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Bollettino Aprile - Giugno 2011 2

Bollettino - Diocesi Di Rimini · Abbi l'audacia di sapere, abbi l'ardire di investigare e di capire! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! E' questo il motto

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BollettinoAprile - Giugno

20112

Direttore responsabile: Baffoni don RedeoSped. in abbonamento postale 70%Filiale di Forlì

Direz. Amministr.: Curia Vescovile, via IV Novembre, 35Rimini – Tel. 0541. 24244Pubblicazione TrimestraleCon approvazione ecclesiastica

Progetto grafico e impaginazione - KaleidonStampa: Tipolito Garattoni - Rimini

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Indice

Bollettino Diocesano 2011 - n.2

Atti del Vescovo .......................................................................................................................5

Omelie ......................................................................................................................................... 7

Interventi ................................................................................................................................. 38

Lettere e messaggi ................................................................................................................. 54

Decreti e Nomine ...................................................................................................................66

Visita Pastorale ......................................................................................................................76

Diario del Vescovo .................................................................................................................111

Attività del Presbiterio ...................................................................................................... 119

Organismi Pastorali ............................................................................................................131

Avvenimenti Diocesani ..................................................................................................... 135

Necrologi ................................................................................................................................150

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Atti del Vescovo

• Omelie Per il conferimento dei Ministeri ........................................................................................ 7Messa Crismale ......................................................................................................................11 Giovedì santo ..........................................................................................................................15Venerdì Santo..........................................................................................................................18Veglia Pasquale ......................................................................................................................21 Messa del giorno di Pasqua ...............................................................................................24 Per il Convegno Nazionale dei cattolici cinesi ..............................................................27Per l’Ordinazione presbiterale ...........................................................................................29 Per il Corpus Domini ............................................................................................................33

• Interventi Al Quaresimale 2011 ............................................................................................................38 All’incontro con i Dirigenti Scolastici ...............................................................................46

• Lettere e Messaggi Ai giovani per la Pasqua 2011 ...........................................................................................54 Ai Sacerdoti per il Mecoledì Santo ...................................................................................58 Istituzione Commissione per la Pastorale Integrata ...................................................60 Ai fedeli della Comunità pastorale “Riccione Mare” ...................................................63

• Decreti e nomine............................................................................................66

• Visite PastoraliCasalecchio ..............................................................................................................................76S. Lorenzo in Correggiano ...................................................................................................78 S. Maria in Cerreto .................................................................................................................80Dogana......................................................................................................................................82S. Fortunato .............................................................................................................................84 S. Aquilina ................................................................................................................................87 Spadarolo - Vergiano ............................................................................................................89S. Ermete ..................................................................................................................................92 S. Martino dei Molini ............................................................................................................95Corpolò .....................................................................................................................................98S. Martino in XX ................................................................................................................... 101 Padulli .................................................................................................................................... 103 Villa Verucchio ..................................................................................................................... 106Verucchio ............................................................................................................................... 109

• Diario del Vescovo ..................................................................................... 111

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Omelie

Bollettino Diocesano 2011 - n.2

Nell'immaginario collettivo la parola fede viene associata a buio, a notte e nebbia, a qualcosa di velato, di opaco e oscuro, a differenza della ragione che invece viene assimilata a luce, a giorno, al vedere, conoscere e comprendere. Questa concezione che contrappone il credere al pensare e mette in alternativa ragione e rivelazione, ciò che è 'cristiano' e ciò che è 'umano', viene da lontano, dall'illuminismo, così chiamato in opposizione al presunto 'oscurantismo' della fede. Ricordiamo quanto il padre dei 'lumi', Immanuel Kant, aveva scritto nel manifesto dell'illuminismo: "Sapere aude! Abbi l'audacia di sapere, abbi l'ardire di investigare e di capire! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! E' questo il motto dell'illuminismo". Il segno più vistoso della divinizzazione della ragione umana - che pretende di negare Dio e di censurare ogni possibile scelta di fede - fu il famoso episodio della intronizzazione della dea-ragione sull'altare di Notre-Dame, il 10 novembre 1793. Anche oggi tanta gente ritiene che la fede spenga l'intelligenza, accechi la ragione, lambisca - se addirittura non arrivi a occupare - quei territori inabitabili che portano nomi tristi e cupi: creduloneria, alienazione, fanatismo, intolleranza, mentre toccherebbe alla ragione - alla sola ragione! - illuminare, promuovere, emancipare, far crescere e progredire.

1. Credere è vedere Per l'evangelista Giovanni, credere è voce sorella del verbo vedere. La

guarigione del cieco-nato è un racconto dalle tonalità tenere e drammatiche. Inizia con Gesù che passando 'vede' il cieco dalla nascita e si conclude con l'ex cieco che 'vede' Gesù, crede in lui e lo adora. Attorno a Gesù, i discepoli doman-dano spiegazioni e i farisei sanno solo parlare di peccato. Gesù demolisce l'ipo-tesi del peccato come la teoria che spiega il mondo, interpreta la realtà e perfino l'agire di Dio. Ma Gesù non sale in cattedra per tenere una lezione sul dolore: si commuove e partecipa.

Osserviamo ancora che la storia evangelica si apre con un cieco che co-mincia a vedere e si chiude con dei presunti vedenti che continuano a rimanere ciechi. Questi signori non si sono presi pena per gli occhi vuoti del cieco, si sono addirittura arrabbiati per i suoi nuovi occhi illuminati. Il dettaglio fissato dall'e-vangelista in apertura - "passando (Gesù) vide" - letto in filigrana, sta a dire che il percorso della fede comincia con i passi di un cammino e la commozione di uno sguardo: non quello dell’uomo che cerca Dio, ma quello di Dio che viene a cercarci, e col cuore di suo Figlio prova compassione per noi, figli ciechi e men-

Con la fede ci si vedeOmelia tenuta nella Messa per il conferimento dei ministeriRimini, Basilica Cattedrale, 3 aprile 2011

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Atti del Vescovo

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dicanti. E ci dà la capacità di vederci così come lui ci vede, fino a quando anche noi "lo vedremo così come egli è" (1Gv 3,2).

Il miracolo è raccontato da Giovanni in poche righe, con quella piccola liturgia celebrata da Gesù che impasta fango e saliva, spalma la poltiglia prodi-giosa sugli occhi spenti del cieco e lo manda a lavarsi alla piscina di Siloe. Il tutto concentrato in appena due versetti su quarantuno, perché l’evangelista vuole at-tirare la nostra attenzione non sul miracolo in sé, ma sul segno che rappresenta e sul dibattito che provoca. Al centro dell’episodio risalta l’affermazione di Gesù: “Io sono la luce del mondo”, un’affermazione che nel quarto vangelo si incontra più volte, e sempre in opposizione alle tenebre. All’inizio, nel prologo, leggiamo: “La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta”. E poco pri-ma del nostro brano, è scritto: “Gesù disse: Chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12).

Da rimarcare ancora, nel brano, il crescendo di tensione nello scontro violento tra la luce che è Gesù e le tenebre che rappresentano l’incredulità. Mentre il cieco si avvicina gradualmente alla luce, in parallelo ma in contromano i farisei vanno velocemente a sprofondarsi nella cecità più assoluta. Tre volte il cieco dice di 'non sapere'; tre volte i farisei invece dichiarano di 'sapere'. Asser-ragliati nei fortini della loro presunta verità, i farisei credono di avere già la luce; per questo non si aprono alla verità di Gesù. Il cammino del cieco nato invece è un procedere scalare di luce in luce, alla scoperta della vera identità di colui che lo ha guarito: all’inizio ne parla semplicemente come di quell’uomo chiamato Gesù; poi afferma nettamente che deve trattarsi di un profeta; quindi arriva a proclamare con coraggio che è uno che-viene-da-Dio; infine approda alla fede piena e solare: Gesù è il Figlio dell’uomo, è il Signore.

2. Credere è conoscere e comprendere Il cieco nato e guarito ci rappresenta, e il fatto che non abbia nome ci

aiuta a rispecchiarci con il nostro volto e il nostro nome nella sua storia. Anche noi siamo stati 'illuminati' da Cristo nel battesimo, e quindi dobbiamo compor-tarci come figli della luce (2.a lettura). Con lucidità interiore possiamo riconosce-re, per grazia, i veri valori, rispondenti ai desideri del Signore. E siamo messi in grado di smascherare le menzogne del mondo. Il cristiano è un vivente che Cri-sto ha risvegliato dalla morte, comunicandogli la sua luce, e quindi è un vedente che ci vede da... Dio! Questa illuminazione comporta una capacità di giudicare uomini e cose secondo una nuova scala di valori, una capacità che viene da Dio, il quale “non guarda alle apparenze, ma legge nel cuore”, come risulta chiaro dalla scelta di Davide a re d’Israele (1.a lettura).

Tutto ciò è avvenuto per noi nel battesimo, che nell'antichità veniva chia-mato photismòs, 'illuminazione'. Ricordiamo l'esperienza di s. Agostino, che de-scriveva così la conversione che lo avrebbe portato a farsi battezzare: "Appena ti conobbi (o Signore), mi folgorasti con il tuo raggio potente e abbagliasti i miei occhi malati, e io vidi una luce immutabile, al di sopra della mia vista e della mia stessa intelligenza". Ed è proprio s. Agostino il maestro di quella circolarità virtuosa tra credere e pensare, espressa con la sua formula vertiginosa: credere pensando e pensare credendo.

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Omelie

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Ma oggi il postulato razionalista che la fede sia una conoscenza inferio-re, immatura e sottosviluppata e, di conseguenza, che il credente sia un eterno, ingenuo minorenne, condizionato da una serie di preconcetti che gli impedisco-no di diventare libero e adulto, è pregiudizio duro a morire. Come è duro a mo-rire l'assioma che solo la scienza sia la fonte più pura e più sicura di ogni verità, che solo ciò che è scientifico è vero, e che solo la realtà fisica è la vera realtà.

Papa Benedetto non si stanca di combattere questa contrapposizione tra fede e ragione, e si ostina giustamente a propugnare una fede "amica dell'in-telligenza", e capace non di comprimere, ma di "dilatare gli spazi della ragione". Si legge nel libro dei Proverbi: "Dì alla sapienza: Tu sei mia sorella, e chiama amica l'intelligenza" (Pr 7,4). Infatti non si dà mai alcun contrasto irriducibile tra vera fede e retta ragione. Poiché la fede ha bisogno della ragione per non scon-finare nel fideismo, e la ragione ha bisogno della fede per non incagliarsi nelle secche del razionalismo. Blaise Pascal scriveva nei suoi Pensieri: "L'ultimo passo della ragione è accettare una infinità di cose che la sorpassano". Se si chiude a Cristo, luce del mondo, la ragione si autoacceca, negandosi la possibilità di co-noscere tutto il reale, obiettivamente esistente. Ma una ragione che si tarpa le ali da sola e si proibisce di abbracciare la realtà nella sua piena totalità, non finisce per contraddire la sua natura profonda? Ecco il solo contrasto possibile: quello della ragione con se stessa, quando, per non volersi oltrepassare, si autoespone al suicidio.

3. Un messaggio ai ministri istituiti Mi rendo conto che pensieri così impegnativi meriterebbero sviluppi

molto più distesi, ma ora, in conclusione, vorrei declinare la buona notizia, che oggi il Signore ci ha rivolto, nella forma di alcuni brevi messaggi, indirizzati a voi, candidati ai ministeri istituiti.

A voi che state per ricevere il lettorato, ricordo che sarete gli "annuncia-tori della parola di Dio". Non dimenticate mai che voler comprendere la Sacra Scrittura senza la luce della fede sarebbe come voler leggere un libro a luce spenta, in piena notte. Ma ricordate pure che la parola di Dio è come una fine-stra sul mondo trascendente e invisibile di Dio, sulle meraviglie della sua grazia e della sua santa Chiesa. Non fermatevi ad esaminare il davanzale o i serramenti della finestra, ma spingete oltre la vostra vista per abbracciare l'intero orizzonte della realtà rivelata. Affermava s. Basilio Magno: "Se pensi che basti studiare la Bibbia per diventare santo, fai come chi vuol fare il falegname senza mai usare il legno".

Mi rivolgo ora a voi, prossimi accoliti. Voi sarete gli aiutanti dei presbiteri e dei diaconi nella santa eucaristia. Abbiate sempre la più alta considerazione e la più umile venerazione del santissimo sacramento. Dicendo: "Fate questo in memoria di me", Cristo non ha chiesto la pura ripetizione di un gesto rituale. Ha chiesto di farlo come l'ha fatto lui, assumendo i sentimenti che furono i suoi, modellandosi sulla sua autodonazione. Così l'eucaristia educa al martirio, come educa pure alla comunione. La comunione eucaristica infatti ha un carattere tutt'altro che intimistico e sentimentale. Fare comunione con il Signore crocifisso e risorto significa donarsi con lui al Padre e ai fratelli, per uscire poi dalla celebra-

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Atti del Vescovo

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zione e assumere la responsabilità della missione, una missione più che come una cosa da fare, come un modo di essere.

E infine, a voi chiamati a ricevere il ministero straordinario della comu-nione eucaristica, l'invito pressante a portare la santa comunione ai fratelli in-fermi. Andate incontro a questi fratelli e sorelle, che faticano sotto la croce, sugli aspri tornanti della via dolorosa, guardandoli con gli stessi occhi e amandoli con gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. Aiutateli a unirsi al mistero della passione e della risurrezione del Signore in vista dell'incontro con lui.

A tutti noi il Signore faccia grazia; a ciascuno di noi il monito di s. Paolo: "Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà".

+ Francesco Lambiasi

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Omelie

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Ancora una volta l’avvenimento si è compiuto. Le parole di Gesù hanno riempito gli alti silenzi della nostra cattedrale: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato...”. E’ la dichiarazione ufficiale di Gesù nella sua prima uscita pubblica. Sono parole solenni che rotolano dalla sinagoga di Nazaret, trascinandosi dentro l’eco lontana dell’oracolo di Isaia; parole che navigano i tempi della storia e approdano, qui, oggi, fino a varcare la soglia del nostro duomo, luminoso e avvolgente come nelle grandi occasioni. Al termine del vangelo il diacono ha proclamato: “Parola del Signore!”. E noi in coro abbia-mo acclamato: “Lode a te, o Cristo!”. Ora, come quelli dei compaesani, anche gli occhi di tutti noi sono fissi su Gesù e disegnano cerchi fitti di sguardi attor-no a lui, il consacrato-mandato a portare ai poveri il lieto annuncio. La scena, ‘filmata’ da Luca quasi alla moviola, ci viene trasmessa ‘in diretta’, ci si ristampa nel cuore e lascia incisa una inconfutabile certezza: qui, oggi si compie questa Scrittura, che noi abbiamo udito con i nostri orecchi.

1. Più amore per la ScritturaLa liturgia crismale di questo anno si colloca a qualche mese di distanza

dalla pubblicazione dell’esortazione post-sinodale Verbum Domini (VD), e ci aiuta a declinare quei verbi programmatici, che spiccano nell’autopresentazio-ne di Gesù, appena ascoltata: evangelizzare, proclamare, annunciare. Parteci-pare al sacerdozio di Cristo come battezzati significa partecipare al suo servizio profetico di diffusione del Vangelo. E parteciparvi come ministri ordinati – ve-scovo, presbiteri, diaconi – significa ribadire che noi siamo anzitutto (primum!) ministri della Parola di Dio (cfr PO 4; PdV 26; VD 79-81.84).

