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AV Discernimento

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Quaderno di lavoro e riflessione per ragazzi in ricerca vocazionale a cura dei Salesiani.

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Michel ciRYDiscepolo di Emmaus con la tunica gialla (part.)olio su tela, 80x801985Sulla soglia della locanda, un giovane, lo ha visto e l’ha riconosciuto ancora una volta nello spezzare del Pane. Lo stupore colma gli occhi e il volto. La luce che l’ha appena inondato gli è rimasta impressa nei lineamenti e l’abito ne è ancora intriso. Nell’espressione del viso quasi un’incredulità, contemplazione fatta di estasi e di energia nell’attimo prima di spiccare la corsa per far conoscere a tutti il mistero, pur senza sapere bene come spiegarlo. Uscendo i suoi occhi dovranno parlare, la sua luce farà vedere. La sua pace donerà ciò che ha ricevuto dal Risorto. Ecco la sua vocazione.

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4Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». 5Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». 6Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. 7Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. 8Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». 9Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; 10così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». 11E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.12Mentre Gesù si trovava in una città, ecco, un uomo coperto di lebbra lo vide e gli si gettò dinanzi, pregandolo: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi». 13Gesù tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii purificato!». E immediatamente la lebbra scomparve da lui. 14Gli ordinò di non dirlo a nessuno: «Va’ invece a mostrarti al sacerdote e fa’ l’offerta per la tua purificazione, come Mosè ha prescritto, a testimonianza per loro». 15Di lui si parlava sempre di più, e folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro malattie.

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L’antefattoGesù si trova presso il lago di Genèsaret e la folla gli fa ressa in-torno per ascoltarlo. Il numero degli ascoltatori crea un certo disa-gio. Il Maestro vede due barche ormeggiate alla sponda; i pescatori sono scesi e lavano le reti. Egli chiede allora di salire sulla barca, quella di Simone, e lo prega di scostarsi da terra. Sedutosi su quella cattedra improvvisata, si mette ad ammaestrare le folle dalla barca (cfr. 5,1-3). E così la barca di Pietro diventa la cattedra di Gesù. A questo punto Gesù, in modo inaspettato, esce con l’ordine peren-torio: «Prendi il largo e calate le reti per la pesca», che introduce alla prima scena della pesca miracolosa, cui segue, come il secon-do sportello di un dittico, la straordinaria guarigione del lebbroso.

La prima scena (vv. 4-11) Quante volte avevano calato le reti inutilmente!Quella stessa notte non avevano preso nulla. Per un pescatore non pescare è il fallimento. Ne va della sua identità. È come per l’uomo non essere uomo. L’ordine di Gesù, rivolto a dei pescatori di professione, appare un po’ offensivo, oltre che insensato: non conoscono bene il loro mestiere e non è forse di notte che si pesca? Dovranno comprendere che non è per forza e per volontà propria che agiscono e che l’azione è fruttuosa proprio di giorno, perché obbediscono al sole che è sorto per rischiarare coloro che prima erano nelle tenebre e nell’ombra di morte (cfr. 1,78-79).

Ma ogni volta che obbedisce alla parola del Signore, l’uomo sperimenta la realtà della sua promessa. Solo nell’obbedienza di fede la Parola è efficace e la promessa di Dio si realizza. Per questo l’essenziale è giungere a quest’obbedienza di fede. Essa porta il frutto infallibile e traboccante di questa pesca, che eccede ogni aspettativa e capacità umana: le reti quasi si rompono perché incapaci di contenere la realizzazione della promessa che è superiore a ogni fama (cfr. Sal 138,2). E nulla va perso!

La barca di Pietro, che ha pescato dando fiducia alla paroladi Gesù, contiene non solo Pietro stesso, ma probabilmente anche Andrea (i verbi sono al plurale). Ma, oltre la sua, c’è anche un’altra barca associata alla pesca, che ne condivide le fatiche; ambedue sono «riempite», simbolo della benedizione di Dio, fino ad affondare; ma non affondano!

A questo punto, nell’obbedienza Pietro scopre la potenza effettiva di colui che opera ciò che dice: cade alle ginocchia di Gesù, il Signore, e si scopre «uomo peccatore». Luca sa che si scoprirà ancora più peccatore in futuro (cfr. 22,33s.; 54-62), ma che la fedeltà del suo Signore lo convertirà (cfr. 22,32.61s). Sarà per grazia che lui confermerà nella fede i fratelli. Il recipiente di questa grazia è la scoperta che fa qui: il proprio peccato. Davanti alla verità di Dio e al suo dono di misericordia, l’uomo scopre la propria verità. Si sente lontano e per questo gli dice di allontanarsi da lui e si vede perduto:

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sa di non essere quello che deve essere e si sente indegno. Non c’è rivelazione di Dio senza coscienza del proprio peccato: la sua infinita altezza si conosce contemporaneamente alla nostra infinita bassezza, e solo da questa! Nel cuore di Pietro nasce un sentimento di timore/stupore; del resto dove non c’è timore, stupore e senso del peccato, non si sta alla presenza di Dio, ma solo di un idolo, maneggevole, a propria immagine e somiglianza.

Finalmente vengono nominati anche Giacomo e Giovanni, che in questo stupore, da semplici soci della pesca, diventano compagni, che hanno in comune la stessa esperienza del Signore e del suo dono. Formano un unico corpo con un unico Signore, generati come fratelli dalla stessa Parola cui obbediscono. Allo loro presenza Gesù dice a Simone «Non temere», come l’angelo a Zaccaria (cfr. 1,13) e a Maria (cfr. 1,30), cioè «abbi fede». Sono le parole con le quali Dio si rivolge all’uomo sconvolto dalla sua presenza. Pietro riceve la sua missione mentre si riconosce peccatore e viene chiamato ancora Simone (cfr. Gv 21,15-19): la sua missione non decadrà neanche per il suo peccato e Simone diventerà Pietro e riceverà l’incarico di confermare nella fede i suoi fratelli proprio quando avrà consumato fino in fondo la propria esperienza di debolezza. La missione di Pietro, che ha fatto esperienza della misericordia del Signore che lo ha pescato dal peccato, consisterà nel «pescare uomini». Ciò che Gesù ha fatto e farà con tutti, cioè l’azione di salvare dall’abisso del peccato, sarà la «pesca» alla quale i discepoli stessi saranno associati, in favore di tutti gli uomini. Saranno infatti suoi testimoni fino agli estremi confini della terra (cfr. At 1,8), continuando la stessa sua missione di inviati del Padre «a salvare ciò che era perduto» (cfr. 19,10). Davanti a questa vocazione di Gesù, lasciano tutto (la barca per la pesca dei pesci) e lo seguono, obbedendo alla divina chiamata.

La seconda scena (vv. 12-15)

L’uomo che si presenta a Gesù è pieno di impurità e di morte; infatti l’unica legge che il lebbroso è tenuto ad osservare è quella di escludersi dal consorzio umano e da ogni legge (cfr. Lv 13,45). Ma il lebbroso vede Gesù come Gesù, che significa «il Signore salva». Per questo si prostra e lo supplica. Se Levi / Matteo il Pubblicano sarà il primo che Gesù vede (cfr. 5,27), il lebbroso è il primo che vede lui! Ciò che ci abilita a vedere il Salvatore e il Signore non è la nostra giustizia o santità, non la legge osservata, ma la nostra lebbra e il nostro male, che la legge non fa che evidenziare. Non ci accostiamo a Dio perché giusti e mondi, ma perché ingiusti e immondi, bisognosi di giustizia e di santità... Il lebbroso, come Pietro (v. 8), si prostra davanti a Gesù per elevare il suo grido di supplica, riconoscendone il mistero di «Signore» e Salvatore. Il lebbroso può incontrare Gesù perché lui per primo gli è venuto incontro, gli si è fatto talmente vicino da prendere su di sé la sua lebbra.

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Gesù allora «stende la mano» verso di lui.È il segno dell’intervento salvifico di Dio (cfr. Es 4,4; 7,19). Se il lebbroso lo vede e va a lui con l’occhio, Gesù viene a lui con la sua misericordia e stende la mano; quegli si prostra, lui lo tocca; quegli lo supplica, lui esaudisce. È importante il fatto che lo «toccò». In Gesù l’uomo è realmente toccato da Dio salvatore. Questo contatto non avviene sulla base della bontà o dei meriti secondo la Legge. Gesù insomma tocca l’intoccabile: sfonda barriere e leggi, e raggiunge l’uomo nella sua debolezza e dichiara al lebbroso la sua volontà di salvarlo. È la stessa di Dio in cielo, che lui esegue sulla terra (cfr. 5,32; 19,10), perché tutti siano salvati e giungano alla conoscenza della verità (cfr. 1Tm 2,4). Solo Dio può salvare e lo vuole; per questo ci è venuto incontro in Gesù. Gesù infine impone al salvato il silenzio. È una traccia del segreto messianico, tipica di Marco, che Luca conserva. Questo rivela, sul piano storico, che Gesù non ricerca la pubblicità (questo distingue l’uomo religioso da quello mondano!). Gesù poi invia l’ex-lebbroso ai sacerdoti, tutori della legge, perché constatino, secondo la legge, che ciò che la legge non può fare è avvenuto: mondare l’uomo dalla morte. In breve, nel racconto del lebbroso è cancellato il sospetto di Adamo che Dio sia geloso e si contrapponga a lui nella sua santità. È presentato un Dio che tocca l’uomo nella sua miseria, un Dio la cui tenerezza si espande su tutte le creature (cfr. Sal 103,8; 145,8s) nella misura del loro bisogno. L’unica misura dell’amore è il bisogno dell’amato; la grandezza della misericordia è quella della stessa miseria.

La Parola si diffonde da quella città tutt’intorno; di orecchio in bocca e di bocca in orecchio, giunge fino agli uditori più lontani che sono i lettori del Vangelo di Luca, che siamo noi, ora! Tutti da ogni città, noi compresi, sono invitati ad accorrere a lui per la forza centrifuga di questa parola su di lui che si diffonde. Nelle molte persone che accorrono «per ascoltare ed essere curate dai loro mali», è da vedere tutta la folla di coloro che, udito il racconto, riconoscono, con la propria lebbra, il potere e la volontà che Gesù ha di liberarli e accorrono a lui per fare la stessa esperienza del lebbroso. È interessante l’accostamento tra «ascoltare» la parola di Gesù ed «essere curati». L’ascolto della sua parola, il racconto del Vangelo, è la potenza stessa di Gesù che guarisce chi accorre a lui con la coscienza e la fede del lebbroso.

e ein sintesi…

L’elemento che collega queste due scene, l’una ambientata sul Lago di Tiberiade, l’altra in una città, l’una che narra di un miracolo sulla natura, l’altra di un miracolo su un uomo malato, è il riconoscimento della nostra miseria, che ci apre all’incontro con Cristo, Figlio di Dio mandato sulla terra a rivelarci la divina misericordia.Nella prima scena Gesù entra quasi con “prepotenza” nella vita di Simone e lo “costringe” a riconoscersi bisognoso di salvezza; nella

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seconda invece è il lebbroso che, per primo, vede in Gesù l’unica speranza per liberarsi dal peccato e dalla morte.Al centro c’è la “proposta vocazionale” di Gesù (“Sarete pescatori di uomini”) e la risposta di Simone , Andrea e Giovanni, che lasciano tutto e lo seguono.

per rifLettere…

Sulla tua parola getterò le reti. La fiducia piena di speranza nella Parola di Dio e nella Sua volontà è per Simone la “partenza con il piede giusto” nel suo cammino vocazionale. Hai il coraggio di buttarti e di fidarti di Dio e delle mediazioni che ti mette accanto? Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore. Il senso del proprio peccato e della propria indegnità non è altro che la scoperta della verità di se stessi. Davanti al tuo limite che cosa provi? Scoraggiamento o abbandono fiducioso in Cristo che salva? Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini. Simone accoglie Gesù che ha voluto salire sulla sua barca e condividere con lui il lavoro della pesca, trasformandolo e trasfigurandolo in qualcosa di diverso. E’ stato questo per lui il “segno vocazionale” per eccellenza, che all’inizio ha faticato a decodificare. Ti fai aiutare a decodificare i segni vocazionali presenti nella tua vita? Ti sforzi di leggerli alla luce di Dio? E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. Simone, Giovanni ed Andrea non possono “stare fermi” dopo che hanno incontrato Gesù e con il suo aiuto hanno riletto la loro vita. Sei capace di concretizzare alcune scelte della tua vita oppure, dopo lunghe riflessioni, ti trovi sempre bloccato dalla paura?

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35 Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36 e, fissando lo sguardo su Gesù

che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». 37 E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38 Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». 39 Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.40 Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41 Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42 e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

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Siamo al terzo giorno del racconto del Vangelo (cf. vv. 19.29). Il Battista, che da sempre attende, in un giorno imprecisato incontra l’atteso che viene a farsi battezzare, ma non lo riconosce. Solo più tardi, dopo aver risposto all’interrogatorio e aver confessato la propria identità (vv. 19-28), lo incontra nuovamente il giorno dopo e lo riconosce (vv. 29ss). Il giorno dopo ancora (v. 35), avendolo incontrato di nuovo, lo indica a due suoi discepoli, dei quali uno è Andrea, l’altro probabilmente Giovanni (alcuni dicono Filippo). Come sempre capita nel IV Vangelo, ogni lettore può identificarsi con i diversi personaggi che rappresentano i vari livelli del suo incontro con il Signore.A questo antefatto seguono due scene: l’incontro all’ora decima tra Gesù e i due discepoli (vv. 35-39) e il successivo incontro tra Gesù e Pietro, condotto da Andrea (vv. 40-42).

La prima scena (vv. 36-39)

Gesù comincia il suo cammino che, da oltre il Giordano, porta a Gerusalemme e in questo cammino si rivela: la verità si fa via per condurci alla vita. Il Battista, uomo dell’attesa, è il solo in grado di vederla e indicarla ad altri, per questo prende parola e la indica anche agli altri. La parola di Giovanni dice lo stupore della scoperta, già fatta e proclamata il giorno prima in modo assoluto, senza nominare uditori (vv. 29ss), e che ora si esprime davanti ai discepoli, invitati a guardare l’agnello inviato da Dio: è l’uomo Gesù, che cammina. Nessuno giunge alla Parola se non mediante l’ascolto di una voce che la testimonia. Inizia così l’avventura dei discepoli: seguire Gesù, fare il suo stesso cammino di Figlio, è la sintesi dell’esperienza cristiana. Il cristianesimo non è infatti un insieme di belle teorie o imperativi morali; è la realtà di una persona, l’uomo Gesù, che si segue perché lo si ama. Chi segue lui non cammina nelle tenebre, ma ottiene la luce della vita (cf. 8,12). Con questi due, che seguono l’Agnello, sorge il giorno del nuovo popolo: è l’inizio della Chiesa. A sua volta Gesù si volge a chiunque lo segue e gli rivolge la parola. Non può non dirsi e manifestarsi, perché è la Parola, che esiste in quanto detta. È però necessario che trovi chi ascolta. Alla nostra iniziativa di cercarlo, Gesù si volta; non attendeva altro poiché è venuto per farsi cercare e trovare.Per la prima volta allora Gesù apre la bocca e il lettore lo ascolta. La sua prima parola è una domanda, che attende risposta. La sua domanda è: «Che cercate?». Gesù si rivolge a noi non con affermazioni o comandi, ma con un interrogativo che ciascuno deve porsi: «Cosa veramente cerco nella mia vita, nel mio lavoro, nelle mie relazioni?». A questa domanda di Gesù i discepoli rispondono con un’altra domanda, per sapere dove egli abita. La casa infatti non è il covile o la tana, dove l’animale si ripara e nasconde; è luogo di relazioni e affetti, che rendono umana la vita. Altrove l’uomo è estraneo a sé e a tutti. «Dove abiti?» significa insomma: «Chi sei?»

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Gesù, colui che viene, dice: «Venite». Venire a Gesù significa aderire a lui, facendo il suo stesso cammino. Chi viene a lui non sarà respinto: vedrà il Figlio e avrà la vita eterna (cf. 6,37-40); egli ci invita ad andare a lui per essere anche noi là dove luì da sempre è, presso il Padre. Gesù infatti tiene che i propri fratelli ritornino a casa.Solo dopo averlo seguito, si vedrà dove porta il cammino. «Vedere» in Giovanni è carico di significato; è l’illuminazione di chi «conosce» il Figlio dell’uomo, mistero di Dio e dell’uomo (cf. v. 51), dove Dio è di casa con l’uomo e l’uomo con Dio.Andando infatti dietro a lui, appagano il loro desiderio di vedere ciò che cercano. Il lettore si chiede: «Cosa videro?», ma il Vangelo non lo dice subito: suscita la curiosità, per stimolare la voglia di cercare. Il Vangelo piuttosto ci dice che dimorarono presso di lui. La loro esperienza è descritta con queste parole semplici e dense; dimorare insieme è avere la stessa casa anzi, farsi l’uno casa dell’altro. I discepoli sperimentano allora la gioia iniziale di una vita fruttuosa e realizzata, propria del tralcio unito alla vite. Quel giorno (cf. 14,20), in cui dimorano presso di lui, è il «giorno lungamente atteso» in cui trovano ciò che da sempre hanno cercato. Non sono più «orfani»: sono finalmente a casa, di casa con il Padre ed il Figlio. L’ora indimenticabile di quel giorno segna il passaggio decisivo: l’ansia di chi cerca si muta nella gioia di chi trova. Sono infatti le quattro del pomeriggio, quando la fatica del lavoro lascia posto al riposo.

La seconda scena (vv. 40-42)

Stando al testo, Andrea incontra il fratello il giorno stesso in cui dimora presso il Figlio; chi infatti dimora presso il Figlio, incontra il fratello che è colui al quale comunica la sua esperienza. In Andrea vediamo la sorpresa di chi ha scoperto il tesoro per cui comunica la sua gioia al fratello, perché gli interessano sia Gesù che il fratello, al quale pure interessa il Messia. Il Messia (unto, in greco Cristo) è il re che avrebbe realizzato ogni promessa di Dio e attesa dell’uomo. È il fratello che conduce al Figlio. Ognuno giunge a incontrare l’Altro per la mediazione di un altro che glielo testimonia. A questo punto l’incontro tra Gesù e Pietro è un gioco di sguardi che penetrano il cuore. Gesù poi gli dice il suo nome senza che alcuno in precedenza glielo abbia comunicato. Lui stesso è la Parola, che per prima ha detto il suo nome e lo fa esistere. Ma c’è anche un nome segreto, che nessuno conosce e solo il Signore rivela (cf. Ap 2,17; Is 62,2): è l’identità di una persona, la sua «vocazione», che sarà la sua «missione». E’ Kefas, che significa «pietra», per cui da allora il suo nome sarà «roccia», attributo di Dio.

in sintesi…

Il passo evangelico su cui abbiamo meditato si potrebbe riassumere in alcuni verbi: vedere Gesù; seguire Gesù; rispondere a Gesù; rimanere con Gesù. Attraverso cioè l’esperienza di Andrea e di Giovanni, l’Evangelista ci dice che la conoscenza di Gesù non passa mediante uno studio intellettuale di quanto egli ha

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detto o fatto, ma piuttosto attraverso l’esperienza diretta della sequela e della condivisione della vita con lui. E’ l’unica condizione possibile per capire noi stessi (cioè cosa cerchiamo nella vita) e per comprendere chi sia egli realmente. Non sappiamo che cosa si siano detti in quel giorno, all’ora decima; di certo sappiamo che qualcosa di sconvolgente è accaduto nella vita di Andrea, tanto che può con certezza dire al fratello Pietro “Abbiamo trovato il Messia” e condurlo da lui.

per rifLettere…

Ecco l’Agnello di Dio. Giovanni Battista manifesta la vera identità di Gesù: colui che viene da Dio e si fa carico del mio peccato e del mio dolore. Gesù insomma non è un supereroe (che quindi potrebbe rimanermi estraneo) ma colui che si fa vicino a me nella mia miseria. Chi è veramente per me Gesù? E’ una persona viva e vicina alla mia vita, oppure è solo un’idea lontana? Un concetto da studiare, o una persona amata con cui costruire intimità? Che cosa cercate? Ponendo questa domanda a Giovanni ed Andrea, Gesù li costringe a “guardarsi dentro”. Conoscendo Gesù, mi conosco e mi accetto sempre più? Oppure il mio cammino spirituale è così superficiale che non riesco mai andare in profondità di me stesso? Venite e vedrete. Gesù invita i due discepoli a stare un poco con lui a casa sua. Nella tua vita hai un “luogo stabile” (cioè una situazione, un impegno, una scelta fatta) dove puoi essere “di casa” con Gesù, cioè dove lo conosci ogni giorno standovi con fedeltà? Oppure passi da un esperienza (anche bella) all’altra senza senza crescere nella conoscenza di Gesù? Rimasero con lui. Per conoscere Gesù bisogna essere fedeli all’intimità con lui e alla forma di vita che egli ci fa vivere. Sei capace di fedeltà nella preghiera, nella direzione spirituale, nelle scelte del tuo cammino vocazionale, oppure alla prima difficoltà lasci? Ti verifichi su questo aspetto con la tua guidi, o vivi sull’onda delle emozioni?

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La vita è una cosa troppo seria per essere disciolta nel gioco mai concluso di un puzzle da comporre. Il

Vangelo ci dice che alla vita si addice il linguaggio della roccia: lì si fonda la casa, la propria casa, progettata per resistere, per resistere per sempre. Questa è la vita. Il cammino vocazionale è la ricerca di questa roccia: tu sei il Signore della vita. Il linguaggio della definitività, dell’unicità, della serietà, tipico del vangelo, diventa un severo avvertimento per il nostro mondo. Non possiamo illuderci che la vita sia un gioco; dobbiamo guardarci da una mentalità che riduce ogni scelta a tassello d’un puzzle che non si deve preoccupare della sua coerenza con altri tasselli. Qualcuno sa molto bene chi siamo, custodisce nel suo cuore il nostro volto, conosce la via per la quale possiamo realizzare il nostro vero bene, salvare la nostra anima e aiutare gli altri a salvare la propria. Camminare vocazionalmente significa vincere la tentazione del puzzle affidato ai pasticci della nostra disorientata fantasia e cercare la bellezza tanto antica e tanto nuova del disegno di Dio su di noi.

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Z. BAUMAN [B. Vecchi ed.], Intervista sull’identità, Laterza, Bari- Roma 20077.

L’ideale compone la propria identità (o le proprie identità?) come si compone un disegno partendo dai pezzi di un puzzle, ma la biografia può essere paragonata solamente a un puzzle difettoso, in cui mancano alcuni pezzi (e non si può mai sapere esattamente quanti). Un puzzle comprato in negozio è tutto contenuto in una scatola, ha l’immagine finale già chiaramente stampata sul coperchio e la garanzia, con promessa di rimborso in caso contrario, che tutti i pezzi necessari per riprodurre quell’immagine si trovano all’interno della scatola e che con questi pezzi si può formare quell’immagine e quella soltanto; ciò permette di consultare l’immagine riprodotta sul coperchio dopo ogni mossa per assicurarsi di essere effettivamente sulla strada giusta (l’unica strada corretta) verso la destinazione già nota, e quanto lavoro rimane da fare per raggiungerla. Nessuna di queste agevolazioni è disponibile nel momento in cui tu componi la tua identità… È vero, sul tavolo sono a disposizione tanti piccoli pezzi che speri di poter incastrare l’uno con l’altro fino a ottenere un insieme dotato di senso, ma l’immagine che dovrebbe emergere al termine del lavoro non è fornita in anticipo, e pertanto non puoi sapere per certo se possiedi tutti i pezzi necessari per

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acomporla, se i pezzi scelti fra quelli sparsi sul tavolo siano quelli giusti, se li hai messi al posto giusto e se servono a comporre il disegno finale. Potremmo dire che la soluzione dei puzzle comperati in negozio è orientata all’obiettivo: parti per così dire dal punto d’arrivo, dall’immagine finale, nota già in precedenza, e poi tirata fuori dalla scatola un pezzo dopo l’altro, cercando di incastrarli insieme. Hai la sicurezza che alla fine, con l’impegno necessario, troverai il posto giusto per ogni pezzo. La completezza dei pezzi e il loro reciproco incastro sono garantiti prima che tu cominci. Nel caso dell’identità non è affatto così: l’intera impresa è orientata ai mezzi. Tu non parti dall’immagine finale ma da una certa quantità di pezzi di cui sei già entrato in possesso o che ti sembra valga la pena di possedere, e quindi cerchi di scoprire come ordinarli e riordinarli per ottenere un certo numero (quante?) di immagini soddisfacenti. Fai esperimenti con ciò che hai.

PONTIFICIA OPERA PER LE VOCAZIONI ECCLESIASTICHE, Nuove vocazioni per una nuova Europa, In verbo tuo..., Roma 1997, 13.

Come la santità è per tutti i battezzati in Cristo, così esiste una vocazione specifica per ogni vivente; e come la prima è radicata nel Battesimo, così la seconda è connessa al semplice fatto d’esistere. La vocazione è il pensiero provvidente del Creatore sulla singola creatura, è la sua idea-progetto, come un sogno che sta a cuore a Dio perché gli sta a cuore la creatura. Dio Padre lo vuole diverso e specifico per ogni vivente. L’essere umano, infatti, è «chiamato» alla vita e, come viene alla vita, porta e ritrova in sé l’immagine di Colui che l’ha chiamato. Vocazione è la proposta divina di realizzarsi secondo quest’immagine, ed è unica, singola, irripetibile, proprio perché tale immagine è inesauribile. Ogni creatura dice ed è chiamata a esprimere un aspetto particolare del pensiero di Dio. Lì trova il suo nome e la sua identità; afferma e mette al sicuro la sua libertà e originalità. Se dunque ogni essere umano ha la propria vocazione fin dal momento della nascita, esistono nella Chiesa e nel mondo varie vocazioni che, mentre su un piano teologico esprimono la somiglianza divina impressa nell’uomo, a livello pastorale-ecclesiale rispondono alle varie esigenze della nuova evangelizzazione, arricchendo la dinamica e la comunione ecclesiale.

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GIUDICI M. P., Una donna di ieri e di oggi. Santa Maria Domenica Mazzarello (1837-1881), ELLE DI CI, Torino 1980, p. 124.

La Cronistoria è esplicita: «Sappiamo che quando don Bosco ebbe terminato d’esporre il suo progetto, dalle labbra tremanti di don Pestarino non uscì che una domanda: “Come farò a conoscere quali tra le Figlie hanno vocazione?”. “Quelle che sono ubbidienti anche nelle più piccole cose, che non si offendono per le correzioni ricevute e mostrano spirito di mortificazione”».

BOSCO G., Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855, Cap. XIV,

prima decade: 1825-1835.

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Intanto si avvicinava la fine dell’anno di Retorica, epoca in cui gli studenti sogliono deliberare intorno alla loro vocazione. Il sogno di Murialdo mi stava sempre impresso; anzi mi si era altre volte rinnovato in modo assai più chiaro, per cui, volendoci prestar fede, doveva scegliere lo stato ecclesiastico; cui appunto mi sentiva propensione: ma non volendo credere ai sogni, e la mia maniera di vivere, certe abitudini del mio cuore, e la mancanza assoluta delle virtù necessarie a questo stato, rendevano dubbiosa e assai difficile quella deliberazione. Oh se allora avessi avuto una guida, che si fosse presa cura della mia vocazione! Sarebbe stato per me un gran tesoro, ma questo tesoro mi mancava! Aveva un buon confessore, che pensava a farmi buon cristiano, ma di vocazione non si volle mai mischiare.(per il commento vedi “Non volevo credere ai sogni”)

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Importanza della vocazione. Ai giorni nostri oh! quanto è piccolo il numero dei giovani, anche fra gli educati all’amore ed alla pratica della religione, i quali ricorrano a Dio per la scelta dello stato, e vadano ai piedi dell’altare; a chiedere lume e consiglio per lo stato da abbracciare, il quale dovrà

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e BOSCO G., L’entrata nel mondo - Ovvero consigli ad un giovanetto che lascia la scuola per abbracciare uno stato = Letture Cattoliche, Torino - Tip. dell’oratorio di S. Francesco di Sales, Giugno - luglio 1969, pp. 133-135.146-148.

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formare la felicità o la sventura loro per tutta la vita! Quando con cuore umile e semplice consultiamo il supremo Moderatore di tutte le cose, e nel raccoglimento dell’anima consideriamo davanti a lui i vantaggi ed i pericoli di ciascuna professione, riceviamo (la fede ce l’insegna) una celeste ispirazione; il nostro intelletto resta illuminato, ci spogliamo delle nostre passioni, dei cattivi consigli e sopratutto dell’amore sregolato del danaro, che fa mettere in non cale le regole della giustizia e dell’onore, purché si arrivi a far fortuna. Allorché guidati da pii parenti e da protettori virtuosi, noi abbiamo con maturità riflettuto sullo stato che meglio conviene ai nostri gusti, alla nostra condizione, a quello in cui la probità corre minori rischi, lo abbracciamo con maggior confidenza e soddisfazione, o ne sopportiamo con pazienza le prime prove: la certezza della protezione di Dio, rianimando il nostro coraggio, ci fa trionfare dagli ostacoli e riuscire nella professione abbracciata. Al sopraggiungere delle avversità chiniamo la fronte, sicuri di non aver nulla a rimproverarci. Pensiamo inoltre, che dopo aver lavorato per qualche anno e mangiato un pane bagnato sovente di lagrime, verranno giorni migliori che ci procureranno una ricompensa senza misura. Questo linguaggio non è inteso da tutti; ma beato chi lo vuole intendere.

