo-niato dalla vita di Gesù.

All’affidamento nelle mani dell’Arcivescovo di una stella di carta su cui le coppie avevano riassunto il proprio progetto di vita, seguiva la consegna ai fidanzati dell’“Albero della vita”, un album sul quale registrare le tappe più importanti della vita matrimoniale, ra-dicata nella memoria e nei legami della fa-miglia d’origine e proiettata a proporsi come modello credibile anche al di fuori di essa, per “educare alla vita buona del Vangelo”.

L’invocazione della paterna protezione di Dio per tutti i presenti da parte dell’Arcive-scovo ha concluso l’incontro in un clima di commozione e di gioia.

Giuseppe e M. Carmela De Riccardis

REPORTAGE E TESTIMONIANZE Il 12 febbraio a S. Maria del Casale la festa della promessa

Una giornata speciale da consegnare alla storia

Il vento sferzante e la pioggia pungente di quella domenica pomeriggio, 12 Feb-braio, nulla hanno potuto contro l’intimo

calore, la profonda comunione di sentimen-ti, il tepore del desiderio di condivisione dei futuri sposi presenti a S. Maria del Casale.Circa ottanta coppie di fidanzati hanno scelto di lasciare, per una domenica pomeriggio, la tipica atmosfera domestica delle famiglie nel giorno di festa, per vivere e, soprattutto, per condividere con altri un momento di festa o, come definito da S.E. Padre Arcivescovo,una “sosta di riflessione gioiosa”. È questa la più idonea descrizione dell’even-to: un momento di meditazione comunitaria sui progetti e sui desideri delle coppie, pun-teggiata dalle vibrazioni emotive del cuore.Si avvertiva forte la sensazione della consa-pevolezza di una chiamata in tutti gli sposi; il proposito di pronunciare il proprio “si” da-vanti a Dio, e, soprattutto, “si” alla proposta di vita che arriva da Gesù: “Chi cercate?Venite e vedrete. E quel giorno si fermarono con Lui.”Colpisce la forza di questa scelta di adesione ad un progetto, ad un cammino col Signore Gesù in un tempo di facili disorientamenti, distrazioni, paure. Così come palese è l’affi-damento al sostegno e soprattutto alla pre-ghiera di tutta la comunità dei credenti da parte dei futuri coniugi.Ed è giunta all’uopo, come prezioso esempio di “casa edificata su stabili fondamenta”, l’au-tentica e toccante testimonianza di Cosimo e Cristina, sposi da 53 anni. Il loro racconto delle nozze celebrate in comune con altre tre coppie sottolinea, con le parole della stessa protagonista, la dimensione del matrimonio come “festa della Chiesa”, ed efficace il loro invito ad “andare dietro al Signore Gesù, met-tendosi in viaggio con Lui”.Un percorso da intraprendere, quindi, rap-presentato dalla brecciolina e dai sandali portati all’altare da due promessi sposi, non prima di aver posato su di esso il vero pila-stro della vita dei Cristiani: la parola di Dio, luce che illumina. I mattoni posti invece per terra, simbolo, certamente, della costruzione di una dimora concreta, nondimeno rappre-sentano la progettualità di una relazione che si erge giorno dopo giorno, talvolta a fatica, talvolta con maggiore agilità, ma cementata

sempre dall’amore, dalla crescita di coppia e corroborata dalla preghiera comune.I connotati dell’aspetto più festoso sono stati scanditi da un vero e proprio arcobaleno di colori, presentati come tenui pennellate at-traverso fluide e soavi coreografie; l’azzurro cangiante del cielo, come un rapporto che sempre si rigenera; il verde colmo di spe-ranza che tinteggia il cammino della vita; il rosa tenero e mite come il rispetto reciproco nell’unione; il luminoso bianco che ,avvol-gendoci, dirada le tenebre dei momenti più difficili; l’aureo giallo che emana lo splendo-re di Dio;ed infine il rosso, sangue e fuoco, simbolo dello Spirito, sgorgato dal costato di Cristo, immagine e rimando soprattutto del-la forza dell’Eucaristia. Le coppie,cantando coralmente “Jesus Christ you are my life” nel portare in spalla alcuni, ed accompagnando altri, la Croce dei giova-ni fino all’altare, hanno concluso così la festa da protagonisti che, attivamente, scelgono di abbracciare quell’“albero”, fonte e modello di vita,che diventa radice della famiglia che nasce.

Ermanna Salamanna

Page 13: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

16 15 marzo 2012Vita di Chiesa

Una risposta alla tendenza, diffusa so-prattutto nei contesti urbani, a “pri-vatizzare” l‘esperienza del morire e

a “nascondere” i segni della sepoltura e del lutto: nasce così la seconda edizione del Rito delle esequie, predisposto dalla Conferenza episcopale italiana e presentato a Roma il 2 marzo. Il testo liturgico, obbligatorio in Italia dal 2 novembre 2012, risponde alla diffusa esigenza pastorale di annunciare il Vange-lo della risurrezione di Cristo in un contesto culturale ed ecclesiale caratterizzato da si-gnificativi mutamenti. Il volume, edito dalla Libreria editrice vaticana, offre una più am-pia e articolata proposta rituale e fornisce, in appendice, alcune indicazioni circa la cremazione dei corpi. Il tutto nel solco dell‘impegno nell‘ap-plicazione della riforma liturgica conciliare. La nuova pub-blicazione in lingua italiana del Rito delle esequie, infatti, fa seguito alla prima edizione apparsa nel 1974 sulla base di quella tipica del 1969.

Molte novità. Una prima novità riguarda la “visita alla fami-glia del defunto”. Il primo incontro con la famiglia diventa per il parroco un momento di condivisione del dolore, di ascolto dei familiari, di conoscenza di alcuni aspetti della vita del de-funto in vista di un corretto e personalizzato ricordo durante la celebrazione delle esequie. Una seconda novità riguarda la “Preghiera alla chiusura della bara”: la sequenza rituale è stata rivista e arricchita per sottolineare e leggere alla luce della Parola di Dio e della speranza cristiana un momento molto doloroso. Quanto alla celebrazione delle esequie nella messa o nella liturgia della Parola, l‘arricchimento più signi-ficativo è dato da una più varia proposta di esortazioni per introdurre il rito dell‘ultima raccomandazione e commiato. Nella seconda edizione del Rito non sono più contemplate “esequie nella casa del defunto”. I vescovi italiani hanno ri-tenuto questa possibilità estranea alla consuetudine locale e

“non esente dal rischio di indulgere a una privatizzazione in-timistica, o circoscritta al solo ambito familiare, di un signifi-cativo momento che di sua natura dovrebbe vedere coinvolta l‘intera comunità cristiana”.

Un mistero che riguarda tutti. «Le esequie cristiane non sono uno spettacolo, anche se utilizzano la ricchezza e la pluralità di codici della liturgia», ha chiarito mons. Domeni-co Pompili, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali. Il nuovo rito, ha spie-gato mons. Pompili, può essere «un contributo ad umanizza-re il momento della morte, sottraendolo alla sua invisibilità e alla sua individualità, quando non alla sua spettacolariz-zazione». In una società in cui la morte è «rimossa dall’oriz-zonte della vita quotidiana», o al massimo intesa come «un evento che si affronta in solitudine», un «fatto privato per le persone comuni o ‘pubblico’ per le celebrità», per il sottose-gretario della Cei è urgente riscoprire il «carattere di mistero» e «collettivo» di questo evento. Di fronte alla spettacolarizza-zione della morte, che a volte «si consuma sotto i riflettori», il rito funebre, per mons. Pompili, ha la funzione di far risco-prire la morte come «cammino collettivo e comune».

Appendice sulle cremazioni. Una delle no-vità più significative è costituita dall‘appen-dice dedicata alle esequie in caso di crema-zione. «La Chiesa accetta la cremazione, se non è decisa in odio alla fede, cioè per negare la risurrezione dei corpi proclamata nel Cre-do, ma non la incoraggia», ha spiegato mons. Alceste Catella, vescovo di Casale Monferra-to e presidente della Commissione Cei per la liturgia. Dietro l’aumento del numero delle cremazioni, ha aggiunto, «c’è anche il grande sforzo pubblicitario delle agenzie funebri che gestiscono queste pratiche». Mons. Angelo Lameri, collaboratore dell’Ufficio liturgico della Cei, ha puntualizzato come «la stessa denominazione di appendice vuole richia-

mare il fatto che la Chiesa continua a ritenere la sepoltura del corpo dei defunti la forma più idonea a esprimere la fede nella risurrezione della carne, ad alimentare la pietà dei fede-li verso coloro che sono passati da questo mondo al Padre e a favorire il ricordo e la preghiera di suffragio da parte di fami-liari e amici». In questa prospettiva, è previsto che la celebra-zione delle esequie preceda di norma la cremazione. Mentre, eccezionalmente, i riti previsti nella cappella del cimitero o presso la tomba si possono svolgere nella stessa sala crema-toria. Particolarmente importante l‘affermazione che la cre-mazione si ritiene conclusa con la deposizione dell‘urna nel cimitero. Ciò soprattutto per contrastare la prassi di spargere le ceneri in natura o di conservarle in luoghi diversi dal cimi-tero. Tale prassi infatti «solleva non poche perplessità sulla sua piena coerenza con la fede cristiana, soprattutto quando sottintende concezioni panteistiche o naturalistiche». Il ri-tuale offre, perciò, «sufficienti elementi per una catechesi e un‘azione pastorale che sappiano sapientemente educare il popolo di Dio alla fede nella risurrezione dei morti, alla di-gnità del corpo, all‘importanza della memoria dei defunti, alla testimonianza della speranza nella risurrezione».

dOcumenti� Presentata la seconda edizione del Rito delle esequie, obbligatorio dal 2 novembre 2012

Morire non è mai solo un “fatto privato”

Don Luigi Giussani in cammino verso la

santità. Al termine della celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo di Milano card. Angelo Sco-la, nell’anniversario dalla morte del “Gius”, il 22 feb-braio, don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e libera-zione (Cl), ha reso noto di avere presentato all’arcive-scovo di Milano la richiesta di apertura della causa di beatificazione e di cano-nizzazione di don Giussani. “La richiesta – si legge nel comunicato di Cl - è stata inoltrata oggi stesso, 22 febbraio 2012, giorno dell’anniversario e festa della Cattedra di San Pietro, attraverso la postu-latrice nominata dal Presidente della Fraternità:la professoressa Chiara Minelli, docente di Diritto ca-nonico ed ecclesiastico nell’Università degli Studi di Brescia”.L’educazione all’uomo integrale. A sette anni dalla scomparsa di don Giussani, dunque, è ini-ziato l’iter che lo porterà “all’onore degli altari”. E il card. Angelo Scola, che ha percorso un tratto di strada importante del suo cammino prima di for-mazione giovanile poi di sacerdote accanto a don Giussani, ne ha tracciato il profilo spirituale ricor-dando i passaggi fondamentali della sua vita con le parole dell’omelia: “Un aspetto geniale della proposta educativa di mons. Giussani non è stato forse l’efficace riproposizione della verità cristiana che nessuno può salvarsi da sé? Mons. Giussani ha espresso questa sensibilità ambrosiana con forza profetica fin dalla fine degli anni ‘50, educando all’assunzione integrale di ogni aspetto dell’umana esistenza. Per la logica dell’incarnazione il cristia-no è colui che testimonia - in famiglia, al lavoro, nel sociale a tutti i livelli fino ad arrivare all’im-pegno politico - l’opera salvifica del Crocifisso Ri-sorto”.

