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Balarm Magazine | Idee, personaggi e tendenze che muovono la Sicilia | numero 8

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Balarm Magazine è un bimestrale di approfondimento culturale e di costume stampato in 12.000 copie e distribuito gratuitamente a Palermo, Mondello, Monreale, Bagheria

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balarm magazinebimestrale di cultura e societàanno III n°8 dicembre/gennaio 2009 registrazione tribunale di palermo n° 32 del 21.10.2003

editoreassociazione culturale balarm

direttore responsabilefabio ricotta

redazione via nicolò gallo 1 - 90139 palermotel. 091.6113538 / fax 091.6114523 [email protected]

pubblicità w5 mediafactory srltel. 091.6113538 / mob. [email protected]

articoliadriana falsone, alessandra sciortino, antonio castiglia, claudia brunetto, claudiascuderi, daniela genova, daniele sabatucci,dario prestigiacomo, fabio manno, federica sciacca, gigi razete, giorgia scaduto, giorgioaquilino, giulio giallombardo, giulia scalia,laura nobile, laura maggiore, letizia mirabile,manuela pagano, marina giordano, soniapapuzza, saverio puleo, sveva alagna, tommaso gambino

fotografiealessandro gerini, bim distribuzione, federico maria giammusso, gabriele mocera,giovanni romeo, giuseppe arnone, maurod’agati, roberto fenix, valentina glorioso,vincenzo pennino

progetto webfabio pileri

progetto graficosalvo leo

stampa artigiana grafica

tiratura e distribuzione numero stampato in 15.000 copie edistribuito gratuitamente a palermo,monreale, mondello, bagheria e comprensorio in circa 250 punti diaggregazione culturale e mondana

abbonamenti su www.balarm.it/abbonamento.aspoppure recandovi presso la nostra redazione, maggiori informazioni alnumero 091.6113538

in copertina giusy ferreri (ph alessandro gerini)

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SOMMARIO

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www.balarm.it

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PRIMO PIANO6_Giusy Ferreri, l’energia siciliana di “Gaetana”

MUSICA10_Olivia Sellerio, il nuovo disco “Violeta” 12_Fitzcarraldo, nuova etichetta indipendente14_Pan del Diavolo, esordio in chiave country blues 16_Combomastas’: 5 anni di hip hop18_Francesco Di Fiore e le sue “Visioni”19_Locanda Almayer, il nuovo disco “La joie d’amour”

TEATRO22_La Vicaria, nuova casa del teatro24_Marco Manera e il teatro popolare 26_Teatri negati, storia da salvare

ARTE28_Sandro Scalia, l’occhio di Palermo30_Anne-Clémence De Grolée, la Sicilia con occhi francesi

LIBRI 34_Attilio Bolzoni, la mafia del silenzio in “Parole d’onore”36_Giorgio Vasta, adolescenti di un ‘78 palermitano38_Giovanna Fiume, una storia di passione femminile

CINEMA40_Francesca Beggio, la Lucia Serio di “Agrodolce”42_Palermo Shooting, un affresco onirico della città44_Tony Scott secondo Franco Maresco46_Marina Paterna, il primo corto “Io Vivo”

SOCIETA’50_Sul Web un’altra informazione52_Perso per perso mettilo in rete

COSTUME54_Sconsigli per gli acquisti56_Tutti i volti di Elisabetta Cinà58_Angelo Duro e il cabaret salutista

CIBO60_Un inno al cioccolato, cibo divino62_Gagini: l’arte ci prende gusto

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Cari lettori, rieccoci al nostro appuntamento bimestrale con questo nuovo numero, il nono partendo dalnumero zero (cosa che devo ogni volta specificare vista la “geniale” idea di non partire direttamente dal nume-ro uno…). Per prima cosa ci tengo molto a ringraziare tutti voi per il calore che mi avete dimostrato alla festaper i cinque anni di Balarm. Eravamo davvero in tanti a spegnere queste candeline. Detto questo, con le festi-vità alle porte, come non augurare a tutti i voi di passare dei giorni sereni, anche se si sa, per ora la serenitànon è che faccia proprio parte di questo mondo… la crisi minaccia un po’ tutti e ognuno nel proprio piccolosta facendo dei sacrifici. Eppure, finchè si può, si cerca di non rinunciare alle cose belle che ci sono, come peresempio il momento del Natale, che con la sua atmosfera, volenti o nolenti, ci trascina e ci fa ritrovare. Per cuialla fine, ai regalini ad amici e parenti, non si rinuncia lo stesso. Così (tirando acqua al mio mulino), colgo l’oc-casione per ricordarvi che l’abbonamento a questo magazine, ad una cifra simbolica di sei euro che è solo ilcosto delle spese di spedizione, potrebbe essere un regalo carino, certamente non banale e soprattutto dipochi euro, per farvi ricordare da parenti e amici per tutto l’anno. Si potrà regalare o acquistare l’abbonamen-to online su www.balarm.it/abbonamento.asp, oppure presso la nostra redazione, in via Nicolò Gallo 1 aPalermo (W5 mediafactory) o, ancora, presso i punti di prevendita che potrete scoprire su Balarm.it. Inoltre,nell’augurarvi con l’occasione delle feste, di riuscire a ritagliarvi un po’ di tempo libero da dedicare alle tanteattività di cui noi ci facciamo ambasciatori, vi ricordiamo che online Balarm (www.balarm.it) dà spazio quoti-diano ad articoli di cultura e spettacolo e ad un calendario aggiornato e sempre più ricco di eventi. Adesso,prima di lasciarvi alla lettura del magazine, pieno anche questa volta di contenuti, iniziative e di personaggicome Giusy Ferreri, Olivia Sellerio o Attilio Bolzoni, vi confesso che questo per me è un numero speciale,soprattutto perchè due delle sue pagine portano una firma prestigiosa, quella di Oliviero Toscani e dei ragaz-zi dell’Assessorato alla Creatività del Comune di Salemi, che le hanno create apposta per noi. Cosa che ci riem-pe d’orgoglio. Con questa nota positiva vi auguro di passare un felice Natale e un capodanno “sfrenato”…,perché si sa, chi si diverte a capodanno si diverte tutto l’anno! Buona lettura a tutti.

di FABIO RICOTTAÈ arrivato il tempo dei regali

EDITORIALE

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ta il triplo disco di platino, Giusy è la prima artistaemergente a conquistare un traguardo così impor-tante. «Già da bambina avevo la passione della musi-ca e scrivevo canzoni – racconta la Ferreri –.Durante l’età adolescenziale, forse anche superandoun po’ di timidezza, mi esprimevo mettendo periscritto le mie sensazioni e le mie emozioni, cercan-do di comunicare attraverso la voce. A 14 anni hofondato la mia prima band musicale “Anime selvag-ge” dove ci esibivamo più che altro in cover di pezziclassici. Poi, però, a 19 anni ho iniziato a lavorare edurante i weekend era sempre più difficile andare ingiro per piccoli concerti. A 23 ho fatto il salto, pro-ponendo il mio primo pezzo “Pensieri”. Ma non èandato come speravo. Anzi, è andato piuttostomale. Ora, ironia della sorte, l’ho inserito in questonuovo cd». Giusy è nata a Palermo nel 1979, anchese «in realtà sono nata il 18 aprile – racconta - maall’anagrafe hanno sba-gliato a scrivere la data,così ufficialmente risultonata il 17». Adesso Giusyvive ad Abbiategrasso per-ché ammette, «mi piacevivere nei piccoli paesi diprovincia perché sono piùa misura d’uomo, hannouna dimensione tranquillae tutto sembra meno indu-strializzato. Non sono abi-tuata al caos: mi piacevivere la grande metropoli per lo svago, ma la serapreferisco ritornare nel mio paesino tranquillo».Riguardo le sue origini siciliane aggiunge: «Mi portodentro tratti del carattere che fanno della mia per-sonalità quella che sono adesso. Mi sento solare,vivace e dirompente. Beh come sono i siciliani!». Leiavrebbe dovuto chiamarsi Giuseppa Gaetana, «duenomi da maschio», come lei stessa li ha definiti,“vestendo” i nomi di entrambe le nonne, ma all’ana-grafe è stato commesso un secondo errore: «Hamesso una virgola fra i due nomi, separandoli». Ecosì, adesso, Giusy Ferreri ha scelto di rendereomaggio proprio a quella nonna palermitana,Gaetana, dando il suo nome al proprio disco d’esor-dio: «La vedo raramente perché vive a Palermo, masiamo legate da affetto profondo. È una nonnamodaiola e rock: grande fan di Gianna Nannini eFrancesco Renga». Adesso al fianco di Giusy, c’èanche il fratello più grande, che l’accompagna al

piano. «Mi piace giocare sui contrasti: un disco diqualità con un titolo ironico. “Gaetana” è perfettoper il mio timbro vocale, cosi personale, forte eingombrante … proprio come il nome Gaetana –racconta la Ferreri – a volte mi sembra un sognoessere arrivata fino a qui. L’importante è mantenereancorati i piedi per terra.. e poi chissà cosa mi riser-va il destino, ancora una volta». Le dodici tracce delcd “Gaetana” sono un melting pot di suoni caldi eraffinati, tutti arrangiati da Michele Canova, chespaziano fra le incalzanti sfumature anni Ottanta alblues, fino alle contaminazioni pop-rock, tra l’altrocon due canzoni, “La scala” e “Cuore assente” scrit-te apposta da Linda Perry, un’artista internazionaleche, fino ad ora, non aveva mai collaborato con arti-sti italiani. «È stato da sempre un mio sogno collabo-rare con Linda ed è una grande soddisfazione esse-re la prima artista italiana a esserci riuscita. Ha il

potere di comporre la musicain modo geniale: in ogni bra-no ci sono diverse melodieottenute con il medesimogiro di accordi della chitarra– aggiunge – Io sin da picco-la ho sempre sognato diintraprendere un percorsomusicale, ma non avrei maipensato questo. La tv ha resotutto più facile e popolare. Epoi è arrivato il successoradiofonico. All’inizio, quan-

do devi sfondare, ti devi fare guidare e giocarti tut-te le opportunità. Ecco perché con X-Factor mi sonogiocata il tutto per tutto. Mi sono prestata alle loroesigenze, facendomi guidare. In quel momento gliarrangiamenti che andavano per la maggiore eranoquelli forti inglesi di una Amy Winehouse e Duffy.Bisognava seguire questa scia.. e così ho fatto.Adesso, finalmente, ho potuto fare di testa mia».Quando Giusy è entrata nel cast di “X-Factor”, allasettima puntata, interpretando “Remedios” diGabriella Ferri ha conquistato immediatamente lastima della critica e del pubblico. Il secondo postoottenuto nella finale di “X Factor” è stato un trampo-lino di lancio perché appena il giorno dopo la finale,l’originale rilettura di “Remedios” è volata al nume-ro uno nel downloading di iTunes, alternandosiripetutamente con i vincitori Aram Quartet. Unasoddisfazione dopo l’altra fino alla gioia per la primaposizione nella classifica Fimi Nielsen dei brani più

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«Mi piace giocare sui contrasti:un disco di qualità con un titolo ironico. “Gaetana” è perfetto per il mio timbro

vocale, cosi personale, forte eingombrante… proprio come il nome Gaetana. A volte mi

sembra un sogno essere arrivata fino a qui»

PRIMO PIANO

Il successo non le ha fatto dimenticare di essere,in fondo, una ragazza normale. Ci ha messo tenacia,forza e tanto coraggio e alla fine è riuscita a sfonda-re. Lei è la rivelazione Giusy Ferreri, ex commessapart time all’Esselunga di Corbetta e palermitanissi-ma di nascita. «È vero, ora sono una star ma nonlascio il lavoro di cassiera. Sono tempi difficili per ladiscografia. Il part-time non era poi così male.Cassiera per tre giorni a settimana, con tutto il tem-

po per coltivare la mia passione». Beh, adesso laFerreri può sentirsi più che rassicurata. Dopo esserearrivata seconda a X-Factor e aver venduto 260 milacopie del disco con le canzoni del programma, haappena lanciato “Gaetana”, il primo cd d’inediti pro-dotto da Tiziano Ferro. Dopo lo straordinario succes-so del singolo estivo “Non ti scordar mai di me”, cheha raggiunto la prima posizione nella classifica digi-tale e nell’airplay radiofonico, ed essersi aggiudica-

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La cantante palermitana che ha scalato tutte le classifiche presenta “Gaetana”, il suo primo disco

GIUSY FERRERIdi ADRIANA FALSONE

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scaricati da Internet. «Ho iniziato a cantare ascoltan-do voci maschili – racconta Giusy Ferreri – così mi èuscito un vocione grezzo che ho affinato grazie adun insegnante. Assecondando la mia timbrica, mi hafatto studiare gli spartiti dei classici del blues: dove-vo imparare la parte melodica senza aver mai ascol-tato la canzone, per poi cantarla seguendo il mioistinto. Ora mi sento più naturale: ho escogitato dasola una via di fuga che al momento giusto, invecedi urlare, mi fa trattenere la voce». Diverse le firmeimportanti del suo ultimo cd. Tra gli altri anche lapartecipazione di Sergio Cammariere, che ha vestitocon particolari e ricercate sonorità d’impronta jazz iltesto di Ferro per il brano “Il sapore di un altro no”.Il singolo “Novembre” è vigoroso e intraprendenteproprio come lei. «L’autore Roberto Casalino è statobravo a cogliere le mie sensazioni: “Novembre” è unbrano molto autobiografico, anche se ispirato avicende passate, perché ora sto vivendo un periodosereno sentimentalmente e gratificante professio-nalmente – spiega -. Mi ci ritrovo perché affronta laconclusione di una relazione amorosa con menoromanticismo rispetto a “Non ti scordar mai di me”e maggiore risolutezza nel riprendere il controllodella propria esistenza. È il mio atteggiamento nel-l’affrontare situazioni simili nella vita reale». La canzone che apre l’album “Gaetana” è il duettocon Tiziano Ferro “L’amore e basta!”. Un testo quasirecitato alla Fossati-Mannoia. «È una composizionecomplessa, più recitata che cantata, nella qualeentrambi ritroviamo le nostre esperienze di vitaumana e artistica – spiega Giusy Ferreri -. Tiziano sacogliere con grande sensibilità le mie emozioni:conoscendolo meglio, ho capito che abbiamo carat-teri molto simili. Ha voluto cantare con me questobrano, perché gli è molto affezionato: sono orgo-gliosa che l’abbia affidato a me invece di inciderlonel suo disco. Sono fiera che la mia vocalità l’abbiaintrigato e che dopo l’esperienza di “X Factor” con“Non ti scordar mai di me” abbia voluto proseguirela nostra collaborazione come autore e produttoreassieme a Canova del mio disco d’esordio». L’operaprima di Giusy Ferreri, anima pop con sonoritàvariopinte e arrangiamenti internazionali, ha decisa-mente tutte le carte per conquistare anche il merca-to estero: il singolo “Novembre”, infatti, è stato scel-to dal canale satellitare FoxLife come sigla della ver-sione italiana della quinta serie del serial tv“Desperate Housewives” e dei nuovi episodi di“Brothers & Sisters”.

