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‘A SANTUZZA Nostra Vergine delle Rocce FESTIVAL DI VERDURA SECOND GRACE AURORA QUATTROCCHI DAVIDE ENIA LA CITTÀ INTIMA VIAGGIO IN SICILIA FOTOFINISH IL CODICE PROVENZANO BIO...LOGICO NO? IL “PELLEGRINO”

Balarm Magazine | Idee, personaggi e tendenze che muovono la Sicilia | numero 0

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Balarm Magazine è un bimestrale di approfondimento culturale e di costume stampato in 12.000 copie e distribuito gratuitamente a Palermo, Mondello, Monreale, Bagheria

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‘A SANTUZZANostra Vergine delle Rocce

FESTIVAL DI VERDURASECOND GRACE

AURORA QUATTROCCHIDAVIDE ENIA

LA CITTÀ INTIMAVIAGGIO IN SICILIA

FOTOFINISHIL CODICE PROVENZANO

BIO...LOGICO NO?IL “PELLEGRINO”

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balarm magazinebimestrale di cultura e societàanno I n°0 giugno/luglio 2007registrazione tribunale di palermo n° 32 del 21.10.2003

editorebalarm società cooperativawww.balarm.info

direttore responsabilefabio ricotta

progetto graficoernesto bonaccorso, salvo leo

redazione via candelai 73 - 90134 palermotel/fax +39 091.7495020 [email protected]

comitato di redazionebarbara randazzo, letizia mirabile, mariateresa de sanctis, marina giordano, tonya esaverio puleo

hanno collaboratoantonella bonura, antonio castiglia, daniele sabatucci, dario prestigiacomo,francesco puma, gaetano di chiara, giorgia lo piccolo, giorgio acquilino, giuliascalia, laura maggiore, laura maria simeti,lucio forte, manuela pagano, stefano cabib-bo, tommaso gambino, veronica caggia,valentina cucinella

fotografiefoto copertina studio camera (franco lannino,michele naccari), gabriele lillo fauzia, giusep-pe sinatra, roberto di cristina, simona baro-ne, soraya gullifa, tullio puglia

pubblicità daria bellaviatel. 091.7495020 / mob. [email protected]

stampa artigiana grafica

progetto webfabio pileri

tiratura e distribuzione numero chiuso in redazione il 30/5/2007,stampato in 10.000 copie e distribuito gratuitamente a palermo, mondello, mon-reale e bagheria presso librerie, caffè lette-rari, wine bar, teatri, spazi espositivi,ristoranti, cine-teatri, locali notturni,alberghi, punti istituzionali e maggiori luo-ghi di aggregazione culturale.

IN PRIMO PIANOL’Inventione di Rosalia, Nostra Vergine delle Rocce_6

MUSICAL’estate internazionale del Verdura_10Guido Politi: in viaggio con “Bora”_14

Malintenti, produzioni dal Sud_15

TEATROAurora Quattrocchi, la “sciamana” di Nuovo Mondo_16

Il “Ritorno” di Lia Chiappara_18Saldi di fine stagione_20

Davide Enia, due parole su “L’infanzia”_21

ARTE“La città intima”, tra arti visive e design_22

La notte delle “ipotesi concrete”_25Viaggio in Sicilia_26

La Cina delle contraddizioni_27

LIBRI Fotofinish, storie di straordinaria follia_28

Il Codice Provenzano_30Pizzino: “satira, spamming con sarde e affucanotizie”_32

Vibrisselibri_33

CINEMAWim Wenders e la sua “Palermo Story”_34

Marco Amenta, un film su Rita Atria_37

COSTUMEWicca, streghe “secondo natura”_38

Palermo come Buenos Aires_41

CIBOBio… logico no?_42

Il vino biologico esiste davvero?_45La cozza: bruttina stagionata o mitilo afrodisiaco?_46

ITINERARIIl “Pellegrino”: storia, religiosità e natura_48

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SOMMARIO

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www.balarm.it

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Cari lettori e care lettrici, molti di voi conoscono il nostro magazine attraverso internet: Balarm.it in pochi anniè diventato un punto di riferimento per tutti coloro che vogliono tenersi informati sul mondo della cultura e suglispettacoli in città. Infatti, l’aggiornamento costante dei contenuti e la qualità dell’apporto umano dato dai nume-rosi collaboratori, ci ha indubbiamente premiato onorandoci, giorno dopo giorno, dell’attenzione di tanti e tantiaffezionati lettori. Il passaggio alla carta è senza dubbio un’evoluzione naturale del nostro percorso. E siamo feli-ci di farlo, specialmente in questa Balarm, “amata e odiata” ma che alla fine, per quanto piena di contraddizioni,rimane un’indiscussa fonte di stimoli per noi che facciamo questo lavoro. Il nostro apporto su carta, dunque, èun sincero tributo alle energie positive di questa città, che attraverso il suo costume, la cultura, i personaggi e lestorie, ci arricchisce e ci fa crescere. Balarm Magazine è il mezzo (e non il fine) che abbiamo scelto per informar-vi e mettervi al corrente del bello che ci circonda. Un bimestrale gratuito che va a fondo, e che stampato in gran-de tiratura (sono previste 10.000 copie a bimestre), potrà diffondersi tra e nella gente. Dalla musica al teatro, dal-le arti visive al cinema passando per l’editoria, il cibo, gli itinerari e le realtà storico-culturali della nostra città eprovincia: temi a noi cari che ci auguriamo faranno di questo magazine un piccolo volume da collezionare e con-sultare più volte. Una rivista fatta non solo da immagini (conterrà gli scatti sia di esperti che di giovani fotografi)ma anche di contenuti ben curati e scritti, con il contributo sia di nuove firme che di esperti e conoscitori. Ma dove si potrà trovare la nostra pubblicazione? Presto detto. Sarà facilmente reperibile presso librerie, caffèletterari, wine bar, teatri, spazi espositivi, ristoranti, cine-teatri, locali notturni, alberghi, punti istituzionali e mag-giori luoghi di aggregazione culturale. Vi invitiamo a consultare il nostro sito internet, www.balarm.it, all’internodel quale trovate l’elenco dettagliato dei punti di distribuzione. Inoltre, per la gioia dei lettori più “accaniti”, for-se un po’ delusi in questi ultimi mesi, ritorna a gran voce il calendario degli eventi e quello delle mostre. Buonenotizie anche per gli artisti. Il vecchio database a loro dedicato riappare, ma come la sezione “Bloggers” (dedica-ta ai blog siciliani), ospiterà solo collegamenti ipertestuali. Infine, ricordiamo e invitiamo tutti coloro che ancoranon lo hanno fatto, ad iscriversi alla nostra newsletter che ad oggi conta quasi 9.000 iscritti. E adesso non miresta che augurarvi buona lettura.

di FABIO RICOTTANasce BALARM MAGAZINE

EDITORIALE

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Tra i fiori della Chiesa palermitana non mancano lerose e i gigli. In Cattedrale, dietro l’alta grata che impe-disce ai fedeli il contatto fisico con il fascino inquietan-te che emana dalla cappella delle reliquie, la scrittarimanda all’ardua vicenda umana e celeste di RosaliaSinibaldi. Vergine non martire sempre coronata di rosee santa dalla storia controversa, non per i miracoliinnumerevoli, s’intende, quanto per il modo in cui lesue ossa furono ammesse di necessità e quasi d’auto-rità nel nostro “Tempio dei Re”. In un periodo dei piùtragici, tra il 1624 e il 1626, mentre la peste nera ster-minava trentamila dei circa 120mila palermitani com-presi nella città bastionata. E quanto difficile fosse sta-ta quella elevazione agli altari si deduce dal preziosoOriginale delli testimonij di Santa Rosalia edito nel1997 dalla Biblioteca Comunale. Un testo cui essenzial-mente attingiamo per le dichiarazioni giurate di quan-ti, firmando anche con semplice segno di croce, volle-ro dire qualcosa sulla Inventionedei sacri resti nella grotta delPellegrino o sui successivi prodigi.Testimonianze che fornirono lecaratteristiche storiche e ambien-tali del contesto del miracolosoritrovamento. Di una vicenda,cioè, intessuta di visioni e sogni,della fede di santi uomini e mode-sti artigiani, di nobildonne e popo-lane moribonde e risanate, di“santa” ignoranza e di “tenerezzainterna di cuore” prevalente sullascienza medica, di ragioni di stato e d’ordine pubblico.Mentre detto volume non poteva non aprirsi con la pri-ma e fondamentale testimonianza, quella resa dalpescatore Vito Amodeo che, sulla scorta di indicazionisognate da una congiunta, il mitico 15 luglio 1624estrasse dalla grotta della Santuzza i pezzi di roccia conle ossa di più persone, subito inviati al cardinaleGiannettino Doria.E va da sé che mentre la notizia dell’inventione arriva-va fulminea nella città disperata, i monaci francescanie gli altri presenti allo scavo fecero congrui approvvi-gionamenti di frammenti delle ossa fossili e delle pietredella caverna. Particole che, “e contactu” con le verereliquie, s’erano impregnate di doti taumaturgiche pre-sto impiegate con incredibile successo. Mentre perquanto riguarda l’arduo iter seguito dalle autorità perarrivare al riconoscimento d’autenticità delle venerateossa, è noto da sempre che un primo esame specialisti-co fatto in casa del Cardinale si concluse con la deso-

lata dichiarazione di un collegio di medici che dissero dinon potere nemmeno distinguere le ossa dai sassi chele inglobavano. Sicchè a questo punto riteniamo vadaanche ricordato che non risponde proprio a verità lanotizia secondo cui nel mitico 15 luglio 1624 l’epidemiaperse immediatamente virulenza. Perché se è vero chegià nel settembre del 1625 la città venne dichiaratalibera dal male, è altrettanto vero che, dopo un’atrocerecrudescenza, i vari lazzaretti palermitani furono defi-nitivamente chiusi solo il 15 luglio del 1627.Ma per tornare ad un vieppiù tragico inizio del febbra-io 1625 - quando in processione la gente si flagellava asangue per rotolarsi poi nel fango co le spinose coronein capo e mentre il potente gesuita Cascini deplorava ladannosa prudenza dei medici nel riconoscere l’autenti-cità delle ossa – il Doria anche capitano del regno, allamorte del vicerè sabaudo non poté trascurare il fattoche in lui si assommavano i massimi poteri religiosi e

mondani. Ciò lo indusse a non dilazionare oltre il rico-noscimento, convocando un secondo collegio medicoche il 15 febbraio concordò su un fatto ben preciso. Lecasse piene dei reperti anatomici esaminati conteneva-no due tipi di ossa umane. Alcune brutte di colore etd’odore non grato, avviluppate non di pietra ma di ter-ra fezosa mentre le altre dalla delicatezza più presto didonna che d’homo, politi speciosi et bianchi, di grato epiacevole odore, quasi d’amatisti, berilli et cristalli,erano certo appartenenti a qualche corpo santo.Caratteristiche confermate tra gli altri dal medicoHerosimus Salato e dal regio protomedico FrancescoFiochetti, lo stesso 15 febbraio. E fu ancora in questi termini che seguitarono fino al 18successivo gli altri specialisti. Finché, il giorno seguen-te arrivò la decisiva confessione del celeberrimo sapo-naio e cacciatore Vincenzo Bonello il quale, in punto dimorte, ripeté più volte a santi uomini di fermissimafede ciò che gli aveva detto e raccomandato di fare la

di LUCIO FORTE

IN PRIMO PIANO

L’Inventione di Rosalia,Nostra Vergine delle RocceIl pescatore Vito Amodeo, il 15 luglio 1624,estrasse dalla grotta della Santuzza i pezzi di roccia con le ossa di più persone: viaggio tra leggenda e storia

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Santa Rosalia che gli era apparsa di faccia d’angelo,bella e di splendore grande il 13 febbraio ad hora divespro davanti alla sua grotta del Monte. E che avevacosì replicato in lui, curiosamente e da un altro capodel mondo, la struggente figura dell’indio Juan Diegoaltrettanto terreno messaggero della Virgen Morena diGuadalupe. Bonello dichiarò, tra l’altro, di aver chiestoalla Santa perché Ella non fosse fino ad allora interve-nuta in favore della gente che moriva nella disgrazia-ta città. La risposta della Santa non lasciò più alcundubbio in merito: Se Palermo non ha ancora ottenutola gratia è perchè molte persone sono incredule e van-no facendo dispute delle mie veri ossi, e dubbi, e per-ciò insino all’hora la città non ha ottenuto la gratia delmio Signore. Però io l’ho ottenuta dalla gloriosaVergine che me la ha promessa per quando, pubblica-tosi il mio nome, si farà la processione del mio corpoper tutta la città. E però ora ti dico e ti comando daparte di Dio che ... a Palermo manderai subito il tuoconfessore ... che dica al Cardinale che il mio vero cor-po e li miei veri ossa sono quelli che il detto SignorCardinale tiene all’arcivescovado nella sua camera...nèsi faccian più dispute e dubbi...e per segno della veritàtu in arrivare a Palermo cascherai malato di questainfermità che corre e ti morirai. Fu così che Bonello, aun passo dalla morte sopraggiunta davvero, ricostruìpiù volte la sua visione. Senza mai contraddirsi davan-ti a confessori di rango, chierici e notai. Mentre, prima,durante e dopo quest’ultimo episodio non si contava-no le guarigioni documentate e dovute ai suddettiframmenti di pietra e d’osso prelevati dai francescanima anche da tanti privati cittadini. Dunque, momenti diestrema tensione sociale e spirituale durante i quali alCardinale non restò che ordinare, per il 22 febbraio, latraslazione in Cattedrale delle riconosciute reliquie.Provvisoriamente in una bella cascia per hallora di telad’argento, con l’ossequio dell’Illustrissimo Senato etcon l’applauso grandissimo di populo, come concludeil redattore dell’ultima confessione del Bonello. Senzamancare d’accennare alle migliaia e migliaia di mira-coli connessi al trasferimento delle autentiche ossa del-la gloriosa santa Romitella, perpetua protettrice dellaCittà di Palermo. S’intende, nell’esaltante contrappun-to del celeberrimo “Viva Palermo e Santa Rosalia”. Ilsaluto che ancora oggi, orgogliosi eredi d’una palermi-tanità mai rinnegata, continuano a scambiarsi in tuttoil mondo i nipoti di quel popolo piagato e visionario,rissoso ma profondamente e disperatamente intriso difede, che forse non avrebbe rifiutato di sentirsi direfatto anche della stessa stoffa dei sogni.