Dentro la Chiesa ambro-siana. L’arcivescovo di Mi-lano ha esortato dunque Comunione e liberazione a vivere pienamente all’in-terno della Chiesa di Mila-no i propri tratti peculiari: “Il carisma cattolico che lo Spirito ha dato a mons. Giussani, che la Chiesa ha universalmente ricono-sciuto, e di cui decine di migliaia di persone in tut-to il mondo possono oggi godere, è fiorito in questa santa Chiesa ambrosiana.

L’amore che mons. Giussani le portava è docu-mentato da mille e mille segni e testimonianze. Per i fedeli di questa diocesi appartenenti al mo-vimento di Comunione e liberazione – ha aggiunto il card. Scola - questo dato di fatto costituisce una responsabilità che chiede di essere sempre rinno-vata: praticare, nella cordiale assunzione del prin-cipio della pluriformità nell’unità, una profonda comunione con tutta la Chiesa diocesana che vive ad immagine della Chiesa universale. Questa co-munione è con l’arcivescovo, con i sacerdoti, con i religiosi e le religiose, con tutte le aggregazioni di fedeli, con tutti i battezzati e con tutti gli abitanti della nostra ‘terra di mezzo’”. Lo stile di un’amicizia. Infine il card. Scola si è la-sciato andare ad un ricordo personale: “L’Incontro dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità del 30 maggio 1998 con il Beato Giovanni Paolo II ha segnato un irreversibile passaggio a una nuova fase che gli eventi che si stanno producendo nel nostro Paese e nella Chiesa ha confermato. Come ricorda incessantemente Benedetto XVI questo è il tempo della nuova evangelizzazione a cui tutte le realtà ecclesiali debbono concorrere in armoniosa unità. L’uomo post-moderno domanda salvezza, consistenza: per questo ha bisogno di testimoni di quella forma bella del mondo (Ecclesia forma mundi) che è la santa Chiesa di Dio”.

dOn gi�ussani� Chiesta l’apertura del processo di beatificazione

Educazione all’uomo integrale è virtù eroica

Evviva: l’Italia ha superato la grande crisi! Com’è avvenuto questo miracolo?

Semplice: la Chiesa pagherà l’Ici/Imu!In verità la Chiesa come soggetto econo-

mico-finanziario non esiste, mentre esisto-no le varie realtà ecclesiali che, in realtà, sono “i cristiani”, i cittadini cattolici singoli e associati. E questi hanno sempre pagato l’Ici secondo le leggi vigenti. E pagheranno anche l’Imu, appena il governo avrà defi-nito le nuove norme. In attesa che tutto sia chiaro fioriscono leggende, messe in giro ad arte: finalmente la Chiesa pagherà; anzi: finalmente il Vaticano pagherà.

Telegiornali e giornali nazionali, a prova, mettono ben in mostra il cupolone di San Pietro, il quale però non c’entra. I rapporti dello Stato italiano con il Vaticano sono regolati da norme di diritto internazionale. Ma tant’è. Da che ci siamo facciamoci un bel polverone, che crei confusione e renda certi che è la Chiesa quella cattivona che impoverisce l’Italia non pagan-do miliardi di tasse.

In questo bailamme, il gran tema di discussione riguarda la scuola “privata” che in realtà è scuola pubblica non statale. Ecco allora la sfi-da: sarà esentata se accoglierà tutti, compresi non cattolici e disabili; non pagherà se adeguerà programmi e trattamento degli alunni e dei docenti a quelli delle scuole statali; non pagherà se non otterrà guada-gni... se, se, se...

Ma guarda un po’: tutti sanno – tranne chi non vuole sapere – che la scuola cattolica non ha mai fatto esclusioni di sorta: non chiede il certificato di battesimo o l’attestato di frequenza alla messa domenica-le, come non chiede dichiarazione medica di non handicap. Quanto ai programmi e a tutto il resto, se queste scuole sono dichiarate paritarie è proprio perché lo Stato ha già riconosciuto che tutto questo c’è già. Non parliamo poi dei guadagni, che sono solo una barzelletta, visto che per chiudere i bilanci sono molti fedeli cattolici, parrocchie comprese, a dover intervenire. Sorge un dubbio: non si vorrebbe che il polverone sulle scuole voglia nascondere altre questioni; quella degli oratori, ad esempio, dove ci sta un piccolo bar che guadagna sì e no il necessario per pagare il riscaldamento e la luce delle aule in cui si deve fare cate-chismo. Non vorremmo che si trovasse modo di far pagare una specie di tassa sul bene, sull’educazione a cui, sempre, si dedicano le parrocchie. Cosa questa che, ai mistificatori ideologizzati di tutta questa storia, dà molto fastidio.

Vincenzo Rini

chi�esa e i�ci� Solo un polverone mediatico

Ma dove è la novità?

Page 14: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

PaginAperta 1715 marzo 2012

La confidenza con il libro per eccellenza della preghie-ra cristiana, il Salterio, offre al credente la possibilità di trovare quelle poche parole, donate da Dio all’uo-

mo di tutti i tempi, di invocazione, di supplica, di lode, di ringraziamento, che esprimano atteggiamenti particolari dell’animo umano di risonanza universale.

Quante volte l’ufficio divino ha invitato noi servi del Si-gnore “che state nella casa del Signore, negli atri della casa del nostro Dio” (Sal 134,2) a dichiarare la grandezza di Javhè sopra tutti gli dei? Solamente giunto a questa tappa della mia vita riesco ad appropriarmi della sublime confessione di fede del salmista che ammette: si, io lo riconosco, “io so che grande è il Signore” perché “tutto ciò che vuole il Signore lo compie, in cielo e sulla terra, nei mari e in tutti gli abis-si” (Sal 134,6-7). Si doveva capitare in quei mari, in cui le cronache di questi ultimi tempi registrano i disastri e i pe-ricoli sottesi, per raggiungere la completezza dei luoghi per cui qualcuno, ancora una volta come sin dall’antico testa-mento, ne celebrasse la fedeltà di Dio e le sue meraviglie in favore degli uomini. Mi ritengo annoverato tra i privilegiati, aggettivo che a giusto titolo può designare coloro che solca-no “il mare sulle navi”, per aver visto “le opere del Signore, i suoi prodigi nel mare profondo” (Sal 106,23).

Per mare profondo intendo le acque dell’oceano indiano che, dal 13 novembre 2011, a bordo della unità navale della Marina Militare, Nave Grecale, duecento cinquanta membri dell’equipaggio percorrono in lungo e in largo nella delicata operazione Nato “Ocean Shield” di difesa del traffico marit-timo dal fenomeno della pirateria. Lì dove questi uomini in divisa, sono chiamati ad esercitare la propria missione pro-fessionale per diversi mesi, fino al prossimo aprile, la Chie-sa Ordinariato Militare per l’Italia non poteva esimersi dal garantire una presenza sacerdotale che dando testimonian-za alla luce, divenisse unicamente la voce attraverso cui far risuonare forte e potente la Parola nei “petti di ferro… che cingono questa nave” (cfr. Preghiera del Marinaio).

L’ambiente in cui sin da subito ho dovuto muovere i miei prudenti passi non lasciava scampo: ricalcava l’ecosistema del Precursore, figura che iniziava ad affiorare con l’imboc-co dell’avvento. Infatti, la prima fase della missione ci ha visti immediatamente coinvolti nella lunga e delicata ope-razione di liberazione dei ventidue membri dell’equipag-gio del mercantile Savina Caylyn in ostaggio ai pirati, dopo 317 giorni di prigionia al largo delle acque somale e nella contemporanea cattura di altri corsari nel tentativo di ab-bordaggio del mercantile italiano Valdarno, nostri ‘ospiti’ per una settimana. A motivo di ciò sono state interdette le comunicazioni con l’esterno e sospesi i collegamenti infor-matici creando in ognuno dei nostri marinai una indotta capacità indulgente nella diuturna attività lavorativa In un clima simil desertico, di attenta e totale vigilanza, di per-correnza dell’unica via possibile, di raddrizzamento degli abituali e comodi sentieri, condizioni imprescindibili del-la predicazione prenatalizia, la Luce che veniva nel mondo non tardava a trovare posto nel cuore e nella vita di quanti erano imbarcati su nave Grecale. Le mie disinvolte propo-ste cedevano il posto ad un passo più spedito, la mia fioca voce si spingeva fino ad alte grida, il coraggio prendeva for-ma, la testimonianza si rendeva stringente come gli spazi di vita della nave. Si stava realizzando quanto mi era apparso, come una chiara linea d’azione, il mio primo giorno di im-barco, quando, alzando lo sguardo verso la poppa di nave Grecale, una delle otto navi appartenenti alla classe “Venti” (Scirocco, Libeccio, Espero, Maestrale, Aliseo, Euro, Zeffi-ro, Grecale), venni attratto dalla vista del luccicante motto impresso sin dal 1979, il mio stesso anno di nascita: Venti impetu, per l’impeto del vento. Il messaggio fu chiaro fin da subito: non c’era da scherzare e da perdere tempo. Finita la

ricreazione stava spuntando un nuovo tempo di ri-creazio-ne, di rinascita, di risurrezione, di rinnovamento.

Così sin dai primi giorni di navigazione, ogni mattina dal-la mia basilica allo scoperto, la prora della nave, nel mentre elevo in canto le parole del Benedictus “per cui verrà a visi-tarci dall’alto come sole che sorge” sento provenire il vento che si abbatte gagliardo (At 2,2) non dai quattro venti, bensì dagli otto. I prodigi promessi ai suoi servi e alle sue serve si affrettavano a realizzarsi. Le giornate si arricchivano di se-gni che iniziavano a suscitare stupore e perplessità, come nel giorno di Pentecoste.

Già le celebrazioni domenicali diventavano occasioni di grazia da far sorgere in alcuni la libera e spontanea de-cisione a camminare secondo lo Spirito perché dal Cristo Risorto raggiunti e rinnovati. Ed ecco che alla prima sosta al porto di Djibuti un gruppo di quindici ragazzi, invece del classico riposo presso una delle rilassanti piscine dei grandi alberghi internazionali, si sono resi disponibili alla ristrut-turazione dei locali della Caritas e di una scuola elementare della piccola comunità cristiana guidata dal vescovo italia-no Mons. Giorgio Bertin.

Altra esplicita opera dello Spirito Santo è stata la richiesta di vederci riuniti, oramai quotidianamente, all’imbrunire, al termine della cerimonia dell’ammina bandiera, tutti do-tati dell’arma, “la Catena dolce che ci rannoda a Dio” a pre-gare con coraggiosa convinzione il Santo Rosario e a speri-mentarne la potenza.

Concorde all’azione dello Spirito di santità, era constata-re la rapidissima diffusione del Vangelo tascabile dalla cui lettura si scorgevano persone rigenerate, illuminate, spe-ranzose e franche pronte a scommettere nel proseguo della propria vita professionale, sentimentale, familiare puntan-do su “In Verbo tuo”.

Quale ventata di verità iniziava a portare lo Spirito nel ri-velare situazioni di promiscuità matrimoniale, di licenzio-sità sessuale, di schiavitù da vizi, cause tutte si svilimento esistenziale, e condurre a desiderare il grande dono della guarigione del sacramento della Riconciliazione!

Con mia grande meraviglia vedevo prendere piede la pro-posta del “seminario di vita nuova nello Spirito” nell’opera di evangelizzazione di un gruppo di venti giovani in prepa-razione al sacramento della Cresima e del Matrimonio ri-chiamando un autentico cammino di conversione.

Ancora, novità dello Spirito, svolta negli usi e costumi del-la Marina, la dedicazione di uno spazio e di un tempo per il “Roveto Ardente” sublime esperienza di incontro dei nostri giovani, prostrati, adoranti, con Gesù Eucarestia nella inti-ma forma di lode, silenzio, preghiera spontanea.