Studio della vocazione. Se vuoi assicurare la tua salute, nella scelta dello stato tu devi obbedire alla vocazione divina; imperocché solo in essa Dio concede le grazie necessarie per salvarsi. San Cipriano dice: “I doni dello Spinto Santo dipendono dalla volontà di Dio, e non dal nostro capriccio. Perciò San Paolo scrive che ciascuno riceve da Dio il suo dono (I Cor. VII,7). Vale a dire, spiega Cornelio a Lapide, Dio dà a ciascuno la vocazione sua e gli sceglie lo stato nel quale lo vuol salvo [...]. Si osservi che la vocazione da molti vien considerata come cosa di poca importanza. Sembra loro indifferente vivere nello stato a cui vennero da Dio chiamati, od in altro scelto di loro piacere; da ciò procedono tanti disordini e tante dannazioni. E certo per l’opposto che questa scelta è il punto principale da cui dipende l’acquisto della vita eterna. Alla vocazione succede la giustificazione, alla giustificazione tien dietro la glorificazione, cioè la vita eterna. Chi infrange quest’ordine, questa catena di salute, si salverà difficilmente. Malgrado gli sforzi che farà e le pene cui andrà soggetto, sant’Agostino gli volge le seguenti parole: “Tu corri molto, ma fuori del vero cammino, che e quanto dire fuori della via a cui Dio t’aveva chiamato per arrivare a salute. Il Signore non accetta i sacrifizi che vogliamo offrirgli di nostro capo. E minaccia i più tremendi castighi a coloro che disprezzano i suoi avvertimenti per seguire le proprie inclinazioni [...].

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La vocazione, dicono quasi unanimamente tutti i santi, con-siste nel compiere la volontà di Dio.La volontà di Dio non può essere un’altra cosa da ciò che Dio è. E, se Dio è amore, il suo volere non si può scostare da ciò che Lui è, cioè dall’amore […]La volontà d’amore, una volontà orientata alla comunio-ne, una volontà orientata all’altro con amore, per amore e nell’amore... E, se avrete un po’ di pazienza, vedrete che non stiamo parlando di qualcosa di romantico, ma di pro-fondamente serio, addirittura drammatico. La volontà di Dio è praticamente una sola: che tutti gli uomini si possano scoprire amati da Dio Padre e che possano accogliere que-sto amore con una risposta; d’amore. Se ti ricordi, Aljaz, di quello che dicevamo la volta scorsa, l’amore di Dio viene sperimentato da ciascuno in un modo totalmente persona-le. Allora anche la volontà di Dio ognuno può sperimentarla come una cosa del tutto unica, rivolta personalmente a lui stesso, dal momento che l’amore è personale e si comuni-ca da Volto a volto. […] La volontà di Dio, poiché è l’amore, è una sola. Ma tocca a ciascuno percepire da solo, in modo personale, dove può esporsi più radicalmente a questo amore, facendo che cosa può essere più pienamente al servizio di questo amore.[…] La vocazione significa trovare il proprio posto nell’amo-re. Cercando questo posto, si agisce già in sinergia, cioè in collaborazione con la volontà di Dio. Sinergia... una bella parola che i Padri usavano. Alla lettera significa coazione, un’azione frutto delle energie congiunte di Dio e dell’uomo in Cristo. […]. Ecco, è così quando uno trova la sua vocazio-ne: avverte questa connaturalità con la vita che conduce, cioè si sente a casa, come la vite nel buco adatto per lei!

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io RUPNIK M.I., Il cammino della vocazione cri-stiana di resurrezione in resurrezione, Lipa 2007, pp. 33-36

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Il soffio nella Bibbia è anzitutto il segno della vita: così, Ra-chele, nel dare alla vita colui che Giacobbe chiamerà Be-niamino (figlio di buon augurio), «mentre esalava l’ultimo soffio... lo chiamò Ben-Qui (‘figlio del mio dolore’)» (Gen 35,18). Morte e vita, dolore e speranza si incontrano in

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ne FORTE B. Introduzione a VOCAZIONE, VON BALTHASAR H.U. Rogate, Roma 2002.

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questa scena: il confine che le separa passa attraverso il soffio, che non è semplice parte, ma prova della vita, senza di cui essa è assente. Come il soffio è volatile, così fragile e caduca è la vita dei viventi: tutto passa! Solo un’esistenza che si radichi nelle sue sor-genti eterne e nella sua ultima patria è soffio che nutre la vita più forte della morte. In tal senso la vocazione è come il soffio vitale che unisce ed ancora il pellegrinaggio del tempo alla sua sorgente eterna. Come il soffio, la vocazione viene dall’alto: Dio solo è fonte del soffio della vita: «Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7). Solo Dio è padrone del soffio della vita e Lui solo ha diritto di ritirarlo quando vuole: «Togli loro il soffio, ed essi spirano e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo soffio, ed essi sono creati, e rinnovi la faccia della terra» (Sal 104,29s). «Se egli richiamasse il suo spirito a sé e a sé ritraesse il suo soffio, ogni carne morirebbe all’istante e l’uomo ritornerebbe in polvere» (Gb 34,14s). La vita è di Dio ed a Lui solo dobbiamo renderne conto. Da Lui possiamo sempre di nuovo invocarla, a Lui dobbiamo renderne conto. Da Lui possiamo sempre di nuovo invocarla, a Lui dobbia-mo restituirla, regalandogliela nell’offerta riconoscente di tutto il nostro essere vitale. Come il soffio, «la vocazione dipende essen-zialmente dalla libertà di Colui che chiama». Venendo da Dio, la vo-cazione non può essere orientata in ultima analisi che a Lui: anche così essa è come il soffio, che anima tutti i moti della coscienza, orientandoli a Colui, da cui provengono. Consegnare lo spirito a Dio vuol dire rimetterGli il proprio essere senza riserva alcuna, come ha fatto Gesù: «Nelle tue mani affido il mio spirito» (Sal 31,6). «Gesù, gridando a gran voce, disse: ‘Padre, nelle tue mani affido il mio spirito’» (Lc 23,46). Affidarsi incondizionatamente all’Eterno vuol dire vivere veramente, morendo alla creatura vecchia per nascere sempre di nuovo all’essere ricreato nel Suo amore: «L’unico atto col quale l’uomo può corrispondere al Dio che si rivela è quello del-la disponibilità illimitata». […]. Solo l’incondizionata docilità rende aperti al soffio dello Spirito, di cui si fa esperienza nell’obbedienza della fede: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8). Accogliere la vocazione è lasciarsi condurre come foglia nel vento della Pentecoste. […] Vivere la vocazione come vita se-condo lo Spirito è destinarsi agli altri nell’amore, in quell’esodo da sé senza ritorno in cui solo ci è dato raggiungere il compimento del nostro essere e del nostro agire secondo il disegno di Dio: «Ogni chiamata è tale per amore dei non-chiamati».Perciò, ogni vita nell’amore, ogni realizzazione della chiamata divi-na si compie nel soffio dello Spirito, da invocare incessantemente, fedelmente, con ardore: e perciò essa ha bisogno del discernimen-to e di chi in esso guidi e accompagni […] Solo così il cuore di chi cerca la propria strada in Dio può disporsi al soffio e accoglierlo, per lasciarsi sospingere da esso verso un impegno che — per es-sere vero e adeguato alla sorgente che lo ispira — non può che

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essere definitivo ed eterno: «La vocazione esige tutta la vita dell’uomo e richiede una corrispondente, totale rispo-sta. L’“una volta per sempre” del dono appartiene alla for-ma fondamentale di ogni vocazione». Lasciarsi agire dallo Spirito, perché ci faccia uno con Gesù in Dio, docili al suo soffio, è vivere la vita come vocazione, cioè come vita vera e piena secondo il disegno che il Padre ha per ciascuno di noi, per la Sua gloria e per il bene della Chiesa e dell’uma-nità intera. […]

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e VON BALTHASAR H.U., Vocazione, Rogate, Roma, 2002.

La perfezione consiste per ognuno in questo: fare la volon-tà di Dio su di lui. Questo non impedisce che Matteo (20, 16; 22, 14) veda il numero dei chiamati molto più grande del numero di coloro che realmente abbracciano la loro propria chiamata.Nella riflessione che una fede può spingersi e purificarsi fino alla piena disponibilità per l’eventuale chiamata di Dio, senza che Dio venga con questo costretto a chiamarlo nel senso originario, sta l’accesso all’idea che l’amore cristiano perfetto è la misura di ogni perfezione cristiana. Soltanto qui si trova questo accesso poiché altrove è quasi (o del tutto) inevitabile l’illusione che l’uomo sappia, a partire da se stesso, ciò che sia amore e come debba essere vissuto, mentre in verità la possibilità di sentire l’amore divino sorge nell’uomo soltanto là dove egli sta nella piena disponibilità davanti a Dio a lasciarsi condurre con Cristo — per amore — sulla via della perfetta rinuncia e, finalmente, della croce; sulla via della rinuncia non all’amore (ad esempio nel matri-monio) ma ad ogni segreta ricerca dell’Io nell’eros e in tutta la comunità familiare. […]Il vero accordo non sta nel livellamento, ma sta nell’idea che vocazione dice sempre espropriazione a vantaggio de-gli altri, che dunque, esprimendolo col Nuovo Testamento, il «più grande tra voi» deve essere e realmente è, in quanto servo di tutti, il più piccolo. […]«Ogni vocazione che viene da Dio, è sempre pura e lim-pida» (Esercizi 172), non è dubbia, probabile e perciò an-gosciante ma, nel momento del definitivo sì dell’uomo ad essa, è sicura al cento per cento e per questo è fonte di tranquillità e di gioia. La limpidezza può non esserci per vari motivi. Per motivi di natura etica in colui che è chiama-

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to: egli non si spinge fino alla piena disponibilità ma tiene ferme di fronte a Dio condizioni e riserve (è noto che il de-molirle è lo scopo principale degli Esercizi di S. Ignazio). Ma anche per cause che, colui che si ritiene chiamato, non rie-sce ad eliminare, come incapacità alla vita verginale (1 Cor 7, 9), ostacoli ecclesiali irremovibili. Dio vuole chi dona con gioia, anche se forse il dono diventa sempre più una croce; se manca la gioia originaria del donare (come in coloro che scelgono la via dei consigli o del sacerdozio perché è la più difficile: questo è in fondo ambizione), allora la vocazione non è autentica.Le vocazioni possono essere differenziate oggettivamente e soggettivamente. Oggettivamente possono benissimo esserci differenziazioni secondo l’urgenza con la quale una chiamata proviene dal Signore. Essa può essere talmente grande che Dio semplicemente si impossessa dell’uomo di cui ha bisogno, quasi senza lasciargli spazio per un con-senso, lo sopraffà come Paolo (cfr.. 1 Cor. 9, 17-18), o lo sconvolge come Natanaele, o semplicemente lo «prende con sé» come Filippo e Matteo.Ma la chiamata può anche essere, per così dire, un invito supplichevole, presentato con quella discrezione umano-divina che costruisce sulla comprensione dell’uomo e sulla sua libera decisione. Può, infine, essere qualcosa come una «permissione» che, per amore dell’uomo che lo desi-dera, rende libera questa via (Mt. 19, 16s).La differenziazione soggettiva deve essere distinta da quella oggettiva per il modo in cui percepisce la chiama-ta: all’improvviso e con l’assoluta coscienza di essere in-terpellato dall’alto, oppure lentamente e, per così dire, in maniera persuasiva dall’interno, oppure a partire dalle pro-prie riflessioni logiche secondo cui egli, in quanto credente che vuole indirizzare tutta la propria vita secondo la propria fede, vorrebbe, più di ogni altra cosa, offrirsi a Dio a pieno servizio.

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e MANI G., Vivere è rispondere, 2003

I grandi problemi della vita sono sempre stati riassunti in questi tre interrogativi: donde vengo, dove vado e cosa devo fare? Abbiamo già visto come noi proveniamo da Dio il quale, senza la nostra autorizzazione, ci ha fatto il dono della vita e della felicità. Ma, come amava ripetere sant’A-gostino, “Colui che ha fatto te senza di te, non può salvare te senza di te” [DISC., 169,11.13]. Come un padre o come una madre nei confronti del figlio, così Dio, offrendoci il dono della vita, ha un progetto per noi. Ci sono, però, due differenze fondamentali fra Dio e i genitori. Innanzitutto, il progetto che Dio ha per noi è certamente quello più adatto alle nostre caratteristiche. Solo Lui infatti, ci conosce fino in fondo così da non poter sbagliare, come invece spesso sbagliano i nostri genitori quando desiderano qualcosa per noi e, magari, vorrebbero imporcelo, pur con le migliori in-tenzioni di questo mondo. Dio poi, sa rispettare la nostra libertà. Pur rimanendo fedele al suo progetto per noi - e come non potrebbe, se quello che desidera è il meglio per noi? - tuttavia, ha un’infinita pazienza nel riadattare conti-nuamente alle nostre scelte e ai nostri errori la strada che, volta per volta, decidiamo di percorrere. Dio sa bene qual è lo scopo che ciascuno di noi deve realizzare nella sua vita per essere felice: ci ha creato per questo! Sa anche quale sarebbe la via migliore per realizzarlo. Tuttavia, non ci ob-bliga: non siamo macchine, siamo persone e la sua Volontà Onnipotente non è destino, è Provvidenza! La strada per arrivare alla felicità, Dio la vuole costruire con noi, rispet-tando le nostre scelte, anche quando sono sbagliate, anche quando ci allontanano, invece che avvicinarci alla meta. Con la sua Provvidenza poi, non cessa di mandarci dei segni per indicarci la strada giusta: a noi l’umiltà e l’intelligenza di saperli cogliere, di saperne approfittare […]. Gli uomini che sono esistiti, che vivono oggi e che domani vivranno sulla terra, sono miliardi e miliardi: ognuno di loro, ognu-no di noi ha una sua personalissima vocazione. Eppure, la fondamentale vocazione di tutti noi è una sola, è la stes-sa di Gesù, il “Modello Unico”, come lo chiamava Charles de Foucauld: la nostra fondamentale vocazione è l’Amore. Dio infatti, ci ricorda san Paolo, “... ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità” [EF., 1, 4]. Ecco svelato il segreto. Il piano generale dell’opera è chiarito: sono chiamato alla vita per amare. Ecco perché sono quaggiù! Amare ed essere amati è la ragione della nostra esistenza. Abbiamo bisogno dell’amore più che del pane e, a volte, si può far morire una persona negandole questa linfa vitale. […] Amare è vivere; vivere è amare. L’amore può essere espresso solo con dei termini assoluti: eterno, infinito, totale, ...perché amare è

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fare l’esperienza dell’eternità: “Dio è amore; chi sta nell’a-more dimora in Dio e Dio dimora in Lui” [I Gv., 4, 16]. Il Paradiso è la pienezza dell’amore e l’inferno è incapacità di amare, sia quaggiù, come nell’aldilà. Questo è vero per tut-ti gli uomini, è l’essenza di tutte le religioni. “Il mio amore è capace di investire tutte le forme, le tavole della Torah e il libro del Corano. Io professo la religione dell’amore qualun-que sia il luogo verso cui si dirigono le carovane. L’amore è la mia legge e la mia fede” ha detto André Chouraqui, un grande ecumenista dei nostri tempi. “... io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita perché viva tu e la tua discendenza” [Dr, 30, 19], ti dice il Signore.Scelgo la vita. Ma, come la investirò? Cosa farò domani per essere felice? Quello che Dio vuole! Questa risposta sembrerebbe esprimere un abbandono disimpegnato del futuro, ma non è così.

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per L’approfondimento ti suggeriamo come testo per il mese: CASTANO L., Augusto Czartoryski, un

principe sulla croce = Testimoni 21, LDC, Torino-Leumann 2004.

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rivedi La tua vita

1-Che idea mi sono fatto della vocazione? 2-C’è stata per te una dinamica che puoi delineare

come “emozione privilegiata”? 3-Quali sono le tue paure, insicurezze, timori?

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SegNi ediScerNimeNtoVocaZioNale

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Gustav KliMtL’albero della vita (part.)olio su tela 75x 101905-1909L’albero non è un’immagine a sé stante, ma è il particolare centrale del famoso Fregio Stoclet: ai suoi lati si svolgono una scena d’attesa e una di realizzazione. Rappresentazione simbolica della vita. Svariate forme e animali giustapposti in modo apparentemente casuale formano la pianta della vita. Simboli a volte positivi, altri negativi ne delineano le forme, come per la vita stessa, così varia nei suoi risvolti e così intricata nei suoi intrecci. Le diramazioni che questo albero offre sono molte. Solo un discernimento illuminato sa cogliere quanto è segnale che realizza e quanto è materia che paralizza il crescere. Dentro questa vitale storia si passa dall’attesa alla realizzazione di qualcosa che valga la vita intera e che ha il segno dell’eternità.

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13Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». 14Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». 16Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

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La scena è ambientata nelle parti di Cesarea di Filippo, cioè all’estremo nord della Palestina, ai piedi dell’Hermon, nel punto più lontano da Gerusalemme, in zona pagana. Ci troviamo nella seconda sezione del vangelo matteano (capp. 14-28); se nella prima (capp. 1-13) Gesù è stato sempre in Galilea, si è presentato in parole ed in opere al suo popolo, ma è stato rifiutato, ora, nella seconda sezione, Gesù prende le mosse dalle regioni limitrofe alla Galilea, lontane da Gerusalemme e abitate da pagani, e percorre la strada verso la città santa, che sarà anche il suo cammino di manifestazione attraverso la passione, morte e resurrezione. Non a caso nei versetti immediatamente successivi al nostro passo leggiamo il primo annuncio che Gesù fa della sua morte e resurrezione (cfr. 16, 21-23), cui fanno seguito altre due (cfr. 17,22-23; 20,17-19), che introducono il suo ingresso nella città santa (cfr. 21,1-11).La nostra scena è un dialogo serrato tra Gesù ed i suoi, costruito da due coppie domanda / risposta (vv. 13-14; 15-16), cui segue una promessa di Gesù (vv. 17-19) e la chiusura dell’azione (v. 20).

La prima coppia domanda / risposta Fin qui erano stati gli altri a interrogarsi su Gesù. Ora è Lui che interroga. La fede inizia dove noi smettiamo di mettere in questione il Signore e accettiamo di essere messi in questione da lui. L’interrogato si fa interrogante e viceversa. Il problema non è interrogarci su Dio o interrogarlo, ma lasciarci interrogare da lui. Lasciarsi interrogare da lui e rispondergli secondo lo Spirito è parte dell’avventura di essere uomo. Dio è eterna domanda; l’uomo ne è la risposta, nella misura in cui ne ascolta la Parola e la incarna nella propria vita.Infatti anche su Gesù c’è un «si dice», un parlare generico e irresponsabile che non corrisponde mai a verità. In esso ciò che è già noto, o si presume tale, diventa in realtà motivo di confusione. Le nostre convinzioni ci velano la realtà del Figlio dell’uomo e dell’uomo stesso, che è sempre più grande di quanto possiamo già sapere. Gesù con questa domanda fa uscire allo scoperto le risposte scontate che spontaneamente diamo. Le opinioni della gente, riportate nella risposta dei discepolisono le figure religiose più eminenti del passato, con una storia di azione e di passione per la Parola. Hanno in comune il non essere state capite in vita e l’essere già morte. Riducono insomma Gesù ad un grande passato che non c’è più, ad un monumento funebre che non scomoda più che tanto; richiede solo un po’ di venerazione.

La seconda coppia domanda / risposta

Nella seconda coppia domanda / risposta, Gesù riprende parola con una particella avversativa (ma) giacchè la risposta dei discepoli è un «ma» rispetto a quella della gente, come il pensiero di Dio è un «ma» rispetto a quello dell’uomo: «I miei pensieri non sono

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i vostri pensieri; le vostre vie non sono le mie vie» (Is 55,8).

Non rispondono tutti, ma Pietro per primo risponde personalmente alla domanda. Lo riconosce come il Cristo e il Figlio del Dio vivente: è il salvatore atteso che compie ogni promessa del cielo e desiderio della terra, è l’inatteso Figlio di Dio, che in ogni promessa si compromette, dono oltre ogni desiderio.Quella di Pietro è la professione di fede cristiana: Gesù è il Cristo, l’unico Cristo, è il Figlio, il Figlio unigenito del Padre della vita (cfr. 14,33; 26,63; 27,40.43.54; cfr. 28,18s). Vedere nella carne di Gesù il Cristo, il Figlio di Dio è il centro della rivelazione: è entrare nella conoscenza del mistero del rapporto Padre/Figlio, rivelato ai piccoli (cfr. 11,25-27).Da questa risposta Pietro è generato uomo nuovo, partecipe del segreto di Dio. Con ulteriore sorpresa, negli annunci della morte e risurrezione di Gesù, dovrà capire in seguito che il Cristo non è quello che lui pensa, ma un Cristo che lui non si aspetta; scoprirà anche che il Figlio di Dio è un Figlio che lui neanche sospetta e che il Dio vivente è altro da quello che lui immagina.

La promessa di Gesù. A chi gli dice «Tu sei», Gesù risponde «Beato te», e comincia il dialogo tra i due.Pietro infatti vede quanto occhio umano mai non vide; vede ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano nella carne del Figlio (cfr. 1Cor 2,9). Il figlio di Giona legge nel Figlio dell’uomo il segno di Giona, la rivelazione di Dio. Il cristianesimo è conoscere e amare la persona di Gesù. Credere al suo messaggio non è apprezzare o adottare la sua dottrina: è conoscere e amare lui come il Figlio di Dio, che si è fatto mio fratello per darmi il suo stesso rapporto col Padre.

Pietro allora diventa «pietra», attributo di Dio (cfr. Dt 32,4;Is 17,10), come lo fu anche di Abramo, padre dei credenti (cfr. Is 51,Is). La fede nel Figlio gli dona la prerogativa di Dio stesso. La Chiesa si costruisce su questa pietra come la casa di coloro che sono ormai familiari di Dio (cfr. Ef 2.19-22). Ogni potere di morte si infrangerà contro il Dio vivente e quelli di casa sua. La sua fedeltà ha l’ultima parola su ogni nostra infedeltà, al di là di ogni nostra fragilità e peccato, che pure Pietro sperimenterà (cfr. 14,29-31; 26,32-35.69-75; 28,7.10).

In conclusione la fede di Pietro è la chiave che apre il Regno. «Darò» è al futuro: la promessa vale per il tempo che segue. La fedeltà di Dio garantisce la fede di Pietro, nella quale poi egli confermerà i fratelli. “Legare e sciogliere” (i due verbi applicati da Gesù a Pietro) significa proibire e permettere, interpretando autenticamente la Parola. Inoltre significa ammettere ed escludere dalla comunità. In base al dono della fede, a Pietro è dato il pegno/impegno di dire ciò che è conforme o meno ad essa e, di conseguenza, dichiarare chi appartiene o meno al Regno.

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chiusura

Gesù ordina di non dire ad alcuno la sua vera identità poichè il Figlio dell’uomo non è il Cristo che pensa Pietro, ma quello che si rivelerà subito dopo, e che Pietro non vorrà accettare.

La persona di Gesù interpella i discepoli (e quindi anche noi) a riconoscerlo nella sua vera identità; da questo riconoscimento nasce la professione di fede, cioè il rapporto con lui per quello che egli realmente è; da questa relazione si sviluppa la possibilità di una chiamata ad una vocazione che eccede ogni nostra attesa e ci lancia in una missione per il bene dei fratelli.

per rifLettere

“Ma voi, chi dite che io sia?”Chi è Gesù per te? Una bella idea del passato od una persona viva con cui relazionarsi?

Tu sei il Messia, Colui che salva e che stavamo aspettando. E’ l’atto di fede che determina una vita; è così anche per me?

“E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa.”

La vocazione nasce dal rapporto vero con Gesù. Coltivi il rapporto con Cristo per capire la tua vocazione o pensi che sia un tuo “affare privato”?

”A te darò le chiavi del regno dei cieli”. La vocazione ci è data per il bene dei fratelli e la si scopre solo coltivando la generosità nella vita quotidiana. Vivi nella logica della gratuità o sei tutto centrato su di te?

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20 Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa.

21 Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». 22 Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». 23 Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato».24 Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. 25 Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. 26 Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore 27 e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. 28 Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

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iL contesto

Ci troviamo nella seconda sezione del vangelo matteano (capp. 14-28). Se nella prima (capp. 1-13) Gesù è stato sempre in Galilea, si è presentato in parole ed in opere al suo popolo, ma è stato rifiutato, ora, nella seconda sezione, Gesù prende le mosse dalle regioni limitrofe alla Galilea, lontane da Gerusalemme e abitate da pagani, e percorre la strada verso la città santa, che sarà anche il suo cammino di manifestazione attraverso la passione, morte e resurrezione. Siamo in prossimità al suo ingresso nella città santa (cfr. 21,1-11) e nei versetti immediatamente precedenti (20,17-19) al nostro passo leggiamo il terzo annuncio che Gesù fa della sua morte e resurrezione, cui fa seguito, in modo paradossale, la curiosa richiesta della madre dei figli di Zebedeo. La nostra scena, che si svolge a Gerico, si divide in due parti: il dialogo tra Gesù e la madre di Giacomo e Giovanni (vv. 20-23) e il rimprovero di Gesù agli altri discepoli che discutevano tra loro (vv. 24-28).

iL diaLoGo tra Gesu’ e La madre dei fiGLi di zebedeo

Una domanda viene a Gesù dalla madre di Giacomo e Giovanni. Questa donna adora e chiede; tuttavia anche una preghiera devota e ossequiosa nella forma può essere perversa nel contenuto. L’involucro della religiosità può nascondere qualcosa di poco divino e molto umano, addirittura diabolico (cfr. 16,23): un tentativo di ridurre Dio a mediatore dei nostri fini egoistici. Il Signore però non si sottrae alle richieste di quella donna; egli vuole che esprimiamo i nostri desideri, anche sbagliati, in modo che possiamo confrontarli con i suoi. La madre infatti si sente libera e chiede un “posto speciale” per i suoi due figli. È cosa buona desiderare e chiedere di essere vicini al Signore nel suo regno; tuttavia questa donna ignora, come tutti, qual è il «suo» regno, che si realizzerà sulla croce. Lì sarà intronizzato, ma con altri due suoi fratelli, uno a destra e l’altro a sinistra. La risposta di Gesù è allora netta poiché sia la donna che gli altri ignorano che il suo regno è quello del Figlio perfetto come il Padre, che ama e serve i fratelli, e sa dare loro la vita. Chi vuole stare accanto a lui deve bere il calice della passione, che Gesù stesso sarà tentato di non bere. Nel momento decisivo chiederà al Padre: «Non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (26,39). Gesù è il primo uomo che chiede a Dio di non fare ciò che la sua volontà umana desidera, ma ciò che la volontà del Padre nel suo amore desidera per lui. I due discepoli danno una risposta positiva anche se non sanno ancora che calice sia; lo berranno, ricevendo il suo stesso battesimo (cf. Mc 10,39). Di fatto Giacomo sederà alla sua destra poiché sarà il primo tra gli apostoli a bere il calice di Gesù, martirizzato nell’anno 42 (At 12,2). Giovanni, a sua volta, sederà alla sua sinistra poiché secondo la tradizione, sarà l’ultimo a testimoniare il suo Signore. Essere associato alla gloria del Figlio è dono del Padre, preparato fin dalla fondazione del mondo (25,34) per tutti gli uomini, creati appunto nel Figlio per essere figli.

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iL rimprovero di Gesù (vv. 24-28)

Gli altri dieci discepoli discutono animatamente. Infatti, quando si litiga, è perché si desidera la stessa cosa. Anche loro intendono la gloria in modo umano e sono mossi da rivalità contro i due, perché vogliono la stessa cosa. Gesù allora li chiama e li rimprovera. Anche i discepoli conoscono e vogliono la stessa gloria dei capi delle nazioni. Il potere dei potenti non è servizio e liberazione, ma dominio e schiavitù; il loro modello di gloria, che tutti invidiano, è il contrario di quello di Dio. Per questo Gesù rivolge un severo monito a quanti salgono con lui a Gerusalemme. Il vero potere, che sviluppa le possibilità dell’uomo e lo rende simile a Dio, è l’amore, che serve tutti e non opprime nessuno. È importante che l’autorità nella Chiesa non sia esercitata secondo i criteri, evangelicamente stupidi, della vanagloria. La vera grandezza è quella di Dio, la cui gloria è servire (cfr. Gv 13.1ss), al contrario asservire gli altri è proprio dell’uomo fallito. Quindi non solo dobbiamo essere grandi, ma anche primi, secondo però il criterio del Signore Gesù. Il primo è colui che si è fatto ultimo per amore. Servo è uno il cui lavoro appartiene all’altro; schiavo è uno che appartiene lui stesso all’altro. La perfezione dell’amore consiste nell’«essere dell’altro», come Dio. È il capovolgimento della vanagloria dell’uomo, che destina tutto al vuoto del nulla. La gloria non è servirsi dell’altro, ma servirlo; non è possederlo, ma appartenere a lui per amore. La libertà è essere nell’amore «schiavi» gli uni degli altri (Gal 5,13), così come iI Figlio dell’uomo, il Signore stesso, sta in mezzo a noi come colui che serve (Le 22,27; cf. Gv 13,1-17). Egli dà la vita: fa vivere l’altro, realizzando così pienamente se stesso a immagine di Dio, datore di vita. La dà in riscatto per tutti: dal dono del Figlio dell’uomo viene il riscatto di ogni figlio d’uomo, che torna ad essere figlio di Dio.

in sintesi…

ll filo rosso che collega la richiesta della madre dei figli di Zebedeo e lo sdegno degli altri dieci è il completo fraintendimento della missione di Gesù. La sua gloria di Messia mandato dal Padre consiste nel pieno dono di sé fino alla morte. Un dono offerto perché i fratelli abbiano la vita; un dono che si concretizza nel servizio di colui che lava i piedi ai suoi discepoli.Bere il calice di Gesù, partecipare alla sua gloria, sedere alla sua destra ed alla sua sinistra, significa fare le sue stesse scelte, mettersi al servizio dei fratelli, essere disposti a morire per dare la vita.

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per rifLettere…

Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gesù vuole che la madre dei due fratelli chiarifichi i propri desideri alla luce del Vangelo. Ti stai abilitando a vivere secondo questo criterio di discernimento? Ti confronti con qualcuno per verificare la natura dei tuoi desideri? Nella preghiera chiedi luce per essere illuminato, oppure vivi sull’onda di voglie momentanee e sregolate? Potete bere il calice che io sto per bere? La domanda di Gesù è un invito ai discepoli a mettersi nella logica della piena obbedienza. Obbedisci a qualcuno? Sei disposto a recedere dalle tue posizioni, anche se ti costa sacrificio? Sai che morire a noi stessi è l’unico modo per dare la vita, anche se può essere molto amaro? Tra voi non sarà così. Gesù ci ricorda che nella sua comunità la logica è quella del dono di sé, dell’amore che è carità. Sei capace di servizio generoso e disinteressato? Perseveri nel tuo impegno di servizio anche quando costa, non è gratificante, non si viene ringraziati? Oppure cerchi sempre di essere il protagonista, di essere approvato e ringraziato, di mietere successi? Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti. Solo chi si dona completamente, senza trattenere nulla per sé, come ha fatto Gesù, può essere causa di salvezza per altri. Ti stai abilitando a donarti sempre più, ogni giorno? Verifichi con la tua guida spirituale il tuo cammino nell’amore? Sei attaccato a qualcuno/qualcosa che ti blocca nel donarti completamente?