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PRIMO PIANO

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Quale misterioso legame può mai unire una donnadel nostro tempo, affascinante, appagata, sia arti-

sticamente che negli affetti, e di successo come la paler-mitana Olivia Sellerio alla vicenda appassionata e tragicadi una piccola e tormentata artista cilena come VioletaParra, scomparsa per propria mano oltre quarant’annifa? E cosa mai può avere indotto una voce così visceral-mente avvinghiata alla storia millenaria della sua Isolamediterranea a votarsi all’emblema stesso della tradizio-ne popolare di quella lunghissima striscia di terra austra-le ai confini del mondo e perennemente squassata dasismi devastanti? Comunque sia, il fascino che emanadalle canzoni della Parra, struggenti ma spesso anchesolari e di deliziosa levità, poco a poco hanno finito perfar breccia nella sensibilità della Sellerio e, dopo una lun-ga gestazione che nella fase finale la cantante ha condot-to in contemporanea a quella del proprio bambino, allafine il progetto è divenuto realtà. Presentato in antepri-ma a novembre al PoliteamaGaribaldi, per gli Amici dellaMusica, “Violeta” adesso èanche un disco pubblicato inquesti giorni dalla prestigiosaetichetta Egea, la stessa cheaveva prodotto il precedentealbum di Olivia, “Accabbanna”del 2005. «Nel mio percorsoartistico – racconta la Sellerio -mi è capitato spesso di esserconquistata dal fascino peralcuni autori e di innamorarmiperdutamente di molte canzoni. Tuttavia, non ho maitrovato un intero repertorio che fosse così naturale, cosìassolutamente necessario cantare come quello di VioletaParra». Nata nel 1917 e morta nel 1967, la Parra è statauna delle più appassionate, intelligenti, creative e corag-giose creature femminili che il Novecento abbia annove-rato. A lei si deve il merito di avere svolto una preziosaopera di recupero e diffusione della più genuina tradizio-ne popolare della sua terra e di avere innescato il succes-sivo movimento della nueva canción chilena. Cantante,musicista, poetessa ma anche raffinata artigiana di pittu-re, ceramiche ed arazzi, Violeta Parra, col suo talento e lacapacità di innestare liriche molto innovate su strutturemusicali popolari, ha regalato al mondo canzoni divibrante poesia, spesso divenute autentici inni genera-zionali, tra cui la celebre “Gracias a la vida”, il suo testa-mento spirituale, che cantata in moltissime lingue è sta-ta nel tempo riportata al successo da artisti come JoanBaez, Caetano Veloso e Mercedes Sosa. «La mia cultura

non è certo quella campesina di cui era imbevuta Violetaed il mio percorso è ben diverso dal suo – aggiungeOlivia - ma la sua e la mia tradizione, apparentementecosì diverse e distanti, in realtà posseggono la stessa fon-damentale matrice: quella della verità, la verità di un can-to di lavoro, d’amore o di rabbia». L’ascolto del concertoe del disco ha rivelato molte sorprese, a cominciare dal-l’adesione della cantante siciliana alla poetica della Parrarealizzata attraverso la via inconsueta di affrontare lecanzoni in modo nuovo, come fossero state scritte sol-tanto per lei, eludendo ogni ingombrante confronto conle versioni originali. A ciò si aggiunga l’uso molto sorve-gliato della vocalità, capace di rivelare una tessitura riccadi sfumature inattese e profonde vibrazioni emotive.Infine, l’originale e splendido lavoro di rilettura e cesellooperato dal contrabbassista e compositore ligure PieroLeveratto, fine timoniere del progetto, il quale, oltre alavorare per sottrazione evitando enfasi e ridondanze, ha

avuto il merito di incastonareil canto di Olivia in una raffina-ta struttura sonora affidata amusicisti di grande sensibilitàe costituita da clarinetti, flautie ottavino, fisarmonica, vio-loncello, percussioni e con-trabbasso. Ma ancor più cheper questo appassionato tri-buto oppure per il deliziosocameo “Lu silenziu” (su lirichedi Ignazio Buttita) inserito nelrecentissimo album “A 19” del

duo jazz formato da Stefano D’Anna e Mauro Schiavone,rispettivamente sax e piano, il grande pubblico, che oggiè quello televisivo, ha scoperto Olivia Sellerio soprattuttoper le sigle d’apertura e chiusura della popolare soapopera “Agrodolce”. «Ci sono finita dentro per caso – spie-ga Olivia tra una poppata e l’altra del suo splendido par-golo di pochi mesi – Per questo nuovo progetto televisi-vo di Gianni Minoli all’inizio si erano fatti molti nomi, tracui Mina e Claudio Baglioni. Poi, non so come, hannochiamato me. Ho fatto un mucchio di provini ed alla fineè stato scelto proprio quello più grezzo, meno elaboratoma forse più diretto ed efficace. Le musiche sono diAndrea Guerra, il testo di Davide Camarrone. Devo rico-noscere che è stata un’esperienza molto divertente, hoconosciuto un mondo totalmente diverso dal mio e, al dilà della notevole esposizione nazionale di cui ho benefi-ciato, sono stata felice di essere stata la voce di quelloche in ogni caso considero un positivo ed efficace spotpubblicitario per la Sicilia e sulla Sicilia».

MUSICA

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«Mi è capitato spesso di esserconquistata dal fascino per

alcuni autori e di innamorarmiperdutamente di molte canzoni.Tuttavia, non ho mai trovato unintero repertorio che fosse cosìnaturale, così assolutamente

necessario cantare come quellodi Violeta Parra»

OLIVIA SELLERIO

di GIGI RAZETE

”Violeta”, dedicato a Violeta Parra, l’artista cilena morta nel ‘67, è l’ultimo disco dal fascino sud americano della cantante palermitana, edito dalla prestigiosa etichetta Egea

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In un momento cruciale per la Sicilia, e per tutto ilpaese, sembra che la cultura, per quanto si stenti a difen-derla, non voglia morire, anzi. Come se venisse fuori unasorta di “spirito di sopravvivenza” per restare a galla. Ereinventarsi. Nasce a Palermo la Fitzcarraldo Records, eti-chetta discografica indipendente, ideata dalla comunevoglia di dare una “casa” a tutta la musica d’improvvisa-zione. Il progetto è stato pensato e messo in atto daFrancesco Guaiana e Luca Lo Bianco, l’uno chitarrista,l’altro contrabbassista, insieme all’anima artistica diFitzcarraldo, Domenico Argento, musicista e designerdell’etichetta, e Lorenzo Quattrocchi, responsabile boo-king e management, oltre che “padre” del Mikalsa, pun-to dal quale tutto è cominciato. Il nome dell’etichettaprende spunto dal titolo del leggendario film di Herzog, ilcui protagonista, Kinski nel ruolo del barone Fitzcarraldo,ha il sogno di costruire un teatro in Amazzonia. La pelli-cola tocca l’apice in una massima, simbolica tanto per ilregista tedesco, quanto per gli ideatori dell’etichetta: «chisogna può muovere le montagne». L’intento dellaFitzcarraldo è proprio quello di “muovere le montagne”dando forma all’urgenza espressiva di una nuova gene-razione di improvvisatori, fornendo loro un’effettivastruttura per il follow up di progetti musicali, promozio-ne e booking nazionale ed internazionale, e progetto gra-

fico, dando alla musica locale una nuova immagine daportare in giro per il mondo. In uno scenario in cui si pro-duce tanta musica senza badare alla qualità, Fitzcarraldopunta sulla minuziosità nella selezione dei progetti daprodurre. “O.I.D. - Live At Mikalsa vol.I” e “Luca Lo Bianco- Ear Catcher”, sono i primi lavori discografici prodottidalla nuova etichetta, presentati al Nuovo Montevergininel novembre 2008. In uscita altri tre album, “Triptique”di Francesco Guaiana, “Out South” del chitarrista LorenzoColella e una registrazione live del concerto tenutodall’Orchestra In-Stabile Dis/Accordo all’HamburgerJazzTage, in co-produzione con il Jazzbüro Hamburg E.V.La Fitzcarraldo porterà in tournée i propri artisti dal 2009,con concerti che partiranno proprio dalla Germania. Ilprogetto creativo dell’etichetta si concretizza anche neldesign. Il packaging dei cd è realizzato in cartoncino eco-compatibile, senza uso di colle, con un sistema ad inca-stri che riduce al minimo i residui inquinanti, mantenen-do una linea grafica originale e riconoscibile. Fitzcarraldocrede nella musica tutta, dunque cura nel dettaglio tuttigli aspetti delle proprie produzioni, lasciando ai musicistila libertà di essere padroni della loro musica. Un proget-to ambizioso che pone la musica e chi la musica la fa, alcentro del proprio percorso. Sul web digitate www.fitz-carraldorecords.com.

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Fitzcarraldo, musiche nuovedi CLAUDIA SCUDERI

Nasce a Palermo una nuova etichetta discograficaindipendente per la musica di improvvisazione

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MUSICA

Tornavo da una cena tex-mex fortemente voluta perun’occasione importante. Porzioni sovrabbondanti dichili, quesadillas e nachos, opportunamente annaffiateda una buona litrata di vino tinto, mi causarono un son-no agitato come la faglia di Sant’Andrea. E fu lì che miapparve in sogno Fabio Rizzo vestito da Montezuma, checon fare imperioso, additandomi, tuonò: «Tu scriverai unpezzo sul Pan del Diavolo o incorrerai nell’ira diQuetzalcoatl!». E io, con inusuale fastidio, risposi seccato:

«Tanto avevo già pensato di farlo». Ed eccomi qui, adescrivere la rivelazione 2007 della musica palermitana,che ha trovato nel 2008 importanti conferme, dall’inseri-mento nella compilation “Sound Connection” al primoquattro tracce, presentato a marzo, alla vittoria alle sele-zioni di Italia Wave. E ora il primo ep “ufficiale”, altri quat-tro brani tra cui due non presenti nella registrazione pre-cedente, “Il Pan del Diavolo” e “Stile Roberto ilMaledetto”, che affiancano “Coltiverò l’ortica” e “I fiori”.Ma non fatevi influenzare dallo stupido sogno: non pen-sate a un clone dei Calexico, né a una banda di mariachi,né a tentazioni Morriconiane da “C’era una volta il West”.La musica del Pan del Diavolo, duo formato da PietroAlessandro Alosi (chitarra, voce e grancassa - nella foto)e Gianluca Bartolo (chitarra), è uno sporchissimo coun-try&blues, quel blues a cui tutto e sempre dobbiamo e acui tutto ritorna, in questo caso abbastanza strampalatoda non ridursi ai cliché. Polverose melodie da deserto traserpenti a sonagli e cactus, ma a rendere particolare iltutto, oltre alla stralunata musica dal piglio sfrontato,sono i testi. Una passione confessata per la musica trico-lore (in particolare il beat anni Sessanta) ed ecco questeliriche in italiano, colme d’ironia, che partono dal realeper arrivare al surreale, declamate a squarciagola daAlosi. Ma siccome il blues è musica d’anima e carne,anche sentire parlare di piante che spuntano dal ginoc-chio – con il fusto, le foglie e tutto – diventa credibile,come pensare che il pan del Diavolo sia uno strano cibo(?) perfetto per la merenda dei bambini. Il disco è unaproduzione nata dalla collaborazione tra due etichettepalermitane. Una è la nuova 800A Records. Il che giàsarebbe una notizia, non fosse che uno dei titolari, FabioRizzo (voce e chitarra di Second Grace e Waines, l’altro èl’attore Davide Enia) non si affrettasse a rimarcare unconcetto che dovrebbe essere ovvio: «Un’etichetta nasceper promuovere la band, non se stessa, è il mezzo, nonil fine». L’altra label coinvolta è la Malintenti Dischi diRiccardo e Settimo Serradifalco, organizzatasi recente-mente in “factory discografica dipendente”, una struttu-ra gestita attraverso la collaborazione di tutti gli artisti,anche con le loro competenze tecniche “extra-musicali”(produzione, organizzazione, booking, grafica). Una con-tromossa ai problemi della discografia, che soffocano lacrescita di nuove realtà musicali. «Questa formula –afferma Sergio – è un impulso concreto alle propostecreative di nuovi musicisti, un luogo in cui si lavora l’unper l’altro, e per questo abbiamo scelto la parola “dipen-dente”: il lavoro degli artisti del nostro roster è indispen-sabile e se non ci fosse il loro contributo non esisterebbenulla». Sul web: www.myspace.com/pandeldiavolo

Il duo country blues sforna ilsuo primo singolo prodotto daMalintenti dischi e 800A recordsdi DANIELE SABATUCCI

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Continua la scalata dei Combomastas’ il gruppo dirapper palermitani più attivo del territorio siciliano che,capitanati da OthelloMan, da anni segna la strada all’hiphop palermitano promuovendosi anche nel panoramanazionale. Quest’anno la band compie cinque anni e conl’occasione presenta il suo ultimo album “MusicaClassica”. La raccolta contiene testi che si muovono trastorie personali, impegno sociale, provocazioni e criticadella società, senza trascurare aspetti sentimentali emomenti di disimpegno. La hit dell’album è la nota can-zone dal titolo “’U Tagghiamu ‘Stu Palluni…?!”, che haportato pochi mesi fa i giovani artisti al successo. Il bra-no, scaricabile gratuitamente su www.combostudio.it,ha infatti superato in rete i 150.000 download ed è oggidivenuta, grazie al riconoscimento delle istituzioni ed inparticolare della Questura di Palermo, il simbolo dellaconsapevolezza e del riscatto dalle difficoltà legate allamafia. Interamente in diletto palermitano, il branoaffronta, infatti, le tematiche del disagio sociale, mar-cando le difficoltà, che spesso si tende a nascondere, deiragazzi dei quartieri del nostro capoluogo. Le altre 16tracce che compongono l’album sono rap-postatomico eattraversano sonorità folli e classiche al contempo; lestrofe dei tre rapper del gruppo, OthelloMan, EliaPhokse Shorty si sviluppano sui beat prodotti dal dj Secco

Jones e dallo stesso OthelloMan con cui nel 2003 nacquel’idea della crew Combomastas’. L’obiettivo era quello diriunire sotto lo stesso nome alcuni fra i massimi espo-nenti delle discipline hip hop della propria città. Il risulta-to oggi è un gruppo di persone che interagiscono e crea-no idee ed operatività, stravolgendo le aspettative di unpubblico palermitano e siciliano, ormai abituato all’as-senza di eventi legati al mondo dell’hip hop. Ogni mem-bro dei Combomastas’ svolge comunque un proprio per-corso personale e lavora ai propri dischi da solista. Dopoaver pubblicato brani su riviste come Groove, XL diRepubblica, DaBomb, dopo essere stati ospiti a TRL (Mtv– luglio 2007), Scalo 76 e Cargo su Rai due, dopo avercalcato palchi in OpenAct per Biagio Antonacci (dicem-bre 2007), ed essere stati citati su note riviste e libri disettore come GeneRapZione di Michele Monina, siapprestano oggi a presentare l’album “Musica Classica”prodotto dall’etichetta R.C.M.Ent. L’unica organizzazio-ne che da Palermo negli ultimi anni ha catalizzato e man-tenuto alto l’interesse verso l’hip hop e verso la sua ori-ginale attitudine costruttiva, facendo inoltre passare dal-la città i nomi che oggi sono ritenuti fra i più prestigiosinel panorama musicale nazionale ed europeo: da MondoMarcio a Piotta a Bassi Maestro, dalle promozioni deiN.e.r.d. a 50 Cent, alla D12 di Eminem.

