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Nel maggio del 1871, mentre la Comune di Parigi ancora lotta contro i suoi nemici, Bakunin cerca di organizzare in Svizzera azioni di sostegno agli insorti parigini. A questo scopo tiene in lin- gua francese queste tre conferenze agli operai del- la valle di Saint-Imier nel Giura, nelle quali riassume in termini diretti e vivaci le proprie idee sulla società e sulla rivoluzione. I GRANDI DISCORSI il manifesto manifestolibri “Tutto quello che è umano nell’uomo, e più di ogni altra cosa la libertà, è il prodotto di un lavoro sociale” MICHAIL BAKUNIN Tre conferenze sull’anarchia Introdotto da Anselm Jappe

Bakunin 3 Conferenze Sull'Anarchia

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Nel maggio del 1871,mentre la Comune di Parigiancora lotta contro i suoinemici, Bakunin cerca diorganizzare in Svizzeraazioni di sostegno agliinsorti parigini.A questo scopo tiene in linguafrancese queste treconferenze agli operai dellavalle di Saint-Imier nelGiura, nelle quali riassumein termini diretti e vivaci leproprie idee sulla società esulla rivoluzione

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Page 1: Bakunin 3 Conferenze Sull'Anarchia

Nel maggio del 1871,mentre la Comune di Parigiancora lotta contro i suoinemici, Bakunin cerca diorganizzare in Svizzeraazioni di sostegno agliinsorti parigini.

A questo scopo tiene in lin-gua francese queste treconferenze agli operai del-la valle di Saint-Imier nelGiura, nelle quali riassumein termini diretti e vivaci leproprie idee sulla società esulla rivoluzione.

I GRANDI DISCORSI

il manifesto manifestolibri

“Tutto quello che è umano nell’uomo,

e più di ogni altra cosala libertà, è il prodotto

di un lavoro sociale”

MICHAILBAKUNIN

Tre conferenzesull’anarchiaIntrodotto da

Anselm Jappe

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INTRODUZIONEAnselme Jappe

Il film Terra e libertà ha riproposto all’attenzione di molti l’importan-za storica dell’anarchismo organizzato e la violenza con cui è stato com-battuto prima da Marx e poi da coloro che si richiamarono a Marx. Maqui non si vuole discutere della questione se Marx sia in qualche modoresponsabile dei crimini che Stalin e i suoi emissari, quali Togliatti e Vida-li, hanno commesso in Spagna contro gli anarchici. Qui interessa un altrointerrogativo: fino a che punto la storica contrapposizione tra anarchismoe marxismo è stata superata dal venir meno di ciò che formava il presup-posto di ambedue le teorie? Oggi possiamo dire che l’anarchismo e ilmarxismo avevano un terreno comune per cui non erano tanto diversicome essi stessi si stimavano a loro tempo. Questo quadro di riferimentocomune era il movimento operaio classico, di cui l’anarchismo rivoluzio-nario di derivazione bakuniana – ed è solo di quell’anarchismo che si par-la qui – è stato una delle componenti principali. Ma, sparito questo terre-no comune, potrebbe forse esserci un’altro?

Nonostante tutte le divergenze anche teoriche con il marxismo, l’a-narchismo condivise la maggior parte degli assunti centrali del movimen-to operaio, come si vede in modo esemplare in queste conferenze. Baku-nin, d’altronde, aveva sempre ritenuta giusta l’analisi economica e socialedi Marx, e non, per esempio, quella del presunto anarchico Proudhon.Ma il movimento operaio classico e il marxismo tradizionale (cui Marxnon era né del tutto estraneo, né ne era interamente responsabile) sostan-zialmente non erano altro che una parte della dialettica interna dello svi-luppo capitalistico. Non mettevano realmente in discussione le basi delsistema della merce, ma glorificavano uno dei suoi poli, quello del lavoro,vedendovi un’opposizione assoluta all’altro polo, quello del capitale. Nonsi criticava, bensì si voleva ancora estendere il presupposto di tutto ciòche si pretendeva combattere – il capitale, la merce, lo Stato –, cioè il lavo-

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Michail Bakunin Tre conferenze sull’anarchia

INDICE

Introduzionedi Anselm Jappe

Michael BakuninNota biografica

Tre conferenze sull’anarchia

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© 1995 manifestolibri srlvia Tomacelli 146 - Roma

Introduzione di Anselm Jappe

www.ilmanifesto.itwww.manifestolibri.it/newsletter.htm

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da Marx, ma continuava ad aggirarsi in molte teste. Di Marx, Bakunin adot-ta la teoria del continuo accrescimento della concorrenza e della concentra-zione del capitale con susseguente aumento della miseria proletaria e prole-tarizzazone di vasti strati borghesi (p. ). La riduzione della problematicacapitalistica a un problema di distribuzione, riduzione diventata rapidamen-te il fulcro del movimento operaio, sembra trovare d’accordo anche Baku-nin, quando spiega agli orologiai la loro situazione (p. ). Da tutto ciò derivache Bakunin, come tanti altri esponenti del movimento operaio, si dimostraconvinto che l’esclusione del proletariato dalla «società» è un tratto conna-turale al capitalismo. Secondo lui, la società borghese non potrà mai soddi-sfare certe richieste – e invece essa l’ha fatto con grande guadagno suo. Perspiegare che la partecipazione politica per i proletari è necessariamente uninganno, Bakunin pensa di avanzare un argomento inconfutabile facendoosservare che tale partecipazione richiede dell’istruzione, e che a questa ilavoratori non potranno mai accedere, perché è per loro del tutto impossibi-le mantenere i figli fino a vent’anni agli studi (p. ). Ciò è un vero dogma perBakunin, che si dice ugualmente convinto che il potere della minoranza algoverno deriva anche dal fatto che questa è più istruita. Oggi si può piutto-sto rilevare che tutti gli strati sociali languiscono nella stessa ignoranza e che ilavoratori hanno la stessa possibilità come gli altri di riempirsi di nozioni inu-tili. La minoranza al potere è, semmai, ancora più analfabeta dei suo sudditi.L’osservazione di Bakunin che il proletario non può ricorrere alla giustizia,perché essa è troppo costosa (p. ), è un altro esempio di come anch’egli iden-tifichi il capitalismo con ciò che oggi si rivela come la sua superficie empiricadi quel momento. Naturalmente, ciò non era in quel periodo un errore, per-ché allora il capitalismo era così. È assai più grave, se si continua oggi avederlo in questi termini.

Bisogna allora dedurre che tanto il marxismo quanto l’anarchismohanno perso la loro ragione di esistere e che il loro antagonismo sia statosuperato in quanto ambedue sono finiti sul «letamaio della storia»? No. Lateoria di Marx non si esaurisce interamente nel movimento operaio, e la suaanalisi degli effetti del lavoro astratto è più capace oggi che a suo tempo dispiegare un mondo in cui contemporaneamente al progresso della produtti-

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ro, che però nel capitalismo non può essere altro che lavoro astratto, cioèlavoro come mera produzione di merci in quanto valore di scambio e noncome beni d’uso. Credendo che il proletariato fosse l’assolutamente altrorispetto al capitale, l’ideologia del movimento operaio considerava l’e-sclusione del proletariato dal benessere, dai diritti politici, dall’istruzione,ecc., una caratteristica strutturale e inevitavile del capitalismo, e non unasopravvivenza feudale. Infatti, si sarebbe visto poi che era addiritturaindispensabile per lo sviluppo capitalistico di superare tale esclusione; eimponendo quest’integrazione anche contro la volontà del singolo capita-le e dei suoi rappresentanti, il movimento operaio ha notevolmente con-tribuito all’espansione della società della merce. Non si è trattato però(solo) di un «tradimento» da parte dei dirigenti operai. Questa evoluzio-ne ha obbedito a una sua logica, poiché l’operaio, in quanto operaio, è unelemento della società della merce, non il suo opposto.

Ciò spiega perché la socialdemocrazia e il leninismo, i rami storica-mente più importanti del movimento operaio, hanno svolto una funzionedi modernizzazione del capitalismo e non potevano costituire in nessunmodo il suo superamento. Ora, nelle conferenze qui presentate si nota cheper molti versi pure l’anarchismo si muoveva entro questi orizzonti, e che ilsuo maggiore radicalismo riguardava molto più i metodi che i contenuti.In questo testo, Bakunin condivide il culto del proletariato, solo rappre-sentante del progresso e dell’umanità (p. ) (in altre occasioni, Bakunin insi-stette molto sul ruolo dei contadini; ma si tratta sempre di una glorificazio-ne dei «produttori», di chi lavora). Egli vuole addirittura rendere il lavoroobbligatorio per tutti (p. ), proprio come spesso si rimprovera al peggioremarxismo. Il quadro cui Bakunin si riferisce è quello del capitalismo piùselvaggio, considerato però come sua forma essenziale e non come stadioancora immaturo: Bakunin parla di bambini che a partire dai sei anni lavo-rano «fino a 16 ore al giorno» (p. ). La sottovalutazione delle dinamiche delcapitalismo e la sua identificazione in toto con le sue particolari condizioniiniziali, risultano anche dal fatto che Bakunin fa sua la cosiddetta «legge fer-rea del salario» (p. ), secondo cui il salario dell’operaio non può mai elevarsia lungo termine sopra il più stretto necessario per sopravvivere. Questa teo-ria molto diffusa, propagandata tra l’altro da F. Lassalle, era stata confutata

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MICHAIL ALEXANDROVICHT BAKUNINNota biografica

Michail Alexandrovicht Bakunin nasce il 30.5.1814 a Priamuchino(governatorato di Tver, nella regione di Mosca) da una famiglia nobile.Abbandona nel 1835 la carriera militare cui era destinato e comincia a stu-diare la filosofia tedesca. A questo scopo si reca nel 1840 a Berlino, doveascolta tra l’altro le lezioni di Schelling e radicalizza le sue idee sotto l’influs-so dei «giovani hegeliani» di sinistra. Nel 1844 a Parigi conosce Proudhon,G. Sand e Marx, ai cui Annali franco-tedeschi collabora. Nel 1848/49 parte-cipa alle rivoluzioni dapprima a Parigi, poi a Praga (Congresso panslavo) einfine a Dresda, dove combatte sulle barricate al fianco di Richard Wagner.Condannato due volte a morte, viene consegnato nel 1851 alla Russia.Dopo sei anni di detenzione in isolamento, viene mandato al confine inSiberia. Nel 1861 riesce a fuggire e arriva attraverso gli Usa in Europa, dovecomincia una attività frenetica. Dopo il fallimento dell’insurrezione polaccanel 1863, Bakunin sposta il centro dei suoi interessi dalla liberazione deglislavi e dagli ambienti dell’emigrazione russa ai paesi latini, stabilendosi nel1867 in Svizzera. Aderisce alla prima Internazionale e provvede alla crea-zione di sezioni in Italia e Spagna. Ma il crescente conflitto con Marx e isuoi seguaci, portato avanti sia sul piano teorico che su quello organizzativo– Bakunin promuove in seno all’Internazionale una tendenza in cui Marxvede un’organizzazione segreta – culmina nell’esclusione di Bakunin e deglialtri anarchici dall’Internazionale nel 1872 con cui però questa cessa prati-camente di esistere. In questa lotta, che per certi versi ha i tratti di un amo-re-odio reciproco, tanto Marx quanto Bakunin non mostrano il loro latomigliore. In Italia, Bakunin combatte l’influenza di Mazzini, mentre esercitala sua non tanto tramite gli sfortunati tentativi insurrezionali quanto gettan-do le basi delle organizzazioni anarchiche che dovevano rimanere vive inItalia per parecchio tempo. Nel 1870 egli partecipa anche a tentativi insur-rezionali a Lione e Marsiglia. Le sue relazioni con l’ex-ufficiale russoNecaev, che sprona al terrorismo sistematico, vengono molto sfruttate da

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Michail Bakunin Tre conferenze sull’anarchia

vità progrediscono la miseria, la violenza e l’oscurantismo. In questa pro-spettiva, è evidente tanto sul piano teorico quanto sul piano storico che loStato e il mercato non sono in nessun modo separabili e che ambedue han-no fatto fallimento. L’anarchismo storico, trasformando il programma dellalibertà individuale e dell’abolizione dello Stato in una vera ideologia, è spes-so rimasto ingenuo o vago nei confronti delle forme basilari della produzio-ne capitalista, di cui lo Stato è una conseguenza e non un presupposto. Ilmarxismo invece, anche il migliore, si è spesso illuso di poter «saltare sulpolo statale del sistema produttore di merci e far rigare dritto a partire di làle non abolite categorie reali della produzione di merci» (Robert Kurz). Sel’anarchismo bakuniano, che non ha mai preteso di essere un’analisi esau-riente della realtà capitalista, era un indispensabile correttivo al marxismodel movimento operaio, ha la stessa funzione anche oggi per la critica delcapitalismo postfordista.