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Non sappiamo più riconoscere lo stato di salute del nostro cuore e della nostra anima, anche se siamo meticolosi ascoltatori dei segnali di benessere e di malessere con i quali parla il nostro corpo. Senza una geografia del cuore e dell’anima, senza la capacità di intenderne i linguaggi e i lamenti, siamo privi di una bussola nella vita. Se non conosciamo il cuore che deve essere riempito di gioia, l’anima che deve essere salvata, come potremmo scegliere i mari nei quali gettare le reti della nostra vita? Come potremo distinguere le acque della vera gioia da quelle insidiose della tristezza e dell’inganno?Formarsi al discernimento significa abbandonare il culto fuorviante del corpo, del benessere superficiale, del fitness apparente e farsi attenti ascoltatori delle attese del cuore, delle indigenze dell’anima. Solo quelle attese e quelle indigenze ci portano ad ascoltare la voce di Dio, che del cuore è pienezza e dell’anima salvezza.

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Z. BAUMAN, Vita liquida [Economica Laterza 455], Laterza, Roma Bari 2008.

L’ideale del fitness cerca di cogliere le funzioni del corpo innanzitutto e, soprattutto, come ricevitore/trasmettitore di sensazioni. Si riferisce alla sua capacità di assorbimento; al modo in cui il corpo si sintonizza con le delizie che sono, o che potrebbero essere, offerte: a piaceri noti, o anche ignoti, non ancora inventati, nemmeno immaginati, inimmaginabili allo stato attuale, ma destinati prima o poi a essere escogitati. Come tale il fitness non ha un limite massimo: esso è anzi definito proprio dall’assenza di limite, o più precisamente dall’inammissibilità del limite. Per quanto fit sia il tuo corpo, potresti renderlo ancor più ‘fit’. Per quanto fit possa essere al momento, a tale condizione si mescola sempre, fastidiosamente, una parziale assenza di fitness, che affiora o si intuisce ogni volta che confronti ciò che hai già sperimentato ai piaceri suggeriti dal sentire e dal vedere le gioie altrui che finora non hai potuto provare e che puoi solo immaginare e sognare di vivere in te stesso.

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Ne’ suoi esterni consigli Dio ha destinato a ciascheduno una condizione di vita e le grazie relative. Come in ogni altra circostanza, il cristiano deve, anche in questa, che è capitalissima, cercare della divina volontà, imitando Gesù Cristo che protestava di essere venuto a compiere i voleri dell’eterno Padre. Importa adunque moltissimo, o giovane, accertar questo passo per non impegnarti in obbligazioni, a cui il Signore non ti elesse. A qualche anima che Dio volle favorire in modo singolare, manifestò per via straordinaria lo stato a cui la chiamava. Tu non pretendere tanto; ma consolati colla sicurezza che il Signore ti dirigerà sul retto cammino nei modi consueti alla sua provvidenza, purché tu non trascuri i mezzi opportuni per una prudente determinazione. Uno di questi è passare illibata la fanciullezza e la gioventù, o riparare con una sincera penitenza gli anni sgraziatamente trascorsi nel peccato. Altro mezzo è la preghiera umile e perseverante. Ti gioverà ripetere con S. Paolo: Signore, che volete che io faccia? Oppure con Samuele: parlate, o Signore, che il vostro servo vi ascolta. O col Salmista: Insegnatemi a fare la vostra volontà, perché siete il mio Dio. O altra consimile affettuosa aspirazione. Allorché dovrai venire alla risoluzione, rivolgiti a Dio con più speciali e frequenti orazioni, indirizza a quest’intento le preghiere nella santa Messa; applica a questo scopo qualche comunione. Puoi anche praticare qualche novena, qualche triduo, qualche astinenza, visitare qualche insigne santuario. Ricorri anche a Maria, che è la madre del buon consiglio, a S. Giuseppe suo sposo, fedelissimo ai divini comandamenti, all’Angelo custode e a tutti i santi avvocati. Sarebbe ottima cosa, potendo, il premettere a decisione sì rilevante gli esercizi spirituali o qualche giorno di ritiro. Proponiti di seguire i voleri di Dio che che te ne possa avvenire, e malgrado la disapprovazione di chi giudicasse secondo le viste del secolo. Ove i genitori o altre persone autorevoli ti volessero disviare dal cammino a cui Dio ti invita, ricordati che è quello il caso di mettere in pratica il grande avviso di ubbidire a Dio e non agli uomini. Non dimenticare, no, il rispetto e l’amore dovuto agli oppositori; rispondi e trattali sempre con umiltà e mansuetudine, ma senza pregiudicare al supremo interesse dell’anima tua.

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Chiedi parere sul tuo contegno da osservare e confida in Chi tutto può. Consulta persone timorate del Signore e sagge, specialmente il confessore, dichiarando con piena schiettezza il caso e le tue disposizioni.

Quando S. Francesco di Sales ebbe palesato in casa che Iddio lo chiamava al sacerdozio, i genitori gli osservarono che come primogenito della famiglia doveva esserne l’appoggio ed il sostegno; che l’inclinazione allo stato ecclesiastico derivava da una divozione indiscreta, e che avria ben potuto santificarsi anche vivendo al secolo. E per meglio impegnarlo a secondare le loro intenzioni gli proposero un matrimonio onorevole e vantaggioso. Ma nulla valse a smuoverlo dal santo proponimento. Antepose costantemente la volontà di Dio a quella del padre e della madre, che pur teneramente amava e profondamente rispettava, e preferì di rinunciare a tutti i vantaggi temporali, anzi che di venir meno alla grazia della sua vocazione. I genitori che, non ostante qualche men retta idea originata da viste mondane, erano persone di pietà, ebbero in seguito a chiamarsi contenti della risoluzione del figlio.

Eccomi ai vostri piedi, o Vergine pietosa, per impetrare da voi la grazia importantissima della scelta del mio stato. Io non cerco altro che di fare perfettamente la volontà del vostro divin Figlio in tutto il tempo della mia vita. Desidero ardentemente di scegliere quello stato che più mi renderà consolato quando mi troverò in punto della morte. Deh! Madre del buon Consiglio, fatemi risuonare agli orecchi una voce che allontani ogni dubbiezza della mente mia. A voi si aspetta, che siete la Madre del mio Salvatore, essere altresì la madre della mia salvezza; perché se voi, o Maria, non mi partecipate un raggio del divin sole, qual luce mi rischiarerà? Se voi non m’istruite, o Madre dell’increata Sapienza, chi mi ammaestrerà? Udite dunque, o Maria, le mie umili preghiere. Indirizzatemi dubbioso e vacillante, reggetemi nella retta via, che conduce all’eterna vita, giacché voi siete unica speranza di virtù e di vita, i cui frutti non sono altro che frutti di onore e di onestà.Tre Pater, Ave e Gloria

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La divina provvidenza, avendo fissato ad ogni uomo il posto che deve occupare nel mondo dovette farglielo conoscere con segni speciali. Questi segni esistono ed ecco i principali: 1. L’attitudine — Il primo segno per conoscere se Dio ti chiama ad uno stato, è di vedere se hai, o per lo meno se puoi acquistare, le doti necessarie a compierne degnamente le obbligazioni. Per esempio: se non hai abbastanza salute, virtù ed intelligenza per divenire ecclesiastico, magistrato, medico.... devi giudicare che Dio non ti vuole in nessuno di questi stati. Se ti volesse in alcuno di essi ti darebbe i mezzi per abbracciarlo. 2. L’inclinazione — Il secondo segno della vocazione è una certa inclinazione dolce insieme e forte, che trascina verso questo o quello stato: tale una tendenza che difficilmente cangia e resiste o ad ogni altra mira ed a tutte le burrasche: essa non agita l’anima, anzi mette la coscienza in dolce e pacifica quiete, che non le pare possibile trovare altrove. Tale tendenza è segno certo di vocazione, soprattutto allorché, dopo la santa comunione, Dio tacea amorosamente il cuore e l’illumina così da persuaderlo che, se non abbraccia quello stato, dovrà pentirsene al punto di morte.3. La purità d’intenzione – Il terzo segno della vocazione, è quello per cui non si sceglie uno stato per movimento di concupiscenza, per desiderio d’onori, di ricchezze o di piaceri, per debolezza e per piacere ai parenti, ma per fare la santa volontà di Dio, salvare l’anima e servire al prossimo.Se ognuno vivesse una vita pura e disinteressata, la voce del Signore si farebbe sentire a ciascuno come già risuonava alle orecchie di Samuele; né più alcuno s’ingannerebbe. Ma, oh quanto è difficile udirlo fra le tempeste delle passioni della gioventù! Silenzio, adunque, innocenza, umiltà, abbandono in Dio, apertura intera di coscienza col direttore spirituale. È cosa orribile ingannarsi in un punto di tanta importanza; ma s’inganna solamente chi vuole e non si serve dei mezzi che Iddio gli pone in mano per conoscere la sua santa volontà.

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BOSCO G., L’entrata nel mondo Ovvero consigli ad un giovanetto che lascia la scuola per abbracciare uno stato, = Letture Cattoliche, Torino - Tip. dell’oratorio di S. Francesco di Sales, giugno – luglio 1969.

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ne Studia per tempo la tua vocazione.

La mente ed il cuore del giovane, non ottenebrati da passioni né da pregiudizi, possono più facilmente secondare le divine ispirazioni e dirigersi a più nobile fine.Essendo la vocazione cosa della massima importanza, impiega a fine di conoscerla tutti i mezzi naturali e soprannaturali che Dio ha posto nelle tue mani. Ed ove sia d’uopo sarà anche bene passar qualche tempo negli esercizi spirituali, per conoscere meglio la volontà di Dio.Giunto il tempo di trattare soggetto di tanta importanza :1. Purifica la tua coscienza colla confessione generale o straordinaria, e fa di metterti in grazia di Dio; imperocché un intelletto offuscato dalla colpa non può ricevere i lumi del cielo.2. Dichiara al tuo confessore non solamente i peccati, ma le inclinazioni, le intenzioni, le forze di corpo e di animo e perfino i buoni sentimenti che Dio ti dona.3. Prega molto e sovente con Davide: “Signore, insegnatemi la via per la quale volete ch’io cammini”; oppure con San Paolo: “Signore, dite cose volete ch’io faccia?”. Ripeti queste parole ogni giorno nella santa Messa e particolarmente dopo la elevazione. A tal fine accostati di frequente alla santa comunione unendovi qualche buona opera: digiuni, mortificazioni, elemosine, secondo l’avviso del confessore. Ricorri in modo speciale a S. Giuseppe con qualche fervente preghiera.4. Prendi la tua decisione senza occuparti né di fortune, né di onori, né delle mire dei genitori, sì bene al cospetto dell’eternità. Pensa a quanto vorresti aver fatto all’ora della morte: in quell’istante, oh qual dolore per l’anima che si sbagliò in cosa di tanta importanza!5. Fatta la scelta, sii pronto e coraggioso nell’eseguirla. Dio ha parlato: obbedisci prontamente ed allontana come tentazioni i pensieri contrari: che potrebbero sopravvenirti. Quale sventura non sarebbe la tua, se, conosciuta la volontà del Signore, ti lasciassi rimuovere da umane influenze!

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Le MANI G., Vivere è rispondere, 2003.

Ma come si scopre la propria vocazione? Ecco cinque re-gole che proponevo ai bambini, per indovinare cosa avreb-bero dovuto fare in futuro; sono regole che possono aiutare anche noi. prima regola: devo fare ciò che mi colma il cuore di più. Non è una regola difficile da accettare, anche se è dif-ficile da attuare. Infatti, più che “ciò che mi piace”, il più delle volte si dovrebbe dire ciò che “mi piacerebbe se ...”. Quello che “mi piace per davvero” è ciò che realizza il de-siderio più profondo celato nel mio intimo e che, quasi mai, è il primo che salta in mente; anzi, di solito è quello che mi fa più paura di tutto. La seconda regola integra la prima. Seconda regola: sce-gliere ciò che mi costa di più. La vita è impegno e responsa-bilità ed è solo attraverso lo sforzo che si realizza il meglio di noi stessi. A questo proposito, ricordo un giovane sacer-dote che, dopo una collaborazione di diversi anni con me, prima di partire per un altro servizio, mi lasciò un biglietto sul quale aveva scritto: “Ti ringrazio, perché mi hai chiesto sempre più di quanto pensavo potessi dare”. terza regola: preferire sempre ciò che serve di più agli altri. Secondo l’insegnamento di Gesù, chi ama la propria vita, la perde; chi dona la propria vita, la trova. Il capitale non si aumenta conservandolo, ma investendolo bene. Di-ceva Raoul Foullerau, il grande apostolo dei lebbrosi, un uomo che ha salvato milioni di vite da questa terribile ma-lattia: “Non c’è disgrazia più grande che possa capitare ad un uomo, che quella di accorgersi di non essere stato utile a nessuno”. Nessuno si salva da solo. Siamo perso-ne, esseri relazionali: il mio “io” è sempre per un “tu” e passa sempre per un “noi”. È solo rendendolo un autentico servizio ad altri, cercando di svolgerlo il meglio possibile mettendoci del mio, che un lavoro, anche se non scelto ma subìto per le innumerevoli traversie della vita, può diventare qualcosa che mi realizza, e non un orribile frustrazione sop-portata solo per portare a casa uno stipendio. Da qui l’altra regola, l’unica che può dare coerenza alle altre tre. Quarta regola: scegliere solo ciò che mi dà la vera pace del cuore. “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” [Gv, 14, 27] ha detto Gesù nell’Ultima Cena ai suoi discepoli. La scelta più autentica, anche se molto difficile, è quella che, sia quando la imma-gino che quando l’attuo, è capace di farmi sentire bene; è quella che dà pace al mio cuore inquieto, facendomi sentire al giusto posto. La pace è il dono di Dio per eccellenza;

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pertanto, la scelta che mi dà pace è quella che realizza sia la mia volontà più profonda, sia quella che Dio ha su di me: “E ‘n la sua voluntade è nostra pace”, dice Dante [PAR, III. 85]. Quinta regola: consultarmi con una persona adulta e che mi conosce bene, per verificare se ho applicato corretta-mente le regole precedenti e se sono sufficientemente obiettivo nel mio giudizio. Attenzione! Applicare queste regole, vuol dire contestare il comune modo di pensare che, invece, preferisce ragionare così: “Se vuoi essere pie-namente realizzato, scegli solo ciò che ti fa guadagnare di più e con meno fatica possibile!”. Stai attento: in gioco c’è la tua felicità, il cui segreto è contenuto in due semplici pa-role “di più”, [in latino magis], che fanno scattare in te tutte le potenzialità che Dio ti ha dato perché vengano messe a servizio degli altri.

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Nto Nella prospettiva di una autentica ricerca vocazionale.

le cose si fanno ancora più ardue: chi può sapere con sicu-rezza che la mia vocazione sia proprio questa o quest’altra (la famiglia, la vita consacrata, il sacerdozio…)?Evidentemente anche nella risposta alla chiamata, così come nelle decisioni più importanti della nostra vita, non si possono cercare certezze assolute, perché non ce ne sono, ma si tratta di fare un cammino di discernimento alla scoperta dei «segni» che sono disseminati nella nostra storia personale:«Discernere significa cogliere nella realtà di una persona i segni che permettono di conoscere la sua vocazione: l’o-rientamento verso di essa, l’idoneità per viverla, la volontà di viverla» .Allora è chiaro che la chiamata di Dio non è mai sufficiente a se stessa per l’uomo, ma necessita dell’ascolto docile del chiamato, che si realizza proprio nel discernimento, ovvero nel saper ascoltare, valutare, giudicare e sceglie-re spiritualmente ciò che Dio propone con il suo appello personale.

che cos’è il discernimento?• Ilterminederivada‘distinguere’,undiscriminaresia con l’intelletto che con i sensi.• Derivada‘pesare’,metteresullabilancia,valutarecon attenzione e necessita un ‘fermarsi’ che permetta di valutare con attenzione le varie possibilità e scegliere quel-la giusta.• Dalpuntodivistacristianoèuninvitoamettersiin ascolto (o meglio: in auscultazione) della volontà di Dio, ovvero dei profondi desideri che Egli ha nei nostri confronti e ‘leggere’ così la realtà della propria storia e del proprio cammino, “interpretandolo” correttamente (alla luce dello Spirito), per poi prendere le giuste ‘decisioni’ (per-con-in Cristo).

chi sono i soggetti del discernimento?Per entrare nel discernimento è necessaria la convinzione che la prospettiva vocazionale è dialogale, ovvero fatta di chiamata e risposta. Un rapporto serrato tra l’uomo e Dio all’interno della Chiesa, ossia tra me e i mediatori che Dio mi fa incontrare sul mio cammino. • DioPadre:Coluichepensa,parlaerealizza,Coluiche sta all’origine di tutto, amore senza fondo e senza limi-te. Dio Figlio: Colui che chiama, Colui che sta vicino, Colui che redime nel nome del Padre, Colui che è ormai, con la Sua incarnazione, eterno compagno di viaggio di ogni

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uomo. Dio Spirito: Colui che sta dentro di me suggerendo-mi ciò che il Figlio e il Padre desiderano da me, Colui che oggi mi porta i desideri di Dio e che mi dona la forza per poterli realizzare.• Ilsoggetto,spiritoincarnato,figliodiDio(legatoaDio nella struttura della libertà e non della schiavitù), pec-catore perdonato, che legge la sua storia, cerca di interpre-tarla, cerca di giudicarla.• LaChiesache,attraverso lesuemediazioni, ac-compagna, sostiene, cura, attende, osserva e decide.Allora in questa prospettiva dialogica comprendiamo come mai la Chiesa, che è maestra e madre, affermi che il primo «segno decisivo della volontà di Dio è espresso nel giudizio di coloro che sono i ‘mediatori dell’azione del Signore’».

Quando entrare nel discernimento?• Intuttiimomentidicrisi(“crino” in greco dice il setacciare che distingue la pula dal grano, allora crisi non ha immediatamente una coloritura negativa, ma indica quel passaggio che distingue) della nostra vita.• Intuttiimomenticrucialidellavita,dovesiamodifronte a qualche bivio che non ci trova certi e motivati sulla direzione da prendere.• Inmanieraspecialequandosidevedecideresulproprio “stato di vita”, che deve essere appunto inteso cri-stianamente come “scoperta” (e non invenzione) e “acco-glienza” (e non dovere) della propria vocazione.

condizioni del discernimento• L’abbandonodellapresunzione-convinzionesuici-da di “bastare a se stessi”. Non c’è niente di peggio per un uomo!• Il silenzio interiore, condizione essenziale dell’a-scolto di Dio e dei Suoi desideri.• L’eserciziorealeeresponsabiledellaproprialiber-tà, che è assolutamente insostituibile!• L’apertura all’Altro: la struttura del discernimen-to è sempre dialogica e mai monologica e diventa da una parte obbedienza della fede, centro della vita cristiana, e dall’altra servizio appassionato per i fratelli.• La retta intenzione come base della vocazione,che è considerata un segno «caratteristico e indispensabi-le», e viene definita come: l’interesse e l’inclinazione auten-tici per una missione specifica, una vera motivazione spiri-tuale, e soprattutto la capacità concreta di fare una scelta personale per Cristo.

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Questo è determinate per ciascuna vocazione e maggior-mente per quella alla vita religiosa.Essa può essere considerata la motivazione profonda della scelta vocazionale.

La relazione con il chiamante• SeilSignoredellavitacihacreati,donandocideidoni unici per ciascuno, doni che sono responsabilità e uti-lità per la realizzazione del suo grandioso progetto d’amore, allora solo Lui potrà svelare il senso del nostro esistere, solo Lui potrà mostrarci dove dobbiamo andare, quale percorso compiere, solo Lui. Il primato della relazione personale e comunitaria con Lui è la prima via di discernimento. Una preghiera che deve diventare assidua, prolungata e totaliz-zante. Una preghiera di ascolto (come quella dell’Angelus: “si compia in me secondo la tua volontà”), una preghiera di lode per quanto ho ricevuto e per le responsabilità che den-tro questi doni sono custodite, una preghiera di invocazione allo Spirito: perché purifichi i miei occhi alla scoperta dei Suoi segni e renda docile il cuore affinché ad essi aderisca, una preghiera sempre più mariana ed eucaristica.• PreghierachetrovailSuoverticenellacelebrazio-ne frequente del sacramento della Riconciliazione (almeno mensile e con un confessore stabile) e nell’Eucaristia (do-menicale e infrasettimanale).

Quali sono i miei tempi e momenti di preghiera?I miei passi nell’ itinerario sacramentale: Confessore stabile!? Scadenza celebrativa della riconciliazione e dell’Eucaristia!?

La raccolta delle voci che divengono appello1. La mia persona• Italentipersonali(dBcapacediattirareaséira-gazzi, di farsi loro capo ed amico…),• ilcarattere(dBestroversoeforte;capacedidialo-go e di fermezza…), • lecondizioniculturali(l’ignoranzaelosfruttamen-to dei ragazzi dell’Ottocento), • l’inserimentosociale(dBelarivoluzioneindustria-le torinese),• ledinamicheintellettuali(lasuasplendidamemo-ria e la sua capacità di tradurre ai ragazzi le cose complesse e culturalmente necessarie),• leamicizie(Comollo,Cafasso,Giona…),• unapersonaincontratachehasvoltounfortein-flusso (don Calosso; don Cafasso).

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Quali sono i miei talenti? Elencane almeno 10!Provo a tracciare un profilo del mio carattere!Quali sono le persone più significative che stanno segnan-do la mia vita?

2. La Chiesa ed il mondo• LaChiesachechiamasecondoibisognideltem-po (dB e i preti che tenevano le distanze dai giovani).• Leurgenzee lesofferenzedei fratelli (dBedra-gazzi delle strade di Torino e delle carceri).• Situazionicheabbiamotrovatosenzacercarle,néprogrammarle e neppure desiderarle (dB e Bartolomeo Ga-relli).• Uncontestoforte,unaspeciediincrociodelleco-ordinate della storia che chiedono una risposta totale da parte di chi ha la capacità di leggerla e di portarne il peso con la forza del Signore. • Lapersonachiamataaduncertopuntoècomese percepisse che fra tutte queste dinamiche si crea una composizione, come un mosaico che si viene a formare, tracciando al proprio sguardo un disegno armonico.

Chi sono i miei amici “più” e quali valori sollecitano nella mia vita?Come vedo la Chiesa attorno a me?Quali sono le sofferenze che scorgo più diffuse fra i ragazzi?Ci sono stati nella mia vita uno o più episodi che mi hanno provocato particolarmente?

L’incontro con le mediazioniDon Bosco diceva che un ragazzo su tre che vive nei nostri ambienti ha una vocazione speciale, ma non tutti riescono a trovarla e molti la ignorano perché non hanno una guida stabile e personale che li aiuti ad interpretare i segni che quotidianamente sono loro dati. • Ildonodiunaguidastabile,cheripeschicostan-temente le nostre discontinuità, le nostre ribellioni, le no-stre stanchezze è un amico prezioso. Molti giungono a non comprendersi più perché, ripiegandosi su se stessi e cer-cando da soli il proprio itinerario, hanno rifiutato la media-zione di chi forse avrebbe qualche preziosa indicazione da dare, per quanto povero, ma pur sempre strumento della Sua voce. La “direzione spirituale” è allora l’ambito con cui viene assicurata, in maniera oggettiva, la vicinanza e la cura della Chiesa per i suoi figli.• Un’ulteriore formadi accompagnamento, svilup-pato e curato da don Bosco, è quello comunitario espres-so ai suoi tempi dalle “compagnie” e dalla condivisione di

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vita con i suoi figli. Attualmente questo si realizza in senso ampio nel Gruppo Ricerca, nelle piccole esperienze di co-munità e nel servizio ai più piccoli ed ai più bisognosi, ed in senso stretto in un’esperienza di vita comunitaria. Essa è il luogo del discernimento attuato nel quotidiano, dove un giovane si confronta concretamente con la vita di do-nazione totale, con la preghiera, con la vita fraterna, con l’apostolato tra i giovani…

il valore del quotidianoUn ulteriore aspetto di discernimento è la vita quotidiana di ciascuno, perché «la vocazione va riconosciuta attraverso i segni quotidiani».«Lo spirito non segue di solito modalità straordinarie, ma parla attraverso gli atteggiamenti e le aspirazioni, le inten-zioni e le motivazioni che si percepiscono nel quotidiano, nell’interazione con le persone, nel confronto con la realtà e nel corso degli eventi». Evidentemente la conoscenza nel quotidiano necessita di una vigilanza e di una fedeltà coltivate. Il proprio impegno quotidiano è emblematicamente il luogo di una prima ri-sposta all’appello di Dio, che dona doti, risorse, possibilità di crescita e di donazione. In questo impegno quotidiano si manifesta una fedeltà che deve essere perpetuata nell’a-desione ad uno stato di vita: “Chi è fedele nel poco sarà fedele anche nel molto” (Lc 16,10).

Sto vivendo con impegno, che diventa testimonianza con-creta, i miei doveri quotidiani? Dove il Signore mi chiede un impegno ulteriore?

il servizio ai destinatari di ogni chiamataCome si diceva precedentemente, l’accoglienza dell’appel-lo della Chiesa e del mondo diventa un criterio di discerni-mento fondamentale. Non solo la visione e la presa di co-scienza di questo appello, ma il fattivo impegno al servizio dei fratelli.Dentro questo ambito si scopre la cosiddetta “connaturali-tà vocazionale”. È chiaro che, se cresce una passione di attenzione e dona-zione ai ragazzi, un piccolo segno può essere evidenziato, così per ammalati, handicappati ecc. I fratelli sono la via alla scoperta di Lui e del Suo progetto.

Qual è concretamente il mio impegno di servizio?Qual è il dono più bello che sto ricevendo da questa espe-rienza?

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La disponibilità e le faticheDi fronte a una vocazione, elementi centrali sono la disponi-bilità e l’accoglienza. Tante sono le possibili motivazioni per non essere disponibili:• Latentazionepiùsempliceèquelladiaffermareche la nostra possibile vocazione ci renderebbe infelici e non ci realizzerebbe affatto;• un’altraèlanostraindegnitàpersonaleelanostramiseria;• un’altrapotrebbeesseredatadalladifficoltàdellamissione;• un’altraancoralanostramancanzadifede…

Provo ad elencare le mie difficoltà di fronte ad una possibile chiamata.

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LeVON BALTHASAR H.U., Vocazione, Rogate, Roma, 2002.

Sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento la vocazione esi-ge innanzitutto una disponibilità incondizionata e illimitata a tutto ciò per cui Dio potrebbe e volesse usare e inviare chi da lui è chiamato (Gen 12, 1; I Sam 3, 9; Is 6, 8; Atti 9, 6). Viene quindi esclusa, se la realtà «vocazione» deve ve-rificarsi, una disponibilità limitata in antecedenza da parte dell’uomo: io voglio seguire la chiamata di Dio e servirlo, se posso fare questo o quello, se vengo sistemato in que-sto o quel posto.Il sì al Dio che chiama è troppo vicino all’atto di fede nel Dio che si rivela, per poter permettere tali limitazioni; atto di fede che deve avvenire in maniera ugualmente illimitata nei confronti di tutta la verità di Dio, sia che l’uomo la com-prenda o no, sia che gli sia gradita o spiacevole. La speci-ficazione del «per che cosa» dell’essere chiamato avviene da parte di Dio soltanto all’interno del sì della disponibilità incondizionata. […]L’unico atto col quale un uomo può corrispondere al Dio che si rivela è quello della disponibilità illimitata. Esso è l’unità di fede, speranza e amore. Ed è pure il sì che Dio esige, quando vuole servirsi di un credente secondo i suoi piani divini. Soltanto in questo senso (femminile - maria-no - ecclesiale) di assoluta disponibilità Dio pone il seme tanto della sua Parola che del suo incarico missionario (i quali alla fine sono lo stesso seme). Solo questo sì di illimi-tata disponibilità è l’argilla con la quale Dio può dar forma a qualcosa; solo essa ha forza redentrice, nella grazia di Cristo, corredentrice […].Per questo le esigenze di Gesù quando accoglie i discepoli che Lui ha chiamato sono così dure: abbandonare tutto; essere disposti a tagliare radicalmente anche i legami na-turali della famiglia, della pietà («seppellire il padre»), fino a non avere nulla su cui posare il capo, puntare tutto sull’u-nica carta della chiamata, quella di Colui che chiama. […]Oggi i sì limitati e condizionati da clausole paralizzano dap-pertutto le vocazioni.O ci si vuole impegnare ancora soltanto a tempo (e si to-glie così a Dio ogni possibilità di disporre di tutto l’uomo) oppure soltanto per un lavoro determinato che si ha in mente, che attira o che sembra adatto ai tempi (si legano così le mani, a coloro che sono preposti nella chiesa, nel disporre dei loro sottoposti) oppure si progettano, […] in maniera tale che permettano disponibilità del genere date a metà o in maniera ancor più parziale, e ci si accontenti di ciò. Dappertutto, dove questo accade, ci si chiede in prima

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Prova ad attuare quanto don Bosco nella concretezza suggerisce per la quotidianità nei 5 passi che sono

stati tracciati. Può essere utile tradurli per la tua vita in ulteriori 5 elementi concreti.

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per L’approfondimento ti suggeriamo come testo per il mese: DE VANNA U., Filippo Rinaldi =

Con don Bosco, LDC, Torino-Leumann 1997. Oppure Bosco T., Don Filippo Rinaldi = Eroi 12, LDC, Torino Leumann 1990.