MUSICA

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COMBOMASTAS’: 5 anni di hip hopdi DANIELA GENOVA

Il gruppo di rapper palermitani capitanati da OthelloMan presenta l’ultimo cd “Musica Classica”

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Quello dei Locanda Almayer è un rock solido, asciut-to, senza troppi fronzoli. Lo si avverte subito, sin dal pri-mo ascolto di “La joie d’amour”, il loro nuovo album, undisco che tira dritto per la sua strada, essenziale edimmediato, fatto di chitarre taglienti e vocalità robuste,ritmica tesa e bassi profondi. La formazione è più classi-ca che mai: voce, chitarra, basso e batteria, ovverorispettivamente, Roberto Crinò, Alfonso Siino, GiancarloMarino e Adriano Alecci. È una scelta di stile, per unamusica che affonda le sue suggestioni nel rock e nellanew wave britannica con sonorità in certi casi più elettri-che e spigolose, in altri più melodiche e rassicuranti,come è tradizione del rock italiano. Del resto, i gruppi diriferimento della band palerminata sono, non a caso, U2,Police, Radiohead, Coldplay e i nostri Litfiba, tanto percitarne alcuni. Il brano che dà il titolo all’album è un innoalle gioie d’amore vissuto come sentimento puro, chetrascende ogni vincolo razionale, «unico antidoto controi mali del nostro tempo, contro l’avidità ed il puro calco-lo». «Ci siamo formati nel 2002 – spiega Roberto Crinò, lavoce del gruppo, nonché autore di quasti tutti i testi del-l’album – spinti dalla voglia di fare musica inedita.Crediamo di avere qualcosa da dire e, conoscendoci,abbiamo scoperto di avere molto in comune, pur met-tendo ciascuno il proprio gusto musicale». Parlando in

modo più specifico dello stile dei Locanda, il cantante,con umiltà ed onestà intellettuale, prosegue: «Noi faccia-mo rock, ma, diciamolo, il nostro genere non è poi cosìoriginale, forse è anche un po’ datato rispetto alle ten-denze attuali, ma a noi non importa. Noi suoniamo quel-lo che ci piace, con semplicità e immediatezza». Ma nelgruppo, c’è chi non vuole mettere etichette sullo stile:«Riguardo al nostro progetto musicale – dice GiancarloMarino – non riesco a dare etichette. È una musica atipi-ca, che ha una forte personalità, soprattutto nei testi».Come in ogni gruppo che si rispetti, ogni musicista spe-rimenta ciò che gli è più congeniale, tentando di portareil suo stile e fonderlo con quello degli altri. «Cerco di svi-luppare una mia idea musicale – confessa il batteristaAdriano Alecci – più legata alle sonorità acustiche, poiquesto va combinato con le influenze degli altri. Il soundè sviluppato soprattutto da Alfonso e la sua chitarra, chegioca molto sugli effetti. Quello che ci interessa è esserediretti, vogliamo che il messaggio arrivi subito». Rispettoagli inizi, la musica della rock-band è cambiata: «Primaera più ragionata, adesso è più spontanea, – prosegueAlfonso Siino – sarò sincero, io non aspiro alla notorietà,amo la sperimentazione, trovare qualcosa di nuovoanche con percorsi da solista». Sul web cliccatewww.myspace.com/locandaalmayer.

MUSICA

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Locanda ALMAYER, rock con amoredi GIULIO GIALLOMBARDO

Un “inno alle gioie” in versione rock: esce il nuovocd “La joie d’amour” della band palermitana

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MUSICA

Il naturale percorso dell’uomo, dalla cellula al crepu-scolo della vita, è il tema musicale e simbolico del disco“Visioni” del palermitano Francesco Di Fiore (pianoforte edelectronics) prodotto dalla Compagnia del Tratto e dispo-nibile online sul sito www.francescodifiore.com. Le ottotracce da lui composte ed eseguite seguono un iter cre-scente che da “La cellula” (questo il titolo del primo brano)raggiunge il culmine evolutivo e di pienezza sonora in

“Metropoli” per poi discendere nei sotterranei dell’autodi-struzione sino al “Crepuscolo” che sembra si debba inten-dere nella sua accezione di tramonto, tramonto della vita,il tutto all’insegna della fusione del pianoforte con l’elet-tronica, peculiare cifra timbrica del cd. S’intravede peròuna luce che è quella di “odranoeL”, Leonardo da Vinci (iltitolo riproduce il suo modo di scrivere da destra versosinistra), che figura non solo in versione audio ma anchein una bonus track video firmata da Valeria Di Matteo. Iltitolo dell’album può riferirsi letteralmente alla presenzadel video che viene proiettato anche durante l’esecuzionedal vivo, ma si può leggere metaforicamente come lavisione lungimirante dell’artista, del poeta vate che si faguida illuminata della società. E chi meglio di Leonardopoteva essere profetico in tal senso? Il percorso comincialentamente come se l’embrione fosse davvero simbolodella più ancestrale forma vitale in cui fa eco l’intero uni-verso. La cellula si evolve, si fa corpo e ha inizio “Il viag-gio” di cui sono sempre più delineate le “Geometrie”, cri-stalline, aeree, pure, incontaminate. È in “Metropoli” che ilritmo si fa più serrato, a tratti ossessivo, frenetico.Improvvisamente il tempo si dilata e l’ascoltatore vienecatapultato nel Cinquecento del Da Vinci, non certo perchéve ne sia traccia nello stile compositivo. E nel video dellaDi Matteo scorrono le immagini dei suoi più noti disegniche rendono l’incipit quasi documentaristico. La musicacambia e l’intento si fa estetico, emerge il Leonardo inven-tore e futurista. Non si tralascia anche un lato trash-umo-ristico (il cuore umano che batte dentro l’uomo vitruvianoe la famigerata Monnalisa che muove la testa a ritmo dimusica mentre ascolta proprio “Visioni” che tiene tra lemani). E anche il video, tra lunghe pause su sfondo nerocon flash di immagini, si fa visionario. In questo dichiara-to viaggio che racconta la storia dell’evoluzione dell’uomodalla sua origine fino alla sua ultima e inevitabile autodi-struzione, la figura di Leonardo non si colloca alloracasualmente. Preziosi e provvidenziali sarebbero ad oggiuomini illuminati come lui per ristabilire sani equilibri eproporzioni, per una politica avveduta che non pensa soloall’immediato futuro. E invece si corre con fretta e frene-sia in “Rush”, già verso le “Rovine” dove il ritmo rallenta dinuovo perché la vita comincia a spegnersi. Ciclicamente,come natura ancora comanda, si ritorna al punto di par-tenza, a quel crepuscolo che forse lascia ancora il dubbiofiducioso che possa essere l’alba di un nuovo giorno. Nonsono insomma note pessimiste, ma di cronaca, di denun-cia sociale e introspezione. Un chiaro segno di speranza sicoglie al termine della traccia video laddove compare ripe-tuta l’immagine delle ali progettate da Leonardo, emble-ma del più alto e profondo anelito umano.

L’artista palermitano pubblica“Visioni”, il nuovo disco in cui ripercorre la “storia” dell’uomodi ALESSANDRA SCIORTINO

FRANCESCODI FIORE

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quello andato in scena il 19 luglio per la commemora-zione del giudice Paolo Borsellino, “Strada senza usci-ta”. Parlare di laboratori teatrali è comunque riduttivo,dal momento che intorno a ogni idea che si forgia finoa diventare spettacolo c’è un lavoro complesso chepassa dalla manualità arti-gianale di sarti e scenografi.Piuttosto, la Vicaria è un «cir-colo delle arti», che cerca diessere al contempo elitario eaperto a tutti gli strati socia-li. Elitario perché, spiegasempre Civilleri, «in quanto apubblico i grandi numeri nonci interessano. Cerchiamo piuttosto un tipo di platea“competente”, con cui fermarsi a parlare, magari altermine dello spettacolo, per instaurare uno scambiodi idee su contenuti e metodi scenici». D’altro canto, laVicaria non disdegna il contatto con la platea naturale

offerta dalla città e soprattutto dal quartiere in cui sor-ge la struttura. Non a caso, sono stati avviati due spet-tacoli rivolti ai bambini, “Hansel e Gretel” e“Cappuccetto rosso”, presentati in anteprima proprioai ragazzini delle famiglie del vicinato. «La risposta da

parte della gente del quartie-re è stato positiva - spiegal’attore -. E quando abbiamoinaugurato ufficialmente lastruttura in molti sono venu-ti a trovarci». Adesso, dopo illancio del progetto, allaVicaria è in programma unricco cartellone d’appunta-

menti. Solo a dicembre - e solo per citarne alcuni - sisusseguiranno “Palermo is cool”, performance grotte-sca sulla società palermitana e i suoi attori sociali,“Ciatu di lu me cori”, omaggio a Rosa Balistreri, e unaperformance di Clio Gaudenzi, “Con tre appunti”.

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«Avevamo bisogno di un luogoin cui dare una continuità alnostro lavoro di ricerca, in

cui sperimentare liberamente, in cui creare spettacoli e nuove metodologie»

A sentire gli annunci roboanti delle amministrazio-ni comunali che si sono succedute negli ultimi lustri,Palermo sarebbe dovuta diventare in questi anni unafucina internazionale del cinema, ma anche uno snododelle correnti musicali più all’avanguardia. O ancorapiù oniricamente, un grande laboratorio della culturain generale. Oggi, a mesta memoria di questi strabi-lianti programmi, ci sono i luoghi della città in cui le artiavrebbero dovuto svilupparsi, come i capannoni deiCantieri culturali alla Zisa, dove ancora, al posto degliartisti, trovi gli operai intenti a chissà quali alchimiedell’edilizia. Per tutti questi motivi, sa di paradosso ilfatto che, proprio alle spalle dei Cantieri, sia nato ungrande laboratorio teatrale che in breve tempo è riu-scito a richiamare in città giovani artisti provenienti damezza Europa. Merito di Emma Dante e dalla sua com-pagnia, Sud Costa Occidentale, che in barba a burocra-zia e ignavia politica, hanno avuto la forza e l’ostina-zione di trasformare a proprie spese un ex calzaturifi-cio di via Polito in un grande palcoscenico “aperto”: laVicaria. Una vera e propria casa del teatro, un centro disperimentazione in cui, si legge nel sito della regista,«un artista è liberato dal peso di quella “sorveglianzaspeciale” a cui accenna Carmelo Bene quando in tuttacoscienza sente di non meritare comprensione alcuna,di essere trascurato dallo Stato e dalle strutture adesso subordinate». Alla Vicaria trovi di tutto: dagli ope-

rai che di buona lenastanno rimettendo alposto la vecchia strut-tura, agli attori che pro-vano le scene; dai labo-ratori per le scenografiealla sartoria; dai fornellidella cucina accesi perpreparare pranzi e ceneai bivacchi dei giovaniarrivati da fuori laSicilia. C’è un’immensapedana in legno, realiz-

zata dagli stessi attori dellacompagnia. Ci sono pan-che riciclate, altoparlanti el’impianto audio, gentil-mente forniti dal registaGiuseppe Cutino. C’è persi-no una piccola palestra,oltre a bagni, spogliatoi emagazzini. Insomma, unpiccolo-grande mondodove far mettere radiciall’avanguardia teatrale.«Avevamo bisogno di unluogo in cui dare una con-tinuità al nostro lavoro diricerca – spiega l’attoreSabino Civilleri – in cui spe-rimentare liberamente, incui creare spettacoli e nuo-ve metodologie. Il tutto,ovviamente, legato stretta-mente all’opera di Emma». Eppure, questo spazio nonè nato per la Dante, né per la sua compagnia.«Principalmente – continua Civilleri – la Vicaria è stataaperta per i giovani. Noi, in fin dei conti, dopo 10 annidi lavoro, ci siamo conquistati una tale credibilità chepotevamo chiedere spazi altrove, a Milano come aTorino». E proprio grazie a questa credibilità, di giova-ni, alla Vicaria, ne sono arrivati tanti. «Da marzo, ossiada quando abbiamo aperto - continua - abbiamo avu-to una media di 30 ragazzi al mese. Vengono dall’Italia,principalmente, ma anche dalla Spagna e dalla Francia.Non avendo ancora una foresteria, chi arriva da fuoridorme a casa dei membri della compagnia, oppure allaVicaria». Risolti così i problemi di domicilio, ragazzi eragazze si gettano a capofitto nei laboratori. «Si lavorasu un progetto indicato a grandi linee da Emma - spie-ga Civilleri -. Spetta poi ai ragazzi, aiutati dalla compa-gnia, il compito di sviluppare questa idea». Dal proget-to, infine, si passa allo spettacolo vero e proprio, come

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Alle spalle dei Cantieri culturali alla Zisa è natoun grande laboratorio teatrale capace di richiamare giovani artisti da tutta Europa

LA VICARIA

di DARIO PRESTIGIACOMO

TEATRO

ph. Federico Maria Giammusso

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A soli sette anni ha scelto di seguire la vocazionedel palcoscenico. E adesso che di anni ne ha trenta,Marco Manera, continua il suo percorso teatrale fraPalermo e Cefalù con laboratori nelle scuole e spetta-coli sotto il nome dell’associazione “La nave dei folli”.Il punto di partenza è sempre il teatro popolare «nonsoltanto siciliano – dice l’attore – ma tutto quello cheva dall’affabulazione medievale alla costruzione deltesto scenico. Il teatro popolare rimane sempre anchese gli anni passano. Non è un teatro di serie B, ma la

radice del teatro stesso. Fin da giovanissimo mi diver-tiva interpretare i ruoli più diversi e soprattutto gio-care in equilibrio fra il serio e il faceto. E oggi mi pia-ce lavorare molto con i ragazzi sulle tecniche del tea-tro popolare e del racconto». La sua formazione tea-trale è legata a un grande maestro, Accursio Di Leo,che Manera ha seguito per tanti anni in tutte le pro-duzioni. Fino al 2000 poi si è mosso come attore free-lance prendendo parte agli spettacoli delle compa-gnie di giro: dal teatro comico a quello drammatico,escludendo però il cabaret. E accumulando oltre unmigliaio di repliche in tutta la Sicilia. Dal 2001, invece,ha deciso di iniziare a camminare da solo con l’im-mancabile spalla di musicisti che cambiano di volta involta per gli spettacoli. «La musica – dice Manera – èuna componente essenziale dei miei lavori. Ancheperché mi piace molto cantare sulla scena. Per ognispettacolo scelgo musiche diverse e costruisco unpercorso ad hoc fra note e parole. Il mio esempiorimane la produzione brillante italiana. Prediligo sem-pre l’affabulazione, il racconto senza particolariorpelli. Lasciando il vero e proprio teatro ai “pezzi”teatrali che inserisco nel racconto». E oggi ha cinquespettacoli in repertorio come “Varietà per attoresolo”, “Magaria” e “1856 storia di pupi e pupari”. Neiprossimi mesi sarà da solo in scena con “Il quinto del-l’inferno e l’ultimo del paradiso” che affronta il temadell’amore declinato con pezzi teatrali e poetici.L’attore si muoverà fra gli estremi dell’amore carnalee dell’amore supremo, quello di Dio. Anche qui, comenegli altri lavori di Manera, convivono la simpatia e lariflessione, la serietà e la cialtroneria. Il palcoscenicoper lui è il luogo dove tutto si mescola, e dove soprat-tutto si incontra un pubblico che cambia ogni sera. «Ilmio punto di riferimento – conclude l’attore – è sem-pre il pubblico. Cerco di entrare in contatto con glispettatori tramite un linguaggio semplice e immedia-to. Cerco un’interazione, un territorio comune di inte-sa». Riprenderà presto anche lo spettacolo“Novecento” e intanto sta buttando giù la secondaparte del tema degli oppressori e degli oppressi,avviata con lo spettacolo “1856 storia di pupi e pupa-ri”. Questa volta, però, la rivoluzione di cui si parlanon è quella delle armi, ma quella culturale che deter-mina il cambiamento di un popolo. In programma peril prossimo anno, anche alcune conferenze sul teatropopolare, la semiotica dello spazio scenico e la gestio-ne teatrale. Per maggiori informazioni è possibileconsultare sul web il sito internet dell’artista cliccan-do su www.myspace.com/marcomanera78.