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IN PRIMO PIANO

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MUSICA

Cosa hanno in comune una “sacerdotessa” delrock, un ministro della cultura sudamericano,

un’artista israeliana cittadina del mondo, un jazzistasperimentale e una cantautrice italiana amante dellesonorità brasiliane? Sono soltanto alcuni degli artisti difama internazionale protagonisti del Festival diVerdura, in programma nell’omonimo teatro dal 4 al 29luglio e organizzato dalla Fondazione Teatro Massimoin sinergia con il Comune di Palermo e le organizzazio-ni musicali private Musica & Guai, Ear s.r.l. e Musica eSuoni. Ad inaugurare il variegato cartellone, il 4 luglio,sarà l’icona della musica new wave, la cantante poe-tessa statunitense soprannominata “maudit” per il suostile anticonformista ed estremo: Patti Smith.D’altronde, l’artista dalle graffianti qualità poetiche ful’unica a potersi permettere di inserire nel suo quartoalbum “Wave” una nota con la foto di papa Luciani e lascritta: “Il rock è riconciliazione con Dio”. Tutto questosenza beccarsi una scomunica. La regina del rock visio-nario parteciperà al festival proponendo i brani del suoultimo lavoro discografico “Twelve”: un omaggio agliartisti che più ne hanno influenzato il percorso musica-le reinterpretato attraverso dodici classici del rock, daJimi Hendrix a Bob Dylan, passando per Neil Young,Stevie Wonder, i Tears For Fears e i Nirvana. Gli amantidella danza potranno invece sin d’ora prenotarsi per il6 e il 7 luglio, le due date in cui il Ballet National deMarseille calcherà il palcoscenico del teatro. Direttodal coreografo belga Frédéric Flamand, il corpo di bal-lo si esibirà in una performance fuori dal comune che,per il suo coniugare danza e arte moderna, viene defi-nita una “installazione visiva in movimento”. Flamandha ideato le coreografie del balletto “La Cité radieuse”insieme con l’architetto Dominique Perrault che ne hacurato le scenografie traendo spunto dal progetto abi-tativo realizzato nel 1945 da Le Corbusier a Marsiglia.

Dopo una parentesi canora rappresentata da una dellevoci più note della world music, Noa (nella foto a sini-stra), che l’8 luglio mescolerà, come sua abitudine,jazz, rock e sonorità mediorientali, l’11 luglio saràancora la volta della danza. Il Corpo di ballo del TeatroMassimo diretto da Luciano Cannito danzerà laCarmen tratta dall’omonimo dramma musicale di

George Bizet. Palermo volerà virtualmente inSudamerica giovedì 12 luglio quando la cornice delteatro di Verdura risuonerà di suggestioni brasilianecon la musica di Gilberto Gil. Vincitore di cinque dischidi platino e 11 d’oro, il chitarrista alternerà bossanova,samba e reggae regalandoci un po’ della gioia di vive-re tipica dei popoli latini. Quest’estate ci sarà spazioanche per i musical a cui sono dedicate due date. Il 17luglio l’Orchestra del Teatro Massimo, ampliata perl’occasione con quattro cantanti di Broadway e direttada Robert Purvis, eseguirà alcuni significativi passag-gi tratti da alcuni dei capolavori di sir Andrew LloydWebber, tra cui spiccano “Jesus Christ Superstar”,“Evita”, “Cats” e “Il fantasma dell’opera”. Ancoral’Orchestra Sinfonica protagonista il 25 luglio. Insiemecon il Coro, infatti, debutterà in una nuova versione di“Tosca amore disperato” di Lucio Dalla che, pur man-tenendo il cast della tournée originale, ha voluto inse-rire alcuni inediti del corpo di ballo, ideati apposita-mente da Luciano Cannito. Il jazz la farà da padrone il19 e 21 luglio, quando si alterneranno il chitarrista JoséFernàndez Torres, in arte Tomatito, e Pat Methenyche duetterà con il talentuoso pianista Brad Mehldau.Tra i fondatori del movimento Nuevo Flamenco e vin-citore del Grammy Award 2005, Tomatito giocheràanche con ritmi latino americani, improvvisazione evirtuosismi, mentre il duo jazz proporrà al pubblico laversione live dell’ultimo lavoro discografico.Interamente dedicati alla musica italiana d’autore gliultimi appuntamenti del festival. I brani del recentealbum “Il mio nome è Pino Daniele e vivo qui” carat-terizzeranno la serata del 27 luglio dedicata al cantan-te partenopeo che in questo recente lavoro racchiudeuna vera e propria dichiarazione di identità e di appar-tenenza musicale. L’italianissimo Paolo Conte e il suoinseparabile pianoforte ci condurranno il 28 luglio trale note del jazz più elegante, le melodie e le contami-nazioni più seducenti. E contaminazione è forse laparola che maggiormente rappresenta il leit motivedell’ultima produzione di Fiorella Mannoia, a cui èaffidato il compito di concludere il festival il 29 luglio.La cantante, affascinata dalla musica brasiliana e dalsuggestivo mondo che essa rappresenta, ha volutorenderle omaggio, interpretando alcuni celebri branidel repertorio sudamericano. La sua inconfondibilevoce cavalcherà un’Onda tropicale per condurci in unindimenticabile viaggio verso mete lontane. E’ possibi-le acquistare i biglietti in prevendita presso il botteghinodel Teatro Massimo (martedì-domenica, ore 10–15) e pres-so il Box Office di Ricordi Mediastore.

L’estate internazionale del VERDURATredici date “storiche” e imperdibili in programmadal 4 al 29 luglio per la rassegna estiva del Teatro Massimodi MANUELA PAGANO

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Accendo senza convinzio-ne la tv poco prima di cena esintonizzo su una rete nazio-nale. La mia distrazione vie-ne dissolta da una melodiache conosco. Sullo schermo,un volto altrettanto noto:quello di Fabrizio Cammaratadei Second Grace, uno deigruppi migliori mai comparsia Palermo. Strano esperi-mento di commistionevideoclip-pubblicità, non cisono dubbi: quello spot deiTortellini Fini recita insovrimpressione – mai amemoria una cosa simile inItalia – “The Second Grace – Antananarive”. Urgonochiarimenti viste le tante novità. Li incontro al com-pleto (oltre a Fabrizio, anche Fabio Rizzo, John Riggioe Fabio Finocchio) e dalle risposte mostrano di averecome sempre le idee molto chiare. «Lo spot per la Finiè nato poche settimane dopo la presentazione deldisco, per una serie di casualità concatenate – spiega-no –. L’album è stato notato dall’agenzia pubblicitariamilanese incaricata della pubblicità per la Fini, che hadeciso di investire su un nostro pezzo». Da lì è statoquasi naturale il coinvolgimento di Fabrizio e la sceltadi “Antananarive” come singolo: «Era il pezzo più “fila-stroccoso”», afferma il cantante, mentre Fabio Rizzoprecisa: «La presenza di un cantante era prevista nel-lo storyboard». Originariamente lo spot doveva esse-re fatto dal cantautore Jack Johnson, che però harifiutato. «Noi invece non ci siamo rifiutati! Infatti ilnostro slogan alla fine è stato: “Avremo tutta una car-riera per pentircene!”» (risate, ndr). I Second Gracenon temono comunque che la loro musica accostatain modo tanto plateale a una pubblicità venga consi-derata un “prodotto”, nel senso più strettamentecommerciale del termine. Spiegano infatti che questospot serviva inizialmente a “bucare il mercato” e afare conoscere la band a un pubblico più ampio, nona “ipnotizzare” la gente. «E poi l’onda lunga dello spotsi è fermata – affermano – Ora tutto dipende da noi,

dal disco, dal tour... La pubblicità è stata solo un pun-to di partenza». Internet ha svolto un ruolo importan-te in questi mesi: «In molti siti e blog – raccontano –un sacco di gente chiedeva aiuto per rintracciare lacanzone e subito ci hanno cercato su Myspace, sicuridi trovarci». C’è anche un curioso retroscena, comespiega Fabrizio: «Sono nate diverse leggende metro-politane: “Sono americani, vengono da Detroit”,“Fabrizio Cammarata ha scritto quella canzone perchéha avuto un’esperienza in Madagascar”...» (risate,ndr). Intanto la band ha cambiato etichetta discogra-fica passando, in un modo da loro stessi definito indo-lore, dalla OTR (che continua a curare per loro boo-king e management) alla Edel. Inoltre, l’avventurasugli schermi tv dei Second Grace non si è fermatacon lo spot per la Fini: la casa di produzione CentralGroucho e il regista Sergi Capellas hanno girato ancheun videoclip ambientato nel centro storico di Palermo,tra Capo e Vucciria. La piacevole chiacchierata si con-clude con riflessioni su Palermo, dove qualcosa sem-bra muoversi anche in ambito musicale. I quattrohanno un obbiettivo: quello di fare sempre base nellaloro città e, perché no, un giorno costituire coi colle-ghi palermitani una struttura che faccia da punto diriferimento per gli artisti, in modo da convogliarequeste energie in una vera “scena”: ciò che è sempremancato.

MUSICA

SECOND GRACE, musica per gli occhidi DANIELE SABATUCCI

«Abbiamo “bucato il mercato” con iTortellini Fini: ora dipende tutto da noi»

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«“Non smettere mai di comporre altrimenti invec-chi”, questo il consiglio del mio amico Fabrizio DeAndrè che io ho sempre tenuto a mente». Così si rac-conta il cantautore palermitano Guido Politi parlando-ci di “Bora”, il suo nuovo disco uscito di recente perl’etichetta discografica palermitana Music Eyes, cheracchiude al suo interno tante, tantissime storie affinia chi ascolta o per empatia di sentimenti o perché neitesti, molto spesso si ritrovano pezzi della nostra sto-ria, magari quelle pagine dimenticate ma comunquescritte nel nostro passato. Voce calda di cantastorie

alla maniera di Guccini o dello stesso De Andrè, attra-verso il suo cantare mantiene intatta e immutata l’at-tenzione di chi ascolta. Un’avventura discografica, chegiunge dopo “Fili di rafia” album auto prodotto nel2002, dove veniva ripercorsa la storia della Sicilia daiprimi dell’Ottocento fino alle stragi di mafia del ’92,attraverso personaggi come Emanuele Notarbartolo,Joe Petrosino o Salvatore Giuliano. Così il Guido Politi citrasporta in un viaggio tra sentimenti, passioni, solitu-dine e nostalgia dove si mescolano l’amore smisuratoper i luoghi della nostra isola e per l’universo quantomai vasto di personaggi che la popolano. Ma non soloi sapori e i ritmi etnici riescono a trovare posto neidodici brani della sua composizione, l’artista sceglie diuscire dai confini della sua terra mai rimanendone vin-colato. Così come accade per “Bora” il brano che dà iltitolo del nuovo cd, dove si raccontano dei fatti collo-cati ai tempi della seconda guerra mondiale dove vie-ne raccontata la missione eroica di un contrabbandie-re che con la sua barca portava in salvo i perseguitatirinchiusi dal regime nazifascista nella risiera di SanSabba a Trieste. Politi non dimentica mai la sua terraquando ci racconta in “La sustanza” la vicenda di unbambino sorpreso a rubare per fame. Ma ecco che ilrichiamo all’attulità si fa di nuovo sentire nel brano“Bombe intelligenti” in cui forte giunge il grido di un nototale ed incondizionato alla guerra, terribile armacontro innocenti, come quelli uccisi da “bombe intelli-genti” in Afghanistan, durante i festeggiamenti di unmatrimonio. Sempre legata al tema del conflitto e del-la convivenza è la canzone “Per capire”, un dialogo tradue padri uno palestinese e l’altro israeliano che si tro-vano costretti a spiegare i motivi dell’odio e di unaguerra mai risolta. Ma c’è anche l’amore per il mare ele barche che emerge in “Elisa”, non solo nome di don-na ma anche il nome della nave dell’usticenseVincenzo di Bartolo che partito da Palermo nel ’38 allavolta di Boston, proseguì per Sumatra portando la suanave ad essere la prima imbarcazione siciliana a stabi-lire la rotta per le Indie Orientali. Nessuna parola èlasciata al caso in questo cd ed è come se Politi sisedesse accanto al suo interlocutore, raccontandogli lasua storia. La musica rende la magia perfetta. Ad arrangiare in acustico questo progetto musicaleinsieme a Guido Politi hanno lavorato il sassofonistaOrazio Maugeri, la fisarmonica e le controvoci dellafiglia Matilde, il contrabbasso di Gabrio Bevilacqua, ilsax di Gabriele Politi e le percussioni di FabrizioFrancoforte e “Paquito” Bordonaro. Il prossimo proget-to? Chiediamo a Politi: «Un disco sui miti siciliani».

GUIDO POLITI

di ANTONELLA BONURA

Con “Bora” il cantautorepalermitano ci trasporta in unviaggio di sentimenti, tra passioni, solitudine e nostalgia

Cosa si fa quando ci si trova nel deserto e si ha unbel po’ d’acqua? O si va avanti finchè l’acqua non esau-risce, o si costruisce un’oasi per poter partire a cercar-ne altra. I palermitani Akkura (nella foto), che dal 2000di acqua ne hanno raccolta in quantità, hanno scelto perla seconda opzione. L’oasi si chiama Malintenti dischie, se si tolgono dal conto jazz e neomelodica napoleta-na, si tratta della prima etichetta indipendente neldeserto dell’imprenditoria musicale palermitana.L’unica, al momento, ad occuparsi insieme di produzio-ne, promozione, booking e distribuzione. «La decisionedi fondare la Malintenti - racconta Andrea Gullotta, fac-totum della neonata etichetta – l’abbiamo presa lo scor-so autunno, dopo aver constatato i successi raggiunticon l’autoproduzione: ogni tour ha avuto almeno unaventina di date, il primo disco ha venduto più di 1500copie contro una media italiana per le produzioni indi-pendenti di 300 copie, e il merchandising ci ha permes-so di impinguare il fondo cassa. Così ci siamo montati latesta e abbiamo messo su questa “baracca”». La defini-ranno pure una baracca, ma la Malintenti sembra volerfare sul serio. In pochi mesi, ha già prodotto cinquealbum, l’ultimo dei quali in ordine di tempo è“Bellomondo” degli Om. Nella sua scuderia ha inserito,oltre ai già citati Om e agli stessi Akkura, i Don Settimoe il cantautore Mimì Sterrantino. L’ufficio booking lavo-ra a pieno regime, organizzando tour su e giù per ilBelpaese con qualche data al di là delle Alpi. Sul fronte

della distribuzione, poi, ha recentemente stretto unaccordo con Feltrinelli e Ricordi che si aggiunge alla col-laborazione con la Jestrai, agenzia che annovera gruppinoti come i Verdena. Ovvio che con una macchina orga-nizzativa di tal fatta il telefono della neonata etichettasquilli in continuazione. «Avremmo avuto sì e no un cen-tinaio di richieste da tutta Italia, che abbiamo duvutorifiutare – dice Sergio Serradifalco, voce e chitarra degliAkkura - Preferiamo concentrarci su pochi progetti, mabuoni. La nostra parola d’ordine è qualità». E sta proprio qui la peculiarità della Malintenti. In unpaese in cui la produzione musicale langue, infatti, lepoche etichette indipendenti spalancano - spesso e controppa disinvoltura - le loro porte ad una miriade diband e giovani artisti. In questo modo è più facile farcassa, ma la promozione dei gruppi va a farsi benedire.La Malintenti, invece, ha deciso fin dall’inizio di selezio-nare accuratamente i progetti su cui investire e concen-trarsi al meglio sulle singole fasi del lavoro di promozio-ne. Insomma, per usare termini manageriali, la qualitàdel prodotto unita alla qualità del processo. E i risultati non sono tardati ad arrivare. Le band dellascuderia continuano a macinare chilometri su chilome-tri e quest’estate parteciperanno a ben 15 festivalnazionali. Gli Akkura sono arrivati fino a Mosca e il lorosecondo album, “Zaùn”, ha già venduto 1700 copie. Cisono tutti i presupposti per brindare il 20 giugno alGiardino inglese, nel corso della prima festa Malintenti.