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TRE CONFERENZE FATTE AGLI OPERAIDELLA VALLE DI SAINT-IMIER*

(Maggio 1871)

PRIMA CONFERENZA

Compagni, dopo la grande Rivoluzione del 1789-1793, nessuno degliavvenimenti successivi in Europa ha avuto l’importanza e la grandezza diquelli che si svolgono sotto ai nostri occhi e dei quali Parigi è oggi teatro.

Due fatti storici, due rivoluzioni memorabili avevano costituito quelloche chiamiamo mondo moderno, il mondo della civiltà borghese. L’una,conosciuta col nome di Riforma, al principio del sedicesimo secolo, avevaspezzato la chiave di volta dell’edificio feudale, l’onnipotenza della Chiesa;distruggendo questa potenza essa preparò la rovina del potere indipenden-te e quasi assoluto dei signori feudali, che, benedetti e protetti dalla Chiesa,come i re, e spesso anche contro i re, facevano derivare i loro diritti diretta-mente dalla grazia divina. Anche per questo la Riforma diede un nuovoslancio all’emancipazione della classe borghese, a sua volta lentamente pre-parata, durante i due secoli che avevano preceduto questa rivoluzione reli-giosa, dallo sviluppo successivo delle libertà comunali ed a quello dell’indu-stria e del commercio che ne era stato, nello stesso tempo, la condizione e lanecessaria conseguenza.

Da questa rivoluzione uscì una nuova potenza, non ancora quella dellaborghesia, ma dello Stato, monarchico, costituzionale ed aristocratico inInghilterra; monarchico, assoluto, nobiliare, militare e burocratico in tuttoil continente d’Europa, meno due piccole repubbliche: la Svizzera e i PaesiBassi.

Lasciamo, per delicatezza, queste due repubbliche da parte, ed occu-piamoci delle monarchie. Esaminiamo i rapporti delle classi, la situazionepolitica e sociale dopo la Riforma.

Ai maggiori, gli onori: cominciamo dunque da quella dei preti; e sottoquesta denominazione di preti non intendo solo quelli della Chiesa cattoli-

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tutti gli avversari di Bakunin, benché egli non condivida infine le intenzionidi Necaev. In mezzo a quella appassionata attività e a continui spostamenti,Bakunin produce un gran numero di scritti, generalmente frammentari espesso sotto forma di lettera, a eccezione di Statalità e anarchia (1873).Muore il 1.7.1876 a Berna.

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pazienza, l’obbedienza e la rinuncia ai beni e ai godimenti di questa vita cheil popolo – essa diceva – deve abbandonare ai felici e ai potenti della terraallo scopo di assicurare a sé i tesori celesti . Voi sapete che ancora oggi tuttele Chiese cristiane, cattoliche e protestanti, continuano a predicare in que-sto senso. Ma fortunatamente sono sempre meno ascoltate, e noi possiamoprevedere il momento in cui saranno obbligate a chiudere i locali per man-canza di credenti, o di ingenui, che è la stessa cosa.

Vediamo le trasformazioni che si sono effettuate nella classe feudale,nella nobiltà, dopo la Riforma. Essa era rimasta la proprietaria privilegiata equasi esclusiva della terra, ma aveva perduto la sua indipendenza politica.Prima della Riforma era stata, come la Chiesa, la rivale e la nemica dello Sta-to, ma dopo questa rivoluzione ne divenne la serva, come la Chiesa, e comeessa, una serva privilegiata. Tutte le funzioni militari e civili dello Stato, adeccezione delle meno importanti, furono occupate dai nobili. Le corti deigrandi e anche dei più piccoli monarchi d’Europa ne furono piene; i piùgrandi signori feudali, prima così indipendenti e fieri, diventarono vallettititolati dei sovrani. Perdettero la loro fierezza e la loro indipendenza, maconservarono l’arroganza, e si può anzi dire che questa s’accrebbe, essendol’arroganza il vizio precipuo dei lacchè. Bassi, striscianti, servili in presenzadel sovrano, divennero più insolenti di fronte ai borghesi e al popolo checontinuarono a saccheggiare non più in proprio nome e per diritto divino,ma col permesso e al servizio dei loro padroni e col pretesto del maggiorbene dello Stato.

Questo carattere e questa particolare condizione della nobiltà si sonoquasi integralmente conservati anche ai nostri giorni in Germania stranopaese che sembra avere il privilegio di sognare le cose più belle e nobili pernon realizzare che le più vergognose e infami. Come loro provano le barba-rie ignobili, atroci dell’ultima guerra e la recente formazione di questo spa-ventoso impero knut-germanico che è incontestabilmente una minacciacontro la libertà dei paesi d’Europa, una sfida lanciata all’intera comunitàdal dispotismo brutale di un imperatore poliziotto e soldataccio ad un tem-po e dalla stupida insolenza della sua canaglia nobiliare.

In virtù della Riforma la borghesia era stata completamente liberatadalla tirannia e dal saccheggio dei signori feudali in quanto banditi e predo-

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ca, ma anche i ministri protestanti, in una parola tutti gl’individui che vivo-no del culto divino che ci vendono il buon Dio all’ingrosso e al dettaglio.Quanto alle differenze teologiche che li separano, sono così sottili e nellostesso tempo così assurde, che sarebbe veramente un perditempo l‘occu-parsene .

Prima della Riforma, la Chiesa e i preti, con il papa in testa, erano i verisignori del mondo. Secondo la dottrina della Chiesa, le autorità temporalidi tutti i paesi, i monarchi più potenti, gl’imperatori e i re non avevano dirit-ti se non in quanto tali diritti erano stati riconosciuti e consacrati dalla Chie-sa. E noto che gli ultimi due secoli del Medioevo furono occupati dalla lottasempre più appassionata e trionfante dei sovrani coronati contro il papa,degli Stati contro la Chiesa. La Riforma pose termine a questa lotta procla-mando l’indipendenza degli Stati. Il diritto del sovrano fu riconosciutocome emanazione diretta da Dio, senza l’intervento del papa né di alcunaltro prete e, naturalmente, in virtù di questa provenienza celeste, esso fuproclamato assoluto. Così sulle rovine del dispotismo della Chiesa fu eleva-to l’edificio del dispotismo monarchico. La Chiesa dopo essere stata padro-na divenne serva dello Stato, uno strumento di governo nelle mani delmonarca.

Prese quest’attitudine non solo nei paesi protestanti dove – non eccet-tuata l’Inghilterra e particolarmente la Chiesa anglicana – il monarca fudichiarato capo della Chiesa, ma anche in tutti i paesi cattolici compresa laSpagna. La potenza della Chiesa romana, spezzata dai colpi terribili vibratidalla Riforma non poté più sostenersi da sola, e per mantenere la sua esi-stenza chiese l’assistenza dei sovrani temporali, degli Stati. Ma i sovrani . sisa bene, non danno mai assistenza per niente. Non hanno mai avuto altrareligione sincera, altro culto che quello della loro potenza e delle loro finan-ze, essendo queste ultime il mezzo e lo scopo della prima. Dunque, peracquistare l’appoggio dei governi monarchici, la Chiesa doveva provareloro che era capace e disposta a servirli. Prima della Riforma aveva moltevolte sollevato i popoli contro i re. Dopo la Riforma diventò in tutti i paesi,compresa anche la Svizzera, l’alleata dei governi contro i popoli, una speciedi polizia nera nelle mani degli uomini di Stato e delle classi governanti,avente per missione di predicare alle masse popolari la rassegnazione, la

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Olanda e in parte anche nella Svizzera, fecero, com’è noto, al principio delsedicesimo secolo e della Riforma, un grandioso movimento per emanci-parsi, al grido di «Guerra ai castelli e pace ai casolari». Questo movimento,tradito dalla classe borghese, e maledetto dai capi del protestantesimo bor-ghese, Lutero e Melantone, venne soffocato nel sangue di molte decine dimigliaia di contadini insorti. Dopo di allora i contadini furono più che mairiattaccati alla gleba, servi di diritto, servi di l’atto, e restarono in tale statofino alla rivoluzione del 1789-1793 in Francia, fino al 1807 in Prussia e finoal l848 in quasi tutto il resto della Germania In diverse parti del Nord dellaGermania e specialmente nel Medemburgo servaggio esiste oggi ancora,mentre ha cessato di esistere nella stessa Russia.

Il proletariato delle città non fu molto più libero dei contadini. Esso sidivideva in due categorie: quella degli operai che facevano parte delle cor-porazioni, e quella del proletariato non organizzato in alcun modo. La pri-ma era legata, impacciata nei movimenti e nella produzione da una serie diregolamenti che l’asservivano ai capi delle maestranze, ai padroni; la secon-da, priva di ogni diritto, era oppressa e sfruttata da tutti. La gran parte delleimposte, come sempre, ricadeva necessariamente sul popolo.

Questa rovina e questa generale oppressione delle masse operaie e, inparte, della classe borghese, avevano per pretesto e per fine dichiarato lagrandezza, la potenza, la magnificenza dello Stato monarchico, nobiliare,burocratico e militare, Stato che nell’adorazione ufficiale aveva preso ilposto della Chiesa, ed era proclamato come un’istituzione divina. Vi fudunque una morale dello Stato tutta diversa, o piuttosto del tutto oppostaalla morale privata degli uomini. Nella morale privata, se non è viziata daidogmi religiosi, c’è un fondamento eterno, più o meno riconosciuto, com-preso, accettato e realizzato in ogni società umana. Questo fondamento nonè che il rispetto umano, il rispetto della dignità umana, del diritto e dellalibertà di tutti gli individui. Rispettarsi reciprocamente. Ecco il dovere diognuno; amarsi, ecco la virtù; violare tali denami, ecco il delitto. La moraledello Stato è del tutto opposta a questa morale umana. Lo Stato s’impone atutti i suoi sudditi come lo scopo supremo. Servire la sua potenza, la suagrandezza con tutti i mezzi possibili e impossibili anche se contrari alle leggiumane e al bene dell’umanità, ecco la virtù, perché tutto ciò che contribui-

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ni indipendenti e privati, ma fu abbandonata ad una nuova tirannia e a nuo-ve spoliazioni ormai regolarmente sotto il nome d’imposta ordinarie estraordinarie dello Stato, da parte di questi stessi signori divenuti servitori –cioè briganti e saccheggiatori legittimi – dello Stato. Questo passaggio dalsaccheggio feudale al saccheggio più regolare e sistematico dello Stato, par-ve dapprima soddisfare la classe media, che ne ebbe all’inizio un certobeneficio, per la sua situazione economica e sociale. Ma l’appetito vienemangiando, dice il proverbio. Le imposte degli Stati, dapprima moderate,aumentarono ogni anno in proporzioni inquietanti sebbene non così gravicome negli Stati monarchici dei nostri giorni. Le guerre quasi incessanti chequesti Stati, diventati assoluti, si fecero sotto il pretesto dell’equilibrio inter-nazionale dopo la Riforma fino alla rivoluzione del 1789; la necessità dimantenere grandi esercizi permanenti, che ormai erano divenuti la baseprincipale della conservazione statale; il lusso crescente delle corti dei sovra-ni che si erano trasformate in orge permanenti, e dove la canaglia nobiliare,tutto il servitorame titolato e monturato veniva a mendicare pensioni dalproprio padrone; la necessità di nutrire questa pleiade di privilegiati cheoccupava le più alte cariche nell’esercito, nella burocrazia e nella polizia, tut-to ciò esigeva spese enormi. Tali spese furono pagate naturalmente, prima ditutto e soprattutto dal popolo; ma anche dalla classe borghese che fino allaRivoluzione fu anch’essa, sebbene non allo stesso grado, considerata comeuna vacca da mungere non avente altra funzione che mantenere il sovrano ela grande folla dei funzionari privilegiati. E d’altra parte la Riforma avevafatto perdere in libertà alla classe media più di quanto le avesse procurato insicurezza. Prima della Riforma essa era stata generosamente alleata e indi-spensabile sostegno dei re nella lotta contro la Chiesa e contro i signori feu-dali e ne aveva approfittato abilmente per conquistare un certo gradod’indípendenza e di libertà. Ma dopo che la Chiesa e i signori feudali si sot-tomisero allo Stato, i re, non avendo più bisogno dei servizi della classemedia, la privarono a poco a poco delle libertà che anticamente le avevanolargito.