L’attore palermitano racconta isuoi progetti e i tredici anni diteatro tra il serio e il faceto

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di CLAUDIA BRUNETTO

Marco MANERA

TEATRO

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A volte sono stati chiusi in seguito a un incendio,altre per un cedimento della struttura. Altre ancorasemplicemente per disattenzione. Sono i teatri chiusi sucui è calato il sipario dell’indifferenza. 428 in Italia e ben59 solo in Sicilia. Adesso, i riflettori sulle sale “dimenti-cate”, sono stati accesi da progetto “Teatri negati”, ilprimo censimento completo dei teatri chiusi in Italia,promosso e realizzato dall’Associazione Teatriaperticon il contributo di Arcus s.p.a. Il progetto è nato su ini-ziativa di due palermitani, Sandro Tranchina eFrancesco Giambrone, che lanciarono la proposta nelperiodo della riapertura del Massimo. Nel 1907 i teatriitaliani erano oltre 3.000. Alla fine degli anni Novantadiventarono 840, mentre adesso sono soltanto 740. Inquesta speciale classifica, la maglia nera di quelli chiusispetta alla Sicilia e alla Lombardia. L’indagine, avviatanel settembre 2006 e chiusa al marzo del 2007, ha con-sentito di rilevare i dati sulle condizioni di degrado eabbandono dei teatri presenti sul territorio nazionale,sulla loro storia, evocata da immagini fotograficheattuali e di archivio. Il tutto illustrato in un libro, un por-tale web e un documentario, presentati al pubblicopresso il Teatro Nuovo Montevergini di Palermo. «Ilnostro obiettivo è creare una sorta di comitato di saggi– spiega Tranchina – che studino un modello di gestio-

ne economica del teatro funzionale a garantire la suariapertura. Per prima cosa, infatti, bisogna accelerare laloro ristrutturazione e conseguente riapertura maimmediatamente dopo bisogna fare in modo che il nuo-vo assetto sia funzionale per la città, diventando unospazio polivalente aperto a un pubblico interessato». Inquesti primi anni di vita l’associazione ha curato la pro-mozione e fornito assistenza per la riapertura di moltiteatri “dimenticati”, come il “Garibaldi” di Modica, il“Regina Margherita” di Racalmuto, il “Re Grillo” aLicata, il “Teatro del Baglio” a Villafrati e il Cineteatro“Ideal” di Lercara Friddi. Il problema è che per ogni tea-tro aperto, ce n’è almeno uno chiuso. Questo è il caso,solo per citare Palermo, del teatro “Santa Cecilia”, nelVicolo dei Corrieri. Poi in provincia, tra gli altri, c’è il tea-tro “Vittoria”, a Castronovo di Sicilia, il “Teatro SalvatoreCicero” a Cefalù, il teatro “Paolo Vinci” a Camporeale, ilcineteatro delle “Palme” a Villabate. «Il nostro sito inte-rattivo consente di segnalare tutte le strutture chemeritano attenzione – aggiunge Tranchina –. Proprionel momento in cui il Governo taglia il finanziamentoallo spettacolo, bisogna agire per arginare i danni. Tuttiquesti teatri, infatti, si potrebbero ancora salvare, per-ché non sono stati destinati, almeno per adesso, adaltro». Sul web: www.teatriaperti.it

TEATRO

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Teatri NEGATI, storia da salvaredi ADRIANA FALSONE

Un libro, un sito e un documentario sui teatri chiusi:perchè per ogni teatro aperto ce n’è uno chiuso

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Parlare di fotografia a Palermo non può prescin-dere dal fare un nome, dal confrontarsi con l’ope-

ra di un artista che, da quasi vent’anni, ha incessante-mente indagato con il ‘grande occhio’ della sua macchi-na fotografica l’anima di una città e della sua gente:Sandro Scalia (Ragusa, 1959). Lo abbiamo incontratonegli spazi espositivi di Palazzo Ziino, dove è stata alle-stita, dal 10 ottobre all’11 novembre, una sua persona-le, curata da Davide Lacagnina, che raccoglieva alcunicicli di immagini – la serie dei Bagnanti (2005-6), le fotodei vacanzieri a Piano Battaglia (2005-6), i Notturnipalermitani (2007), per concludere con quella malinconi-ca e al tempo stesso crudelmente poetica delle Giostredel Foro Italico (2000) – tutte dedicate alla nostra città eai suoi abitanti, ai loro ‘rituali’ collettivi: la giornata almare a Mondello, il week end sulla neve delle Madonie,sino all’arrustuta di stigghiole, con il tipico fumo-profu-mo acre e appetitoso che si diffonde inconfondibile perle strade della città, protagonista di un video girato nel2007 e intitolato “Fumo diPalermo”. Nonostante l’ormaidecennale esperienza di inse-gnamento all’Accademia diBelle Arti - dove ha creato unavera e propria scuola di gio-vani fotografi, alcuni dei qualihanno ormai ricevuto un rico-noscimento individuale oltre iconfini della Sicilia -, la parte-cipazione a prestigiose rasse-gne internazionali come la Biennale di FotografiaItaliana, per cui ha esposto a New York nel 2001, e la XBiennale di Architettura di Venezia, Scalia mantieneancora quella timidezza, quella riservata ritrosia che locaratterizza da sempre e che lo portò, sin da piccolo, ascegliere di esprimersi attraverso le immagini, con la pri-ma macchina fotografica regalatagli dal padre al liceo,«perché sentivo molto da dire, ma non sono mai statobravo con le parole, forse anche perché ho vissuto lamia prima giovinezza sulle Madonie e i montanari sononotoriamente gente silenziosa, più brava a fare che aparlare», ci dice. Dopo il diploma in Fotografia presso ilRiccardo Bauer ex Umanitaria di Milano e all’Accademiadi Palermo, ha scelto di tornare a vivere in Sicilia, proprioa Palermo, nel 1990, e ha condotto la graduale e costan-te maturazione di una tecnica che, partita da uno stre-nuo e costante guardarsi attorno e registrare la realtà, siè evoluta verso un linguaggio sempre più personale eoramai inconfondibile. Nelle sue immagini ha via via rin-saldato quel vincolo tra verità e poesia del reale, tra

banalità e mistero, spaziando dai paesaggi, urbani enaturali, ma per lo più antropomorfizzati, al gusto per lascoperta del dettaglio, dall’ampiezza di respiro di unwater-front al particolare del fianco di una nave solcatoda lacrime di ruggine. Al centro di tutto soprattuttoPalermo, il luogo dove tornare dopo viaggi e esplorazio-ni in altre città; Palermo con il suo fascino delabré, conle sue contraddizioni, i monumenti, l’opulenza barocca ela raffinatezza d’antan dei suoi palazzi storici, ma anchei volti della sua gente, di personaggi noti della cultura(nella serie Tratti, 1999) e del ‘popolo minuto’. Scalia sisofferma anche sulle piazze anonime, sui quartieri diperiferia, sulle strade isolate, di cui mette in evidenza legeometrie, i tagli, la solida ma al contempo fantasmati-ca presenza degli edifici, la forza segnica dei cartelli stra-dali, tutti elementi che sfuggono alla superficiale fugaci-tà degli sguardi di passanti e abitanti ma che l’artistaoffre allo spettatore in una veste inedita da scenarimetafisici, in una costante riscoperta, senza abbellimen-

ti estetizzanti ma affidandosialla sola forza della luce e delsuo occhio. Gli abbiamo chie-sto se, dopo avere osservatoPalermo con continuità perdiversi anni, adesso la trovicambiata, e quale impressio-ne susciti in lui. Con pacatez-za, ma senza riuscire a celareun velo di amarezza, ci dice:«Nonostante i tentativi di rivi-

talizzare alcune zone come il centro storico, forse oggi lacittà è un po’ più sterile, risente di una crisi di ideali piùgenerale. Mi sembra sempre più abbandonata dai circui-ti internazionali, se non per eventi e aspetti effimeri, unpo’ più piatta. Riesco a sentirla viva più quando tutto sispegne, il chiasso si abbassa, rimane il silenzio, le piazzevuote, mentre la gente si rifugia nelle sue quattro murae preferisce guardare più la tv che se stessa o i suoi luo-ghi». La metafora di questa Palermo è racchiusa in quel-le giostre del Foro Italico di cui ha fissato nelle sue foto icarrozzoni sbarrati e i giochi ormai in disuso: «Anche lacittà è come se stesse smobilitando, tutto è pronto,impacchettato per un viaggio che forse non si compirà,è preparata a traslocare, attende ma senza costruirequalcosa d’altro, di diverso, di nuovo. Anche la gentepassa le sue giornate in una continua attesa, senza quel-la forza d’urto e quell’energia per dare una bella spalla-ta e avviare un cambiamento reale». Prossimi progetti?«Tanti, tutti in corso. I miei non sono mai punti di arrivo,ma di continua partenza».

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Al centro di tutto Palermo, illuogo dove tornare dopo

viaggi in altre città; Palermocon il suo fascino delabré, le suecontraddizioni, la raffinatezzad’antan dei suoi palazzi e i volti

della sua gente

SANDRO SCALIA

di MARINA GIORDANO

L’occhio di Palermo. Un ritratto del fotografo siciliano che daanni indaga la città con sguardo attento, per fermarne nelleimmagini mutamenti e amarezze

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La metamorfosi e la lucida riflessione, la ponderataanalisi e l’irresistibile istinto creativo si mescolano e siscontrano costantemente nella produzione artistica diAnne-Clémence De Grolée (Parigi, 1963), francese dinascita ma palermitana d’adozione: «Qui in Sicilia è raroche ci sia una contemplazione pura- afferma- c’è qual-cosa che interferisce sempre con la necessità di riflette-re e disperdere lo sguardo». Nel suo studio nel centrostorico di Palermo, dove l’artista vive da circa dieci anni,mi svela la doppia identità della sua arte. Lo sguardolucido sulla condizione siciliana caratterizzata dal degra-do e dall’abusivismo edilizio si coniuga a una visionequasi mitica dell’isola legata ad un’idea che nasce dallaconoscenza della letteratura e dalla suggestione dellamediterraneità. La Sicilia per Anne è anche il luogo del-l’eterna metamorfosi, delle sirene incantatrici e malinco-niche che stregano il viaggiatore. L’installazioneTraversée del 2007-2008, presentata per la prima voltalo scorso maggio nella collettiva “Le visitatrici. Otto arti-ste in Abbazia”, curata da Santo Campanella e MarinaGiordano, nasce dalla necessità istintuale di modellare lamateria, dal bisogno immediato di realizzare creaturemetamorfiche che si trasformano in uomini-lumaca,uomini-pesce e sirene. Le piccole sculture in terracottasono frutto di un’energia inconscia, di un abisso marino

popolato da figure che si rifanno alla mitologia, ai sogniche sgorgano dalle mani dell’artista in modo quasi invo-lontario. Babele, del 2000-2006, esposta di recente nel-la personale “Quoi de nouveau sous le soleil?” a cura diAnna Guillot presso il CaAcB – Centro azienda Arte con-temporanea Bannata, è un’istallazione fotografica chenasce dall’idea di una città in equilibrio incerto in cui tut-tavia il cemento dell’abusivismo edilizio non riesce asopraffare le radici del Ficus Magnolia. La natura ha unruolo importante nei suoi lavori, come spiega Anne, incui spesso è evidente il braccio di ferro con l’uomo.Babele fa parte di quella componente ragionata e criti-ca della sua arte che è presente anche in Mobile city del2005, un plastico con elementi Lego costituito da sche-letri di case con cisterne e antenne paraboliche.Elemento in comune tra Babele, Mobile city e Traverséeè sempre la frammentazione, il multiplo che si ripete eche dà vita a installazioni che si adattano al luogo in cuivengono esposte. Infine l’opera che forse meglio rap-presenta la poetica di Anne è il libro d’artista Lungomare, un’unica striscia di cartone, un unico orizzontemediterraneo oppresso da scheletri di case trasparenti.Il libro verrà esposto in Normandia per il progetto discambio tra l’Accademia di Belle Arti di Catania e diRouen, curato da Anna Guillot e Dominique De Beir.