Nell’introduzione il Papa si augura “una riscoperta, nella vita della Chiesa, della divina Parola”. Non è un po’ strano questo augurio, dopo duemila anni di Bibbia? Il motivo è dato da una parte dalla convinzione, espressa dal patrono degli esegeti, san Girolamo, con la celebre frase: “L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo” (cfr VD 29). Dall’altra, da una situazione di inerzia, suffra-gata da dati preoccupanti: in Italia solo il 3% dei praticanti legge la Bibbia con una certa frequenza. C’è da domandarsi se per tanti cristiani non sia ancora fondata l’amara battuta di Paul Claudel: “Il rispetto dei cattolici per la sacra Scrittura è senza limiti, ma si manifesta soprattutto con lo starne... a debita distanza!”. L’ascolto delle Scritture – dalla liturgia alla predicazione, dalla te-ologia alla catechesi – ha ripreso dovunque slancio e vigore. Ma il cammino è tutt’altro che concluso, e l’ignoranza delle Scritture è ancora molto diffusa.

Presbiteri: servi della ParolaOmelia tenuta nel corso della Messa CrismaleRimini, Basilica Cattedrale, 20 aprile 2011

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Atti del Vescovo

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Occorre per altro riconoscere onestamente che nei confronti della valorizza-zione e della diffusione della sacra Bibbia si registrano qua e là vari timori, che meritano indubbiamente rispetto, ma non possono diventare altrettanti alibi per trascurare e svalutare la sacra Scrittura.

Il primo è il timore che una formazione prevalentemente biblica resti fram-mentaria, incompleta e persino imprecisa. Meglio perciò – si arriva troppo sbrigativamente a concludere – seguire un itinerario dottrinalmente più si-stematico, con formule chiare e distinte. Certo, per la formazione cristiana la lettura delle Scritture non basta. Occorre anche l’organicità e la completezza di un itinerario che comprenda tutta l’ampiezza della Tradizione cristiana e della riflessione teologica che l’ha sempre accompagnata. E’ un compito necessario e urgente. Tuttavia, di questo itinerario, la Scrittura deve essere “l’anima” (VD 31), e in particolare, per quanto riguarda la catechesi, il Papa afferma che essa è “un momento importante dell’animazione pastorale della Chiesa in cui poter sapientemente riscoprire la centralità della Parola di Dio” (VD 74).

La seconda preoccupazione è di chi teme che un marcato riferimento alla Scrittura finisca per relegare l’autorità della Tradizione e del Magistero in se-condo piano, favorisca la concezione protestante della sola Scriptura e “as-soggetti la Scrittura a privata spiegazione” (cfr 2Pt 1,20). Indubbiamente la Parola di Dio è più ampia della Scrittura. ‘Parola di Dio’ non significa “una parola scritta e muta, ma il Verbo incarnato e vivente” (san Bernardo), è la Parola divenuta carne, fatta avvenimento, e l’avvenimento è sempre più ricco della sua registrazione scritta. Il cristianesimo non è una religione del Libro, e la Chiesa trasmette ben altro che semplici copie della Bibbia! Del resto anche gli analfabeti possono essere pienamente cristiani. Il cristianesimo è la storia della salvezza, e “al centro della rivelazione divina c’è l’evento di Cristo” (VD 7). Quindi non la Scrittura in quanto tale è per noi Parola di Dio, ma la Scrittura in quanto capace di ridiventare parola viva e attiva, annunciata e ascoltata, viva-ce e vissuta. Tuttavia “le sacre Scritture contengono la parola di Dio e, poiché ispirate, sono veramente parola di Dio” (Dei Verbum 24). “Pertanto la Scrittura va proclamata, ascoltata, letta, accolta e vissuta come Parola di Dio, nel solco della Tradizione apostolica dalla quale è inseparabile” (VD 7; cfr DV 10).

La terza ragione di timore è legata alla precedente, e si potrebbe formulare così: se il cristianesimo non è anzitutto dottrina ma storia, e se non è tanto religione quanto rivelazione, allora non è forse nell’esperienza concreta e vitale della Chiesa che si incontra Cristo, e non per prima cosa nella Scrittura? Cer-tamente il riferimento centrale del cristiano cattolico è la Chiesa, la sua fede, la sua vita inesauribile, la sua divina autorità. Ma proprio perché la rivelazione rimanesse “integra” e “viva” in ogni tempo, Dio ha fatto dono alla sua Chiesa delle Scritture e della successione apostolica. Né la sola Scrittura, dunque, né il solo Magistero, ma l’una e l’altro in una vivente, inscindibile unità, ricordando che la Chiesa è sotto la Parola di Dio e a suo servizio, per interpretare la Scrit-tura, non per sostituirla: questa è la fede cristiana e cattolica.

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Omelie

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2. Insostituibilità e relatività della ScritturaA questo punto non resta che tornare a leggere con cuore aperto le lim-

pide ed equilibrate affermazioni della Verbum Domini che affermano insieme la insostituibilità della Scrittura e la sua relatività. Sono principalmente tre, ma preferisco ricavarle di peso dal testo conciliare della Dei Verbum, per mostrare così la fedele continuità del sinodo dei vescovi non solo con lo spirito ma per-fino con la lettera del Vaticano II.

Prima proposizione: “La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto con il corpo stesso di Cristo” (DV 21). “Alla Parola di Dio e al mi-stero eucaristico la Chiesa ha tributato e sempre e dappertutto ha voluto e sta-bilito che si tributasse la stessa venerazione, anche se non lo stesso culto” (VD 55). Come si vede, vengono poste in parallelo la mensa della parola e quella del sacramento – come già aveva fatto la Sacrosanctum Concilium – anzi la Dei Verbum parla di una unica mensa con i due pani – la Parola e l’Eucaristia – per sottolinearne l’indissolubile unità (cfr DV 21). Pertanto viene esplicitamente af-fermata l’indispensabilità della Scrittura, ma anche la sua relatività, ossia il suo ineliminabile riferimento e la sua imprescindibile relazione al grande sacra-mento. In sintesi la funzione della Scrittura è insostituibile, ma non isolabile, e soltanto all’interno di una economia in cui giocano organicamente altri fattori trova la possibilità di svolgere il suo ruolo di rivelazione e di salvezza.

La seconda proposizione riguarda il rapporto tra Scrittura e Tradizione: “In-sieme con la sacra Tradizione, la Chiesa ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della fede” (DV 21). Perciò occorre “accostarsi alle sacre Scritture in relazione alla viva Tradizione della Chiesa, riconoscendo in esse la Parola stessa di Dio” (VD 18). Con una metafora pos-siamo affermare: se l’evento è il roveto sempre ardente della Pentecoste, la Scrittura non è la pietrificazione di una Parola che, invece, è e resta accesa e incandescente, e la Tradizione non è raccogliere le ceneri di quel fuoco, ma trasmetterne la fiamma. Non si può opporre Scrittura e Magistero, poiché “il Magistero non è superiore alla Parola di Dio, ma ad essa serve (…) in quanto piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella Parola” (DV 10).

La terza proposizione attiene all’aspetto dinamico della Parola di Dio: “Nel-la Parola di Dio è insita tanta efficacia e potenza da essere sostegno e vigore della Chiesa” (DV 21). La Verbum Domini ne parla in più punti e la descrive come “sorgente di costante rinnovamento”, “cuore di ogni attività ecclesiale” (n. 2), anima della nuova evangelizzazione (n. 122), comunicazione inesauribi-le di gioia (n. 123). E’ importante sottolineare il dinamismo della Parola di Dio: la sacra Scrittura non è solo ispirata, ma ispirante - insieme alla sacra Tradizio-ne “comunica la voce dello Spirito Santo” (DV 21) Non è solo un bene ‘passivo’ da difendere, custodire e spiegare, ma una forza ‘attiva’ che sostenta e mantie-ne in vita la comunità cristiana. Non è solo un tesoro affidato alla Chiesa, ma un pane che nutre e una energia dinamica che anima e costruisce la Chiesa.

Ora dovrei accennare ai compiti che la VD ci richiama nei confronti della Parola di Dio, ma preferisco rinviare direttamente al testo, ai nn. 79-81. Come pure sarebbe opportuno monitorare la nostra situazione diocesana riguardo

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all’amore e alla valorizzazione della Parola di Dio, per rallegrarci di quanto di buono già si fa e riconoscere il molto che possiamo e dobbiamo ancora fare, ma il tempo non ce lo consente. Mi limito pertanto a riportare due citazioni, una che ci coinvolge tutti come battezzati, e l’altra che riguarda più direttamen-te il vescovo, i presbiteri e i diaconi.

La prima la prendo in prestito da s. Francesco, il quale sulla fine della sua giovane vita scriveva:

“Ammonisco tutti i miei frati e in Cristo li conforto, perché ovunque troveranno le divine parole scritte, come possono, le venerino e, per quanto spetti ad essi, se non sono ben custodite o giacciono sconvenientemente, disperse in qualche luogo, le raccolgano e le custodiscano onorando nella sua parola il Signore che ha parlato”.

Un romanziere, George Bernanos, metteva queste parole sulla bocca di un prete anziano che si rivolge al giovane curato di campagna:

“La parola di Dio è un ferro arroventato, e tu che devi insegnare agli altri, vor-resti prenderla con le molle per paura che ti bruci?.Tu non la prenderai invece a piene mani? Io voglio che, quando il Signore in qualche occasione tira fuori dal mio cuore una parola utile per le anime, voglio sentirla per il male che dentro mi fa”

Fratelli carissimi, mentre state per rimettere idealmente le vostre mani nel-le mani del vescovo, come il giorno dell’ordinazione - volendo dire con quel gesto la scelta crocifiggente e beatificante di riconsegnare la vostra vita a Cristo e alla sua Chiesa - permettetemi di ringraziarvi per quanto non vi stancate di fare per servire la Parola e per servire alla Parola di Dio. Preghiamo il Signore Gesù, la Parola fatta carne, che ci dia la grazia di sostare ogni giorno con amo-re anche su un solo versetto della Scrittura. Preghiamolo che ogni giorno ci dica anche soltanto una parola e saremo salvati, e non riusciremo a mollare la sorpresa di essere ancora instancabilmente scelti, amati e benedetti. E pregate per me, perché il buon Pastore mi faccia la grazia di scomparire ogni giorno di più in lui. Infine preghiamo santa Maria “nel cui ventre si raccese l’amore” (Dante) e la divina Parola si fece carne, perché anche nella nostra diocesi “fio-risca una nuova stagione di più grande amore per la sacra Scrittura da parte di tutti i membri del popolo di Dio” (VD 72).

+ Francesco Lambiasi

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Omelie

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E’ giunta l’ora: è l’ora di Gesù, di passare da questo mondo al Padre. Tra poco al momento della consacrazione le rubriche liturgiche ci fanno contestua-lizzare la formula di rito con le seguenti parole, adattate alla circostanza del giovedì santo: “In questa notte in cui fu tradito, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine, e mentre cenava con loro prese il pane…”. Come nel racconto evangelico, anche nella liturgia il gesto dello spezzare il pane viene interpretato alla luce dell’amore di Gesù e insieme del tradimento di Giuda. Il messaggio è trasparente: nel momento in cui viene tradito (letteral-mente: consegnato) Gesù si consegna liberamente alla presa del traditore e dei suoi persecutori. Si incrociano così, nell’ora suprema di Gesù, due linee. Una è quella della consegna sul piano orizzontale: Giuda consegna Gesù al sinedrio, il sinedrio lo consegna a Pilato, Pilato lo consegna ai carnefici. L’altra linea è quella verticale: il Padre consegna Gesù agli uomini, gli uomini lo consegnano alla morte. In breve, riprendendo gli estremi di queste due linee, possiamo dire schematicamente così: Giuda consegna Gesù e Gesù si consegna a Giuda. Il Padre consegna Gesù e Gesù si consegna al Padre. In sintesi, Gesù si lascia consegnare dal Padre alla morte di croce.

1. Sono io il dio del mio io?Per provare ad avvicinarci alla soglia del mistero grande dell’ora di Gesù,

ci può risultare utile monitorare velocemente l’attuale contesto culturale. La modernità aveva inaugurato l’epoca della soggettività come individualità auto-noma e sovrana. Gradualmente la soggettività si è pervertita in soggettivismo, e l’individualità è degenerata in individualismo: l’io sovrano si è tramutato in io tiranno, indifferente agli altri, occupato e preoccupato dei propri desideri inter-pretati come diritti; si è accanitamente concentrato nella gestione della partita doppia dei propri indiscutibili bisogni e dei propri inalienabili interessi. E’ l’iper-trofia del soggetto. Spodestato Dio, l’io ha preteso di autodivinizzarsi, finendo così per ritrovarsi spersonalizzato, frammentato, senza storia e senza memoria, senza futuro e senza speranza, un orfano autocentrato e autoreferenziale: pri-gioniero di se stesso, sempre più solo e fatalmente più impaurito e più triste. E’ la curva discendente della parabola del narcisismo: quando l’individuo diventa l’assoluto, l’assoluto diventa relativo. Ma quando si elimina Dio, infallibilmente

Amore donato, tradito e ridonatoOmelia tenuta dal Vescovo nel corso della Messa “in cœna Domini”Rimini, Basilica Cattedrale, 21 aprile 2011

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si annulla l’io. La pretesa morte di Dio porta alla reale morte dell’uomo, sia l’uomo-tu che viene ridotto ad alter ego, sia l’uomo-io che non riuscendo più a dire tu, si imprigiona in se stesso e muore per asfissia. “Come Dio, io sono la negazione di tutto il resto, perché io sono per me tutto – sono l’unico. Niente vi è oltre me o sopra di me” (M. Stirner). Ma ponendo l’altro come cosa, l’io finisce per diventare cosa a se stesso, percependosi come realtà da cui fuggire verso l’esteriorità. L’altro entra nel quadro della tua vita perché ti è necessario per la realizzazione dei tuoi scopi, e viceversa. Ma a questo punto la molteplicità degli interessi individuali - paradossalmente tanti quante sono le irriducibili identità - porta inevitabilmente ai conflitti di interesse, e si riproduce la giungla: l’uomo si fa lupo per l’uomo, e si arriva alla guerra di tutti contro tutti. Una manifesta-zione emblematica di come l’uomo individualista si rapporti agli altri è la prassi dell’amore: in pratica non si amano persone, ma si ricercano piaceri. L’unica via che rimane aperta e percorribile è quella del possesso, ma nella ricerca dell’al-tro come solo compagno di piacere si conferma la propria malinconica, penosa solitudine. Facendosi estraneo all’altro, il soggetto diventa estraneo a se stesso, e si realizza il detto: mors tua vita mea, nel senso che il massimo interesse è la propria vita intesa come benessere individuale, a scapito di qualsiasi altro, e anche della morte di qualsiasi altro.

Ben diversa la prassi di Gesù: si può riassumere nel detto alternativo al precedente: mors mea vita tua, e cioè la mia rinuncia, il mio sacrificio, il mio ritirarmi è ciò che fa spazio al tu, gli dà respiro e lo fa vivere. Insomma la parola d’ordine del radicalismo è il possesso, quella del cristianesimo è il dono.