E, per finire, non è un dono dello Spirito di consolazione assistere ad una eruzione di lacrime carica di un forte sen-so di indegnità da parte di coloro che non erano nemmeno disposti a sentir parlare di perdono in caso di infedeltà del-la consorte, di assassinio di un proprio caro, non appena ho dato lettura della lettera scritta alla moglie dal Comandante del mercantile sequestrato “Savina”, il primo gennaio 2012, nove giorni dopo la liberazione dai pirati: “Il perdono è l’ac-qua che purifica la nostra mente e ci dona la pace eterna. Io ho perdonato” (riferito ai pirati)?

Quest’altra magnifica opera divina che ha trasformato il mare profondo in un’autentica Betlemme rimarrà per sem-pre impressa nei miei ricordi preziosi. Nel giorno di S. Ste-fano, quando in elicottero ho raggiunto il mercantile per celebrare la S. Messa di Natale con i membri dell’equipag-gio ancora frastornati e traumatizzati (5 italiani, 10 indiani di cui solo due cattolici e gli altri indù e mussulmani), ho partecipato della stessa gioia annunciata dagli angeli ai pa-stori. Pensavo di essere andato a portare la gioia di Gesù Bambino e, non solo l’ho trovato già nato, ma anche Risor-

to: nei loro occhi era lampante congiuntamente il gaudio del Natale e l’esultanza della Pasqua. Nei giorni di passione più volte i sequestrati hanno chiesto ‘pietà’ e ‘misericordia’ ai pirati vedendosi rifiutare la richiesta per l’incomprensi-bilità della stessa. “Nel nostro vocabolario somalo - è stato risposto - non esistono queste due parole”. “Ma noi dob-biamo offrire il perdono - mi raccontava il comandante del Savina - perché il Dio che ha sostenuto le nostre tremende giornate l’ha concesso ai suoi stessi crocifissori”. Avere il co-raggio di dire parole di tale spessore spirituale dopo dieci mesi di torture e costrizioni inaudite è opera esclusiva di un uomo lavorato dallo Spirito di fuoco. Sono ritornato dai miei militari glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevo visto e udito.

La missione ha da poco raggiunto il suo giro di boa (metà del cammin di nostra vita) e tutti non vediamo l’ora di tor-nare in Patria. Il passaggio nel Mar Rosso coinciderà pre-sumibilmente con la notte del 7 aprile, Pasqua. Quale altra occasione che, più che unica e rara, è un altro non ultimo soffio impetuoso dello Spirito che desidera per noi, una vera liberazione dalla schiavitù, che sotto l’aggettivo egizia-na, le racchiude tutte. Siamo tutti pronti a inneggiare: “Can-tiamo al Signore, stupenda è la sua vittoria”.

Questo è tutto ciò che il Signore, fino ad ora, ha voluto compiere in questi mari e negli abissi. Al termine di questa esaltante, ma sacrificante esperienza, non mi intimorirà il pensiero del “duc in altum”, del prendere il largo, del rom-pere gli ormeggi, dello spiegare le vele, nell’avventurarmi nel mare aperto perché mi accompagnerà la certezza che al marinaio sono riservati particolari prodigi.

Di questo vorrò essere testimone sulla terra ferma.don Rino De Paola

Cappellano militare M.M.

riflessioni La toccante testimonianza di un nostro cappellano militare imbarcato

Coloro che solcavano il mare videro le opere del Signore

Carissimi amici della Redazione, in Afghanistan tutto procede per il

meglio, anche se non mancano mo-tivi per non abbassare la guardia fino all’ul-timo. Quotidianamente sperimentiamo l’assistenza dei nostri Santi Patroni nelle at-tività di ogni giorno, da quelle più pericolo-se a quelle apparentemente meno esposte.

Sono stato per quasi due mesi in un’altra base e avevo oggettive difficoltà a comuni-care. Vi assicuro che appena tornati, man-deremo, al giornale diocesano, il materiale necessario a illustrare quello che il Reggi-mento San Marco è stato capace di fare a 5.000 km lontani da Brindisi.

Il nostro arrivo è previsto per questa set-timana prossima e ti anticipo (anche se si attendono conferme) che il rientro del “San Marco” potrà essere sottolineato con un evento a risonanza nazionale, anche per mostrare solidarietà ai due Marò (Latorre e Girone) coinvolti nella nota vicenda in-diana. Continuando a chiedervi di ricor-darci nelle vostre preghiere, vi ringraziamo del vostro operato e mi impegno a tenervi aggiornati su ciò che ci aspetta una volta a casa, a Dio piacendo!

Con gratitudine.don Marcello Calefati

Cappellano Forza da sbarco M.M.

Fermento torna a Pasqua La redazione ricorda che è possibile inviare articoli, lettere e riflessioni entro il 26 Marzo.

Il tutto può essere spedito all’indirizzo di posta elettronica: [email protected], oppure tramite fax al numero: 0831/524296 o, in alternativa, in busta chiusa indirizzata a: Redazione Fermento, Piazza Duomo, 12 - Brindisi.

la lettera Don Calefati anticipa ciò che il Reggimento San Marco ha fatto a 5000 km lontano da Brindisi

Messaggio dall’Afghanistan: stiamo tornando a Brindisi

Preghiera del Padre Nostro sul Savina Caylyn

Messa della Notte di Natale a bordo

Page 15: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

Speciale PaginAperta18 15 marzo 2012 Speciale PaginAperta 1915 marzo 2012

Parlare di Dio, una questione seria oltre le teleprediche

Ci sono momenti nella vita in cui bisogna avere il coraggio di con-fermare le proprie scelte nel tentativo di ridurre il più possibile quel solco esistenziale che divide ciò che si dice di essere da ciò

che si è.Da giovane cristiano ho il dovere di difendere la mia fede, da giova-

ne cittadino ho il diritto di non essere discriminato per le mie scelte, da giovane uomo ho il dovere di rispettare e il diritto di essere rispettato. In questi anni ho compreso che è più facile dire di “sì”, ma ci sono casi in cui è necessario dire di “no”, come quando si calpesta un palcosceni-co pubblico che pertanto dovrebbe essere garante, come della libertà di pensiero, così del rispetto collettivo.

Celentano parla della straripante fortuna che abbiamo avuto nell’essere nati, e divertirci a fantasticare su come sarà il paradiso, continua discu-tendo di Dio e della via non interrotta dell’Altissimo. “È su questi temi che dovrebbe basarsi un giornale che ha la presunzione di chiamarsi Fa-miglia Cristiana, o anche l’Avvenire”! Probabilmente andrebbero chiusi! Forse l’ errore è qua, per la drasticità delle sue parole, ma in fondo cre-do che Celentano abbia ragione, leggere giornali “Cristiani” che parlano troppo di politica o addirittura sono di parte politicamente non è nor-male, ma bisognerebbe di più parlare del Vangelo e spiegarlo , sopratut-to in questo mondo che cambia continuamente!

Francesco Pinto (Parrocchia S. Famiglia Locorotondo)Adriano Celentano durante la sua esibizione al festival di Sanremo

Giorgio Bocca, uno dei grandi padri del giornalismo italiano, scomparso di recente, lo aveva definito, anni fa, un cretino di talento, appioppandogli, probabilmente in modo del tutto invo-

lontario, la qualifica più appropriata.L’epiteto, infatti, non era per nulla dispiaciuto allo stesso Celentano,

che, anzi, lo trovava delizioso, paradossale, nient’affatto insolente, adatto a chi, come lui, che si considerava il Re degli ignoranti, non voglia pren-dersi mai eccessivamente sul serio.

Sul talento dell’artista di Galbiate, nulla da osservare, ovviamente. Esso è unanimemente riconosciuto, indiscutibilmente strepitoso, per nulla intaccato dall’usura del tempo che passa.

Ma è sull’altro termine che la critica si divide. In breve, per alcuni Ce-lentano è un cretino di talento, per altri un cretino e basta. Per me, è chia-ro segno di intelligenza la sua capacità di leggere dentro, dal momento che tira dritto per le cose in cui crede, senza fermarsi alle apparenze, e valgono a dimostrarlo le sue ultime esternazioni dal palco dell’Ariston durante la kermesse sanremese di quest’anno, comprese quelle sul pa-radiso, sulla vera festa che è in cielo, sulla vita che su questa terra è solo, per dirla con Franco Battiato, ombra della luce.

D’accordo, ha usato parole pesanti, urtando più di qualche suscettibili-tà. Ha colpito, probabilmente, qualche bersaglio sbagliato, come la stam-pa cattolica, gran parte della quale benemerita ed esposta da sempre sul versante delle marginalità. Ha rischiato ancora una volta di imbalsamar-si nell’immagine del predicatore che ha in tasca il monopolio etico della verità. Ma mi chiedo: non si può ora pacatamente tentare di riflettere, senza respingere immediatamente al mittente, senza criminalizzare e, soprattutto, lasciandosi sfiorare, almeno in minima parte, dal sospetto di dover cambiare tutti qualcosa della nostra vita ed evitando di restare chiusi nella nuvola di imperturbabile irreprensibilità o di perbenismo di facciata da cui siamo avvolti? E così pure i giornali tirati in ballo, Avveni-re e Famiglia Cristiana, dopo una prima fase di legittimo sconcerto e di altrettanto legittima difesa del loro meritevole operato, non possono ora pacatamente chiedersi, il primo, che ancora sanguina per il metodo Bof-fo, se sia realmente il giornale in cui tutti i cattolici di qualunque estra-zione possano riconoscersi, il secondo, se, pur conducendo lodevoli in-chieste, non corra talvolta il rischio di perdersi in faccende mondane? (Per inciso, a proposito di Famiglia Cristiana: dov’erano i cattolici indi-gnati da Celentano quando altri cattolici di uno dei tanti movimenti del-la nostra amata chiesa organizzavano campagne diffamatorie ai danni della testata dei paolini o altri cattolici di governo la tacciavano di esser-si trasformata da Famiglia Cristiana in Famiglia Comunista, sol perché le sue analisi politiche e sociali erano spietatamente vere? Peccato che spesso noi cattolici siamo divisi su tante questioni).

Tuttavia, al netto di tutte le polemiche, quello che io ho visto a Sanremo – e che più mi ha interessato cogliere, tanto da farmi trascurare volentieri il resto – è un artista innamorato di Gesù Cristo. D’accordo, Celentano è un credente a suo modo. E chi di noi non lo è? Ma i suoi occhi mi sono parsi sinceri, la sua onestà di fondo luminosa – tanto da provare un certo imbarazzante dispiacere nel vederlo clamorosamente contestato – e, so-prattutto, il suo cuore gonfio di passione nel rivendicare il giusto spazio per Dio in un mondo che spesso appare esclusivamente ingolfato in af-fari terreni. Non stanno forse proprio così le cose anche all’interno della chiesa, dove alligna, come il papa ripete spesso, la tentazione del potere e del carrierismo e dove trame segrete di curia e scandali sessuali e fi-nanziari - sono notizie di questi giorni - denunciano l’affievolirsi dello spirito evangelico? Non è vero che molti di noi, preti e vescovi, stiamo rischiando di perdere di vista l’essenziale, il vangelo, la liturgia, la carità, trasformandoci spesso in asettici funzionari del sacro? E non è forse vero – sono i sondaggi, purtroppo, a rivelarlo – che i preti, non tutti, per fortu-na, di tutto parlano, tranne che delle cose che riguardano Dio? Certo, so bene che la fede in Dio non si riconosce dal numero delle volte che pro-nuncio il suo nome, ma dalle opere che compio nel suo nome, in forma anonima e nel segreto della coscienza. E che non è necessario parlare semplicemente del paradiso per dimostrare di crederci. Ma ho tentato di cogliere nella provocazione di Celentano, che pure pecca di un certo integrismo cristiano, lo sprone a non perder mai di vista le cose di lassù, nel mentre ci si adopera per le cose di quaggiù saldando, per dirla con don Luigi Ciotti, la terra con il cielo.