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MALINTENTI Produzioni dal Suddi DARIO PRESTIGIACOMO

Una nuova etichetta indipendente nel deserto dell’imprenditoria musicale palermitana

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In una mattina di sole, incontriamo l’attrice paler-mitana Aurora Quattrocchi, indomita anziana

madre siciliana di “Nuovo mondo”, il film di EmanueleCrialese da lei interpretato lo scorso inverno. La vivaci-tà dei suoi occhi tondi e la sua voce espressiva, carat-terizzata da un forte accento palermitano che non èmai volgare, ci colpiscono, insieme alla sua energia. E non potrebbe essere diversamente per lei, nata ecresciuta al sole della Sicilia in anni ancora duri per ledonne (ha vissuto le rivoluzioni sessantottine sulla pro-pria pelle, n.d.r.). Il ruolo che hai interpretato nel film di Crialese,l’anziana madre che deve seguire il figlio nel suoviaggio per la terra dei sogni, l’America, sembraessere quello di una maga in una terra piena disuperstizioni. Sei d’accordo con la rappresentazio-ne della Sicilia fatta dal regista? «Si, penso che Crialese abbia proprio ben ritratto laSicilia dei primi anni del Novecento, e anzi avrebbepotuto anche mettere dell’altro. In effetti nella primastesura della sceneggiatura del film, il mio personag-gio, donna Fortunata, era molto più sciamana di quan-to non sia risultata poi essere. Il regista ci teneva mol-to a rappresentare queste “pratiche magiche” presen-ti nella vita delle persone che vivevano della terra, checon la natura avevano un rapporto assai stretto, tipicodegli stregoni: guarivano con le erbe e parlavano conle anime dei defunti. Insomma, erano persone vicinesia al mondo dei vivi che a quello dei morti». Accanto alle grandi produzioni dei teatri stabili cisono piccole realtà di buon teatro. Credi che ancheper il cinema sia lo stesso? «Sì, certo. C’è il cinema di cassetta e poi c’è l’altro cine-ma. Per esempio ho lavorato in un film per me moltobello, “Segreti di stato”, di Paolo Benvenuti, granderegista di talento, appassionato dei casi insoluti, pro-fessore all’università di Pisa. Mi dispiace che, nono-stante la sua finezza nello scegliere i personaggi e lavalidità dei contenuti della pellicola, basati su lunghericerche su Pisciotta e il bandito Giuliano, il regista nonabbia da allora più lavorato. Forse questo succedequando si dicono delle verità un po’ scomode. Ritengoche sia una persona veramente speciale e spero pro-prio di potere di nuovo lavorare con lui».Sei un’attrice che viene dal teatro. Vedi grandi dif-ferenze fra il teatro palermitano di venti o trentaanni fa e quello di adesso? «Credo non ci sia nessuna differenza. La gestione delBiondo è quella di sempre. Forse un’alternativa potreb-be essere costituita dal Nuovo Montevergini e magari

Alfio Scuderi (il direttore artistico, n.d.r.), essendo gio-vane, potrebbe riuscirci. Fra i registi, ritengo ClaudioCollovà molto bravo. Ho lavorato con lui in “Terradesolata” ed è grazie a questa esperienza che ho potu-to poi fare “Nuovo mondo”. Nonostante per meCollovà sia già un regista dalla fama consolidata, gliauguro tanto successo ancora, e so quanto questo perlui sia sempre un vivo desiderio. Ripensando alle mieesperienze passate, mi sembra come se un’epoca siaormai trascorsa, quella con Li Bassi, Civiletti, Benassai,con i quali tutto era un gran divertimento. E poi comedimenticare quella che per me è stata una granderealtà, il Piccolo Teatro, che forse non è stato bengestito, ma in fondo ha dato a noi attori l’opportunitàdi esprimerci».

Secondo te per gli attori che vogliono vivere aPalermo c’è qualche speranza o si deve emigrareper forza?«Riuscire ad appropriarsi dell’essenza del vivere è unaprofonda esigenza dell’essere attore, il che implica unacuriosità e un interesse continuo verso la vita. Eccoallora che è necessario intraprendere un percorso diconoscenza, di confronto con altre realtà, che ti puòovviamente portare lontano dal luogo in cui vivi e seinato, a prescindere che si tratti o meno di Palermo. Se sei attore prima o poi te ne andrai perché questoviaggio, che diventa necessario viaggio interiore, è unacondizione di vita. Per potere essere veri col pubblico,l’attore deve innanzitutto acquisire piena consapevo-lezza di sé stesso. L’essere artisti presuppone una con-tinua ricerca di sé stessi, solo così si può essere verinella propria arte».Progetti futuri?«Un film-tv con Beppe Fiorello, “La vita rubata”, regiadi Graziano Diana, girato nei pressi di Taormina».

AURORA QUATTROCCHI«L’essere artisti presuppone una continua ricerca di sé stessi»Intervista alla “sciamana” di Nuovo Mondodi MARIA TERESA DE SANCTIS

TEATRO

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Un ritorno a casa, un viaggio verso le origini, nellaterra natia, in una Sicilia dalle mille suggestioni e dallemille luci. Un viaggio verso sè stessi, alla ricerca delleproprie radici. Questo è “Ritorno”, diretto e ideato daLia Chiappara, andato in scena al teatro Libero diPalermo dal 16 al 20 maggio a conclusione del cartel-lone serale della stagione invernale (nella foto unmomento dello spettacolo). Si tratta di un progettocomplesso che trae libera ispirazione dal romanzo diStefano D’Arrigo “Horcynus Orca” e trova la propriaforza nella passione della regista e del cast interamen-te palermitano: un gruppo cresciuto all’interno delLibero e capace ora di emozionare il suo pubblico e lasua città. In scena Santi Cicardo, Marcella Colaianni,Patrizia D’Antona, Salvo Dolce, Simonetta Goezi (l’uni-ca palermitana d’adozione), Francesco Gulizzi, FedericaMarullo e Giuseppe Sciascia. Tutti, da meridionali, han-no saputo perfettamente trasmettere il fascino esoprattutto la passione della gente del Sud. È questa infatti la vera protagonista dello spettacolo: lavoluntas, l’energia di chi vive al Sud. È sì la forza dellasofferenza di chi compie il proprio “ritorno”, di chi cer-ca il sud perché comunque non può farne a meno, maanche di chi vive quel disagio umano ed esistenzialetipico dei luoghi del meridione del mondo. La regista,nel rappresentare questo “ritorno”, ha voluto metteremolto di autobiografico. «Ho sempre avuto un rappor-to di odio-amore con questa terra – ci dice Lia

Chiappara – ho cercato di trovare altrove quello chenon trovavo qui ma più mi allontanavo e più si insinua-va in me il bisogno di vivere ciò da cui fuggivo». Da qui,da un percorso interiore ricco di difficoltà e lacerazio-ni, è nata la voglia di rappresentare ed esprimere,mediante il linguaggio teatrale, il bisogno di ritornarealla “sicilianità”. «Nonostante io sia fra quelli che han-no compiuto il proprio “ritorno”, – continua ancora laregista – il mio giudizio sulla Sicilia è rimasto lo stesso:è una terra magica che emana qualcosa di indescrivi-bile dai propri suoni, attraverso odori e colori, tramitela sua umanità straordinaria, ma è una terra nella qua-le rimane ancora tanto di irrisolto…giovani che rinun-ciano al cambiamento, che si spengono di fronte alledifficoltà». Il canto di questo disagio, la narrazione del-la voglia di “ritorno”, vuole essere un modo per prova-re a rinnovare l’impegno a non fuggire, l’impegno pernon limitarsi al compianto. Così prendono corpo i per-sonaggi dello spettacolo che, pur se tra le macerie e lafame, sono carichi di una grande vitalità che non silascia piegare dal dolore: le donne, che continuano amuoversi nella luce di uno spazio scenico chiaro edessenziale dominato dalla presenza delle colonne gre-che, la traghettatrice, che accompagna il protagonistaverso la meta difendendolo dalle “fere”, mostri mariniche minacciano gli isolani, ed infine il padre ritrovatonel paese natale, piccola luce che brilla nel buio di unanotte che sta per volgere al termine.

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Il “Ritorno” di LIA CHIAPPARAdi LAURA MARIA SIMETI

Un cast palermitano per cantare il dolore del Sud nella produzione del Teatro Libero di Palermo

TEATRO

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In questo mondo dove la precarietà è diventata permolti una condizione naturale, in cui seguiamo il flussoindistinto delle cose senza in realtà capire quale è dav-vero la nostra meta, c’è qualcosa che può aiutarci aritrovare noi stessi nel mondo e con il mondo. E’ l’arte. Già. Quella strana parola che ci fa pensare agliartisti un po’ astratti nella loro essenza. L’arte che ci per-mette di dialogare con il nostro io e ci invita a non esse-re schiavi ma padroni delle ore che oscillano lente trauna battuta e l’altra, tra un copione e un passo di dan-

za, tra una nota e una foto magari in bianco e nero, traun pennello intriso di colore e un sipario che si apre.Questo è il mondo dell’anima e ad invitarci ad entrare,per gustare la magia e il fascino del non-tempo, è unafiera che, iniziata come una scommessa un po’ azzarda-ta, è diventata ormai un appuntamento fisso. Stiamoparlando di “Saldi di fine stagione”, l’iniziativa chechiude ogni anno la rassegna teatrale “Quinte(s)senza”e che porta la firma di Giuseppe Cutino (nella foto),regista e attore palermitano, qui direttore artisticoassieme a Clara Gebbia. Nella fatata cornice del centroculturale I Candelai, lo scorso 31 maggio si è svolta lafiera dell’arte. Una svendita particolare di artisti, ognu-no di essi racchiuso dentro un microluogo (immaginatei Candelai suddiviso per l’occasione in tanti piccoli spazi,quasi “compartimenti stagni”, n.d.r) per offrire al pub-blico per pochi minuti piccole pillole della propria arte.Un’esperienza nata per gioco come ci racconta lo stessoGiuseppe Cutino: «L’idea di “Saldi di fine stagione” ènata cinque anni fa quando l’associazione I Candelai miaffidò la direzione artistica di “Quinte(s)senza”. Avevovoglia di giocare con gli artisti e siccome il mondo cultu-rale viveva un momento difficile, ho voluto proporrequalcosa di fortemente provocatorio. Una provocazioneche risponde alla domanda “perché gli artisti non posso-no economizzare il loro passato e metterlo in svendi-ta?”. Oggi si fa un gran parlare di economia e allora hopensato “svendiamoci!”. All’interno della fiera – conti-nua Cutino – vi è tutto ciò che si può trovare dentro unluna park con la differenza che qui si gioca con le arti ela cultura ma al contempo permane l’aspetto ludico ecommerciale che caratterizza le fiere». Un luna parkinsolito che negli anni ha ricevuto sempre più consensida parte dei palermitani. Basti pensare ai numeri. Circaduemila persone hanno, infatti, partecipato all’edizionedel 2006 e mille e quattrocento nel 2005. Dietro ognigrande progetto c’è sempre un messaggio ma Cutinosmentisce questa verità affermando che «“Saldi di finestagione” è solo un’occasione per giocare. Certo, c’è unaprovocazione alla base. Palermo è una città che non fascelte coraggiose e tira a campare ma spero, come cit-tadino e artista, in un dialogo sempre più produttivo traoperatori culturali e istituzioni a prescindere sia dal colo-re politico che da interessi di sorta, mostrando cosìmaggior attenzione verso il fenomeno creativo. Vorreiche gli amministratori iniziassero a comunicare con gliartisti e non sugli artisti. Una città deve vivere dei suoimonumenti ma anche e soprattutto delle sue persone.E’ necessario – conclude Cutino – cercare di capire chel’arte è necessaria».

Ai Candelai l’Arte in svendita:un’occasione per “giocare”,ridere e riflettere

«Un chiùmmo di nove chili. In aereoporto ho dovu-to pagare una sovrattassa per la sua pesantezza...».Certo non è da tutti commentare così un proprio pre-mio, una statuetta «molto sovietica in puro acciaioplaccato oro», ma di sicuro vi riconosciamo lo stile del-l’attore, regista e autore palermitano Davide Enia. Per inciso, l’oggetto in questione è stato consegnato alnostro artista a Chisinau, in Moldavia, per avere vintocon lo spettacolo “Maggio ‘43”, la III edizione della ras-segna internazionale “Teatrul Unui Actor”, nel 2003.Un teatro di parola quello di Enia, parola ricca di musi-calità, ritmo e gesto, dove «il suono precede sempre ilsuo significato, ne ha un sostrato emotivo che già, dasolo, offre un senso preciso di ciò che si sta narrando»- dice il regista e continua - «il gesto è parte integran-te del nostro palermitano, che spiega, spinge più in là,suggerisce». L’artista è da aprile nella sua città, impe-gnato con le prove del suo prossimo spettacolo, anzidue in verità, nelle sale del Nuovo Montevergini, pron-to a spostarsi poi a Roma al Teatro Eliseo, per conti-nuare lì il lavoro. “I capitoli dell’infanzia, parte prima eparte seconda”, questi i titoli dei due spettacoli, allacui produzione partecipano vari enti teatrali tra cui,oltre al Montevergini e all’Eliseo, anche noti festivalestivi. Si tiene stretto l’artista sul suo lavoro, ci dicesoltanto che in scena ci sarà «tutto un mondo, con luida solo e due musicisti». Nonostante il riserbo iniziale,qualcos’altro siamo riusciti a sapere, in fondo non èper nulla facile non parlare. Ecco dunque il sottotitolodel primo dei due spettacoli, “Antonuccio si mastur-ba”, età di riferimento intorno ai 13 anni, periodo diesplosioni ormonali e trasformazioni epocali per iragazzini. E ancora veniamo a sapere qualcosa sullemusiche e cioè che è stato fatto un lavoro sui canti tra-dizionali che poi saranno ripresi durante tutto lo spet-tacolo. E questo è tutto, in attesa del debutto palermi-tano che, dopo un’anteprima al Festival di Bassano delGrappa, dovrebbe avvenire il prossimo ottobre.Parlavamo di musica, elemento molto presente neglispettacoli di Davide Enia. «La ricerca musicale è conna-turata al mio modo di lavorare – ci dice - si tratta, in

fondo, di crearesinfonie, assem-blare elementi rit-mici diversi chegirano attorno adun tema principa-le, variazionedopo variazione».Ma la sua creativi-tà è riuscita a spa-ziare oltre i confinidei teatri diffon-dendosi nell’aere,nel vero senso del-la parola. È anchein ambito radiofo-nico infatti chetroviamo due suoilavori, “Rembò” e“Diciassette anni”,entrambi realizzatiin collaborazionecon il musicistaFabio Rizzo. «Laradio è il mezzo dic o m u n i c a z i o n eche possiede l’inti-mità più profondae strabiliante» -dice il regista - «trachi parla e chiascolta si instauraun rapporto diret-to, io-tu» - quindiprecisa - «In radio devi avere una precisione assolutanella conduzione dell’architettura della frase, come unchirurgo che deve fare i conti col grande vincolo deltempo. Un tot di minuti per ogni trasmissione, né piùné meno». In attesa del debutto palermitano allorapotremmo anche godere di qualche registrazioneradiofonica.