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linea soltanto di che cosa ha bisogno «la Chiesa» o magari di che cosa ha bisogno «il nostro tempo» o, ancor peggio, di che cosa «ha bisogno» il prete o il religioso moderno, per sviluppare armonicamente la sua personalità, ma non ci si chiede più di che cosa Dio ha bisogno.Ciò di cui Dio può servirsi secondo le intenzioni del suo Regno è soltanto un dono totale che non pone alcuna con-dizione.

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pregHiera e SacrameNti

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vincent van GoGh La chiesa di Auversolio su tela 94x741890Questa chiesa, descritta a un mese dalla morte dell’artista, è tetra, desolata, massicciamente stagliata contro un cielo plumbeo, vista dal retro e parzialmente adombrata dalla sua stessa mole. L’ambiente interno è certamente vuoto. È questa la chiesa di un pittore che ha perso la fede, che non ne vede l’entrata, né l’uso. L’edificio è persino posto in mezzo ad un bivio di stradine che lo circondano come un fossato, perché non ne lasciano intravedere l’accesso principale. Sulla sua strada, una sola donna di spalle già rivolta più alla strada che all’edificio. Ma che non vi sia anche la lettura opposta? Sul bivio dell’esistere, nella solitudine del cammino, che l’unica speranza sia proprio quella dell’incontro con un Mistero che c’è, massiccio e solido, per chi lo vuole incontrare?

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1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. 2Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, 3Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. 6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». 8Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». 10Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». 11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».

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iL contesto

La celebrazione della Pasqua per Giovanni, a differenza che negli altri Vangeli, inizia non il giovedì, ma il venerdì sera, quando sulla croce sarà immolato l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (cfr. 1,29). La scena che stiamo leggendo ne anticipa il significato. Siamo nell’ora di Gesù, la «sua ora», preannunciata all’inizio (cfr. 2,4) e richiamata alla fine del libro dei segni (cfr. 12,23); è quella del ritorno al Padre, l’ora della Gloria. Tutto «il giorno» di Gesù punta a questo momento. È l’ora della croce, dove Creatore e creatura finalmente si incontrano. E’ l’ora in cui Gesù ci manifesta l’insondabile ricchezza dell’amore del Padre.

Ma è anche l’ora del tradimento, quando già il diavolo aveva messo nel cuore un pensiero maligno a Giuda... Gettare o mettere nel cuore significa deliberare. Il cuore è il centro delle decisioni. Per quanto sembri strano, anche il diavolo ha un cuore: una volontà menzognera e omicida sin dall’inizio (cfr. 8,44). L’evangelista sottolinea che è lui, con il suo inganno, il primo responsabile del male (cfr. Gen 3); per sua invidia entrò la morte nel mondo (cfr. Sap 2,23s). Giuda allora è attore, non autore del male. La consegna di Gesù da parte di Giuda è opera di un suggeritore, che al momento decisivo entra in lui e agisce mediante lui (cfr. v. 27). Il male nasce sempre da una parola ingannatrice (cfr. Gen 3,4ss). Giuda, come Adamo e ogni uomo, ha prestato orecchio alla parola del nemico invece che a quella del Padre.

Gesù sa che quanto sta per compiere nasce dalla sua coscienza di Figlio: egli sa che «il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa» (cfr. 3,35;17,2). Con questa consapevolezza affronta la passione. Il suo gesto di lavare i piedi a chi rinnega e tradisce realizza la possibilità ultima del potere di Dio: la libertà di amare fino all’estremo. La misura dell’amore infatti è il non avere misura. Gesù inoltre sa di essere il Figlio venuto in questo mondo per portare agli uomini perduti l’amore incredibile del Padre, che li ama come ama lui (cfr. 17,23), ancor prima della fondazione del mondo (cfr. 17,24). Non si vergogna di farsi loro fratello.

Le azioni di Gesù

L’evangelista ci parla di 7 azioni compiute da Gesù durante quella cena. Vediamole una per una.• Si alzò da tavola. Gesù lava i piedi non prima, ma durante la

cena. Non è quindi una purificazione per il pasto: è il centro del «suo» pasto. Questo conferisce al gesto un significato specifico, di anticipo della «sua» Pasqua.

• Depose le vesti. Non si spoglia solo della veste (mantello), ma delle vesti; rimane nudo, come sulla croce, dove ci dona se stesso.

• Prese un asciugamano. Questo telo, insieme al grembiule e all’asciugatoio, diventa la sua veste definitiva: quella del servo.

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• Se lo cinse attorno alla vita. La sua nudità è rivestita di servizio. In esso consiste la gloria del Dio amore; è la sua vera veste.

• Versò l’acqua nel catino. Come l’acqua delle purificazioni divenne vino per le nozze di Cana, così quest’acqua sarà tra poche ore il sangue e l’acqua che egli effonderà per noi, perché abbiamo parte con lui (cfr. v. 8b). Dio nel Mar Rosso rivelò «la sua gloria» affogando i nemici e salvando il suo popolo (cfr. Es 14,4.17-18); ora rivela la sua gloria dando la vita per i nemici.

• Lava i piedi. Lavare i piedi è gesto di ospitalità e di accoglienza, riservato allo schiavo non giudeo. Ma è anche gesto di intimità della sposa verso lo sposo e di riverenza del figlio verso il padre. Questa ospitalità e accoglienza, questa intimità e riverenza nei nostri confronti, sono le caratteristiche proprie del «Signore e Maestro» (cfr. vv. 13s). Qui il Maestro rivela chi è il Signore: non è un padrone, ma un servo. La qualità più profonda dell’amore è l’umiltà di essere a servizio dell’altro.

• Li asciuga con il telo di cui era cinto. I piedi dei discepoli, immersi nell’acqua di colui che dà la vita per loro, sono ora asciugati e rivestiti della sua veste di servo per amore.

La reazione di pietro e Le risposte di Gesù

Quando Gesù si avvicina a Pietro questi ha tre obiezioni, cui Gesù risponde.

La prima obiezione

Pietro chiama Gesù col nome di «Signore» ma ha una reazione di rifiuto: non vuole che il Signore gli lavi i piedi. Lo vuole diverso da quello che è, perché è diverso da quello che pensa lui. La contrapposizione «tu/me» indica la distanza tra Gesù e Pietro. In realtà non Gesù è lontano da Pietro, ma Pietro da Gesù. Lavare i piedi è il modo più proprio nel quale il Signore si rivela, mettendo in crisi la concezione che abbiamo di lui e di noi. A questa obiezione Gesù risponde che solo dopo la Pasqua Pietro comprenderà il mistero della donazione totale di Gesù.

La seconda obiezione

Pietro reagisce perché non capisce. Pietro non accetta che Gesù lo serva, come non accetta che il Signore dia la vita per lui; preferisce darla lui per il Signore. Gesù risponde che non accettare il suo servizio è rifiutare lui e non conoscere la gloria che lui ha prima della fondazione del mondo: l’amore stesso del Padre (cfr. 17,24). Accettare lui che «lava i piedi» ci dona la capacità di amare come lui ci ha amati, di aver parte alla sua vita di Figlio.

La terza obiezione

Pietro vuol essere con Gesù. Anche se non lo capisce, aderisce a lui. Senza saperlo, dice una verità: il Signore, lavandogli

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i piedi, gli sanerà la radice del suo camminare. L’uomo è il cammino che fa: il nuovo modo di camminare gli laverà anche le mani e il capo. Gli darà infatti un nuovo modo di agire (mani) e di pensare (capo), perché gli donerà un cuore nuovo, quello di figlio a immagine del Padre. Gesù risponde con una frase misteriosa. Forse significa che, pur avendo fatto il bagno, con ogni possibile abluzione e purificazione, battesimo compreso, se non accettiamo il Signore che ci lava i piedi, non siamo «puri», non abbiamo parte con lui alla vita di Dio. NB: durante la cena si pensa a Giuda fin dall’inizio (cfr. v. 2). Il gesto di lavare i piedi è volutamente incluso nella duplice menzione di Giuda. I brani del Vangelo che seguono evidenziano il rapporto tra Gesù e Giuda, qui messo sullo sfondo per dare il vero significato al tutto.

in sintesi…

Gesù, compiendo il gesto della lavanda dei piedi, ci avvolge tutti con la sua carità, una carità che raccoglie tutti, anche Giuda il traditore, la cui presenza include questo racconto all’inizio (v. 2) e alla fine (v. 11). Anche a lui Gesù ha lavato i piedi; e solo a lui darà il boccone, segno di affetto particolare (cfr. Mt 26,23). Gesù infatti come conosce l’amore del Padre, conosce anche quanto i fratelli ne siano privi. Essi sono nella morte; per questo viene a dare loro la sua vita.

per rifLettere…

Durante la cena cominciò a lavare i piedi dei discepoli. Gesù cerca l’intimità con i suoi discepoli. Sei cosciente che Gesù desidera sedere a mensa con te, vivere nell’intimità con te, farti sapere la ricchezza del suo amore? Coltivi il rapporto personale con lui nella preghiera? La tua preghiera personale è dialogo profondo di amicizia o un susseguirsi di parole vuote, di formule ripetute a memoria, di distrazioni? Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo. Pietro non comprende che la verità del suo Signore e maestro è quella di amare sino a farsi servo, sino a dare la vita. Coltivi la preghiera profonda, l’ascolto regolare della Parola di Dio per conoscere chi è veramente Gesù? Oppure lo conosci solo a livello di testa, come una nozione appresa sui libri? Se non ti laverò, non avrai parte con me. La conoscenza di Gesù, l’intimità con lui si costruisce non a partire da una nostra iniziativa, ma dalla Grazia che lui ci dona nei Sacramenti: Battesimo, Eucaristia, Confessione. Sei fedele alla confessione regolare? Partecipi con fede all’Eucaristia domenicale? La vivi come un momento importante per crescere nell’intimità con Gesù oppure come un dovere, come una tassa da pagare settimanalmente?

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25Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. 26Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». 27Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

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iL contesto

Siamo al culmine dell’”ora” di Gesù, dopo che i soldati si sono spartiti le sue vesti (vv. 23-24) ed immediatamente prima che egli “consegni” lo Spirito (vv. 28-30).In questa scena riconosciamo 12 personaggi, tutti focalizzati sulla croce, da cui parla Gesù con tono sovrano (mentre tutti tacciono): in alto sta appunto Gesù con i suoi due compagni di pena, in basso quattro soldati da una parte e quattro donne dall’altra, più il discepolo che egli amava (gli altri discepoli sono fuggiti, mentre rimangono le donne, «che stanno in piedi», segno di fedeltà e attesa). Come nell’ultima cena riconosciamo chi è fedele a Gesù (il discepolo, le donne) e chi è contro Gesù (i quattro soldati che si spartiscono le sue vesti); ai piedi della croce insomma tutti sono uno, lontani e vicini, nemici e amici. «Del resto fin dall’inizio il Vangelo puntava a farci stare presso la croce di Gesù: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia vita eterna» (3,14). Qui vediamo che «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (3,16); qui conosciamo “lo-Sono” (8,28) e, vinto il capo di questo mondo, siamo attirati a lui (cfr. 12,31s). Queste donne vedono e ascoltano quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore d’uomo; queste cose ha preparato Dio per coloro che lo amano (1Cor2,9). Particolare rilievo ha la figura della madre, che evoca numerosi echi biblici. Era infatti presente alle nozze di Cana, quando l’acqua diventata vino anticipò l’ora della Gloria. L’episodio delle nozze non è solamente principio dei segni, ma chiude la prima rivelazione di Gesù come agnello di Dio (cfr. 1,29.36), Figlio di Dio (cfr. 1,34.49), Messia (cfr. 1,41), re d’Israele (cfr. 1,49), Figlio dell’uomo (cfr. 1,51). A Cana Gesù è lo Sposo: anticipa simbolicamente le nozze, che qui si compiono. La madre di Gesù rappresenta l’Israele che attende, la sposa fedele che dice: «Fate ciò che vi dirà» (2,5). È quanto fa lei stessa, accettando la «sua gloria», la croce. Maria, donna/sposa e madre, è la convergenza dell’antico e del nuovo popolo, il fine dell’antica e l’inizio della nuova alleanza. Perciò Gesù si rivolge anzitutto a lei, che racchiude nella sua figura tutti coloro che amano il Signore.

Le paroLe di Gesù aLLa madre

Giovanni non dice che le donne guardano Gesù. È lui che «vede» poiché nella sua morte il Signore è sovranamente attivo. In quell’«ora», turbato per il loro dramma, Gesù non si preoccupa per se stesso, ma per loro. Chi lo ama e chi è amato si sentono abbandonati e soli, perso ognuno dietro le cose sue (cf. v. 27). Il loro vivere resta senza senso, più tragico del morire. Questa è la vera morte, non quella di chi da la vita per amore. Accanto alla madre vede il discepolo che egli amava, altra figura che suscita numerosi echi scritturistici. Questi ha fatto la sua prima comparsa in 13,23-25, mentre posava sul grembo e sul petto del Signore, depositario del suo segreto; nominato come «l’altro» rispetto a Pietro, riappare nel processo davanti a Caifa (cfr. 18,15s). Ora, stando presso la madre che sta presso la croce, vede ciò che aveva intuito quando poggiava

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il capo sul cuore del Maestro. Questo discepolo, testimone di ciò che ha visto sulla croce (cfr. 19,35), giungerà per primo al sepolcro e crederà (cfr. 20,8), riconoscerà dalla barca il Risorto (cfr. 21,7) e resterà con noi fino al suo ritorno (cfr. 21,20-24). Egli che, attraverso il suo Vangelo, canta l’amore del Figlio, è l’uomo nuovo. Anche questo discepolo assurge a figura universale, complementare a quella della madre: rappresenta chiunque è amato dal Figlio di Dio.Con la morte di Gesù, la madre che ama e il discepolo amato resterebbero ambedue privati dell’amore, rispettivamente dato e ricevuto. Ma Gesù, affidandoli reciprocamente l’uno all’altro, realizza sulla terra l’amore compiuto. Tra madre e discepolo inizia a circolare l’amore corrisposto, gloria di Dio e vita dell’uomo.Per questo è bene che lui se ne vada, e in questo modo, altrimenti non viene a noi lo Spirito (16,7). Le parole di Gesù alla madre non sono un atto di adozione una rivelazione: Gesù le apre gli occhi sulla nuova realtà che nasce ai piedi della croce. Gesù dice alla madre di guardare il discepolo come suo figlio, uguale a lui, che egli riconosce fratello. Da lei nasce l’uomo nuovo, rappresentato appunto dal discepolo prediletto, primo dell’innumerevole schiera di coloro che seguiranno. Infatti «il piccolo diventerà un migliaio, il minimo un immenso popolo; io sono il Signore: a suo tempo farò ciò speditamente» (Is 60,22).

Le paroLe di Gesù aL discepoLo

A sua volta la Chiesa, popolo messianico, raffigurata nel discepolo amato, è chiamata a guardare Israele, la donna/sposa del suo Signore. Come ha detto alla madre: «Vedi il tuo figlio», così dice al discepolo: «Vedi la tua madre». Con i possessivi «tuo» e «tua», il Signore trasmette ciò che più è intimamente «suo»; il discepolo alla madre e la madre al discepolo. Questo avviene in quell’«ora». Nel Vangelo c’era un prima, che era l’attesa di quest’ora (cfr. 2,4; 12,27: 13,1; 16,4.21.32; 17,1). Adesso, con l’affidamento del figlio alla madre e della madre al figlio, tutto è già compiuto (v. 28). «Da quell’ora» c’è un «dopo» che da essa scaturisce. «L’ora» della croce sta al centro della storia comune tra Dio e uomo: tutto porta ad essa e da essa parte, è il cuore del tempo, l’incrocio di passato e futuro con Colui che è, eterno presente.E’ l’ora in cui il discepolo accoglie la madre di Gesù “tra le sue cose”, come sua madre, casa e bene supremo, da cui deriva la propria esistenza. L’«ora» dell’afflizione, in cui si nasce e si muore, allora non è più solitudine e separazione, dove ciascuno si perde dietro le proprie cose (cf. 16,32): è ora in cui diventa nostro ciò che è proprio del Figlio, l’ora della gioia in cui la «donna» diventa «madre» e dà alla luce «il figlio» (16,21). È l’«ora» in cui tutto è compiuto (cf. v. 30): chi ama e chi è amato sono «uno» nell’unico amore. Accade finalmente in terra, tra gli uomini, ciò che avviene in cielo, tra Padre e Figlio. La madre e il discepolo sono il seme della Presenza, che abbraccerà tutti gli uomini. Attraverso di loro il mondo conosce Gesù come mandato dal Padre e sa di essere amato come il Figlio unigenito (17,22s).E’ l’«ora» dell’intimità!

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in sintesi…

La croce di Cristo potrebbe apparire come un momento di strappo, di lacerazione, di solitudine; in realtà è l’ora della massima comunione poiché Gesù morendo dona la vita e stabilisce una comunione nuova tra Dio e l’uomo, tra la madre ed il discepolo che la prende tra le sue cose, tra l’antico popolo ed il nuovo popolo; nasce l’uomo nuovo poiché da quell’ora decisiva, cui converge tutta la storia, la sua presenza non verrà mai meno e abbraccerà ogni persona.Anche tra gli uomini nasce una comunione intima e nuova, resa possibile dalla croce di Cristo e concretizzata in modo eminente dal rapporto tra la Madre ed il discepolo.

per rifLettere…

Stavano presso la croce. Maria e le altre donne stanno in piedi presso la croce, vivendo a pieno la fedeltà dell’amore. Sei fedele nell’ora della croce e della prova? Oppure fuggi, quando bisogna pazientare e resistere? Qual è la tua prima reazione quando si presenta la croce nella tua vita? Da quell’ora.L’ora della morte è anche l’ora della Signoria di Gesù; da quel momento la presenza del Signore sarà così forte che egli riempie tutta la nostra storia. Come vivi il tuo presente? Sei cosciente che esso è sempre – quando è sereno ma anche quando è tormentato - abitato dalla sua presenza? Ti sforzi di vivere sempre alla presenza di Dio ed in unione con lui? Donna, ecco tuo figlio. Maria, in cui si raccoglie tutta l’antica e la nuova alleanza, è una presenza ineludibile per chi vuol essere intimo del suo figlio Gesù. Qual è il tuo rapporto con lei? La preghi ogni giorno? La senti vicina? Ti affidi a lei come maestra della tua vita spirituale? Chiedi il suo aiuto nel momento della croce e della tentazione? Il discepolo l’accolse con sé.L’ora della croce non è ora di afflizione, ma, paradossalmente, di gioia, in cui diventa nostro ciò che è proprio del Figlio, in cui tutto è compiuto. La costante letizia del cuore, anche nei momenti di prova, è segno che siamo in unione a Dio. Ti verifichi su questo aspetto? Sei costante nei tuoi sentimenti oppure sei in preda ad abbattimenti e scoraggiamenti? Hai mai provato a vedere se un tuo sentimento negativo, che ti toglie la letizia e la pace, non nasce forse da una tua lontananza da Dio, dalla mancanza di intimità con lui?

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Non c’è azienda ormai che non ricorra ai gadgets per promozionare i propri prodotti. La bellezza dei

gadgets risplende nelle pubblicità, nelle offerte d’acquisto, sotto i riflettori. Ma alla ruvidità del tatto, all’usura quotidiana, alle severe esigenze della vita i gadgets rispondono con la precaria inservibilità di un’appariscenza inaffidabile. Il gadget non è un dono: seduce, colpisce, ingolosisce, per poi tradire. Il Vangelo è proprio tutt’altro: è la storia di un Dio che quando ha voluto farci un dono non ci ha dato le briciole, ma se stesso, la sua vita; all’appuntamento con Lui non ci si può presentare con un gadget. Mettersi in gioco con Lui significa giocarsi la vita, lasciarsi donare da Lui la sua Vita, per nascere a una nuova vita, capace di dono totale, a Lui, agli altri. Vivere di preghiera e sacramenti significa aprirsi alla sua Vita, lasciarlo dilagare nella nostra, fino ad esserne trasfigurati.

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RISÈ C., Felicità è donarsi, contro la cultura del narcisismo e per la scoperta dell’altro, Sperling

Paperback, Milano 2004.

Lo stile della narrazione debole, della vita umana come commedia, a cui nessun Dio presiede e dalla quale nessun Dio è visibile, non comprende, invece, la felicità, che è un’esperienza non debole ma forte. Per questo la cultura debolista non parla di dono, o ne parla riducendolo a gesto “buono”, conveniente per tutti, produttore di armonia sociale.Mentre […] il dono è tutt’altro: un evento catastrofico, nel senso etimologico, sufficientemente violento da abbattere mura forti e consolidate, e proprio per questo in grado di cambiare in profondità la situazione in cui avviene, e le persone che vi sono coinvolte.

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BOSCO G., Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855”, Cap. XIV,

prima decade: 1825-1835.S

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Esso mi diede per consiglio di fare una novena, durante la quale egli avrebbe scritto al suo zio prevosto. L’ultimo giorno della novena in compagnia dell’incomparabile amico ho fatto la confessione e la comunione, di poi udii una messa, e ne servii un’altra in duomo all’altare della Madonna delle Grazie. Andati poscia a casa trovammo di fatto una lettera di D. Comollo concepita in questi termini: Considerate attentamente le cose esposte, io consiglierei il tuo compagno di soprassedere di entrare in un convento. Vesta egli l’abito chericale, e mentre farà i suoi studi conoscerà viemeglio quello che Dio vuole da lui. Non abbia alcun timore di perdere la vocazione, perciocché colla ritiratezza, e colle pratiche di pietà egli supererà tutti gli ostacoli.(per il commento vedi “Non volevo credere ai sogni”)

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RUPNIK M.I., Il cammino della vocazione cristiana di resurrezione in resurrezione. Lipa,

Roma 2007.

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“La vocazione coincide infatti con la redenzione. Questa visione grandiosa di Dio creatore è stata realizzata nella sto-ria dal suo Figlio, il nostro Salvatore.”[…]“L’inizio della parabola della vita cristiana è il battesimo. Un’amnistia generale e gratuita. Il peccato è penetrato così tanto nell’uomo da contaminare la sua mentalità, la sua cul-tura e tutto il suo orizzonte che questi non riesce più a ve-dere che cosa sia il male. Il peccato interviene sull’occhio stesso, in modo da falsare la visione. Noi uomini ci sforzia-mo di individuare i peccati e ci concentriamo una volta su un atto, un’altra volta su un altro. Ma non è facile rendersi conto che il peccato sta più a monte e che falsa la visione stessa. La redenzione significa anzitutto un intervento sa-lutare sulla nostra capacità di vedere, di contemplare, di conoscere, di sentire e di volere. Senza comprendere la salvezza in un modo così radicale, anch’essa viene iden-tificata, fraintendendola evidentemente, una volta con un aspetto, un’altra volta con un altro, lasciando però l’occhio non pulito, la visione distorta. […] In Lui crocifisso scopre la vera immagine di Dio e gli viene lavata la falsa immagine che il serpente antico gli aveva insinuato. Se pensava che Dio fosse geloso, non donatore, uno che cerca di domi-nare, ora vede davanti ai suoi occhi un Dio che non solo dona, ma si dona, che non vuole controllare e soggiogare l’uomo, ma lo ritiene degno del suo affidamento, tanto da consegnarsi nelle sue mani. Ma siccome l’uomo è ancora nemico di Dio, lo distrugge e lo uccide. In questo passag-gio del battesimo, in cui si identifica con il Cristo morto e riscopre la sua identità in Cristo risorto, l’uomo non speri-menta solo un perdono gratuito del peccato, una elimina-zione della conseguenza del peccato più funesta di tutte che è la morte, ma vive una vera e propria risurrezione: sco-pre cioè se stesso rigenerato, in possesso di una vita che non tramonta più. Lo Spirito Santo, il principale attore del battesimo, ci dona la vita divina, ma questa volta in modo tale da compaginarci nel Corpo stesso di Cristo, Figlio di Dio, vero Dio e vero Uomo. Nel battesimo ci troviamo in-nestati in Cristo, ci scopriamo Corpo di Cristo glorioso e risorto. Un Corpo che adesso vive, potremmo dire, su due registri: un primo registro presso il Padre, dove è tornato con l’ascensione e dove celebra la liturgia eterna della sua pasqua, e un secondo registro nella storia. Ma siccome in entrambi questi registri, in entrambe queste dimensioni, si tratta dell’unico suo Corpo, anche noi nella storia parteci-piamo al Cristo della gloria, al fuoco e allo Spirito, viviamo

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l’anticipazione della nostra entrata nell’esistenza trinitaria. La nostra vita, in mistero, è già nascosta con Cristo in Dio. Con il battesimo, scopriamo che l’artefice della vita è lo Spirito Santo e che la realtà di questa vita è Cristo e che tutto ciò che noi siamo e possiamo diventare è ancora Lui. E che pertanto è in Lui che vanno cercati i significati di tutto ciò che viviamo, che siamo, che facciamo e di tutto quanto ci succede. Nel battesimo Dio ci ha già visti figli nel Figlio, ha reso attuale per noi l’adozione universale dell’umanità e del mondo rinnovati che decreta la seconda morte delle potenze del male. Ha già visto tutta la nostra realtà redenta in Lui. Il Figlio, diventato uno con la creazione, permette alla paternità divina di trionfare del male e di manifestarsi così nella gloria in tutti i viventi, grazie allo Spirito di filiazione. Allora, vedete, la vocazione significa aderire liberamente a questa nostra umanità già resa filiale in Cristo. Non si trat-ta di inventare qualcosa, non siamo noi i primi a battere la strada. La nostra vocazione consiste nello scoprirci in Cristo, giorno dopo giorno, con tutto ciò che viviamo, pen-siamo, sentiamo e facciamo, e con tutto ciò che la storia ci farà vivere. […] Per avere la certezza di essere amati, bisogna vivere un’esperienza di amore totalmente gratui-ta, cioè bisogna non meritare l’amore, essere sorpresi da un amore folle, senza misura, senza una possibile giustifi-cazione. Dobbiamo fare l’esperienza di un amore libero, e dunque secondo le categorie più autentiche del mistero: cioè la libertà, fuori da ogni vincolo, da ogni causa, da ogni necessità […] Deve trattarsi di un amore totale, sconfinato. Ora, la maggioranza di noi fa l’esperienza di questo amore folle di Dio nella riconciliazione, e nel perdono dei peccati. […] Dio ci chiama dall’inferno in cui ci siamo cacciati con la morte che è conseguenza del peccato di Adamo. […] Non c’è più il rischio di sbagliare, di illuderci, di fantasticare, per-ché l’esperienza del perdono ci da la certezza di essere toc-cati da Dio e di sperimentare sul serio il suo amore gratuito. Solo Dio perdona i peccati. […] Per ogni altra esperienza, per quanto mistica o spirituale che sia, c’è ancora bisogno di un discernimento, per sapere se si tratta veramente di un’azione di Dio, di un suo dono, o di una nostra illusione, una suggestione, un autoconvincimento. L’esperienza del perdono dei peccati invece è la pietra miliare del cammino spirituale e anche del discernimento.

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RUPNIK M.I., Il discernimento - prima parte: verso il gusto di Dio. Lipa, Roma 2000.

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taDio viene sempre e parla sempre. Perchè io lo riconosca e lo accetti, non mi devo prefissare il modo della sua venuta, su che cosa mi dirà, su come mi si farà sentire, su cosa proverò. [...] Origene ricorda che la preghiera del cristiano è la preghiera dello Spirito Santo. E’ lo Spirito Santo il vero orante in noi, e la maturità della preghiera è aderire a ciò che chiede lo Spirito in noi. Dio Padre ascolta la preghiera dello Spirito Santo, perchè Lui chiede ciò che è necessario per la nostra salvezza. Perciò è per noi un bene che il Padre esaudisca la preghiera dello Spirito Santo e che noi impa-riamo, pian piano, a riportare la nostra preghiera alla sua.[...] E’ molto importante che ci si ricordi di non legarci agli effetti della preghiera, ma di acquistare quell’atteggiamen-to di non legame, di libertà, di apertura, consci sempre più radicalmente che il Signore ascolta la nostra preghiera, ma secondo l’interpretazione che di essa dà lo Spirito Santo e che noi non possiamo controllare, dominare, o manipolare la sua venuta, le modalità della sua Grazia, né i sentimenti, gli stati d’animo, o i pensieri che suscita. Dio è libero e la preghiera ci aiuta a disporci a un incontro con una perso-na libera. [...] Si instaura così un atteggiamento relazione, nasce un colloquio che ci aiuta ad assumere quell’atteg-giamento di riconoscimento radicale di Dio come persona libera che fa suscitare anche in noi la stessa libertà tipica di un amore umile che non pretende niente.

1 Cura il cammino di fedeltà al sacramento della riconciliazione.2 L’Eucaristia sta diventando per te crescente esigenza quotidiana? 3 Oltre ad una frequentazione è necessario anche entrare sempre più nel mistero dei sacramenti attraverso lo studio, la lettura, la riflessione: in questo mese scegli come compagno di viaggio per introdurti nella preghiera personale un testo sull’Eucaristia o sulla riconciliazione.

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per L’approfondimento ti suggeriamo come testo per il mese: BOSCO T., Domenico Savio = Testimoni, LDC 4,

Torino- Leumann 2007.COLLINO M., Suor Eusebia Palomino = Testimoni 23, LDC, Torino- Leumann 2007.

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la gUida SpiritUale

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Jean-FRançois MilletLa tosatura olio su tela, 40,7x24,81852-1853Dolce e forte. Paziente e dolorosa insieme. Abbandono che sa di offerta e dolore che rimanda alla passione dell’amore. i lineamenti opposti si incrociano in quet’opera aspra e tenera. La tosatura è per un bene più grande, e pare che la’nimale lo sappia visto l’abbandono con cui consegna il suo corpo. La tosatura è gesto coraggioso ma senza alcuna violenza e sembra ben gestita dalle mani esterte dei due operai. Relazione profonda, relazione non subita, relazione che ha la pazienza di attendere frutti futuri. Relazione che apre al calore di un bell’abito che verrà prepararto per la custodia del debole.