Proprio per questo, come prete, non mi sono sentito affatto infastidi-to dalle parole di Celentano, le quali non mi sono sembrate, nonostante tutto, poi tanto peregrine.

Perché ha parlato della vita di Gesù Cristo, laicamente, senza essere un predicatore di professione, a una platea di sedici milioni di telespettato-ri. E poi perché ha parlato da uomo libero, andando dritto all’essenziale senza giri di parole e scuotendo la pubblica ottusità della gente, cose tut-te che molti di noi non riusciamo più a fare, preoccupati di essere solo persone di buon senso.

È un ipocrita incallito? Se la veda con la sua coscienza! Ma il graffio che ha provocato sulle nostre, di coscienze, non venga immediatamente neutralizzato, come si augurano molti, per i quali, per fortuna, fra qual-che giorno non si sentirà più parlare di Celentano. Quel graffio, invece, continui a sanguinare e ci ricordi che non è sufficiente essere cattolici, se non si diventa anche necessariamente cristiani.

Quello che tutti abbiamo sentito, per una volta, facciamo finta che sia vero.

don Cosimo Posi

Facciamo finta che sia vero

Il festival di Sanremo, quest’anno, ha visto coinvolta la Chiesa in infinite di-scussioni e polemiche che, sicuramen-

te, hanno interpellato anche noi persone impegnate in una riflessione più profonda. Ascoltando il monologo di Adriano Celen-tano ho provato innanzitutto rispetto per il suo lavoro e la sua libertà di espressio-ne, libertà che, certamente, non potrà mai essere negata a lui come a chiunque altro. Dunque, anche la stampa, come la perso-na, cattolica o non, avrà sempre la libertà di scrivere ed esprimere opinioni rispetto quanto accade nel mondo.

Ciò che invece tale discorso ha suscitato in me, una volta che i commenti, le critiche e le polemiche hanno lasciato il posto alla riflessione sulle provocazioni esplicate da Adriano Celentano, è una domanda: quan-to noi battezzati amiamo la nostra Chiesa? Una Chiesa che è Santa, indubbiamente, ma nella quale coesistono i santi insieme ai peccatori. Dobbiamo respingere con forza il desiderio di identificarci soltanto con co-

loro che sono senza peccato, avendo la pre-tesa di avere la verità in tasca. Come avreb-be potuto la Chiesa escludere i peccatori? È per la loro salvezza che Gesù si è incarnato, è morto ed è risorto.

Non ritengo opportuno difendere nessu-no. Nel decreto Presbyterorum Ordinis ci vengono indicati i tre doveri fondamentali dei presbiteri: proclamare la parola di Dio, celebrare i Sacramenti, e esercitare il mi-nistero della carità. Il sacerdote deve ricor-dare che il suo compito “non è di insegnare una propria sapienza, bensì di insegnare la parola di Dio e di invitare tutti insistente-mente alla conversione e alla santità” (n. 4). La Parola non ha bisogno di essere difesa, ma annunciata e vissuta. La Parola non ha bisogno di essere gridata, perché deve es-sere proclamata per poi essere ascoltata in silenzio e incarnata nella vita quotidiana. Per la Chiesa l’attenzione agli ultimi non è relegata, o almeno non dovrebbe, ad un pe-riodo emergenziale, mediatico o di como-do, “la Chiesa peregrinante è per sua natu-

ra missionaria”.Assistiamo in alcune occasioni o realtà, al

ritorno eccessivo di inchini e genuflessioni, di merletti e ostensori dorati, di parate re-ligiose e finte processioni, di abiti liturgici ricchi e dorati, ovviamente a lode e gloria di Dio. Queste manifestazioni sono a vol-te effimere, svuotate di senso, senza un fondamento. A noi battezzati, però, l’Eu-caristia settimanale domanda altro: non si accontenta, il Pane della vita, di essere contemplato ed adorato, incensato e ve-nerato. Domanda di farsi vita nella nostra vita. È compito di ciascuno di noi, dunque, testimoniare Gesù risorto e non certamen-te della stampa cattolica “paragonare gli eventi legati alla figura di Gesù a quelli di oggi”.

Siamo chiamati a risollevarci da qualsia-si torpore, alzandoci contro ogni colpo di potere mediatico e non, che non sia quello dell’amore. Farci cibo, farci dono e nutri-mento per gli altri. Solo così annunceremo la bellezza dell’essere battezzati e non avre-mo difficoltà nell’ascolto e nell’accoglienza dell’altro!

Piero Conversano

Sollecitati a parlare del VangeloCom’è dificile riconoscere

la fede incarnata nella vita

P arlare per slogan. È un tipico vezzo italiano, un vizio che contagia molti. A volte si esprimono opinioni anche

senza conoscere almeno con sufficienza ciò di cui si argomenta. Pare caduto in questa trappola anche Adriano Celentano che dal palcoscenico di Sanremo si è scagliato contro Avvenire e Famiglia Cristiana che a suo avvi-so “andrebbero chiusi definitivamente perché si occupano di politica e di beghe del mondo anziché di cose confortanti che Dio ci ha pro-messo”. Ma non solo, il ‘molleggiato’ ha rinca-rato la dose definendo i due giornali cattolici “testate ipocrite”.

È diffusa nel nostro Paese un’altra idea: la Chiesa, i preti, i frati, i cattolici in genere vanno bene e con loro va condiviso ciò che pongono in essere purché si occupino degli ultimi e non intervengano sul resto. Sa-rebbe come dire: state in sacrestia a fare le vostre cose, semmai tornate utili se ci sono bisogni a cui rispondere. In questo senso vengono molto apprezzate l’accoglienza dei bambini soli, degli anziani da accu-dire, l’apertura e la gestione delle mense caritas, l’allestimento di alloggi per i senza tetto, solo per citare alcuni dei mille ambiti di impegno della Chiesa in Italia.

Celentano ha dato voce e ha amplificato questa mentalità che non vuole riconosce-re una fede incarnata che implica la vita. Per questa mentalità non esiste un Dio che si è fatto uomo, un Gesù Cristo che si è occupato dell’uomo, che ha dato un senso all’agire umano. Secondo questo pensiero, la fede resta un fatto privato, al massimo con una valenza da ‘assistente sociale’. Il resto, invece, non esisterebbe. Ecco perché danno fastidio giornali diffusi e che fanno opinione come Avvenire e Famiglia Cri-stiana, e localmente quindi, e per analo-gia, anche i settimanali diocesani che da sempre, per storia e per tradizione, oltre che per vocazione, si occupano di ogni vicenda che coinvolge l’uomo. Sì, perché nell’uomo, in tutto l’uomo e in ogni uomo, è impresso il volto di Dio. Quindi l’uomo appartiene a Dio, come la moneta di Cesa-re, su cui è impressa l’immagine dell’impe-ratore, appartiene a Cesare.

Un’ultima annotazione. Gesù non è ve-nuto sulla terra solo per annunciare che dopo la morte non è vero che non c’è più nulla, ma anche perché i suoi “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” e per por-tare a chi lo segue, insieme a tribolazioni, “il centuplo quaggiù”. L’esperienza cristia-na è il meglio che ci possa capitare, dà sen-so pieno al nostro agire quotidiano. Forse questo sfugge a qualcuno. Ci dispiace. Non per questo rinunceremo alla nostra voca-zione: dire una parola su tutto ciò che ac-cade, nulla escluso, proprio come fanno da sempre Avvenire e Famiglia Cristiana e da ben oltre un secolo centinaia di giornali diocesani.

Francesco ZanottiPresidente nazionale FederazioneItaliana

Settimanali Cattolici

Ma noi quanto amiamo la Chiesa?

Spesso, noi sacerdoti, lamentiamo un cristianesimo stanco, scialbo, un cri-stianesimo di facciata. Se l’intento di

Adriano Celentano era quello smuovere le coscienze, devo dire che ci è riuscito egregia-mente. A me personalmente il suo interven-to non è dispiaciuto, anzi, mi ha stimolato a interrogarmi e verificare i miei cinque anni di ministero, quello che ho detto alla gente che ho incontrato in tutte le situazioni liete e tristi della vita. Parlare delle realtà ultime in una società come la nostra credo sia di-ventata una urgenza; è noto a tutti che l’uo-mo attraversa una crisi esistenziale profon-da. Tocca a noi, alla chiesa, ad ogni singolo credente dunque rispondere ai più grandi interrogativi che tutti ci portiamo dentro: chi sono? Quale è il senso della mia esisten-za? Dove vado? Il cristiano ha una risposta a questi interrogativi,ed è Cristo; il Concilio Vaticano II, infatti ricorda: “Il mistero dell’ uomo si vede nella sua propria luce solo nel mistero del Verbo incarnato” (Gaudium et Spes 22). Questo vale non soltanto per i cri-stiani, ma per ogni uomo di buona volontà. Quindi è nel mistero della Incarnazione che si è realizzata la pienezza dell’uomo, di cui parlano i Padri greci quando trattano della divinizzazione dell’uomo. Il problema è che

oggi non siamo più in grado di portare que-sta risposta agli altri; c’è allora da chiedersi: perché? Adriano ha reso pubblica questa domanda. Molti hanno detto che l’interven-to è stato fatto in un luogo inopportuno, ma S. Paolo esorta Timoteo, e oggi questa esor-tazione è più che mai attuale, a predicare la Parola in tempo opportuno e inopportuno e non trascurare mai il dovere di essere an-nunciatore e testimone. Quella di Adriano non era una predica, era condivisione della sua personale esperienza, anelito, desiderio di miglioramento per sè e per la sua chiesa. Quando si critica, non lo si fa solo per spirito di contraddizione, lo si fa perché si ama una realtà e si vuole il meglio per essa, e ritengo di poter leggere in questa chiave i due inter-venti di Celentano. La Quaresima che stiamo vivendo ci ricorda innanzitutto lo svuota-mento del Cristo, la kenosis; dobbiamo re-cuperare questo atteggiamento. Se vogliamo vivere il nostro cristianesimo davvero, dob-biamo spogliarci delle nostre certezze; solo così smetteremo di sentirci attaccati da chi la pensa diversamente da noi e chiede di ren-dere ragione della speranza che anima la no-stra vita presente e futura.

don Antonio Santacroce

Il risveglio della coscienza

Sinceramente, non mi ha molto stupito l'intervento di Celentano al Festival di Sanremo. Il cantante è stato invitato perchè le sue esibizioni (anche verbali) fanno

audience e si sa che l'ascolto porta con sé messaggi pubblici-tari e di conseguenza denaro nella casse della Rai. Celentano parla da uomo della strada, concionando su argomenti che non conosce e che tratta appunto con la sensibilità del profa-no, proprio quella più vicina al pubblico medio che assiste a trasmissioni come il festival di Sanremo. E perciò ha succes-so. Se si limitasse a fare il suo mestiere, per il quale ha espe-rienza e competenza, sicuramente farebbe meno ascolti e di questo probabilmente lo stesso Celentano è consapevole.

Tuttavia, pur nell'assurdità del concedere tribuna a per-sonaggi così sprovveduti culturalmente, con compensi così vergognosamente esosi, credo che un aspetto positivo nella vicenda Celentano si possa individuare. L'esibizione dell'ospite ha costretto l'Italia a parlare di Dio, di Chiesa, di giornali cattolici….Se ne è parlato male ed a sproposito, ma se ne è parlato. In una situazione storica nella quale perfino la voce autorevole del Pontefice fa fatica a levarsi su quelle dei tanti che parlano solo di soldi, successo, benessere fisico ed altri prosaici argomenti, sentire che qualcuno cita parole che hanno a che vedere con la sfera spirituale non è cosa da poco.