Se tale era la condizione della classe borghese dopo la Riforma, si puòimmaginare quale dovesse essere quella delle masse popolari, dei contadinie degli operai delle città. I contadini dell’Europa centrale, in Germania, in

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saranno Stati, la guerra e gli orribili delitti della guerra, la rovina, la miseriadei popoli, che ne sono le inevitabili conseguenze, saranno permanenti leinevitabili conseguenze, saranno permanenti.

Finché ci saranno Stati, le masse popolari, anche nelle repubbliche piùdemocratiche, saranno schiave di fatto, perché non lavoreranno in vista del-la propria felicità e ricchezza, ma per la potenza e la ricchezza dello Stato. Eche cosa è lo Stato? Si pretende che sia l’espressione e la realizzazione delleutilità, del bene, del diritto, della libertà di tutti. Ebbene, chi lo pretendemente come mentono coloro che considerano il Buon Dio protettore di tut-ti. Da quando la fantasia di un essere divino si è formata nell’immaginazio-ne degli uomini, Dio, tutti gli dei era loro soprattutto il Do dei cristiani han-no sempre preso la parte dei forti e dei ricchi contro le masse misere e igno-ranti e hanno benedetto, a mezzo dei preti, i privilegi più rivoltanti, leoppressioni e gli sfruttamenti più infami.

Allo stesso modo lo Stato non è altro che la garanzia di tutti gli sfrutta-menti a profitto di un piccolo numero di felici privilegiati e a detrimento del-le masse popolari; esso adopera la forza collettiva e il lavoro di tutti per assi-curare la felicità, la prosperità e i privilegi di pochi, a danno del diritto uma-no di tutti. E una fabbrica nella quale la minoranza e l’azione del martello ela maggioranza dell’incudine.

Fino alla grande Rivoluzione, la classe borghese, sebbene in minor gra-do delle masse popolari, aveva fatto la parte dell’incudine. E perciò fu rivo-luzionaria.

Non fu veramente rivoluzionaria. Osò ribellarsi contro tutte le autoritàdivine e umane. mise in questione Dio, i re, il papa. Si rivoltò specialmentecontro la nobiltà che occupava nello Stato un posto che essa era impazientea sua volta di occupare . Ma non voglio essere ingiusto, e non pretendoaffatto che nelle sue magnifiche proteste contro la tirannia divina e umanatosse trascinata solo da pensieri egoistici . La forza delle cose, la natura stes-sa della sua particolare organizzazione, l’avevano spinta istintivamente aimpadronirsi del potere. Ma non avendo ancora coscienza dell’abisso che laseparava realmente dalle classi operaie che sfruttava, e questa coscienza nonessendosi affatto svegliata ancora in seno allo stesso proletariato, la borghe-sia, rappresentata in questa lotta contro la Chiesa e lo Stato dai suoi spiriti

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sce alla potenza e all’ingrandimento dello Stato è il bene; ogni cosa contra-ria, sia pure l’azione più virtuosa, più nobile dal punto di vista umano, è ilmale. Perciò gli uomini di Stato, i diplomatici, i ministri, tutti i funzionaridello Stato hanno sempre usato delitti, menzogne e tradimenti infami perservire lo Stato. Dal momento che una cattiva azione è commessa per servi-re lo Stato, diviene un’azione meritoria. Tale è la morale dello Stato; cioè lanegazione stessa della morale umana e dell’umanità.

La contraddizione sia nell’idea stessa di Stato. Lo Stato universale nonavendo mai potuto realizzarsi, ogni Stato e un’entità ristretta comprendenteun territorio limitato e un numero più o meno ristretto di sudditi. L’immen-sa maggioranza della specie umana resta dunque al di fuori di ogni Stato, el’umanità intera è divisa in una pleiade di Stati grandi, medio piccoli ognu-no dei quali, sebbene non comprenda che una ristrettissima parte della spe-cie umana, si proclama e si pone come rappresentante dell’intera umanità ecome qualche cosa di assoluto. A cagione di ciò, quello che rimane fuori,tutti gli altri Stati, coi sudditi e le rispettive proprietà, sono considerati daogni Stato come esseri privi di sanzione, di diritto e che esso può quindiattaccare, conquistare, massacrare, saccheggiare tanto quanto i suoi mezzi ele sue forze consentono. Sapete, cari compagni, che non si è mai riuscito astabilire un diritto internazionale, e non si è mai potuto farlo appunto per-ché, dal punto di vista dello Stato, tutto quello che è fuori dello Stato è pri-vo di diritto. Così basta che uno Stato dichiari la guerra a un altro perchépermetta, anzi, comandi ai sudditi di commettere contro i sudditi dello Sta-to nemico tutti i delitti possibili l’assassinio, lo stupro, il furto, la distruzio-ne, l’incendio, il saccheggio. E tutti questi delitti sono considerati comebenedetti dal Dio dei cristiani, che ognuno degli Stati belligeranti considerae proclama suo partigiano e non dell’altro; ciò che naturalmente deve met-tere in serio imbarazzo questo povero buon Dio, in nome del quale i piùorribili delitti sono stati e continuano ad essere commessi sulla terra. E perquesto che siamo nemici del buon Dio, e consideriamo questa finzione,questo fantoccio divino, una delle principali sorgenti dei mali che tormenta-no gli uomini.

E allo stesso modo siamo avversari accaniti dello Stato, di tutti gli Stati,poiché fino a quando ci saranno Stati non ci sarà l’umanità, e finché ci

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del sedicesimo secolo, conosciuta col nome di Riforma, e la grande Rivolu-zione politica del secolo scorso. Ho aggiunto che quest’ultima, compiutacertamente tramite la potenza del braccio popolare, era stata iniziata ediretta esclusivamente dalla classe media. Devo dimostrare, adesso, che èstata la classe media che ne ha profittato esclusivamente.

Cari compagni, vi ho detto la volta scorsa che due grandi avvenimentistorici avevano fondato la potenza della borghesia la rivoluzione religiosadel sedicesimo secolo, conosciuta col nome di Riforma, e la grande Rivolu-zione politica del secolo scorso. Ho aggiunto che, quest’ultima, compiutacertamente tramite la potenza del braccio popolare, era stata iniziata ediretta esclusivamente dalla classe media Devo dimostrare, adesso, che èstata la classe media che ne ha profittato esclusivamente.

Eppure il programma di questa Rivoluzione pareva, dapprima,immenso. Non si è infatti compiuta in nome della Libertà, dell’Uguaglianzae della Fraternità del genere umano, tre parole che sembrano abbracciaretutto quello che l’umanità può solamente volere e realizzare nel presente enell’avvenire? Com’è avvenuto che una Rivoluzione che si annunciava cosìampia sia miseramente sboccata nell’esclusiva, ristretta e privilegiata eman-cipazione di una sola classe, a danno di milioni di lavoratori che si vedonooggi schiacciati dalla sua prosperità insolente e iniqua’?

Ah! Il fatto è che questa Rivoluzione non fu che una rivoluzione politi-ca. Aveva audacemente rovesciato le barriere le tirannie politiche, ma avevalasciato intatte – le aveva perfino dichiarate sacre e inviolabili – le basi eco-nomiche della società, che sono state l’eterna sorgente, il fondamento prin-cipale delle iniquità politiche e sociali, delle assurdità religiose passate e pre-senti. Aveva proclamato la libertà di ognuno e di tutti, o meglio aveva pro-clamato il diritto di essere libero per ognuno e per tutti, ma non aveva datorealmente i mezzi. per realizzare questa libertà e per goderne che ai proprie-tari, ai capitalisti, ai ricchi.

«La povertà è la schiavitù!»Ecco le terribili parole che più volte ci ha ripetuto con la sua simpati-

ca voce, che parte dall’esperienza e dal cuore, il nostro amico Cléments,in questi pochi giorni che ho la fortuna di passare fra voi, cari compagni eamici.

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più nobili e dai più grandi caratteri, credette in buona fede di lavorareugualmente per l’emancipazione di tutti.

I due secoli che separano le lotte della Riforma religiosa da quelle dellagrande Rivoluzione furono l’età eroica della classe borghese. Divenutapotente per ricchezza e intelligenza, attaccò audacemente tutte le istituzionirispettate della Chiesa e dello Stato. Minò ogni cosa prima con la letteraturae la critica filosofica; più tardi rovesciò tutto con l’aperta rivolta. Fu essa afare la rivoluzione del 1789 e del 1793 Naturalmente non poté farla che ser-vendosi della forza popolare; ma fu essa ad organizzare questa forza e a diri-gerla contro la Chiesa, e contro il regno e contro la nobiltà; a pensare aprendere l’iniziativa di tutti i movimenti eseguiti dal popolo. La borghesiaaveva fede in se stessa, si sentiva potente perché sapeva di avere dietro e consé il popolo.

Se si confrontano i giganti del pensiero e dell’azione che uscirono dallaclasse borghese nel secolo decimottavo, con le più grandi celebrità, coi cele-bri nani vanitosi che la rappresentano ai giorni nostri, ci si potrà convinceredella decadenza, dello spaventoso declino che si è prodotto in questa classe.Nel diciottesimo secolo era intelligente, audace, eroica; oggi si mostra vile estupida. Allora, piena di fede, osava tutto per va tutto; oggi morsa dal dub-bio e demoralizzata dalla sua stessa iniquità che e più ancora nella situazio-ne che nella volontà, ci offre il quadro della più vergognosa impotenza.

Gli avvenimenti recenti di Francia lo dimostrano anche troppo. Laborghesia si è mostrata del tutto incapace di salvare la Francia; ha preferitol’invasione dei Prussiani alla rivoluzione popolare che sola poteva salvarla.Ha lasciato cadere dalle sue deboli man il vessillo dell'umano progresso,quello dell’emancipazione universale. E il proletariato di Parigi ci dimostraoggi che ormai solo i lavoratori sono capaci di portarlo.

In una prossima riunione cercherò di dimostrarvelo.

SECONDA CONFERENZA

Cari compagni, vi ho detto la volta scorsa che due grandi avvenimentistorici avevano fondato la potenza della borghesia: la rivoluzione religiosa

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un fatto, un prodotto collettivo. Nessun uomo potrebbe essere libero al difuori e senza il concorso di tutta l’umana società Gl’individualisti, o i falsifratelli socialisti che abbiamo combattuto in tutti i congressi di lavoratori,hanno sempre detto, coi moralisti e con gli economisti borghesi, che l’uomopotrebbe essere libero, che potrebbe essere uomo, fuori della società, per-ché la società venne fondata da un libero contratto di uomini anteriormenteliberi.

Questa teoria, proclamata da J.-J. Rousseau, lo scrittore più maleficodel secolo passato, il sofista che ha ispirato i rivoluzionari borghesi, questateoria denota un’ignoranza completa della natura e della storia. Non è nelpassato, non e neppure nel presente, che dobbiamo cercare la libertà dellemasse, è invece nell’avvenire, in un prossimo avvenire: è in quel fatidicodomani in cui dovremo creare noi stessi con la potenza del pensiero, dellavolontà, ma anche con quella del braccio. Dietro di noi non c’è mai statolibero contratto, non c’è stata che brutalità, stupidità, iniquità e violenza; eanche oggi, lo sapete troppo bene, questo sedicente libero contratto si chia-ma patto della fame, schiavitù della fame per le masse e sfruttamento dellafame di parte delle minoranze che ci divorano e ci opprimono.