ARTE

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Anne-Clémence De GROLÉEdi GIULIA SCALIA

L’artista francese, palermitana d’adozione, racconta conle sue opere la Sicilia: tra mito e abusivismo edilizio

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anno, ricevono il premio giornalistico Marrazzo perl’informazione antimafia. Poi inviato all’estero,durante il rapimento Mastrogiacomo. Nassiriya enoie, diritto di cronaca sempre. Conoscere questafirma letta più volte sotto ogni scomodo articolo èun’impresa. L’uomo, il giornalista, lo scrittore; dico.Bolzoni mi guarda, scherza: «Sono stanco di primomattino. Spara le domande e risponderò meglio diun pentito». Poi aggiunge, «No, no eliminiamo subi-to scrittore. Scrittore lo si è da Sciascia in su». Lalinea che demarca l’uomo dal giornalista è difficile atrovarsi; ci riprovo. «Non sono palermitano – affer-ma – ma di Caltanissetta, dove sono cresciuto.Vengo a Palermo per caso e mi occupo di tutt’altro,prima di trovarmi in questanostra giostra cittadina.Posso dirti anche la data delmio inizio, il 21 luglio 1979.Chi ci poteva essere all’op-posto di me, giovane assun-to del L’Ora di Palermo,quella mattina del 21 luglio?Ovviamente il cronista piùanziano: Gianni Lo Monaco».Faccio un calcolo mentale: Bolzoni, classe ’55, fisicosportivo e gestualità da direttore d’orchestra, portabene i suoi anni; nel 2009 spegnerà le trenta cande-line di una simbolica torta a forma di giornale.«Ebbene quella mattina del ’79 – prosegue Attilio –,nei pressi di via Di Blasi, avevano ucciso BorisGiuliano, un commissario di polizia serio. L’unico diquei tempi ad essere stato invitato alla scuoladell’F.B.I. americana. Gianni ed io fummo i primi adarrivare sul posto e da quel giorno non ho più smes-so di correre. E poi in quegli anni Palermo era spe-ciale e cupa. C’era la guerra dei corleonesi, il grandeattacco allo Stato, la bestialità della mafia e il bilan-

cio dei morti ammazzati a tre cifre, sui titoli di fineanno. Mi sono ritrovato in quest’incubo ed è statoun caso». Carta, penna, macchina da scrivere e lacasualità di una giostra, penso fra me. Anche ades-so Bolzoni pur avendo lasciato Palermo ha le radici egli interessi professionali qui e da buon sudista, par-tendo da Roma, si spinge in Calabria, terra di‘Ndrangheta; in Campania, dove c’è camorra, e intutte le cronache del malaffare nel resto delMezzogiorno d’Italia. «Lavoravo a L’Ora – riprende –un piccolo giornale combattivo di quegli anni, poiRepubblica. Per vent’anni ne sono stato il corrispon-dente da Palermo. La prima redazione del nuovogiornale è stata proprio a casa mia e non è un modo

di dire. Un via vai di colle-ghi. Tanto lavoro e incubi,giorno e notte. Quando sta-vo dietro a Gianni LoMonaco ero un ragazzino.Lui aveva armadi pieni diarchivi, ai quali m’abbeve-ravo, perché Gianni sapevaveramente tutto. Io per dueanni gli sono stato dietro

come un cagnolino e ho imparato. La prima grandecosa, la prudenza. Gianni sosteneva che se sai unacosa che vale cento devi scriverne ottanta, ma deviesserne sicuro. Mai sbilanciarsi né avventurarsi incose che non si conoscono. Una lezione desueta frale giovani leve». È una rotativa Attilio; parla di tutto,in questa piccola giostra d’oggi. «Quella Cosa Nostrad’un tempo – conclude – non c’è più. È in difficoltàdopo le stragi dell’‘89. In America prende mazzate ein Italia la guerra dello Stato, per la prima volta nonpiù a corrente alternata, è ad un punto decisivo. LoStato non ha ancora vinto, il movimento è lento, maè in grado di vincerla questa guerra».

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«Quando stavo dietro a GianniLo Monaco ero un ragazzino.

Lui aveva armadi pieni di archivi, ai quali m’abbeveravo,

perché Gianni sapeva veramentetutto. Io per due anni gli sono

stato dietro come un cagnolino»

PAROLE D'ONORE / 410 pagg. / € 12 / BUR Biblioteca Univ. Rizzoli

È un piccolo dizionario sulla mafia del silenzio: quella non scritta e prima dellestragi ’89. Idiomi che concentrano pensieri e ragionamenti in una sola battuta. «Ilcorleonese Liggio – dice Bolzoni – spesso ripeteva: “Amo Socrate perché come menon ha scritto nulla”. Oggi che invece tutto è pizzini, libri mastro e lettere, quelpotere s’è perso». “Parole d’onore” cristallizza un tempo, «per lasciare – aggiungeBolzoni – intatta la purezza di un pensiero mafioso divenuto altro; non so cosa. Siamericanizzerà, forse, ma quella Cosa Nostra, esistente da tre secoli, è stata sot-terrata dalle stragi; perché il Capo dei capi, Totò Riina, l’ha portata in un vicolo cie-co. Il resto dopo lui: solo gregari».

In questa nostra giostra di Palermo gli ingranag-gi di un incontro nascono da uno scatto telefonico.Attilio Bolzoni mi saluta con un cinque e mi indicauna stanza della redazione palermitana diRepubblica. Ha il pc acceso e in standby su un pez-zo da inoltrare prima d’imbarcarsi su un volo.Bolzoni è di passaggio, con un biglietto aperto suldiritto di cronaca. Lui ha da poco pubblicato perRizzoli “Parole d’onore – pagg. 410, euro 12”. Daqualche anno vive a Roma. Questo è il suo primo

libro non in tandem; i restanti sono stati scritti aquattro mani con Giuseppe D’Avanzo – fra cui il piùnoto è “Il Capo dei Capi”, per l’omonima tele-fictiona cui Bolzoni ha collaborato alla sceneggiatura, cosìbissando l’esperienza del “Paolo Borsellino” televisi-vo) – e uno, “C’ era una volta la lotta alla mafia”, conSaverio Lodato col quale ha condiviso – per difende-re il diritto di cronaca – otto giorni di carcere peruno scoop su presunti intrecci mafia e politica.Scagionati entrambi dalle accuse, in quello stesso

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“Parole d’onore” è il nuovo libro del giornalista nisseno: un dizionario sulla mafia del silenzio

ATTILIO BOLZONIdi TOMMASO GAMBINO

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LIBRI

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È ben interessante, complesso ma anche ostico e avolte stilisticamente eccessivo Il tempo materiale (mini-mum fax, 2008, pagg. 311, euro 13), romanzo d’esordiodi Giorgio Vasta, trentottenne palermitano sconosciutoa molti ma non agli addetti ai lavori, soprattutto nellevesti di consulente e di curatore editoriale. Il romanzoracconta le gesta di tre undicenni, figli della buona bor-ghesia di una Palermo senza luce, secca e distante e delcorso di un anno infame e deforme come il ’78, rimastoindelebilmente nella memoria nazionale per il rapimen-to e l’assassinio di Moro da parte delle brigate rosse.Giusto i brigatisti sono il punto di riferimento dei treragazzi che possiedono un vocabolario da intellettuali ela cecità di cupi ideologi: crudeli replicanti, nel piccolomondo palermitano, delle tragedie nazionali di cuifamelicamente si nutrono. Nimbo, Volo e Raggio – que-

sti sono i nomi di battaglia che si sono dati i tre ragazzi– odiano buona parte dei capisaldi che reggono e rego-lano la società italiana del tempo: la famiglia, la DC, ilcattolicesimo abitudinario e finanche la nuova ironiaitaliana che brilla su tutti i musi, in tutte le frasi, cheogni giorno lotta contro l’ideologia, le divora la testa, ein pochi anni dell’ideologia non resterà più niente, l’iro-nia sarà la nostra unica risorsa e la nostra sconfitta...Immersi nella loro diversità di non ragazzini, l’unicacosa che li attrae e li fonda come gruppo è il linguaggionuovo e farneticante dei comunicati delle brigate rosse,un proliferare di parole divoranti che li seduce fino afarli cadere nell’eversione violenta. Questa raccontata ècertamente l’impalcatura del romanzo di Vasta, ma isuoi livelli sono tali e tanti (fin troppi) da indurre il letto-re volenteroso a cercare per gioco e per forza, a costoche gli giri la testa, il vero asse centrale dell’opera. Disicuro l’autore ha scritto un libro storico e insieme poli-tico, ma è altrettanto vero che esso ha un aspettomorale e una cifra autobiografica che schizzano fuorida ogni riga. Quale è, dunque, il vero corpo de Il tempomateriale? A nostro parere Vasta ha concepito unromanzo sul linguaggio e sull’adolescenza e sulla capa-cità che esso può avere, in potenza, di mettere ordinenel caos. Nimbo – che identifichiamo nell’autore stesso– è un fabbricatore di parole e immagini che si affacciaall’età più caotica esistente a questo mondo, l’adole-scenza, e per lui e i suoi due amici dare un nuovo nomee un nuovo senso alla realtà sensibile, rappresenta lavia di fuga dal disincantato cinismo dei padri. Arrivati aquesta risoluzione l’incipit del romanzo ci pare ancorapiù chiaro e illuminante: C’è il cielo. C’è l’acqua, ci sonole radici. C’è la religione, c’è la materia, c’è la casa... C’èla città, c’è la temperatura della città che cambia ilrespiro... Ci sono gli anni, le molecole, c’è il sangue... E c’è la fame. I nomi. Ci sono i nomi. Ci sono io. È dun-que la storia di un’ossessione Il tempo materiale, maanche di una sconfitta, perché la parola può anchediventare una gabbia: il linguaggio è infinito, può avvi-tarsi su se stesso ed impazzire e cumularsi al caos chevuole regolare. Un romanzo doloroso e senza un verointreccio narrativo ma denso di virtuosismi che, quandostanno per stancarti, trovano nuova linfa nello spesso-re morale delle parole.

LIBRI

Adolescenti di un ’78 palermitanodi SAVERIO PULEO

Il romanzo d’esordio di Giorgio Vasta è in libreria:un libro sul linguaggio e sull’adolescenza

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Con questo saggio, abilmente ed intelligentementevestito da romanzo, Giovanna Fiume racconta una storiadi passione femminile. Donne che amano con passione eche con altrettanto fuoco odiano e covano rancore e desi-dero di vendetta, tanto forte da fare ricorso ad una stra-na forma di divorzio non consensuale, l’avvelenamentodel coniuge. Giovanna Bonanno, protagonista della vicen-da visse nel XVIII secolo durante il regno del viceréCaracciolo. Probabilmente conduceva una vita di stenti,traendo i suoi miseri guadagni più da elemosine che nondalla stregoneria. La immaginiamo bene mentre un gior-no, presa come sempre dalla battaglia quotidiana per lasopravvivenza, scopre un modo per sbarcare il lunariocon minore disagio: il rimedio contro i pidocchi di un one-sto farmacista aromataro, può esser venduto comepozione magica capace di risolvere situazioni coniugali

difficili. Come escludere che Giovanna Bonanno fosserealmente persuasa di offrire un servizio socialmente uti-le? Ridare la serenità a quanti volessero disfarsi del pro-prio coniuge! E come non intuire il desiderio di migliorarela propria esistenza, da sempre caratterizzata dallapovertà e dall’accattonaggio. In fondo, non era difficileprocurarsi il liquido per i pidocchi, né complicato addizio-narlo con vino bianco e arsenico. Dopo i primi tentativinon del tutto ben riusciti, Giovanna mette a punto lapozione, il dosaggio, la giusta diluizione e, confortata dal-la incapacità dei medici di spiegarsi le ragioni dei primidecessi, intraprende la sua carriera di avvelenatrice. Unacarriera purtroppo (o sarebbe forse meglio dire per fortu-na) che vede un rapido apice ed un altrettanto rapidodeclino. Alla Zisa di Palermo, cominciano a verificarsimorti molto misteriose e contemporaneamente la famadi Giovanna assume carattere di inquietante mistero. Nonpoteva durare a lungo ed infatti Giovanna commette ine-vitabilmente degli errori, finché un giorno uno di questinon la porta all’arresto, al processo ed alla condanna amorte per impiccagione. Il 30 luglio 1789 l’avvelenatricependeva dalla forca ed il 5 settembre seguente già sipoteva assistere ad una rappresentazione sulla Vecchiadell’aceto. La storia oggi viene narrata dall’autrice dellibro in questione con la dovizia e la completezza di infor-mazioni che compete a chi lavora con la Storia. GiovannaFiume infatti insegna Storia Moderna alla Università diPalermo ed ha un curriculum di tutto rispetto che le valea pieno il titolo di Storica. Il saggio-romanzo, oltre allavicenda personale di Giovanna Bonanno, delle sue vittimee dei suoi complici più o meno consapevoli, è una finestraspalancata sulla Palermo dell’epoca della rivoluzionefrancese, una città nella quale convivono a forza e congrande stridore, passione isolana, ignoranza sciocca esuperstiziosa ed idee illuministe tanto in germe quantoforti nell’influenzare il tribunale che condannerà laBonanno. Mariti e Pidocchi, edito da XL edizioni, il libreriaal costo di 15 euro, è un libro godibile e ben scritto, in unaforma che ha il rigore scientifico del saggio e il ritmo gra-devole del romanzo e che dunque non mancherà di sod-disfare le esigenze e le aspettative degli appassionati deidue generi. Segnaliamo infine ai più curiosi che nel MuseoEtnografico Siciliano Giuseppe Pitrè è custodito il busto diGiovanna Bonanno, la vecchia dell’aceto.

LIBRI

Storia di passione al femminiledi ANTONIO CASTIGLIA

Giovanna Fiume, storica ed insegnante, esce inlibreria con il suo ultimo libro: “Mariti e pidocchi”

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Chi fa l’attore lo sa bene. Esiste un vademecum acui è difficile sottrarsi. Alcuni la chiamano gavetta.

Trasferimento a Roma. Residenze temporanee. Almeno4 traslochi l’anno. Lavori precari: cameriere, segretaria,banconista, lezioni private, centralinista, portiere di not-te, hostess. Agenzie di casting e provini a iosa.Francesca Beggio - alias Lucia Serio in Agrodolce lo sabene. A venti anni lascia la Brianza - lei è nata a Monza -e si trasferisce a Roma. Obiettivo: fare l’attrice. Tra unturno al bistrot dove lavora come capocameriera e unlaboratorio in teatro comincia a muovere i primi passi alcinema - nel 2002 gira qualche scena a fianco di EnnioFantastichini - in televisione poi è protagonista di punta-ta in Ris, La Squadra, Nati Ieri, etc. Due anni fa cambiatutto. Jorgelina De Petris , casting director, la chiama perun provino su parte. Il ruolo è appunto quello di LuciaSerio. Il provino va bene ma non è tutto. Bisogna farneun altro e un altro ancora. Per il provino finale Francescasi prepara studiando il dialetto siciliano. Quella seraFrancesca è a casa di un ami-co quando all’improvviso arri-va una telefonata dalla Rai,soltanto poche ore dopo l’ulti-mo provino. È il direttorecreativo di Agrodolce che par-la: «Ciao Francesca, sei ilnostro sole. Sei il sole diLumera. Sei la nostra Lucia!».Mentre mi racconta quell’epi-sodio c’è ancora emozionenella sua voce: «In quel momento ho provato una gran-de paura, un grande senso di responsabilità. Come èpossibile? Una produzione siciliana vuole me - nata ecresciuta in Brianza - per interpretare una eroina sicilia-na dei nostri tempi. Subito dopo ho sentito una soddisfa-zione immensa. Non stavo nella pelle». Ormai è quasi unanno che Francesca lavora quotidianamente perAgrodolce. Spesso si sveglia alle 5.30. Un bacio al gattoOscar. Colazione sul set. Poi scena dopo scena arriva asera stremata dalla fatica. «Oscar si è fatto adottare dame non appena sono arrivata in Sicilia. Era un mignoli-no» - ci tiene a parlarmi del gatto. Mi dice pure che pertanti anni è stata vegetariana. Adesso di carne ne man-gia poco. Dopo aver esaurito l’argomento animali,riprende a parlare del lavoro. Mi parla parecchio del suopersonaggio. Secondo me c’è una simbiosi in corso traloro due. D’altronde basta seguire Agrodolce per render-sene conto. Il personaggio di Lucia Serio ha smussatotutti gli spigoli in superficie ed è cresciuto in profonditàe complessità. Francesca me lo conferma: «Vivo con