Pertanto, bene si fa a criticare chi parla senza conoscere e senza documentare ciò che dice, ma che tutti i mass media, sia pure solo per qualche giorno, abbiano sollevato un dibat-tito nazionale su ciò che rappresenta l'azione della Chiesa, della stampa cattolica ed in ultima analisi della fede in que-sto mondo scristianizzato, è un risultato che probabilmente solo il festival di Sanremo poteva garantire.

Salvatore Amorella

Costretti a parlare di Dio

Non ero tra quei 50 milioni e passa (saranno veri quei dati?) di telespettatori che hanno avuto modo di ascoltare le castronerie di Celentano. Perché uno

che vorrebbe chiudere alcuni giornali dice soltanto castrone-rie ed è pericoloso per sé e anche per chi lo ascolta.

Ma che siamo tornati ai tempi del ventennio fascista, quan-do parecchi giornali vennero chiusi?

Ma io sinceramente non me la prendo tanto con Celentano. Mi da’ fastidio l’ipocrisia dei dirigenti della RAI che il giorno dopo si dissociano da certe deliranti dichiarazioni di Celen-tano.

Ma forse non conoscevano chi era Celentano? L’avevano voluto per avere una audience altissima e quindi dovevano tenerselo. Non si può volere la botte piena e la moglie ubria-ca. Quella somma versata poi è uno scandalo in un momento in cui c’è gente che non arriva alla fine del mese.

Ma al signor Celentano che predica tanto vorrei ricordare quel brano del Vangelo: “Non sappia la tua sinistra quel che fa la tua destra”. Altro che strombazzare ai quattro venti la be-neficenza che avrebbe fatto con tale somma. E mi fermo qui, perché si potrebbe parlare del livello in cui è scesa la televi-sione di Stato.

Antonio Chionna direttore editoriale de “Il Punto”

Io penso che Adriano Celentano è un furbastro e che ha approfittato del palcoscenico di Saremo per due mo-

tivi: primo, perchè sapeva benissimo di non aver contradditorio; secondo, per-chè essendo in diretta Tv, mai e poi mai l'avrebbero fermato.Io penso che il contesto non era indica-to per fare quel tipo di esternazioni, a prescindere dal suo pensiero in merito all'argomento. Faccio mie le parole di Benedetto XVI "Il rimprovero cristiano, non è mai animato da spirito di condanna o recriminazione; è mosso sempre dall’amore e dalla mi-sericordia e sgorga da vera sollecitudine per il bene del fratello". Penso che Adriano Celentano avrebbe fatto meglio se avesse scritto, magari una "lettera aperta", direttamente alle Reda-zioni dei giornali.

Antonio Massaro

Non ho ascoltato Celentano né Sanremo: cerco altri "pulpiti" per nutrirmi. Certamente se uno

conosce poco della realtà dell'Incarna-zione, si meraviglia e contesta i giornali d'ispirazione cristiana che trattano argo-menti di politica e di società.Ho già altre volte suggerito, a proposito dei bollettini parrocchiali e dei giorna-letti diocesani, di superare le facili ten-tazioni di campanilismi e di "produrre" con qualità su cui investire risorse uma-ne ed economiche. Temo che su questo le nostre verifiche risultino carenti. Ma mi sembra molto più importante questo per incidere culturalmente anche non va trascurata l'incidenza dei tanti Celenta-no che utilizzano gli strumenti di comu-nicazione pubblica per invaderci con le loro tesi.

don Salvatore Paladini

Cerco altri “pulpiti” Fastidio per l’ipocrisia Rai

Conveniamo tutti che è necessario e doveroso diffondere il nostro Credo, le Verità di Fede e ricorda-

re la vita dell’Oltre che trascende la ca-ducità e l’estemporaneità terrena e pun-ta al godimento della gioia già su questa terra e della gloria in Paradiso. Ma ciò non è cosa facile, in un contesto sociale e politico così eterogeneo per cultura, religione, razze e ideologie, in un mondo più o meno secolarizzato, spesso corrotto e ingiusto.

E nonostante ciò la Chiesa, Corpo Mi-stico di Cristo e Custode della Verità, oltre ad annunciare la gioia senza fine, deve, responsabilmente, trattare le cose terrene e conformarle al Vangelo.

Non indicizzerà, di certo, le persone, ma deve discernere, scoprire e racconta-re, con chiarezza e fermezza, gli errori e le ingiustizie, capaci di indignare e scan-dalizzare.

Senz’altro la verità fa male e qualcu-no, sentendosi offeso, si erge a maestro (benché “uno solo è il Maestro”).

E, per farlo, è sufficiente entrare, grazie agli schermi televisivi (alla TV, importa l’audience), in tante famiglie, nelle vesti del “saggio benefattore”.

Eppure il “saggio benefattore” non ha ritenuto ingiusto e scandaloso l’essere “strapagato”, alla pari di altri personaggi bene in vista, mentre la gente muore di fame o non trova il necessario per poter sopravvivere!

E così può denunciare, accusare o con-dannare l’operato di altri, sacerdoti e giornalisti cattolici, che, secondo lui, de-vono interessarsi solo delle cose trascen-dentali.

La Chiesa e i media cattolici, a mio av-viso, senza paura di essere contrastati o contestati, senza incertezza o addirittura omertà, devono puntare al Bene Comu-ne e al raggiungimento dei valori veri che rendono il mondo più umano.

Si acquisirà uno stile di vita che iden-tifica ogni cristiano discepolo di Cristo sulla Terra, destinatario di quel Regno di gloria e di pace nell’eternità.

E la credibilità che deriva da tali scritti, rafforzerà nel popolo di Dio, il coraggio e la convinzione che far trionfare la giusti-zia e la pace si può, se si opera concorde-mente e se ciascuno farà la sua parte.

Lucia Mangia

Con lo sguardo verso l’Alto

Una vera furbata

Page 16: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

Libri 20 15 marzo 2012

La spiritualità del lavoro

di Alfredo Luciani

Ha senso parlare oggi di spiri-tualità del lavoro? La risposta

non può che essere affermativa e la conferma viene dalle pagine, fre-sche ancora di stampa, proposte da Alfredo Luciani per le Edizioni Pao-line, che nella loro collana “Saggi-

stica Paoline” (n. 51), propongono proprio “La spiri-tualità del lavo-ro. Dalla dottrina sociale una sfida per il futuro” (pp. 168, euro 13,50).Il volume, che gode della pre-fazione di mons. Mario Toso - at-tualmente segre-tario del Pontifi-cio Consiglio della Giustizia e pace e notissimo agli stu-diosi di dottrina sociale per i suoi contributi a que-sta branca della teologia morale da indimenticato docente nel Pon-tificio ateneo sa-lesiano -, è scritto a trent’anni dalla p ub b l i c a z ione

dell’enciclica Laborem Exercens (14 settembre 1981). Avendo come punto di riferimento quel docu-mento di Giovanni Paolo II, dun-que, l’autore – che è docente di Filosofia della Religione, nonchè Fondatore e Presidente dell’Asso-ciazione Internazionale Carità Poli-tica ed autore per le Paoline di un sempre attuale “Catechismo socia-le cristiano” – offre una feconda sintesi di quelli che sono i capisaldi della dottrina sociale della Chiesa sul lavoro: in primo luogo, la cen-tralità della persona umana e il primato della dimensione interiore e spirituale della persona rispetto a quella esteriore e materiale. Egli sostiene come, partendo da «una nuova cultura del lavoro che fac-cia suoi questi principi, il “diritto al lavoro” e i “diritti del lavoro” pos-sono essere difesi e rilanciati con una maggiore efficacia. E soltanto partendo da essi – si spiega ancora si può interpretare correttamente il lavoro umano come espressione della propria personalità e attività partecipativa del piano creativo di Dio».«L’insegnamento della Chiesa sul lavoro è quello radicato nella Ri-velazione biblica – aveva scritto altrove l’autore -. Per l’uomo il la-voro è un mezzo, un dovere per vi-vere e progredire nella dimensioni di una perfezione che trascende la realtà di questo mondo». Ed ora, dunque, «parlare di spiritualità del lavoro in un periodo come questo, caratterizzato da una grave crisi globale, potrebbe apparire alquan-to contraddittorio, per certi aspet-ti addirittura non opportuno. Ma proprio in un momento di emer-genza lavorativa come quello che stiamo vivendo – sostiene l’autore - diventa ancora più urgente ripro-porre una dimensione dal lavoro che non sia esclusivamente quel-la di attività indispensabile ai fini della sopravvivenza. Anzi, è forse proprio la carenza di una visio-ne più profonda del significato di “lavoro” (e in senso più ampio, di “economia”), una delle cause delle crisi odierna».

(a. scon.)

iL L

ibr

o Lettere di paternità spirituale

di Elisa Lascaro (a cura di)

La lodevole iniziativa della Effatà Editrice (via Tre Denti, 1 – 10060

Cantalupa – TO, www.effata.it) di rac-cogliere – in occasione del 25° della scomparsa – gli inediti del card. Mi-chele Pellegrino in apposita sezione degli «Studia Taurinensia» fa registrare

un altro si-gnificativo t r a g u a r -do, dopo i consensi r a c c o l t i con le cin-que con-f e r e n z e patristiche («Il popo-lo di Dio e i suoi pastori»), che l’indi-menticato p r e s u l e t o r i n e s e tenne nel-la Facoltà autonoma di teolo-gia prote-stante di G i n e v r a . Ecco ora, dunque, a cura di Eli-

sa Lascaro, le «Lettere di paternità spi-rituale. Corrispondenza (1946-1979)». È vero: «sono piccola parte di una corri-spondenza di direzione spirituale che il Cardinale Michele Pellegrino tenne lungo quasi tutto l’arco della sua vita», avverte la curatrice. Queste lettere, però ,sono oltremodo significative, innanzi tutto perché «indirizzate ad alcune signorine, che erano state sue allieve nel Corso di Laurea della Facol-tà di Lettere di Torino e che si erano laureate con lui in Letteratura Cristia-na Antica, in un periodo che comples-sivamente comprende gli anni che vanno dal 1946 al ‘79»; quindi perché da esse «emergono le situazioni delle destinatarie, i loro problemi, non solo di carattere spirituale, ma anche i loro travagli psicologici», facendone «un documento importante che rispecchia la vita di un sacerdote e di un profes-sore, diventato Vescovo e Cardinale, che tanto ha dato alla Chiesa, ed in particolare a quella di Torino, nel se-colo scorso».Questo epistolario è «una sorta di bio-grafia interiore di Michele Pellegrino» e conferma l’impegno costante di que-sto presule che – non va dimenticato – mai confuse i ruoli di docente e di guida spirituale di alcuni sue alunne, tanto è vero che «egli stesso considera-va utile non interrompere il colloquio spirituale» anche nel corso delle sue lunghe assenze nei mesi estivi. In essi troviamo i temi di una valida e mai ba-nale direzione spirituale: «il Maestro in-teriore delle anime è soltanto Dio, nella Persona del Figlio, mentre il sacerdote è chiamato ad essere un umile “inter-prete” ma proprio per questo deve es-sere “santo”». Traspare come «compito fondamentale del direttore sarà quello di invitare le anime all’esercizio delle “virtù evangeliche”, quali innanzi tutto l’umiltà (…), “nel pieno abbandono alla volontà di Dio”, da cui solo possono de-rivare “la pace e la serenità”». Non va dimenticato, del resto, che il card. Pel-legrino era stato insegnante e diretto-re spirituale nel Seminario di Fossano ed aveva fornito una sintesi efficace di questo suo impegno ne «La direzione spirituale dei giovani», che l’Ave pubbli-cò nel 1938 e la cui lettura ancor oggi non è fatica vana.