La teoria del libero contratto è altrettanto falsa dal punto di vista dellanatura. L’uomo non crea volontariamente la società, vi nasce involontaria-mente. Egli è per eccellenza un animale sociale; non può divenire un uomo,cioè un animale che pensa, parla, ama e vuole, se non in società. Immagina-tevi un uomo, dotato dalla natura delle più geniali facoltà, gettato fin dallagiovane età fuori di ogni società umana, in un deserto. Se non muore mise-ramente, ciò che è assai probabile, non sarà altro che un bruto, una scimmiapriva di parola e pensiero; perché il pensiero è inseparabile dalla parola:nessuno può pensare senza il linguaggio. Anche quando vi trovate soli convoi stessi e perfettamente isolati, per pensare avete bisogno delle parole,potete avere immagini rappresentative delle cose, ma appena volete pensaread una cosa dovete servirvi delle parole perché solo le parole determinano ilpensiero. e danno alle presentazioni fuggitive, agl’istinti, il carattere delpensiero. Il pensiero non esiste prima della parola né la parola prima delpensiero; queste due forme di uno stesso atto del cervello umano nasconoinsieme. Dunque nessun pensiero senza la parola. Ma cos’è la parola? È la

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Sì, la povertà è la schiavitù, è la necessità di vendere il proprio lavoro,la propria persona al capitalista che da i mezzi per non morire di fame.Occorre veramente lo spirito interessato alla menzogna dei signori borghesiper osare parlare della libertà politica delle masse operaie! Bella libertàquella che le assoggetta ai capricci del capitale e le incatena per fame allavolontà del capitalista Cari amici! non ho certo bisogno di provare – a voiche avete imparato a conoscere nella lunga e dura esperienza le miserie dellavoro – che fin quando il capitale resterà da una parte e il lavoro dall’altra,il lavoro sarà schiavo del capitale e i lavoratori sudditi dei signori borghesi iquali danno per derisione i diritti politici, le apparenze di libertà, per con-servare la realtà esclusivamente per loro stessi.

Il diritto alla libertà, senza i mezzi per realizzarlo, non è che un fanta-sma. E noi amiamo troppo la libertà per accontentarci di un fantasma. Nevogliamo la realtà. Ma [cos ’è] che costituisce il fondo reale e la condizionepositiva della libertà? Esso è dato dallo sviluppo integrale e dal pieno godi-mento delle facoltà fisiche, intellettuali e morali di ognuno, e dato, per con-seguenza dai mezzi materiali necessario all’esistenza umana di ognuno; èdato ancora dall’educazione e dall’istruzione. Un uomo che muore di ina-zione, schiacciato dalla miseria, che muore ogni giorno di freddo e di fame,e che vedendo soffrire tutti quelli che ama non può venire in loro soccorso,non è un uomo libero, è uno schiavo. Un uomo condannato a restare tuttala vita un essere brutale per mancanza di educazione umana, un uomo pri-vo di istruzione, un ignorante, è necessariamente uno schiavo; e se esercitadiritti politici, potete essere certi che in un modo o nell’altro li eserciteràsempre contro se stesso, a vantaggio di sfruttatori e padroni.

La condizione negativa del la libertà è questa: nessun uomo deveobbedire a un altro; egli è libero a condizione che tutti i suoi atti sianodeterminati non dalla volontà di altri uomini. ma dalla sua volontà e dalleproprie convinzioni. Un uomo obbligato dalla fame a vendere il propriolavoro, e col lavoro, la persona, al prezzo più basso possibile al capitalistache si delega di sfruttarlo: un uomo che per il suo stato di abbrutimento e lasua ignoranza è abbandonato alla mercé dei suoi sfruttatori sapienti, sarànecessariamente, e sempre, uno schiavo.

E non è tutto. La libertà degli individui non è un danno individuale, è

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vedere e sentire la mia libertà confermata, sanzionata, infinitamente estesanel consenso di tutti. Ecco la felicità, il paradiso umano sulla terra.

Ma questa libertà non è possibile che nell’uguaglianza. Se c’è un essereumano più libero di me, divengo forzatamente suo schiavo; se lo sono piùdi lui, egli sarà mio chiavo. Dunque, l’uguaglianza è una condizione assolu-tamente necessaria della libertà.

I borghesi rivoluzionari del 1793 compresero questa logica necessità.Così la parola Uguaglianza è secondo termine nella loro formula rivoluzio-naria: libertà, Uguaglianza, Fraternità. Ma quale uguaglianza? L’uguaglian-za davanti alla legge, l’uguaglianza dei diritti politici, l’uguaglianza dei con-tadini nello Stato. Notate bene questo termine, l’uguaglianza dei cittadininon quella degli uomini, perché lo Stato non conosce uomini ma solo citta-dini. Per esso, l’uomo non esiste se non in quanto esercita – o in quanto, peruna finzione è autorizzato a esercitare – diritti politici, l’uomo schiacciatodal lavoro forzato, dalla miseria, dalla fame: l’uomo socialmente oppresso,economicamente sfruttato, schiacciato, e che soffre, non esiste per lo Statoche ignora le sofferenze, la schiavitù economica e sociale, il servaggio effetti-vo che si nasconde sotto le apparenze di una libertà politica menzognera Sitratta dunque dell’uguaglianza politica, non dell’uguaglianza sociale.

Cari amici, sapete per esperienza come questa pretesa libertà politicanon fondata sull’uguaglianza economica e sociale sia ingannevole. In unoStato molto democratico, per esempio, gli uomini arrivati alla maggiore età,e che non si trovano sotto il peso di una condanna giudiziaria, hanno ildiritto e, si aggiunge, anche il dovere di esercitare i diritti politici e adempie-re a tutte le funzioni alle quali possono essere chiamati dai loro concittadini. L’ultimo uomo del popolo, il più povero, il più ignorante può e deve eser-citare questi diritti e [compiere] queste funzioni: si può immaginare un’u-guaglianza più larga di questa? Sì, lo deve, lo può legalmente, ma in realtàgli è impossibile. Questo potere e facoltativo per gli uomini che fanno partedelle masse popolari, non potrà mai divenire reale per loro a meno di unatrasformazione radicale delle basi economiche della società – diciamo laparola – ameno di una rivoluzione sociale. Questi pretesi diritti politici eser-citati dal popolo sono dunque una vana finzione.

Noi siamo stanchi di tutte le finzioni religiose e politiche. Il popolo è

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comunicazione, è la conversazione di un individuo umano con molti altriindividui. L’uomo animale non si trasforma in essere umano, cioè pensante,che a mezzo di questa conversazione e in questa conversazione. La sua indi-vidualità, in quanto umana, è dunque il prodotto della collettività.

L’uomo si emancipa dalla tirannica pressione che la natura esterioreesercita su ognuno, in virtù del lavoro collettivo; perché il lavoro individua-le, sterile e impotente, non potrebbe mai vincere la natura. Il lavoro produt-tivo, quello che ha creato le ricchezze e la civiltà, è stato sempre un lavorosociale, collettivo; solamente esso, fino a oggi, è stato iniquamente sfruttatoda taluni individui a spese delle masse operaie. Allo stesso modo, l’educa-zione e l istruzione che sviluppano l’uomo, educazione e istruzione dellequali sono fieri i signori borghesi, e che danno parsimoniosamente alle mas-se popolari, sono ugualmente un prodotto dell’intera società. Il lavoro e,dirò di più, il pensiero istintivo del popolo, le creano, ma finora solo a pro-fitto dei borghesi. E dunque ancora lo sfruttamento di un lavoro collettivoda parte d’individui che non ne hanno il diritto.

Tutto quello che è umano nell’uomo, e più di ogni altra cosa la libertà,è il prodotto di un lavoro sociale, collettivo. Essere libero nell’isolamentoassoluto è un’assurdità inventata dai teologi e dai metafisici che hanno sosti-tuito la società degli uomini con quella del loro fantoccio. Ognuno, dicono,si sente libero in presenza di Dio. cioè del vuoto assoluto, del nulla; è quindila libertà del nulla oppure il nulla della libertà, la schiavitù. Dio, la finzionedi Dio, è stato teoricamente la causa morale, o piuttosto immorale, di tuttigli asservimenti.

Quanto a noi che non vogliamo né fantasmi, né il nulla, bensì la realtàumana vivente, riconosciamo che l’uomo non può sentirsi e sapersi libero –e per conseguenza non può realizzare la sua libertà – che in mezzo agliuomini. Per essere libero ho bisogno di vedermi circondato, c riconosciutocome tale, da uomini liberi. Non sono libero che quando la mia personali,riflettendosi, come in tanti specchi, nella coscienza ugualmente libera ditutti gli uomini che mi circondano, mi viene rafforzata dal riconoscimentodi tutti. La libertà di tutti, lungi dall’essere un limite alla mia, come preten-dono gl’individualisti, ne è al contrario, la conferma, la realizzazione e l’e-stensione infinita. Volere la libertà e la dignità umana di tutti gli uomini,

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qualcosa. E inoltre avete molto più svago e relativa libertà; perciò siete piùistruiti, più liberi, più fortunati degli altri.

Nelle immense officine fabbricate, dirette e sfruttate dai grandi capita-li, nelle quali le macchine, non gli uomini, hanno la funzione più importan-te, gli operai divengono necessariamente miseri schiavi, tanto miserabiliche, quasi sempre, sono costretti a condannare i loro poveri figlioletti,appena a sei anni, a lavorare dodici, quattordici, sedici ore al giorno perpochi miserabili soldi. E lo fanno non per cupidigia, ma per necessità, per-ché senza di ciò non potrebbero mantenere le famiglie.

Ecco l’illusione che possono dare ai loro figli. Non credo di doverspendere altre parole per dimostrare, cari compagni, a voi che pur lo sapeteper esperienza e ne siete di già profondamente convinti, chc fin quando ilpopolo lavorerà non per se stesso, ma per arricchire i detentori della proprietàe del capitale, l’istruzione che potrà dare ai suoi figli sarà molto inferiore aquella dei figli della classe borghese.

Ed è questa una grande e funesta ineguaglianza sociale che troveretenecessariamente alla base stessa dell’organizzazione degli Stati; una massaformalmente ignorante, e una minoranza privilegiata che se non è sempremolto intelligente e almeno relativamente molto più istruita. La conclusioneè facile. La minoranza istruita governerà eternamente le masse ignoranti.

Non si tratta dunque solo delle ineguaglianze fisiche degli individui, lequali sono ineguaglianze che ci obbligano a rassegnarci in quanto uno hauna complessione più fortunata di un altro, come un altro nasce con facoltànaturali di intelligenza e di volontà più grandi. Ma mi affretto ad aggiunge-re, queste differenze non sono così grandi come si vuol far credere. Anchedal punto di vista della natura gli uomini sono quasi uguali, le qualità e idiretti si compensano più o meno in ognuno. Non ci sono che due eccezio-ni a questa regola di ineguaglianze naturale e cioè gli uomini di genio e gl’i-dioti. Ma le eccezioni non fanno la regola e, in generale, si può dire che tuttigl’individui umani si equivalgono e che, se esistono differenze enormi fra gliindividui nella società attuale hanno origine nella mostruosa ineguaglianzadell’educazione e dell’istruzione, e non nella natura.

Il fanciullo dotato delle migliori facoltà, ma nato in una famiglia pove-ra, in una famiglia di lavoratori che vive giorno per giorno del rude lavoro

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stanco di nutrirsi di fantasmi e favole. Questo nutrimento non ingrassa.Oggi domanda la realtà: vediamo dunque quello che c’è di reale nell’eserci-zio dei suoi diritti politici.

Per coprire convenientemente le cariche, e specialmente le più altecariche dello Stato, occorre possedere un grado abbastanza elevato d’istru-zione. Il popolo manca assolutamente di tale istruzione. E colpa sua? No, ècolpa delle istituzioni. Il grande dovere di tutti gli Stati veramente democra-tici è di spargere a piene mani l’istruzione nel popolo. C’è un uno Stato chelo abbia fatto? Non parliamo degli Stati monarchici che hanno un evidenteinteresse a diffondere non l’istruzione, ma il veleno del catechismo cristianonelle masse. Parliamo degli Stati repubblicani e democratici come gli StatiUniti d’America e la Svizzera. Occorre riconoscere che questi due Statihanno fatto più di tutti gli altri per l’istruzione popolare. Ma sono pervenutiallo scopo, malgrado tutta la loro buona volontà? È stato loro possibile dareindistintamente di tutti i bambini che nascono un’uguale istruzione? No,non è stato possibile. Per i bambini dei borghesi, l’istruzione superiore, perquelli del popolo soltanto l’istruzione primaria e, in rare occasioni, un pocod’istruzione secondaria. Perché queste differenze? Per la semplice ragioneche gli uomini del popolo, i lavoratori delle campagne e delle città, non han-no i mezzi per mantenere, cioè nutrire, vestire, alloggiare i figli durante tut-to il tempo degli studi. Per farsi una cultura scientifica bisogna studiare finoall’età di ventun’anni e talora fino a venticinque. Vi domando quali sono glioperai in condizione di mantenere per tanto tempo i figli?