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22Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. 23Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. 24La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. 27Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 28Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». 29Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 32Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

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L’antefatto Ci troviamo all’inizio della seconda sezione del Vangelo di Matteo, quando Gesù, dopo il martirio del Battista (cfr. vv. 1-12), prende le mosse dalle regioni limitrofe alla Galilea, lontane da Ge-rusalemme (siamo infatti sul lago di Genesaret), e percorre la strada verso la Città Santa, che sarà anche il suo cammino di manifestazio-ne attraverso la passione, morte e resurrezione. Gesù ha moltiplicato cinque pani e due pesci, dando da mangiare a cinquemila persone (cfr. vv. 13-21); quindi, mentre i discepoli vorreb-bero trattenere la folla, Gesù la conceda poiché egli non si serve del pane per trattenerla e dominarla, ma si fa servo del pane per farla camminare. Siamo di notte; lui è lassù sul monte da solo a pregare, avvolto dalla presenza del Padre suo, i discepoli nella notte, qui, giù nel mare, da soli a remare. È la condizione normale di noi uomini, che dobbiamo attraversare la notte (giacchè la vita è piena di oscurità) ed il mare (cioè dobbiamo combattere le forze del male, le forze ostili a Dio).

La scena notturna Nella scena notturna riconosciamo l’epifania di Gesù nella tempesta (vv. 24-27), la prova della fede di Pietro (vv. 28-31), la pro-fessione di fede dei discepoli (vv. 32-33).

L’epifania di Gesù nella tempesta. Avvolti dal buio, sospesi tra cielo e abisso, i discepoli sono lontani dal punto di partenza e da quello di arrivo (“la barca distava da terra molti stadi” dice letteral-mente il testo greco). Il vento solleva il mare: lo spirito contrario (cioè le potenze del male) agita contro l’uomo lo spettro della morte. La situazione è angosciante.

Siamo alla quarta veglia della notte. È la veglia dalle tre alle sei del mattino, carica del buio di tutta la notte - la luce sembra lontanissima! - piena di fatica e di angoscia. È notte fonda; eppure preludio del nuovo sole. In quest’ora Dio interviene a salvare (cfr. Es 14,24; Sai 46,6; Is 17,14). Sarà l’ora della risurrezione di Gesù (cfr. 28,1). Infatti Gesù compare come risorto, cammina sulle acque: la morte non ha più potere su di lui. Non essere inghiottiti dall’abisso è il sogno impossibile di ogni uomo, superamento della realtà che ben conosce, fatta di notte, solitudine, lontananza, fatica, tormento, angoscia, terrore e sprofondamento. Camminare sul mare è di fatto il tema del brano, ripetuto quattro volte (vv. 25.26.28.29). Davanti a questa scena il discepolo è colto da terrore: camminare sulle acque è eccessivo, impossibile, divino! Pertanto chi è giocato dalla paura scambia le proprie fantasie per realtà e la realtà per fantasia. I disce-poli pensano che il Vivente in mezzo a loro sia un fantasma, un morto (cfr. Lc 24,37) e gridano dalla paura.

La paura è pochezza di fede (cfr. 8,26; 9,22). La fede invece è il coraggio di credere e osare l’impossibile - impossibile all’uomo, ma non a Dio. Colui che cammina sulle acque non è un fantasma, ma “Io-Sono”, Gesù in persona che si manifesta richiamando la rivela-zione del Dio dell’Esodo. La salvezza attraverso l’acqua non è un’illu-

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sione: è la paura che fa loro ritenere illusione la realtà di Dio.

La prova della fede di Pietro. La prova che davvero è Gesù, il Signore-che-salva, è che io stes-so sia salvo: che sulla sua parola vada da lui camminando come lui sull’abisso. La prova è chiesta dal dubbio: «Se sei tu!».

A questo dubbio Gesù risponde con una parola di vocazione (vieni), che è la vocazione definitiva: sulla sua parola, siamo chiamati da lui a camminare come lui e con lui sull’abisso. In obbedienza a lui, Pietro riesce a fare come lui ha fatto.

Tuttavia lo spirito contrario spaventa Pietro. Se guarda Gesù, cammina; se guarda le sue paure, sprofonda. La paura che fa spro-fondare è il luogo stesso nel quale il Signore ci chiama a una fede maggiore; diversamente siamo colti da angoscia e disperazione. A questo punto, mentre affoga nel mare, Pietro grida a Gesù, che signi-fica “il Signore-salva” (cfr. 8,25); Gesù offre il suo aiuto stendendo il suo braccio, che indica l’intervento di Dio, che afferra e salva dalle grandi acque chi lo invoca. Nel contempo però Gesù rimprovera Pie-tro come uomo “di poca fede”. Infatti la fede c’è, ma è poca, insuffi-ciente davanti a prove dure come questa; il cammino di affidamento e di riconoscimento dura tutta la vita.

La professione di fede dei discepoli.La calma viene sulla barca solo dopo che ciascuno ha fatto in prima persona l’esperienza dell’ascoltare il Signore, camminare sulle acque, andare a fondo, invocare il suo nome ed essere salvati. Solo allora nella barca riconosciamo il Signore e sperimentiamo la salvez-za che porta all’adorazione e alla professione di fede. È l’anticipo del-la professione di 16,16. Ciò tuttavia non impedisce che Pietro, anche più avanti, non lo capisca e lo rinneghi, sperimentando sempre più a fondo la salvezza.

in sintesi…

In questo passo evangelico troviamo tratteggiate sia la si-tuazione dell’uomo, sia l’identità di Gesù rispetto a noi.La situazione di noi uomini è quella di un cammino che va fatto di notte, quando non si vede, attraverso il mare, che è infido, e combat-tendo contro le forze ostili a Dio (la tempesta).In tale condizione Gesù si manifesta a noi come “Dio che salva” e porta il suo aiuto a chi grida a lui. La nostra fede è sempre debole, inadeguata, rispetto alla lotta che dobbiamo affrontare nella storia, ma tenendo lo sguado fisso su Gesù Risorto, che sconfigge tutte le potenze del male, superiamo ogni difficoltà.

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per rifLettere…

Era agitata dalle onde.Quali sono le difficoltà maggiori che tormentano la tua vita cristiana? Quali sono i combattimenti interiori più difficili? Sul finire della notte. Quali sono le “zone oscure” della tua vita, cioè le situazioni più complesse, in cui non riesci a trovare un senso o una via d’uscita? È un fantasma. L’inganno è sempre in agguato nella nostra vita spirituale. Quali sono nella tua vita, le situazioni in cui ti trovi ad essere vittima di questi pensieri ingannevoli, che fanno vedere le cose in modo confuso (se non addirittura completamente errato)? S’impaurì e, cominciando ad affondare...Quando ti trovi nella difficoltà, chiedi aiuto a qualcuno? Hai una per-sona di fiducia, una guida che ti possa aiutare a ritrovare la presenza di Gesù, oppure fai tutto da solo? E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».Tenendo lo sguardo fisso su Gesù, la fede rimane salda anche nelle situazioni più dure e non “affondiamo”. Com’è il tuo rapporto con Gesù? Occasionale o intenso e vero, per cui sai di poterti sempre affidare a lui, anche nelle situazioni più difficili? Hai qualcuno che ti aiuti a crescere nel tuo rapporto personale con Cristo?

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21 Dette queste cose, Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno

di voi mi tradirà». 22 I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. 23 Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. 24 Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. 25 Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». 26 Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota. 27 Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto».la

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iL contesto

Ci troviamo all’inizio della seconda sezione del IV Vangelo, il cosiddetto “Libro dell’ora” (capp. 13-21). Gesù, dopo aver lavato i piedi ai suoi ed aver spiegato il senso di ciò che ha fatto (cfr. vv. 1-17), preannuncia, profondamente turbato, che uno dei dodici lo tradirà (cfr. vv. 18-20). Il suo turbamento non è per la propria morte, ormai imminente e già accettata (cf. 12,27); è piuttosto come quello davanti a Lazzaro morto, l’amico che amava (11,33). Gesù sente il male che si fa colui che gli fa male, prova pena per il male del mondo che lo rifiuta.

La dichiarazione di Gesù e La reazione dei discepoLi

Secondo la lettera del testo greco, Gesù ”testimoniò e disse”, cioè usa un linguaggio giuridico. Si sta infatti istruendo il processo contro il capo di questo mondo, che verrà espulso (cfr. 12,31). E’ la penultima volta che Gesù testimonia; l’ultima sarà davanti a Pilato. Quando dice di essere venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità (cfr. 18,37), quella verità che vince la menzogna e ci fa liberi.Nel nostro passo il tradimento è previsto e affermato con autorità divina (Amen, amen). Il peccato, nostra parte di Vangelo, è il luogo in cui si rivela il perdono, la tenebra in cui brilla la luce, la disgrazia che manifesta la grazia. Il tradimento è di «uno di voi», uno dei Dodici giacché il nemico non è l’altro, l’estraneo, è l’amico intimo, amato e scelto dal Signore, che in anticipo ne conosce la defezione. I discepoli si guardano in faccia, per vedere chi è il traditore. Ognuno pensa che possa essere chiunque altro al di fuori di lui. Tranne Giuda, l’unico che sa; egli fa da specchio a tutti, chiamati a riconoscersi in lui, al quale è rivelato l’amore incondizionato con cui è amato.

Giovanni, pietro e Gesù

Nel gruppo dei dodici che circondano Gesù emergono Pietro e Giovanni, il discepolo che Gesù amava; come il Figlio è verso il grembo del Padre (1,18), così questo discepolo sta adagiato nel grembo di Gesù, figlio nel Figlio (è il senso letterale del testo greco del versetto). Egli segue il Signore nel processo (18,15s), sta ai piedi della croce (19,26), testimonia ciò che ha visto (19.35). riceve l’annuncio della tomba vuota (20,2), giunge per primo al sepolcro e crede (20.8), riconosce il Risorto sulla riva del lago (21,7). Rimane fino al ritorno del Signore (21,20ss) e sta all’origine del racconto evangelico (21,24). (11,5). In questo passo è colui che, invece di guardare se stesso che ha rinnegato o tradito – come fa Giuda - guarda il Signore che lo ama. Perciò Pietro ritiene che questo discepolo sia in grado di sapere da Gesù chi è il traditore. Il discepolo, che prima era nel grembo, ora è sul petto (cfr. testo originale in greco): passa dal grembo che lo genera al cuore che lo ama. È quel petto il cui fianco sarà aperto dalla lancia (cfr. 19,34). La sua intimità con il Figlio è risposta all’intimità del Figlio verso i fratelli, che si manifesterà pienamente nel boccone dato a chi Io tradisce.

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6Questo discepolo perciò chiede chi sia il traditore. II Signore glielo rivelerà attraverso il segno massimo di amore che si possa dare; nel tradimento infatti si manifesta il trionfo dell’amore (cf. vv. 31-32), come solo nell’amore si coglie il vero senso del tradimento.

La reazione “eucaristica” di Gesù

Gesù risponde intingendo un boccone nel piatto e offrendolo a Giuda. Questo boccone è Gesù stesso, battezzato nella morte per dare a noi la sua carne e il suo sangue. Il gesto di Gesù non è finzione per svelare il traditore, ma segno supremo del suo amore per lui: chi tradisce è colui per il quale il Signore immerge se stesso nella morte, dando per lui la vita. II boccone, dato a Giuda dopo la lavanda dei piedi, mostra il compimento dell’amore: l’amore non è solo servizio, ma, innanzi tutto, dono di se all’altro. Questo boccone, ricordato quattro volte (vv. 26bis.27.30), è Gesù stesso che si dona a colui che lo tradisce. Proprio così Gesù «ama a compimento» (v. 1): ci mostra come tutti siamo amati, perché anche noi possiamo amarci a vicenda (vv. 34s).Se poi andiamo più a fondo nel testo ne scopriamo un senso ulteriore. «Accogliere (= prendere) e dare» sono parole eucaristiche (cf. Mc 14,22; Mt 26,26; Lc 22,19; cf. 1 Cor 11,23). Poco prima il traditore è stato indicato come «Colui che mastica il mio pane» (v. 18); ora Gesù si consegna a chi lo consegna, si affida alla sua bocca come suo pane. A chi leva il calcagno contro di lui, il Figlio unigenito dona se stesso e la sua benedizione (cf. v. 18). Così si rivela la gloria di Dio ed è sbugiardato il satana che aveva mentito su di lui. Colui che ha fatto cadere Eva e insidierà il calcagno della sua discendenza, è schiacciato con questo gesto (cfr. Gen 3,15).

L’esito è sorprendente. Come all’inizio della storia, dopo il dono di Dio all’uomo subentra Satana che vuole rovinarlo (cf. Gen 1-3). Ma il dono, che sta al principio, sta anche alla fine di tutto, come perdono. Satana entrò nei nostri progenitori con il boccone che Eva mangiò e diede ad Adamo (Gen 3,6). Ma ora l’ingannatore è ingannato. In Giuda non trova il boccone che l’uomo prese, mangiò e diede, ma il Signore stesso, che non mangia, perché è la vita, e si dà da mangiare. Proprio così satana, mentre credeva di aver trionfato, verrà sconfitto da questo boccone.Con le sue ultime parole Gesù «accelera la salvezza». Vuole e ordina ciò che l’amico sta compiendo, prendendo su di sé la morte dell’amato. Gesù non vuole il tradimento dell’amico o la propria croce: il male non è necessario per il bene. Se non ci fosse, sarebbe meglio. Però, siccome c’è, Dio ne fa un bene maggiore: lo vince portandolo su di sé per amore.

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per rifLettere…

Fu profondamente turbato.Il cuore di Gesù è inquieto perché un fratello, Giuda, si sta smarrendo. Come vivi la debolezza ed il peccato dei tuoi fratelli? E’ motivo per scandalizzarti e fare pettegolezzi, oppure per soffrire ed aiutare chi sbaglia? Preghi per un fratello quando è nell’errore? Intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda.La reazione di Gesù davanti al tradimento è eucaristica: risponde a chi lo vuol consegnare ai peccatori consegnandosi a sua volta come cibo che dà vita. Come reagisci davanti all’ingratitudine e all’egoismo del fratello? Sei capace di dono gratuito ed incondizionato anche verso chi ti fa soffrire? Che cosa fai per dare la vita alle persone che ti sono accanto? Chinatosi sul petto di Gesù.Giovanni ha un ruolo singolare nella comunità apostolica non per dei meriti “acquisiti sul campo”, ma perché è intimo di Gesù. Pensi mai che la comunità si edifica a partire dalla nostra intimità con Cristo? Quando ci sono difficoltà nella tua famiglia o nella tua comunità preghi? E dichiarò: «In verità, in verità io vi dico». Gesù ha una parola autorevole e definitiva sulla comunità apostolica. Nel costruire le tue relazioni in famiglia od in comunità quali criteri segui? Il vangelo oppure il tuo interesse, le tue opinioni, i tuoi gusti?

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Si dice che il nostro è il mondo della comunicazione; i mezzi che oggi vanno per la maggiore sono quelli,

appunto, di comunicazione, quelli che ci avvicinano gli uni agli altri, si dice… In realtà i nostri contatti sanno abilmente conservare distanze, marcare solitudini, connettere sconosciuti. Il Vangelo ci parla di un Dio che si mette in comunicazione con l’uomo, che si racconta nella sua verità all’uomo, e accoglie l’uomo che gli rivela la sua povertà, la sua paura, la sua sfiducia, il suo peccato. Vocazione è consegnarsi, fidarsi di chi ci può guidare attraverso i tornanti della nostra vita e del nostro mondo interiore a riconoscerci e a riconoscere il disegno di Dio.

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CAZZULLO A., Outlet Italia. Viaggio nel paese in svendita, Mondadori, Milano 2007.

Gli sms da mania di adolescenti o mezzo per scambiarsi notizie di lavoro sono diventati il surrogato delle lettere e delle parole, e vengono usati anche là dove si vorrebbe toccare una carta o sentire una voce: per gli inviti, le condoglianze, i corteggiamenti. I messaggi non hanno tono, non implicano impegni; consentono retromarce, offrono scappatoie. E gli sms non sono che l’avanguardia di una vita virtuale che ha cancellato i centralinisti sostituendoli con numeri verdi e tasti da pigiare, e che costruisce mondi paralleli con le chat, nella Second Life, su You Tube.

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BOSCO G., Mermorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855, Cap. II,

prima decade: 1825-1835.

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Consigliandomi con me stesso, dopo avere letto qualche libro, che trattava della scelta dello stato, mi sono deciso di entrare nell’Ordine Francescano. Se io mi fo cherico nel secolo, diceva tra me, la mia vocazione corre gran pericolo di naufragio. Abbraccierò lo stato ecclesiastico, rinuncierò al mondo, andrò in un chiostro, mi darò allo studio, alla meditazione, e così nella solitudine potrò combattere le passioni, specialmente la superbia, che nel mio cuore aveva messe profonde radici. Feci pertanto dimanda ai conventuali riformati, ne subii l’esame, fui accettato e tutto era preparato per entrare nel convento della Pace in Chieri. Pochi giorni prima del tempo stabilito per la mia entrata ho fatto un sogno dei più strani. Mi parve di vedere una moltitudine di que’ religiosi colle vesti sdruscite indosso e correre in senso opposto l’uno dall’altro. Uno di loro vennemi a dire: «Tu cerchi la pace e qui pace non troverai. Vedi l’atteggiamento de’ tuoi fratelli. Altro luogo, altra messe Dio ti prepara».Voleva fare qualche dimanda a quel religioso, ma un rumore mi svegliò e non vidi più cosa alcuna. Esposi tutto al mio confessore, che non volle udire a parlare né di sogno né di frati. In questo affare, rispondevami, bisogna che ciascuno segua le sue propensioni e non i consigli altrui.In quel tempo succedette un caso, che mi pose nella impossibilità di effettuare il mio progetto. E siccome gli ostacoli erano molti e duraturi, così io ho deliberato di esporre tutto all’amico Comollo. […]Ho seguito quel savio suggerimento, mi sono seriamente applicato in cose che potessero giovare a prepararmi alla vestizione chericale.

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Io mi sono tosto messo nelle mani di D. Calosso, che soltanto da alcuni mesi era venuto a quella cappella-nia. È il desiderio di Giovanni di non ritardare il suo cammino cosciente che da solo non può camminare.Porsi nelle mani di un altro è CONSEGNA che dice fiducia totale, verità che non si ferma al timore del giudizio, deside-rio di obbedienza.

Gli feci conoscere tutto me stesso. ogni parola, ogni pensiero, ogni azione eragli prontamente manifestata.

È l’APERTURA che si mette a nudo. Essa rivela talenti e ferite e giunge nel profondo: l’esterno ed immediato nella parola, il profondo riflesso ed istintivo nel pensiero, il com-piuto e le scelte nelle azioni. Apertura IMMEDIATA non a posteriori, o quando già i gro-vigli si sono fatti intricati. È condivisione orientata all’OB-BEDIENZA.

Ciò gli piacque assai, perché in simile guisa con fon-damento potevami regolare nello spirituale e nel tem-porale.

La direzione spirituale è compresa da Giovannino come di-namica che va a toccare tutta la vita, nella sua completezza e complessità. Nulla è escluso perché nulla è fuori dalla logica del Dio fatto uomo.

Conobbi allora che voglia dire avere una guida stabile, di un fedele amico dell’anima, di cui fino a quel tempo era stato privo.

Giovanni comprende che la stabilità è garanzia di cammino, che in questa si gioca la vera amicizia e che senza FEDELTÀ da ambo le parti non c’è maturità che cresce.

Fra le altre cose mi proibì tosto una penitenza, che io era solito di fare, non adattata alla mia età e condizio-ne.

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BOSCO G. “Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855”, Cap. II, prima decade: 1825-1835.

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Il rapporto fra conoscenza di sé e spiritualità spesso non è immediato. Soprattutto, questo capita per chi vuol cammi-nare nella via di Dio e soprattutto per chi vuol fare da sé. Al contrario, l’equilibrio della guida fa calibrare bene risor-se umane, tensione spirituale, impegno quotidiano e vita ascetica. Perché solo nell’EQUILIBRIO maturano a lungo termine i frutti veri.

M’incoraggiò a frequentar la confessione e la comu-nione, e mi ammaestrò intorno al modo di fare ogni giorno una breve meditazione o meglio un po’ di let-tura spirituale.

Le COLONNE dell’edificio spirituale sono subito fornite in-sieme alla iniziazione ad una solida capacità di RILETTURA della vita alla luce dello Spirito. Ecco la meditazione. La pedagogia della fede chiede non solo di fornire strumenti, ma di iniziarne all’USO perché possano essere proporzio-natamente usati in forma incisiva nella quotidianità.

Tutto il tempo che poteva nei giorni festivi lo passa-va presso di lui. Ne’ giorni feriali, per quanto poteva, andava servirgli la santa messa. Da quell’epoca ho co-minciato a gustare che cosa sia vita spirituale, giacché prima agiva piuttosto materialmente e come macchi-na che fa una cosa, senza saperne la ragione. […]

Solo dentro un percorso di PERSONALIZZAZIONE si ha la possibilità di passare dall’ istinto alla ragionevolezza, dalla formalità alla relazione, dalla abitudine all’habitus.

Alla metà di settembre ho cominciato regolarmente lo studio della grammatica italiana, che in breve ho potuto compiere e praticare con opportune compo-sizioni. A Natale ho dato mano al Donato, a Pasqua diedi principio alle traduzioni dal latino in italiano e vicendevolmente. […] Quel degno ministro di Dio in-formato dei guai avvenuti in mia famiglia, mi chiamò un giorno e mi disse: “Gioanni mio, tu hai messo in me la tua confidenza, e non voglio che ciò sia invano. Lascia adunque un fratello crudele e vieni con me ed avrai un padre amoroso”.

L’accompagnatore riconosce e manifesta la stima\fiducia ricevuta. La lettura della situazione, la lungimiranza sui doni di Dio e sul suo progetto ed il coraggio di mettersi total-mente in gioco portano da una frequentazione alla CONDI-VISIONE – CONVIVENZA. È il sistema preventivo vissuto

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in forma germinale. Un efficace cammino si realizza solo nello “stare con” che apre alla famigliarità, che per osmosi fa maturare quanto è cresciuto nel cuore.

Comunicai tosto a mia madre quella caritatevole prof-ferta, e fu una festa in famiglia. Al mese di aprile co-minciai a fare vita col cappellano, andando soltanto la sera a casa per dormire.Niuno può immaginare la grande mia contentezza. D. Calosso per me era divenuto un idolo.

È l’ identificazione che esalta, ma anche che responsabilizza e non fa ripiegare su di sé né il maestro né il discepolo.

L’amava più che padre, pregava per lui, lo serviva vo-lentieri in tutte le cose. Era poi sommo piacere di fa-ticare per lui, e direi dare la vita in cosa di suo gradi-mento.

Nasce la paternità e la figliolanza autentica che si rivela da tre aspetti: dimensione trascendente nella preghiera ricono-scente, dimensione realistica nella fatica, il pagare di perso-na per la gioia dell’altro.

Io faceva tanto progresso in un giorno col cappella-no, quanto non avrei fatto a casa in una settimana. Quell’uomo di Dio mi portava tanta affezione che più volte ebbe a dirmi: «Non darti pena pel tuo avvenire; finché vivrò, non ti lascierò mancare niente; se muoio ti provvederò parimenti».

Non basta che i giovani siano amati ma devono sapere di esserlo.

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Questo gioco di contrasti si riflette inevitabilmente sul piano della progettazione del futuro, che è visto - da parte dei giovani - in un’ottica conseguente, limitata alle proprie vedute, in funzione d’interessi strettamente personali (l’autorealizzazione). È una logica che riduce il futuro alla scelta d’una professione, alla sistemazione economica, o all’appagamento sentimentale-emotivo, entro orizzonti che di fatto riducono la voglia di libertà e le possibilità del soggetto a progetti limitati, con l’illusione d’esser liberi. Sono scelte senza alcun’apertura al mistero e al trascendente, e fors’anche con scarsa responsabilità nei confronti della vita, propria e altrui, della vita ricevuta in dono e da generare negli altri. È, in altre parole, una sensibilità e mentalità che rischia di delineare una sorta di cultura antivocazionale. Come dire che nell’Europa culturalmente complessa e priva di precisi punti di riferimento, simile a un grande pantheon, il modello antropologico prevalente sembra esser quello dell’”uomo senza vocazione”. Eccone una possibile descrizione. “Una cultura pluralista e complessa tende a generare dei giovani con un’identità incompiuta e debole con la conseguente indecisione cronica di fronte alla scelta vocazionale. Molti giovani non hanno neppure la “grammatica elementare” dell’esistenza, sono dei nomadi: circolano senza fermarsi a livello geografico, affettivo, culturale, religioso, essi “tentano”! In mezzo alla grande quantità e diversità delle informazioni, ma con povertà di formazione, appaiono dispersi, con poche referenze e pochi referenti. Per questo hanno paura del loro avvenire, hanno ansia davanti ad impegni definitivi e si interrogano circa il loro essere. Se da una parte cercano autonomia e indipendenza ad ogni costo, dall’altra, come rifugio, tendono a essere molto dipendenti dall’ambiente socioculturale ed a cercare la gratificazione immediata dei sensi: di ciò che “mi va”, di ciò che “mi fa sentire bene” in un mondo affettivo fatto su misura.Fa un’immensa tristezza incontrare giovani, pur intelligenti e dotati, in cui sembra spenta la voglia di vivere, di credere in qualcosa, di tendere verso obiettivi grandi, di sperare in un mondo che può diventare migliore anche grazie ai loro sforzi. Sono giovani che sembrano sentirsi superflui nel gioco o nel dramma della vita, quasi dimissionari nei confronti d’essa, smarriti lungo sentieri interrotti e appiattiti sui livelli minimi della tensione vitale. Senza vocazione, ma anche senza futuro, o con un futuro che, tutt’al più, sarà una fotocopia del presente (NVNE 11 c).

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to Per iniziare un cammino ....• Ci conosciamo?• Cilasciamoconoscere?• Loconosciamo?

accompagnamento: cosè?Una relazione personale e cosciente con Dio nella media-zione di un “padre\fratello\guida”, partendo dal punto in cui sei e si trova la tua libertà, che ti aiuti a porre una lettura cristiana dell’esistenza così da poter assumere sempre più la forma del Cristo, nel quotidiano.

una relazione• Spirituale Si tratta di un percorso nello Spirito, affinché si ponga at-tenzione e disponibilità a ciò che suscita e opera lo Spirito Santo.

• MistericaAccompagnamento non è riducibile ad una buona teoria studiata – anche se necessaria – ma è dinamica di “Dio”.Perché ognuno supera ogni nostra conoscenza e capacità di orientamento.Perché Dio che chiama è Mistero.Perché noi siamo mistero a noi stessi e in ogni relazione scattano dinamiche nuove\originali che fanno emergere delle ulteriorità di noi a volte inimmaginabili.

• Nella FedeSoprattutto nell’accompagnamento questo atteggiamen-to di fede è determinante, perchè nessuno ha la “sfera di cristallo” nessuno può avere in antecedenza la percezione chiara dell’evoluzione futura.

• Coinvolgente\InterpellanteIn questa esperienza proprio perché si giunge nelle pro-fondità del cuore e del cuore di Dio non esistono né mete né chiavi risolutive date una volta per tutte ma un appello costante a mettersi in gioco. Per questo, un vero cammi-no è accompagnato da una certa inquietudine nella ricerca non solo del bene ma del magis, cioè di quel meglio che è proprio di Dio. È importante allora: “togliersi i sandali”: un atteggiamento di delicatezza, di prudenza, di umano e religioso rispetto

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percependo che “è santo il luogo” su cui stiamo entrando e che non si può pretendere di “vedere” tutto e subito ma soprattutto che è lì che possiamo incontriare Dio, che lì Lui “ci” parla, che lì Lui manda, che lì Dio È (Es 3).

• Sintetica È una relazione dove tutti gli elementi - età, affettività, intel-ligenza, equilibrio… - sono posti in relazione al senso ultimo del vivere, allo stato di vita, all’obbedienza alla volontà di Dio. Qui prende concretezza per il singolo l’espressione del salmista “la Tua grazia vale più della vita” (sal 63). In questa relazione, la vita (in tutte le sue sfaccettature) assume sen-so nella Sua grazia ed è grazia. Il compito proprio della guida sarà proprio di aiutare a per-sonalizzare le istanze evangeliche e missionarie, che spes-so non corrispondono come vorrebbe l’individuo alla sola categoria del “benessere” ma provocano ad una adesione al Vangelo nell’orizzonte della missione a cui si è chiamati.

• Asimmetrica È un confronto nella linea della sequela, in un equilibrio fra “conduzione” e “condivisione” della fede che non può es-sere confuso con un colloquio terapeutico, e tanto meno una semplice relazione amicale. La distinzione quindi da avere soprattutto chiara è tra direzione spirituale e consu-lenza psicologica/psicoterapica. Le due prestazioni di aiuto hanno delle cose in comune (c’è di mezzo e di fronte l’unici-tà della persona con tutti i suoi ambiti [fisico-biologico, psi-cologico, spirituale], che non si possono ritagliare, negare o considerare solo separatamente. Tuttavia le due tipologie di aiuto hanno approcci e livelli differenti di intervento.

componenti essenziali dell’accompagnamentoAccompagnare chiede gratuità, accoglienza, attenzione, ri-spetto e promozione dell’altro con la capacità di equilibrio fra:

• Disponibilità e gerarchia Il fatto - ad esempio - di dare un appuntamento, significa avere un chiaro desiderio, porlo come elemento importan-te nella scansione del proprio tempo, prepararsi, sceglierlo dando un tempo privilegiato.

• Chiarezza e fermezzaLa confusione consiste nel non vedere chiaro dentro le cose, attratti da tutto, senza individuare il meglio. Questo coltiva l’illusione di poter tenere insieme tutto, senza mai separarsi da nulla, senza decidere.

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Vi è diversità fra sincerità e verità. Spesso siamo since-ri ma non sempre siamo veri. Ed allora non giungiamo al cuore delle questioni, là dove è necessario curare, fare un salto di qualità, entrare nel profondo. Ed allora l’incontro con chi guida diventa: uno sfogo, un parlarsi addosso, un “pour parlare”. Chiarezza e fermezza significa giungere al confronto con la verità di sapere “quale è la domanda con cui sei venuto\a qui oggi?” o “quale contributo chiedi?”