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di VERONICA CAGGIA

L’attore, regista e autore palermitano racconterà i delicati “capitoli dell’infanzia”nel suo nuovo spettacolo

DAVIDE ENIA

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di VALENTINA CUCINELLA

SALDI di fine stagione

TEATRO TEATRO

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Nel panorama contemporaneo il binomio architet-tura-arti visive si sta rivelando sempre più vincente,come dimostrano le ultime edizioni della BiennaleArchitettura a Venezia o le recenti mostre, dall’allesti-mento complesso, arricchito da videoproiezioni edisegni, che musei internazionali dedicano dedicate aimportanti architetti di fama mondiale. Reinventare lospazio, ridisegnare la dimensione del vivere, da quelladell’abitare a quella dell’ambiente urbano, rileggerecon sguardi sempre nuovi la realtà. Sono temi cheaffascinano un pubblico via via sempre più ampio, eche in anni recenti hanno avvicinato la gente a questasfera della creatività, grazie anche alla mediazionedell’arte, al potere evocativo delle immagini, ripropo-nendo quell’approccio all’“opera d’arte totale” che

riecheggiava come un leit-motiv già nelle avanguardiestoriche del primoNovecento, dal Futurismo alBauhaus. Una felice propo-sta di questo connubio traarti visive e ricerca architet-tonica è quella propostadalla mostra “La città inti-ma. Luca Diffuse – DanielEgnéus – Mariella Tesse”,visitabile a Palermo fino al 1luglio presso Palab,Laboratorio di culture con-temporanee, il nuovo “con-tenitore culturale”, comeamano definirlo i suoi pro-motori, recentemente inau-guratosi in via Fondaco,all’Albergheria (tra via deiBiscottari e via Porta diCastro). Esso offre i suoiampi spazi recentementerestaurati e articolati su tre

livelli a prospettivemultiple, per ospitaremostre, laboratori perbambini, workshop,spettacoli, costituen-do anche un luogo diaggregazione per lacittà, con una caffet-teria e un ristorante. I direttori artistici diPalab (acronimo diPalermo Laboratorio),Tiziano Di Cara eGiuseppe Romano,sono gli stessi di Expa,la galleria d’architet-tura-locale di viaAlloro che in pochi anni si è conquistata un foltissimogruppo di affezionati e che ha visto avvicendarsi, oltrea interessanti mostre e a iniziative come sede off del-la Triennale di Milano, rassegne di film, proiezioni divideo, concerti. Palab, aperto dall’associazione cultu-rale omonima presieduta da Fabio Tosini con il patro-cinio diretto del Comune di Palermo, rappresenta unanuova sfida. Non vuol essere un doppio o una “filiale”di Expa, come ci ha precisato Tiziano Di Cara, maintende offrirsi come spazio di nuovi scambi, confron-ti, commistioni tra vari aspetti della creatività contem-poranea. Lo dimostra questa mostra, che unisce l’otti-ca sottilmente visionaria dei progetti di Luca Diffuse,architetto romano la cui ricerca è orientata sul rappor-to tra nuove tecnologie e linguaggi artistici, e MariellaTesse, laureata presso il Royal Institute of Technologydi Stoccolma (insieme formano il gruppo “AlsoAvailable Architecture”), con le immagini di DanielEgnéus, pittore, disegnatore e illustratore svedese. Leopere di Egnéus si fondono, in una perfetta compene-trazione, con le immagini di architetture urbane e iprogetti di interior design della coppia Diffuse-Tesse,

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coniugando il nitore delle tecnologie digitali allasinuosa e sintetica purezza del segno grafico dell’arti-sta. Cinque le serie esposte, tutte datate entro il 2007:“Nidi (Nesting the city)”, “Il Museo intimo (the intima-te museum, a behaviour building)”, “In a room”,“Safari” e “Ragazze”. Sono proprio giovani fanciulledai corpi essenziali, pervasi dall’ambigua sensualità diuna magrezza in linea con alcunitrend contemporanei dai tonifashion (Kate Moss docet…), leprincipali protagoniste di molteimmagini, ritratte in presa direttadurante momenti di quotidianitào abbigliate da modelle ad abita-re un grande spazio bianco, un’architettura “che pos-siede l’inclinazione femminile a dialogare con la bel-lezza”. (Also Available). Tra pubblico e privato, tradimensione urbana e spazio dell’intimità, il viaggio nelmondo di Diffuse-Tesse-Egnéus si rifà ad alcuni aspet-ti della società contemporanea: la navigazione ininternet, il cyberspazio, la conoscenza e il dialogo traesseri umani mediata da uno schermo e una tastiera,

l’autoreclusione implosiva dentro se stessi e i proprinuclei abitativi, “il proprio mondo in una stanza”,potremmo sintetizzare. Anche la macrodimensione diuna piazza o un angolo di città perdono la connotazio-ne di luoghi di incontro reale tra le persone (che pre-feriscono scambiarsi opinioni nei blog o incrociarsicome internauti), diventando scenari per lo ‘sfogo’ di

comportamenti personalisticianche se poetici. Ce lo ricordauna delle grandi immagini dellaserie “Nidi”, che evoca il volo sim-bolico del diciannovenne MathiasRust da Helsinki alla Piazza Rossadi Mosca, nel 1987, negli ultimi

anni di guerra fredda, sfidando i mig sovietici per piùdi 1000 Km. Il giovane “eroe”, di cui ci viene ripropo-sto il Cesna appena atterrato, è il simbolo di una ricer-ca spasmodica di autoaffermazione che guida moltiindividui, all’insegna di una cultura dell’apparire chesembra dirci “esisti soltanto se appari, se sei nelle cro-nache di un giornale, sullo schermo televisivo o comeprotagonista di un video su YouTube”.

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LA CITTÀ INTIMA tra arti visive e design La mostra dei progetti di Also AvailableArchitecture e dei disegni di Daniel Egnéusinaugura il nuovo spazio Palab all’Albergheriadi MARINA GIORDANO

«Il Palab è uno spazio pernuovi scambi, confronti,

commistioni tra variaspetti della creatività

contemporanea»

ARTE

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“Coppia in amore e nel lavoro”, come essi stessi ama-no definirsi, i fotografi Alessandro Di Giugno (Palermo,1977) e Stefania Romano (Palermo, 1975), espongonoper la prima volta insieme, in una doppia personale daltitolo “22:15/00:30” visitabile fino al 23 giugno presso lagalleria Zelle Arte Contemporanea (via Matteo Bonello 19;lunedì-sabato, ore 17-20), che racconta cinque anni dellaloro produzione e raccoglie immagini che hanno come

denominatore comune la notte. La stessa Nyx (Notte) cheil curatore della mostra, Federico Lupo, chiama in causacome madre primordiale, generatrice di numerose divini-tà protagoniste della cruenta e violenta lotta descrittanella Teogonia esiodea. Ma la Notte è in particolare coleiche porta in grembo desideri e future manifestazioni chesolo nel giorno troveranno compimento, e quando DiGiugno e Romano raccontano come l’orario 22:30/00:30sia per loro l’unico momento del giorno in cui si ritrova-no a fotografare, per abitudine e perché - aggiungeStefania - «la notte per me è perfetta, sono molto timi-da!», sembra allora evidente come insieme intonino uninno alla madre primordiale perché esaudisca i loro desi-deri. Sogni che l’artista costruisce nelle sue immaginifacendo uso di travestimenti e di un set fotografico cura-to fin nel minimo dettaglio, che esprimono una riflessio-ne acuta sulla realtà nonostante quella immagine surrea-le e onirica che suggeriscono, che vogliono essere «unavalvola di sfogo un luogo sicuro in cui lo spettatore puòrifugiarsi» lontano dalla realtà quotidiana. Benché le ope-re di Stefania siano la trasposizione di sogni ad occhiaperti (o chiusi), favole per adulti animate da strani per-sonaggi con attributi (e titoli) enigmatici in atmosferenebulose, esse non sono altro che «rielaborazioni dellarealtà, di quello che vedo, che sento, che mi accade».Brandelli di realtà, «ipotesi che diventano concrete, per-ché realmente lei ci crede», ci suggerisce Di Giugno (asinistra una sua foto), che parlando di se stesso dice inve-ce «io parto dal concreto per realizzare delle ipotesi diritratto, mi piace giocare sul paradosso del reale, come sesull’immagine di ognuno avessi la possibilità di costruirealtri cento ritratti, registrando così l’aspetto mutevole delquotidiano». Nel confronto tra volti ed espressione etero-genee, nella registrazione di atteggiamenti umani conl’uso di oscurità accecanti e luci negate, si coglie il suobisogno inevitabile di essere testimone di un contempo-raneo così veloce e mutevole, di forzare la realtà imma-ginando l’essere umano come «un attore sul palcosceni-co». Alessandro con il suo occhio fotografico sembravoler costruire un’antologia per immagini di tipi umani, ilsuo lavoro potrebbe essere definito una via di mezzo trala volontà documentaristica dimostrata da Sander nelcatalogare la razza ariana e i ritratti psicologici di Dijkstra,con un pizzico di curiosità per tutto ciò che è fuori daglischemi comuni e che in ciò ricorda la Arbus. Il ricorso alflou, il travestimento e la fedeltà alchemica alla tecnicafotografica tradizionale fanno di Stefania una nuovaCameron, che però con il suo mondo mitobiograficovenato di melanconia non può non richiamare alla men-te le delicate immagini di Carroll.

La notte delle “ipotesi concrete”

di GIORGIA LO PICCOLO

Incontro con i due fotografipalermitani Alessandro Di Giugno e Stefania Romano

ARTE

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Il consueto appuntamento tra arte contemporaneae vino di “Viaggio in Sicilia” si presenta più ricco e coin-volgente del solito. La mostra “Uomini e luoghi”, alle-stita a Palermo nella chiesa dello Spasimo, è soltanto laconclusione di un progetto che ha coinvolto nove arti-sti, accompagnati dal fotografo Riccardo Scibetta, e cheprevede una serie di appuntamenti culturali, tra con-certi e incontri, sul tema del vino. Gli artisti, ospiti dellafamiglia Planeta, sono stati i protagonisti di una sorta digrand tour siciliano a tappe che intende dare, attraver-so l’arte, una visione inedita del territorio. La mostra,curata da Raffaella De Pasquale (visitabile fino al 1luglio, tutti i giorni, ore 9-23.45, catalogo con testi diRoberto Alajmo, Vito Planeta, Sergio Troisi, fotografie diRiccardo Scibetta) racconta, attraverso 90 opere di gra-fica, pittura, scultura e fotografia, le impressioni e leidee degli artisti ospitati nelle residenze Planeta trasfor-mate in atelier. Ogni artista propone la sua personalewelthanschauung, declinando, attraverso la propriaarte, una visione unica che si confronta inevitabilmentecon quella dei compagni di viaggio. Juichi Yoshikawa(Fukuki, Giappone, 1953) ha rinnovato la tradizionalearte della calligrafia giapponese creando delle grandiinstallazioni. Ha realizzato una serie di disegni che siriallacciano alla tradizione calligrafica, ma colorati con ilvino rosso delle cantine Planeta. La pittura di AttilioBolzoni (Argenta, Ferrara, 1954) rievoca le atmosferedechirichiane, affrontando però la triste tematica del-

l’immigrazione clandestina. Antonio Miccichè (SanGiuseppe Jato, Palermo, 1966) presenta una serie diventi disegni a matita tratti da appunti fotografici, edue olii su tavola di cui uno rappresenta il tratto dell’au-tostrada in cui fu ucciso il magistrato Giovanni Falcone.Il luogo è riconoscibile all’istante grazie alla tecnica usa-ta, prossima ad una precisione quasi fiamminga. KuuttiLavonen (Helsinki, 1960) ha realizzato disegni e pastelliche dimostrano una grande passione per l’arte seicen-tesca e per il ritratto (nella foto una sua serigrafia).Giuseppe Colombo (Modica, Ragusa, 1971) dipinge ilpaesaggio siciliano con raffinato realismo pittorico. Haritratto il Lago Arancio, confermando con forza l’attua-lità della pittura nell’arte contemporanea. La fotografiaè presente con i lavori di Antoine Giacomoni (Borgo,Haute Corse, Francia, 1955), attento a svelare l’essenzadell’animo umano grazie ad una particolarissima tecni-ca da lui inventata. Anna Rosa Faina Gavazzi, artistamilanese, concilia l’uso della fotografia con quello dellapittura ad acquarello. Elisa Nicolaci (Palermo, 1977) pro-pone la sua opera scultorea che, nell’utilizzo di materia-li poveri, è accostabile ad alcuni lavori dell’artista tori-nese Marisa Merz o alle sculture in stoffa dell’artistafrancese Louise Bourgeois. Maria Pilar Saltini (Milano,1971) presenta le sue tele frutto dell’incontro tra figu-razione e astrazione pittorica. Uno scorcio caleidoscopi-co, dunque, sull’arte contemporanea, sulle potenzialitàcreative, e non soltanto vinicole, della terra siciliana.