Questo sacrificio è superiore alle loro forze, perché non hanno capita-li, né proprietà e vivono giorno per giorno del salario che basta appena almantenimento di una famiglia numerosa.

E occorre anche dire, cari compagni, che voi, lavoratori delle Monta-gne, operai di un mestiere che la produzione capitalista, cioè lo sfruttamen-to nei grandi capitali, non è ancora riuscita ad assorbire, siete relativamentefratturata lavorando in piccoli gruppi nei vostri laboratori, e spesso lavoran-do in casa vostra, guadagnate molto di più di quanto non si guadagni neigrandi stabilimenti industriali che impiegano centinaia di operai; il vostrolavoro è intelligente, artistico, non abbrutisce come quello che si fa con lemacchine. La vostra abilità, la vostra intelligenza hanno un valore, contano

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esprime non esistono che per eternizzare la schiavitù del popolo a profittodei borghesi.

D’altra parte, sapete bene che quando siete lesi nei vostri interessi, nel-l’onore, nei diritti e volete fare un processo, per farlo dovete prima dimo-strare di essere in condizione di pagare le spese e cioè dovete depositare unacerta somma E se non siete in condizione di depositaria non potete fare ilprocesso. Ma il popolo la maggioranza dei lavoratori hanno forse somme dadepositare in tribunale? Nella più gran parte dei casi, no. E allora il riccopotrà attaccarvi, insultarvi impunemente, perché non c’è giustizia per ilpopolo.

Finché non ci sarà uguaglianza economica e sociale, finché una mino-ranza qualunque potrà diventare ricca, proprietaria, capitalista non per illavoro proprio di ognuno, ma per eredità, l’uguaglianza politica sarà unamenzogna. Sapete qual è la vera definizione della proprietà ereditaria? E lafacoltà ereditaria di sfruttare il lavoro collettivo del popolo e di asservire lemasse.

Ecco ciò che i più grandi eroi della rivoluzione del 1793 non hannocompreso, né Danton, né Robespierre, né Saint-Just. Essi vollero la libertà el’uguaglianza politiche, non quelle economiche e sociali. Ed è per questoche la libertà e l’uguaglianza fondate da loro hanno costituito e posto sunuove basi il dominio dei borghesi sul popolo.

Hanno creduto di mascherare questa contraddizione ponendo cometerzo termine della loro formula rivoluzionaria la Fraternità. E fu un’altramenzogna. Vi domando se è possibile la fraternità tra sfruttatori e sfruttati,oppressori e oppressi. Come? vi faro sudare e soffrire durante tutta la gior-nata e la sera, quando avrò raccolto il frutto della vostra sofferenza e delvostro sudore, non lasciandovene che una piccola parte perché possiateappena vivere, vale a dire soffrire e sudare a mio profitto un’altra voltadomani, la sera, vi dirò: abbracciamoci, siamo fratelli?

Tale è la fratellanza della Rivoluzione borghese.Cari amici, noi pure vogliamo la nobile Libertà, la salutare Uguaglian-

za e la santa Fraternità, ma vogliamo che queste cose grandi cessino di esse-re finzioni, menzogne, e divengano verità e costituiscano realtà.

Questo è il senso e lo scopo di ciò che chiamiamo Rivoluzione sociale.

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quotidiano, si vede condannato all’ignoranza che uccide, invece di svilup-pare le sue facoltà naturali: egli sarà colui che lavora, che fa, che mantiene enutre forzatamente i borghesi, i quali, di natura, possono essere meno intel-ligenti di lui. Il fanciullo del borghese, al contrario, il figlio del ricco, perquanto stupido sia naturalmente, riceverà l’educazione e l’istruzione neces-sarie per sviluppare al massimo grado le sue povere facoltà; sarà lo sfrutta-tore del lavoro, il padrone, il direttore, il legislatore, il governatore: unsignore. Per quanto stupido possa essere farà leggi per il popolo, contro ilpopolo e governerà le masse popolari.

In uno Stato democratico, si dirà, il popolo non sceglierà che i buoni.Ma come riconoscere i buoni? Il popolo non ha né l’istruzione necessariaper giudicare il buono e il cattivo, né il tempo necessario per imparare aconoscere gli uomini che sono proposti dalle elezioni. Quest’ultimi vivonoin una società diversa della sua; vengono a far tanto di cappello a Sua Mae-stà il popolo sovrano al momento delle elezioni, e, una volta eletti, gli volta-no le spalle. E d’altra parte, appartenendo alla classe privilegiata, alla classesfruttatrice, per eccellenti che siano come membri della loro famiglia e dellaloro società, saranno sempre cattivi per il popolo perché, naturalmente, ten-deranno a conservare quei privilegi che costituiscono la base stessa dellaloro esistenza sociale e che condannando il popolo ad un’eterna schiavitù.

Ma perché il popolo non manda alle assemblee legislative e al governouomini suoi, uomini del popolo? Prima di tutto perché gli uomini delpopolo dovendo vivere del lavoro delle braccia non hanno tempo per votar-si esclusivamente alla politica, e non potendolo fare, essendo per la maggiorparte ignoranti delle questioni politiche ed economiche che vengono tratta-te a questi alti livelli, sarebbero quasi sempre vittime degli avvocati e deipoliticanti borghesi. E inoltre perché nel maggior numero dei casi basta chequesti uomini del popolo salgano al governo per diventare borghesi a lorovolta, e spesso più detestabili e più sdegnosi del popolo, dal quale sonousciti, egli stessi borghesi di nascita.

Vedete dunque che l’uguaglianza politica, anche negli Stati più demo-cratici, è una menzogna. E lo stesso avviene per l’uguaglianza giuridica eper l’uguaglianza davanti alla legge. La legge è fatta dai borghesi, per i bor-ghesi, ed è esercitata dai borghesi contro il popolo. Lo Stato e la legge che lo

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idee che fanno palpitare il cuore delle masse, i grandi princìpi, i grandi inte-ressi dell’umanità; ignora perfino il patriottismo oppure non ne conosceche la vanità e le fanfaronate. Nessun sentimento la può strappare dallepreoccupazioni mercantili, dalle cure meschine del giorno per giorno. Tuttihanno saputo, e uomini di tutti i partiti confermato, che durante il terribileassedio di Parigi – mentre il popolo si batteva e la classe dei ricchi intrigavae preparava il tradimento che abbandonò Parigi ai Prussiani, mentre il pro-letariato generoso, le donne, i fanciulli del popolo erano affamati – i botte-gai non hanno avuto che una preoccupazione, quella di vendere la loromercanzia, le derrate, gli oggetti più necessari all’esistenza del popolo, alpiù alto prezzo possibile.

I bottegai di tutte le città di Francia hanno fatto la stessa cosa. Nellecittà invase dai Prussiani aprirono loro le porte; in quelle non invase simostrarono disposti ad aprirle; paralizzarono la difesa nazionale, e, dovepoterono arrivare, si opposero al sollevamento e all’armamento popolareche avrebbero potuto salvare la Francia. I bottegai nelle Città, come i conta-dini nelle campagne, costituiscono oggi l’esercito della reazione; senonché ícontadini potranno e dovranno [essere] convertiti alla rivoluzione, mentre ibottegai non lo saranno mai.

Durante la grande Rivoluzione, la borghesia si era divisa in due catego-rie, [delle quali] una, che costituiva un’infima minoranza, era la borghesiarivoluzionaria conosciuta col nome generico di giacobini . Ma non confon-diamo i giacobini di oggi con quelli del 1793, giacché quelli di oggi non sonoche pallidi fantasmi e aborti ridicoli, caricature degli eroi del secolo passato.I giacobini del 1793 erano grandi uomini, avevano il fuoco sacro, il culto del-la giustizia, della libertà e dell’uguaglianza e non fu colpa loro se non com-presero meglio certe parole che riassumono ancora oggi tutte le nostre aspi-razioni. Essi non ne considerarono che il lato politico e non il senso econo-mico e sociale. Ma, lo ripeto, non fu colpa loro, come non è merito nostrocomprenderlo oggi. E il difetto e il merito del tempo. L’umanità si sviluppalentamente, ahimè, troppo lentamente! e non è che attraverso un seguito dierrori e soprattutto di esperienze crudeli, che ne sono sempre la necessariaconseguenza, che gli uomini conquistano la verità. I giacobini del 1793 furo-no uomini in buona fede, uomini ispirali dall’idea, devo i all’idea: furono

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Questa può riassumersi in poche parole: vuole, e noi vogliamo, cheogni uomo che nasce su questa terra possa diventare un uomo nel senso piùcompleto della parola; che non abbia solo il diritto, ma i mezzi necessari persviluppare le sua facoltà ed essere libero, felice, nell’uguaglianza e nella fra-tellanza! Ecco ciò che tutti vogliamo e tutti siamo pronti a morire per rag-giungere questo scopo.

Vi domando, amici, una terza e ultima riunione per esporvi integral-mente il mio pensiero.

TERZA E ULTIMA CONFERENZA

Cari compagni, vi ho detto l’ultima volta che la borghesia, senza aver-ne completa coscienza, ma appena in parte e, almeno per un quarto sciente-mente, si è servita del braccio potente del popolo durante la grande Rivolu-zione del 1789-1793 per fondare sulle rovine del mondo feudale la suapotenza: oggi essa è divenuta la classe dominante. Si ha torto quando siritiene che siano stati la nobiltà emigrata e i preti a fare il colpo di Stato rea-zionario di Termidoro che rovesciò e uccise Robespierre e Saint Just e cheghigliottinò e deportò così gran numero dei loro partigiani. Certamente,molti membri di questi due ordini decaduti presero parte attiva all’intrigo,felici di veder cadere coloro che li avevano fatto tremare e che avevano lorotagliato la testa senza pietà. Ma, da soli, non avrebbero potuto fare niente,perché spossessati dei beni erano stati ridotti all’impotenza Fu quella partedella classe borghese che si era arricchita nell’acquisto dei beni nazionali,nelle forniture di guerra e nell’amministrazione dei fondi pubblici, appro-fittando della miseria generale e della bancarotta per impinguare le proprietasche; furono questi virtuosi rappresentanti della moralità e dell’ordinepubblico gl’istigatori principali della reazione. Essi furono caldamente epotentemente sostenuti dalla massa dei bottegai, razza eternamente malefi-ca e vile, che inganna ed avvelena il pubblico vendendogli mercanzie falsifi-cate e adulterate e che ha tutta l’ignoranza del popolo senza averne il gran-de cuore e tutta la vanità dell’aristocrazia borghese senza averne il denaro;vile durante le rivoluzioni, feroce nella reazione. Per essa non esistono le

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potenza politica avocava esclusivamente a sé l’educazione l’istruzione ugua-le per tutti i fanciulli, e obbligava gl’individui in età maggiore a lavorare evivere seconda l’uguaglianza e la giustizia. Ogni autonomia comunale, ogniiniziativa individuale in una parola, ogni libertà spariva da questo potereformidabile. La società intera non doveva più presentare che il quadro diun’uniformità monotona e forzata. n governo veniva eletto a suffragio uni-versale. ma una volta eletto, e finché restava in funzione, esercitava su tutti imembri della società un potere assoluto.

La teoria dell’uguaglianza stabilita di forza dalla potenza dello Statonon è stata inventata da Babeuf. I primi fondamenti di questa teoria eranostati gettati da Platone, parecchi secoli prima di Gesù Cristo, nella suaRepubblica, opera nella quale questo grande pensatore dell’antichità tentò dischizzare il quadro di una società ugualitaria. I primi cristiani esercitaronoincontestabilmente un comunismo pratico nelle loro associazioni perseguita-te da tutta la società ufficiale. Infine, anche agl’inizi della Rivoluzione religio-sa, nel primo quarto del sedicesimo secolo, in Germania, Thomas Münzer e isuoi discepoli fecero un primo tentativo di stabilire su larga base l’uguaglian-za sociale. La cospirazione di Babeuf fu la seconda manifestazione praticadell’idea ugualitaria nelle masse, ma tutti questi tentativi, non eccettuatoquest’ultimo, fallirono per due ragioni: la prima perché le masse non eranosufficientemente sviluppate per renderne possibile la realizzazione; poi,soprattutto, perché in tutti questi sistemi, l’uguaglianza s’alleava alla poten-za, all’autorità dello Stato, e per conseguenza escludeva la libertà E noi losappiamo, cari amici, l’uguaglianza non è possibile che insieme e a mezzodella libertà; non quella libertà esclusiva dei borghesi che è fondata sullaschiavitù delle masse e che non è la libertà, bensì il privilegio; ma la libertàuniversale degli esseri umani che eleva ognuno alla dignità di uomo. Ma noisappiamo pure che questa libertà non è possibile che nell’uguaglianza Rivol-ta non solo teorica, ma pratica contro le istituzioni e i rapporti sociali creatidalla ineguaglianza, per stabilire poi l’uguaglianza economica e sociale amezzo della libertà di tutti: ecco il nostro programma attuale, quello chedeve trionfare malgrado Bismarck, Napoleone, Thiers e malgrado tutti icosacchi del mio augusto imperatore. lo zar di tutte le Russie.