2. Gesù libero perché obbediente Due gesti, due segni schizzano il profilo di Gesù nell’ultima cena. Il primo

è quello della lavanda dei piedi. L’evangelista Giovanni lo introduce con enfasi solenne: “Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava… cominciò a lavare i piedi dei discepoli” . Da una parte contempliamo un Gesù pienamente consapevole della sua identità di Figlio eternamente e teneramente amato dal Padre. E non nonostante, ma proprio grazie a questa consapevolezza, Gesù si toglie il mantello del rabbi, si cinge i fianchi di un asciugamano e si inginocchia a lavare i piedi sudati e sudici dei discepoli. Viene in mente il passo in cui s. Paolo pennella il ritratto di Gesù come colui che “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo” (Fil 2,6s). Torna alla mente anche l’altro passo paolino, dove si legge che Gesù “da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mez-zo della sua povertà” (cfr 2Cor 8,9).

L’altro gesto-segno è quello che ripetiamo ogni volta che celebriamo la Messa: prese il pane, rese grazie, lo spezzò, lo diede. Tutte le religioni insegna-no che se Dio venisse in mezzo a noi, toccherebbe a noi lavargli i piedi. Solo il cristianesimo ci racconta di questo Dio che si piega, lui, a lavare i piedi a noi. Tutte le religioni insegnano che se Dio dovesse apparire in forma umana, toc-cherebbe agli uomini togliersi il pane di bocca e offrirlo a lui. Solo il cristiane-simo ci presenta un Dio che si fa pane, lui, per farsi mangiare da noi. Dunque,

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Omelie

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due gesti, un solo messaggio: proprio perché si sa e si sente amato dal Padre, Gesù si consegna alla morte e alla morte di croce.

E’ un messaggio, questo, troppo importante e decisivo perché noi ci limitia-mo qui ad enunciarlo. Tentiamo di approfondirlo, registrando due serie di passi che si leggono soprattutto nel quarto vangelo. Una prima serie insiste sulla obbedienza di Gesù alla volontà del Padre, come: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 4,34), una affermazione che ne richiama un’al-tra: “Io faccio sempre quello che a lui piace” (Gv 8,29), e ancora: “Il Figlio non può fare nulla da se stesso che non veda fare dal Padre”(Gv 5,19). L’altra serie accentua la piena libertà e responsabilità di Gesù, ad esempio: “Io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla” (Gv 10,17s). Questa dialettica tra dipendenza e autonomia, tra obbedienza e libertà punteggia tutto il vangelo giovanneo: da una parte Gesù riconosce di non parlare da sé (Gv 7,17ss; 12,49), di non essere venuto “da sé”, di non agire da sé, però nello stesso tempo dichia-ra: “Io sono la risurrezione e la vita”; “Io sono il pane disceso dal cielo”; “Io sono la via, la verità e la vita”. La saldatura tra questi due versanti apparentemente contrapposti va cercata nella loro corretta articolazione teologica. Giovanni non vuol dire che Gesù a volte è radicalmente dipendente e a volte sovranamente libero, ma che la sua radicale obbedienza è il segreto della sua sovrana libertà. Gesù non è libero nonostante sia obbediente, ma proprio in quanto è libera-mente e pienamente obbediente alla volontà del Padre.

Ecco il duplice segreto di Gesù: se il segreto della sua libertà è l’obbedienza, il segreto della sua obbedienza è l’amore. Si tratta anzitutto di un amore ricevu-to e accolto; è l’amore del Padre ‘suo’. Sapendosi e sentendosi amato, Gesù può affermare con chiarezza abbagliante: “Il Padre mi ama” (Gv 10,17). Ma il suo è anche un amore di risposta grata e gratuita: “Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco”, dice Gesù ai suoi discepoli verso il termine della cena, e subito dà l’ordine secco ai suoi, di uscire dal cenacolo: “Alzatevi, andiamo via di qui” (Gv 14,31).

Così Gesù riesce a superare la paura paralizzante della morte e a liberare quanti come noi che, “per paura della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (Ebr 2,15).

Accostiamoci perciò a lui, pieni di fiducia e preghiamolo così: “Signore Gesù, Tu sei nostro unico Maestro e Signore. Tu ci insegni un nuovo modo di amministrare la nostra esistenza, il modo ‘eucaristico’ della gratitudine e della fiducia. Grati al Padre da cui ci sentiamo immensamente e intensamente amati, e fiduciosi nella sua tenerissima benevolenza, ci abbandoniamo con te, alle sue braccia premurose e accoglienti per lasciarci prendere, spezzare e dare ai fratelli. Aiutaci a credere fino in fondo nel suo amore forte e gratuito, fedele e irreversibile, e non avremo paura di donare la vita per amore, di rinunciare a salvare noi stessi per salvare con te i nostri fratelli. Maria, serva “umile e alta più che creatura”, donna forte e pura, stacci vicino nell’ora della croce, aiutaci a dire di sì al Dio dell’amore, e a non dubitare mai della fedeltà alle sue promesse”.

+ Francesco Lambiasi

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Di fronte alla croce di Gesù non si può far altro che tacere e adorare. Il canto al vangelo che ha introdotto la proclamazione del Passio secondo Giovanni ci offre la chiave di lettura per entrare nel mistero tenebroso, ma ancor più lumi-noso della passione del Signore. Di quel canto abbiamo ascoltato la versione latina nella suggestiva melodia gregoriana. Reso in italiano, il testo suona così: “Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte, alla morte di croce. Per que-sto Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome”. Come sappiamo, le parole di quel canto vengono dal celebre inno cristologico, autentica ‘perla’ della cristianità primitiva, incastonata nella lettera di s. Paolo ai Filippesi. La storia di Gesù vi è riassunta secondo tre fasi distinte e connesse.

1. Tre fasi della vicenda di GesùLa prima è la fase della pre-esistenza: Cristo Gesù è dall’eternità nella con-

dizione di Dio: è il Figlio beneamato, che ha ricevuto tutto dal Padre, dal quale viene amato con totale gratuità e che ricambia con infinita, totale gratitudine. Il Padre è l’amore amante; il Figlio è l’amore amato e riamante. Non si appropria e non si approfitta e dell’amore del Padre e del suo essere come lui; non consi-dera suo possesso la natura divina che gli è stata donata; non scambia il dono ricevuto con un monopolio di sua conquista. Ma si spoglia delle prerogative della superiorità divina. Si espropria dei segni del potere per mostrare il potere dei segni dell’amore.

E’ la seconda fase, quella della pro-esistenza. E’ venuto in mezzo a noi, non è vissuto per sé, ma solo e sempre per il Padre e per i suoi fratelli. Ha amato appassionatamente la vita, quella dei fiori e degli animali, ma soprattutto la vita degli uomini, a partire dagli ultimi, i poveri, e ha annunciato a tutti la buona notizia, il Vangelo: “Il regno di Dio è arrivato in mezzo a voi, il Padre mio è Padre vostro e io sono il vostro fratello Gesù”. Mai egli si chiuse alle necessità e alle sofferenze dei fratelli: ai poveri annunciò il vangelo del regno di Dio, la libertà ai prigionieri, agli afflitti la gioia. Ma incontrò il rifiuto degli uomini, conobbe il dolore e l’ingiustizia. Porteremo per sempre il dramma della sua giovane vita. Alcuni lo avversarono, per tutto il tempo della sua missione, e alla fine, con in-giusta sentenza, lo uccisero appendendolo alla croce. Allora anche i suoi amici lo abbandonarono. Restò Maria, sua madre, donna coraggiosa e fedele. Le te-

Obbediente per amore Omelia pronunciata nella liturgia del Venerdì SantoRimini, Basilica Cattedrale, 22 aprile 2011

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nebre avvolsero il mondo. Era morto il nostro Maestro, il nostro Amico più vero. Tutto sembrava finito.

Ma ecco il fatto inaudito e sorprendente, mai capitato nella storia degli uo-mini: il Padre lo ha risuscitato e lo ha superlativamente esaltato e gli ha dato il suo stesso nome, il nome di Signore. E’ la terza fase della vicenda di Gesù, quel-la che ancora continua: è la super-esistenza, non nel senso di esistenza da su-peruomo, ma di esistenza superiore, eterna, infinita. E’ la fase ancora in corso.

2. Dolorosa obbedienza per amoreOggi siamo chiamati a ricordare la fase centrale della vicenda di Gesù, quel-

la della pro-esistenza, culminata nella sua morte e morte di croce. Ce l’ha ricor-data poco fa la Lettera agli Ebrei:

“Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito per la sua pietà. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchisedec”.

L’obbedienza è la password per entrare nel mistero della passione di Gesù. Oltre il passo paolino richiamato all’inizio - “Cristo si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce” - san Paolo vi dedica un’ampia riflessione nella let-tera ai Romani e, dopo un vertiginoso confronto tra il primo Adamo e il nuovo, Cristo, arriva a concludere: “Per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti” (Rm 5,19). Ma di obbedienza al Padre, parla in lungo e in largo il quarto vangelo. Ricordiamo almeno l’affermazione di Gesù: “Io faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Gv 8,29).

Il momento cruciale di questa scelta di Gesù - obbedire senza se e sen-za ma alla volontà del Padre - è l’agonia al Getsemani. I sinottici sono concordi nel rappresentarci un Gesù sconcertante e irriconoscibile: è in preda a una al-tissima tensione, al punto da sudare sangue; cerca il conforto dei tre discepoli ‘preferiti’, ma non lo trova; sperimenta spavento, tristezza e angoscia. Si sente stretto nella morsa di una alternativa drammatica: non quella tra obbedire e di-sobbedire, ma quella tra obbedire a un disegno del Padre che prevede la croce, e obbedire a un altro ‘possibile’, senza la croce. Ma alla fine supera la tentazione con un abbandono, senza riserve e senza rimpianti, al suo tenerissimo, fortissi-mo Abbà. A chi si scandalizzava come il Padre potesse trovare compiacimento nella morte in croce del suo Figlio amatissimo, s. Bernardo ribatteva: “Non fu la morte che gli piacque, ma la volontà di colui che spontaneamente moriva”. Infatti Dio vuole l’obbedienza, non il sacrificio. Leggiamo nell’Antico Testamen-to: “Obbedire a Dio è meglio del sacrificio” (1Sam 15,22), e quando l’anonimo autore della Lettera agli Ebrei descrive Gesù che con l’incarnazione “entra nel mondo”, gli mette in bocca le parole del Salmo 40: “Tu non hai voluto né sacri-ficio né offerta; un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici. Allora ho detto: ‘Ecco, io vengo, poiché di me sta scritto nel rotolo del libro, per fare o Dio la tua volontà’” (Ebr 10,5-7).

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Ma lo stesso autore ispirato, nel brano riportato nella seconda lettura, ci ha ricordato che Gesù ha imparato “l’obbedienza da ciò che patì”. Quando noi pensiamo alla passione di Gesù, dobbiamo pensare sia alla passione del corpo, sia soprattutto a quella dell’anima.

Della prima, ricordiamo l’atroce supplizio della flagellazione. In Israele, la legge limitava i colpi al numero di quaranta (Dt 2,1-3). Al tempo di Gesù ci si fermava al trentanovesimo colpo, per essere sicuri di non sbagliarsi (cfr 2Cor 11,24). Ma per la legge romana, il supplizio era a discrezione del giudice, e ve-niva eseguito con il flagrum a corde grosse e con alle estremità pezzetti d’osso e di metallo, che scarnificavano il condannato, riducendolo spesso in fin di vita. Ricordiamo poi l’infame supplizio della croce. Il condannato, dopo aver portato la traversa orizzontale dal tribunale al luogo dell’esecuzione, veniva inchiodato ai polsi e ai piedi. La morte avveniva per asfissia e per sfinimento nervoso.

Ma per Gesù è stata soprattutto la passione dell’anima quella che più ha dovuto patire. Pensiamo all’amarezza della solitudine, dopo che i suoi discepoli lo hanno abbandonato e sono fuggiti. La solitudine più impressionante è quella che Gesù sperimenta sulla croce, quando si sente abbandonato dal Padre. Non fu certo un abbandono effettivo, ma affettivo, quando la massa del peccato dell’intera storia umana - passata, presente e futura - come una smisurata pira-mide rovesciata sulla sua testa, gli ha causato la pena indicibile e straziante di sentirsi schiacciato, percosso da Dio e rifiutato.

In quegli istanti terribili e lentissimi, Gesù ha dovuto sollevare la ciclopica piramide della disobbedienza umana con un atto ‘sovrumano’ di fiducioso ab-bandono al Padre, e così con la sua obbedienza ci ha costituiti giusti. Questo è ciò che gli chiede - e gli dona! - il Padre: reagire all’odio con l’amore, all’oltraggio con il perdono, annientandosi, non annientando i suoi carnefici. Non umilian-doli, ma umiliandosi. Mai obbedienza fu più costosa e feconda! Costosa, perché tutto gli fu tolto alla fine. Persino l’amore che lo aveva condotto in croce: non lo assapora più. La sua bocca è incrostata di sangue; il suo cuore è riarso come il deserto; la sua anima triste fino alla morte. Ma quella fu l’obbedienza più fe-conda, perché così Gesù “divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono”.

+ Francesco Lambiasi

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Otto letture più il vangelo: la più lunga liturgia della Parola per riassumere tutta la storia della salvezza: passata, presente, futura. Proviamo a ripercorrere questa litania di brani per coglierne il messaggio pasquale. Cominciamo dal vangelo: “Gesù crocifisso non è qui: è risorto!”. Ecco l’evento assoluto che dà senso e significato a tutta la storia, alla nostra vita, all’intero universo. Questa è la luce che illumina e spiega tutto il tracciato che ci ha condotto all’Evento. Le tappe che scandiscono il cammino del popolo di Dio ci rimandano simboli-camente a quelle della nostra vita secondo lo Spirito del Risorto. Meditando i grandi testi biblici, ci prepariamo a dare tutta la loro intensità alla celebrazione della iniziazione cristiana di voi, carissimi catecumeni.

La prima tappa è la creazione, che segna il passaggio dal nulla all’essere. La Pasqua di Gesù ci ricorda che Dio Padre ha voluto condividere con altri la sua vita. Ha deciso di associare dei fratelli al Figlio unigenito e ci ha scelti, pre-destinati e chiamati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito di molti fratelli (cfr Rm 8,29). All’origine dell’universo non c’è un Dio che soffre di solitudine, ma che vuole condividere la sua felicità. E ci ha creati non per aumentare la sua gloria, ma per riversare il suo amore su tutte le creature e allietarle con gli splendori della sua luce.

E quando l’uomo perse la sua amicizia, Dio non l’ha abbandonato al potere della morte, ma nella sua tenerissima misericordia ha chiamato Abramo da una terra lontana dove si adoravano gli idoli, e lo ha scelto come padre dei credenti. E’ la seconda lettura, che ci ha riproposto il momento più drammatico della storia di Abramo. Dopo aver avuto il figlio tanto atteso, che gli avrebbe garan-tito una forma di sopravvivenza oltre l’inevitabile morte, Abramo ha dovuto rinunciare a questo desiderio così istintivo e accettare di sacrificare colui che rappresentava il suo futuro. Ma questo futuro gli viene ridonato. Isacco il frutto della sua carne, assume allora un significato nuovo: è il frutto della fede. Com-menta la Lettera agli Ebrei: “Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco (…) Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo” (Ebr 11,17.19). Ecco il secondo passaggio della Pasqua: dalla idolatria alla fede.

E siamo alla terza tappa: il passaggio del Mar Rosso. E’ il passaggio dalla schiavitù alla libertà. I cristiani vi vedono un pallido presagio di quella libera-

La più bella storia d’amoreOmelia tenuta nel corso della veglia pasqualeRimini, Basilica Cattedrale, 23-24 aprile 2011

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zione che è avvenuta per tutti i discepoli di Cristo nella sua risurrezione e che si attualizza per noi nel battesimo: il passaggio dalla schiavitù del peccato alla libertà dei figli di Dio. Il Mar Rosso è l’immagine del fonte battesimale e un simbolo del popolo cristiano.