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VIAGGIO IN SICILIAdi GIULIA SCALIA

Sette artisti e novanta opere tra grafica, pittura,scultura e fotografia, protagonisti allo Spasimo

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Una realtà fortemente contraddittoria, che si artico-la fra memoria del passato e prepotente futuro, è quel-la che emerge dalle opere esposte all’interno dell’espo-sizione “La Cina è vicina”, curata da Eva di Stefano eallestita fino al 1 luglio presso la Galleria Mediterraneaa Palermo. La mostra raccoglie opere di sette artistiappartenenti all’avanguardia cinese e nasce nell’ambi-to di un’indagine sulla situazione dell’arte contempora-nea in Cina effettuata dalla curatrice in occasione di unrecente viaggio a Pechino. L’impatto visivo per lo spet-tatore è di grande forza. Lo sguardo è catturato dallapotenza sprigionata dalle immagini, che impongono alvisitatore l’immersione affascinata e disorientante in unmondo di variegata ed inquieta complessità. É la storiache s’impone allo sguardo, per la peculiarità del reali-smo di questi artisti appartenenti alla generazione deglianni’60: un realismo forte e intenso, teso ad uno sguar-do critico sul reale, di cui vengono denunciate falsità emistificazioni; il linguaggio che lo sostanzia é fondatosulla propaganda ed influenzato dal Pop americano.Alcuni degli artisti hanno vissuto in prima persona i tra-gici eventi della repressione di Piazza Tiananmen (1989)e oggi si confrontano con il disagio ed il malessere diuna trasformazione sociale proteiforme ed incontrolla-ta, provocata dalla crescita dell’alienante modello con-sumistico all’interno del regime comunista. Zhang Dali,costretto ad abbandonare il paese dopo i fatti diTiananmen, attraverso dipinti, sculture, foto e installa-zioni fa emergere con forza icastica il tema dello sradi-camento dalle origini e della spersonalizzazione dell’in-dividuo di fronte al lacerante progresso metropolitano.Di drammatico impatto sono i calchi dei corpi nudi deilavoratori sospesi al soffitto. Lo stesso tema è raffigu-rato da Liu Bo Lin con l’installazione “La propagandacome la pubblicità”: figure umane in gesso, acefale, alli-neate. Le mani rosse di ogni “manichino” coprono gliocchi di quello che sta davanti, a simboleggiare la ceci-tà delle ideologie, così come la serie delle sue fotogra-fie (Scomparsi tra comunismo e capitalismo), in cui l’uo-

mo è completamente mimetizzato nello spazio urbano.Il potere della pubblicità, manipolazione dell’immagina-rio collettivo, è al centro della ricerca di Liu Xin Hua eWang Lang, tesa a svelare i paradossi dell’iconografiapropagandistica di epoca maoista: l’operazione dei dueartisti consiste nell’accostare foto d’archivio, per sotto-linearne l’aspetto grottesco e creare un effetto di stra-niamento. Anche Zhang Nian (illustratore e grafico)prende spunto dai momenti salienti della storia cineseper dipingere in grandi formati scene tratte dal reper-torio propagandistico ed enfatizzarle con un effettoflou. Con “Ricordi rossi” la pittrice Ren Hong (nella fotouna sua opera) ripropone la tematica della propaganda:sulle immagini che ritraggono la figura di Mao la pittri-ce sovrappone una fitta griglia di motivi decorativi. Inuna diversa ottica, invece, si pone l’opera di Sheng Qi,profondamente segnato dalla violenza repressiva diPiazza Tiananmen: in quel giorno perse il dito di unamano e “vide la speranza mutarsi in massacro” (Eva diStefano); una mano martoriata, sulla quale è stata inflit-ta una pena inaudita. Una ferita rosso sangue, un segnoindelebile nella memoria di un’intera generazione (Lamia mano sinistra). Un’immagine che ha l’impronta diuna forte denuncia sociale, che condanna ogni atto dioffesa e violenza sull’uomo.

La Cina dellecontraddizioni

di STEFANO CABIBBO

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Un efficace spaccato dell’artecontemporanea cinese in mostraalla Galleria Mediterranea

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Alzi la mano chi, appartenendo ad una certa gene-razione, non ha mai sognato di trovarsi nei panni

del migliore amico di Furia cavallo del west, chi non hamai se non chiesto almeno desiderato, sognato un ponycome regalo di compleanno! Il cavallo, simbolo di libertà,forza, eleganza e generosità, è frequentemente protago-nista - suo malgrado - di storie ignobili, ordite dai piùmeschini tra i rappresentanti del genere umano.Fotofinish (Edizioni Ambiente, 2007, 125 pp., euro 10)scritto dai palermitani Cacciatore, Palazzotto e Gebbia(nella foto in ordine da sinistra) racconta storie brutte,squallide, tristi, se non vere comunque verosimili. E’ unlibro duro, magari i tre racconti non sono quanto dimeglio i rispettivi autori abbiano mai scritto, soprattuttoin termini di corrispondenza tra toni e personaggi, ma ilbersaglio è centrato in pieno. Giacomo Cacciatore, Si chia-ma Passione: “…c’è la gara bella, con le regole, la sabbiamorbida e i ferri leggeri. E c’è quell’altragara…” dice il ragazzino al carrettiere.Alla sua splendida cavalla il piacere diaffondare gli zoccoli nella sabbia fresca emorbida di un ippodromo viene negato,perché è più facile e redditizio mortificar-la con una ferratura pesante, di quelleche si usano per l’asfalto, e farla gareg-giare la domenica mattina all’alba, in unostradone di periferia, dopo avere blocca-to abusivamente il traffico, dopo averleiniettato in corpo una abbondante dosedi “benzina” di quella buona. A chi impor-ta se poi le scoppierà il cuore? Al ragazzi-no? E da quando conta qualcosa quelloche importa o meno ad un ragazzino? Daquando la vita di un cavallo ha senso se non “porta sol-di”? Da quando una terra bella, piena di sole, di mare, diarte e cultura ha un qualche senso se non quello di “por-tare picciuli”? Che poi in effetti di un poco di arte, culturae paesaggio si può fare benissimo a meno, se “picciuli” nepossono arrivare di più. “Fotofinish” fa parte della collanaeditoriale “VerdeNero”, con cui Legambiente potenzia ilsuo impegno di “tonico delle coscienze” acquisendo unnuovo strumento, il libro. Oltre ai tre scrittori palermitanigià citati, la collana annovera collaborazioni di tuttorispetto: Carlo Lucarelli, Eraldo Baldini, Massimo Carlotto,Piero Colaprico, Marcello Fois, Sandrone Dazieri, GiancarloDe Cataldo, Niccolò Ammaniti. In pratica il gotha quasi alcompleto del giallo noir italiano. Obiettivo dichiarato del-l’operazione: “rendere maggiormente accessibile al pub-blico un fenomeno poco noto ma pericolosamente anni-dato nella quotidianità, con modalità e risvolti spesso

degni della migliore scrittura noir”. Con “VerdeNero”Legambiente vuole mettere sotto ai riflettori l’aggressio-ne al bene comune della “Ecomafia”. Con questa parolaappositamente coniata, Legambiente definisce l’interospettro dei fenomeni di criminalità ambientale, dal traffi-co e smaltimento illegale dei rifiuti, al racket degli anima-li, ai furti di opere d’arte, a tutto ciò che è cultura dell’af-fermazione dell’interesse privato a danno del bene comu-ne. Gery Palazzotto, Brutto stronzo amore mio: “Ti piacequesto vestito? L’ho preso ieri da Bettino….E’ il settimovestito nero che prendo da Bettino nel giro di un anno…”.Ciccio a diciotto anni è un ragazzino come tanti: una cel-lula staminale, non si sa ancora se diventerà un hippy oun ingegnere, dentro di se’ ha tutti i destini del mondo.Una cosa è certa, ha la gran fortuna di avere un padre tal-mente “toco”, talmente “giusto” che per la sua maggioreetà gli regala un cavallo! Un cavallo da corsa, nero, alto e

bellissimo. Davvero in gamba il signorSgroi, idraulico, papà di Ciccio. E infattiper la signora Mariella, sua moglie, lamamma di Ciccio, il signor Sgroi è uneroe d’altri tempi. E invece no. ValentinaGebbia, Anche i cavalli sognano?: “Unfantino ha il sesto senso per le cadute, elui non aveva fatto altro che il fantinoper tutta la vita, così lasciò andare ilcavallo, che si ammazzasse dasolo…L’uomo con gli occhiali venne aportargli uno zuccherino. Dentro eraamaro come al solito, ma forse era utilea far guarire tutto quel dolore che senti-va addosso, quindi lo masticò congusto…un fantino ha il sesto senso per

le cadute e quella, in fondo, era una caduta come un’al-tra. Tutto come previsto, tutto secondo copione. La fortu-na è bastarda e aiuta sempre chi è disposto a consegnar-le l’anima”. Re Ruggero è un cavallo da ippoterapia eAngelo un ragazzino “diversamente fortunato”, mongo-loide gli dicono. I due si incontrano e si vede subito chesono fatti l’uno per l’altro, ma qualcuno ha deciso che ReRuggero è nato per fare altro e che Angelo è solo un pic-colo mongoloide. Nelle storie di “Fotofinish” protagonistaè la bellezza. Poco importa che si tratti di cavalli, di giova-ni, di una città, di una terra bella e violentata. Tutte que-ste immagini, questi simboli sono equivalenti ed hanno lastessa valenza di protagonista. A tanta bellezza vieneregolarmente vietato di esistere, in ragione di una logicabrutale, avida e mafiosa, e la riflessione più amara, dopoaver letto queste storie, è che purtroppo in questo libroc’è ben poca retorica.

LIBRI

FOTOFINISH storie di straordinaria follia

di ANTONIO CASTIGLIA

Tre autori siciliani per altrettante storie sul mondo dei cavalli e delle corse clandestine

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IL CODICEPROVENZANO

DI TOMMASO GAMBINO

Pubblicato da Laterza e scritto da Salvo Palazzolo,giornalista, e Michele Prestipino, magistrato, “IlCodice Provenzano” (pagg. 332 - euro 15,00) è un librodi fatti, che ragiona sui fatti, ma che s’apre a numero-si perché. Anni passati al setaccio, dalle stragi all’ina-bissamento di Cosa Nostra, con un’appendice perdistricarsi tra i personaggi, che portarono anche alblitz dei poliziotti del gruppo «Duomo» a Provenzano ealla fine di 43 anni di latitanza. Un boss in piena attivi-tà al capolinea, ma che a tutt’oggi ha con sé l’autoritàdel padrino nel suo Codice criptato; forse anche inquella “Bibbia” più volte richiesta. La mafia è potenzadei segreti, più che gerarchia militare, di cui il capoindiscusso è l’unico conoscitore. Riformata, con ungruppo di fedelissimi, a partire da un casolare diMezzojuso, tra Agrigento e Palermo, la Cosa Nostradell’era Provenzano, con l’arresto di Totò Reina (1993),pone fine alla stagione di sangue e s’inabissa (c.d.“sommersione”). Provenzano è un attento osservatoredelle complesse dinamiche che intrecciano il lecito el’illecito e Binu u tratturi, accantonato l’impeto giova-nile impone i tempi del mediatore sociale, con uno sti-le comunicativo dello “scrivi come parli”, allusivo, sim-bolico, criptatato e (devotamente?) religioso: i pizzini,fogli trascritti a macchina, sigillaticon nastro adesivo, visibile soloper numero, fino a 164. Il sistemarelazionale, tra le righe, rivela unpaterno sovrano illuminato, unservitore (a suo dire) anche quan-do la decisione è presa, che cen-tellina saggezza con vocabolicome: calma, rettitudine, correttezza, coerenza, tantoda suggerire, in una missiva, il sistema delle tre proveper formarsi una verità. L’intangibilità dello Stato è il“virtuosismo provenzaniano” per far recuperare lacondizione destabilizzata, cioè la tranquillità sufficien-te a sviluppare affari e complicità; tra imprenditoria,politica e massoni. Dopo la stagione delle stragi la

riforma riesuma il vecchio Statuto (scritto!) di CosaNostra, che aveva dato a Provenzano aggio di com-prendere quanto fosse, per un mafioso, necessarioscrivere, ma al contempo amministrare con saggezzale parole consacrate sul foglio, per poi nasconderle esvelarle nel momento opportuno e prima che si tra-sformassero in condanna a morte. Tenendo a mente

questo il “pizzino” è un sistema dicomunicazione «arcaico ma sicu-ro, che però non è l’unico», comedice Prestipino, che ricorda comeMessina Denaro – boss trapaneselatitante – rivolto al padrino «indi-cava “l’altra via”, ovvero un altropizzino ancora rispetto a quello

della risposta ordinaria, per l’indicazione del nome delpolitico desiderato. Come se esistesse un livello di tra-smissione dei messaggi con un codice di sicurezza, piùelevato. E con postini ancora più riservati». Nell’altravia i pizzini indecifrati? La pista su nuovi patrimoniocculti? La risposta ai delitti eccellenti? E per un piace-re fatto a chi?

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Un libro di fatti e perchè che attraversa tutti i pizzinidell’ultimo padrino

Michele Prestipino: «il“pizzino” è un sistema di

comunicazione arcaico ma sicuro, che però

non è l’unico»

LIBRI

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Si potrebbe far altro nella vita quando si posseggo-no fantasia e talento: tentare la fortuna, rincorrerefacili e numerosi applausi, accattivarsi sorrisi di conve-nienza sfruttando il genio che spiazza le menti narcisi-ste, spesso addette alla gestione di umani soldatini infila. Insomma, poco ci vuole per far tutti fessi, soprat-tutto se manca una componente pericolosa: il corag-gio. Quello fa la differenza, condizione essenziale per ilsalto in avanti che, però, non sempre è garanzia di suc-cessi, ancor meno di ricchezza e fama. Lo sanno beneGianpiero Caldarella, Francesco Di Pasquale eLeonardo Vaccaro, ideatori del foglio satirico mensile