La cospirazione di Babeuf aveva riunito nel suo seno, dopo le esecu-

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eroi! Senza di loro, senza la loro grande e santa sincerità, non si sarebberocompiuti i grandi atti della Rivoluzione. Noi possiamo, dobbiamo combatte-re gli errori teorici di Danton, di Robespierre, di Saint-Just, ma anche com-battendo le loro idee false, ristrette, esclusivamente borghesi in economiasociale, dobbiamo inchinarci davanti alla loro potenza rivoluzionaria. Furo-no gli ultimi eroi della borghesia, una volta così feconda.

All’infuori di questa minoranza eroica, c’era la grande massa della bor-ghesia materialmente sfruttatrice, e per la quale le idee, i grandi princìpidella Rivoluzione non erano che parole, e non avevano valore e senso senon in quanto [i borghesi] potevano servirsene per riempire le proprietasche, larghe e rispettabili . Una volta che i più ricchi e perciò più influentisi furono abbastanza impinguati nella confusione e per mezzo della Rivolu-zione, trovarono che la Rivoluzione era durata troppo e che era tempo difinirla e ristabilire il regno della legge e dell’ordine pubblico.

Rovesciarono il Comitato di salute pubblica, uccisero Robespierre,Saint-Just e i loro amici, stabilirono il Direttorio, che fù una vera incarnazio-ne della depravazione borghese alla fine del diciottesimo secolo, il trionfo eil regno dell’oro acquistato e accumulato col furto nelle tasche di alcunemigliaia di individui.

Ma la Francia, che non aveva avuto il tempo di corrompersi e che eraancora palpitante per i grandi fatti della Rivoluzione, non poté sopportare alungo questo regime. Vi furono proteste, l’una mancata, l’altra trionfante.La prima. se fosse riuscita, e sarebbe potuta riuscire, avrebbe salvato laFrancia e il mondo; il trionfo della seconda inaugurò il dispotismo dei re cla schiavitù dei popoli. Mi riferisco all’insurrezione di Babeuf e dell’usurpa-zione del primo Bonaparte. 2

L’insurrezione di Babeuf fu l’ultimo tentativo rivoluzionario del secoloscorso. Babeuf e i suoi erano stati più o meno amici di Robespierre e diSaint-Just: furono giacobini socialisti e ebbero il culto dell’uguaglianzaanche a detrimento della libertà. Il loro piano era semplicissimo: espropria-re i proprietari e i detentori degli strumenti di lavoro e degli altri capitali abeneficio dello Stato repubblicano, democratico e sociale, il quale diventa-va così il solo proprietario delle ricchezze mobili e immobili, unico datoredi lavoro, unico padrone della società; e munito al tempo stesso dell’onni-

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Belgio, in Olanda e in Svizzera Negli altri paesi come la Germania, la Dani-marca, la Svezia, l’Italia, la Spagna e il Portogallo, gl’interessi borghesi ave-vano avuto il sopravvento su tutti gli altri, ma non il governo politico. Nonvi parlo del grande e misero Impero di tutte le Russie che rimane sottomes-so al dispotismo assoluto degli zar e che non ha veramente una classe politi-ca intermedia, non ha corpo politico borghese e dove, di fatto, non c’è daun lato che il mondo ufficiale, cioè un’organizzazione militare, poliziesca eburocratica per soddisfare i capricci dello zar, e dall’altro il popolo, cioèdecine di milioni di esseri umani divorati dallo zar e dai suoi funzionari. InRussia la rivoluzione verrà direttamente dal popolo, come ho già ampia-mente sviluppato in un lungo discorso pronunciato qualche anno fa a Ber-na e che mi affretterò a mandarvi. Non vi parlo di quella sfortunata ed eroi-ca Polonia che si dibatte sempre di nuovo soffocata, eppure sempre viva,sotto le strette di tre infami aquile: quella dell’Impero russo, [quella] del-l’Impero austriaco e [quella] del nuovo Impero tedesco rappresentato dallaPrussia. In Polonia, come in Russia, non esiste veramente una classe media;vi è da una parte la nobiltà – burocrazia ereditaria schiava dello zar in Rus-sia – una volta dominante ma ora completamente schiacciata e disorganiz-zata e dall’altra parte il contadino asservito, divorato, oppresso non più dal-la nobiltà che ha perduto il potere, ma dallo Stato e dagl’innumerevoli fun-zionari dello zar. Non vi parlerò nemmeno dei piccoli paesi: la Svezia e laDanimarca che non sono diventati realmente costituzionali che dopo il1848, c che più o meno sono rimasti indietro nello sviluppo generale del-l’Europa; né vi parlerò della Spagna e del Portogallo, dove il movimentoindustriale e la politica borghese sono rimasti paralizzati per tanto tempodalla doppia potenza del clero e dell’esercito. Nonostante ciò, la Spagna,che ci sembrava così arretrata, ci presenta oggi una delle migliori organizza-zioni dell’Associazione internazionale dei Lavoratori che esista al mondo.Mi fermerò invece un momento sulla Germania La Germania dopo il 1830ci ha presentato e continua a presentarci, lo strano quadro di un paese dovegl’interessi della borghesia predominano, ma dove la potenza politica nonappartiene alla borghesia, ma alla monarchia assoluta, sotto una mascheradi costituzionalismo, militarmente e burocraticamente organizzato e servitoesclusivamente dai nobili.

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zioni e le deportazioni del colpo di Stato reazionario di Termidoro, tutti icittadini rimasti a Parigi devoti alla Rivoluzione, e, necessariamente, moltioperai. Essa fallì; qualcuno fu ghigliottinato, ma molti ebbero la fortuna disopravvivere, e fra gli altri il cittadino Buonarroti, un uomo di ferro, uncarattere antico, tanto rispettabile che seppe farsi rispettare dagli uominidei più opposti partiti. Egli visse a lungo nel Belgio, dove diventò il princi-pale fondatore della società segreta dei carbonari-comunisti e, in un librodivenuto oggi assai raro, ma che cercherò di mandare al nostro amicoAdhémar ha raccontato questa lugubre storia, quest’ultima protesta eroicadella Rivoluzione contro la reazione, conosciuta sotto il nome di cospirazio-ne di Babeuf.

L’altra protesta della società contro la corruzione borghese che si eraimpadronita del potere col nome di Direttorio, fu, come ho già detto, l’u-surpazione del primo Bonaparte.

Questa storia, mille volte più lugubre dell’altra è nota a tutti. Fu la pri-ma inaugurazione del regime infame e brutale della spada, il primo schiaffoimpresso al principio di questo secolo da un parvenu insolente sulla guanciadell’umanità. Napoleone I divenne l’eroe di tuffi i despoti. Mentre ne fumilitarmente il terrore; vinto, lasciò loro la sua funesta eredità, il suo infameprincipio: il disprezzo dell’umanità e l’oppressione a mezzo della sciabola.

Non vi parlerò della Restaurazione. Fu un tentativo ridicolo di ridarevita e potere politico a due corpi anchilosati e decaduti: alla nobiltà e ai pre-ti. Non ci fu nel tempo della Restaurazione che questo di notevole: attacca-ta, minacciata nel potere che aveva creduto conquistato per sempre, la bor-ghesia era ridiventata quasi rivoluzionaria. Nemica dell’ordine pubblico, inquanto quest’ordine non era il suo, ciò stabiliva e garantiva interessi nonsuoi, cospirò di nuovo. Guizot, Périer , Thierse 3 tanti altri che sotto LuigiFilippo erano i più fanatici partigiani e difensori di un governo oppressore,corruttore, ma borghese e perciò perfetto ai loro occhi, tutte queste animedannate della reazione borghese, cospirarono durante la Restaurazione.Essi trionfarono nel luglio 1830, e il regno del liberalismo borghese fu inau-gurato.

E nel 1830 che s’inizia veramente il dominio esclusivo degl’interessi edella politica borghese in Europa; soprattutto in Francia, in Inghilterra, nel

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si sentimenti, alle belle frasi, che cosa trovate? Sempre la stessa cosa. Ungiovane è povero, ignoto, misconosciuto; è divorato da ogni sorta d’ambi-zioni e appetiti. Vorrebbe abitare in un palazzo, mangiare tartufi, berechampagne, scarrozzarsi a piacere e andare a letto con qualche bella mar-chesa. Vi perviene in virtù di sforzi eroici e di avventure straordinarie, men-tre tutti gli altri soccombono. Ecco l’eroe; e questo è individualismo puro.

Vediamo la politica. Come vi si manifesta il principio? Le masse, dico-no, hanno bisogno di essere guidate, governate, sono capaci di fare amenodel governo, come sono incapaci di governarsi da sole. Chi li dirigerà? Ilprivilegio di classe non esiste più. Tutti hanno il diritto di salire alle posizio-ni e alle funzioni sociali più alte. Ma per raggiungerle occorre essere forti,intelligenti, abili e fortunati: occorre sapere e potere vincere i rivali. Eccoancora una volta la corsa al palio; saranno gl’individui abili e forti chegoverneranno, che sfrutteranno le masse.

Consideriamo ora lo stesso principio nella questione economica laquale è in fondo la principale? e si potrebbe dire, l’unica questione. Gli eco-nomisti borghesi ci dicono di essere partigiani di una libertà individuale illi-mitata e che la concorrenza e la condizione di questa libertà. Ma vediamoqual è questa libertà. In primo luogo una domanda: è il lavoro separato, iso-lato che ha prodotto e continua a produrre le meravigliose ricchezze chesono la gloria del nostro secolo? Sappiamo bene di no. Il lavoro isolatodegl’individui sarebbe appena capace di nutrire e vestire un piccolo popolodi selvaggi; una grande nazione non arricchisce e non progredisce che gra-zie al lavoro collettivo, solidalmente organizzato. Ed essendo collettivo illavoro [per] la produzione delle ricchezze, non sarebbe logico che ne fossecollettivo anche il godimento? Ed ecco invece ciò che non vuole, cherespinge con indignazione l’economia borghese. Essa vuole il godimentoisolato degl’individui. Ma di quali individui? Forse di tutti? Oh, no! vuole ilgodimento dei forti, degli intelligenti, dei furbi, dei fortunati. Ah, sì; dei for-tunati soprattutto. Perché nell’organizzazione sociale, e secondo la legge dieredità che ne è il principale fondamento, nasce una minoranza d’individuipiù o meno ricchi, fortunati, e milioni di esseri umani diseredati, sfortunati.La società borghese dice a tutti questi individui: lottate, disputatevi il pre-mio, il benessere, la ricchezza, la potenza politica; i vincitori saranno felici .

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Ma è soprattutto in Francia, in Inghilterra e nel Belgio, che si deve stu-diare il regno della borghesia, come pure in Italia dopo l’unificazione sottolo scettro di Vittorio Emanuele. Tuttavia, da nessuna parte esso si è così net-tamente caratterizzato [come] in Francia, perciò lo consideriamo special-mente in questo paese.

Dopo il 1830, il principio borghese ha avuto piena libertà di manife-starsi nella temperatura, nella politica e nell’economia sociale; esso puòessere riassunto in una parola soia: l’individualismo.