(a. scon.)

iL L

ibr

o Verso la città divina

di Francesco Tomatis

«Libertà vo cercando, ch’è sì cara…». Ed in occasione

delle celebrazioni per il 50° della scomparsa di Luigi Einaudi, insi-gne economista e pensatore politi-co, nonché primo presidente della Repubblica, tra gli eventi di mag-gior successo bisogna considerare la pubblicazione di un volume di

Francesco To-matis, “Verso la città divina. L’incantesimo della libertà in Lugi Einau-di” (Città Nuo-va, pp. 303, Euro, 19,50). Tomatis, ordi-nario di filo-sofia teoretica nell’Università di Salerno, fa emergere c h ia r am e n -te come, nel pensiero di Einaudi, ci fossero tre in s c in d ib i l i d i m e n s i o n i della libertà umana: quel-la “persona-le”, quella “ s o c i a l e ” , quella “spi-

rituale”, dove rispettivamente si considera la libertà sotto l’aspetto “della coscienza morale di ciascun individuo”; sotto l’aspetto “pratico” ed interpersonale, ed infine sot-to l’aspetto della “ricerca di verità sempre ulteriore anelante a Dio”. In cinquantaquattro brevi ed in-tensi capitoli e con una bibliogra-fia oltremodo interessante perché suddivisa nematicamente, Tomatis «illumina le questioni poste con vi-gore da Einaudi» ed ancora «crucia-li nella società attuale», che pure dista oltre mezzo secolo dall’epoca in cui Einaudi operava. «In una pa-rola – si legge -, la difesa della li-bertà, senza il cui incantesimo non sarebbe possibile agli uomini rivol-gersi, in elevazione morale e spiri-tuale, verso la città di Dio».Ed ecco così – solo per citarne al-cuni – il tema della individuazione di classi dirigenti moralmente ele-vate ed autorevoli e quello della necessità di una federazione euro-pea e dell’autonomismo regiona-le, rivolto all’unità; ecco ancora la questione della libertà di pensiero e di fede religiosa e quello del va-lore del dovere morale e dei co-mandamenti biblici, del messaggio cristiano e della tradizione, senza dimenticare nodi ancora vivi nel-la riflessione come l’equità delle imposte e la giustizia delle leggi e come la critica ai totalitarismo e al conformismo, a ogni idolatria o ideologia. «Einaudi era certamen-te consapevole della complessità e anche contraddittorietà dell’esse-re umano – osserva Tomatis -. Re-censendo nell’anno 1900 il recente volume del proprio amico e com-pagno di studi Gioele Solari (…), così riassume e definisce l’ “uomo intero”: “un complesso e misterio-so miscuglio di istinti egoistici e di sentimenti morali e religiosi, di passioni violente e di amori puri”. Tuttavia – conclude l’autore – egli volse sempre verso l’alto il compito dell’uomo libero: verso ideali eroi-ci e verso la libertà spirituale, ver-so realtà divine e spirituali e verso Dio, verso la città divina».

(a. scon.)

iL L

ibr

o

Page 17: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

Cultura & Comunicazione 2115 marzo 2012

QUASI AMICIregia: O.Nakache ed E. Toledano

Ispirato ad una storia vera, “Quasi amici” di Olivier Naka-

che ed Eric Toledano è una com-media che riesce a parlare, con umanità, profondità e senza pie-tismo, di un argomento difficile come quello della disabilità. In questo caso si tratta di tetraple-gia, una disabilità che immobi-lizza completamente la persona, rendendola totalmente dipenden-te dagli altri.Il cinema ha spesso raccontato casi di tetraplegici, sia tetraplegi-ci ispirati a persone reali (come il protagonista di “Mare dentro” di Alejandro Amenabar), sia tetra-plegici frutto della finzione cine-matografica (come la protagonista di “Million dollar baby” di Clint Eastwood), ma il modo di raccon-tare le loro esistenze era sempre declinato in senso drammatico e spesso utilizzato per farne un esempio di una lotta per quello che alcuni definiscono il “diritto” di morire. Quindi pellicole che andavano a toccare un problema serio e complesso come quello dell’eutanasia o più che altro del suicidio assistito. E che metteva-no in evidenza come la vita dei protagonisti non fosse più vivibile e drammaticamente infelice.“Quasi amici”, invece, ha un im-pianto totalmente diverso: prima di tutto è una commedia e non un dramma, secondo poi mostra l’inaspettata bellezza che la vita può offrire, grazie alla comuni-cazione con l’altro, anche in una condizione assolutamente dram-matica. Il film, infatti, racconta l’incontro tra Driss, ragazzo di colore con una vita derelitta tra carcere, ricerca di sussidi stata-li, un rapporto non facile con la famiglia, e il miliardario tetraple-

gico Philippe, che lo sceglie come proprio aiutante personale. Inca-ricato di stargli sempre accanto per spostarlo, lavarlo, aiutarlo nella fisioterapia, Driss non tiene a freno la sua personalità poco austera e contenuta. Diventa così l’elemento perturbatore in un or-dine alto borghese fatto di rego-le e paletti, un portatore sano di vitalità che stringe un legame di sincera amicizia con il suo supe-riore, cambiandogli in meglio la vita. E mostrandog li come anche se con estrema difficoltà, data la sua condizione, la vita valga la pena di essere vissuta e possa offrire sempre nuove possibilità. L’incontro con l’altro, dunque, con qualcuno che sembrerebbe completamente diverso da noi, permette lo svelamento di nuovi inediti orizzonti di vita e di spe-ranza.Il film è, dunque, la storia di un’amicizia che rompe ogni bar-riera, una storia piena di com-mozione e sentimenti che non diventano mai melensi grazie all’impianto comico con cui è strutturata l’opera. La pellicola è stata campione d’incassi in patria (con cifre spaventose) ed è anche un campione d’integrazione tra i più classici estremi. È stato scrit-to, infatti, che nel film la Francia bianca e ricca incontra quella di prima generazione e mezza (nati all’estero ma cresciuti in Francia), povera e piena di problemi. Uti-lizzando la cornice della classica parabola di qualcuno totalmente distante che, inserito in un am-biente fortemente regolamen-tato, ne scuote le fondamenta per poi allontanarsene, i registi Olivier Nakache ed Eric Toledano realizzano anche un film tra i più ottimisti sulle tensioni che attra-versano la Francia moderna.

Pa.Da.To.

Immersa nel cuore del Mediterraneo, Brindisi pare avere una visione “circola-re” del tempo che sempre si ripete, come

nel mito dell’eterno ritorno, proprio di anti-che culture pagane e della storiografia clas-sica greca fautrice di una visione temporale ciclica. Si tratta di considerazioni che pure possono proporsi a proposito di cicliche ri-scoperte nell’area di Brindisi; ne sono chiaro esempio i silenti relitti del tempo perduto in lungomare Regina Margherita, emersi una prima volta il 1897 allorché la civica ammi-nistrazione, rilevando l’assenza di fontane nell’area portuale, deliberò lo spostamento della fontana dei Delfini, dal piccolo piaz-zale triangolare all’incrocio fra via Cesare Battisti e corso Umberto I, innanzi il palazzo Montenegro allora sede della Peninsular and Oriental Steam Navigation Campany. Il 1918 la fontana ebbe nuova collocazione nei giar-dini di piazza Vittorio Emanuele II. Scrive Pasquale Camassa (1858-1941): “Si potette allora osservare che si era alla presenza di un criptoportico formato di voltine a vela poggianti su pilastrini equidistanti fra loro, da cui s’ iniziavano. delle fughe in diverse direzioni”. Grande è l’abbaglio del Camas-sa in questa occasione; i resti sono in real-tà pertinenti agli interventi di risanamento igienico sanitario a vantaggio della città vo-luti dal re di Napoli Ferdinando IV. Il sovra-no “volendo restituire l’antico splendore alla città di Brindisi colla riduzione del suo ce-lebre porto, e col bonificamento dell’aria in beneficio dell’agricoltura, e del commercio”, il 1790 approvò il relativo progetto dell’ing. Carlo Pollio. Fra le altre intraprese, si provvi-

de alla “costruzione di due vasche depuratri-ci delle acque piovane, prima di immettersi nel porto; delle quali una innanzi al palazzo Montenegro, e l’altra accanto alla scaletta o salita, che dalla strada della Marina porta alla piazza delle Colonne”. L’errore del Ca-massa, puntualmente, ebbe riproposizione,

almeno a livello immediatamente divulga-tivo, nelle riscoperte del 1980, durante i la-vori sul lungomare determinati dalla visita in Brindisi del Presidente della Repubblica Sandro Pertini il 4 marzo 1980 e, più recente-mente, nelle scorse settimane. I resti innanzi palazzo Montenegro non hanno alcuna rela-

zione o termine di comparazione con quelli del cosiddetto criptoportico il cui percorso fu delineato da Giovanni Tarantini (1805-89) il 1876 e in parte accertato con gli inter-venti di scavo occorsi nell’ultimo decennio. Erroneamente è stato ubicato innanzi pa-lazzo Montenegro un rinvenimento di resti marmorei di età romana ora al museo na-zionale di Napoli in realtà riferibile all’area di Sant’Apollinare. Unico elemento di età romana sicuramente pertinente all’area di palazzo Montenegro e sue adiacenze resta il testo epigrafico rinvenuto il 1736 da Gerola-mo Montenegro nel giardino attiguo del suo palazzo mentre si praticava uno scavo per piantare un albero. Il patrizio la fece mura-re ove è oggi, unitamente ad altra epigrafe esplicativa del rinvenimento. Nell’epigrafia brindisina i decuriones e i municipes come dedicanti di un monumento onorario com-paiono in un’unica, altra epigrafe, quella per Gaio Falerio Nigro. La formula d(ecreto) d(ecurionum) appare usata, in questo caso, per concessione di luogo pubblico dove col-locare una base con statua o soltanto base; il pagamento è interamente a carico dei privati senza l’intervento di denaro pubblico, con riferimento alle statue in onore dell’impera-tore e dei membri della famiglia imperiale. La datazione dell’epigrafe al 110 costituisce riferimento importante per determinare il termine dei lavori relativi all’Appia Traiana.