Quando poi gli Ebrei si ritrovarono esuli in Babilonia, furono tormentati dall’ansia del dubbio: potevano ancora credere a quella vecchia storia di un Dio alleato che libera il suo popolo e gli assicura una terra “dove scorre latte e miele”? Un lontano discepolo del profeta Isaia si è sentito chiamato da Dio a confermare il popolo nella certezza della benevolenza divina per Israele. L’av-venire non sarà una smentita di questa certezza rocciosa, ma una sua evidente dimostrazione. Ecco allora la quarta tappa: dalla dispersione alla conversione. E’ la tappa che noi battezzati viviamo ogni volta che superiamo la prova e risco-priamo la grandezza dell’amore del nostro Dio.

Ma questa speranza va continuamente rinnovata, pena la persistente rica-duta nell’idolatria. Lo stesso profeta dell’oracolo precedente si incarica allora, per mandato divino, di rianimare la speranza del popolo eletto: il sogno che Dio ha seminato nel cuore dell’uomo si realizzerà. Un giorno il mondo sarà totalmente liberato dalle forze del male. Ma occorre per questo una rinnovata conversione per passare continuamente dalla decadenza al rinnovamento. Alla luce della risurrezione i cristiani interpretano questo oracolo come una profezia della nuova ed eterna alleanza, stabilita nel sangue di Cristo.

Nel passo del libro di Baruc – è la sesta lettura – l’autore ispirato medita sul-la situazione dei Giudei rimasti all’estero, dopo la liberazione ad opera di Ciro, e riflette sul fatto che, se Israele rimane disperso fra le nazioni, ciò avviene perché ha dimenticato la sorgente della vera sapienza. La sapienza, rivelata da Dio al popolo eletto, è stata manifestata dalla legge data a Mosè. Assai presto i cristia-ni hanno utilizzato questo brano per esprimere la loro comprensione di Cristo. E’ lui la manifestazione della sapienza di Dio. Ecco pertanto un altro passaggio che i cristiani devono perennemente compiere: dalla stoltezza alla sapienza, o, se si vuole, dalla sapienza di questo mondo alla stoltezza della croce.

Ezechiele, dal cui rotolo è stata ritagliata la settima lettura, è stato tra gli esiliati in Babilonia il cantore della speranza: Dio avrebbe ricostruito di nuo-vo quello che il popolo aveva guastato con il peccato. Questa ricostruzione avrebbe trovato il suo compimento nella riedificazione del cuore dell’uomo: Dio avrebbe tolto dai suoi figli il cuore di pietra e avrebbe dato loro un cuore nuovo, anzi avrebbe dato addirittura il suo Spirito. Con la risurrezione di Cristo tutto ciò che è distrutto si ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova, e tutto ritorna alla sua integrità, grazie allo Spirito Santo che il Risorto ha effuso sui suoi discepoli nel cenacolo. Avviene così il passaggio dalla morte alla vita.

Nella lettera ai Romani, l’apostolo Paolo svela l’aspetto essenziale della vita cristiana. E’ la scoperta meravigliosa dell’amore gratuito di Dio. Chi l’accetta, ne viene sconvolto. Si apre alla vita dello Spirito. Avviene una trasformazione radi-

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cale che è morte all’uomo vecchio e risurrezione a una esistenza insospettata. E’ l’evento della Pasqua in noi. Con Gesù crocifisso moriamo al vecchio mondo, quello dell’egoismo, ed entriamo nel mondo nuovo ed eterno dei figli di Dio. E’ il passaggio dal peccato alla grazia.

Carissimi catecumeni, non vergognatevi mai del vangelo della croce. Non pentitevi mai delle promesse del vostro battesimo. E non stancatevi mai di “of-frire voi stessi a Dio, come viventi, ritornati dai morti” (cfr Rm 6,13).

+ Francesco Lambiasi

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La Pasqua è un mistero inesauribile. Nel giorno in cui celebriamo il Cristo risorto e vivente, tentiamo di cogliere al volo almeno qualche scintilla del gran-de fuoco acceso nella storia con la risurrezione di Cristo. Spero possa tornare utile allo scopo evidenziare una tra le parole più fedeli all’evento e più vicine alla nostra sensibilità. E’ la parola liberazione, che traduce la classica categoria biblico-teologica di ‘redenzione’ e significa liberazione a prezzo di riscatto. Nes-suno più di san Paolo ne ha formulato il messaggio con un ‘manifesto’ tutto nervi e vita: “Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lascia-tevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. (...) Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà” (Gal 5,1.13).

1. Libertà è capacità di futuroCominciamo con il rintracciare in noi stessi la spinta segreta che muove tut-

ta la nostra esistenza. Noi non viviamo di solo pane o di sola aria; non viviamo di cose, ma di futuro. L’uomo è indubbiamente anche un essere biologico, bi-sognoso di tutti quei mezzi e di quei beni che sostengono la sua vita fisica; ma si differenzia da tutti gli altri esseri perché può guardare in avanti, può aprirsi a qualcosa di nuovo. Anche i cani, i gatti e i cavalli hanno un ieri e un domani; ma il loro domani non porta nulla di veramente nuovo: è la ripetizione immodifi-cabile di ciò che è stato ieri, di ciò che è oggi e di ciò che inesorabilmente sarà domani e dopodomani. L’uomo invece può pro-gettare e pro-gettar-si, può por-re sé davanti a se stesso e camminare verso il futuro di sé: combinare qualcosa di bello nella vita, realizzare qualcosa di buono e di utile per le persone che amiamo. Questa capacità di futuro si chiama libertà: la persona umana non è ripetizione fatale e inevitabile di ciò che è sempre successo, ma piena apertura a ciò che non è ancora accaduto.

Pensiamo allo smarrimento che ci coglie, quando la strada verso il futuro ci appare sbarrata da un incidente, da un insuccesso o una malattia; quando ci attraversa la mente, come un lampo improvviso, il pensiero della morte, che ci fa dire: ma allora perché impegnarmi tanto, se poi tutto deve finire? E così, o ci ripieghiamo sul passato, lo gonfiamo a dismisura, lo pitturiamo con i colo-ranti fantasmagorici della memoria, e lo mettiamo davanti a noi come nostro futuro. Ma allora cadiamo nell’angoscia più penosa e insopportabile, perché ci rendiamo ben conto che il passato è ‘passato’ - non si può né ripetere né prolungare - e noi non possiamo nutrire la nostra fame di futuro con flebo di nostalgia. Oppure ci rinchiudiamo nel presente, cercando di spremerne tutte

Solo Uno che ha vinto la morte ci può liberare

Omelia del Vescovo nella Messa per il giorno di PasquaRimini, Basilica Cattedrale, 24 aprile 2011

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le potenziali stille di benessere, di piacere o di divertimento, ma prima o poi la vita ci delude, perché ciò che abbiamo o che cerchiamo di goderci non ci basta, e si riaccende in noi l’attesa di qualcosa di nuovo, di vero, di puro, di infinito. E allora ci sentiamo salire dai labirinti del cuore il grido di Paolo: chi mai potrà liberare la nostra libertà? chi ci potrà restituire la nostra capacità di futuro? chi potrà salvare la nostra speranza?

2. Libero di fronte alla morte e sulla morte Nel contesto in cui noi oggi viviamo il dramma della nostra libertà, possia-

mo collocare il messaggio liberante che scaturisce dalla Pasqua di Gesù. Gesù si è presentato sulla scena della Galilea degli anni 30 dell’era cristiana con un progetto: il regno di Dio. Ha annunciato l’evento che dà alla storia la svolta de-cisiva: Dio ha mandato in mezzo a noi suo Figlio, per prendersi personalmente e pienamente cura della vita di tutti noi, suoi figli. Le ansie, le sofferenze, gli interrogativi dell’uomo diventano affare suo e Dio decide di dare ad essi una risposta che va al di là di ogni attesa. Con Gesù il regno della verità, della libertà e della pace si è fatto presente. I poveri, i peccatori e i perduti possono esultare, perché proprio a loro, attraverso l’amore di Gesù, Dio offre vita e salvezza. Mes-saggero potente del regno di Dio, Gesù di Nazaret è passato “beneficando e ri-sanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (1.a lettura). Si è chinato sulle miserie dell’uomo: ha risanato i lebbrosi, ha avvicinato gli emarginati, e ai peccatori, legati al proprio passato senza speranza di uscirne, ha offerto il perdono, ha aperto nuovi spazi di vita e un futuro pie-no di possibilità insperate. Una così vasta e potente opera di liberazione trova ragione nel fatto che Gesù è un uomo interiormente libero. E’ libero dalla ambi-ziose aspettative messianiche che tutti, intorno a lui, avrebbero voluto imporgli. E’ libero di fronte ai discepoli e pronto ad andarsene anche da solo, sulla strada di un ideale nuovo e frainteso: morire per amore, come il seme che dona la vita marcendo. Gesù è libero di fronte a leggi e prescrizioni, a tabù e divieti, quando offendono l’uomo e la sua dignità. E’ libero di fronte ai ricatti e alle minacce dei suoi nemici. Ma è libero soprattutto di fronte alla madre di tutte le paure, la paura della morte, e lo è libero perché si sa e si sente totalmente amato dal Padre. E così si offre volontariamente alla morte “per ridurre all’impotenza colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per paura della morte, sono soggetti a schiavitù per tutta la vita” (Ebr 2,14s).

Ma se tutto fosse finito all’ora nona di quel 14 di nisan dell’anno 30, noi oggi non staremmo qui, o al massimo staremmo qui solo a commemorare un grande del passato, dalla cui vita duemila anni di storia costituirebbero un fossato incolmabile. E quindi dovremmo salvarci da soli, con le nostre attese fatalmente deluse, sempre più soli e impotenti, costretti a censire sogni falliti, a registrare desideri infranti, relazioni malate, affetti spezzati. E invece il nostro liberatore è risorto. Ecco il messaggio di Pasqua, messaggio di morte e di ri-surrezione. Il Crocifisso ci dice che Gesù si è posto in atteggiamento di totale libertà davanti alla morte. Il Risorto ci dice che Gesù ha ricevuto dal Padre il potere e la libertà sulla morte: nell’Apocalisse si mostra come “il Vivente, già morto, ma che ora vive per sempre e ha le chiavi della morte e degli inferi” (cfr

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Ap 1,18). La risurrezione non cancella la passione e la croce di Cristo: il Risorto si mostra ai suoi, nel cenacolo, con le piaghe gloriose. La gloria della risurrezione non elimina le stigmate della passione, ma le ‘glorifica’, ossia le perpetua, ren-dendole presenti e attuali per sempre. Anche in cielo l’Agnello appare “in piedi, come immolato” (Ap 5,6). Tutto questo sta a dire che Cristo, se è risorto è vivo, e se è vivo è nostro contemporaneo, e quindi entra in relazione con noi, c’entra con me, e può liberarci se noi vogliamo.

La risurrezione di Cristo – ha ricordato papa Benedetto – “non è affatto un semplice ritorno alla nostra vita terrena; è invece la più grande ‘mutazione’ mai accaduta, il ‘salto’ decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Na-zaret, ma con lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo” (al convegno di Verona, 2006). La risurrezione è una parola che il Signore rivol-ge a ciascuno di noi, dicendoci: “Sono risorto e ora sono sempre con te (…). La mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani, Sono presente perfino alla porta della morte. Dove nessuno può accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là io ti aspetto e trasformo per te le tenebre in luce” (veglia pasquale, 2007).

Con Cristo o senza Cristo cambia tutto. L’incontro con il Risorto ci fa ri-sorgere e ci rende capaci di un futuro nuovo, pienamente umano. Che questa liturgia non rimanga rito, ma diventi vita. La Pasqua per noi è tutto. Non solo noi dalla Pasqua siamo salvati, ma tutto ci viene dalla Pasqua: lo Spirito, la Parola, i sacramenti, la Chiesa, l’amore, la vita nuova. La Pasqua è Cristo che viene a vivere in noi. Noi allora lo imploriamo: Maranà tha! Vieni, Signore Gesù! Vieni e resta con noi, perché si fa sera. Resta con noi fino all’ultima sera del nostro cammino “sullo stretto marciapiede della terra”, quando cadrà l’ultimo sole sul nostro orizzonte, e la nostra vita sfocerà con te nella casa del Padre, che “solo amore e luce ha per confine”.

+ Francesco Lambiasi

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Omelie

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Oggi siamo invitati a godere con gratitudine di questa sosta contemplativa, che ci dona il vangelo, ma prima e proprio per accogliere la rivelazione di Gesù, dobbiamo ritornare sulla domanda di Filippo: “Signore, mostraci il Padre!”. Nel-la supplica ardita di Filippo riconosciamo la voce di tanti, la nostra voce.

1. Andiamo subito alla risposta di Gesù: “Filippo, chi ha visto me, ha visto

il Padre”. Per Gesù ogni occasione è buona per ridire il vangelo del Padre, la buona notizia: “Il Padre mio vi ama!”.

Per capire il Padre, dobbiamo tenere lo sguardo fisso sul Figlio. Gesù è in persona il Figlio del Dio vivente. Non possiamo ridurlo a uomo straordinario, a grande riformatore sociale, a eroe senza macchia e senza paura: un Gesù senza Padre, una sorta di “orfano” di Dio, sarebbe irriconoscibile.

Dunque – sembra dire Gesù – guardami, Filippo: eccolo il Padre. E’ qui accanto a te, e ti sfiora e ti parla. E tu lo puoi vedere, toccare, ne puoi sentire il battito del cuore, come lo ha sentito Giovanni, il discepolo amato, poco fa. E tu lo puoi abbracciare e baciare, come farà Giuda tra un paio d’ore, al Getsemani. No, Filippo, non aspettarti una rivelazione grandiosa, come le antiche teofanie, tra fulmini e saette: ormai Dio non è più in mezzo a fuoco ardente, né a oscu-rità, tenebra e tempesta. Filippo, eccolo il Padre: ha la mia faccia, la mia voce; ha il mio respiro, il mio cuore. Non temere, Filippo: Dio “non vuole essere tanto Signore, quanto Padre. Cerca la fede, non la morte. Ha sete della tua preghiera, non del tuo sangue. Viene placato non dalla morte, ma dall’amore” (S. Pietro Crisologo).

Dio è Padre, è l’Abbà forte e tenero di Gesù di Nazaret, il nostro Babbo grande e vicino, a noi intimo più del nostro intimo. “Padre” non è un titolo tra i vari possibili, che le nostre povere parole incerte gli possano attribuire: è il suo nome proprio. Egli è solamente, interamente, perennemente Padre. E’ sola-mente Padre: un padre umano è lui stesso figlio di qualcuno, mentre Dio Padre è il Genitore-ingenerato: la domanda: “chi c’era prima di lui?” è una sgramma-ticatura teologica. Egli è interamente Padre: un padre umano è anche sposo, fratello, amico, e poi è un lavoratore o un pensionato, un artista o un artigiano, uno sportivo o un tifoso. Lui, no: padre è la sua qualifica essenziale, integrale, esclusiva. E permanente: un padre umano lo diventa a un certo punto della sua vita. Dio non diventa, ma è Padre: lo è da sempre e per sempre.