“Pizzino”, sottomarino mezzo d’informazione, analistaspietato di mafia e politica, oppositore indipendente alservizio di nessuno: “né pubblicità né padrini”. Nato nel2005, in soli due anni di stampa ha già una storia daraccontare e un buon futuro da preannunciare. Maprocediamo per passi. L’ottimo progetto grafico, datoalla luce da tre trentenni di spirito letterario e indolesperimentale, sembra non concedere riposo. Il carton-cino rigido infatti, piegato in quattro parti, è un percor-so di vignette e rubriche colorate e colorite che quasiosservano il lettore piuttosto che farsi scrutare. La“creatura” Pizzino non ti molla: come fosse uno scuoticoscienza scomodo ti invita ad intuire la realtà socialecon fare critico. Maltrattando un tema nuovo ognimese - già il numero d’esordio lanciava il “Pizzo-day”,provocatoria proposta di “democratizzazione del rac-ket” – i fatti scottanti dissotterrati dalla rivista sonostati numerosi: l’affare del ponte sullo stretto, le spiag-ge abusive ammattonate con cura, la malasanità, ilpotere della “munnizza”, tutti stretti dall’immancabilemafia, che per i valorosi autori sembra essere un chio-do fisso. Col passar dei numeri poi si è sconfinata lapossessiva isola. La faccia di Provenzano, divenuta zer-bino sul lato del foglio che ogni mese è un poster dacollezione, ha attirato le attenzioni della stampa nazio-nale. Citato anche da giornali e televisioni esteri (TagesAnzeiger, Tages Spiegel, il magazine “titel thesel tem-peramente”), Pizzino ha con orgoglio ricevuto nel 2006il 34° Premio Internazionale della Satira Politica di Fortedei Marmi. Per il foglio scrivono e disegnano importan-ti firme siciliane e non, come Sergio Staino, AntonioNorato, Sergio Nazzaro, Andrea Camilleri; il numerodegli abbonati (unico mezzo di sostentamento delgiornale) ha raggiunto i cinquecento. Da marzo inoltre Radio24 ha affidato a Caldarella unarubrica di satira (“U Pizzinu”), e l’ultima buona nuovada far girare è l’uscita del numero zero di “M”, perio-dico in allegato all’Unità, creato da Sergio Staino con lacollaborazione di Pizzino, che prima dell’autunnodiverrà un settimanale. Nel chiederci come mai l’unicarealtà satirica sicula di rilievo sia vista in Sicilia, citandouno dei suoi creatori, “un foglio semiclandestino”,scervellandoci su quali possano essere i motivi per cui,con elegante silenzio, molte edicole si siano rifiutate diesporlo, auguriamo a quest’idea lunga vita e grandepazienza, sperando che la satira riacquisti dignità in unpaese che più volte, così come con la mafia, l’ha defi-nita inesistente. Maggiori informazioni sul sitowww.scomunicazione.it

PIZZINO

di TONYA PULEO

Mensile di “satira, spammingcon sarde e affucanotizie”

LIBRI

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Tutto ha inizio nell’estate del 2006. Giulio Mozzi, pro-babilmente il miglior scrittore italiano di racconti, “agita-tore” culturale sul web e potente consulente editorialedella Sironi, si cava dalla tasca un’idea chiamata“Vibrisselibri” che definire sperimentale è già un limite: uneditore in rete e un’agenzia letteraria allo stesso tempo,che propone ai lettori e agli editori libri già finiti, sia nel-l’editing che nella grafica, pronti per essere scaricati estampati. L’obiettivo della nuova casa editrice è promuo-vere testi di qualità che non trovano il loro naturale sboc-co su carta. La particolarità dell’operazione è che su que-sti volumi “sommersi” viene fatto lo stesso lavoro edito-riale che sta dietro un libro vero: segnalazione ai critici epresentazione. Se grazie a questa sorta di grancassa uneditore decidesse di stampare il testo, Vibrisselibri tratte-rebbe da vera e propria agenzia letteraria le condizionidella pubblicazione. In questa avventura Mozzi è accom-pagnato da una banda di cinquanta persone, tutti lettoriaccaniti oltre che entusiasti. Balarm ha incontrato una diloro, Maura Gangitano, emergente scrittrice siciliana,autrice di un racconto dell’antologia “Voi siete qui. Sediciesordi narrativi” pubblicata da Minimum fax, nonchédirettrice della rivista Bombasicilia. «Promuoviamo librimostruosi. Per mostruosi intendia-mo quei libri che difficilmente arri-vano a essere pubblicati attraversoi canali tradizionali. Sono quei libriche hanno uno stile o un linguaggiomolto particolari, che affrontanotematiche inconsuete o comunquedifficili. Cerchiamo dei libri che siano necessari, che indi-chino nuovi modi di fare letteratura in Italia». Libri fuoridalla norma, dunque, lontani anni luce dalla scrittura diintrattenimento. Si potrebbe obiettare che quella ideatadi Mozzi è un’azione meritoria ed esemplare, ma troppolontana dall’ottica del profitto perseguita dalle case editri-ci operanti nella repubblica delle lettere. MauraGangitano dissente, e scuotendo il capo argomenta labontà del progetto. «Ci sono ottimi libri che vengono rifiu-tati dagli editori per diversi motivi (uno dei quali è, sem-plicemente, la mancanza di tempo da dedicare alla lettu-ra dei manoscritti). Vibrisselibri cerca di superare questa

deficienza dell’editoria letteraria dando spazio a questeopere attraverso il lavoro di casa editrice e quello di agen-zia letteraria (lo slogan, infatti, è: “La carta non è tutto, maaiuta”)». Le prime quattro pubblicazioni in rete hannoaffrontato due argomenti molto forti: la nera stagionedegli anni di piombo e l’infanzia violata. Vicende tristi che

anche quest’anno hanno trovatospazio nelle cronache, ma è l’ultimonato di Vibrisselibri che ci pareun’operazione di vera avanguardia.«E’ appena uscito “Appuntamentocol notaio / Paura della notte” (nel-la foto la copertina), una raccolta di

racconti in versi di Alessio Pasa. In questi racconti si par-la del ménage di una famiglia come tante altre che peròsi scopre piena di segreti: si parla di una figlia che inseguecolui che crede suo padre, di un diciottenne del Nord-est,di un uomo e una donna che chiudono una stagione amo-rosa con un discorso che sa di rancore, nostalgia e ricor-do. Pasa parla di piccoli fatti quotidiani attraverso la poe-sia, dipinge una qualsiasi vita comune facendola diventa-re un emblema. La scelta di raccontare in versi questestorie, oggi, non può dunque che definirsi “mostruosa”».Lettori, scrittori, editori, basta visitare il sito internetwww.vibrisselibri.net

VIBRISSELIBRI

di SAVERIO PULEO

Un editore in rete e un’agenzialetteraria allo stesso tempo

«Cerchiamo libri che sianonecessari, che indichino

nuovi modi di fare letteratura in Italia»

LIBRI

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A vederlo di presenza, con la sua aria di eternogiovanotto aristocratico, sembra che per lui il

tempo si sia fermato. E invece sono passati più ditrent’anni da quando Wim Wenders, insieme agli altriautori del Nuovo Cinema Tedesco, regalò al propriopubblico una serie di memorabili film divenuti prestodei cult di riferimento per quella generazione e per lesuccessive. A differenza dei folgoranti ed eversivikammerspiel di Fassbinder e delle oniriche incursioninel mito compiute da Herzog, le opere di questogeniale cinefilo che volle farsi filmmaker sono soprat-tutto delle meditate esplorazioni di luoghi, identità eprospettive di futuro, alla ricerca di quel che rimanedell’uomo e del suo bisogno di conoscenza, delle suepulsioni come delle ataviche e rinnovate sue paure.Entrare nel mondo di Wenders significa imparare aseguirlo lungo le rotte dei suoi “falsi movimenti”, deisuoi viaggi interiori durante i quali è possibile rintrac-ciare i paesaggi eletti del cinema classico (magariquelli del suo amato Nicholas Ray) unitamente agliscenari trasfigurati di un presente degradato. La sorpresa è che, oggi, dopo tante escursioni al ter-mine del mondo, fra le città da raccontare ci sarà pre-sto per lui anche la nostra Palermo. L’annuncio delnuovo progetto cinematograficodi Wenders è stato dato lo scorso11 maggio, nella preziosa corni-ce di Palazzo Comitini, alla pre-senza del Presidente dellaProvincia Francesco Musotto edell’assessore al TurismoSalvatore Sammartano. Non sap-piamo se “Palermo Story” siasolamente un titolo provvisorio che perentoriamenterimanda al suggestivo sconfinamento nello spazio-tempo di Lisbona, la wendersiana storia di qualcheanno fa. Sappiamo per certo invece che il nuovo filmci racconterà delle inquietudini di un berlinese di mez-za età, deciso a dare un taglio netto al proprio passa-to, arrivato a Palermo dove giocoforza consumerà letappe di una vera e propria rigenerazione attraversola conoscenza di una giovane donna, Maria, destinataa divenire la sua musa amorosa. A traghettare ilnostro autore alla ricerca dei suoi personaggi, sullastrada che da Düsseldorf lo (ri)condurrà in Sicilia, saràcome Caronte il suo eletto direttore della fotografiaFranz Lustig (complice già sperimentato per i recenti“Non bussare alla mia porta” e “La terra dell’abbon-danza”) e come Virgilio un non ancora indicato scrit-tore col compito di curare i dialoghi del film. Ma che

Palermo sarà quella di Wenders? Somiglierà allamegalopoli metafisicamente globalizzata, ma ancoracapace di lasciar maturare le proprie tradizioni, di“Tokyo-Ga”? In quel capolavoro, il regista tedesco rin-tracciò un magico paradigma legando il paesaggiopost-moderno della capitale orientale all’esperienzavisionaria del grande Yasujiro Ozu. Oppure, in“Palermo Story” scopriremo, con gli occhi di un’Aliceassai più disincantata, il deserto di una città laceratacol suo sgradevole ventre molle? Di certo, le epifaniedi Wenders, dai tempi di “Alice nelle città” e “Nel cor-so del tempo”, attraverso “Hammett” e “Nick’s Movie”e “Il cielo sopra Berlino” fino agli ultimi struggentiroad-movie, si consumano nell’attesa di una possibilealba dell’uomo rinnovato (annunciata come proble-matica nel libello fantascientifico “Fino alla fine delmondo”) e nell’auspicio di una futuristica resurrezio-ne del cinema dato esorcisticamente per morto, com-plici le nuove tecnologie leggere buone a raccontareuna realtà sempre più pesante e privata di poesia.Palermo potrebbe essere la contemporanea città invi-sibile della nuova utopia post -umanistica, il laborato-rio delle più urgenti sintesi tra vecchio e nuovo. ForseWenders pensa la nostra città come un crocevia di

tensioni liberatorie, come loscheletro di un animale mitologi-co che, una volta andato in pez-zi, si possa poi ricostruire anostro piacimento. Siamo sicuriche per la sua storia morale, egliuserà tutta la grazia, maturatacon graduata consapevolezza,dell’autore intenzionato a risco-

prire luoghi e persone con lo sguardo incontaminatodel bambino che si ostina ed essere tale. A dispettodella sua vocazione apocalittica, l’autore de “I fratelliSkladanowsky” (magnifico film sulle origini dei film),ci restituirà la vocazione cinematografica di Palermo,il suo consegnarsi docile persino all’implacabile dive-nire del degrado... Ma perché fare tante previsioni econgetture? La “Palermo Story” che vedremo egodremo sarà prima di tutto un film imprevedibil-mente spiazzante. E, ci auguriamo, sarà l’occasione disognare ad occhi aperti il cielo sopra di noi e la terrasotto i nostri piedi, la Palermo che vorrebbe essere enon è, romanticamente visitata dalla concretezza diun cinema purissimo in grado di tradurre in immaginiil desiderio del giovane vecchio Wenders che avrebbevoglia di rifare il mondo.

CINEMA

“La Palermo Story che vedremo

e godremo sarà prima di tutto un film

imprevedibilmente spiazzante”

WIM WENDERS

di FRANCESCO PUMA

Il regista tedesco, ospite a Palazzo Comitini, ha annunciato che“Palermo Story” sarà il titolo del suo prossimo film

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Marco Amenta è il giovane regista palermitano cheha girato “Il fantasma di Corleone”. Film prodotto dallacasa di produzione fondata dalla sorella, la “Eurofilm”, evari partner europei. Rimaneggiato più volte, “Il fanta-sma di Corleone” era stato prima “L’ultimo padrino”, neesiste una versione corta, una lunga, persino una docu-fiction, fino ad approdare al documentario. Ora il regi-sta palermitano ci prova di nuovo, riprende in mano ilsuo lungometraggio del 1997, vincitore di 22 premiinternazionali: “Diario di una siciliana ribelle”. Girato perle tv, è un documentario sulla vita di Rita Atria, dicias-settenne siciliana che decise di denunciare il sistemamafioso ai magistrati e che morì suicida dopo gli atten-tati a Falcone e Borsellino. «Penso sia una storia univer-sale di rottura contro la mafia, una storia anche diemancipazione femminile – ha tenuto a precisareAmenta - “Diario” era un film per la televisione, il cine-ma ha una diffusione più larga, mondiale, può raggiun-gere quelle fasce di pubblico più giovani. Sarà un thril-ler per tutti, come “Il padrino”, come i film di Scorsese,ma con valori molto forti». Marco tornerà quindi a gira-re in Sicilia, è molto speranzoso riguardo la disponibilità

dell’isola ed è entusiasta all’idea di poter sfruttare laforza dei nostri paesaggi. «Voglio fare un cinema-veritàcome Rossellini» - ha affermato. Anche se ancora non siconosce il volto della protagonista (che sarà un’esor-diente poiché si cerca un “vero animo siciliano”) sappia-mo già che il ruolo del giudice sarà interpretato da unattore francese. Sarà una co-produzione tra Eurofilm,l’R&C di Tilde Corsi, la Roissy Films e Rai-Cinema. Anchestavolta, come per “Il fantasma”, il progetto è statoapprovato dal Ministero per usufruire del finanziamen-to e la Eurofilm beneficerà dei fondi europei. Sperandoche abbia più fortuna del precedente lungometraggioche, dopo anni trascorsi tra varie difficoltà tecniche epratiche, è uscito nelle sale nel 2006, distribuito dallaPablofilm di Gianluca Arcopinto, in sole 7 copie.Nonostante i premi e la pubblicità data dalle censure, lapellicola, non ha riscosso un grande successo. Vuoi peri problemi avuti con la distribuzione, vuoi per l’arrestodi Provenzano che coincise con l’uscita del film renden-dolo datato prima ancora dell’esordio in sala. MaAmenta si ritiene soddisfatto: «Abbiamo chiuso in posi-tivo, considerando che era un film a piccolo budget,senza pubblicità, tutte le difficoltà avute, è stata unadiffusione medio-alta. Ha vinto numerosi premi ed èstato venduto a diverse tv estere. E poi abbiamo avutoun’ottima distribuzione DVD-Rizzoli con Libera e abbia-mo ottenuto anche una nomination ai nastri d’argento».In attesa dell’inizio delle riprese del nuovo film, Marcoporta avanti altri progetti, impegnati su più fronti. Stagirando un documentario in sud-America su Chavez, la

storia di un contadino che siribella alle riforme dei latifon-disti, una storia di lotta prole-taria. Dopo la riconferma asindaco continua a lavoraresul film sul primo cittadino diGela e avendo comprato idiritti del libro “Il banchieredei poveri” di Junus, premionobel per la pace, ha ottenu-to il finanziamento per svilup-parne una sceneggiatura.Marco Amenta infatti spera dipoter svegliare le coscienze,far sapere le cose che non sisanno, cambiare il mondograzie ai suoi film e dichiara:«Il giorno che scopro che nonserve, cambio lavoro».