Lucia Serio quasi 15 ore al giorno. Passo più tempo conlei che con me stessa. Dalla mattina - spesso la convoca-zione sul set è all’alba - fino a notte fonda». Francescaama il suo lavoro. Me ne parla molto: «Lavorare per unaproduzione di lunga serialità è una sensazione strana. Dauna parte è bellissimo perché hai la fortuna di fare ilmestiere che ami ogni giorno - in questi tempi di preca-riato generale è un grande privilegio - dall’altra parte èuna sfida continua perché devi dare il meglio di te ognigiorno. Devi essere sempre in forma e dare il massimo.Non puoi sbagliare. Non c’è tempo perché si va sempredi fretta». Adesso basta parlare di lavoro. E l’amore? «Stovivendo un momento molto felice - mi risponde. - Nonho neanche il tempo di pensare e chiedere se si tratta diun attore o addirittura di un collega che Francesca sfo-dera il suo intuito femminile e mi gela: «Non provare achiedere altro. Sono fidanzata e basta. Questo ti dovreb-be bastare…», aggiunge con tono falsamente minaccio-so. Si capisce subito che ama scherzare e che ride mol-

to. Comunque rimango un po’deluso. Lo capisce e per com-pensare la mia delusione misvela qualche dettaglio sugliuomini che le piacciono. «Mipiacciono i mori. I ragazzi scu-ri, con gli occhi scuri. La cosache mi colpisce di più è unosguardo profondo. Dei sicilianiamo la grinta. Sono stata allaVucciria e alla Kalsa. Lì ho sen-

tito la vita vera. Quando vi guardo negli occhi - voi sici-liani - percepisco energia pura». Infine mi racconta diClaudia Fichera, l’attrice che in Agrodolce interpretàLena Cutò, la professoressa idealista che con il suo lavo-ro aiuta a crescere i giovani di Lumera. «Con Claudia sia-mo diventate subito amiche. Ci siamo incontrate a Romaper l’ultimo provino. In lizza per il suo ruolo c’erano altredue attrici. Io ho provato la mia scena con tutte e tre. Poiè stata scelta Claudia. Mi piace la sua schiettezza e la suasincerità. Non perde mai la forza di lottare. È una gran-de donna». Alla fine vuole togliersi un sassolino dallascarpa. Parla di chi l’ha criticata per via del suo accentonon proprio siciliano. «Non voglio far diventare il miopersonaggio una macchietta siciliana. Lavoro sulla veri-tà del mio personaggio. Sto amando la Sicilia giornodopo giorno. La stimo e la rispetto. Mi piacciono le per-sone che ci vivono. Quindi mi sento tradita quando micriticano. Sto cercando di penetrare nel mio personaggiosempre di più. Preferisco parlare pulito ma essere vera».Una dichiarazione d’amore.

CINEMA

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FRANCESCA BEGGIO

di FABIO MANNO

In “Agrodolce” è Lucia Serio, con cui convive quindici ore al giorno e con cui ha sicuramente una cosa in comune: la franchezza. Un ritratto inedito di una lombarda in Sicilia

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«La cosa che mi colpisce di più è uno sguardo profondo. Dei siciliani amo la grinta. Sono

stata alla Vucciria e alla Kalsa. Lì ho sentito la vita vera.

Quando vi guardo negli occhipercepisco energia pura»

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C’è un asse ideale che collega Dusseldorf a Palermo.È il racconto di “Palermo shooting”, il nuovo film che WimWenders (a sinistra) ha girato tra la sua città natale, ilcapoluogo siciliano e Gangi, un piccolo centro arrampica-to sulle Madonie. Presentato in anteprima nazionale aPalermo, la nuova versione del film che i critici di Cannesavevano bocciato senza appello, è un affresco onirico del-la città, che apre squarci di luce e ombre sul percorso esi-stenziale del protagonista, Finn, un fotografo di successointerpretato da Campino (a destra), la rockstar del gruppoDie Toten Hosen. «Shooting in inglese significa anche spa-ro – ha spiegato il regista- ma questo è uno sparo diver-so. All’inizio avevo in mente una canzone d’amore. E oraquesta è diventata la mia canzone d’amore per Palermo».Prodotto dalla Wenders Images Gmbh, cofinanziato daRegione, Provincia e Aapit con un milione 207 mila euro,la nuova versione del film ha perso quei 18 minuti cheappesantivano la storia e porta in calce la dedica a duemaestri come Antonioni e Bergman. Sarà nelle sale dal 28novembre, distribuito dalla Bim in 60 copie: «Sono stato15 volte a Cannes ed era normale volerci essere anchequest’anno. Così per presentare il film in tempo ho dovu-to spingere parecchio. Solo dopo mi sono reso conto chel’opera non era finita, che dovevo tornarci su per dargli laforma che volevo». Così, per strada sono saltate anche le

scene girate con Leoluca Orlando, Giovanni Sollima e conPatti Smith, che però saranno visibili nella versione in dvd.E andiamo allora alla storia. Finn è un fotografo di succes-so che vive una vita frenetica, eccessiva, con la musicasparata nelle orecchie dal suo ipod, senza più riuscire aguardarsi dentro né a dormire. Fin quando una notte sfio-ra l’incidente mortale, e come Alice nel paese delle mera-viglie, attraversa il varco immaginario che gli consentiràdi riscoprire se stesso, il suo tempo e il senso della suavita, intentando un duello ravvicinato con l’arciere dellaMorte, interpretato da Dennis Hopper. Al di là di quel var-co ideale poi c’è Palermo, i suoi vicoli scorticati, la luce delmare, i rumori insistenti, curiosi animali che sbucanoall’improvviso e le facce della città, Letizia Battaglia e RoryQuattrocchi, il fascino del teatro Garibaldi, e una scenache sembra ritagliata da un quadro di Magritte. E c’è laforza solare di Flavia, (Giovanna Mezzogiorno) la restaura-trice che guarda ancora il mondo con il filtro dell’emotivi-tà e conduce il protagonista verso una possibile via d’usci-ta. «Il film riguarda molto la mia vita -conclude Wenders-e affronta il rapporto dell’uomo con l’accidia, l’incapacitàdi vivere il presente e riappropriarsi della propria esisten-za. Questa dimensione potevo ambientarla solo aPalermo, perché non conosco altra città dove il senso del-la vita e il senso della morte siano così forti».

CINEMA

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L’anima di Palermo Shootingdi LAURA NOBILE

Il film di Wim Wenders ambientato a Palermo nellasua ultima versione: un affresco onirico della città

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CINEMA

In centinaia si ammassavano lungo la banchina delporto, con le valigie di cartone, silenziose custodi di ricor-di e di speranze. Erano i primi anni del ‘900, gli anni delgrande esodo degli emigranti siciliani che cercavano for-tuna oltreoceano. Alcuni di loro, non pochi per la verità,erano artisti che trovarono fortuna in America, mischian-do la loro musica con quella degli afroamericani e dandovita al jazz, genere musicale figlio del multiculturalismo. È

il caso del clarinettista italo americano Anthony J. Sciacca,passato alla storia come Tony Scott, a cui il regista FrancoMaresco dedica un documentario nelle sale la prossimaprimavera, che sancisce la fine del decennale sodaliziocinematografico con Daniele Ciprì. «Da anni avevo l’in-tenzione di realizzare un film che rimarcasse l’enormecontributo offerto al jazz dalla comunità italoamericana, euna volta conosciuto Tony Scott ho pensato che si doves-se partire da lui per raccontare il periodo degli anni d’oro- spiega Maresco -. Così, durante uno dei suoi soggiornia Roma, io e Ciprì facemmo una lunga chiacchierata conil maestro del jazz, raccogliendo una quantità di informa-zioni sorprendenti». Da qui ha preso l’avvio il corposo pro-getto, prodotto da Cinico Cinema con il contributo dellaFilm Commission, che impegna attualmente Marescocoadiuvato alla sceneggiatura da Claudia Uzzo. Il docu-mentario raccoglie un centinaio di testimonianze sullostravagante artista dalla lunga barba bianca, figlio dimusicisti di origini trapanesi. Immagini di repertorio ine-dite dello stesso Scott, interviste agli amici e alla sua fami-glia racconteranno l’uomo, oltre che l’artista. Con questofilm, girato tra gli Stati Uniti, l’Italia e la Sicilia, il registavuole dare il meritato rilievo a una figura di spicco inter-nazionale, ingiustamente sottovalutata in Italia, dovesembra non essere stata colta in pieno la portata rivolu-zionaria della sua musica. Protagonista di virtuose esibi-zioni con Charlie Parker, rivale di Buddy De Franco, talentscout di virtuosi del calibro di Bill Evans, direttore musica-le di Harry Belafonte, Tony Scott fu il primo a introdurre ilclarinetto nel bebop, e, precisa Maresco, «rappresental’ultimo puro del jazz che pur consapevole della fine diun’epoca d’oro, mai si rassegnò alla morte di un genere».Spinto da una profonda inquietudine, in concomitanzacon la morte di Billie Holiday, di cui fu consigliere musica-le e intimo amico, Scott si trasferì misteriosamente inGiappone e in Indonesia, dove cominciò le sue fortunatesperimentazioni con la cultura tradizionale locale, cheportarono nel 1964 al famoso album “Music for ZenMeditation”. Il 29 marzo del 2007, all’età di 86 anni, Scottse n’è andato scrivendo una memorabile pagina di storiamusicale. Pur essendo cittadino del mondo, il musicistarimase così legato alle sue origini da voler essere sepoltoa Salemi, dove sono rimaste memorabili le sue estempo-ranee jam-sessions bandistiche. Fiero delle sue originisicule, Scott raccontò così una querelle con CharlesMingus che diffidava dei jazzisti bianchi: «Una volta,quando entrambi suonavamo con Duke Ellington, dopol’ennesima aggressione verbale gli ho detto: ‘Ascolta, iosono siciliano e sono più scuro di te. Ed è vero! Io ho piùsangue africano di Charles Mingus».

Il documentario del registasiciliano è dedicato al maestrodel jazz di origini trapanesidi MANUELA PAGANO

TONY SCOTTsecondo Maresco

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Una bella ragazza palermitana di 28 anni che ha sem-pre sognato il cinema ha finalmente realizzato il suosogno presentando, il 10 novembre, il suo primo corto-metraggio “Io Vivo” dedicato a Giuseppe Di Matteo, bam-bino di 11 anni sequestrato dalla mafia, e dopo 755 gior-ni di prigionia, strangolato e sciolto nell’acido. “Io Vivo”, dicui firma soggetto, sceneggiatura e regia, non è un docu-mentario, né vuole essere un film di denuncia, ma è uncortometraggio che si distacca dalla realtà per colpire lospettatore al cuore con le emozioni. Marina Paterna si è«ispirata alla storia del piccolo Di Matteo immaginando lesue emozioni negli oltre due anni di prigionia prima che iboss lo uccidessero». Un film che non cerca di ricostruire ifatti, quindi, ma «inventato da me - confessa la giovaneregista -, incentrato sulle sue sensazioni e la mia immagi-nazione». Marina ha immaginato che nei momenti di dif-ficoltà un bimbo cerca la madre, ma l’unica cosa che il pic-colo Giuseppe aveva erano le fredde pareti della sua cellae la fantasia tipica di un bambino di 11 anni». Il suo inten-to non è parlare di mafia, «ma trasmettere delle emozioniper scatenare una reazione. Ecco perché il mio film s’inti-tola “Io vivo”». Marina definisce “film” il suo cortometrag-gio, di circa 6 minuti, perché in realtà, dopo l’anteprimaavvenuta a San Giuseppe Jato, è a caccia di un produtto-

re per trasformarlo nel suo primo lungometraggio, di cuiha già scritto la sceneggiatura. Studentessa di TecnicaPubblicitaria all’Università di Palermo, ha trasformato icorsi di grafica pubblicitaria in corsi di regia, fotografia,sceneggiatura e ha iniziato così a lavorare come assisten-te alla regia nei film che giravano in città, come “Il dolce el’amaro”, “Baaria”, “Il 7 e l’8”. Ma la svolta è arrivata conun corso di regia e sceneggiatura a Roma, dove viveattualmente. E adesso il suo obiettivo è di diventare unasceneggiatrice-regista, come precisa, come Tornatore, ilsuo idolo. Per questo motivo ha deciso di imparare tutti imestieri del cinema e sta partecipando alle selezionidell’Actor Studio italiano di Roma per imparare a dirigerebene i suoi attori. «Noi donne possiamo dimostrare disapere fare tanto. A 28 anni un produttore ti crede solouna sognatrice, ma io non demordo e riuscirò». La giova-ne regista, infatti, punta molto sulla sua determinazioneche le ha già permesso di realizzare il corto con la collabo-razione gratuita di numerosi professionisti che hanno cre-duto in lei. Ora che il suo sogno comincia a diventare real-tà è fiduciosa sul futuro: «Prima o poi qualcuno che credain me lo troverò - dice -. Ci sono cose che senti talmenteda non poterle rinnegare. Io sento che è l’unico lavoro chepotrei fare sul serio senza stancarmi mai».

CINEMA

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Marina PATERNA al primo cortodi LAURA MAGGIORE

La giovane regista palermitana esordisce con uncortometraggio pieno di emozioni: “Io Vivo”

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dimostra la voglia di andare al di là degli schieramenti.Una chicca che già da sola vale la visita del sito: i videodella campagna “Intimidisciti se vuoi diventare qualcu-no”. Spegnerà invece la prima candelina in questi giornikom-pa.net, “un osservatorio transmediale, uno stru-mento di indagine e riflessione critica sulla trasformazio-ne della Città“, come si auto-definisce. In pratica, Kom-pa èun webmagazine che vieneriempito di contenuti riguar-danti le tematiche che piùinfervorano gli animi cittadinie per farlo utilizza diversimezzi: sul sito si trovano arti-coli testuali, video, registrazioni audio. Victor Lo Sgorbio,Federico Caccia Pietra, Doriano Birocco, ValerioSalvatreca e Vittorio Sgorbio ne sono i giovani genitoriorgogliosi. Su Kom-pa si trovano interviste, inchieste,recensioni di libri con una pagina apposita di letteraturapalermitana. C’è poi una sezione dedicata agli appelli:

perché uno degli scopi per cui è nato il sito è “ripensarele forme e le modalità politiche di approccio alla città e alterritorio, verificarne la conoscenza ed alimentarla, rista-bilire forme di comunicazione e di partecipazione chenon soffochino le iniziative autonome ma che ne valoriz-zino e stimolino il loro ruolo”. Più recente ma già promo-tore di molte iniziative www.cittaduepuntozero.it,nato a maggio da un’idea di un gruppo di ragazzi, tra cuiMarco Lo Bue e Paolo Piacenti, presidente e vice.L’associazione porta avanti il progetto guidata da “cin-que stelle polari”, come si può leggere in una delle pagi-ne: un Parco della Favorita moderno a misura di famigliee sportivi; un nuovo rapporto tra la città e il mare; uncentro storico che diventi il quartiere della cultura; unacittà servita da parcheggi e mezzi pubblici; un rapportonuovo tra università e mondo del lavoro. Le iniziative giàmesse in atto dall’associazione sono diverse: da “Bici2.0“,un’escursione in mountain bike per i sentieri dellaFavorita, alla distribuzione di 15.000 sacchetti ai com-mercianti dei mercati storici e dei quartieri popolari persensibilizzare titolari e clienti ai temi fondanti del sito, allaserata organizzata alla facoltà di giurisprudenza inmemoria di Giovanni Falcone. Si occupa invece per lo piùdi tematiche legate al traffico e a una nuova concezionedella vivibilità della città mobilitapalermo.org, comita-to cittadino che nasce nel web e poi da virtuale diventareale, un incontro “tra persone che nutrono un profondorispetto per la propria città, con un forte senso civico evoglia di cambiamento”. Sul sito si trovano tutti i lavoripubblici di mobilità dedicati a Palermo, ognuno con lasua storia e il suo presente, che viene aggiornato di con-tinuo. E soprattutto, per ognuno è segnata la data previ-sta per la consegna dei lavori. Metropolitana, passanteferroviario, parcheggi e strade: niente passa inosservatoai padri del sito, Giulio Di Chiara, Pascal Borrelli, AndreaBaio, Antonio Passalacqua e Agostino Di Giovanni, che

lasciano ampio spazio ancheai commenti degli internauti ealla loro opinione: sulla home-page c‘è anche un sondaggiosulla politica di mobilità dellacittà. Ha una sezione dedicataai sondaggi fra le quasi trentacategorie di discussione e più

di un anno di vita anche palermo.blogolandia.it, checonta tra le attrattive anche una bacheca e una lunghis-sima lista di tutti i blog palermitani. Sul sito si parla dipolitica, cronaca, sport e tanto altro e ogni lettore puòlasciare il proprio commento sui fatti del giorno. Perchél’importante è anzitutto esserci.