Giacomo Carito

PARADISO AMAROregia: Alexander Payne

Se dovessimo pensare a un po-sto che rassomigli al Paradiso

in terra, certamente le Hawaii, il bellissimo arcipelago americano, farebbero al caso nostro. Spiagge sterminate di sabbia bianca, mare cristallino, vegetazione ricca e ri-gogliosa. Però anche gli abitanti delle Hawaii hanno i loro pensie-ri, la loro vita fatta di frustrazio-ni, problemi, dolori. E così anche un paradiso terrestre può tra-sformarsi in un paradiso amaro. È con questa considerazione che inizia “Paradiso amaro” di Alexan-der Payne, interpretato da George Clooney. La pellicola, candida-ta a svariati Oscar tra cui quello per l’interpretazione di Clooney, racconta la vita di Matt King, av-vocato di successo che vive alle Hawaii perché discendente di un proprietario terriero del luogo. Sua moglie Elizabeth ha appena avuto un incidente che l’ha get-tata in coma, e non si riprende-rà più. Non resta che staccare le macchine che la tengono ancora in vita. Da anni troppo concentra-to sul suo lavoro, l’uomo si ritro-va con due figlie che ormai non conosce più, la più grande delle quali, Alexandra, è sulla via del-la ribellione più spinta. Il dolore di Matt per la tragedia subita si trasforma in frustrazione quando scopre che sua moglie aveva una relazione extraconiugale, e stava per chiedere il divorzio. Il marito tradito e disperato si lancia allora alla ricerca dell’amante della sua sfortunata consorte che lo porte-rà a fare un viaggio inaspettato, soprattutto dentro se stesso, e lo farà diventare una persona nuo-va. Il tema della pellicola è deci-samente drammatico (la morte con cui si devono confrontare tut-

ti i protagonisti e che li porterà a fare scelte radicali e differenti per la propria vita, a cominciare dal protagonista), ma il tono scelto dal regista è tra l’ironico e il grot-tesco e smorza la pesantezza che in realtà la storia raccontata por-ta con sé. Una leggerezza di toc-co, dunque, che serve a vedere le cose con uno sguardo più distac-cato e meno melodrammatico. Clooney è perfetto nel muoversi su questa to nalità e aiuta il film a mantenersi in bilico fra il dram-ma e la farsa. Il meccanismo però non funziona perfettamente, a nostro avviso, e quello che man-ca alla fine è una vera emozione, quella che ogni pellicola dovreb-be portare con sé, soprattutto se si raccontano eventi di questo tipo. Qui si parla di testamento biologico, donazione di organi, morte, tradimenti, disturbi gio-vanili, padri inadempienti, figli soli e allo sbando, senza che tutte queste fondamentali tematiche riescano ad assumere una vera consistenza emotiva. Si rischia di rimanere distaccati, distanti, ri-spetto a ciò che viene raccontato. Non che il film non porti avanti giuste istanze valoriali (si riscopre il valore della famiglia, dell’one-sta, dell’importanza delle proprie radici contro l’arrivismo econo-mico scellerato), ma forse quello che manca è un po’ di cuore, un po’ di sentimento, la possibilità di appassionarsi alle vicende rac-contate senza che il tono ironico-grottesco c’impedisca di farlo, lasciandoci galleggiare sulla su-perficie come sospesi in una bol-la d’acqua.

Paola Dalla Torre

STORIA PATRIA A proposito dei recenti rinvenimenti sul lungomare Regina Margherita

Quella scoperta davanti a Palazzo Montenegro

© M.Matulli

© M.Matulli

Page 18: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

Sport22 15 marzo 2012

Alle 10:55 del 28 febbraio, puntuale come da previsioni, atterra a Brin-disi l’aereo che conduce la Presi-

denza Nazionale del Centro Sportivo Italia-no in terra di Puglia.

Una visita prevista dal calendario di Casa Comitato, nome affidato al progetto della Presidenza Nazionale di far visita in alcuni Comitati provinciali sparsi sullo Stivale per conoscere in modo più approfondito le re-altà locali.

Quando ho l’occasione per parlare a tu per tu con il Presidente nazionale del CSI Massimo Achini, gli chiedo come mai la scelta sia caduta su Brindisi.

«Con Casa Comitato, è da circa tre anni che percorriamo un tragitto nei comitati provinciali: la decisione di visitare quello di Brindisi è arrivata in modo naturale, perché è tra i più brillanti e impegnati sul territorio italiano.»

Ogni anno, 20 comitati vengono scelti dal-la Presidenza Nazionale per essere tappa di un percorso teso a conoscere i volontari che in essi operano e per ringraziare loro dell’impegno, gratuito, che investono per la buona riuscita dei progetti.

«Il nostro è un tour lungo, che dura da tre anni, eppure non ci stanchiamo di dire grazie a chi mette a disposizione degli altri il proprio tempo per dare spazio allo sport nella vita dei giovani.»

Nello specifico, che situazione avete tro-vato in provincia di Brindisi?

«Venendo qui, sapevamo che avremmo incontrato una realtà molto positiva, che sembra far parte del patrimonio genetico della popolazione locale. Il CSI a Mesagne è di casa, per cui per noi è stato un piace-re doppio giungere in una terra così ap-passionata e costantemente in crescita, un fattore da non sottovalutare. In un periodo

storico in cui sembrano perdersi di vista i valori più autentici, lo sport rappresenta un ottimo strumento per educare i più giova-ni a percorsi formativi utili per la propria esistenza, che si continui nel mondo dello sport o meno.»Il Centro Sportivo Italiano, proprio per la sua storia, è un ottimo esempio: sono 13 mila le società sportive sul territorio italia-no, con un numero di tesserati che sfiora i 956 mila. Un’associazione nata nel 1944 e che da allora non ha mai smesso di cresce-re. In questo modo, il CSI ha aiutato a cre-scere numerose generazioni di ragazzi,che nel tempo sono diventate la classe dirigen-te del Paese. Che non deve perdere di vista un obiettivo fondamentale in ambito edu-cativo.«La sfida che non si può perdere è quella dell’educazione alla vita. La partita più af-fascinante, è la vita stessa. Attraverso l’ope-rato del CSI in Italia e il ruolo dello sport nella vita dei più giovani, il futuro può es-sere visto con maggiore speranza, perché lo sportivo viene educato al rispetto delle regole. E anche il nostro Paese deve render-

sene conto, se vuol porre le basi per un av-venire più sereno.»

Ma come la mettiamo con gli sgarbi in campo e sui giornali tra sportivi?

«Il mondo dello sport, specie quello profes-sionistico, si deve assumere la responsabi-lità educativa di rappresentare un esempio cui i ragazzi italiani e non solo guardano. La loro è una responsabilità centrale, e in alcuni casi si stanno creando delle basi perché questo avvenga. Il CSI a Milano sta collaborando con Milan e Inter per dar vita a percorsi all’interno delle parrocchie. È ovvio, questo è solo il primo passo di una lunga serie, perché è ancora tanta la strada da fare in questo senso. Spesso a prendere spazio nei media sono le cattive notizie che provengono dallo sport, ma un ottimo se-gnale arriva proprio dal mondo del calcio: il premio della Panchina d’Oro, quest’an-no, è stato assegnato a Francesco Guidolin, allenatore dell’Udinese, una squadra che rispecchia l’impegno del proprio Mister nell’educazione allo sport.»

Agnese Poci

IntervIsta al presIdente nazIonale csI acHInI: «la partIta pIù affascInante? la vIta»

La Puglia ha accolto con un caldo sole la Presidenza Nazionale del Centro Spor-tivo Italiano, nella sua tappa del tour di

Casa Comitato nel tacco dello Stivale.Ad ospitare il Presidente Nazionale CSI e

il suo entourage, il Comitato Provinciale di Brindisi e quello circoscrizionale di Ostuni.

Appena giunta all’aeroporto “Papola” di Brindisi, la Presidenza Nazionale del Csi è stata accolta dal Presidente Provinciale CSI Francesco Maizza, dal Vice Presidente Re-gionale e Vicario Provinciale Ivano Rolli e da Dario Murra Vice Presidente Provinciale CSI, subito dopo ha incontrato i rappresentanti istituzionali della Città di Mesagne nell’aula consiliare del Comune, che hanno dato vita ad un incontro fitto di ringraziamenti per il lavoro che il Centro Sportivo Italiano compie sul territorio italiano sin dal 1944, anno della sua fondazione.

Dopo aver gustato prelibati piatti tipici, la Presidenza si è recata presso l’oratorio par-rocchiale di San Pio a Mesagne dove il Presi-dente Achini ha dato il calcio d’inizio al Me-morial di calcio a 5 degli Under 14 dedicato a Mons. Saverio Martucci, un quadrangolare molto sentito dalle squadre partecipanti e dall’intera comunità messapica.

Subito dopo, la Presidenza è stata ospite presso il Palazzo Arcivescovile di Brindisi dell’Arcivescovo, S. E. Mons. Rocco Talucci, con il quale ci si è soffermati a discutere del-le linee guida del Csi.

Di rientro a Mesagne, si è svolto un incon-tro con i Comitati ospitanti, che hanno illu-strato le attività formative che si svolgono sul territorio brindisino.

Il clou della giornata è giunto alle 18:30 presso l’auditorium del Castello normanno svevo di Mesagne, la Presidenza Nazionale è stata ospite d’onore del convegno “Uno sport

per la vita”, dedicato al tema del programma annuale del Centro Sportivo Italiano.

Il convegno è stato aperto dalla preghiera tenuta dall’Arcivescovo di Brindisi - Ostuni, S.E. Mons. Rocco Talucci e da Mons. Claudio Paganini, consulente ecclesiastico naziona-le. Nel corso della serata si sono susseguiti i saluti istituzionali degli ospiti: oltre al Presi-dente del Comitato Provinciale di Brindisi, Francesco Maizza, hanno voluto portare il proprio saluto alla Presidenza Nazionale il sindaco di Mesagne Franco Scoditti, il Presi-

dente del Coni Provinciale Nicola Cainazzo e il Presidente Del Csi Puglia Dino Diso.

L’energia di Mons. Claudio Paganini ha pre-ceduto l’intervento del Presidente Nazionale Csi Massimo Achini, che ha salutato i pre-senti ringraziando in particolar modo i ge-nitori dei ragazzi che frequentano le attività seguite dal Centro Sportivo Italiano, oltre ai dirigenti e ai formatori, che con il loro entu-siasmo fanno sì che i ragazzi possano vivere esperienze sportive tali da influire positiva-mente sulla loro crescita.

Nel suo intervento, Achini ha sottolineato il fascino insito in chi lavora, volontariamen-te e nel completo anonimato, all’interno del Centro Sportivo Italiano: per chi opera in questo settore, parla la propria testimonian-za di vita, la forza di stare accanto ai più de-boli.

«Fondamentale – ha continuato Achini – l’educazione dei più giovani: un impegno che pone le basi per il futuro di questo Pae-se». Con grande entusiasmo e con la sfida a dare vita a nuovi gruppi sportivi in tutte le Parrocchie, il Presidente Achini ha salutato l’assemblea, premiando i ragazzi del qua-drangolare disputatosi nel pomeriggio e ag-giudicatosi dal Csi Santissima Annunziata.

A conclusione del convegno, i comitati ospitanti hanno ricevuto due totem da par-te della Presidenza nazionale recanti il nome del proprio comitato e il logo del Centro Sportivo Italiano.

Una giornata da ricordare, per il Comitato Provinciale di Brindisi e quello circoscrizio-nale di Ostuni, che hanno avuto l’onore di dare la giusta rilevanza alle attività messe in campo sul territorio. Ma soprattutto per la Presidenza Nazionale, che con Casa Comita-to ha deciso di vivere, giorno per giorno, lun-go tutto lo Stivale, l’entusiasmo di giocare la partita più affascinante di tutte, quella della vita.

“Per il CSI brindisino – ha dichiarato felice il presidente Maizza - è un onore aver ospita-to la Presidenza Nazionale del Centro Spor-tivo Italiano qui in terra messapica. Aver vis-suto una giornata con il Presidente e gli altri membri ci ha stimolato a compiere sempre meglio nel territorio il nostro percorso edu-cativo attraverso lo sport con i ragazzi”.

Ag. Po.

CONVEGNO La Presidenza nazionale del Csi a Brindisi, il 28 febbraio, per “Casa Comitato”

Uno sport per la vita, così si cresce davvero

Csi Brindisi Rinnovate la cariche

Si è svolta lo scorso 1 Febbraio l’As-semblea Elettiva ordinaria che ha

eletto gli organi associativi per il pros-simo quadrienni del 2012-2016 del CSI Comitato Provinciale di Brindisi. Presidente sarà Francesco Maizza.Lo staff è così composto:Vice Presidente Vicario e coordinatore Amministrazione e Tesseramento: Ivano Rolli.Vice Presidente : Dario Murra.Segretario Provinciale: Luca Destino.Coord. Tecnico Attività Sportiva: Cosimo Destino.Coord. Formazione: Marcello Mitrugno.Consiglieri: Caramia Valentina, Paolo Co-lucci, Alessio Rosato, Santina Sirsi, Maria Antonietta De Netto , Sandro Diviggiano, Tony Summa.