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Dal regista del “Fantasma diCorleone” un film su Rita Atria di LAURA MAGGIORE

CINEMA

MARCO AMENTA

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Dario, 26 anni, istruttore di fitness, segni parti-colari: “strega”. Davanti a me non ho una fattuc-

chiera dal naso bitorzoluto, ma un entusiasta seguacedella Wicca l’antica religione basata sulla sacralità del-la Natura. «Per noi strega è un termine neutro, validoper entrambi i sessi» spiega il nostro referente «derivadal sassone e significa donna saggia, legata agli atavi-ci misteri degli elementi cosmici». La “magia” dei wic-can consiste nell’utilizzare le energie naturali per crea-re un cambiamento desiderato, in armonia conl’Universo e tutti gli esseri viventi. Divulgato da GeraldGardner nel 1954, questo movimento neopagano (acontatto con la natura) conta nel nostro paese circatremila adepti, con diverse credenze e tra-dizioni. «Noi siamo wiccan solitari, senzacongreghe gerarchiche e maestri, ognunoè sacerdote e tempio di se stesso» informaDario, presidente dell’associazione pagana“Anima Mundi”, fondata a Palermo nel2005. «Oltre gli otto soci fondatori, sonouna sessantina i partecipanti alle nostreattività. Molti sono di passaggio, affascina-ti dal modello trendy proposto dai recentitelefilm sulla stregoneria». «La Wicca èancestrale ma estremamente moderna per il suo mes-saggio ecologico - afferma Daniela, 36 anni, dirigente.- Non contiene rigidi dogmi, libri sacri e rivelazionidall’Alto. Le nostre divinità personificano le energienaturali, nel duplice aspetto del Principio Femminile eMaschile». Nell’equilibrio degli opposti ben raffiguratodallo Yin/Yang orientale. I Figli della Dea locali sonomolto eterogenei: studenti e professionisti di ognifascia d’età, attratti dal rispetto delle differenze perso-nali, assenza di misoginia e impegno ambientale. Il cre-do pagano implica anche una percezione del tempodiversa, non unidirezionale ma circolare, nel continuosusseguirsi di nascita-crescita-morte-rinascita. Si cele-brano così le stagioni secondo la Ruota dell’anno, checontempla otto feste cardine dette Sabbat, e trediciminori, gli Esbat, festeggiamenti collettivi al chiaroredella luna piena. Danze, canti e oggetti rituali accom-pagnano le cerimonie, tra cui l’iconografica scopa disaggina utilizzata per “spazzare” via le negatività. «Manon sono indispensabili, lo strumento magico piùimportante è la propria testa, il corpo ne è l’altare»puntualizza Dario. Per promuovere la spiritualità wic-ca, “Anima Mundi” organizza periodicamente seminariteorico-pratici, conferenze, viaggi sciamanici, incontriconviviali come i Pagan moot, che si tengono ogni ulti-mo sabato del mese, alle 17.30, presso il Caffè lettera-

rio “I Malavoglia” (piazzetta Speciale 5). Le iniziative dipunta del 2007 saranno “Il tour pagano della Sicilia” edil workshop residenziale “Il canto della sirena: storiesacre di uomini e donne” curato dall’Alta SacerdotessaStarhawk, per la prima volta in Italia. La tappa palermi-tana sarà l’unica prevista e si articolerà dal 28 al 30 set-tembre. «Non facciamo proselitismo» sottolineano imiei interlocutori. La Wicca rifiuta ogni forma manipo-lativa e di bigottismo religioso. Niente pecorelle smar-rite da recuperare, ma liberi pensatori che rivendicanoil diritto al loro culto senza interferenze, come sancitodall’articolo 8 della Costituzione Italiana. Per fugare glistereotipi negativi sulla stregoneria, ogni anno a set-

tembre si svolge Il “Pagan Pride Day”, la giornata del-l’orgoglio pagano, un evento che tocca contempora-neamente circa 153 località nel mondo, Roma inclusa.Al bando dunque superstizioni, sette sataniche, sortile-gi e ciarlatane predizioni divinatorie. «Non crediamonell’esistenza di angeli salvifici e demoni tentatori»conferma il presidente «il male non è un’entità a cuidare la colpa per le nostre azioni, noi soli ne siamo iresponsabili». E’ il libero arbitrio a determinare il pro-prio sentiero, per la regola “causa/effetto” del Karma.Come dire “Si raccoglie ciò che si semina…” Non solo,secondo la Legge del Tre tutto ciò che è fatto, torna tri-plicato; sia nel bene che nel male. Questo è uno deiprecetti della Rede, la guida morale wicca, la cuisostanza si racchiude nella formula: “Fai ciò che vuoi,finché non nuoce a nessuno!”. «L’amore è l’energiache muove il mondo» sostengono le mie streghe «e lasessualità la più potente delle magie». Da esprimeresenza tabù e pregiudizi. Visione decisamente più prag-matica per il matrimonio: al “finché morte non vi sepa-ri” viene contrapposta la più “realistica” promessa diun anno ed un giorno, rinnovabile o meno alla scaden-za. «Per me è un bel modo di affrontare la vita, conmolto umorismo» conclude Daniela. Che sia questo ilvero Graal? Maggiori informazioni sul sito dell’associa-zione www.animamundi.tk.

COSTUME

WICCA, streghe “secondo natura”

di BARBARA RANDAZZO

Una sessantina gli “adepti” palermitani: studenti e professionisti di ogni fascia d’età

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Poche regole e tanta improvvisazione. L’uomo gui-da la donna attraverso il linguaggio corporeo e lei losegue, si abbandona alla sua richiesta. L’estro che sfo-cia nella sensualità dei movimenti e dei corpi che silegano. E’ una danza, un’arte. E’ il tango. Restareindifferenti è impossibile perché il tango ha il potere disuscitare forti passioni nell’animo sia di chi osserva, dichi canta o di chi danza. In pista non si assiste ad unasequenza di passi predefinita. I ballerini, attraverso laloro fantasia, danno vita ad un ballo elegante e appas-sionato che prende forma passo dopo passo. A parla-re è il corpo. E’ questa la caratteristica principale deltango. L’incontro tra i corpi e il godere l’uno dell’altroin modo diretto. Nato a Buenos Aires e Montevideonella seconda metà dell’800, il tango iniziò a sottrarrespazio alla polca e al valzer diffusi in Europa nei primidel Novecento. La particolarità di questa danza è evi-dente anche per lo strumento che utilizza durante lesue esecuzioni, il bandoneon, una sorta di fisarmonicadi legno che cambia la nota a seconda se il mantice ècompresso o dilatato mentre gli altri strumenti utiliz-zati suonano forti accenti di battuta. Inizialmente iltango si affermò come musica popolare a BuenosAires ma i grandi autori come Solanas, Cobìan e LePera, ne fecero una musica nazionale. Oggi, grazie aimaestri che portano in giro per il mondo questa dan-za e ai numerosi allievi, il tango è una realtà interna-zionale. A Palermo sono diverse le associazioni e lescuole che organizzano stage, spettacoli e la milonga(il luogo dove si balla il tango argentino) è sempre piùfrequentato da esperti e meno esperti. Tra le realtàpiù radicate citiamo l’associazione PalermoTangofondata nel 2000 da Agostino Cucchiara, GloriaGuccione e Adriana Dalpozzo, mentre dal 2001 è pre-sente l’associazione ColorTango fondata da MauraLaudicina a Maurizio Maiorana e quella di SilvinaLarrea y Pablo Pouchot, ballerini professionisti emaestri argentini di Buenos Aires. Inoltre, dal 2002,esiste un festival internazionale del tango, il “SiciliaTango Festival”, ideato da Maura Laudicina che ha

anche presentato in anteprima mondiale a BuenosAires “La Selva Oscura”, un documentario che affron-ta il tema del tango e della dittatura argentina. Tra gliartisti palermitani che si sono ritrovati nel tango,anche Maurizio Maiorana che nel 2003 ha fondato ilCuarteto Palermo, l’unica formazione del Sud Italiadedita al tango cancion (lo stile inventato da CarlosGardel, n.d.r) sia come musica d’ascolto che da ballo.Il tango dunque nasce a Buenos Aires ma non è uncaso, forse, che Palermo abbia aperto le porte a que-sta danza sensuale. A Buenos Aires, infatti, il nomedella nostra città si sente e si legge dovunque, dallecase del tango ai caffè antichi. Nella grande metropo-li argentina, Palermo è un barrio popolare, polo d’at-trazione per artisti e gente famosa, affollata da scrit-tori e divi del cinema. Il “Barrio Palermo” si estendeper oltre 900 ettari dalle rive del Mar Rio de la Platafino a Buenos Aires e il suo nome è simbolo di raffina-tezza. Ed è in questo barrio, a noi così familiare, che sipuò trovare lo spirito bohemio y creativo, gustare ilmiglior vino o assistere al miglior tango.

Palermo comeBuenos Aires

di VALENTINA CUCINELLA

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Nella metropoli argentina,Palermo è un barrio popolare

COSTUME

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Quanti di noi sanno cosa sia la New Age, come ven-ga effettuata la liposuzione o, ancora, quali siano gliobiettivi di Green Peace? Termini di uso quotidianoavvolti nella nebulosa. Ci sono, poi, le mode, che contri-buiscono a diffondere le parole, ma non a chiarirne icontenuti. Una gentile signora, proprietaria di un’azien-da avicola, mi disse, con molta professionalità, che il suoera un allevamento biologico. Quando le ho chiesto chetipo di mangimi usasse, perplessa mi ha risposto: “E cchic’ientra? Cci rissi biologgico, ‘unn’ u viri ca sunnu tuttevive! Cchiù biologgico r’accusì?” Un’altra volta unmastru affermò che il suo era grano biologico: concima-va con lo sterco. Salvo poi scoprire che spruzzava anti-parassitari. “Ma chi cc’ientra, cciù spruzzu ri supra, micarintra!” Cose che succedevano quindici anni fa. Per for-tuna si sta diffondendo una maggiore consapevolezza esensibilità, grazie anche a movimenti che propongono

modi alternativi di nutrirsi.Mens sana in corpore sanorecita una famosa massi-ma, apprezzata, ma conun’aggiunta: cum cibosano. Cosa quanto mainecessaria oggi che le indu-strie agroalimentari, conl’ausilio delle biotecnologie,hanno sviluppato la produ-zione di Ogm, organismigeneticamente modificati.Si è posto il problema dellasicurezza per l’ambiente eper la salute dei consuma-tori. Insomma non è piùpossibile commercializzareOgm e poi contare disastri,morti e feriti. Si è capitoche, forse, era meglio veri-ficare la pericolosità di queiprodotti prima di diffonder-li, che era necessario assi-curarsi che i rischi fossero

nulli o contenibili.Purtroppo, neanche a dirlo,questi controlli si scontranocon gli interessi dei paesitecnologicamente piùavanzati. I paesi in via disviluppo, che, per lo più,sono gli importatori, chie-dono garanzie e l’istituzio-ne di norme di sicurezzache limitino il trasferimentodi Ogm oltre i confini. I pae-si dell’UE hanno una posi-zione intermedia: chiedonol’imposizione dell’obbligod’informazione e quindi dietichettatura, così da ren-dere consapevoli gli acqui-renti. Ma, chissà come mai,gli USA si oppongono. Non solo non vogliono dif-ferenziare i prodotti transgenici da quelli naturali, mapretendono che in caso di sciarre commerciali, gli accor-di sugli Ogm vengano subordinati alle regoledell’Organizzazione Mondiale del Commercio, che nonriconosce nessun ostacolo alla libera commercializzazio-ne di tali prodotti. Come a dire: “S’iddu ‘nni sciarriamo,le regole non valgono più e io esporto ‘nzoccu mi con-viene!” Alias Ogm! Sfruttando questa libertà gli USAhanno fatto ricorso contro il divieto dell’UE di importarecarne statunitense, arricchita di ormoni. “’Un t’ha a sid-diari, ma noi europei non abbiamo bisogno dei vostriormoni, che ci fanno male assai, noi ce li abbiamo gran-di quanti omoni, che ci facciamo l’appello!”. Il ricorso è stato vinto, da loro, e l’UE è stata multatadall’Organizzazione Mondiale del Commercio. Abbiamocapito che certi omaggi non si possono rifiutare. Oggi gliUSA consentono agli altri paesi di adottare delle precau-zioni, a cui loro non aderiscono. Morale della favola: gliOgm americani saranno difficilmente etichettati e rico-noscibili. Per fortuna in Italia, grazie a Santa Rita, la san-

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ta dell’impossibile che ci mise ‘a mano, le leggi sonodiverse. Le etichettature seguono regole chiare: la dici-tura “da agricoltura biologica” posta nella denominazio-ne di vendita, si riferisce al caso in cui almeno il 95%degli ingredienti sia biologico. Il secondo caso è quello incui non è ammessa la dicitura “agricoltura biologica”nella denominazione di vendita masolo nell’elenco degli ingredienti,con obbligatoria la dicitura “x %degli ingredienti di origine agricolaè stato ottenuto conformementealle norme della produzione biologica”. La percentualedi ingredienti di origine biologica non deve essere infe-riore al 70% e i restanti ingredienti devono essere com-presi nelle liste positive comunitarie che certificano iprodotti ammissibili. Il terzo caso è quello della dicitura“prodotti in conversione all’agricoltura biologica”,ammessa per prodotti con un solo ingrediente di origi-ne agricola coltivato da almeno dodici mesi in conformi-tà alle norme di produzione biologica. Anche in questo

caso i restanti ingredienti dovranno essere compresinelle liste positive. Inoltre per essere definito “prove-niente da agricoltura biologica” un prodotto deve esse-re ottenuto in terreni che abbiano superato un periododi conversione - alla coltivazione biologica - della dura-ta di almeno due anni per colture annuali e tre anni per

le colture perenni. Ogni etichettadeve anche obbligatoriamenteregistrare la sigla dell’organismo dicontrollo (sigla dell’Italia seguita datre lettere IT XXX), il codice del pro-

duttore e il codice del prodotto. Purtroppo i prezzi deglialimenti biologici ancora non sono concorrenziali e lefamiglie si trovano costrette a cercare mediazioni, spes-so frustranti. Per fortuna molti supermercati hannocreato delle linee bio, che essendo di larga diffusionecontengono i prezzi. Ma l’ideale sarebbe avere un rap-porto diretto con i produttori locali, creando dei circuitialternativi alle solite filiere, che inevitabilmente penaliz-zano il consumatore.