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Sono diventati per molti palermitani un click obbligatodopo la posta e le pagine deiquotidiani. Il dictat per tutti è

solo uno: fare politica vera

Sono fatti da chi non ha voglia di stare semplicemen-te a guardare, per chi vuole dire la propria, per chi cercauna strada alternativa di informazione. Sono i siti di cit-tadinanza attiva che da qualche tempo sono diventatiper molti palermitani un click obbligato dopo la posta ele pagine dei quotidiani online prima di iniziare una gior-nata di lavoro. Il dictat per tutti è uno solo uno: andare aldi là degli schieramenti politici e fare politica vera. Conquasi 500 iscritti a guidare la fila degli internauti “attivi”c’è ilgrillodipalermo.it, il sito che raccoglie gli amici diBeppe Grillo, “grillini impegnati a ripulire, raddrizzare erieducare la loro città, pronti ad affrontare ogni avversi-tà e ad accogliere tutte le più interessanti novità”. Sul sitotutte le iniziative, i modi per partecipare e i forum per

discutere dei vari argomenti che interessano i cittadini.Nato come meetup palermitano legato al comico geno-vese c’è anche bispensiero.it, promotore, tra le altrecose, anche di azioni collettive contro le Ztl e le strisceblu. Poi c’è fascioemartello.it, che da più di due anni edopo un restyling completo, racconta con ironia Palermoe la Sicilia, passando dalla cronaca allo sport, dalle ricet-te di cucina alle inchieste sulla mobilità. I ragazzi chel’hanno creato, Carmelo Di Gesaro, Francesca e RobertaScaglione, Teresa Reale, Claudio Colletti e GerolamoAccardi, l’hanno fatto un po’ per gioco un po’ per lanecessità di andare oltre i luoghi comuni di una politicainconcludente e trasformista che non rispecchia più nes-suno. Da qui anche il nome, “fascio & martello”, che

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Con grande successo, grandi progetti e grandi risultati,impazzano a Palermo i siti di cittadinanza attiva

Sul WEB un’altra informazionedi SONIA PAPUZZA

ph. Federico Maria Giammusso

SOCIETA’

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Nel mio mondo gli uccellin vivrebbero in casette, benvestiti, in guanti e con scarpette, nel mio mondo ideal.Così cantava Alice, la sognatrice-sovvertitrice per eccel-lenza. Un mondo ideale, con Bianconigli e CappellaiMatti, pieno di contraddizioni e stranezze. Ma c’è unmondo, o meglio un modo, alternativo a quello quoti-diano, fatto da professionisti volontari, che hanno comeobiettivo quello di opporsi al consumismo, di ridurrel’inquinamento, di creare un social-commerce, che per-metta di acquisire oggetti senza spendere un centesi-mo. Un nuovo modo di concepire il commercio, senzache diventi unb a r a t t o .L’iniziativa, idea-ta e partita dallaSicilia, ha susci-tato grandeinteresse sia daparte dei media,che le hannodedicato articoli,interviste, spe-cials, sia tra inavigatori diinternet, come ciha confermatol ’ i d e a t o r eMichele Marino.Prove ne sianole numeroseiscrizioni al por-tale e gli accessi in continuo aumento. Iniziare è facilis-simo: basta collegarsi al sito www.persoperperso.it,scegliere uno username, una password, inserire i propridati nella tabella e il gioco è fatto. Si riceveranno subitodei bonus valore di benvenuto. Poi occorre selezionarele cose che non ci servono più, che reputiamo super-flue, ma che potrebbero far comodo ad altri, bisognastimare il valore di ciascun oggetto (con l’equivalenza 1euro = 1 valore) e caricare sul sito le foto e la descrizio-ne di essi. Per ogni cosa idonea all’inserimento, il pro-prietario riceverà 5 bonus valori, da sommare a quellirelativi alla transazione, qualora l’oggetto fosse sceltoda qualcuno. Chi cede l’oggetto quindi verrà pagato in

moneta valore, da spendere comprando altre cose, chicompra vedrà diminuire il suo conto di tanti valoriquanti è costato l’oggetto selezionato e dovrà pagare,in euro, solo le spese di spedizione con una compagniadi trasporti a propria scelta. Tutto alla luce del sole e inpiena libertà. Le sorprese non finiscono, perché l’inten-zione è quella di fornire uno spazio gratuito alle azien-de, che, in cambio, trasformeranno il costo dei loro arti-coli (residui di magazzino, merce che vogliono promuo-vere) da euro in valore, permettendo agli utenti di potercomprare nuovi prodotti attraverso la cessione per

esempio delleloro scarpe, diuna collana, diun comodinoche non entranella nuovacasa. La cosainteressante èche si trovanomoltissimi arti-coli, divisi inc a t e g o r i e .Alcune personehanno trovatobeni di difficiler e p e r i m e n t ograzie a PxP. Perora siamo agliinizi, ma tuttolascia supporre

un incremento esponenziale. C’è già chi ci ha messo gliocchi sopra “l’affare” offrendo ingenti finanziamenti.Ma la correttezza e la volontà di non discostarsi dai pro-pri intenti è la caratteristica di questi pionieri della new-economy, che contro i loro interessi hanno declinato leproposte, cercando di non tradire la fiducia degli uten-ti. In questi tempi bui, in cui Caritas, Istat,Confconsumatori gridano l’sos-povertà, mettere le basiper un’opposizione concreta e limpida per acquisire ciòdi cui abbiamo bisogno è un’idea eccellente. Una rivolu-zione pacifica, costruttiva ed ecologica, che innoverà lamentalità dei consumisti-consumatori, sviluppandoquella sana coscienza del valore reale della “robba”.

Perso per perso mettilo in retedi LETIZIA MIRABILE

Un social commerce per opporsi al consumismo: idea di un palermitano pioniere della new economy

SOCIETA’

ph. Federico Maria Giammusso

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Con l’avvicinarsi delle feste, come ogni anno, seda un lato negozi, strade, luci e pubblicità non

fanno che urlare al consumismo, dall’altro c’è chi non fache ricordare di non lasciarsi prendere dalla febbredegli acquisti. Qui, invece, bando alla retorica, ci conce-deremo con più realismo, un po’ di frivolezza. Perciò, viprego, prendete nota. Innanzitutto, prima regola d’orodella nostra guida al “vi-prego-non-regalate-più-osce-nità”, che sia per Natale, per il compleanno o per l’an-niversario: state lontano dalle candele. Sono belle, d’at-mosfera, sì, ma non se ne può più. Diciamoci la verità:alzi la mano chi non ne ha mille nei cassettoni del “rici-clo” (… dicasi “cassettone da riciclo” quel posto in cuisono destinati tutti quei “graditissimi” regali la cui vitaconsiste nell’aspettare l’occasione per passare da un“cassettone da riciclo” di qualcuno a quello di un altro:la prossima vittima). Ma andiamo avanti, e bandite lecandele, passiamo a loro: le fantastiche cornici. Talioggetti, quasi in disuso per altro tra il digitale e tutto ilresto, sono tra quelli che credo che maggiormenteabbiano ispirato i peggiordesigner del mondo, per cui,a parte delle vere rarità, lamaggior parte sono davverooscene, specialmente se par-liamo di quelle d’argento,imbottite ai lati con girigogo-li baroccheggianti come, pur-troppo, se ne vedono ancora.Sono tra gli oggetti più decadenti del mondo, eppure,non si sa ispirati da che e pensando a cosa, ancora sene regalano, perciò con un grido corale suggerisco:lasciatele nei negozi, insieme ai fermacarte e alle pen-ne. “Pensierini” tutti che hanno fatto la loro storia, percui è inutile prolungare questa agonia. Così, a meno cheil vostro amico o parente non sia proprio un patito dipenne e fermacarte, non ha senso perseverare. Altrocruccio: il set da bagno. Parliamo di quei pacchetti pre-confezionati di saponi e bagnoschiuma che, per carità,sono molto più utili rispetto agli altri “amici del casset-tone”, anzi, potrebbero addirittura non finirci mai lìdentro, ma purtroppo hanno un difetto: quello di volerdire tra le righe o “non-sapevo-proprio-cosa cavolo-regalarti-e-mi-seccava-perdere-tempo”, o, decisamen-te peggio, “lavati”. E a seconda del destinatario non è ilmassimo come “pensierino”. Poi, per alcuni sarebbescontato sentirselo dire, ma purtoppo non per tutti,così lo dico e basta: i campioncini di profumo sono pale-semente differenti dai profumi veri e propri, perciò evi-tate di spacciarli per regali (lo dico per esperienza per-

sonale. Da vittima, ovviamente). Nella lista mancano poii puttini, tanto leziosi quanto detestabili, i pupazzi a chiquindici anni li ha già compiuti, e i portacellulari, sia datavolo, sia “da collo”... ma chi li usa? Infine, come nonmenzionare quegli oggetti assurdi come il tagliauva, dicui ho scoperto solo recentemente l’esistenza, mio mal-grado, ma di cui credo si possa far benissimo a menonella vita. E poi per quale scopo: “Così quando mangil’uva senza sporcarti le mani, mi pensi?”. Mah! Oppuredelle pinze per acchiappare i pop corn, che è come diremasticare una big babol senza fare palloncini: chegusto c’è? E infine, due suggerimenti per maschietti esignorine. Comincio con i primi, di solito i più bravi asbagliare in questo genere di cose, con un unico consi-glio: per la vostra ragazza lasciate stare il perizoma. Pertre motivi: primo, cosa fai vedere ai parenti? «Papàguarda che regalino carino che mi ha fatto il mio fidan-zato? ». Secondo: è un regalo decisamente egoista; ter-zo: sbagliate sempre misura, e se ci sopravvalutatecomprandoci due misure in meno è un conto, (anche

se, certo, si farà fatica adindossarle), ma se ci sottova-lutate, al contrario, compran-dole giganti... allora sonocavoli per voi! E poi passiamoalle donne, che al contrariodei “colleghi” di sopra si dan-nano l’anima per fare i regali:inutile perseverare con l’ab-

bigliamento per loro, specialmente se è uno della vec-chia guardia, perché, ve lo giuro, non farà mai i salti digioia. Ma vi prego, non buttatevi per questo su cravat-te, porta documenti o cinture, davvero troppo troppoimpersonali e anche un po’, diciamocelo, banali. Dettoquesto, è ovvio che qui si voleva solo far sorridere unpo’, che anche questi oggetti, possono far piacere aseconda a chi si regala, perché in effetti, l’unica veraguida, come sempre nella vita, è quella di avere unminimo di buon senso, come quello di non regalare unabottiglia di vodka a chi sta cercando di smettere, la fon-doutiera a chi è a dieta perenne, o peggio, delle presi-ne da cucina ad una diciottenne. E poi rimane pur sem-pre verde la sacrosanta legge per cui “a caval donatonon si guarda in bocca”, e quindi non si dovrebbe bada-re a queste cose, un regalo è sempre un regalo, eppu-re è anche vero che se si chiamano “pensierini”, “pen-sateci” davvero alla persona a cui volete farli, ricorda-tevi cosa ama, i suoi vizi e le sue passioni… e magari,perché no? Anche le sue misure, e orientatevi così. Cosìnon si rischia di sbagliare.

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Per la vostra ragazza lasciatestare il perizoma. Per tre motivi:

primo, cosa fai vedere ai parenti? Secondo: è un regalo decisamente egoista. Terzo:

sbagliate sempre misura

SCONSIGLI per gli acquisti

di FEDERICA SCIACCA

Una “guida” leggera per non far finire nel “cassettone da riciclo” tutti i vostri frettolosi pensierini. Prendete carta e penna: ecco le istruzioni per non sbagliare

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Espressione acqua e sapone, capelli sciolti, jeans ecamicia rossa. È così che si presenta Elisabetta Cinà alnostro appuntamento negli studi di Videazione dove,poco dopo, con lo stesso look minimal, conduce una nuo-va puntata de “L’Italia che parla”, talk show in onda suVideo 2 Canale Italia dal lunedì al venerdì dalle 11 alle12.30. È proprio il piglio deciso e spontaneo il punto di for-za della conduttrice palermitana che negli ultimi tre anniha collezionato successi conducendo programmi come“Tvt ore 12”, “7 in punto”, “Ammare siamo” e “Insemina”.Elisabetta si trova a proprio agio nel suo salotto doveospita personaggi di volta in volta diversi con cui affron-ta svariati argomenti, dall’arte alla musica, dalla medicinaalla moda. E dire che fare la conduttrice non è mai statotra i suoi pensieri. «Dopo gli studi in legge, capii che l’av-vocatura non sarebbe stata la mia strada e per amore mitrasferii a Como. Lì cominciai a occuparmi di moda edebbi modo di frequentare il mondo della televisione mastando sempre dietro le telecamere. Mi affascinava la par-te organizzativa, invece apparire non mi interessava piùdi tanto». Mentre parla i suoi occhi azzurri sorridono enasce spontaneo chiedersi come mai oggi si trovi cosìbene nel ruolo di conduttrice. «Quando mi proposero ilprogramma “Tvt ore 12” ero certa che avrei mollato dopo

una settimana, ma vedendo l’iniziale ostruzionismo deicolleghi che non mi ritenevano del settore, ho deciso cheavrei continuato dimostrando quanto valevo. Come dire,quando il gioco si fa duro…». Che sia una dura non c’èalcun dubbio, un vero “animale mediatico”, come sottoli-neano Aldo Garofalo e Salvo Corrao, che fanno parte delgruppo di lavoro con cui ha instaurato un clima di grandesinergia. Anche se si sente una timida, infatti, ElisabettaCinà è una persona curiosa e dinamica che ama stare acontatto con la gente, sempre alla ricerca di nuovi stimo-li. Questa costante voglia di fare e di mettersi in discussio-ne le ha fatto intraprendere una nuova esperienza inambito musicale come manager della cantante Serenella.«Era destino che mi occupassi di musica - ironizza - infat-ti a soli 10 anni ho condotto un programma radiofonicosu un’emittente locale». La determinazione non manca aquesta donna che dalla sua ha la consapevolezza che ci sipuò reinventare a qualunque età, a condizione di creder-ci fino in fondo. La sensazione che si avverte parlando conElisabetta è quella di aver davanti un treno che una voltapartito non vuole più fermarsi. E quando le domando cheprogetti ha per il futuro mi svela la sua filosofia: «Alcunivedono le cose come sono e dicono perché. Io sogno cosenon ancora esistenti e chiedo perché no?».