Il Padre ci basta Io sono la via, la verità e la vita

Omelia pronunciata in occasione del Convegno Nazionale dei cattolici cinesiRimini, Basilica Cattedrale

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Così è fatto Dio, ci dice Gesù; Dio è fatto d’amore. In Dio c’è il Padre, l’Ori-gine di tutto senza essere originato da nulla. E il Figlio Gesù è la sua Immagine unica, fedele, perfetta. E poiché Dio è Amore, il Padre è l’Origine dell’Amore, di cui il Figlio è l’Immagine, lo Spirito Santo è l’Amore dell’Immagine e dell’Origi-ne, l’infinito scambio di un dono infinito.

2. Hai ragione, Filippo, in questo hai pienamente ragione: il Padre ci basta!

Ma allora non resta che fidarsi e affidarsi a Lui. Se hai la sorte di sentirti amato dall’Amore, se hai la fortuna di credere di essere preceduto e atteso da un Padre che ha contato perfino i capelli del tuo capo, se hai ricevuto la grazia di avvertire che la tua esistenza è sorretta dalle sue mani sicure e di percepire che Egli, il creatore onnipotente delle sconfinate moltitudini dei mondi che popolano l’u-niverso, ti pensa, ti segue e ha tracciato una strada appositamente per te, allora come fai a non fidarti? Come puoi pensare che esista qualcosa di più giusto e di più utile per te dell’accettare e fare la sua volontà? Colui che sa far funzionare le stelle e le galassie, non sarà forse in grado di far funzionare anche la tua vita?

Questo atteggiamento di fiducia previa, incondizionata, è talmente centrale per il credente da costituire un punto discriminante con la mentalità laico-ra-zionalista. L’uomo mosso dalla sola ragione opera una critica implacabile contro l’idea stessa di un piano di Dio. L’uomo si autorealizza senza Dio: questo è il dogma del razionalismo. O l’alienazione della fede o l’emancipazione della ra-gione.

Oggi gli uomini del nostro tempo chiedono ai credenti non solo di parlare di Dio, ma in certo senso di farlo loro vedere. Ma mostrare il volto di un Padre affidabile è possibile solo a chi crede, solo a chi ha il volto e il cuore di uno che si fida di - e si affida a - Cristo: “Amen amen, dico a voi: chi crede in me, farà le opere che io faccio e ne farà di più grandi” (v. 12). Le opere buone che compiremo saranno viste dagli uomini, i quali renderanno gloria non a noi, ma al Padre che è nei cieli (cfr Mt 5,16). E saranno opere più grandi di quelle che Gesù ha compiuto nella sua vita terrena: perché allora ha agito da solo, senza di noi; ora opera in noi e attraverso di noi. Certamente noi non sfameremo le folle, non guariremo i lebbrosi, non risusciteremo i morti, ma la vite che è Cristo, porterà molto più frutto attraverso noi, suoi tralci, che senza. Perché, se è vero che i tralci senza la linfa della vite non vivono, è anche vero che la vite senza i tralci non porta frutto.

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Omelie

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Ecco, Dio è fatto così: come un pastore. La tipica, suggestiva metafora me-diterranea veicola in sottofondo il lascito di antichi oracoli profetici. Rileggiamo, dal rotolo del grande Isaia: “Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri” (Is 40,11). Ricordiamo ancora, dal profeta Ezechiele: “Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fasce-rò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia” (Ez 34,16). Ma cosa avviene quando viene l’ora di Gesù? La profezia si compie; la metafora si realizza. Ormai non si può più dire: Dio è come un pastore, ma si deve dire: Dio è il pastore, e ha la faccia, le mani, il cuore di Gesù, il buon pastore.

1. Pastori per voiQualche esegeta si surriscalda nel sostenere che l’aggettivo greco kalòs

- ‘bello’ - abbinato al sostantivo ‘pastore’, vada tradotto alla lettera: Gesù è il pastore bello. Altri invece rendono quell’aggettivo con vero: Gesù è il pastore vero, cioè autentico. Sono tutte varianti filologicamente fondate ed esegeti-camente plausibili. Ma forse la domanda da porre è un’altra: perché Gesù è il pastore buono, bello, vero? Possiamo rispondere con le parole di uno che se ne intendeva sul serio, sia di esegesi come di pastorale e pure di santità, visto che si tratta di Gregorio Magno, che fu papa santo e dottore della Chiesa, il quale commentava così l’autodefinizione di Gesù: “Io sono il buon Pastore; conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”, come a dire: “Io le amo ed esse mi corrispondono riamandomi”. Molto correttamente quel santo padre della Chiesa interpretava il verbo conoscere, in senso biblico, secondo cui conoscere significa amare. Detto in due parole: Gesù è il pastore generoso, affascinante, autentico, in quanto è il pastore innamorato, innamorato folle, e folle fino alla follia della croce. In effetti Gesù è un pastore unico: non se ne è mai visto uno come lui, nella serie dei pastori che ci furono, ci sono, ci saranno. Non è sempli-cemente il primo della serie: è il fuori-serie, è il pastore. Nei confronti delle sue pecore non si limita a declinare i verbi usuali del pastore forte e tenero: guidare, nutrire, difendere il gregge, ma ne coniuga uno del tutto insolito: sacrificarsi. “Io do la mia vita per le pecore” (Gv 10,14). Qui la metafora supera se stessa: dove

Non mercenari, ma pastori candidati al martirio

Omelia del Vescovo in occasione dell’ordinazione presbiterale di Giuseppe Tosi, Gioacchino Vaccarini, Daniele Missiroli, fr. Juri LeoniRimini, Basilica Cattedrale, 14 maggio 2011

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si è mai visto un pastore che si lascia uccidere per amore delle sue pecore? Nel commento al nostro brano, s. Agostino, presentandosi al popolo con i

suoi presbiteri, diceva così: “Pascimus vobis (siamo pastori per voi) et pascimur vobiscum (siamo nutriti con voi); det utinam Dominus eam amandi vim ut pro vobis aut effectu mori possimus aut affectu (il Signore ci dia la forza di amarvi a tal punto da poter morire per voi, o effettivamente o affettivamente)” (cit. in PdV 25).

Siamo pastori: non ci siamo chiamati da soli a questa missione. Non ci sia-mo aggiudicati da soli questo onore. Non ci siamo arrogati da soli questo onere. Ci ha chiamati Lui. Da mille strade diverse, in mille modi diversi. Chi se ne stava sulla riva, a rassettare reti immancabilmente flosce e deludenti, a masticare rab-bia per l’ennesima quota di sudore sprecato. Chi se ne stava dietro il banco dei suoi piccoli traffici, a mangiarsi le unghie per vedere come riuscire a spennare qualche altro centesimo alla povera gente. Chi se ne stava in casa a sognare va-gabondaggi senza traguardi, a disegnare rotte senza mete e senza orizzonti. In-somma tutti avremmo storie differenti da raccontare, ma tutte apparentate dallo stesso canovaccio, fatto di ricerche travagliate, di attese allo spasimo, di sorprese neanche lontanamente immaginabili. Ma ognuno potrebbe forse ritrovarsi pari pari nelle parole del canto di anni addietro, intitolato Vocazione:

“Era un giorno come tanti altri, e quel giorno lui passò. Era un uomo come tutti gli altri, e passando mi chiamò. Come lo sapesse che il mio nome era proprio quello, come mai vedesse proprio me nella vita, non lo so. Era un uomo come nessun altro, e quel giorno mi chiamò”...

Sì, ci siamo lasciati sedurre e siamo rimasti sedotti. Ci siamo innamorati di Lui e non abbiamo più potuto farne a meno. E così è partita una storia fatta di slanci e di inciampi, di tenerezze e di abbandoni, di calcoli e di follie, fatta di stu-pori e di sbigottimenti, forse anche di ristagni, di fughe scriteriate e di nostalgici, irrefrenabili ritorni. Comunque, tutta una storia d’amore, dalla a alla zeta. Poi Lui ci ha fatto tremare le vene e i polsi, quando ci ha fissati uno ad uno e ci ha schiantati con quella domanda bruciante: Francesco, Daniele, Giuseppe, Gioac-chino, Juri, mi ami tu?

Ci siamo arresi e gli abbiamo detto sì. Lui ci ha fatti suoi e ci ha affidato voi. E come a Simone bar Jonas, ha detto a ognuno di noi:”Pasci i miei agnelli”. Così, ci ha messi di fronte a voi. Capite, fratelli e sorelle? Non ci ha tolti dal gregge, ma ci ha messi a parte; non ci ha collocati sopra di voi, ma di fronte a voi.

2. Morire per voiStare di fronte... Dio, che posizione scomoda! “Molto meno rischioso stare

‘nella’ Chiesa, con il crisma sulla fronte, che stare ‘di fronte’ alla Chiesa, con il crisma sulle mani” (T. Bello). Stare di fronte a voi non è stare in poltrona o in cattedra oppure stare sul palco o sul podio del vincitore. E’ stare in croce: per sacrificare la vita come ha fatto Gesù, per amare e servire i suoi, i nostri fratelli come li ha amati e serviti lui. Non per capacità o iniziativa nostra, non per qual-che merito acquisito o per un premio spasmodicamente conquistato, ma perché chiamati: poiché il ministero è un mistero, uno stupefacente mistero di grazia.

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Omelie

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Stare di fronte significa esercitare il ministero nel nome del “Pastore grande delle pecore” Gesù - un nome che contiene tutta la dolcezza del mondo - senza mai pretendere di sostituirlo, ma diventando la trasparenza della sua fortissi-ma, tenerissima presenza. Significa svolgere il triplice compito che ci è affidato - insegnare, santificare, presiedere - come ‘ministero’, ossia come servizio, non come ‘potere’. Quindi insegnare, non montando sulla testa dei fratelli per pla-giarli, ma chinandosi ai loro piedi per pulirli. Quindi celebrare l’eucaristia, pren-dendo e spezzando il pane non come una cosa o come un oggetto per quanto santo e venerabile, ma come il corpo di Cristo: “con mani frementi, nell’attesa che chiodi crudeli aprano al dono”, al dono di sé. Stare di fronte significa gui-dare la comunità cristiana “non spadroneggiando sulle persone, ma facendosi modelli del gregge” (1Pt 5,3).

Stare di fronte da pastori significa lasciarci plasmare sullo stampo del “Pa-store supremo”; significa lasciarci ‘fare’ presbiteri, cioè ‘anziani’ nel senso eti-mologico del termine, che vuol dire: coloro che sono ante, cioè ‘prima’, ma a me piace interpretare la preposizione latina ante nel senso di ‘davanti’; quindi mi prendo la licenza di intendere ‘presbiteri’ come quelli che sono ‘maturi-per-stare-di-fronte’. Comunque sia, ‘presbiteri’, con il corredo delle tipiche virtù presbiterali, quali: “la fedeltà, la coerenza, la saggezza, l’accoglienza di tutti, l’affabile bontà, l’autorevole fermezza nelle cose essenziali, la libertà da punti di vista troppo soggettivi, il disinteresse personale, la pazienza, il gusto dell’impe-gno quotidiano, la fiducia nel lavoro nascosto della grazia che si manifesta nei semplici e nei poveri” (PdV 26).

Stare di fronte da sacerdoti significa dare la vita. E voi, carissimi, tra poco vi prostrerete a terra per dire con questo gesto - che vi invito a fare a braccia allargate, a forma di croce - per dire che voi state qui non per autocondannarvi a morte, ma per autocandidarvi al martirio. Abbiamo sentito il sospiro di s. Agostino, che diceva alla sua gente: “utinam pro vobis mori possimus aut ef-fectu aut affectu” - “potessimo morire per voi o di fatto o col cuore!”. Forse tu, Signore, non ci chiedi il martirio effettivo, con il sangue, e allora consumaci al fuoco lento del quotidiano martirio di cuore. “Signore Gesù, buon Pastore, che hai dato te stesso fino alla morte di croce per le tue pecorelle, rendici degni di poter offrire tutta la nostra vita per la porzione di gregge che tu ci affidi” (Coll.).

Che ognuno di voi, carissimi, quando verrà tra poco a mettere le mani nelle mani del vescovo, possa dire nel suo cuore: “Io ti offro la mia vita, o mio amabi-lissimo Signore, io ti offro tutto di me, tutto di me. ‘Tutto l’esser mio, prendilo, Signor’. Nelle tue mani affido la mia vita: tutti i miei giorni, tutti i miei beni, tutti i miei affetti, tutti miei effetti: talenti, risorse, e perfino limiti e fragilità. Non vo-glio trattenere nulla per me. Neppure l’affermazione. Neppure la realizzazione. Neppure la gratificazione”.

Che ognuno di voi, quando arriverà l’ora nona della sua vita, possa dire in tutta sincerità e con intima gratitudine: “Nella semplicità del mio cuore, lieta-mente, mio Dio, ti ho dato tutto”.

Che ognuno di voi possa vivere ogni giorno del ministero sacerdotale come fosse il primo, come l’ultimo, come l’unico, e ogni sera possa cantare a cuore spiegato: “Tu, Dio, che conosci il nome mio, fa’ che ascoltando la tua voce, io ri-

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cordi dove porta la mia strada, nella vita, all’incontro con te”. Sì, cantate così, ca-rissimi, ogni sera, fino all’ultima sera, quando sarà la fine: una festa senza fine...

Nel commento al vangelo del buon Pastore, s. Gregorio Magno afferma che “amare è già un camminare - amare iam ire est”. Preghiamo Maria, la Ma-dre del buon Pastore, di rischiarare con il suo materno, dolcissimo sorriso tutto il vostro cammino, e di farvi dono della pace, di ogni bene e soprattutto del bene della perfetta letizia.

+ Francesco Lambiasi

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Omelie

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Cristo non si è ancora stancato di camminare con noi. Non si è ancora pen-tito della promessa di rimanere con noi tutti i giorni e di accompagnare tutti noi, esuli figli di Eva, nel nostro affannato peregrinare, fino alla fine del mondo, sui ripidi sentieri della storia. Questo è il segnale forte e netto, lanciato dalla pro-cessione del Corpus Domini: il corpo di Cristo è il pane dei pellegrini, il viatico che ci assicura l’energia per procedere da cristiani sulle strade della nostra città, alla volta della città futura, la Gerusalemme celeste.

1. Gesù ha distrutto in sé l’inimiciziaNell’ultima sera della sua vita, mentre consumava una cena che fu sicura-

mente di addio, Gesù era perfettamente consapevole di quale sarebbe stata la conseguenza fatale dell’ignobile tradimento di Giuda Iscariota: una ingiusta condanna, una crudelissima passione, una morte raccapricciante e ignominiosa sulla croce. Nonostante questa lucida previsione, Gesù non prende la strada della fuga per mettere in salvo la propria pelle. Non si ripiega su di sé, in un silenzio sdegnoso e sprezzante, né scaglia livide invettive contro chi stava per tradirlo, contro i discepoli che stavano per abbandonarlo, contro mandanti ed esecutori del suo infame supplizio. Ma “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1). Quel semplice gesto dell’offrire ai com-mensali il pane e il vino come segni tangibili e trasparenti del proprio corpo e del proprio sangue racconta senza possibilità di equivoco una offerta di sé, totale e irreversibile.