E per l’individualismo intendo quella tendenza che – considerandotutta la società, la massa degli individui, come indifferenti, rivali, concorren-ti, in una parola, nemici naturali, coi quali ognuno è obbligato a vivere, mache ostruiscono la via – spinge l’individuo a conquistare e a creare il suobenessere, la sua prosperità, la sua felicità malgrado tutti, a detrimento e aspese di tutti gli altri. È una corsa al palio, un si salvi chi può generale nelquale ognuno cerca di arrivare primo. Guai a coloro che si arrestano, sonosorpassati; guai a coloro che esausti dalla fatica cadono lungo la via sonoimmediatamente schiacciati. La concorrenza non ha cuore, non conoscepietà. Guai ai vinti! In questa lotta, necessariamente, molti delitti devonoessere compiuti; e tutta questa lotta fratricida non è d’altra parte che uncontinuo delitto contro la solidarietà umana che è l’unica base di ognimorale. Lo Stato, che è – si dice – il rappresentante e il rivendicatore dellaGiustizia non impedisce il perpetrarsi di questi delitti, ‘anzi li perpetua e lilegalizza. Ciò che esso rappresenta e ciò che difende non è la giustizia uma-na, ma la giustizia giuridica, cioè la consacrazione del trionfo dei forti suideboli, dei ricchi sui poveri. Lo Stato esige che tutti questi delitti siano com-piuti legalmente. Io posso rovinarvi, schiacciarvi, uccidervi, ma lo debbofare osservando le leggi; altrimenti sono dichiarato criminale e trattatocome tale. Questo è il senso del principio e della parola: individualismo.

Vediamo ora come questo principio si sia manifestato nella letteratura,in quella letteratura creata dai Victor Hugo, dai Dumas, dai Balzac, daiJules Janin e da tanti altri autori di libri e articoli di giornali borghesi chehanno inondato l’Europa dopo il 1830, portando la depravazione e risve-gliando l’egoismo nel cuore dei giovani dei due sessi, e sfortunatamenteanche del popolo. Prendete un qualunque romanzo: accanto ai grandi e fal-

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100.000 franchi impiegati in una fabbrica daranno il 20, il 30 per cento,mentre l0.000 franchi impiegati allo stesso modo non daranno che il 10 percento. Il grande fabbricante economizza sullo stabile, sulle materie prime,sulle macchine; impiegando più operai dei fabbricante medio e piccolo,economizza ancora con una migliore organizzazione e con una maggioredivisione del lavoro. In una parola, con 100.000 franchi concentrati nellesue mani e impiegati nell’impianto e nell’organizzazione di un’unica fabbri-ca, produce più di dieci fabbricanti che abbiano impiegato 10.000 franchiognuno. Per cui se ciascuno di questi realizza sui 10.000 franchi impiegan-do per esempio 2.000 franchi di utile, il fabbricante che impianta e organiz-za una grande fabbrica che gli costa l00.000 franchi, guadagna sopra ogni10.000 franchi, 5.000 o 6.000 franchi, cioè produce proporzionalmente 5 o6 [volte più] merce. E producendo proporzionalmente molto di più puònaturalmente vendere i prodotti a prezzo più basso dei piccoli e medi fab-bricanti. Ne consegue che vendendoli a prezzo più basso, obbliga ugual-mente i piccoli e medi fabbricanti ad abbassare il loro prezzo senza di che iloro prodotti non sarebbero più comprati. Ma poiché la produzione di que-sti prodotti costa a quest’ultimi più del grande fabbricante, vendendoli alprezzo del grande fabbricante, si rovinano. E così i grandi capitali uccidonoi piccoli capitali e, se i grandi capitali ne incontrano di maggiori, sono a lorovolta schiacciati.

Questo è tanto vero che vi è oggi una tendenza visibile ad associarsiper costituire capitali mostruosamente formidabili. Lo sfruttamento delcommercio e dell’industria da parte delle società anonime, comincia a sop-piantare nei paesi industriali, in Inghilterra, nel Belgio e in Francia, i grandicapitalisti isolati. E, man mano che la civiltà, la ricchezza naturale dei paesipiù avanzati si accrescono, la ricchezza dei grandi capitalisti si accresceanche, ma il loro numero diminuisce. Una quantità di borghesi medi si vedericacciata nella piccola borghesia, e una ancora più grande di piccoli bor-ghesi si vede inesorabilmente spinta nel proletariato, nella miseria.

È un fatto incontestabile, constatato dalla statistica di tutti i paesi edalla dimostrazione esattamente matematica; nell’organizzazione economi-ca della società attuale, quest’impoverimento graduale della gran massa del-la borghesia a profitto di un ristretto numero di grossi capitalisti, è una leg-

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Ma c’è almeno uguaglianza in questa lotta fratricida? No, affatto; gli uni, laminoranza, sono armati da capo a piedi, forti della loro istruzione e dellericchezze ereditate, e i milioni di uomini del popolo si presentano nell’areaquasi nudi, con l’ignoranza e la miseria ugualmente ereditate. Qual è il risul-tato necessario di questa cosiddetta libera concorrenza? Il popolo soccom-be, la borghesia trionfa, e il proletariato, incatenato è obbligato a lavorarecome un forzato per il suo eterno vincitore, il borghese.

Il borghese è soprattutto munito di un’arma contro la quale il proletarioresterà sempre senza possibilità di difesa, finché quest’arma, il capitale, che èdiventata ormai in tutti i paesi civili l’agente principale della produzione indu-striale, finché questo alimentatore del lavoro sarà rivolto contro di lui.

Il capitale, com’è costituito e accumulato oggi, non schiaccia solo ilproletario: percuote, espropria e riduce [alla miseria] un’immensa quantitàdi borghesi. La causa di questo fenomeno, che la media e la piccola borghe-sia non comprendono abbastanza, o ignorano, è peraltro molto semplice.In virtù della concorrenza, di questa lotta mortale che grazie alla libertàconquistata dal popolo a profitto dei borghesi regna oggi nel commercio enell’industria, tutti i fabbricanti sono obbligati a vendere i loro prodotti o,piuttosto, i prodotti dei lavoratori che essi impiegano e che sfruttano, al piùbasso prezzo possibile. Voi lo sapete per esperienza: i prodotti costosi sivedono sempre più esclusi dal mercato e soppiantati dai prodotti a più bas-so prezzo, malgrado che quest’ultimi siano mollo meno buoni dei prima.Ecco dunque una prima conseguenza funesta della concorrenza, di questalotta intestina della produzione borghese. Essa tende necessariamente asostituire i prodotti buoni con prodotti mediocri; i lavoratori abili coi lavo-ratori scadenti, diminuendo nello stesso tempo la qualità dei prodotti equella dei produttori.

In questa concorrenza, in questa lotta al ribasso, i grandi capitali devo-no per forza schiacciare i piccoli capitali; i grandi borghesi devono rovinarei piccoli borghesi, perché una grande fabbrica può, naturalmente, confezio-nare i prodotti e venderli a un prezzo più basso di una fabbrica piccola omedia. L’impianto di una grande azienda esige, s’intende, grandi capitali,ma, proporzionatamente a ciò che può produrre rende molto più di un’a-zienda piccola o media: 100.000 franchi sono più di 10.000 franchi; ma

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liera, sebbene siate incontestabilmente sfruttati dai vostri padroni, compa-rativamente agli operai dei grandi stabilimenti industriali, siete abbastanzaben pagati, avete tempo libero, siete meno legati, state assai meglio. E miaffretto a riconoscere che vi è tanto più merito in voi di essere entrati nel-l’internazionale e di essere diventati membri devoti e zelanti di questaimmensa associazione del lavoro che deve emancipare i lavoratori del mon-do intero; questo è da parte vostra nobile e generoso, perché dimostra chenon pensate solo a voi stessi, ma anche a quei milioni di fratelli che sonomolto più oppressi e sfortunati di voi: io sono felice di potervi attestare que-sto merito.

Ma, nello stesso tempo che fate atto di generosa e fraterna solidarietà,lasciatemi dire che fate anche atto di previdenza e di prudenza; agite nonsolo per i fratelli sfortunati delle altre industrie e degli altri paesi, ma anche,se non per voi stessi, al meno per i vostri figli. Siete, non del tutto, ma relati-vamente ben retribuiti, liberi, soddisfatti. Ma perché lo siete? Per la sempliceragione che il gran capitale non ha ancora invaso la vostra industria. Ma noncrediate che sarà sempre così. Il gran [capitale], per una legge che gli è ine-rente, è fatalmente spinto a invadere tutto. Ha cominciato naturalmente asfruttare i rami di commercio e d’industria che ripromettevano maggiorivantaggi, quelli di più facile sfruttamento, e finirà necessariamente dopoaverli sufficientemente sfruttati, e a causa della concorrenza che fa [a se stes-so] in tale sfruttamento, per arrivare a quei rami che non ha ancora toccato.Non si f anno ora abiti, scarpe, pizzi a macchina? Credete pure che presto otardi si faranno con le macchine anche gli orologi. Le molle, gli scappamenti,le scatole, la lucidatura, la decorazione, l’incisione si faranno a macchina. Iprodotti non saranno curati, artistici come quelli che escono dalle vostre abi-li mani, ma costeranno molto meno, e troveranno più compratori dei vostriprodotti perfetti, i quali finiranno per essere esclusi dal mercato. E allora, senon voi, ma i vostri figli si troveranno altrettanto schiavi e miserabili quantolo sono oggi gli operai dei grandi stabilimenti industriali. Vedete dunque chelavorando per i vostri fratelli, gl’infelici lavoratori delle altre industrie e deglialtri paesi, lavorale per voi stessi, o almeno, per i vostri figli.

Voi lavorate per l’umanità. La classe operaia è divenuta oggi l’unicarappresentante della grande, della santa causa dell’umanità L’avvenire

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ge inesorabile contro la quale non c’è altro rimedio che la rivoluzione socia-le. Se la piccola borghesia avesse abbastanza intelligenza e buon senso percomprenderlo, già da tempo si sarebbe alleata col proletariato per compierequesta rivoluzione. Ma la piccola borghesia è generalmente molto stupida;la sua sciocca vanità e il suo egoismo le chiudono lo spirito. Non vede nien-te, non comprende niente? e, schiacciata da un lato dalla grande borghesia?minacciata dall’alto da quel proletariato che disprezza altrettanto quanto lodetesta e lo teme, si lascia scioccamente trascinare nell’abisso.

Le conseguenze di questa concorrenza borghese sono disastrose per ilproletariato. Forzati a vendere i loro prodotti – o piuttosto i prodotti deglioperai che sfruttano – al più basso prezzo possibile, i fabbricanti devononecessariamente pagare agli operai i salari più bassi possibili; e per conse-guenza non possono più pagare l’abilità e l’ingegno di quest’ultimi. Devonocercare il lavoro che si vende, che e forzato a vendersi alla tariffa più bassa.Le donne e i fanciulli si accontentano di un salario minore, per cui essi cer-cano di impiegare donne e fanciulli a preferenza degli uomini, e lavoratorimediocri a preferenza di quelli abili a meno che questi non s’accontentinodel salario dei lavoratori scadenti, delle donne e dei ragazzi. È stato provatoe riconosciuto da tutti gli economisti borghesi che la misura del salario del-l’operaio è sempre determinato dal costo del suo mantenimento giornalie-ro: così se un operaio potesse alloggiare, vestire e nutrirsi con un franco algiorno, il suo salario scenderebbe ben presto a un franco. E ciò per unaragione molto semplice. Gli operai, spinti dalla fame, sono obbligati a farsiconcorrenza fra loro, e il fabbricante impaziente di arricchirsi al più prestocon lo sfruttamento del lavoro, e, obbligato d’altro canto, dalla concorrenzaborghese, a vendere al prezzo più basso possibile i prodotti, prenderà natu-ralmente operai che, per il minor salario, gli offriranno il maggior numerodi ore di lavoro.

Questa non è soltanto una deduzione logica, è un fatto che giornal-mente si verifica in Inghilterra, in Francia, nel Belgio, in Germania e nelleparti della Svizzera dove è stabilita la grande industria, l’industria esercitatadalle grandi fabbriche e dai grandi capitali. Nella mia ultima conferenza vidissi che eravate operai privilegiati. Sebbene siate ancora ben lontani dalpercepire integralmente in salario il valore della vostra produzione giorna-

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ci fu che un solo punto nero, l’ambizione conquistatrice del sovrano, chetrascinando la Francia in spese rovinose, ha finito coll’annientare l’anticapotenza. Ma questo punto nero non era un accidente, era una necessità delsistema. Un regime dispotico, assoluto, quand’anche con le apparenze dellalibertà, deve necessariamente appoggiarsi su di un esercito potente, e ognigrande esercito permanente rende necessaria, prima o poi, la guerra all’e-sterno. La gerarchia militare ha difatti per principale aspirazione l’ambizio-ne, ogni tenente vuole diventare colonnello, e ogni colonnello generale, equanto ai soldati, essi, sistematicamente demoralizzati nelle caserme, sogna-no i nobili piaceri della guerra il massacro, il saccheggio, il furto, lo stupro;prova ne sono le prodezze dell’esercito prussiano in Francia. Ebbene, setutte queste nobili passioni sapientemente e sistematicamente nutrite nelcuore degli ufficiali e dei soldati, restano a lungo senza soddisfazione, ina-spriscono l’esercito e lo spingono al malcontento, e dal malcontento allarivolta. Perciò è necessario fare la guerra Tutte le spedizioni e le guerreintraprese da Napoleone III non sono stati capricci personali, come preten-dono oggi i signori borghesi: sono stati una necessità del sistema imperialedispotico che i borghesi stessi avevano fondato per timore della rivoluzionesociale. Sono le classi privilegiate, è l’alto e basso clero, è la nobiltà decadu-ta, è infine – e soprattutto – questa rispettabile, onesta e virtuosa borghesiala quale [come] le altre classi e più dello stesso Napoleone III, a causa ditutte le orribili sventure che hanno ora colpito la Francia.