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Tutti i volti di Elisabetta Cinàdi MANUELA PAGANO

La conduttrice del talk show “L’Italia che parla” siracconta: tra timidezza e determinazione

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In apparenza, non ha certo l’aria del comico tradizio-nale. Ma poi, non fa che giocare con mimica e parole, inprimis con il suo nome, e ti spieghi perché Angelo Duroha scelto proprio il cabaret. «In realtà, al di là della miaimmagine, di recente sicuramente imborghesita rispettoal passato, quello che mi è sempre venuto spontaneo, èpensare comico», spiega. Ma cos’è “pensare comico” perAngelo Duro? «È affrontare con humor tutte le situazio-ni, anche le più drammatiche, in questo caso sfiorandoquasi l’imbarazzante. È più forte di me, mi accorgo sem-

pre del lato ironico delle vicende». Ventisei anni, per mol-ti trapiantato a Bagheria, formatosi all’Accademia diTeatro Danza, il giovanissimo artista è stato animatore ecapo animatore per cinque anni, lavorando con impor-tanti Tour Operator («ho la laurea in Intrattenimento»,ironizza), vince due volte il “Premio europeo MassimoTroisi” con due cortometraggi, va in tour nel Festival delCabaret con Pippo Franco e Valentina Persia, partecipa allaboratorio di Zelig on the road per poi mettere in scenauno dei suoi personaggi a Zelig Teatro di viale Monza.Dopo le varie esibizioni con lo spettacolo “Ri-Animazione” («spettacolo studiato proprio per rianimaregli spettatori»), nell’estate del 2008 è in tour in tutta Italiacon “Tieni Duro”: no al fumo, all’alcol e ai vizi, ecco uncabaret con momenti di varietà, monologhi e personag-gi, giochi con il pubblico. Impiantato su tematiche “salu-tiste”, lo spettacolo ha portato il comico a partecipare amanifestazioni importanti come “Saporbio” con MarcoColumbro, ad esibirsi nelle scuole medie e superiori (conun fine anche pedagogico e d’informazione) e presso IlTeatro Al Convento di Gianni Nanfa, suo maestro e ami-co, che da sempre ha creduto in lui e lo ha condotto acoltivare sempre più la sua verve. In TV, oltre alla collabo-razione con la trasmissione Cool, Angelo è di recenteautore di “Tutt’apposto - The Comedy Show”, in ondaogni giovedì alle 20.40 su CTS, una sorta di dibattito in cuiintervengono ospiti e vari artisti, dagli esordienti a colo-ro che hanno fatto la storia della comicità siciliana.Inoltre, su Radio Time condurrà nei prossimi mesi unatrasmissione settimanale, ha una band di musica swinganni ’50 “The Pupi’s Swing” che lo accompagna nei suoilaboratori cominci itineranti. «Il mio fine è stimolare ilcontesto comico locale alle novità, non esiste solo Zelig -spiega - al di là delle imitazioni, è bene lavorare sul gustoe sul coraggio di creare». Il modo curioso di affrontarecataclismi e calamità naturali del palermitano è il temadel nuovo spettacolo in preparazione. Pratica intima-mente legata all’emotività, dunque con l’interiorità piùatavica ed istintiva dell’uomo, quella dell’humor rintrac-cia la sua essenza in quello che il filosofo francese HenryBergson definì “slancio vitale”: «si presume che in grup-po, in un contesto quotidiano, il comico deve sempreuscirne con un battuta simpatica – approfondisce AngeloDuro - ma io trovo che sia bello anche ascoltare e nonimporsi necessariamente. Ognuno ha il proprio spirito enon si può far ridere su richiesta. È far ridere stando sulpalco, che fa la differenza. Fare il comico è uno di queimestieri di cui non ci si spoglia mai, rimani te stesso, per-ché il “lavoro” coincide con il tuo punto di vista». Sul web: www.angeloduro.it

Il ritratto del giovane artistadalla comicità innata con la“laurea in intrattenimento”

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di SVEVA ALAGNA

ANGELO DURO

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cioccolata, cibi consentiti nel periodo di digiuno. Altrisostengono che siano nate per utilizzare gli avanzi dicarne di selvaggina, nei periodi di caccia, quando anco-ra era abbondante. Ma la cosa importante è che laricetta sia arrivata sino a noi e che non sia difficile dafare. Purtroppo come sempre ci vuole pazienza. Per lapasta servono: 500 gr di farina 00 e 100 gr di zucchero;180 gr di strutto; 1 uovo; dueo tre cucchiai di Marsala (oPassito). Per il ripieno occor-rono: 200 gr di carne macina-ta, preferibilmente di vitello;200 gr di mandorle tritatefinemente; 80 gr di gherigli dinoci tritati, in realtà questoingrediente è a discrezione,molti preferiscono aumenta-re la quantità delle mandorle e usare solo quelle; 15 grdi zucchero; 2 chiodi di garofano triturati; una spolve-rata di cannella; 100 gr di cioccolato fondente tritato, sipuò anche grattuggiare, ma secondo me si perde ilsapore del contrasto; burro per ungere la teglia e zuc-chero a velo per la decorazione finale. Sembrano tantiingredienti, ma in genere nelle case dei siciliani si trova-

no facilmente, perché si utilizzano spesso nelle nostrericette. Il procedimento è molto semplice: si impastanogli ingredienti della pasta, fino a fare un composto,morbido e senza grumi. Lo si lascia riposare per dueore. Nel frattempo si prepara la farcia, amalgamandocarne, mandorle, noci (se le avete messe), zucchero,cioccolato, chiodi di garofano e cannella. Si stende la

pasta su una balata con unmattarello, si fanno muc-chietti di condimento ben alli-neati e distanziati e con l’altraparte di pasta si coprono que-sti piccoli montarozzi,tagliandoli con il nappo den-tellato e saldando bene i bor-di. Si dispongono nella tegliaunta e si fanno cuocere a

200° C. Una volta cotti e raffreddati si cospargono conlo zucchero a velo e si servono anche con un bel tè allacannella o all’arancia, ocon una bella cioccolata calda alpeperoncino, l’accordo finale per un momento di godu-ria massima, per l’innalzamento dei sensi, per liberarel’energia e ricondurci al Nirvana, o avvicinarci al para-diso, a Dio, o a noi stessi. E il cerchio si chiude!

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Parenti delle mpanadas spagnole,nascono sotto il dominio

borbonico. Forse fu opera dellemanine sante delle suore di un

monastero di Modica, impietositedalla fatica dei padri predicatori

L’ABBINAMENTO IL VINO

di GIORGIO AQUILINO

Siamo di fronte ad un dolce sicuramente strutturato e com-plesso. Tanti gli ingredienti che lo compongono, diverse quin-di le sensazioni gustative percepibili al palato. In primis, vadetto, in merito alla dolcezza del nostro preparato, come que-sta venga influenzata dalla presenza del cacao. Quest’ultimo,infatti, con la sua aromaticità e tendenza amarognola, fa per-

cepire meno quelle sensazioni di dolcezza, tipiche degli alimenti composti da zuc-cheri semplici. Analoga separata considerazione la merita anche la carne, il cuoredel nostro piatto. Questo elemento colora il nostro dolce di succulenza e di gras-sezza, caratteristica quest’ultima amplificata dalla presenza del burro nella pastafrolla. Per tutto questo, considerando anche gli altri elementi in gioco, il vino inabbinamento deve essere un Moscato di Noto, un vino dal sapore dolce, equilibra-to, morbido e vellutato. Un prodotto di una delle famiglie di vitigni più grandi evariegate tra tutte quelle conosciute, nonché tra le più antiche al mondo: la colti-vavano i Greci col nome di Anathelicon moschaton, mentre i Romani la definivanouva apiana perché prediletta dalle api per via del sua aroma dolcissimo. Il suonome attuale, a parte alcune leggende, pare invece derivare da muscum, muschio,per il forte aroma caratteristico che i francesi chiamano musquè.

Non vorrei essere considerata come Cicero prodomo sua, ma voglio spezzare una lancia a favore deigolosi del cioccolato. In realtà quelli che molti conside-rano viziosi, sono alla ricerca di un modo alternativoper sviluppare la propria spiritualità, un modo perentrare in contatto con gli dei. Spiego il complessomeccanismo, illustrando anche la situazione cosmica.Siamo nell’Era dell’Acquario, nella vita quotidiana sisono già viste le conseguenze: il rifiorire delle filosofienaturali, la centralità dei problemi ambientali (e vorreiben vedere!), la cura dell’uomo per se stesso, l’attenzio-ne per gli alimenti sani, magari divini… E a questo vole-vo arrivare. Theobroma significa cibo degli dei. Di cosasi parla? Naturalmente del cacao! L’origine geograficanon è chiara, molti considerano il Venezuela la patria diquesti preziosi semi, utilizzati già dagli Aztechi, anzi daiMaya, che se ne servivano non solo come una bevandaenergizzante, ma anche come unità di misura e formadi pagamento. I primi ad importarlo furono gli Spagnoliprima con Colombo e poi con Cortès, mentre in Europapoi venne aromatizzato e dolcificato, per assecondare il

gusto dei nobili. Dalla Spagna alla Francia, all’Italia,Belgio, Olanda e Svizzera, il cacao conquistò tutti i pala-ti. In Italia il primato per la produzione spetta a Torino.Ma anche noi in Sicilia vantiamo prodotti di altissimaqualità, in primis l’ormai famoso e osannato cioccolatodi Modica. La ricetta è rimasta identica a quella del-l’epoca spagnola, tranne che per un particolare: lapasta del cacao viene lavorata a bagnomaria per nonperdere le qualità organolettiche, non più sulla pietralavica, e poi vengono aggiunti aromi e zucchero semo-lato. Come ogni alimento i suoi usi sono svariati e, a vol-te, curiosi. Lo si usa nella pasta, addirittura nel pesce,nella cottura del maiale e del coniglio, ma per continua-re ad inneggiare la cucina modicana è bene ricordare le‘mpanatigghie. Parenti delle mpanadas spagnole, lenostre nascono sotto il dominio borbonico. Si narra chefu opera delle manine sante - e ovviamente paffute!-delle suore di un monastero di Modica, che impietositedalla fatica dei padri predicatori, che proclamavano laparola di Cristo senza sosta, durante la Quaresima,nascosero la carne fra le mandorle tritate e i pezzi di

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Cioccolata calda e ‘mpanatigghie: la ricetta per liberare l’energia e avvicinarsi al paradiso

Un inno al cioccolato, cibo divinodi LETIZIA MIRABILE

CIBO

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Impossibile non percepire il fluire delle epoche, ine-vitabile riconoscere l’atavica vocazione artistica dicoloro che un tempo ne animarono gli ambienti.Questo è quanto accade entrando al Gagini, storicolocale nel cuore antico della città, da sempre conosciu-to come trattoria che oggi, invece, cambia veste perinterpretare magistralmente la parte di primo musicrestaurant di Palermo. Sembra arduo conciliare armo-nicamente le origini del locale con la sua rinnovata epiù che mai attuale identità. Eppure non c’è elementoche stoni, ogni particolare accompagna con eleganza e

discrezione la storia sussurrata dal caldo tufo vivo che,da secoli, ne circoscrive l’atmosfera. Adibito originaria-mente a bottega artigiana del famoso scultoreDomenico Gagini prima, e del figlio Antonello poi, illocale è stato teatro di creazione delle più importantiopere del Rinascimento siciliano ed ha conosciuto, dal1459 ad oggi, il fermento e l’incostanza delle formedell’arte e della sua evoluzione. Oggi le stesse paretiassistono alla realizzazione di un’idea semplice ed ori-ginale: la combinazione dell’immortale tradizionegastronomica mediterranea con gli elementi creativi escenografici di un’era visionaria. Materie prime di altis-sima qualità, abbinamenti inconsueti e sorprendenti di

sapori familiari, eleganza minuziosa e vivace di ognisingola portata. Ma non è tutto. Al Gagini anche lascelta del vino diventa un momento di piacevole sco-perta. A disposizione una cantina pregiata e ricca divini locali e non, oltre ai numerosi ed eccellenti distilla-ti, liquori ed alcolici. Ed anche per i meno ferrati inmateria, non c’è problema. Sarà infatti grande piaceredello staff tutto, a partire dai tre proprietari semprepresenti fino al personale di sala e, perché no, anchequello delle cucine, composto interamente da giovaniprofessionisti, indirizzarvi nella scelta migliore con

competenza impeccabile edospitalità garbata e fresca, chemetterebbe chiunque a proprioagio senza mai apparire preten-ziosa. Del resto l’anima acerbaed entusiasta del locale, rappre-sentata da Andrea Romito eGiuseppe Miria, trova la sua giu-sta misura d’espressione nellapiù navigata e saggia esperienzadel terzo socio SalvatoreD’Amato. Ed ecco che quandoogni cosa sembra esser statadetta arriva la ciliegina. Ogni gio-vedì, sabato e domenica il Gaginisi anima con coinvolgenti con-certi dal vivo, su un delizioso pal-chetto ad hoc, giovani artisti delpanorama musicale cittadino

colorano i dopocena dei clienti con un programmavariabile, dal jazz al soul, dallo swing al pop. Il locale,inoltre, ospita volentieri eventi artistici e culturali dialtro genere, come mostre, installazioni, presentazionidi libri ed enogastronomiche. Aperto anche la domeni-ca a pranzo, il Gagini è dunque stato concepito comeluogo versatile, estremamente reattivo alle sollecita-zioni mutevoli di un pubblico sempre più rigoroso.Raccolto e raffinato ristorante, intelligentemente “allamoda”, dove prolungare la propria serata dopo un’ot-tima cena, magari accompagnati dalle note di JohnColtrane e dalla bontà quasi sensuale di un flan al cioc-colato. Sul web: www.ristorantegagini.com

Gagini: l’arte ci prende gustodi GIORGIA SCADUTO

Il primo music restaurant nel cuore antico della città: morbide note e profumi eleganti

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