Che cosa fa allora Gesù nel cenacolo? si espone coscientemente e libera-mente alle sofferenze atroci e alle infamanti umiliazioni che dovrà subire, le assume in anticipo e ne fa l’occasione di un amore senza misure, di un per-dono senza riserve. Abbandonato e vigliaccamente tradito, Gesù si dona e si abbandona a persecutori e carnefici, in una donazione gratuita, senza limiti e senza rimpianti. Assume preventivamente l’elemento di rottura – il tradimento, il fallimento, la morte - per trasformarlo in adeguato strumento di alleanza. Le parole che pronuncia sulla coppa di vino rosso lo esprimono con chiarezza abbagliante: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue”. Ecco quanto ‘passa’ nel cuore di Gesù: il sangue infetto della cattiveria universale viene la-vato e ossigenato dal suo amore supersmisurato, e poi restituito come sangue sano e risanante alle arterie del corpo dell’intera umanità, contaminata dalla

Il Pane per passare dall’io al noi E dall’ostilità all’ospitalità

Omelia tenuta dal Vescovo, al termine della processione del Corpus DominiRimini, 23 giugno 2011

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pandemia dell’egoismo e del peccato. Così una violenza totalmente ingiustifica-ta viene capovolta in una dedizione totalmente incondizionata. Si tratta di una metamorfosi strabiliante, che manifesta tutta la generosità del suo cuore: Gesù ha avuto la capacità di prendere occasione dalle circostanze più contrarie e do-lorose per superare se stesso e arrivare oltre il confine dell’amore più eroico e gratuito, in un eccesso di carità che lascia sgomenti e stupefatti.

San Paolo esprime una sorpresa quasi incredula di fronte a uno spreco così folle di bontà: “Nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. (...) Mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,7-9). E nella Lettera agli Efesini ci si spiega come abbia fatto Cristo a riconciliare con Dio Padre degli esseri umani a lui spietatamente ostili: “ha distrutto in se stesso l’inimicizia” (Ef 2,14). Cioè, non ha distrutto i nemici fuori di sé, ha distrutto l’inimicizia dentro di sé, per accogliere e ospitare in sé i suoi irriducibili avversari. Eppure avrebbe potuto domandare al Padre dodici legioni di angeli per immobilizzare i suoi per-secutori, ma non l’ha fatto, anzi lo ha pregato di perdonarli. Ecco dunque cosa avviene nella santa cena: a una ostilità tanto incomprensibilmente arbitraria, Gesù reagisce con una ospitalità altrettanto incredibilmente gratuita.

2. La risorsa educativa dell’eucaristia Quando celebriamo l’eucaristia e riceviamo la santa comunione, accoglia-

mo in noi lo stesso dinamismo di amore che Gesù ha manifestato nell’ultima cena. La comunione ci rende capaci di prendere occasione dalle ingiustizie e dalle offese, da tutto ciò che è contrario all’amore, per ottenere la vittoria dell’a-more, in intima comunione con Cristo. Pertanto l’eucaristia diventa per noi scuola e laboratorio, palestra e noviziato dove veniamo formati e allenati a passare dall’isolamento alla condivisione, dall’esclusione alla convivialità, dalla lontananza alla prossimità. In breve, l’eucaristia ci educa all’accoglienza e ci abi-lita a passare dall’ostilità all’ospitalità. Come non ricordare che Gesù ha aperto l’ultima cena con la lavanda dei piedi ai discepoli, ossia proprio con quel gesto che era considerato il primo da riservare all’ospite quando entrava in casa? Ma la conclusione che il Maestro ne tira è scioccante: “Se io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,14).

Lavarci gli uni i piedi degli altri. La prima attenzione, non tanto in ordine di tempo quanto in ordine di logica, dobbiamo esprimerla all’interno delle nostre comunità: “a cominciare dai fratelli nella fede” (cfr Gal 6,10). Spendersi per i poveri, va bene. Lavare i piedi di quanti sono emarginati da tutti i banchetti della vita, va meglio. Ma prima ancora dei disabili, dei barboni, dei nomadi, dei profughi, di coloro che ordinariamente sono parcheggiati fuori del palazzo o all’ombra del tempio, vengono coloro che condividono con noi l’area e l’aria del ‘cenacolo’. La Chiesa non può portare ‘fuori’ l’eucaristia, nella città, se prima non la vive ‘dentro’ le sue pareti. Non c’è una eucaristia dentro, e una lavanda dei piedi fuori. Che cosa significa allora quell’inequivocabile pronome di reci-procità: “gli uni gli altri”? Che, ad esempio, il vescovo difficilmente potrà essere portatore di un ‘primo annuncio’ del vangelo, se, nell’ambito del presbiterio, non è disposto a lavare i piedi di tutti gli altri sacerdoti e a lasciarsi lavare i piedi da ognuno dei confratelli. Anzi, c’è di più o di peggio. E’ l’intera comunità

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Omelie

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cristiana che accusa deficit vistosi di credibilità se nel suo grembo serpeggia la divisione, dilaga il campanilismo, tracima la faziosità, ci si osteggia in tifoserie contrapposte, si sprofonda nel letargo dell’indifferenza reciproca, a tal punto che i piedi ognuno se li deve lavare per conto suo.

Ma portare il corpo del Signore per le strade della città - è un secondo messaggio di questa processione eucaristica - lascia trasparire la disponibilità e l’impegno di noi cristiani a mettere in circolo, a disposizione dell’intera comuni-tà civile, l’incalcolabile risorsa che l’eucaristia rappresenta. Sì, anche Rimini ha bisogno di passare ininterrottamente dall’ostilità all’ospitalità: non possiamo esimerci dall’imboccare lo svincolo che fa transitare ogni cittadino dall’io al noi. La nostra città è diventata più arida, frammentata e divisa. La caduta della solidarietà, e spesso, troppo spesso, un egoismo brutale e vorace, e un feroce antagonismo marcano ostentatamente la stagione in corso. Ci ritroviamo più vecchi e depressi, più soli, impauriti e aggressivi. L’ostilità, radicata in un cuore ribelle a Dio, è il cancro che produce metastasi negli affetti e nelle relazioni: aggredisce le famiglie, si insedia negli ambienti sociali e politici, si coagula in sistemi ingiusti e brutali. Il preoccupante sfilacciamento del vincolo civile trova la sua adeguata terapia solo nel rafforzamento del legame morale, pena l’ine-sorabile declino della società. Vogliamo individuare il termometro infallibile per misurare il grado di civiltà della nostra città? E’ la preferenza che si dà al bene comune rispetto agli interessi privati.

Ecco il “capitale sociale” rappresentato dall’eucaristia: costruire una città civile e abitabile, sulla base dei grandi valori della libertà, dell’uguaglianza, della fraternità. In questo inizio di millennio si impone una seconda ricostruzione del-la nostra città, dopo la prima, avvenuta a seguito della devastante distruzione dell’ultima guerra mondiale. Oggi è l’anima umana di Rimini che deve rinascere. In questo “risorgimento morale”, i cristiani laici sono sorretti da una certezza incrollabile: che l’eucaristia non è fatta per mandarci in estasi, ma per metterci in crisi. Come non andare in crisi quando vediamo accendersi, dentro e fuori di noi, violente forze negative, che si potrebbero chiamare letteralmente ‘anti-eucaristiche’ in quanto effettivamente anti-umane? Ne richiamiamo alcune, in triste, schematica elencazione: la ‘liquefazione’ della prossimità, che promette una libertà senza orizzonti e senza impegni, in cambio di una solitudine senza memorie e senza speranze; la “dittatura del relativismo” e la riacutizzazione di un laicismo surriscaldato, che fatica a riconoscere il dna cristiano di una sana, serena laicità; la demonizzazione del diverso e dell’avversario politico, quali ne-mici da abbattere; l’assuefazione al dolore altrui, che rende indifferenti di fronte a tragedie colossali, come il naufragio dei 1.300 profughi, ingoiati dal mare di Lampedusa; la paura del futuro e dello straniero, due virus micidiali che vanno quasi sempre in combutta... E’ una situazione difficile e diffusa, ma tutt’altro che irreversibile: se tutti, istituzioni e cittadini, ispireremo la nostra azione ad un umanesimo plenario e ci lasceremo guidare dalla stella polare del bene comu-ne, potremo rendere sempre meno ostile e sempre più ospitale la nostra città. “Coraggio, popolo tutto!” (Ag 2,4).

Fratelli e sorelle, uomini e donne di buona volontà, lasciate che vi ripeta le parole gridate dal beato Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura! Aprite, anzi spa-

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lancate le porte a Cristo!”. La fede cristiana non è schierata contro gli autentici valori umani, quali la scienza, la democrazia, la tolleranza, ma è per una loro af-fermazione solida e alta, che sia esente da interpretazioni unilaterali e distorte. La Chiesa non reclama privilegi, ma rivendica libertà; la stessa che sollecita per tutti, nella certezza che solo una città dell’uomo, rispettosa della dignità e dei diritti umani fondamentali, è anche città di Dio.

Allora preghiamo insieme: “O Gesù, buon Pastore, tu riunisci in un solo corpo quanti si nutrono di uno stesso pane: sostieni i credenti, le donne e gli uomini di buona volontà, nell’assicurare alla comunità ecclesiale e a quella civi-le la libertà, la giustizia e la pace. Amen”.

+ Francesco Lambiasi

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Interventi del Vescovo(In copertina: Visione della Beata Chiara, Maestro di Verucchio, Londra, the National Gallery - dettaglio)

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A sorpresa, il 44.mo Rapporto Censis 2010, pubblicato recentemente, ha individuato la natura della crisi in un “calo del desiderio” che si manifesta in ogni aspetto della vita. Abbiamo meno voglia di crescere, di costruire, di cercare la felicità. I vampiri del materialismo, dell’edonismo, del consumismo ci hanno succhiato il sangue e al tempo stesso ci hanno inoculato il veleno soporifero della depressione, facendoci cadere in letargo. E siamo andati in automatico. A questa caduta del desiderio andrebbe attribuita la responsabilità delle “eviden-ti manifestazioni sia personale, sia di massa, comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattivi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e di futuro”. Come mai se siamo stati in grado di raggiungere importanti obiettivi nel pas-sato (casa, lavoro, sviluppo…), adesso “siamo una società pericolosamente se-gnata dal vuoto”, e a un ciclo storico pieni di interesse e voglia di fare ne segue un altro segnato dal suo annullamento? “Tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare una società troppo appagata e appiattita”.

Ma il desiderio dell’uomo da solo non si riattiva. Ha bisogno di sentirsi abbracciato dall’Amore più grande. quello di Dio che ci ha amati per primo, l’amore di Cristo che è morto per ridarci la vita.

1. Dio ci si è fatto vicinoIl primo vangelo, quello di Matteo, iniziava con un albero genealogico, una

interminabile, monotona litania di nomi per redigere il certificato anagrafico di Gesù, “figlio di Davide, figlio di Abramo”. Il vangelo secondo Marco cominciava con un grido: era la voce aspra e rovente del Battista che chiamava la gente a conversione. Quello di Luca con una dedica - al nobile Teofilo - e con un racconto: l’annuncio e la nascita del Precursore. Giovanni - l’evangelista “che sovra li altri com’aquila vola” (Dante) - preferisce cominciare con un prologo: “l’altissimo canto” (Id.), l’inno al Verbo incarnato. “In principio era il Verbo / e il Verbo era presso Dio / e il Verbo era Dio”. Il centro incandescente del mistero è fissato in quella mezza riga: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in

Con Cristo o senza Cristo cambia tutto La vita cristiana illuminata dall’evento pasqualeIntervento del Vescovo ai Quaresimali 2011Chiesa di s. Agostino, 11 aprile 2011

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mezzo a noi”. Il contrasto con l’incipit del brano non poteva essere più netto, ma viene superato nell’incarnazione. Là, nel versetto iniziale, l’evangelista af-fermava solennemente che il Verbo era in una esistenza divina, inalterabile e imperturbabile, senza inizio né successione, senza ruderi del tempo né rughe di cambiamenti, senza le cicatrici di cadute o di risalite. Qui si dichiara che il Verbo si fece carne: si fece, cioè ha assunto una esistenza storica, in divenire, carica di debolezza, e perciò esposta e vulnerabile. Là il Verbo era presso Dio, qui è in mezzo a noi. Là il Verbo esisteva come Dio, qui come carne. ‘Carne’ significa più del semplice assumere la natura umana, e non solo perché sottolinea ener-gicamente la visibilità e la concretezza dell’umanità assunta, ma perché evoca quella sfera di fragilità e di normale ferialità, entro la quale si svolge l’esistenza degli umani. ‘Carne’ dice tutta la distanza fra l’uomo e Dio che in Gesù viene colmata. ‘Carne’ declina l’umanità di Gesù: il suo essere generato, il suo cresce-re, sudare, piangere, sorridere, stancarsi, rattristarsi, morire.

Questo vangelo dell’incarnazione contiene un massimo di buone notizie. Decliniamone alcune, almeno quelle più gravide di senso per noi.

Dio è vicino: prima buona notizia. Il grande Pellegrino ha macinato secoli e millenni di distanza, si è avvicinato a grandi passi, e Colui che doveva venire è finalmente arrivato: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20). Ma fosse toccato a noi programmargli il protocollo della visita, lo avremmo sontuosamente agghindato come un magnifico imperatore con tanto di corte al seguito. O lo avremmo armato di tutto punto, come un generale altero, con scorta di ‘gorilla’ e guardie del corpo. O forse lo avremmo vagheggiato nei panni di un cattedratico impettito o di un pio guru che viene a somministrare ai poveri mortali dosi preconfezionate di idee brillanti, di nobili principi e sagge regole di vita. E invece Dio è fatto così: prima di accasarsi tra di noi, si spoglia di tutti i privilegi, si svuota completamente della ‘gloria’, e riparte da zero. Non viene con i segni del potere, si presenta con il potere dei segni: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. L’ha detto l’angelo ai pastori, quella notte, nella campagna di Betlemme di Giudea. Ricor-diamo un altro antico inno che circolava nelle prime comunità cristiane: “Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio / non ritenne un privilegio l’essere come Dio / ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo / diventando simile agli uomini” (Fil 2,5-7).

Ecco come è fatto Dio: in quel quasi-niente del piccolo di Maria, Dio c’è tutto, e in quel frammento di carne si racconta a tutto tondo. Dio è qui: respira in Gesù, guarda e piange con gli occhi di Gesù, lavora e accarezza con le mani incallite del falegname di Nazaret, mangia parla ride sorride con la sua bocca. La conseguenza è lampante: l’appuntamento con Dio ormai si compie nell’incon-tro con Gesù. Il Verbo della vita, che era da principio, noi lo abbiamo veduto con i nostri occhi, udito con i nostri orecchi, lo abbiamo palpato con le nostre mani, abbracciato con la passione e la tenerezza delle nostre braccia (cfr 1Gv 1,1ss).

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Sì, nel piccolo di Maria Dio Padre ci ha abbracciati, e ormai non ci libereremo più da quella stretta.

2. Siamo diventati figli dell’unico PadreAncora: il Verbo della vita ci ha dato il potere di diventare figli di Dio: secon-

da buona notizia. Lo stesso evangelista nella prima delle sue lettere la formula così: “Guardate quale amore ci ha dato il Padre: ci chiama figli di Dio e lo siamo davvero” (1Gv 3,1). C’è una nota di lieto stupore, quasi di incredula sorpresa, nelle parole dell’apostolo. Quanto sta dicendo è così importante che sente il bisogno di attirare la nostra attenzione: Guardate. L’amore di Dio è tanto gran-de da sorprenderci: nessuno avrebbe potuto immaginarlo così tridimensionale, con tanta larghezza, altezza e spessore, se non ci fosse stato rivelato. Essere figli di Dio non è un semplice modo di dire, non è una tenera metafora, ma una condizione reale e concreta da prendersi alla lettera: e lo siamo davvero. Basta questa breve affermazione di Giovanni per farci comprendere che - di fronte alla rivelazione del Padre che Gesù ci ha consegnato - la prima reazione non può che essere lo stupore. Dio prima è Padre, e poi creatore: non aveva bisogno di noi per esprimere la sua paternità, e tuttavia ci ha fatti suoi figli. Sorpresi dalla gioia: lo stupore di scorgere che all’origine di ciascuno di noi non c’è il caso o la necessità, ma l’amore più libero, benevolo, gratuito, e che, alla fine della nostra vita, non ci si spalanca davanti la voragine del nulla, ma ci si imbatte in un in-contro: lo vedremo come egli è (1Gv 3,2). Alla fine ci sarà la non-fine, un bene grande, ci sarà un caldo abbraccio: “Venite, benedetti del Padre mio”.