• Ascolto e interpellanzaL’ascolto è il primo atto fondativo di un rapporto di Dire-zione Spirituale, è un rimanere aperti, superando ogni ten-tazione di ripiegamento su di sé. Questa apertura pone disponibilità a lasciarsi cambiare, correggere e indirizzare. È domanda che chiede il perché delle cose per scoprire il Mistero che ci supera e sconfina i nostri orizzonti. Mistero affascinante ma tremendo ai nostri occhi miopi.

• Rispetto e coraggioLa guida è chiamata al rispetto totale della tua libertà, co-sciente che in definitiva Tu sei il solo che deve prendere le decisioni e che per il tuo bene è necessario che ti lasci a volte lottare, faticare, perdere, mantenendo con coraggio alto il livello. Il confronto è un atto di fede per passare dalla nostra auto-nomia – a volte distruttiva - alla teo-nomia. Per questo gradualmente la guida dovrebbe diventare “inuti-le”, evitando così dipendenze che “scaricano” le respon-sabilità.

• Contemplazione e realismo È necessario entrare dentro questo cammino con lo sguar-do di chi vuole scoprire primariamente i magnalia Dei (le grandi opere di Dio e forse anche i tanti talenti snobba-ti): proprio per questo è necessario estremo realismo. Per questo le grandi intuizioni del cuore (dimensione mistica) devono essere accompagnate da una vita che le rispecchi nella “banalità” – “ferialità” dell’impegno (dimensione re-ale) che tocca le cose più “insignificanti” che così insigni-ficanti non sono (ordine, fedeltà, relazioni, di-vertimenti…). In questa linea è assolutamente necessario:

• far scendere Dio\idee nella concretezza del quotidiano

• scegliere e farsi guidare nell’imparare un metodo e non solo contenuti

• non dare nulla per scontato• tracciare una circolarità fra impegno – verifi-

ca – progettazione

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per L’approfondimento ti suggeriamo come testo per il mese: RUSSO C., Magone Michele. Il santo monello

= Testimoni 37, LDC, Torino- Leumann 2006.

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rivedi La tua vita1 - Hai scelto e stai camminando con fedeltà con una guida spirituale?2 - Ti stai consegnando con sincerità su tutte le dinamiche che abitano il tuo cuore e che sono dentro la tua storia?3 - Quali sono le resistenze nell’obbedienza?

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• porre con chiarezza il passo successivo da compiere

• Cambio di mentalità e decisioneIl colloquio e l’amicizia spirituale non sono operazione magi-ca che trasforma il mondo con le sue difficoltà, ma apertura all’opera dello Spirito che con-verte un modo di pensare, un modo di valutare, un modo di decidere, usando come unico metro di misura Gesù. Qui si rende evidente la forza e la luce discriminante del Vangelo che rilegge, ri-significa, ri-orienta l’esistenza. È la persona di Gesù che fa “nuove tutte le cose”.La guida e il discepolo sono coinvolti nella domanda cen-trale:

cosa penserebbe Gesù su questo? cosa direbbe Lui? come Gesù agirebbe?

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SerViZio ai gioVaNi

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BaRtoloMé esteBan MuRilloBambini che giocano ai dadi (part)olio su tela 146x108,51670-1675Splendida la facilità e la naturalità con cui Murillo descrive i bambini nei loro gesti più spontanei: le scorpacciate, i giochi, le birichinate. Uno sguardo sui più piccoli davvero rivolto a coglierli nei loro atteggiamenti più veri, in modo disincantato, ma non abbruttendoli pur nel ritrarli così poveri e trascurati. Uno sguardo che cattura l’attenzione del bambino, perché lo fissa con dignità, ma dritto negli occhi, cercando il suo punto di bene che apre alla speranza, che avvicina e rende presenti sino a condividere la vita.

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31Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; 32ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli». 33E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte». 34Gli rispose: «Pietro, io ti dico: oggi il gallo non canterà prima che tu, per tre volte, abbia negato di

conoscermi».

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iL contesto Al cap. 22 di Luca, tra la conclusione dell’Ultima Cena (cfr. 22,20) e la partenza per il Monte degli Ulivi (cfr. 22,39), leggiamo il Discorso che Gesù tiene con i suoi discepoli, toccando diversi temi: l’annuncio del tradimento, la discussione sul più grande, la promessa del Regno e – sono i versetti su cui vogliamo riflettere - l’annuncio del rinnegamento e del ravvedimento di Pietro. Il passo che stiamo meditando è costruito come un brevissimo dialogo di tre battute: la vocazione da parte di Gesù (vv. 31-32); la dichiarazione entusiasta di Pietro (v. 33); la risposta definitiva di Gesù (v. 34).

La vocazione da parte di Gesù

Qui leggiamo la vera chiamata di Pietro. In Luca è la prima volta che Gesù lo chiama per nome (NB: il suo “vecchio” nome, Simone) e per ben due volte. È una vocazione solenne, come quella di Abramo, di Mosè, di Samuele, di Maria e di Saulo (cfr. Gn 22,1; Es 3,4; 1 Sam 3,10; Lc 10,41; At 9,4). Gesù subito gli annuncia che il nemico, Satana, si oppone al progetto di salvezza. Il suo intento è quello di togliere la fiducia nella Parola di Gesù, che chiama e manda; vuol rubarla dal cuore dell’uomo (8,12), come ha fatto con Adamo e ha tentato di fare con Gesù. La sua azione non sarà che un’azione di vaglio, come quella del contadino che separa il grano dalla pula, ma Dio se ne serve per il bene. Separando il frumento dallo scarto il Diavolo purificherà la fede dei discepoli, conducendoli a quella infedeltà che offrirà loro la possibilità di ritornare a Dio ed a una fede più pura. In forza della sua preghiera Gesù garantisce a Pietro non l’impec cabilità, ma l’indefettibilità della fede. Questa consiste nel fondare la propria vita nella sua misericordia. Pietro sbaglierà, ma «ritornerà», ossia si convertirà. La sua esperienza di infedeltà gli farà conoscere meglio se stesso e il suo Signore, la propria debolezza e la forza di colui che lo ama, la propria miseria e la sua misericordia. Così confermerà (letteralmente «indurirà») la fede dei suoi fratelli che attraverseranno le sue medesime difficoltà. La sua funzione, dirà lui stesso, non è quella di spadroneggiare sul gregge a lui affidato, ma di essere modello di umiltà e di confidenza nel Signore (cfr. 1Pt 5,lss).

La dichiarazione di pietro Pietro è uomo dai grandi desideri. Vuole stare «con» Gesù, disposto a sfidare ceppi e spade poiché ha capito che il suo bene è stare vicino al suo Signore, che solo ha parole di vita eterna. Tali desideri, come non vengono dalla carne, così non possono essere compiuti da essa. La carne è debole. Va riconosciuta come tale, per-ché non si ponga la fiducia in essa, ma in colui che «ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare» (cfr. Ef 3,20). Egli, nella nostra debolezza, manifesta pienamente la sua forza ( cfr. 2Cor 12,9),

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La risposta definitiva di Gesù Ora Gesù chiama Simone col nome nuovo, Kefa/Pietro, che significa «roccia», attributo di Dio nella sua sicurezza e fedeltà. Lo chiama così proprio mentre gli predice la sua sicura infedeltà, che si concretizzerà prima del canto del gallo. Questo ha un forte valore evocativo: il gallo preannuncia il sorgere del sole, simbolo di Cristo che viene a visitare il suo popolo (cfr. 1,78). Il rinnegamento di Pietro sarà, paradossalmente, l’annuncio della bontà misericordiosa del nostro Dio, che viene a visitarci dall’alto come sole che sorge. Infatti colui che deve confermare nella fede i fratelli, prima rinnegherà tre volte di conoscere il Signore e solo dopo lo conoscerà come «Gesù», che significa «Dio salva». Al suo tradimento non farà seguito l’abbandono definitivo del maestro, ma, in virtù della misericordia divina, il pentimento ed il rafforzamento della fede.La sua esperienza è per tutti i credenti paradigmatica per giungere alla fede nel Salvatore.

in sintesi…

Il passo evangelico che abbiamo letto ci delinea la figura di Pietro a tre livelli.Egli è un chiamato: la sua missione non nasce da iniziativa umana, ma da Gesù, che, nel momento cruciale della propria vicenda umana, lo chiama per confermare i suoi fratelli.Egli è un “lottatore”: alla chiamata di Gesù per realizzare il progetto della salvezza si oppone sempre ed instancabilmente Satana, che vaglia e purifica la fede dei discepoli.Egli è un peccatore perdonato: chi confida solo nelle proprie forze esce sconfitto da questa lotta, mentre chi si abbandona con fiducia alla misericordia di Dio alla fine esce rafforzato nella fede, poiché ha sperimentato la bontà di Gesù; pertanto può a sua volta confermare nella fede i propri fratelli.

per rifLettere…

Simone, Simone.Pietro sperimenta anzitutto di essere un “chiamato” ad una missione per il bene dei fratelli. Sei cosciente che il servizio che svolgi nel tuo oratorio/parrocchia nasce da una missione ricevuta da Gesù? Preghi per essere aiutato in questa missione o confidi solo nelle tue forze? Ti sei mai interrogato se questa missione potrebbe diventare per te una specifica e definitiva vocazione? Satana vi ha cercati per vagliarvi.Chi vive una missione per il bene dei fratelli deve prepararsi a lottare contro le potenze del peccato. Come si concretizza per te questa lotta? La vivi confidando solo in te stesso o attaccandoti al Signore Gesù?

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Una volta convertito, conferma i tuoi fratelliPietro sperimenta l’amarezza della caduta, ma anche la gioia della misericordia e della conversione; proprio per questo può efficacemente “confermare” la fede dei suoi fratelli. Quanto sento la responsabilità nei confronti di coloro che in vario modo mi sono affidati? Cerchi di essere per loro immagine di Gesù, ricco di amore e di misericordia per tutti i suoi fratelli? Con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla mortePietro sperimenta un facile entusiasmo che poi verrà meno nel momento della prova. Come vivi la fatica del quotidiano, “luogo” della lotta? La facilità con cui ci diciamo disponibili a seguire Gesù si concretizza nella fedeltà quotidiana alla preghiera, all’impegno nel tuo oratorio/parrocchia, al dovere?

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1 Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora

buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2 Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 3 Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4 Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro.5 Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6 Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7 e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8 Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9 Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

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L’antefatto

Prima della sepoltura si era parlato della preparazione di «quel sabato, che era un giorno solenne», cioè la Pasqua (cfr. 19,31.42). Di questo giorno, apparentemente vuoto, non si dice nulla; sappiamo solo che il corpo di Gesù è nel vuoto del sepolcro. Dicendo nulla, l’evangelista suggerisce molto: infatti il Verbo creatore, entrato negli inferi, si è inabissato nel caos; accogliendo la carne del Figlio dell’uomo, la terra e ogni carne accoglie il Figlio di Dio per cui creatore e creatura finalmente si incontrano e inizia la gioia senza fine dell’ottavo giorno.Ma ora siamo nel primo giorno dopo il sabato, proprio nell’ottavo giorno: è la «domenica», il giorno del Signore, in cui si compiono tutte le promesse di Dio; in esso vive la creazione nuova, riscattata dal male e abitata dallo Spirito di Dio.

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In questa scena compaiono 3 personaggi. Maria, la Maddalena. Mentre gli altri Vangeli ricordano anche altre donne (cfr. Mc 16,l), Giovanni nomina solo Maria Maddalena, facendone la figura tipica del discepolo. Infatti è stata ai piedi della croce (cfr. 19,25; Mc 15,40) e il suo nome richiama Maria di Betania, che vide la gloria di Dio nella risurrezione di Lazzaro (cfr. 11,4.40) e profumò il Signore (cfr. 11,2; 12,1-8); è pertanto come la sposa, conquistata dall’amore estremo dello Sposo e che ora, dopo averlo visto elevato sulla croce, lo cerca dove l’hanno posto. Luca poi dice che da lei erano usciti sette demoni (cfr. Lc 8,2): purificata dall’amore, è la prima che ha occhi per vedere il Signore. Simon Pietro. Pietro, che ha rinnegato (cfr 13,36-38; 18,12-27), è nominato per primo. È posto come primo dei discepoli perché ha sperimentato ciò che ci fa discepoli: la fedeltà del Signore alla nostra infedeltà. L’altro discepolo. Questo discepolo appare insieme a Pietro nell’ultima cena (cfr. 13,23-25) e nel processo (cfr. 18.15ss) per poi riapparire insieme nell’ultimo capitolo. L’«altro discepolo» non è semplicemente l’altro tra due, ma l’altro, il diverso; infatti ha appoggiato il capo nel grembo e sul petto di Gesù (cfr. 13,23-25), che ha poi visto trafitto (cfr. 19,34s). Normalmente è chiamato «il discepolo che Gesù amava», ma adesso, che l’ha visto sulla croce, è chiamato amico. L’amicizia è infatti amore reciproco e Gesù chiama i discepoli «amici» se compiono il suo comando (cfr. 15,14), che è amarci l’un l’altro come lui ci ama (cfr. 13,34; 15,12.17); chi ama allora può incontrare e credere nel Risorto, perché lui stesso è passato dalla morte alla vita (cfr. 1 Gv 3,14).

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La nostra scena è ambienta all’alba, mentre era ancora tenebra. L’alba, ultima veglia della notte, è l’ora in cui c’è insieme luce e tenebra: il sole già illumina il cielo, ma ancora non appare sulla terra; è la condizione interiore di Maria, che cerca lo Sposo giacché in lei c’è la luce dell’amore, ma anche lo smarrimento di non vedere l’amato.Il fulcro spaziale di tutta l’azione è il sepolcro vuoto di Gesù. Nei vv. 1-10 si menziona il sepolcro per ben sette volte per cui esso è, ossessivamente, il protagonista del brano. La memoria di morte che, incutendoci terrore, ci tiene schiavi per tutta la vita (cfr. Eb 2,15), diventa il luogo in cui incontriamo il Risorto. Infatti Gesù, che aveva fatto levare la pietra dal sepolcro di Lazzaro (cfr. 11,39.41), ora come l’agnello di Dio che leva il peccato del mondo (cfr. 1,29), è entrato lui stesso nel sepolcro per levare definitivamente la pietra che ci separa dalla vita; la gloria del Crocifisso ha insomma fatto esplodere l’inferno.

La corsa di maria e dei due discepoLi

Il nostro passo è costruito su due corse: quella di Maria dal sepolcro vuoto verso i discepoli e quella dei discepoli stessi verso il medesimo sepolcro. Ciò che Maria vede è segno dell’inconcepibile. Questa pietra, levata, leva all’uomo l’unica certezza, la morte. Maria non può capire per cui corre ad annunciare la scomparsa di Gesù. Pensa che l’abbiano rubato poiché non ha ancora compreso che l’amore vince la morte. Perciò corre dai discepoli. Dopo l’annuncio di Maria, Pietro e l’altro discepolo escono per andare al sepolcro e corrono insieme. Ma il secondo è più veloce e arriva prima al sepolcro, come giunge per primo a credere (cfr. v. 8) e a vedere il Risorto (cfr. 21,7). L’amico, che ama come è amato, precede colui che è il primo dei discepoli poiché il primato è sempre dell’amore, come si vedrà nel capitolo successivo. Il discepolo amico non entra; attende Pietro, come segno di stima per lui. Guarda però dentro e vede i lini stesi, che non sono abbandonati in disordine, come se il cadavere fosse stato sottratto. Infine Pietro viene al sepolcro seguendo l’altro discepolo, che già l’aveva preceduto nella casa di Caifa (cfr. 18,15s) poiché, seguendo chi ama, si è introdotti nel mistero di Gesù, nella sua passione per noi; entra e vede ciò che anche l’altro ha visto stando fuori. Pietro vede poi anche il sudario, che è il velo della morte, che copre il volto del defunto. Per Gesù, invece, si dice che era sulla sua testa, come il lembo del mantello di uno che dorma per cui ora, che si è svegliato, se lo è tolto. Non è però con i lini stesi, ma messo a parte, avvolto in un luogo determinato. Dopo la constatazione di Pietro, anche l’altro discepolo entra nel sepolcro e vede e crede.I lini stesi, con il sudario a parte, sono i segni che il Signore non è lì e non è stato rubato e, vedendo questo, il discepolo amato crede in Gesù, Signore della vita, pur senza averlo visto.

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L’osservazione finale sembrerebbe in dissonanza con il «vide e credette» che precede. Se si considera il testo nel suo insieme, sembra meglio ritenere che il discepolo amico, con l’anticipazione tipica dell’amore, ha sempre sufficienti segni per credere all’amato. Egli «vide» (i segni) e «credette» (nel Risorto): è il primo che, senza aver visto il Signore, ha in lui quella fede che propone ai suoi lettori (cf. vv. 29-31). Uno infatti non può proporre un’esperienza che lui non ha fatto. La Scrittura del resto non riporta speculazioni o deduzioni, ma il vissuto personale di chi scrive.Probabilmente nel v. 9 l’autore vuol dire - ovviamente al lettore - che solo dopo la risurrezione di Gesù, accertata dai testi oculari, è possibile capire la Scrittura, che tutta parla di lui (cfr. 5,39). La promessa del Signore è comprensibile solo dopo il suo compimento e alla luce del suo Spirito d’amore (cfr. 14,26). Per questo i discepoli possono credere alla Scrittura e alla parola di Gesù solo dopo la sua risurrezione (cfr. 2,22; 12,16). Rimane sempre un velo sul volto di chi legge la Scrittura, che viene eliminato dalla conversione a Cristo Signore (cf. 2Cor 3,12-16) la quale è donata a chi ha contemplato il suo amore e lo ama.I primi discepoli, che hanno incontrato il Risorto, lo testimoniano a noi nel Vangelo, che racconta e rende presente la carne del Verbo, realizzazione di ogni promessa di Dio. Per noi, che veniamo dopo i primi che l’hanno visto e toccato, i Vangeli e l’intera Scrittura diventano come il corpo di Cristo; sono il segno in cui lo incontriamo e vediamo Risorto.

in sintesi

Il discepolo amico di Gesù è il prototipo di quelli che, dopo di lui, crederanno in Gesù senza vederlo (cfr. v. 29), attraverso i segni raccontati dall’evangelista stesso (cfr. vv 30-31). Questo discepolo «altro» vede con il cuore. L’amore è il principio della fede, che dà vita. La connessione tra vedere e credere vuol dire che la fede, lungi dall’essere cieca, è occhio ben aperto sulla realtà.Di Pietro non si dice niente. Si può supporre, senza far violenza al testo, che l’autore voglia mostrare in lui l’aspetto oggettivo della fede: il sepolcro è vuoto e il corpo non fu trafugato. Nel discepolo amato invece evidenzia l’aspetto soggettivo della fede: l’amore «vede» i segni e «crede» in Gesù risorto, senza averlo visto.In Maria, infine, seguita dagli altri discepoli e da Tommaso, è riferita l’esperienza fondante riservata a coloro che ci trasmettono l’annuncio della risurrezione: essi vedono e toccano il Risorto.

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per rifLettere…

Si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio. Maria va al sepolcro perché desidera onorare Gesù, l’amato. Non si dà vita cristiana né, tantomeno, missione cristiana se prima non c’è il desiderio di Gesù. Le tue scelte quotidiane, lo spazio che assegni ogni giorno alla preghiera dicono che desideri stare con Gesù? Quanto è intenso questo desiderio? Vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. La potenza della risurrezione di Cristo fa esplodere gli inferi e sconfigge la morte. Dai questa testimonianza? Chi ti incontra percepisce che sei animato da questa speranza che rinnova la vita? Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo.Maria corre dai discepoli per raccontare loro quello che ha visto. Ha il desiderio e l’entusiasmo di testimoniare la tua esperienza cristiana? Lo fai nel tuo ambiente? Il servizio apostolico che svolgi nel tuo oratorio/parrocchia ha la forma della testimonianza di un incontro con Cristo o è solo un modo per fare qualcosa che ti gratifica? L’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. ll discepolo amato corre più veloce e giunge per primo al sepolcro vuoto. Sai che l’entusiasmo nella missione e nell’annuncio è direttamente proporzionale al tuo amore per Cristo? Ti verifichi su questo aspetto con la tua guida spirituale?

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La personalità plasmata dalla cultura digitalizzata dell’informazione funziona secondo la logica

multitasking; l’ideale antico di un uomo capace di concentrarsi su un compito, di riservare attenzione ad un interlocutore, di compiere con dedizione un servizio sembra tramontato. Oggi siamo provocati da una cultura che ci invita a lavorare contemporaneamente su diversi fronti, a considerare gli impieghi alla stregua di windows che si aprono nella nostra giornata e che non hanno mai il diritto di assorbire l’intero della nostra attenzione o della nostra dedizione. Ogni dove del nostro impegno è in realtà l’occasione per rendere presente un altrove; windows e sportelli squarciano il nostro orizzonte trafitto da connessioni e ridotto ad utenze. Dio con noi non ha aperto uno sportello, onde dedicarci qualche frammento di planning caotico; non siamo per lui un’icona, ingombro intermittente di un dektop affollato. Per Dio ciascuno di noi è unico, destinatario di un amore senza limiti, senza esclusioni, senza ripensamenti, senza orari e distrazioni. Vocazione è essere icone reali, non virtuali della tenerezza sollecita di Dio, che conosce il solo linguaggio dell’attenzione piena, della dedizione totale, della pazienza infinita.

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P. MARTINI, Reality shock [Yahoopolis], Aliberti 2007.

È la cosiddetta generazione multitasking, connotata con una parola di gergo ovviamente informatico, che all’origine indica la capacità di un computer di svolgere contemporaneamente appunto una molteplicità di compiti. Per slittamento, ora il termine non allude più al mondo dei programmi elettronici, ai cosiddetti software: ma alle teste, e ai comportamenti abituali, d’un’intera generazione allevata a pane e telecomunicazioni. Ragazzi, come i nostri, che è facile trovare seduti al computer, con due o tre finestre aperte nelle varie comunità virtuali, una ricerca scolastica fatta con Google, magari con a portata di mano due telefonini con cui “smessaggiare”, la cornetta del telefono fisso incastrata tra una spalla e una guancia, e ovviamente con la musica, o la tv video musicale, perennemente in sottofondo.

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BOSCO G. “Mermorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855”, Cap. II, prima decade: 1825-1835.

“A quell’età ho fatto un sogno. Sarebbe rimasto profondamente impresso nella mia mente per tutta la vita. Mi pareva di essere vicino a casa, in un cortile molto vasto, dove si divertiva una grande quantità di ragazzi.”

La chiamata di Dio, come per i grandi personaggi biblici, si inserisce dentro la vita quotidiana, come un cuneo, come una lampada in un luogo che conosciamo, ma di cui ci possono sfuggire i particolari. Mosè viene chiamato mentre porta al pascolo il gregge del suocero; Samuele durante il sonno nel tempio; Pietro, Giacomo e Giovanni mentre riassettano le reti sul lago di Tiberiade e Matteo al banco delle imposte. Don Bosco, appena arriva a Torino, si guarda attorno, vede… e si lascia chiamare.

Egli cominciò a condurmi a visitare i carcerati. Nelle prigioni imparai a conoscere quanto è grande la malignità e la miseria degli uomini. Vedere un numero grande di ragazzi tra i 12 e i 18 anni, sani, robusti, intelligenti, vederli là oziosi, tormentati dalle cimici e dai pidocchi, senza pane e senza una parola buona, mi fece inorridire. Quei giovani infelici erano una macchia per la nostra patria, un disonore per le famiglie. Erano umiliati fino alla perdita della propria dignità. Quello che più mi impressionava era che molti, quando riacquistavano la libertà, erano decisi a vivere in maniera diversa, migliore. Ma dopo poco tempo finivano di nuovo dietro le sbarre. Cercai di capire la causa, e conclusi che molti erano di nuovo arrestati perché si trovavano abbandonati a se stessi. Pensavo: «Questi ragazzi dovrebbero trovare fuori un amico che si prende cura di loro, li assiste, li istruisce, li conduce in Chiesa nei giorni di festa. Allora forse non tornerebbero a rovinarsi, o almeno sarebbero ben pochi a tornare in prigione». Comunicai questo pensiero a don Cafasso, e col suo aiuto cercai il modo di tradurlo in realtà.

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“Al sentire le bestemmie, mi slanciai in mezzo a loro. Cercai di farli tacere usando pugni e parole”.

Giovanni ha talmente alta la sensibilità sui valori importanti, quali la buona educazione e l’atteggiamento di fede che non può starsene fermo, non può accettare che questi ragazzi si buttino via in una umanità che va a pezzi e che continuamente offende Dio.

1-Il mio quotidiano che cosa mi sta dicendo, come mi interpella? Provo a tracciare con sincerità le situazioni che mi chiedono una mano… le situazioni in cui percepisco delle povertà anche se faccio fatica a gettarmi nel servizio.

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“Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi bestemmiavano.”

2-Provo a fare un’analisi della situazione dei ragazzi che vedo attorno a me, cerco di essere il più analitico possibile…Quando ho terminato questa radiografia, provo a chiedermi: che cosa c’entra Gesù con loro?

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La nostra vita di tutti i giorni è il luogo dove Dio ci interpella.

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3-Di fronte all’analisi della situazione dei ragazzi che cosa ho fatto? Ho mai provato ad intervenire? Provo a delineare cosa ho pensato e come ho agito.

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“In quel momento apparve un uomo maestoso, vestito nobilmente. Un manto bianco gli copriva tutta la persona. La sua faccia era così luminosa che non riuscivo a fissarla. Egli mi chiamò per nome e mi ordinò di mettermi a capo di quei ragazzi. Aggiunse: «Dovrai farteli amici con bontà e carità, non picchiandoli. Su, parla, spiegagli che il peccato è una cosa cattiva, e che l’amicizia con il Signore è un bene prezioso.”

Il Signore dentro questa realtà si rende presente, Lui è lì, non altrove, ed ha una Parola precisa, per colui che chiama, un’indicazione di percorso. Chiama per nome, perché il chiamato è unico ed irrepetibile ai Suoi occhi, di lui ha bisogno. Ordina, la Sua Parola risulta imperativa, decisa, forte. Chiede di porsi a capo di quei ragazzi, una chiamata alla leadership. Non gente smidollata, la Sua chiamata è per uomini forti che sanno assumersi responsabilità di guida dei più piccoli, per il loro bene. Come è stato per Giovannino nella “società dell’allegria”, come per Domenico nella “compagnia dell’Immacolata”. Mettersi a capo significa diventare modello, punto di riferimento significativo. Gesù indica anche il metodo di lavoro: •farseliamici:soloconl’amiciziasifannocrescerelepersone;•conlabontàelacarità:soloconilsorriso,ladolcezza,la bellezza nel tratto, volendo loro veramente bene le persone crescono; •introducendolinellerealtàprofondefracui:peccato– tristezza - grazia – gioia: questo è il fine di ogni cosa, il sogno di Dio su ciascuno, la felicità. Tutto ciò che è contro la gioia vera deve essere combattuto perché contro il sogno di Dio e la realizzazione dell’uomo. Oggi molti ragazzi non sono consapevoli di ciò, ma chi ha incontrato il Signore della gioia non può tenere per sé questo grande tesoro.

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4-Che impressione mi fa sentire che questa Parola del Signore è rivolta direttamente a me? Provo a descrivere quanto sento in cuore.

“Confuso e spaventato risposi che io ero un ragazzo povero e ignorante, che non ero capace a parlare di religione a quei monelli”.

È normale la reazione di Giovanni, come quella di Geremia che afferma di non saper parlare “perché giovane”, come quella di Maria che “rimase turbata”, come quella di tutti i chiamati. La paura, la confusione che proviamo è il frutto del fatto che Dio sogna in grande, che il Suo progetto è enorme e noi ci sentiamo così piccoli, fragili, incapaci, ma LUI è DIO e, se LUI chiama un piccolo, o sbaglia, oppure vuole anche attraverso la piccolezza operare i miracoli del Suo amore. Ed il Suo mandato sarà da Lui supportato.

5-Quali sono le paura che provo nel pormi al servizio dei ragazzi?Che relazione colgo fra i miei timori e la chiamata di Dio?

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“In quel momento i ragazzi cessarono le risse, gli schiamazzi e le bestemmie, e si raccolsero tutti intorno a colui che parlava. Quasi senza sapere cosa dicessi gli domandai:- Chi siete voi, che mi comandate cose impossibili?-”

Questo è il punto ed il salto di qualità. Come quando il Signore ha fatto la domanda ai discepoli: “Voi chi dite che io sia?” e dalla risposta di Pietro è scaturita la sua vocazione a pietra della Chiesa, così ora dal riconoscere chi è Colui che ci ordina, che ci chiede queste cose, tutto cambierà. Allora queste cose impossibili diventeranno possibili se crediamo che LUI è Dio, che LUI può TUTTO, che LUI fa TUTTO. Senza questa fede non esiste vocazione, senza questa fede non diremo mai di sì al progetto che Lui ha pensato e che noi non avremmo mai ipotizzato PER NOI. Se invece LUI è il SIGNORE, allora non possiamo che dirgli: FA’ di ME ciò che VUOI. Mandami a chi vuoi!

6-Chi è per me Gesù e quale disponibilità Gli ho donato?

“Proprio perché queste cose ti sembrano impossibili - rispose - dovrai renderle possibili con l’obbedienza e acquistando la scienza.”

La via per questo cammino sono l’obbedienza e la scienza.• Obbedienza che è atteggiamento di umiltà neiconfronti di coloro che il Signore ha posto sul nostro cammino come guida, come segno del Suo perdono (confessore) ecc. • Scienza che significa uno sviluppo dei doni cheil Signore ci ha dato, un esatto compimento dei doveri quotidiani (studio non solo per un tornaconto immediato, ma per una autentica formazione di tutta la persona che poi potrà essere ridonata agli altri).

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7-Una verifica dopo questi mesi di GriGio: è aumentato il mio impegno di studio, lavoro, obbedienza, continuità con un confessore…?

“- Come potrò acquistare la scienza?- Io ti darò la maestra. Sotto la sua guida si diventa sapienti, ma senza di lei anche chi è sapiente diventa un povero ignorante.”