I relatori al Convegno tenutosi presso il Castello di Mesagne

Il Csi incontra l’ArcivescovoIl pubblico presente al Convegno

Foto di gruppo all’oratorio parrocchiale “San Pio”

Page 19: “C · 2012-03-09 · to, «deve coltivare la propria maturità umana e spirituale, prima ancora che ministeriale». Solo così l’azione educativa del sacerdote «sarà significativa

Le rubriche 2315 marzo 2012

Papa a sessant’anni, otto anni dopo si sarebbe presentato al cospetto di Gesù Cristo, del quale era stato vi-

cario in terra. Il 22 gennaio di novant’anni addietro, il mondo fu scosso da quel rin-tocco particolare di campane: «Nessuno si aspettava un altro conclave nel 1922 – han-no scritto gli storici -, poiché Benedetto XV aveva meno di settant’anni quando morì dopo una breve malattia». Papa in anni difficilissimi, il «piccoletto», così lo chia-mavano in seminario, aveva retto il timone della barca di Pietro in una temperie dav-vero tragica, eppure il genovese Giacomo Della Casa, arcivescovo di Bologna quan-do fu eletto papa, è davvero da considerar-si il seminatore di ciò che poi germoglierà come teologia della pace, tema al quale re-centemente un francescano italiano, Man-lio Simoncelli, ha dedicato gran parte della sua attività di ricerca.

È sufficiente scorrere i più usuali reper-tori per rendersi conto della grandezza di quest’uomo di chiesa, al quale la storia tout court riconosce la decisione di aver riportato «la pace all’interno della Chiesa dopo i turbamenti del modernismo» con modifiche ai «vari provvedimenti presi dal suo predecessore». «La guerra dominerà e segnerà il pontificato di Benedetto – han-no scritto gli storici -. Egli era un sacerdote umano e sensibile, inorridito dalla realtà della guerra moderna e appassionatamen-te impegnato per una soluzione diplomati-ca dei conflitti internazionali», tanto è vero che «concentrò ogni suo sforzo per per-suadere le parti in conflitto a cercare una pace negoziata». Il risultato? Non la guer-ra, ma l’accusa da entrambi i belligeranti di favorire l’avversario. Ed è proprio in questa accusa infondata la verità che la guerra è «insensato massacro» ed «orrenda carne-ficina» da condannare come egli fece. È per questo aspetto, dunque, che il nome di Benedetto XV è legato indissolubilmente a due pietre miliari del magistero ecclesiale: l’enciclica Ad Beatissimi del 1° novembre 1914 e la nota alle potenze belligeranti del 1° agosto 1917.

Basato sui principi della carità e del-la giustizia cristiana, ed invita tutti a fare ogni sforzo perché la carità di Cristo torni a dominare fra gli uomini. Con la prima enciclica, all’inizio del suo pontificato – enciclica basata sui principi della carità e

della giustizia cristiana -, fece notare a tutti come il gregge del buon pastore non po-tesse limitarsi alla Chiesa ma a tutta l’uma-nità, determinando così una paternità del Papa da estendere a tutti gli uomini.

E proprio in questa veste di padre, mosso, «unicamente dalla coscienza del supremo dovere di Padre comune» e «dal sospiro dei figli che invocano l’opera Nostra e la No-stra parola pacificatrice, dalla voce stessa dell’umanità e della ragione», Benedetto XV scrisse ai capi delle nazioni belligeran-ti il 1° agosto 1917. «Il mondo civile dovrà dunque ridursi a un campo di morte? », chiese loro. E invocando una «pace giusta e duratura», propose soluzioni concrete al raggiungimento del supremo bene soste-nendo che «primieramente, il punto fon-damentale deve essere che sottentri alla forza materiale delle armi la forza morale del diritto».

Sarebbe riduttivo fermarsi qui. Ricor-diamo Benedetto XV, ancora per l’enci-clica Maximum illud in cui erano indi-viduate le priorità per la futura azione missionaria cattolica: tra queste il reclu-tamento e la promozione del clero indi-geno e il riconoscimento della dignità e del valore delle culture che venivano evangelizzate. È facile per noi, a quasi un secolo di distanza e dopo il Concilio, cogliere la dimensione profetica di tali linee guida.

Angelo Sconosciuto

RicoRdando quel papa di 90 anni addietRo

Sono trascorsi 20 anni da quando ini-ziò l’operazione “mani pulite” con l’arresto , il 17 febbraio 1992 a Mi-

lano, di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio e dirigente del partito Socialista Italiano, accusato di concussio-ne per una tangente di 7 milioni di lire (la metà di quanto aveva chiesto ) presa da un giovane imprenditore che, stanco di dover pagare per poter lavorare, aveva deciso di denunciare il fatto.

Da quel 17 febbraio prese il via una delle più grandi indagini della storia repubblica-na che portò alla luce il sistema politico-fi-nanziario italiano fatto di corruzione, con-cussione, finanziamento illecito ai partiti. Venne colpito i’intero arco costituzionale, tanto che i partiti al potere in quel periodo, dal Partito Socialista alla Democrazia Cri-stiana, oggi non esistono più ed ai quali, ad onor del vero, non fu consentito il pur auspicato e necessario ricambio della clas-se dirigente, mentre, va ricordato, episodi che avevano coinvolto il Partito Comunista non furono approfonditi dagli inquirenti.

Infatti, alcuni dei protagonisti della po-litica di allora, malgrado tutto, non sono usciti dalla scena e siedono in parlamento.

Sarebbe difficile raccontare ciò che è av-venuto dopo quel famoso arresto. L’inchie-sta Mani Pulite ha prodotto circa 1.300 di-chiarazioni di colpevolezza, fra condanne e patteggiamenti definitivi. La percentuale di assoluzioni nel merito (cioè imputati risultati estranei ai fatti) si aggira tra il 4 e 5 per cento. I restanti altri, circa il 40 per cento degli indagati, si sono salvati grazie alla prescrizione, a cavilli procedurali o a modifiche legislative.

Il bilancio, dal 92 ad oggi, non è affatto esaltante, anzi è piuttosto triste e preoccu-pante, perché in questi 20 anni non solo la corruzione non è stata eliminata, ma, anzi, si è rafforzata. Lo stanno a dimostrare gli episodi che hanno coinvolto l’ex tesoriere della Margherita, accusato di aver sottratto ingenti quantità di denaro dalla cassa del partito ormai scomparso, l’ex presidente della provincia di Milano e l’ex vicepresi-dente della Regione Lombardia. Qualcu-no in questi giorni ha sottolineato che una volta i politici e gli amministratori rubava-no per il partito, oggi rubano al partito per i fini personali.

È davvero scandaloso assistere a questi

episodi di malcostume, soprattutto in un momento storico in cui si chiedono ai citta-dini ed alle famiglie gravosi sacrifici. E che il quadro in Italia sul fronte della corruzio-ne sia grave lo dimostra, non solo l’appello del Capo dello Stato alle forze politiche ad individuare una normativa adeguata per combatterla, ma anche l’allarme lanciato dal Presidente della Corte dei Conti, che, all’apertura dell’anno giudiziario 2012, ha affermato che illegalità, corruzione, malaf-fare sono fenomeni ancora notevolmente presenti le cui dimensioni presumibilmen-te sono di gran lunga superiori a quelle che vengono, spesso faticosamente, alla luce.

Cresce in maniera evidente il danno era-riale, più di 350 milioni di euro, ma ci sono dati ancora più allarmanti, come i 60 mi-liardi di euro l’anno legati alla corruzione, secondo stime legate alla Funzione Pub-blica.

La soluzione al dilagare della corruzione potrebbe essere l’approvazione del decreto anticorruzione, anche se il governo ha fatto intendere di essere propenso a rimandare la questione di alcune settimane. Ma, pri-ma di trovarsi in questa situazione, che per anni ha compromesso anche lo sviluppo economico, forse sarebbe bastato ratificare la convenzione anticorruzione dell’Unione Europea firmata nel 1999.

Gian Paolo Zeni

inchiesta “mani pulite”, Venti anni dopo

Ci sono ancora due mesi di tempo prima che diventi realtà l’utilizzo

esclusivo dei sistemi elettronici per il pa-gamento di stipendi e pensioni superiori ai mille euro. Il governo, che ha varato il pacchetto semplificazioni fiscali con le norme anti-evasione, ha infatti deciso di far slittare al primo maggio 2012 l’obbligo di non usare contanti per il pagamento di trattamenti oltre i mille euro. Secondo quanto previsto nella manovra di Natale varata da Monti, entro il 6 marzo chi rice-ve prestazioni dall’Inps superiori a questa cifra avrebbe dovuto dotarsi di un conto corrente o di un libretto postale perché dal 7 marzo le amministrazioni pubbliche non avrebbero più potuto effettuare pa-gamenti se non attraverso ”strumenti di pagamento elettronici disponibili presso il sistema bancario o postale”. Con la decisio-ne del Governo tale termine slitta di due mesi. La regola, comunque, resta in piedi e vale per qualsiasi emolumento. E l’Inps con una circolare pubblicata venerdì sul suo sito ricorda che il pagamento superiore a 1.000 euro sarà elettronico non solo per le pensioni ma anche per le altre prestazioni a sostegno del reddito (cassa integrazione, mobilità, assegno di disoccupazione ecc).

“Tale normativa - si legge nella circolare - si applica anche alle prestazioni a sostegno

del reddito, sebbene caratterizzate da ele-menti peculiari come la temporaneità del-la durata e l’imprevedibilità dell’evento da cui si genera la prestazione”. Nel comples-so dovrebbero essere interessati alle nuove disposizioni circa 450mila pensionati (con assegni superiori a 1.000 euro e senza con-to corrente o libretto postale) mentre la sti-ma delle persone con prestazioni a soste-gno del reddito senza strumenti elettronici di pagamento è di circa 700mila persone. Chi è già titolare di un rapporto di conto corrente postale o libretto postale nomina-

tivo ordinario o Inps Card – spiega l’Istituto di previdenza - potrà richiedere, diretta-mente allo sportello, il contestuale versa-mento della prestazione su quel conto. Al beneficiario della prestazione che non ha né conto corrente né libretto postale l’ad-detto allo sportello postale proporrà sia l’apertura di un libretto postale nomina-tivo ordinario sia la richiesta di accredita-mento della somma in pagamento.

L’Inps, nella circolare, spiega che in assen-za di conto o libretto postale la prestazio-ne oltre i 1.000 euro (a partire da Maggio,

secondo la modifica introdotta dal Gover-no) non potrà essere pagata. “Qualora il beneficiario non aderisca ad alcuna delle modalità di pagamento prospettate da Poste Italiane – spiega l’Inps - reso edotto della circostanza che l’Ufficio Postale non può disporre, in altro modo, l’accredito dell’importo - Poste Italiane provvederà immediatamente al riaccredito attraverso

la procedura in uso senza attendere i 40 giorni previsti in convenzione. Conse-guentemente, in tale ultima ipotesi, nel caso in cui il beneficiario preferisca, per esempio, l’accredito su c/c bancario o car-

ta di pagamento bancaria, l’interessato do-vrà recarsi alla sede Inps competente per dare comunicazione dell’IBAN. La Sede, una volta in possesso della nuova modalità di pagamento in linea con la nuova dispo-sizione di legge e del riaccredito del paga-mento in contanti non finalizzato, provve-derà alla remissione del pagamento”.

Vitantonio TaddeoSegretario generale Fnp Cisl Brindisi

L’elettronica tra stipendi e pensioni

Benedetto XVIl Tribunale di Milano