E’ questo il mistero del’Incarnazione: io, tu, lui, lei, noi tutti, individui comici e tragici, argilla impastata di miseria e assetata di infinito, ciascuno di noi è un essere unico - amato in modo unico, incredibile, inaudito - da Cristo, l’amore di Dio fatto carne e sangue per la vita del mondo.

3. E’ morto per noiGesù è morto per noi: per causa nostra e a nostro vantaggio. E’ la terza buo-

na notizia. E’ morto anche al nostro posto? Certamente è stato consapevole del fatto che la sua morte non era solo il punto di arrivo dell’infedeltà d’Israele, ma più in generale del peccato di tutta la famiglia umana, dell’incredulità dei figli di Adamo e della loro dimenticanza del creatore. Come il servo di JHWH, di cui par-la il profeta Isaia, Gesù non affronta la morte come uno spiacevole incidente, ma l’assume come segno del peccato, di tutto il peccato del mondo: “Egli ha preso su di sé i nostri peccati e li ha portati con sé sulla croce, per farci morire al pec-cato e farci vivere una vita giusta” (1Pt 2,24). In questo senso Gesù si sostituisce a noi: egli, l’innocente, si è liberamente assunto i nostri peccati facendo ricadere interamente su di sé il dolore e la morte che derivano dal peccato. E poiché il peccato provoca la lontananza da Dio, Gesù, il Figlio eternamente unito al Padre e legato da intima solidarietà d’amore con l’umanità peccatrice, sperimenta nella sua natura umana l’infinita lontananza che separa l’amore e il peccato, e grida: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Quell’abbandono non è l’al-lontanamento effettivo da Dio, quale viene sperimentato dal peccatore, ma un

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abbandono affettivo: Cristo ripara così a tutti gli allontanamenti da Dio causati dal peccato. Non è un castigo perciò, ma una prova, quella che Gesù subisce vo-lontariamente per amore al Padre e a tutti noi: nonostante accetti su di sé tutto il peso del peccato e sperimenti tutta l’angoscia provocata dalla disobbedienza a Dio, egli grida al Padre il sì dell’obbedienza e si rimette nelle sue mani: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46).

“Uno è morto per tutti”, afferma san Paolo: ma ciò non è avvenuto per di-spensarci dalla nostra personale morte al peccato, anzi proprio per favorirla. La solidarietà di Cristo non esclude, ma rende possibile e include la nostra coo-perazione: “Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per lui che è morto e risuscitato per noi” 82Cor 5,14s). Gesù si è addossato tutto il male del mondo: tutto l’egoismo, tutto l’orgoglio, tutta la di-sperazione, tutto lo sfruttamento dei poveri e dei deboli, tutta la lussuria, tutta l’ipocrisia, tutto l’odio, tutta la violenza. “Egli è stato schiacciato per le nostre iniquità; si è abbattuto su di lui il castigo che ci dà salvezza” (Is 53,15). Sulla croce c’era quindi anche il mio peccato, il mio egoismo, la mia disobbedienza. Se Gesù è morto anche per i miei peccati, significa che anch’io con i miei peccati l’ho ucciso.

Cristo agisce come capo dell’umanità: dall’eternità tutti gli uomini sono stati pensati in lui, finalizzati a lui, posti in oggettiva connessione con lui. Si tratta non solo di appartenenza, ma quasi di una mutua immanenza che fa di Gesù e di tutti e singoli gli uomini come un unico organismo vivente. Il vincolo che lega tutti personalmente e organicamente a Cristo è la condizione previa perché il suo sacrificio sia redentivo. Gesù è il capo sano di un organismo malato: assume su di sé la malattia del corpo e trasmette al corpo la sua salvezza. In quanto atto personale di un Uomo-Dio, la sua è un’azione umana di potenza divina.

4. E’ veramente risortoCristo è risorto: è la quarta buona notizia. Per dire come la risurrezione di Cristo sia la vera chiave di lettura per rein-

terpretare correttamente la sua morte, l’evangelista Luca ci presenta un raccon-to paradigmatico – l’apparizione ai discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35) - costru-ito attorno all’immagine del cammino. Dapprima un cammino che allontana da Gerusalemme, per tentare di rimuovere il ricordo bruciante della passione di Gesù e del fallimento totale del suo progetto. Si potrebbe dire un cammino dalla speranza alla delusione, come confessano i due discepoli: “Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele”. Ma poi – a seguito dell’incontro con il misterioso viandante che aveva fatto ardere il loro cuore spiegando alla luce delle Scritture il senso della croce e si era fatto riconoscere allo spezzare del pane – il cam-mino registra una inversione ad u, di nuovo verso Gerusalemme, e diventa un cammino dalla delusione alla speranza. Gli eventi sono rimasti quelli di prima, ma ora vengono riletti con occhi nuovi. Quella che allo sguardo degli uomini era apparsa e continuava ad apparire come sconfitta e scandalo – spiegabile con le

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ragioni storiche della sua condanna - in verità era stata una morte per fedeltà a Dio e per amore di tutti i peccatori. La risurrezione costituisce una rivelazio-ne illuminante, uno svelamento sorprendente: quanto era accaduto, “doveva” accadere – rivela il Risorto ai due discepoli. Doveva accadere non per una ine-luttabile fatalità, ma per un misterioso disegno di Dio. Sono quindi due i piani di lettura degli eventi: il piano storico e quello divino. Sono piani connessi, ma non possono essere confusi: come se il disegno divino rendesse insignificanti le responsabilità umane, o il dolore patito da Gesù nella sua materialità fosse ma-gicamente capace di operare la salvezza del mondo. Occorre ribadire: né Giuda o Caifa o Pilato possono essere ridotti a fantocci manovrati da un destino cieco e dispotico, né Dio può essere scambiato per un idolo sanguinario e crudele.

La croce sta a dire la verità della causa di Gesù. Egli aveva predicato un Dio diverso perché misericordioso e lo aveva onorato con una prassi di vita scanda-losa perché diversa. E’ stata questa diversità la causa della sua condanna a mor-te; ma egli ha sostenuto che solo così rimaneva fedele a Dio e alla sua volontà di amore. La risurrezione è la prova della paternità di Dio, che si è schierato a favore del Figlio e della sua diversità. Fino alla fine il rabbi di Nazaret aveva sostenuto di essere legato a Dio da un rapporto filiale, un rapporto diverso da quello di ogni altro uomo. La risurrezione è la conferma irrefragabile che Dio è il Padre suo. Non bisogna poi dimenticare che il passaggio dalla morte alla risurrezione non è di ordine temporale - prima l’una e poi l’altra - e neanche di ordine dialettico, come la successione di due avvenimenti contrari che si ri-chiamerebbero l’un l’altro, un abbassamento e una elevazione. La risurrezione è la maturazione di quel seme che era caduto in terra: è lo sviluppo di ciò che era stato posto in germe nella sofferenza stessa. Con il suo abbandono totale al Padre, Gesù ha pienamente aperto il suo spirito e il suo cuore a un’irruzione della vita divina, la quale trasforma la natura umana e la rende gloriosa dopo la morte. Inoltre la risurrezione toglie il velo – oltre che alla morte e a tutta la vita di Gesù come ad ogni sua scelta, ad ogni sua parola o gesto – anche alle antiche Scritture. Ogni figura dell’Antico Testamento diventa ormai realtà; ogni promessa dei profeti è ormai compiuta; lo stesso annuncio del regno di Dio, proclamato dai profeti e dallo stesso Gesù, trova soltanto ora la sua piena realizzazione. Senza la risurrezione la com-passione di Cristo per l’uomo rimar-rebbe la semplice testimonianza fraterna di un uomo sublime che ha voluto unire la sua sorte quella dei suoi compagni in umanità. Invece “se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo” (2Tm 2,11s).

5. Nello Spirito viviamo e moriamo con Cristo“Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo”

(GS 22). E’ la quinta buona notizia. La vita cristiana è relazione personale con Cristo, un dialogo continuo con lui, un incessante cammino in sua compagnia. Consiste non solo nell’accettare il suo insegnamento, ma nell’ “aderire alla per-sona stessa di Gesù, condividere la sua vita e il suo destino, partecipare alla sua obbedienza libera e amorosa alla volontà del Padre” (Veritatis Splendor 19).

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Camminare dietro a Cristo significa camminare nella carità, avere i suoi stessi sentimenti, amare come egli ha amato, fino a dare la vita per i fratelli: “Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1Gv 3,16). Comunicandoci il suo stesso Spirito, Cristo entra con tutto l’amore della sua morte e risurrezione, nella nostra esistenza e la vive con noi, anzi in noi, così che ogni cristiano può dire nella verità, come Paolo: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Cristo non rimane perciò un modello esteriore, ma viene realmente interiorizzato in virtù della grazia dello Spirito Santo. I mezzi ordinari e infallibilmente efficaci, con cui lo Spirito santo ci assi-mila a Cristo, sono i sacramenti, soprattutto – come abbiamo detto – il battesi-mo e l’eucaristia. “Il battesimo configura radicalmente il fedele a Cristo nel mi-stero pasquale della morte e risurrezione, lo riveste di Cristo. La partecipazione poi all’eucaristia, sacramento della nuova alleanza, è vertice dell’assimilazione a Cristo, fonte di vita eterna, principio e forza del dono totale di sé” (Ver. Spl. 21).

Così riviviamo gli eventi di Cristo. Lo Spirito Santo opera con la sua grazia una trasformazione di tutta la personalità del cristiano: anima, intelligenza, af-fettività, corporeità. Egli diventa “nuova creatura”, un “uomo nuovo” (Gal 6,15). Riceviamo un nuovo modo di essere, per cui diventiamo “partecipi della natura divina” (1Pt 1,4), siamo “chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!” (1Gv 3,5). Questa reale e radicale elevazione alla vita divina si chiama tradizionalmente “grazia santificante”: è la stessa esistenza pasquale di Cristo che diventa nostra. Cristo “abita nei nostri cuori grazie alla fede”. Egli agisce in noi, prega in noi: ogni nostro atto è “agito” da lui con noi e attraverso di noi: la stessa azione è insieme nostra e sua. Lo Spirito Santo che è stato il principio “agente” nella vita umana di Gesù, che lo ha condotto fino al Calvario, agisce in noi, estendendo a tutta la vita cristiana il dinamismo pasquale: morire per vivere, morire al peccato per vivere nella libertà dei figli di Dio. “Lo Spirito Santo – si legge nei documenti del Vaticano II - in un modo noto solo a Dio, offre a ogni uomo la possibilità di essere associato al mistero pasquale” (GS 22). Egli ci fa rivivere gli stessi misteri di Cristo, i suoi atteggiamenti, i comportamenti da lui assunti, le opere da lui compiute, gli avvenimenti della sua storia, che si riassumono nel mistero della sua Pasqua. Infatti i misteri di Cristo, che sono perfetti e completi per quanto riguarda la sua persona, non lo sono tuttavia ancora in noi che siamo sue mem-bra. “Il Figlio di Dio desidera una certa partecipazione e come un’estensione e continuazione in noi e in tutta la sua Chiesa del mistero della sua incarnazione, della sua nascita, della sua infanzia, della sua vita nascosta. Lo fa prendendo forma in noi, nascendo nelle nostre anime per mezzo dei santi sacramenti del battesimo e della divina eucaristia. Lo compie facendoci vivere di una vita spiri-tuale e interiore che sia nascosta con lui in Dio. Egli intende rendere perfetti in noi i misteri della sua passione, della sua morte e risurrezione. Li attua facendo-ci soffrire, morire e risorgere con lui e in lui” (S. Giovanni Eudes).

Anche per il cristiano arriva l’ora della morte: sarà proprio in quell’ora su-prema che egli verrà lasciato solo? No, niente, neanche la morte, ci potrà sepa-rare dall’amore di Cristo. E’ soprattutto nel passaggio dalla vita terrena a quella

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celeste, sulla frontiera dell’eternità, che Cristo è la via e la porta, la risurrezione e la vita, è colui che dice: “passiamo all’altra riva”. “Noi crediamo che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti per mezzo di Gesù, Dio li radunerà insieme con lui” (1Ts 4,14). Cristo è “la porta che conduce al Padre, per la quale sono entrati Abramo, Isacco e Giacobbe, i profeti, gli apostoli e la Chiesa”. Cristo è colui che incontra gli uomini nella loro morte e concede loro di morire insieme a lui in vista del Padre. Egli aveva annunciato: “Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). In quanto realtà biologica, la morte di Gesù appartiene al passato, è ormai sorpassata. In quanto realtà umana, personale, redentrice, è però insuperabile. In questa ottica, Gesù è al culmine del proprio amore; non esiste un punto ulteriore a questo culmine, Gesù è eterno nell’atto supremo del suo amore.

Chiamati alla comunione del Figlio, i battezzati vivono nella morte l’ultima chiamata e, dopo essere vissuti sulla terra in Cristo, rispondono all’invito del Padre a “morire con Cristo”. Ma come è possibile morire in due? Non è la morte il momento dell’estrema solitudine? La morte è la rottura di ogni rapporto. L’a-more umano riesce a fare di due una cosa sola in vita, ma non in morte. Però, poiché Gesù è morto “offrendo se stesso con uno Spirito eterno”, egli ha una capacità di accoglienza illimitata; infatti è morto per tutti, per accogliere tutti. Egli comunica ai suoi discepoli il dono della sua Pasqua perfetta e definitiva: il “passaggio” da questo mondo al Padre. La sua morte, quindi, mi appartiene più della mia. La comunione è totale. Lo aveva detto: “Ciò che viene a me, io non lo respingerò” (gV 6,37), e: “Chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno” (Gv 11,26).

Questa è la morte dei santi: Teresa di Lisieux da anni desiderava morire in un atto d’amore totale, voleva che l’amore spezzasse il suo cuore in un olocau-sto alla divina Misericordia. Di fatto è morta di una malattia terribile, devastante, come Gesù è morto crocifisso, ma – come Gesù, che si è lasciato “consacrare” dal fuoco dello Spirito Santo – Teresa si è lasciata ardere da uno straordinario slancio d’amore, che l’ha inabissata nelle profondità di Dio. Poteva perciò ben dire: “Non muoio, entro nella vita”.

6. Con o senza Cristo cambia tuttoMa se sono vere queste buone notizie, allora cambia tutto. Con Cristo cambia la vita. Ciò che converte il freddo in caldo è la vicinanza

del fuoco: “Stare vicino a me - dice Gesù - nel Vangelo apocrifo di Tommaso - è stare vicino al fuoco”. Essere suoi discepoli non vuol dire osservare una sfilza di precetti: questo viene dopo. E non vuol dire nemmeno partecipare a riti e culti vari: anche questo viene dopo. Essere cristiani vuol dire bruciare nel fuoco del vangelo tutti gli egoismi, tutte le avidità e le sciocche vanità che ci seducono il cuore.