C’è una scuola che non ha eguali per don Bosco: la scuola di Maria. È una scuola contrassegnata da alcuni elementi che nella vita di don Bosco saranno poi costantemente presenti:•lostiledellafiducia, frutto d’ascolto: primato di Dio;•lostiledell’umiltà e dell’obbedienza: il sì di Maria;•lostiledelservizio: verso Elisabetta e a Cana;• lo stile della gioia e della riconoscenza: il suo magnificat;•lostiledell’impegnoquotidiano: la vita a Nazareth;• lostiledellapreghiera: Maria che conserva tutto e medita;•lostiledellafedeltà: sotto la croce;•lostiledellapotenza: l’Assunta vicino a Dio;•lostiledellapurezza: l’Immacolata.È una scuola a cui don Bosco ha educato i suoi ragazzi, con una fiducia forte nella Vergine: “Ha fatto tutto Lei”, con le tre “Ave Maria” dette con fede alla sera, con la preghiera del Rosario quotidiano.

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“- Ma chi siete voi?- Io sono il figlio di Colei che tua madre ti insegnò a salutare tre volte al giorno.- La mamma mi dice sempre di non stare con quelli che non conosco, senza il suo permesso. Perciò ditemi il vostro nome. - Il mio nome domandalo a mia madre.In quel momento ho visto vicino a lui una donna maestosa, vestita di un manto che risplendeva da tutte le parti, come se in ogni punto ci fosse una stella luminosissima. Vedendomi sempre più confuso, mi fece cenno di andarle vicino, mi prese con bontà per mano e mi disse:- Guarda.”

Maria, secondo il pensiero di don Bosco, ha condotto e custodisce coloro che sono entrati in una casa salesiana. Maria non fa “miracoli”, ma ci aiuta a guardare con occhi diversi la realtà. Ma lo stile di Maria diviene metodologia per incontrare i ragazzi:•lasuaVerginità•lasuaaccoglienza•ilsuofareilprimopasso•ilsuoporsialservizio•lasuapovertà• la sua flessibilità e docilità per il benedel piccoloGesù •lasuavitafedelmentequotidiana• ilsuosguardoattentoaibisognidell’altro,allesueferite nascoste•ilsuointercedereperlafelicitàditutti•ilsuostiled’ascoltoediriflessione•lasuacapacitàdiandareappressonelsuocrescere• il suo stare anche quando le tenebre e le offesesono struggenti•lasuacustodiadelfiglioamato•ilsuosperareoltrelasperanzaecc…

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“Guardai, e mi accorsi che quei ragazzi erano tutti scomparsi. Al loro posto c’era una moltitudine di capretti, cani, gatti, orsi e parecchi altri animali. La donna maestosa mi disse:- Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte e robusto, e ciò che adesso vedrai succedere a questi animali, tu lo dovrai fare per i miei figli.”

Maria indica il luogo dell’impegno, il luogo del servizio, il luogo della vocazione. Don Bosco raccomandava una devozione filiale e forte nei confronti di Maria come via per la scoperta e la realizzazione della propria vocazione. Questo non basta, Maria dà anche a Giovannino le linee di formazione e di risposta alla sua chiamata:•Renditi:vuoldirechenon loseigià.Latentazionenel cammino di discernimento vocazionale è quella di scoraggiarsi scoprendo che il compito è grande e noi siamo deboli. Non siamo nati perfetti. Siamo chiamati a crescere. Il nostro compito è non fermarci, non smettere di porre in atto tutte quelle dinamiche di sviluppo di tutto ciò che siamo.•Umile:loabbiamogiàribadito,umiltàèsentirsinonarrivati, umiltà è farsi correggere, non offendersi delle correzioni, imparare da tutti, è essere consapevoli che solo Lui è perfetto, che noi abbiamo bisogno di essere perdonati e salvati. Umiltà è non agire da supereroi che pensano di salvare il mondo. Umiltà è porre a disposizione i propri doni senza permalosità né vanità.• Forte: della fortezza fisica e di quella spirituale.Essere uomini veri, capaci di sopportare anche fatica e disagio per un bene scoperto o per gli altri, uomini coraggiosi, che sanno sostenere la causa della verità, uomini forti, capaci di dialogo con tutti, anche con chi non condivide, uomini della fortezza di Dio. •Robusto:perchéancheilnostrocorpoèimportante,perché con esso ci doniamo, perché con esso comunichiamo, educhiamo e annunciamo il Vangelo.

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“Guardai ancora, ed ecco che al posto di animali feroci comparvero altrettanti agnelli mansueti, che saltellavano, correvano, belavano, facevano festa attorno a quell’uomo e a quella signora.”

Il miracolo della trasformazione, della trasformazione educativa a cui il Signore ci manda. Lui la opera. Ha però bisogno delle nostre mani, del nostro sorriso, della nostra parola, della nostra presenza.

“A quel punto, nel sogno, mi misi a piangere. Dissi a quella signora che non capivo tutte quelle cose. Allora mi pose una mano sul capo e mi disse:- A suo tempo, tutto comprenderai.”

Anche alcune cose del nostro cammino vocazionale non sono immediatamente comprensibili. Necessitano di pazienza, di fiducia. Si dipanano lentamente. È come andare di notte in bicicletta con la dinamo: per accendere la luce,•ènecessarialanostraprimapedalata,senolalucenon si accende.•lalucenonilluminatutto,masoloquantonecessarioper vedere nel momento presente.• bisogna continuare a pedalare con pazienzae costanza, allora percorreremo tutta la strada giungendo alla meta.

“Aveva appena detto queste parole che un rumore mi svegliò. Ogni cosa era scomparsa.Io rimasi sbalordito. Mi sembrava di avere le mani che facevano male per i pugni che avevo dato, che la faccia mi bruciasse per gli schiaffi ricevuti.Al mattino ho subito raccontato il sogno, prima ai fratelli che si misero a ridere, poi alla mamma e alla nonna. Ognuno diede la sua interpretazione. Giuseppe disse: «Diventerai un pecoraio». Mia madre: «Chissà che non abbia a diventare prete». Antonio malignò:

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8-Quali sono le mie reazioni alle critiche, alle incomprensioni, alle solitudini per il servizio ai ragazzi?Colgo che il mio servizio ai ragazzi è determinante passaggio per la comprensione della volontà di Dio?

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«Sarai un capo di briganti». L’ultima parola la disse la nonna, che non sapeva niente di teologia, che non sapeva né leggere né scrivere: «Non bisogna credere ai sogni».Io ero del parere della nonna. Tuttavia quel sogno non riuscii più a togliermelo dalla mente. Ciò che esporrò in queste pagine dirà il perché.”

Come nella famiglia Bosco, di fronte alla nostra vocazione al servizio molti daranno le letture più diverse: follia, illusione, lavaggio del cervello di qualcuno, condizionamento, vero percorso di vita…. La verità di quel sogno di Dio è che ci rimarrà nel cuore e segnerà per sempre la nostra vita.

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LeVON BALTHASAR H.U., Vocazione, Rogate, Roma, 2002.

Una vocazione (chiamare — fuori — da) della Chiesa, la quale avviene a favore del mondo e con ciò diviene an-che modello per ogni vocazione personale all’interno della Chiesa, vocazione che mostra, senza eccezioni, la stessa forma ecclesiale: vocazione a favore di coloro che per il momento non sono ancora chiamati. […] Ogni chiamata in senso biblico è tale per amore dei non-chiamati. Questo è vero in maniera centrale per Gesù Cristo che è predestina-to e con ciò chiamato (Rom 1, 4) a morire e risorgere, pren-dendo il loro posto, per tutti i condannati. E in Gesù Cristo è al tempo stesso visibile che il Padre proprio per questo lo ama con un amore di predilezione, poiché egli si è fatto funzione della universale volontà salvifica paterna.[…] La vocazione biblica, assumendo Cristo come modello, è espropriazione di un’esistenza privata in funzione della salvezza universale: diventare proprietà di Dio, per esse-re da Lui consegnati al mondo e venir usati e consumati nell’evento della redenzione. Ma ecco subito il punto de-cisivo: come Cristo è persona per divenire funzione, così ogni vocazione biblica è primariamente personale per poi – a partire da un sì personale a Dio – poter essere usata in maniera funzionale.

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rivedi La tua vita

1-Qual è il tuo servizio costante ai più piccoli?

2-Ti stai confrontando con un salesiano/una FMA nel tuo impegno apostolico per crescere nel servizio?

3-Sta crescendo in te l’attenzione ai più poveri e

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per L’approfondimento ti suggeriamo come testo per il mese: BOSCO T., Don Cimatti. Il don

Bosco del Giappone = Santi e figure della famiglia salesiana, LDC, Torino- Leumann 2009.u

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gli Stati di Vita

gli Stati di Vita

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williaM conGdonPENTECOSTE 4olio su faesite, 110x1201962Mai pennellate così veloci e tormentate hanno descritto con tale chiarezza il concetto di Pentecoste. Chi riceve lo Spirito Santo non percepisce più la propria corporeità, ma il suo viso rischiarato dalla luce e la parte illuminata della sua veste sono quanto di lui può risaltare, come a dire che solo ciò che è illuminato da Dio ha veramente valore. Questa scena è un atto d’amore forte e vero verso l’umanità quanto il rosso vivido delle fiamme che avvampano sopra i tondi dei visi, ed è altrettanto oscuro e incomprensibile quanto l’inconsistenza dei corpi e del terreno che Congdon tralascia di completare. In una composizione che tende solo ad ascendere, che trascina verso il divino. Dentro questa “violenza” ciascuno scopre la sua unicità nella chiesa.

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1Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. 3Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. 4Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. 5Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». 6Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. 7Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. 8Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. 9Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». 11Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. 12Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. 13Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. 14Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. 15Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». 17Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. 18In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

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L’antefatto Dopo la prima apparizione alla sera di Pasqua e la seconda otto giorni a seguire (dopo questi fatti), per la terza e definitiva volta si manifesta il Signore ai discepoli riuniti insieme. Le tre manifestazioni «graduali» indicano il passaggio da quella riservata ai primi, che «credono perché vedono», a quella rivolta a noi che «non vediamo e crediamo». In mezzo c’è l’esperienza di Tommaso, che sta tra il primo e questo terzo modo di presenza del Risorto. In questo episodio evangelico possiamo riconoscere due parti: la vera e propria manifestazione del Risorto (vv. 1b-14), incorniciata dall’espressione ripetuto a 1b e 14 (manifestarsi ai discepoli); il serrato dialogo di 10 battute tra Gesù e Pietro (v. 15-19).

La manifestazione di Gesù risorto L’azione del manifestare (in greco phaneróo) significa rendere chiaro. Suggerisce un uscire dall’oscurità per venire alla luce: Gesù è ormai sempre presente e «si manifesta così». Questo sarà d’ora innanzi il suo modo di essere con i suoi discepoli. Mentre noi siamo nel mare del mondo a compiere l’opera che ci ha affidato, Lui è già a riva, sulla «terra». Da lì ci assiste e si manifesta nella Parola che rende fruttuosa la nostra pesca e nel banchetto che condivide con noi. Ricostruiamo lo “sfondo” di questa manifestazione, per poi seguire lo sviluppo delle azioni.

Lo “sfondo” deLLa scena

Dove?Tale azione di Gesù si compie sul «mare di Tìberiade» (il nome pagano della capitale della Galilea, costruita in nome dell’imperatore Tiberio). Questo incontro con il Risorto non è dunque nel cenacolo, dove i discepoli hanno ricevuto il pane, lo Spirito e la missione. Avviene all’aperto, tra i pagani. A chi?Ai discepoli che, dopo il dono di Pasqua, sono «insieme». Si parla in particolare di sette discepoli. Simon Pietro. Dopo che discepolo e maestro si sono incontrati in tutti momenti salienti della vicenda terrena di Gesù, l’intreccio del loro cammino continua anche in questo racconto (cfr. vv. 1-14) e trova nel finale - come sintesi di tutto il Vangelo - la sua spiegazione (cfr. vv. 15-24).Tommaso, detto Didimo. Tommaso si era dichiarato disposto a morire accanto a Gesù (cfr. 11,16). Nell’ultima cena gli chiede inoltre dove va; e ottiene la risposta; «lo-Sono la via, la verità e la vita» (cfr. 14,5s). Riappare nel racconto precedente come l’incredulo che raggiunge la piena fede, esclamando: «Mio Signore e il mio Dio» (cfr. 20,28).Natanaele, quello di Cana di Galilea. È il vero israelita che, superando i suoi dubbi (cfr. 1,46), per primo riconosce Gesù come Figlio di Dio e re d’Israele (cfr. 1,49).

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Quelli di Zebedeo. Sappiamo dagli altri Vangeli che sono Giacomo e Giovanni (cfr. Mc 1,1), «l’altro discepolo», quello che Gesù amava, autore del quarto Vangelo.Altri due dei suoi discepoli. Chi sono questi due altri discepoli? Inutile chiederselo, perché sono anonimi. Sappiamo che sono due, principio di molti. Rappresentano i discepoli che verranno in seguito, chiamati «altri», come l’altro discepolo, quello che Gesù amava. Quando?Di notte, poiché qualunque giorno rimane notte fino a che non si manifesta la luce del mondo; infatti la notte finisce e viene l’alba con la presenza di Gesù. Con lui inizia il giorno nuovo (cfr. 20,1), che dissolve la tenebra in cui si trovano i discepoli.

Lo sviLuppo deLLe azioni

Simon Pietro ha un ruolo di preminenza: prende l’iniziativa della pesca (v. 3), si butta nel mare (v. 7b) e tira a riva la rete piena di pesci, senza che si rompa (v. 11). Simon Pietro non ordina agli altri di pescare, per cui gli altri decidono spontaneamente di andare con lui. Non sono dei subordinati, ma persone in comunione, per libera decisione dello Spirito. Questa comunione tra di loro resta però sterile fino a quando non è comunione con Gesù. L’iniziativa comune di Pietro e degli altri è infatti senza risultato poichè «il tralcio non può portare frutto da se stesso se non dimora nella vite, così anche voi, se non dimorate in me [...]. Chi dimora in me e io in lui fa molto frutto» (cfr. 15,4s). Lui dimora in noi come noi in lui, se ascoltiamo la sua parola: «Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio lo amerà e verremo da lui e faremo dimora presso di Lui» (cfr. 14,23). Ogni iniziativa apostolica, con tutte le reti e le perizie del mondo, se non scaturisce dalla comunione con il Signore resta infruttuosa. Gesù ritto in piedi sulla riva, risorto e vivo, ha compiuto la sua missione, è già arrivato a riva. Da lì è presente ai discepoli che continuano la sua missione. Ma questa presenza rimane sterile e lui non è riconosciuto, fino a quando non osservano la sua parola. Egli si rivolge a loro con un appellativo affettuoso (figlioli) e li interroga sulla fatica notturna; chiede poi loro del «companatico». Il «pane» c’è già: è lui, che ha dato se stesso per la vita del mondo. Gesù aveva promesso ai discepoli che avrebbero compiuto le sue opere e anche di più grandi (cfr. 14,12), ma alla sua domanda sul risultato della pesca la loro risposta è un secco «no», pieno di delusione. Gesù, allora ordina di gettare la rete da una parte precisa, l’unica che può essere feconda di vita. Per questo ci ha dato un preciso comando, il «suo», offrendoci il potere divino (richiamato dall’espressione «la parte destra»). Solo l’obbedienza a questo comando fa dimorare lui in noi e ci dona la sua vita.Pertanto in obbedienza al «comando» del Signore la loro pesca è abbondante. Nella rete tirata a terra c’è una «moltitudine» di uomini salvati dalle acque, una «pienezza» che abbraccia l’umanità intera. È il molto frutto del tralcio unito alla vite (cfr. 15, 5). Il discepolo che Gesù amava, colui che conosce l’amore di Gesù appare ora esplicitamente, sempre vicino e in contrappunto

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a Pietro. È lui che notifica a Pietro la presenza del Signore poiché solo l’amore vede. La descrizione della reazione di Pietro contiene vocaboli altamente evocativi che saranno ripresi nei vv. 18-19, quando si dirà che anche Pietro, finalmente, può seguire Gesù e diventare come lui. Simon Pietro si cinge la veste e si butta nel mare, come prima era entrato nel sepolcro (cfr. 20,6). Gettarsi in acqua e risalire, nudità e veste, sono allusioni al battesimo. Simon Pietro seppellisce il suo passato, affogando presunzioni e colpe, per risalire a riva e incontrare Gesù. La parola «cingersi» esce nella lavanda dei piedi, quando Gesù si cinge il panno del servo (cfr. 13,4s). Mentre Simon Pietro scompare nell’acqua, gli altri vengono con la barca, portando la moltitudine di pesci a terra, la terra promessa, dove Gesù è già arrivato e i discepoli approdano con il frutto della loro missione. Non si dice che essi vedono Gesù, ma brace con pesce epane. La brace, evocando il rinnegamento di Pietro (cfr. 18,18), prepara il seguito della scena. Pesce e pane - c’è una sovrimpressione tra Gesù e i doni eucaristici -- richiamano il fatto dei pani e dei pesci, quando Gesù anticipò la sua Pasqua (cfr. 6,9-11). Ora i discepoli capiscono il suo discorso fatto nella sinagoga di Cafarnao sul pane di vita (cfr. 6,26-59): Gesù è il pane offerto. La nostra pesca «adesso» è feconda perché abbiamo ascolato il comando di Gesù. Pietro ora sale dall’acqua dove si è immerso, come Gesù nel suo battesimo (cfr. Mc 1,10) e tira verso la vita la grande moltitudine di uomini, simbolizzati dal gran numero di pesci (153) che riempiono la rete. Come il discepolo amato (v. 7), ora finalmente anche gli altri riconoscono il Signore. È il banchetto della nuova alleanza, che ci salva dal mare dei nostri fallimenti, offrendoci il perdono dei peccati. Lo riconoscono dall’abbondante frutto dell’obbedienza al suo comando, che ci fa partecipare attivamente al dono che lui fa di sé nel suo pasto (cfr. v. 13). Prima Gesù stava ritto a riva: è il Risorto, già arrivato sulla «terra», tornato al Padre e presente ai fratelli. Ora si dice che viene; infatti il Risorto viene a noi nell’eucaristia. Egli è «il Veniente», che di continuo viene a noi nel memoriale del suo amore. L’espressione richiama il dono dei pani e dei pesci (cfr. 6,11 ). «Prendere il pane e dare» sono le parole dell’eucaristia, dove riceviamo il pane del cielo che da vita eterna: chi lo mangia entra in comunione con lui e vive di lui, come lui del Padre (cfr. 6,48-58). È il compimento in noi del dono del Figlio.

iL diaLoGo con pietro

Terminato il pasto consumato insieme, inizia la seconda parte del racconto che, dopo la missione e il banchetto eucaristico, tocca il nodo dei rapporti all’interno della comunità. In questa nuova sezione si esplicita il rapporto di Pietro con Gesù e con i fratelli (vv. 15-19), in particolare con l’altro discepolo (vv. 20-23). Si tratta del servizio di Pietro, della sua sequela e del suo martirio. Il suo ministero è visto in stretta regione con l’altro discepolo, quello che Gesù amava.

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Abbiamo un dialogo serrato, di dieci battute: tre scambi di tre battute ciascuno, cui segue l’invito conclusivo di Gesù. Tema è il suo ruolo di guida e custode dell’unità, già emerso durante la pesca. Dopo il dialogo, centrato sull’amore, c’è la chiamala a seguire il Pastore bello che dà la vita per le pecore. Rimane ancora aperta la ferita del suo triplice rinnegamento, che Gesù aveva predetto (cfr. 13,38); ma questa non è la parola definitiva poiché il suo peccato lo apre a una storia nuova; lo rende capace di capire il mistero del Signore come perdono e della debolezza, propria e altrui, come luogo di maggior amore. iL primo scambio

Gesù lo chiama con il nome suo e di suo padre, come all’inizio; colpiscono queste parole rivolte a Pietro e a ciascuno di noi che le ascoltiamo poiché fa tenerezza un Dio che si espone e mi chiede: «Mi ami tu?». Gesù usa la parola agapào, che indica l’amore originario e gratuito con il quale Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio (cfr. 3,16), l’amore estremo con il quale Gesù ci ha amati (cfr. 13,1), che è lo stesso con il quale il Padre ama noi (cfr. 15,9). La risposta affermativa di Pietro non si fonda sulla sua sicurezza di dare la vita per Gesù (cfr. 13,37). Si fonda su quanto il Signore sa: gli aveva predetto la sua defezione (cfr. 13,38), ma pure che lo avrebbe seguito più tardi (cfr. 13,36b). Pietro non usa la parola di Gesù (agapào), bensì philéo, che significa essere amico. Non è una semplice variazione stilistica. Il verbo agapào, come già detto, indica l’amore che dà la vita: origine di questo amore è solo lui, il Signore. Quando accettiamo che lui ci lavi i piedi, allora anche noi possiamo amare come lui. Il verbo philéo aggiunge sfumature di amicizia e reciprocità affettiva, ormai possibile perché abbiamo accolto il suo amore assoluto. Pertanto grazie all’esperienza di amore ricevuto, Pietro è associato alla missione del Pastore bello. Per questo il suo ministero sarà contrassegnato da perdono e riconciliazione. La sua preminenza non è nel dominio, ma nel servizio di misericordia e perdono (cfr. 20,21-23). iL secondo scambio Non basta una volta: la domanda di Gesù sarà ripetuta sem-pre un’altra volta. Gesù infatti ripropone la stessa domanda, trala-sciando il «più di costoro». Pietro, nella sua esperienza di tradimento, è già sufficientemente guarito dalla pretesa di essere meglio degli altri. Però non è ancora guarito dalla sfiducia che gli impedisce di amare. Le parole tra Gesù e Simone di Giovanni sono allora un dia-logo di guarigione. Il vecchio Simone, tanto generoso e volenteroso quanto fragile e presuntuoso, viene alla luce come Pietro; diventa stabile come la Roccia da cui è tratto (cfr. Is 51,1), fratello di colui che è la Pietra (cfr. 1 Cor 10,4), scartata dai costruttori e diventata pietra angolare (cfr. Mc 12,10; At 4,11).Anche la seconda risposta di Pietro è identica alla prima per cui Gesù ribadisce la sua fiducia in lui. Rispetto al v. 15 c’è «pascola» invece di «pasci» e «pecore» invece di «agnelli». Pascolare, termine più ampio di pascere, indica l’azione del pastore che guida il gregge (cfr. Sal 23). Gesù affida a Pietro piccoli e grandi, agnelli e pecore, perché provveda loro il cibo, guidandoli ai pascoli. Pietro è associato

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al servizio di Gesù, senza però sostituirsi a lui. Non gli dice che è pastore: unico è il Pastore, l’Agnello che ha dato la vita per tutti e a tutti. Pietro deve condurre il gregge a quel pascolo dove il Signore è pastore e pastura. iL terzo scambio

Questa terza volta è sottolineata nella sua diversità dalle altre e richiama il triplice rinnegamento. Gesù ora lo interroga su ciò che due volte Pietro ha affermato: è sicuro di essergli amico (philèo)? Grazie ad esso ha sperimentato il perdono di colui che lo conosce meglio di quanto lui conosca se stesso, perché lo ama più di se stesso. Solo allora è sicuro che nulla lo può ormai separare dall’amore di Dio.Pietro si contrista al ricordo della sua infedeltà. Eppure proprio questa è il fondamento del suo «amare di più», come Gesù gli ha chiesto all’inizio. E’ nella sua infedeltà che sperimenta chi è il Signore, fedele e misericordioso. Alla fine amplia, rispetto alle due precedenti, la propria risposta affermativa. Tu, Signore, sai tutto di me (cfr. Sal 139); e io so che sei tu a dare la vita per me, non io per te; tu sai che io ti rinnego e sai che, nella tua fedeltà a me, anch’io saprò riconoscerti e amarti. per La terza voLta aLLora GLi è confermata La fiducia

Gesù quindi predice a Pietro che ora sarà in grado di seguirlo e andare dove lui stesso è andato (cfr. 13,36). Il testo è un contrappunto giovane/vecchio, cingersi/essere cinto, andare/essere portalo, volere/non volere. C’è una differenza tra il precedente Simone, che da giovane si cingeva la veste credendo di andare dove voleva, e il nuovo Simone, che da vecchio sarà cinto della veste da un altro e sarà portalo dove non vuole. È proprio quello il luogo dove prima voleva, ma non poteva andare (cfr. 13,36): è lo stesso dove il suo Signore e Maestro è andato, ponendo la propria vita a servizio dei fratelli. L’invito finaLe di Gesù

Anzitutto interviene il redattore con un suo commento: Gesù ha predetto il martirio del suo discepolo. Come era stato promesso, la Gloria che il Padre ha dato al Figlio, questi l’ha data ai discepoli (cfr. 17,22). Ora anche per Pietro l’andarsene dal mondo non sarà più un morire, ma un glorificare Dio (cfr. 11,4), manifestando in sé il suo amore (cfr. 12,26-33).Quindi, come Filippo all’inizio (cfr. 1,43), ora anche Pietro è chiamato dal Signore a seguirlo. Se prima non poteva (cfr. 13,36), adesso può, perché nel perdono conosce il suo amore. Pietro non è il pastore da seguire, ma l’agnello che segue l’Agnello, fino al martirio. Con la sua testimonianza offrirà ai fratelli il cibo di cui lui stesso si è nutrito. Seguire Gesù è un’espressione che dice in sintesi tutta la vita cristiana: si segue chi si ama, per essere con lui e come lui.

in sintesi…

Il passo che abbiamo letto ci parla anzitutto della presenza del Risorto, che è vivo ed operante in mezzo a noi nel segno eucaristico del pane offerto e spezzato. Egli è la garanzia che la

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vocazione e la missione della Chiesa nel mare del mondo non nasce da une mera iniziativa umana, ma dall’obbedienza alla sua parola che salva; si tratta di una missione che ha come unico scopo di condurre gli uomini là dove li vuole l’Agnello-Pastore. Questa sua presenza tuttavia non può essere riconosciuta da tutti, ma solo dal cuore che ama e che cerca il Signore; nel contempo ci provoca all’amore poiché solo chi ama può seguire, come Pietro, l’Agnello-Pastore ovunque egli vuole.

per rifLettere…

Quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Solo l’amore ci rende capaci di riconoscere la presenza di Gesù Risorto e ci fa attenti alla sua parola. Ne sei convinto? Hai mai verificato questa verità nelle varie situazioni della tua vita? Quando hai incontrato qualche momento di prova, percepivi il Signore sempre presente nella tua vita? Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. L’Eucarestia è la presenza certa e reale del Signore Risorto in mezzo a noi. Come vivi la messa domenicale o quotidiana? La prepari o ti ci accosti con superficialità? Hai con regolarità un momento di preghiera davanti all’Eucarestia? Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene? La vocazione e la missione che ciascuno di noi ha nella Chiesa ha come necessaria premessa questa domanda di Gesù. Senti di essere anzitutto amato e perdonato e, per questo, chiamato? Oppure pensi che la vocazione nasca da una tua scelta, dalla presenza di alcune qualità, dalla ricchezza dei doni che ritrovi nella tua vita? Per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio.La disponibilità alla fatica, al sacrificio, a morire a se stessi è necessaria per chi vuol andare con Gesù e mettersi con lui in un serio cammino vocazionale. Quanta fatica sei -realisticamente- disposto a fare per compiere questo percorso? Seguimi. L’imperativo di Gesù è di andare con lui ovunque egli voglia condurci. Sei disposto, nel tuo cammino vocazionale, a lasciarti condurre dove egli vuole? Le tue scelte quotidiane che cosa dicono?

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9 1Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

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iL contesto

Ci troviamo nella seconda sezione del vangelo matteano (capp. 14-28), quando Gesù prende le mosse dalle regioni limitrofe alla Galilea e percorre la strada verso la città santa, che sarà anche il suo cammino di manifestazione attraverso la morte e resurrezione.La scena su cui stiamo meditando è incastonata tra il primo annuncio della passione (cfr. 16 ,21-23) ed il secondo annuncio (cfr. 17,22-23); entrambi si concludono con la non comprensione –da parte rispettivamente di Pietro e dei discepoli- della logica pasquale dell’offerta e della passione di Gesù. L’episodio richiama poi l’epifania divina che apre la prima sezione del Vangelo di Matteo, il Battesimo nel fiume Giordano (cfr. 3,13-17), quando i cieli si aprono ed una voce riconosce l’identità filiale del nazareno.

i personaGGi Gesù (non trasfigurato) prende con sé Pietro e Giacomo e Giovanni e li porta sul monte. Questi tre discepoli, che ora sentono il Padre che chiama il Figlio, nel Getsemani sentiranno il Figlio che chiama il Padre (cfr. 26,37.39). Monte degli Ulivi e Tabor si richiamano a vicenda: qui l’umanità di Gesù rivela la sua divinità, là la divinità mostra la sua umanità.

Le azioni di Gesù

Secondo il testo greco Gesù compie una «metamorfosi», che significa cambiar forma, trasformarsi: qui l’umanità assume forma e splendore divino; lascia trasparire la Gloria del Figlio poiché questa è la destinazione di ogni uomo nel Figlio dell’uomo che ora brilla come il sole. La luce è infatti il simbolo più appropriato di Dio; principio di creazione e conoscenza, fa essere ogni cosa quello che è e la fa vedere per quello che è. Ma è anche sorgente di gioia, segno dell’amore che rende luminosi. II Figlio brilla della luce stessa di Dio, primizia della creazione nuova: come tutto è fatto attraverso lui, in lui e per lui, così tutto partecipa della sua medesima sorte nella luce (cfr. Col 1,16.12). Pertanto non solo il nostro spirito, ma anche il nostro corpo e per il Signore, destinato alla risurrezione (cfr. 1 Cor 6,13s). Accanto a Gesù (trasfigurato) compaiono Mosè ed Elia che conversavano con lui. Il mediatore della legge e il padre dei profeti conversavano con lui. Inoltre Mosè ed Elia non gustarono la morte: l’uno fu trasportato in cielo su un carro di fuoco (cfr. 2Re 2,lss); l’altro, che parlò con Dio faccia a faccia, secondo la tradizione fu rapito da un suo bacio sulla bocca. Nell’esclamazione di Pietro, che vuole fermarsi sul monte e fare tre tende, vediamo come egli abbia colto la bellezza originaria che si diffonde da Gesù trasfigurato. La legge, data tramite Mosè, è la prima tenda di Dio tra gli uomini; la profezia, iniziata con Elia, è la seconda tenda di Dio tra gli uomini; la carne di Gesù è la tenda definitiva di Dio in mezzo a noi (cfr. Gv 1,14).