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Bio… logico no?Mens sana in corpore sano recita una famosae apprezzata massima, ma con un’aggiuntaparticolare: cum cibo sanodi LETIZIA MIRABILE

Oggi molti supermercatihanno creato delle lineebio dai prezzi contenuti

CIBO

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ALESSANDRO BARICCOSILKMONDADORI, PP 189EURO 14

L’ultimo libro di AndreaCamilleri lascia dentrodelle immagini vivide epersistenti: le descrizionidegli ambienti e dei per-sonaggi con le loro storiee la loro umanità.Ripescando fra i ricordiletterari, cercando frapagine altrettanto gene-rose di sensazioni qualealtro scrittore siciliano inpassato avesse trasmes-so con la stessa intensità emozioni e immagini,tra tutti è emerso Giovanni Verga. Ne “La pensio-ne Eva” infatti (Mondadori, pp 189, euro 14),come in tutti i romanzi del filone storico dell’au-tore empedoclino, i luoghi, i sapori, i paesaggi,uomini, donne e le loro tragiche vite sonodescritte con una efficacia ed una profondità chesi ricorda solo nel Verga verista. Toni diversi,momenti storici non confrontabili, sono innume-revoli le differenze tra i due autori, ma c’è un filoche li lega: entrambi “disegnano” le loro storie ei loro protagonisti con tratti indelebili. “La pensio-ne Eva” racconta le vicende che ruotano attornoad una casa d’appuntamenti, sullo sfondo laseconda guerra mondiale e l’imminente sbarco inSicilia degli alleati. I personaggi sono giovani efocosi maschi siculi, bellissime “signorine”, spre-giudicati imprenditori del sesso, preti, politici,nobili spiantati, giovani innamorati... l’umanità,ancora una volta protagonista assoluta. La pen-sione Eva è un luogo magico, una specie dimacroscopico Aleph, una sorta di tempio nellecui vicinanze sembrano concretizzarsi dei veri epropri miracoli, un luogo nel quale l’amore sem-bra essersi rifugiato in tempi duri e violenti.Questo luogo attira Nenè, uno dei giovani prota-gonisti, e i suoi “compagnuzzi”, condizionando leloro esistenze con un potente magnetismo.romanzo è come sempre piacevole e anche trop-

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Secondo lei, qual è il dovere di un artista “dotatodel verbo e del discernimento” nei confronti delsuo pubblico, oggi, nel nostro paese?frutto di un fatto di cronaca che io rendo irriconosci-bile». frutto di un fatto di cronaca che io rendo irrico-noscibile».frutto di un fatto di cronaca che io rendoirriconoscibile».frutto di un fatto di cronaca che iorendo irriconoscibile».frutto di un fatto di cronaca cheio rendo irriconoscibile».frutto di un fatto di cronacache io rendo irriconoscibile».frutto di un fatto di cro-naca che io rendo irriconoscibile».Vuole davvero dare un dolore al suo pubblico?Vuole davvero privarci di Montalbano? «Come ho gia spiegato non ho nessuna intenzione difar morire il Commissario Montalbano. Ho solo trova-to una soluzione letteraria per l’ultimo Montalbano, èun romanzo che ho scritto e consegnato all’editoreSellerio. Sarà l’ultimo romanzo del commissario e nelfrattempo ce ne saranno degli altri».Possiamo sapere cosa verrà dopo “La pensioneEva”?«Il 20 aprile uscirà per la Sellerio “La vampa d’ago-sto”, il nuovo romanzo del CommissarioMontalbano».«Il 20 aprile uscirà per la Sellerio “Lavampa d’agosto”, il nuovo romanzo del CommissarioMontalbano».«Il 20 aprile uscirà per la Sellerio “Lavampa d’agosto”, il nuovo romanzo del Commissario.Una posizione privilegiata per un osservatored’eccezione. Cosa vede?«Certe volte vedo chiaro e certe volte vedo scuro».«Le mie storie, se si tratta di romanzi storici, nasconosempre da uno spunto storico, se si tratta di romanzio racconti del Commissario Montalbano sono semprefrutto di un fatto di cronaca che io rendo irriconosci-bile».Secondo lei, qual è il dovere di un artista “dotatodel verbo e del discernimento” nei confronti delsuo pubblico, oggi, nel nostro paese?«Nessun dovere nei confronti nel pubblico, il dovere èsolo nei confronti di me stesso di scrivere quello chepenso nel modo migliore possibile».«Come ho gia spiegato non ho nessuna intenzione difar morire il Commissario Montalbano. Ho solo trova-to una soluzione letteraria per l’ultimo Montalbano, èun romanzo che ho scritto e consegnato all’editoreSellerio. Sarà l’ultimo romanzo del commissario e nelfrattempo ce ne saranno degli altri».sto”, il nuovo romanzo del CommissarioMontalbano».«Il 20 aprile uscirà per la Sellerio vampad’agosto”, il nuovo romanzo del Commissario

CIBO

«Non so, penso che scrivere in prima persona siaalmeno per ciò che mi riguarda estremamenterischioso per l’inevitabile e anche inconscio coinvolgi-mento del narratore nella storia narrata. La terza persona consente non solo un’estremaoggettività del racconto ma anche la possibilità discelta, di messa a fuoco di un personaggio, di unasituazione a volta a volta indifferente».Nonostante non ci sia alcun dubbio sulla sua“sicilianità”. Una posizione privilegiata per unosservatore d’eccezione. Cosa vede?«Certe volte vedo chiaro e certe volte vedo scuro».«Le mie storie, se si tratta di romanzi storici, nasconosempre da uno spunto storico, se si tratta di romanzio racconti del Commissario Montalbano sono semprefrutto di un fatto di cronaca che io rendo irriconosci-bile».il dovere è solo nei confronti di me stesso di scriverequello che penso nel modo migliore possibile».Vuole davvero dare un dolore al suo pubblico?Vuole davvero privarci di Montalbano? «Come ho gia spiegato non ho nessuna intenzione difar morire il Commissario Montalbano. Ho solo trova-to una soluzione letteraria per l’ultimo Montalbano, è

un romanzo che ho scritto e consegnato all’editoreSellerio. Sarà l’ultimo romanzo del commissario e nelfrattempo ce ne saranno degli altri».Possiamo sapere cosa verrà dopo “La pensioneEva”?«Il 20 aprile uscirà per la Sellerio “La vampa d’ago-sto”, il nuovo romanzo del CommissarioMontalbano».«Il 20 aprile uscirà per la Sellerio “Lavampa d’agosto”, il nuovo romanzo delCommissario.«Non so, penso che scrivere in primapersona sia almeno per ciò che mi riguarda estrema-mente rischioso per l’inevitabile e anche inconsciocoinvolgimento del narratore nella storia narrata. La terza persona consente non solo un’estremaoggettività del racconto ma anche la possibilità. Una posizione privilegiata per un osservatore

d’eccezione. Cosa vede?«Certe volte vedo chiaro e certe volte vedo scuro».«Le mie storie, se si tratta di romanzi storici, nasconosempre da uno spunto storico, se si tratta di romanzio racconti del Commissario Montalbano sono semprefrutto di un fatto di cronaca che io rendo irriconosci-bile». frutto di un fatto di cronaca che io rendo irrico-noscibile».

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“SILK”, l’ultimo librodello scrittore siciliano tra spiaggie e mandarini

Intervista adAlessandro Baricco

di ANTONIO CASTIGLIA

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Per lui: dicesi “cozza” fanciulla dinon bello aspetto, che ha un’unica ric-chezza, un’amica che fa seccare lecannarozza. In genere la fanciulla èsaggia, guardinga, di notevolissimoacume, detiene un potere straordina-rio, spesso inconsapevole: ha la fidu-cia incondizionata della squinzia daarpionare. Ciò significa che per arriva-re alla preda occorre lavorarla bene.Per lei: preziosa amica, molto sveglia,i cui consigli sono spesso fondatiavvertimenti contro manovre di avvi-cinamento a tenaglia. Occorre tener-sela cara, ingraziarla con incoraggia-menti che potenzino le sue enormiqualità. (2) f. s. mitilo che vive sugliscogli, la cui preparazione può aprireinteressanti trattative riguardo gli svi-luppi di relazioni fra rappresentanti dicategorie diverse… Nota anche comeafrodisiaco frutto di mare. È opportuno lavorarlebene. La scelta è molto importante. Così come lapulizia. Se sono cozze di allevamento basta lasciarlein acqua per un’ora, sciacquarle e cuocerle, se sonocozze di scoglio, le più buone, si faticherà di più per-ché non solo si devono togliere iparassiti, le incrostazioni bianchea forma di cratere, con l’appositocoltellino, ma si dovrà togliereanche la barbetta tirandola versol’alto. Una volta pulite si offronovarie versioni: una vuole che sicuociano le cozze a fuoco vivo inun tegame dai bordi alti con ilcoperchio insaporendo con unfilo d’olio extra vergine e abbondante aglio, shake-rando dall’alto al basso, per facilitare l’apertura deigusci. Bastano pochi minuti ed è pronta l’impepata.Tocco finale: una bella cafuddata di pepe nero e apiacere spicchi di limone. Un’altra versione, piùcamurrusella, vuole che le cozze una volta scoppia-

te, seguendo la ricetta precedente, vengano toltedai gusci, anche se non è necessario - io per esem-pio non lo faccio mai- e tenute in caldo. Il sugo rima-sto va filtrato e conservato. Nel frattempo si imbion-disce qualche spicchio d’aglio con l’olio extra vergi-

ne e si uniscono i pomodori pela-ti, si fa cucinare per un quartod’ora, il tempo che i pomodori siammorbidiscano, il sugo filtrato,si lascia insaporire per un’altradecina di minuti, senza farestringere troppo. Si preparano icrostini con le fette di pane, pre-feribilmente di paes e. Infine siuniscono le cozze, una bella

spolverata di peperoncino e una manciata di prezze-molo tritato. Si serve subito bello cavuru cavuru e,secondo me, deve essere tassativo l’utilizzo dellemani, che può risultare molto godurioso. Un ritornoarchetipico al contatto col cibo, e chissà che non siaprano le porte del cielo…

INGREDIENTI PER 4 PERSONE:Un kg e mezzo di cozze, 300 gr di pomodori maturi pelati,olio extra vergine, qualche spicchio d’aglio, un po’ di prezzemolo, sale e pepe.

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LA COZZA

di LETIZIA MIRABILE

Bruttina stagionata o mitilo afrodisiaco?

Se sono cozze di allevamento basta lasciarle

in acqua per un’ora. Se sono cozze di scoglio,

le più buone, si faticherà di più

CIBO

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Monte Pellegrino, deve il suo nome sicuramente alfalco pellegrino, che nelle rupi scoscese di questomonte ha eletto il suo habitat preferito. Il grande impe-ratore Federico II di Svevia (1194 – 1250), che scrisse iltrattato De arte venandi cum avibus, amava molto,per la caccia, servirsi di questo predatore. MontePellegrino, e la Real Tenuta della Favorita che giace aipiedi del versante ovest del monte, con appositoDecreto dell’Assessore Regionale al Territorio, nel gen-naio 1996, sono stati uniti territorialmente e giurisdi-zionalmente a formare la Riserva Naturale OrientataRegionale di “Monte Pellegrino”, oggi affidata ingestione all’associazione nazionale Rangers. Il Pellegrino si innalza su un promontorio che fu defini-to da Goethe, alla fine del ‘700 «il più bello del mondo»aggiungendo, però, che «…oltre alle rocce non vi sononé alberi né cespugli». Ciò è in contrasto con quantoinvece narrano gli antichi scrittori parlando del grandecondottiero cartaginese Amilcare Barca che, durantel’assedio di Palermo da parte dei Romani durato circatre anni, si asserragliò con il suo esercito (tra il 247 edil 244 a.C.) su questo monte, il famoso Heircte (Ercte),all’ombra di enormi alberi. Monte Pellegrino, quindi, inepoca storica doveva essere, in larga misura, ricopertodalla macchia e foresta mediterranea e che, nel corsodei secoli, per opera dell’intenso sfruttamento operatodall’uomo, divenne brullo e spoglio e tale si mantennefino agli inizi del secolo ventesimo. Oggi il monte sipresenta in tutt’altra forma grazie al Corpo Forestaledella Regione Siciliana che ha realizzato grandi super-fici forestate di pini ed eucalipti. La fauna di questomonte, oltre al citato Falco Pellegrino, annovera volpi,gheppi, taccole, passeri e piccioni. Da tempo sonoscomparsi l’aquila ed il gufo reale, mentre abbondanoi conigli selvatici, preda ambita, un tempo, dai caccia-tori palermitani ma che oggi, con la elezione delPellegrino a Riserva Naturalistica, vivono indisturbati.Le strade per salire sul Monte Pellegrino sono: la scalavecchia (nella foto a destra), buona solo per i pedoni eche fu messa in opera tra il 1674 ed il 1725, e due car-rozzabili terminate, una nel 1924 ed l’altra in epoca piùrecente. Le prime due hanno inizio da piazza GeneraleCascino e la terza da Mondello. La strada settecente-sca, in occasione della festa di Santa Rosalia, si animadi mille luci e di una gran moltitudine di fedeli che, insegno di devozione, effettuano la scalata a piedi perraggiungere il Santuario di Santa Rosalia. Salendo, siincontra la via di accesso al Castello Utveggio, edificiocostruito negli anni Trenta quale albergo, ma successi-vamente abbandonato dopo i saccheggi bellici, ed orasede di una importante scuola di formazione per

managers. Oltre alla scala vecchia, per chi ama immer-gersi in un ambiente naturalistico di straordinaria bel-lezza, vi è un sentiero che dipartendosi all’interno delParco della Favorita, dalle antiche scuderie borboni-che, lungo la bellissima Valle del Porco caratterizzatada una rigogliosa macchia mediterranea, arriva nellevicinanze del Santuario. Il Santuario di Santa Rosalia èposto all’interno di una grotta naturale che si apre inun costone della montagna e si raggiunge salendo unalunga scalinata. Secondo la tradizione visse qui la suavita da eremita Rosalia Sinibaldi, una donna di nobilinatali, nata nel 1130 e morta ancor giovane nel 1160.

Nel 1624, infierendo nella città una terribile pestilenza,lo spirito di Rosalia apparve, in questi solitari luoghi, adun cacciatore al quale indicò il luogo dove si trovavanole sue ossa che, raccolte e trasportate in processioneper la città, avrebbero scacciato il morbo. Così fu fatto,la pestilenza fu vinta e Rosalia ’a Santuzza venne pro-clamata protettrice di Palermo. Si è parlato di storia, direligiosità, di natura e di passeggiate ecologiche, mafiniamo con quanto Giuseppe Pitrè ci dice in uno deisuoi 25 volumi della Biblioteca delle tradizioni popolarisiciliane su tesori e truvature esistenti in Sicilia che,anche Monte Pellegrino ha un suo tesoro che aspettada tempo un fortunato tra gli uomini che voglia final-mente recuperarlo: «Su Monte Pellegrino, presso laChiesa di Santa Rosalia, e propriamente sotto la Croce,c’è un tesoro, per disincantare il quale occorre partiredal pedi di la scala del monte con un bicchiere colmodi vino, e giungere sul posto di corsa, a mezzanotte inpunto, senza averne versato una goccia». Provate…,forse aspetta proprio voi !

di GAETANO DI CHIARA

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Storia, religiosità e natura: alla scoperta del promontorio che Goethe definì, alla fine del ‘700, «il più bello del mondo»

IL “PELLEGRINO”

ITINERARI

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