E voi l’avete visto tuffi, compagni. che per difendere questa Franciasfortunata non si è trovato in tutto il paese che una sola massa, la massa deglioperai delle città, quella precisamente che è [stata] tradita e abbandonatadalla borghesia all’impero e sacrificata dall’Impero allo sfruttamento bor-ghese. In tutto il paese non vi sono stati che i generosi lavoratori delle fabbri-che e delle città a volere la sollevazione popolare per la salvezza della Fran-cia. I lavoratori delle campagne, i contadini demoralizzati e instupiditi dall’e-ducazione religiosa che fu loro impartita dal primo Napoleone ad oggi, han-no preso il partito dei Prussiani e della reazione contro la Francia. Si poteva-no guadagnare alla rivoluzione: in un opuscolo che molti di voi hanno letto,intitolato Lettere a un Francese, esposi i mezzi che conveniva usare per trasci-narli nella Rivoluzione. Ma per farlo occorreva anzitutto che le città si solle-

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appartiene ai lavoratori; ai lavoratori dei campi, ai lavoratori delle fabbrichee delle città. Tutte le classi che sono al di sopra, eterne sfruttatrici del lavorodelle masse popolari, la nobiltà, il clero, la borghesia, e tutta quella pleiadedi funzionari militari e civili che rappresentano l’iniquità e la maleficapotenza dello Stato, sono classi corrotte incapaci ormai di comprendere e divolere il bene e potenti solo nel male.

Il clero e la nobiltà sono stati smascherati e battuti nel 1793. La rivo-luzione del 1848 ha smascherato la borghesia e ne ha mostrato l’incapacitàe la malvagità. Durante le giornate di giugno, nel 1848 la classe borgheseha altamente rinunciato alla religione dei suoi padri; quella religione rivo-luzionaria che aveva avuto la libertà, l’uguaglianza e la fraternità per prin-cipio e per base. Appena il popolo ebbe presa sul serio l’uguaglianza e lalibertà, la borghesia, che non esiste che per lo sfruttamento, vale a dire perl’ineguaglianza economica e per la schiavitù sociale del popolo, si è gettatanella reazione.

Gli stessi traditori che vogliono perdere ancora una volta la Francia,questi Thiers . Jules Favre, e l’immensa maggioranza dell’Assemblea nazio-nale del 1848, hanno lavorato per il trionfo della reazione più immonda,come vi lavorano ancora oggi. Hanno cominciato col distruggere il suffra-gio universale e più tardi hanno portato alla presidenza Luigi Bonaparte 4,nel timore della rivoluzione sociale, l’orrore dell’uguaglianza, il sentimentodei propri delitti e la paura della giustizia popolare, avevano gettato tuttaquesta classe, in altri tempi intelligente ed eroica e oggi stupida e vile, nellebraccia della dittatura di Napoleone III. Ed essi ne hanno avuto la dittaturamilitare, per diciotto anni di seguito, e non bisogna credere che i signoriborghesi se ne siano trovati troppo male. Quelli che volevano ribellarsi egiocare al liberalismo in modo troppo rumoroso e incomodo per il regimeimperiale, sono stati naturalmente scartati, soffocati. Ma tutti gli altri, quelliche lasciando le fisime politiche al popolo, si sono applicate esclusivamentee seriamente al grande affare della borghesia, allo sfuttamento del popolo,sono stati potentemente protetti e incoraggiati: si sono dati loro perfino, persalvare l’onore, tutte le apparenze della libertà. Infatti, non esisteva sottol’Impero un’Assemblea legislativa regolarmente eletta a suffragio universa-le? Tutto andò dunque benissimo secondo i desideri della borghesia. E non

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ti per uno e uno per tutti . e il motto è il principio della nostra grande Asso-ciazione internazionale, la quale, superando le frontiere degli Stati, e conciò stesso, distruggendo gli Stati, tende a unire i lavoratori del mondo interoin una sola famiglia umana, sulla base del lavoro ugualmente obbligatorioper tutti, e in nome della libertà di ciascuno e di tutti. Questa solidarietà sichiama, in economia sociale, lavoro e proprietà collettiva, in politica si chia-ma distruzione degli Stati e libertà di ognuno per la libertà di tutti.

Sì, cari compagni operai, solidalmente coi vostri fratelli lavoratori delmondo intero, ereditate da soli la grande missione dell’emancipazione del-l’umanità. Avete tuttavia un coerede, lavoratore anch’esso, sebbene in altrecondizioni. È il contadino. Ma il contadino non ha ancora la coscienza dellagrande missione popolare. E stato avvelenato, è ancora avvelenato dai preti,e servo, contro se stesso. come strumento di reazione. Dovete istruirlo,dove salvarlo suo malgrado, trascinandolo spiegandogli che cos’è la Rivolu-zione sociale.

Nel frattempo, e soprattutto agl’inizi, gli operai dell’industria nondevono, non possono contare che su se stessi; ma saranno onnipotenti se lovorranno. Soltanto devono volerlo seriamente, e per realizzare questavolontà non ci sono che due mezzi. Stabilire dapprima nei gruppi, poi fratutti i gruppi, una vera solidarietà fraterna, non solo di parole, ma anched’azione, non solo con le teste, i discorsi, i brindisi, ma anche nella vita quo-tidiana. Ogni membro dell’Internazionale deve poter sentire, deve esserepraticamente convinto, che tutti gli altri membri sono suoi fratelli.

L’altro mezzo è l’organizzazione rivoluzionaria, l’organizzazione perl’azione. Se le sollevazioni popolari di Lione, Marsiglia e di altre città dellaFrancia sono fallite, è per mancanza d’organizzazione? e ve ne posso parla-re con cognizione di causa, perché ci sono stato e ne ho sofferto. E se laComune di Parigi s’impone oggi così saldamente, è perché durante l’asse-dio gli operai si sono seriamente organizzati. Non è senza ragione che i gior-nali borghesi accusano l’Internazionale di aver prodotto questa magnificasollevazione di Parigi. Sì, diciamolo con fierezza, sono i nostri fratelli inter-nazionalisti che col loro lavoro perseverante hanno organizzato il popolo diParigi e resa possibile la Comune di Parigi.

Siamo dunque buoni fratelli, compagni, e organizziamoci. Non crede-

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vassero e si organizzassero rivoluzionariamente. Gli operai hanno provato,tentando anche in molte città del sud della Francia: a Lione. Marsiglia,Montpellier, Saint-Etienne, Tolosa 5. Ma dappertutto sono stati compressi eparalizzati dai borghesi radicati in nome della Repubblica. Sì, è nel nomestesso della Repubblica che i borghesi divenuti repubblicani per timore delpopolo è nel nome della Repubblica che Gambetta, il vecchio peccatoreJules Favre, Thiers, la volpe infame, e tutti i Picard, Ferry, Jules Simon, Pelle-tan e altri, e in nome della Repubblica che hanno assassinato la Repubblica ela Francia.

La borghesia e colpevole. E la classe più ricca e numerosa di Francia –eccettuato s’intende la massa popolare – avrebbe potuto salvare, se avessevoluto, la Francia. Ma per questo avrebbe dovuto sacrificare il suo denaro,la sua via e appoggiarsi francamente sul proletariato come avevano fanno isuoi avi del 1793. Ebbene, ha voluto sacrificare il denaro meno della vita,cha preferito che i Prussiani conquistassero la Francia, piuttosto che salvar-la con la rivoluzione popolare.

La questione fra gli operai delle città e la borghesia è stata posta netta-mente. Gli operai hanno detto: faremo saltare in aria le case piuttosto cheabbandonare le città ai Prussiani. I borghesi hanno risposto: apriremo leporte delle città ai Prussiani piuttosto che permettervi di fare disordinepubblico, e vogliamo conservare le nostre preziose case a ogni costo, anchedovessimo baciare il culo ai [Signori] Prussiani.

E notate che sono oggi gli stessi borghesi che osano insultare la Comu-ne di Parigi, questa nobile Comune che salva l’onore della Francia e, speria-mo nello stesso tempo, la libertà del mondo; sono gli stessi borghesi chel’insultano oggi, e in nome di cosa? – in nome del patriottismo!

Veramente, questi borghesi hanno la faccia di bronzo! Sono giunti aun tal grado d’infamia, da perdere fin l’ultimo sentimento di pudore. Igno-rano la vergogna. Prima di essere morti sono già completamente marci.

E non è solo in Francia, compagni, che la borghesia è putrida; moral-mente e intellettualmente annientata; lo è allo stesso modo in tutta Europa,e in tutti i paesi d’Europa [soltanto il proletariato] ha conservato il fuocosacro: esso soltanto porta oggi lo stendardo dell’umanità.

Qual è il suo motto, la sua morale, il suo principio? La solidarietà. Tut-

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te di essere alla fine della Rivoluzione, siamo solo all’inizio. La Rivoluzione èormai all’ordine del giorno per molte decine di anni. Essa verrà a trovarci,presto o tardi, prepariamoci dunque, purifichiamoci, diventiamo più reali,meno chiacchieroni, meno chiassosi, meno parolai, meno bevitori, menobuontemponi. Siamo più austeri e prepariamoci degnamente a questa lottache deve salvare tutti i popoli ed emancipare finalmente l’umanità.

Viva la Rivoluzione sociale! Viva la Comune di Parigi!

NOTE

1 James Guillaume, collaboratore ed editore di Bakunin, aggiunge nel 1911 una nota aquesto proposito: «La situazione nella valle di Saint-Imier è molto cambiata dopo il 1871. Laproduzione di orologi è diventata industriale; la maggior parte degli operai e delle operaieche partecipano alla produzione di orologi lavorano oggi in fabbriche o manifatture, e i lorosalari si sono molto ridotti», e anche la loro relativa indipendenza sparì.

2 Nel 1796, François-Noël (Gracchus) Babeuf (1760-1797) ordì a Parigi la «congiuradegli uguali» per abbattere il governo dei «termidoriani» reazionari che avevano rovesciatoRobespierre. L’importanza politica della congiura, ben presto scoperta e per cui Babeuf pagòcon la testa, non fu grande; ma con il suo programma eguaglitario essa rappresentò la primamanifestazione di idee che possono venir chiamate «comuniste». Tra i partecipanti vi era l’i-taliano Filippo Buonarroti (1761-1837) che non solo ne scrisse una storia rimarchevole, mache avrebbe anche partecipato nei quarant’anni successivi a numerose attività rivoluzionariesegrete in diversi paesi. Bakunin ne era un grande ammiratore.

3 Louis-Adolphe Thiers (1797-1877), storico di professione, dopo aver combattuto daliberale il regime borbonico, diventò primo ministro sotto Luigi Filippo, acquistandosi lafama di opportunista e corrotto. Mantenne un grande influsso anche sotto Napoleone III.Dopo la proclamazione della Repubblica nel 1870, Thiers si dichiarò repubblicano e diventòcapo del governo nazionale. Come tale era il principale responsabile dell’abbattimento bar-barico della Comune. Per Bakunin, come per Marx, Thiers e i suoi ministri, quali J. Favre e J.Ferry, nominati più tardi, rappresentavano in tutto e per tutto la borghesia nel suo aspettopeggiore.

4 Luigi Bonaparte, nipote di Napoleone, fu eletto Presidente della Repubblica neldicembre 1848 grazie ai voti della borghesia intimorita dalla sollevazione operaia nel giugno1848. Dopo il suo colpo di Stato nel dicembre 1851, si fece incoronare nel 1852 come Napo-leone III.

5 Bakunin stesso partecipò nel settembre 1870 a un tentativo di insurrezione a Lione ecercò di organizzarne un’altra a Marsiglia.

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