Le azioni deL cieLo

Di Dio non conosciamo il volto, ma la Parola. La nube luminosa

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richiama Dio stesso che guidò Israele nel deserto (cfr. Es 14,20) ed è segno della sua presenza (cfr. Es 19,16; 24,15s;). La manifestazione di Dio è sempre oscura per eccesso di luce accecante - quasi che rivelandosi Dio sì veli, e velandosi si riveli, come sulla croce. La nube inoltre è principio di vita: la pioggia è benedizione e fecondità.Da questa nube esce una voce eloquente. Questi. È l’uomo Gesù, che Pietro ha riconosciuto come il Cristo e il Figlio di Dio, ma non ancora come il Figlio dell’uomo sofferente. E’ il Figlio mio. Richiama il salmo 2,7, che parla dell’intronizzazione regale. Gesù, che va a Gerusalemme e sarà crocifisso, è il Messia, il Figlio del Dio vivente. L’amato. Richiama il sacrificio di Isacco (cfr. Gen 22,2.12.16). Gesù è il Figlio in quanto sarà sacrificato: conoscendo l’amore del Padre, darà la vita per i fratelli. In cui mi compiacqui. Richiama il Servo di JHWH (cfr. Is 42,1). Il Padre riconosce Gesù come Figlio, proprio perché si fa servo dei fratelli. Ascoltate lui! Gesù è lui stesso la Parola fatta carne, volto del Padre rivolto ai fratelli; chi ascolta lui diventa come lui, figlio. epiLoGo

Cosa sia la trasfigurazione, è difficile descriverlo, anche per i discepoli che l’hanno vista e che, storditi dall’eccesso del divino, cadono a terra e devono essere risvegliati da Gesù. Due cose però sono chiare: il fine e il principio. Il fine è dire: «È bello per noi essere qui!». Il principio è: «Ascoltate lui». Chi ascolta Gesù, diventa come lui, l’albero buono che fa il frutto buono (cfr. 7,18). L’ascolto della sua parola è l’accoglienza del seme, che cresce in noi e ci genera secondo la sua specie; la trasfigurazione pertanto comincia quando, invece di pensare e ascoltare noi stessi, ascoltiamo lui e pensiamo a lui. È la morte dell’uomo vecchio e la nascita dell’uomo nuovo; questo ascolto fa passare dalle opere della carne al frutto dello Spirito. Una cosa però è certa: prima che Gesù sia «risvegliato dai morti», i discepoli non possono parlare della trasfigurazione. La Gloria infatti resta segreta prima della croce (cfr. 16,28), che a sua volta è incomprensibile prima della risurrezione.

in sintesi...

Il Mistero della trasfigurazione del Signore, collegato alla divina manifestazione del Battesimo ed alla Pasqua di morte e risurrezione, ci dice due verità; da un lato il destino della nostra esistenza è partecipare con la totalità della nostra persona (il nostro corpo, la nostra storia) alla vita luminosa e senza fine che Gesù risorto ha preparato per noi in Paradiso; dall’altro questo destino di gloria, che pure si intravede nella storia, per fiorire deve passare attraverso l’oscurità della croce.

vv.

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per rifLettere…

Li condusse in disparte, su un alto monte. Gesù ci invita all’intimità con lui per rivelare chi egli sia realmente e quale destino ci attende. Coltivi una vera intimità con Gesù, in cui egli ti parla e ti fa scoprire i doni che ha preparato per te? Oppure la tua preghiera e la tua frequentazione eucaristica è superficiale e non dà un vero contatto con Cristo? Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo.Il Padre vuole che ascoltiamo Gesù poiché il suo corpo, la sua storia, sono la manifestazione di Dio nella vicenda umana. A che punto sei nell’ascolto della Parola di Dio? E’ per te una pratica regolare? Ti fai aiutare da qualcuno per impararla lectio divina? Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti. Il mistero di Cristo si comprende solo a partire dall’oscurità della sua morte in cui brilla la luce della risurrezione. Sei disponibile a prendere la tua croce quotidiana? Nei momenti di fatica (o addirittura di oscurità) perseveri nella fede o vacilli? Hai mai sperimentato nella tua vita come la croce sia sempre seguita da un momento di risurrezione, di pace, di comprensione maggiore dell’amore di Dio per te? Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia.Nella Chiesa esiste una forma di vita (quella consacrata secondo i voti di obbedienza, povertà e castità) che è testimonianza qui ed ora della luce della Pasqua: una vita crocifissa con Cristo (nel dono totale di sé) per far vedere ai fratelli la bellezza dell’appartenere a lui e dell’essere in intimità con lui. Come senti questo forma di vita rispetto alla tua persona? E’ una cosa del tutto estranea o pensi che potrebbe corrisponderti?

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Riservarsi degli spazi, rilassanti, ma anche emozionanti, rassicuranti, ma anche elettrizzanti:

così si vive. Vivere è attraversare il proprio spazio e il proprio tempo a bordo di un SUV che non debba mai fare strada, ma sappia piuttosto farsi largo, con sicura arroganza.Il vangelo proprio non ci sta, con un simile modello di vita: il Figlio di Dio non ha cercato emozioni, e non ha fuggito il pericolo; ha fatto con ferma mitezza la volontà del Padre, e ci ha salvati, abbassando il capo nella più nera umiliazione e alzando imperiosamente la voce in favore degli ultimi, a prezzo della sua reputazione e della sua vita.La vocazione non è un mezzo con il quale sfrecciare nella vita per soddisfare le proprie ambizioni o placare le proprie paure; vocazione è abitare con semplicità l’amore di Dio, che nel suo dono ci rende capaci di donare con umile coraggio la nostra vita agli altri.

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BAUMAN Z., Paura liquida, Laterza, Roma-Bari 2008.

[I SUV] questi mostri paramilitari assetati di benzina impro-priamente definiti sport utility vehicles hanno raggiunto il 45 per cento delle vendite di automobili negli Stati Uniti e sono stati arruolati nella vita urbana quotidiana come “capsule difensive”. Il SUV è un significante di incolumità che viene presentato nella pubblicità (al pari delle comunità recintate dove più facilmente lo si vede circolare) come un veicolo inattaccabile dalla vita urbana, rischiosa e imprevedibile, là fuori […]. Veicoli come questi sembrano placare la paura che avvertono le classi medie urbane quando si spostano - o stanno in coda nel traffico - nelle “loro” città. […] [Il SUV] presuppone e insinua, nemmeno troppo velatamente, che la città è un campo di battaglia e una giungla da conquistare e da cui, al tempo stesso, fuggire.

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Nel cammino di discernimento della volontà di Dio vi è un momento in cui c’è bisogno di orientarsi,

di scegliere, di aderire. In questa tappa il rischio è duplice: quello degli “assaggi”, provo questo o quello sino a quando mi pare di “stare bene”, o quello di “rimandare” cercando continue sicurezze per il viaggio della vita. Don Bosco sposta la nostra attenzione ulteriormente chiedendo di stare dentro la sua casa, ma cercando solo nel progetto di Dio la nostra sicurezza.

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1. stato ecclesiastico.Lo stato ecclesiastico è il più santo ed augusto degli stati. Chi viene chiamato da Dio riceve il potere

di consacrare il Corpo ed il Sangue di Nostro Signor Gesù Cristo, e di rimettere i peccati; potere sublime che gli angeli stessi non hanno. Bisognerebbe perciò che i sacerdoti fossero più santi ancora degli angeli, se fosse possibile.Le principali disposizioni per lo stato ecclesiastico sono: vita regolare, purità di cuore, di mente e di corpo a tutta prova; grande amore di Dio e delle cose sante, zelo per la salvezza delle anime, allontanamento dal mondo, amore per lo studio, e gusto grandissimo pel ritiro, pel silenzio e per l’orazione.I segni per conoscere se uno è chiamato a stato così santo, sono: innocenza battesimale conservata o riparata con lunga e grave penitenza, attitudine per le funzioni ecclesiastiche, ed una tendenza giudicata soprannaturale da un direttore saggio, prudente ed imparziale.

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Li BOSCO G. L’entrata nel mondo - Ovvero consigli ad un giovanetto che lascia la scuola per abbracciare uno stato, = Letture Cattoliche, Torino - Tip. dell’oratorio di S. Francesco di Sales, giugno – luglio 1969.

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2. stato religioso.«La vita religiosa è uno stato privilegiato nel quale per felice ed ammirabile cambio, si danno le cose della terra per quelle del cielo, le passeggere per le eterne, la terra dei morti per quella dei viventi, beni di niun valore per beni di prezzo inestimabile. È vita nella quale pene brevissime ci fanno acquistare felicità senza fine: vita angelica più che umana, e che ci procura anche quaggiù il maggior grado possibile di felicità celestiale» (S. Basilio).«Non trovo espressioni bastevoli a far intendere la dignità della vita religiosa; ed allorché voglio lodare uno stato tanto sublime ed angelico, mi vedo costretto, per mancanza di parole, di stare in silenzio» (S. Agostino).«La vita religiosa è il fiore che brilla sopra ogni altro fiore del giardino di Santa Chiesa, e una pietra preziosa che splende fra tutti i suoi tesori». (S. Gerolamo).«O Giacobbe, quanto i tuoi padiglioni sono belli! O Israele, quanto sono ammirabili i tuoi tabernacoli! Oh! Santa Chiesa, quanto le tue case religiose sono belle ed i tuoi battaglioni spirituali ben ordinati! Quante anime vi godono anticipatamente la felicità d’avvenire col lodare Dio incessantemente, e vivendo sulla terra, coll’esercizio del santo amore, come serafini del cielo» (S. Tommaso d’Aquino).«Nella religione l’uomo vive più puramente, cade più di rado, si rialza più prontamente, cammina più prudentemente, è più frequentemente innaffiato dalla celeste rugiada, riposa più sicuramente, muore con minor timore, è purgato più prontamente nella vita avvenire, e ricompensato in cielo più abbondantemente» (S. Bernardo).Ecco le magnifiche parole colle quali i santi, hanno celebrato la vita religiosa; ma per godere i vantaggi di essa ci vuole l’amore per la povertà, desiderio di condurre vita angelica, distacco totale da ogni cosa specialmente dal proprio volere e grande unione con Dio nella preghiera.

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3. stato secolareLe obbligazioni dello stato secolare variano col variare delle differenti condizioni di negoziante, di soldato, di medico, ecc.; quindi impossibile particolarizzarle; ma in qualunque posto tu sii collocato dalla Provvidenza, abbi in mente consigli seguenti:1. Cerca anzitutto l’eterna salute — “ Cercate in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia, ed avrete di soprappiù tutte queste cose (i beni della terra),” (S. Matteo VI, 33). “Beato l’uomo che teme il Signore e mette le sue delizie in osservarne i precetti: la sua posterità sarà potente in sulla terra; perché il Signore benedice la famiglia del giusto. La gloria e le ricchezze sono nella sua casa.» (Salmo CXXI, 1, 2,8).2. Onora i tuoi genitori — «Onora il padre tuo in opere ed in parole, e con tutta pazienza, affinché la benedizione di lui venga sopra di te, e la benedizione di lui ti accompagni insino alla fine. La benedizione del padre felicita la casa dei figliuoli» (Ecclesiastico III, 9,10, 11).3. Abbi pietà del povero — «Chi ha misericordia del povero, da ad interesse al Signore: e gliene renderà il contraccambio» (Prov. XIX, 17).San Giovanni Crisostomo dice che l’interesse pagato dal Signore è il cento per uno.4. Santifica le feste — «Osservate i miei sabati, e state in timore dinanzi al mio santuario. Io sono il Signore. Se camminerete ne’ miei comandamenti, e osserverete le mie leggi, e le adempirete, io darovvi a’ suoi tempi le piogge. E la terra produrrà i suoi germi, e le piante si copriranno di frutti» (Levit. XXVI, 2,3,4). Preghiera per domandare a Dio la grazia di conoscere la propria vocazione.“Signore Gesù, che siete morto per la mia salute, io vi supplico pei meriti del vostro sangue, di rischiararmi e darmi i lumi necessari per conoscere lo stato migliore per salvarmi, e la forza di perseverarvi costantemente fino alla morte. E voi, Maria, Madre mia, ottenetemi questa grazia colla vostra potente intercessione. Così sia”.

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A D. Rua ed agli altri miei amati figli di S. France-sco abitanti in Torino.

La nostra Società sarà forse tra non molto definitivamente approvata e perciò io avrei bisogno di parlare ai miei amati figli con frequenza. La qual cosa non potendo fare sempre di persona procurerò almeno di farlo per lettera. Comincerò adunque dal dire qualche cosa intorno allo scopo generale della Società e poi passeremo a parlare altra volta delle osservanze particolari della medesima. Primo oggetto della nostra Società è la santificazione dei suoi membri. Perciò ognuno nella sua entrata si spogli di ogni altro pensiero, di ogni altra sollecitudine. Chi ci entrasse per godere una vita tranquilla, aver comodità a proseguir gli studii, liberarsi dai comandi dei genitori, od esimersi dall’obbedienza di qualche Superiore, egli avrebbe un fine storto e non sarebbe più quel “sequere me” del Salvatore, giacchè seguirebbe la propria utilità temporale, non il bene dell’anima. Gli Apostoli furono lodati dal Salvatore e venne loro promesso un regno eterno, non perchè abbandonarono il mondo, ma perchè abbandonandolo si professavano pronti a seguirlo nelle tribolazioni; come avvenne di fatto, consumando la loro vita nelle fatiche, nella penitenza e nei patimenti, sostenendo in fine il martirio per la fede. Nemmeno con buon fine entra o rimane nella Società chi è persuaso di essere necessario alla medesima. Ognuno se lo imprima bene in mente e nel cuore: cominciando dal Superiore Generale fino all’ultimo dei socii, niuno è necessario nella Società. Dio solo ne deve essere il capo, il padrone assolutamente necessario. Perciò i membri di essa devono rivolgersi al loro capo, al loro vero padrone, al rimuneratore, a Dio, e per amor di lui ognuno deve farsi inscrivere nella Società, per amor di Lui lavorare, ubbidire, abbandonare quanto si possedeva al mondo per poter dire in fine della vita al Salvatore, che abbiamo scelto per modello: Ecce nos reliquimus omnia et secuti sumus te; quid ergo erit nobis? Mentre poi diciamo che ognuno deve entrare in Società guidato dal solo desiderio di servire a Dio con maggior perfezione e di fare del bene a se stesso, s’intende fare a se stesso il vero bene, bene spirituale ed eterno. Chi si cerca una vita comoda, una vita agiata, non entra con buon fine nella nostra Società. Noi mettiamo per base la parola del Salvatore che dice: “Chi vuole essere mio discepolo, vada a vendere quanto possiede nel mondo, lo dia ai poveri e mi segua.” Ma dove andare, dove seguirlo, se non aveva un palmo di terra ove riporre lo stanco suo capo? “Chi vuol farsi mio discepolo,

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dice il Salvatore, mi segua colla preghiera, colla penitenza e specialmente rinneghi se stesso, tolga la croce delle quotidiane tribolazioni e mi segua. Abneget semetipsum tollat crucem suam quotidie, et sequatur me. ” Ma fino a quando seguirlo? Fino alla morte e, se fosse mestieri, anche ad una morte di croce. Ciò è quanto nella nostra Società fa colui che logora le sue forze nel sacro ministero, nell’insegnamento od altro esercizio sacerdotale, fino ad una morte eziandio violenta di carcere, di esiglio, di ferro, di acqua, di fuoco, fino a tanto che dopo aver patito, ed esser morto con Gesù Cristo sopra la terra, possa andare a godere con Lui in Cielo.Questo sembrami il senso di quelle parole di S. Paolo che dice a tutti i cristiani: Qui vult gaudere cum Christo, oportet pati cum Christo. Entrato un socio con queste buone di-sposizioni deve mostrarsi senza pretese ed accogliere con piacere qualsiasi ufficio gli possa essere affidato. Insegna-mento, studio, lavoro, predicazione, confessione in chiesa, fuori di chiesa, le più basse occupazioni devono assumersi con ilarità e prontezza d’animo, perché Dio non guarda la qualità dell’impiego, ma guarda il fine di chi lo copre. Quindi tutti gli uffizii sono egualmente nobili, perché egualmente meritorii agli occhi di Dio. Miei cari figliuoli, abbiate fiducia nei vostri superiori: essi devono rendere stretto conto a Dio delle vostre opere; perciò essi studiano la vostra capacità, le vostre propensioni e ne dispongono in modo compatibile colle vostre forze, ma sempre come loro sembra tornare di maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime. Oh! se i nostri fratelli entreranno in Società con queste disposizioni, le nostre Case diventeranno certamente un paradiso terre-stre. Regnerà la pace e la concordia tra gli individui di ogni famiglia, e la carità sarà la veste quotidiana di chi comanda, l’ubbidienza ed il rispetto precederanno i passi, le opere e perfino i pensieri dei Superiori. Si avrà insomma una fami-glia di fratelli intorno al loro padre, per promuovere la gloria di Dio sopra la terra, per andare poi un giorno ad amarlo e lodarlo nell’immensa gloria dei beati in Cielo.Dio ricolmi voi e le vostre fatiche di benedizioni e la Grazia del Signore santifichi le vostre azioni e vi aiuti a perseverare nel bene.

Torino, 9 giugno 1867, giorno di Pentecoste.Aff.mo in G. C. Sac. Bosco GIOVANNI.

MB VIII, 829-831

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Il giovedì 21, D. Bosco, dopo che i chierici ebbero recitati alcuni versicoli del nuovo testamento disse loro: - Se vuoi essere vero figlio di D. Bosco, bisogna che ricordi tu non essere più per la famiglia e per gli interessi materiali, ma di Dio e per Iddio: bisogna che lasci tua, tuos et te, i beni di questa terra, i parenti e quindi te stesso. Chi si sente di far questo è il più felice in questo mondo; egli sarà discepo-lo di Gesù Cristo, vero figlio di Dio. Iddio sopra di lui verserà le sue grazie, e gli riempirà il cuore del suo divino amore. Quindi in conferma di ciò raccontava la visione che ebbe S. Teresa, la quale aveva lungamente pregato il Signore che la riempisse del suo amore. Ella vide un sacco, che con-teneva metà terra, e metà oro. La Santa corse subito per vedere se poteva prendere dell’oro, ma non trovava modo se non coll’aprire la bocca del sacco e toglier prima la terra. Si mette adunque a togliervi la terra e di mano in mano che la terra se n’andava, l’oro veniva ad occupare il posto. Allora comprese che se voleva avere il suo cuore pieno dell’amor di Dio, doveva bandirne ogni terreno pensiero ed affetto.- Così, soggiunse, devono fare tutti i cristiani e specialmen-te quelli, e diciamolo noi che siamo chiamati ad uno stato tanto sublime.MB VI, 1060

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con iL matrimonio. Dio ci ha detto chiaramente che Lui è l’amore e che noi siamo stati creati a sua immagine e somiglianza. Anzi, ha voluto dirci che il rapporto tra noi e Lui, non deve essere come tra un servo e un padrone o come tra due amici, ma come tra lo sposo e la sposa. Nell’Antico Testamento ogni abbandono di Dio da parte del popolo, è perfino paragonato ad un adulterio; anche Gesù, nel Vangelo, usa più volte l’immagine delle nozze, per dir-ci che il rapporto che vuoI stabilire con noi, deve essere come un rapporto nuziale. Nel matrimonio l’amore è tut-to, è la ragione della sua sussistenza. L’amore fa i miracoli, rende capaci di superare ogni sorta di difficoltà e di porta-re il peso di tante croci. L’amore è l’esperienza umana più alta, quella che più di tutte ci avvicina alla vita stessa di Dio: con l’amore partecipiamo infatti, dell’Onnipotenza di Dio. La famiglia è il capolavoro dell’uomo e di Dio: nella famiglia l’uomo trova la sua perfetta realizzazione e Dio vi si specchia e si riconosce. Non c’è niente di più grande e di più bello della famiglia, perché Dio stesso è famiglia, è comunità. Solo guardando a Lui si capisce che cos’è l’amo-re e la famiglia. Dio è tre Persone, ma queste non sono un “io”, un “tu” e un “egli”, ma un “io”, un “tu” e un “noi”; e nel noi, l’io e il tu, si trovano uniti senza perdere la loro identità. Il noi è lo Spirito Santo, l’Amore che unisce il Pa-dre al Figlio. Tante volte ho fatto raccontare a mio padre la storia della nostra famiglia e cominciava sempre da quel 29 giugno quando, ad una festa, conobbe colei che sarebbe diventata mia mamma. “Era bella, semplice e mi piacque subito”, mi diceva ancora, dopo oltre cinquant’anni. Alla conoscenza seguì l’amicizia e anche il linguaggio dovette adattarsi a questa nuova situazione: “Non dicevamo più “io” o “tu”, ma dicevamo “noi”; non più “mia” o “tua” ma “nostra”. Era nato l’amore. Quella mattina del 19 settem-bre Dio consacrò il loro amore trasformandolo nel suo amo-re. Fu grande la mia commozione quando volle portarmi a celebrare la messa del loro venticinquesimo sull’altare della celebrazione del loro matrimonio. La loro unione è durata oltre sessant’anni; anzi, per sempre, perché ancora sono insieme in cielo dove spero abbiano finito di bisticciare perché, quaggiù, era il loro modo di rapportarsi e di voler-si bene. Mio padre era un artista, ma il vero capolavoro è stata la sua famiglia. Niente può esprimere meglio l’inten-sità del dolore che Dio prova quando l’uomo lo abbandona, del dolore di una famiglia divisa. [...] La famiglia è la cellula dell’umanità e porta in se stessa l’immagine della storia del mondo intero. Creare una famiglia è una vocazione e un impegno, è accettare di diventare immagine di Dio-Amore,

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è progetto per l’umanità chiamata a divenire l’universale fa-miglia umana. L’amore, quando è vero, è sempre fecondo. Il matrimonio infatti, è sempre in funzione degli altri: la fa-miglia non può essere mai autoreferenziale. Se così fosse, l’amore si spegnerebbe, come avviene per il fuoco quando viene messo sotto una campana. La famiglia felice è quella che dona amore, un amore che ha origine in Dio, lo alimen-ta e lo distribuisce. È proprio come un acquedotto: ha va-lore tanto quanto porta acqua; se la trattiene, ha terminato la sua funzione. Nella famiglia l’amore si trasforma in vita ed è questa l’unica occasione nella quale Dio permette ai genitori di chiamarsi col suo stesso nome: procreatori. Col-laborare con Dio a creare una nuova vita, eleva l’uomo alla più alta dignità. Ecco perché, dopo Dio, non c’è nessuno più grande dei nostri genitori. I figli sono il capolavoro dei genitori perché l’uomo è il capolavoro di Dio. La famiglia felice possiede tante risorse che non devono essere però impiegate solo al proprio interno, ma devono essere desti-nate ad altri: nessuno, meglio di una famiglia serena, può affiancare una famiglia in difficoltà e supplire quello che la società non riesce a fare per salvare tante situazioni limite. Se Madre Teresa di Calcutta, da sola, è riuscita ad animare mezzo mondo, ancor più potrà fare una famiglia nella quale l’amore è vissuto, moltiplicato e trasformato. [...] Essere sposo e sposa, formare una famiglia, generare figli, è la prima vocazione dell’uomo, coincide con la vocazione alla vita.

soLo con dio. [...] Un giorno, dopo che Gesù ebbe esposto ai farisei le esigenze del matrimonio, i suoi di-scepoli gli dissero: “Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”.Gesù allora, ri-badì: “Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca” [Mt 19,10-12]. - Prima di tutto, Gesù afferma che ci sono alcuni che hanno rinunciato a sposarsi per il Regno di Dio: tra questi, c’è Lui. Perché? Perché, attraverso di essi, Dio vuol dare un’altra immagine di se stesso. Infatti, con l’amore nuziale ci dice che Lui è amore, con la verginità che Lui è tutto, che non è complementare a nessuno, che è l’Assoluto. Ovviamente, quelli che chiama a questa vocazione sono persone ses-suate, normali quanto quelli che si sposano; anzi, in perfet-ta condizione per potersi sposare. [...] Chi può veramente comprendere, come richiede il Vangelo, che è bello essere poveri, miti, piangere, essere gli ultimi? Eppure, chi non

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Dio OnnipotenteCreatore del Cielo e della terra,

….e la Gloriosissima Vergine Maria, Regina della Corte Celeste,

annunciano il Matrimonio del loro Augusto Figlio, Gesù,

….con la Signorina Teresa Martin

Il Signor Luigi Martin, ….e la Signora Martin, …annunciano il Matrimonio della loro figlia Teresa, con Gesù il Verbo di Dio, …che per opera dello Spirito Santo si è fatto Uomo e Figlio di Maria, la Regina dei Cieli.

vorrebbe essere come Francesco d ‘Assisi o Madre Tere-sa? Il vero problema è che il Vangelo non è un libro da leg-gere ma da vivere! Il Vangelo va visto realizzato! Lo stesso accade per il celibato. [...] Chi non si sposa per il Regno di Dio, non è ne sessualmen-te frustrato, ne sublimato, ma pienamente integrato: Dio è diventato tutto per lui. Ecco perché Francesco di Assisi poteva dire: “Mio Dio e mio tutto!”. [...] Dio, e soltanto Lui, chiama al matrimonio o alla verginità e lo fa per com-pletare il messaggio con cui rivela se stesso. Con la voca-zione al matrimonio poi, Dio ci dice che è amore, e con la chiamata alla verginità che il matrimonio è solo un segno, un sacramento, per indicare che Lui vuole essere lo spo-so dell’umanità, vuole cioè avere un rapporto nuziale con ogni persona. Ma, com’è possibile “sposare” Dio? Com’è possibile essere affettivamente integrati in Lui? Posso dirti che questo avviene e che sono anche matrimoni ben riu-sciti! Di questo matrimonio, ce ne parla una ragazza ge-niale che la Chiesa ha dichiarato “dottore” e che quindi, ci può essere d’aiuto: santa Teresa di Gesù Bambino. La sera precedente la professione religiosa scrisse così la sua partecipazione di nozze:

LETTERA D’INVITO ALLE NOZZE DI SUOR TERESA DI GESù BAMBINO DEL VOLTO SANTO

Non avendo potuto invitarla alla benedizione Nuziale ..., lei è tuttavia invitata a recarsi al Ritorno dalle Nozze, che avrà luogo Domani, Giorno dell’Eternità, nel quale giorno Gesù, Figlio di Dio, verrà sulle Nubi del Cielo nello splendore del-la sua Maestà, per giudicare i vivi e i morti. L’ora essendo ancora incerta, lei è invitata a tenersi pronta e a vegliare.

[MANOSCRITTO A., 77 V0]

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Essere sposi di Dio è una gran cosa e, quindi, molto impe-gnativa. L’immagine del vero sposo di Dio è Gesù Croci-fisso: ha le braccia inchiodate per abbracciare tutti, senza stringere e possedere nessuno; il suo amore è totale e li-berante; il suo cuore è aperto, squarciato da una lancia e da quel cuore scaturisce sangue e acqua, la vita per tutti. Ma quale vita? La vita nello Spirito; la vita ricevuta attraverso il Battesimo e accresciuta dall’Eucaristia. Dal suo cuore sca-turisce il nuovo popolo di Dio. Ma, quando Dio volle formare il popolo dell’Alleanza, il popolo di Israele, cosa fece? Chia-mò Abramo eleggendolo capostipite di questo popolo e, dopo l’esperienza di fede con Isacco, i suoi figli generarono molti altri figli “secondo la carne”. Quando Dio volle for-mare il nuovo popolo dell’Alleanza, mandò suo Figlio Gesù che, al contrario di Abramo, non si sposò, ma generò molti figli “secondo lo Spirito”, inaugurando in tal modo, il nuovo popolo di tutti coloro che credono in Lui. Chi, come Cri-sto, non si sposa, non fa un matrimonio infecondo con Lui. Tutt’altro. Dio gli concede di avere figli “... come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare” [GEN. 22.17] perché il suo amore non è circoscritto dalla carne e dal sangue. [...] La fecondità del matrimonio dipende dallo spessore dell’amore che lega i due sposi: questo vale an-che per le nozze con Dio. I grandi innamorati di Dio han-no molti figli: basta uno sguardo, un dialogo, per generare un figlio. [...] Il matrimonio con Dio ha le stesse regole di quello umano: si fonda nell’amore ed esige la convivenza. Diversamente dal passato, oggi ci si sposa solo per amore e il matrimonio regge perché regge l’amore. I matrimoni di convenienza nascono male e finiscono peggio. Così è per il matrimonio con Dio. Chi è chiamato a sposarsi con Lui, lo fa solo perché lo ama, perché misteriosamente Dio gli ha rapito il cuore, per cui l’interessato dice:”Dio solo mi basta”. Questo però è solo l’inizio: la vita è lunga e l’a-more iniziale deve crescere attraverso una vera e propria convivenza con Dio che si attua, in primo luogo, attraverso la preghiera, dalla quale scaturisce un‘autentica vita evan-gelica. L’unione con Dio poi, fa crescere nell’amore, fino a condurre all’esperienza della stessa presenza di Dio. Spe-rimentare Dio presente e che ti ama è un‘autentica “espe-rienza mistica” che è tutt’altro che astratta ed estatica, ma è quell’amore che riempie il cuore e ti rende insoddisfatto finche non hai fatto tutto e più di tutto per Colui che tu ami. [...] La forza della chiamata deve continuare per tutta una vita e la ragione della fedeltà consiste tutta in quanto Gesù ha detto di se stesso: “Io e il Padre siamo una cosa sola” [Gv, 10, 30].

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1 - Fai una attenta verifica del cammino dell’anno fra progettazione – formazione e incidenza sul tuo quotidiano?2 - Quali sono le dinamiche che ti legano ancora al tuo io e quali sicurezze ancora cerchi?3 - Quale salto di qualità pensi di mettere in atto come scelta al termine di questo percorso?

per L’approfondimento ti suggeriamo come testo per il mese: ALBERTO

MARVELLI. “Diario e lettere”. Edizione S. Paolo.

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