Cambia la preghiera. Questo Gesù Cristo, che ci dà di poter diventare figli di Dio, ci spiazza con l’imprevedibile sorpresa di poter pregare con la stessa semplicità e la medesima tenerezza del Figlio di Dio, addirittura con la stessa parola e con lo stesso fiotto di abbandono con cui si rivolgeva al Padre nel se-

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greto della sua personale, intima preghiera: Abbà, che significa ‘Babbo’. “Che voi siete figli - dichiara s. Paolo ai Galati - ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre” (Gal 4,6).

Cambia la missione. Il Verbo fatto carne, che viene in mezzo a noi, senza suonare né trombe né campane, senza chiamare le telecamere, senza preten-dere i titoloni nelle prime pagine dei giornali, ci ricorda che fare missione non è fare propaganda, né fare colpo: è fare mistero. Non è uno sfacchinare per Cristo, ma è collaborare con lui, è vivere per Cristo, con Cristo, in Cristo.

Cambia il lavoro. Tenere gli occhi fissi su Gesù di Nazaret, che “ha lavorato con mani d’uomo” non distrae dalla vita e dai suoi molti impegni. Non allonta-na dal reale, ma lo illumina e lo riscalda. Un vita vissuta senza stupore sarebbe in-sensata, incolore e insapore. E’ lo stupore che rende l’impegno convinto, generoso, appassionato e, perché no? sereno e caloroso.

Cambia la festa e il riposo. Festa e riposo non servono semplicemente a ‘scaricare lo stress’ accumulato e a ‘ricaricare le batterie’ per ricominciare a lavorare, per poi consumare, e poi tornare a stressarsi di nuovo, ma servono a liberarsi dall’ansia di produrre e dall’avidità di possedere. E aiutano a ritrovare la bellezza del vivere e a celebrare la gioia del condividere la benevola vicinanza dell’Emmanuele, il Dio-con-noi.

Cambia il dolore. Nel Gesù del Natale e della Pasqua, il Verbo della vita “da ricco che era, si è fatto povero per noi” (cfr 2Cor 8,9). Gesù è il Dio che non scende sulla terra a tenere una cattedra di filosofia e di etica del dolore, ma si incarna per condividerlo. Gesù è il Figlio del Padre che si è immerso nell’abisso del male, per salvare ogni povero naufrago sommerso dalla morte, perché solo un Salvatore riemerso dalla morte ci può far risorgere nella sua Pasqua. Per quanto noi cadiamo in basso, schiacciati dal peso della nostra fragilità, al di sotto di tutti ormai c’è Lui, che si è calato nel nostro inferno, sempre pronto a raccoglierci per non farci sfracellare sul fondo del baratro.

Cambia l’economia e la politica. Mettere Cristo al centro anche della attività economica e dell’azione politica non è una clericale invasione di campo, per-ché significa mettere al centro l’uomo. E mettere al centro l’uomo significa che l’uomo viene prima del lavoro e il lavoro viene prima del capitale. Significa che anche il mercato ha bisogno di essere finalizzato all’uomo. Mettere l’uomo al centro significa che la politica non può pendolare tra individualismo e collettivi-smo, non può risolversi in una mera gestione del potere, né può permettere che si incancreniscano situazioni di ingiustizia per paura di contraddire i poteri forti. Un’azione politica condotta da cristiani veicola in permanenza il messaggio che “ogni uomo è mio fratello”. Pertanto non dobbiamo mai dimenticare che la dialettica, anche aspra, delle posizioni tra avversari non deve mai conoscere la disumana deriva della cannibalizzazione reciproca, tra nemici.

E’ vero: con Cristo o senza Cristo cambia tutto. Ma perché cambi realmente tutto, perché cambi concretamente il mondo, dobbiamo - e per grazia, possia-mo! - cambiare il cuore. Per poter cambiare la vita...

+ Francesco Lambiasi

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“Educare alla vita buona del Vangelo” è un tema formulato con il titolo del documento di cui la Chiesa italiana si è dotata l’anno scorso e che contiene gli orientamenti pastorali per tutto il decennio. Vorrei introdurmi con una sorta di monitoraggio su educazione e dintorni. Innanzitutto per dire che quello dell’e-ducazione è impegno di oggi e di sempre per la Chiesa. Non si tratta cioè di un programma di cui la Chiesa, magari per varie contingenze, oggi si dà, ma costituisce il cuore della sua missione. Il Card. Bagnasco nella presentazione del documento scrive: “Nell’educazione noi Vescovi riconosciamo una sfida culturale e un segno dei tempi, ma prima ancora una dimensione costitutiva e permanente della nostra missione di rendere Dio presente in questo mondo e di far sì che ogni uomo possa incontrarlo scoprendo la forza trasformante del suo amore e della sua verità in una vita nuova caratterizzata da tutto ciò che è bello, buono e vero”.

1. L’educazione è per la Chiesa impegno di sempre. Il Concilio Vaticano II è stato il primo Concilio ad interessarsi del tema dell’educazione, e lo ha definito “impegno gravissimo”. Occorre attribuire una importanza grandissima a que-sto compito; Giovanni Paolo II affermava che “la Chiesa evangelizza educando ed educa evangelizzando”. Non è uno slogan per catturare l’attenzione; è una formula efficace che esprime la missione della Chiesa su un duplice versante: quello dell’educazione e quello della evangelizzazione, che sono come le due facce della stessa medaglia. Oggi guardiamo alla cosiddetta sfida educativa con sguardo, insieme, preoccupato e fiducioso. Ci sono dei fattori che rendono tale impegno particolarmente urgente, e questi fattori vengono espressi con varie parole: urgenza educativa, emergenza educativa, sfida educativa.

Qui mi servo di una parola piuttosto abituale quando noi parliamo di im-pegni che non si possono disattendere e che sembra diventino sempre più pesanti e difficili: è la parola “crisi”. Ricorro a una citazione di Charles Péguy il quale affermava: “Le crisi dell’insegnamento non sono crisi di insegnamento; rappresentano crisi di vita e sono crisi di vita esse stesse”. Cosa c’è alla radice della crisi educativa? “C’è - afferma Benedetto XVI nella lettera alla Diocesi di Roma - una crisi di fiducia nella vita”. Qui si tocca con mano l’esito della vita dell’uomo che pretende di “farsi da sé” e che finisce con il separare la persona dalle proprie radici e dagli altri, rendendola alla fine poco amante di se stessa

Educare alla vita buona del Vangelo

Intervento del Vescovo all’incontro con i Dirigenti scolasticiRimini 4 maggio 2011

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e della vita. Insomma alla radice della crisi c’è un falso concetto di autonomia dell’uomo: l’uomo si dovrebbe sviluppare solo da se stesso. Possiamo dire che la malattia porta in se stessa la medicina o almeno il suggerimento della ade-guata terapia: se la educativa è crisi di fiducia, occorre allora un soprassalto di fiducia nella vita.

Il Papa afferma infatti: “Il primo contributo che possiamo offrire è quello di testimoniare la nostra fiducia nella vita e nell’uomo, essa non è frutto di inge-nuo ottimismo, ma ci proviene da quella speranza affidabile che ci è donata mediante la fede nella redenzione operata da Gesù Cristo”.

Ancora una volta dobbiamo scommettere su una speranza affidabile, non su un ingenuo ottimismo. Noi credenti speriamo non tanto perché le nostre cose vanno bene, ma perché Dio non si è ancora stancato di volere il nostro bene.

Un’altra parola per dire la portata di questa sfida e la difficoltà nell’affron-tarla è la parola “rischio”. Ricordiamo don Giussani: “il rischio educativo”. In effetti il rischio non è un “pericolo”: il pericolo indica qualcosa di negativo, di minaccioso. Invece rischio indica una opportunità da cogliere, una drammatica opportunità perché implica l’incontro di due libertà. Occorre infatti “liberare la libertà”, occorre concretizzare questa fiducia nella vita in un rinnovato patto educativo fra le cosiddette agenzie educative: famiglia, scuola e comunità cri-stiana. Ritengo tutt’altro che retorico e superfluo soffermarci sulle ragioni della complessità della situazione, perché l’impegno educativo oggi si è fatto parti-colarmente delicato. Le ragioni possono riassumersi nella “eclissi dell’uomo”. Ricordiamo due grandi concezioni antropologiche che hanno segnato la storia della riflessione dell’umanità sulla vita e sulla storia.

La concezione ebraico-cristiana vede l’uomo come immagine di Dio, quindi come un “qualcuno” che non si è fatto da sé, ma porta riflessa in sé la “divinità” di Dio: come una goccia di rugiada riflette tutta la volta del cielo. L’uomo è im-magine dell’Infinito, dell’Assoluto, dell’Eterno, del Trascendente.

L’altra concezione, che ha formato la nostra cultura, è la concezione greco-romana: l’uomo come animale razionale, con le due componenti della sua struttura metafisica: animalità e spiritualità. Queste due concezioni sono state marginalizzate dalla concezione della modernità: l’uomo è soggetto libero e totalmente autonomo. Oggi registriamo il superamento della modernità, con la concezione della post-modernità, caratterizzata dal predominio delle tecno-scienze, un predominio che porta a considerare l’uomo non più come soggetto, ma come oggetto; l’uomo come cosa che si può fare da sé. Ma se si può fare da sé, ecco il dramma, allora si può anche disfare e così si arriva a “quella” rotta-mazione dell’io”, che è la tragedia dei nostri tempi.

2. La questione educativa è diventata, ai nostri giorni, ancora più comples-sa, difficile e delicata che in passato, perché vengono poste tre questioni radi-cali e fondamentali, che non si possono eludere e neanche si possono risolvere con la scorciatoia di risposte estemporanee e improvvisate.

La prima è una domanda di identità: “Ed io che sono?” si domandava sgo-

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mento Giacomo Leopardi. E’ la domanda che da Socrate in qua l’uomo non finisce di porsi. Nell’ultimo scorcio di storia si è passati dall’uomo pellegrino all’uomo vagabondo. Il pellegrino ha una patria di origine e una meta di arrivo. Il vagabondo non sa dove sta andando, gira a vuoto, ruota su se stesso; non ricorda più da dove viene e non sa più dove deve andare. Questa domanda di identità si fa ancora più impellente perché siamo passati dall’homo sapiens all’homo sentiens. L’homo sapiens è l’uomo che sa di dover cercare; quindi sa di non sapere, e perciò si mette in cammino alla ricerca della verità. Nella conce-zione cristiana l’homo sapiens è il Figlio di Dio il quale, quando viene la sua ora, sa che viene da Dio e a Dio ritorna, fissando così il tracciato per ogni avventura umana. L’homo sentiens non adora la dea ragione, ma innalza al rango di divinità la “dea emozione”. Per lui il metro della verità, – se verità si può chiamare - è la sensazione, l’emozione; è scambiare l’amore con il “brivido a pelle”. L’interroga-tivo che ci dobbiamo porre è se sia mai possibile rispondere a questa domanda di identità senza rispondere a una domanda previa che essa implica, cioè la do-manda di trascendenza. E’ un interrogativo che lascio sul tappeto. Ovviamente si comprende bene che no, non è possibile, non solamente per noi credenti, ma anche per chi non crede, perché l’uomo non può definire se stesso se non in un orizzonte di trascendenza. Un teologo protestante affermava: “Ho cercato il mio io e non mi sono trovato; ho cercato l’altro e non l’ho trovato; ho cercato Dio e ho trovato tutti e tre”.

La seconda domanda è la domanda di libertà. La “liberté” continua ad es-sere il primo dei valori del trinomio della rivoluzione francese. Tutti ci rendiamo conto dopo la lezione che ci hanno fornito, da Feuerbach fino a Sartre - quelli che Paul Ricoeur chiamava “i maestri del sospetto” - è che non possiamo avere una concezione ingenua della libertà. Non condivido ovviamente le loro posi-zioni, ma mi sembra che il lascito che ci viene dal loro pensiero sia un lascito interessante: non possiamo avere una concezione ingenua della libertà, perché la libertà umana è una libertà da liberare. Si nasce liberi? alcuni dicono di sì, altri dicono no, ma comunque anche se diciamo che si nasce liberi, bisogna sempre ricordare che si nasce... “liberi di liberarsi”. Quindi la concezione di libertà, che noi sosteniamo, non è quella di una assenza di vincoli, ma è una libertà come capacità di intrecciare legami. La nostra società oggi vive in un contesto dove si danno molti solventi e pochi collanti: è la “società liquida” in cui i legami sono molto precari, dove si vuole vivere usando continuamente il tasto rewind, ma questo non è possibile. Dunque la libertà che noi difendiamo è una libertà impossibile senza la verità.. Gesù affermava che “la verità vi renderà liberi”, e invece oggi tanta gente pensa che è la libertà che ci rende veri. Ecco, lo strappo fra verità e libertà richiede che verità e libertà vadano messe insieme e rimesse in asse, come appunto Gesù ci ha insegnato e Giovanni Paolo II ha ricordato: “la verità è garanzia di libertà”. Quindi non si tratta solo di una libertà “da”: dalle dipendenze, dai condizionamenti. Certo, questa è fondamentale, ma è soprat-tutto una libertà “per”, e una libertà “con”, altrimenti si genera il conflitto delle libertà. Don Lorenzo Milani affermava: “Chi regala la propria libertà è più libero di uno che è costretto a tenersela”. Una libertà dunque da donare, da valorizzare,

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lasciandola anche “strapazzare” - per usare un termine caro a don Oreste Benzi - per la libertà degli altri, per aiutare gli altri a liberarsi. In questo senso “Cristo ci ha liberati perché noi restassimo liberi”.

La terza domanda è una domanda di speranza. Mentre fino a una quaran-tina di anni fa l’uomo si sentiva slanciato e proiettato verso il futuro e si viveva una stagione di entusiasmo - l’uomo si percepiva come quel Prometeo che deve costruire la storia, deve progettare e realizzare il proprio futuro - oggi il mito che ci fa da specchio è quello di Narciso: un uomo che vive ripiegato su se stesso e che sta sempre lì a censire i propri pochi piaceri e i molti affanni; è l’uomo che rinuncia al futuro. Come afferma lo slogan della pubblicità “Life is now”, la vita è adesso. Questo slogan si potrebbe anche leggere in senso cristiano, e allora starebbe a indicare la fedeltà all’attimo presente, ma si tratterebbe allora di un presente non ritagliato dalle radici del passato e dalle proiezioni nel futuro, ma è un presente carico di senso, che trasforma la massa del passato in energia di futuro. Allora l’interrogativo che ci dobbiamo porre è: è possibile rispondere alla domanda di speranza, senza aver prima risposto alla domanda, preliminare e imprescindibile, della ulteriorità? Insomma è possibile una speranza senza un “oltre”?

3. Ora vorrei puntare l’obbiettivo su Gesù. Ricordo che l’anno scorso, quando ci siamo soffermati, in questa stessa circostanza, su Gesù maestro ed educatore, il tema riscontrò una notevole attenzione da parte vostra. Non ripeto quello che già ebbi modo di dire in quella occasione, ma mi sembra sempre feconda una sosta sul vangelo perché ci mette in contatto con quel Gesù, che i cristiani riten-gono il primo e più grande educatore. Rileggiamo la pagina della chiamata dei primi discepoli, che si trova nel capitolo 1 del vangelo di Giovanni.

Un’agenda fitta di appuntamenti e di incontri; un diario zeppo di chiamate, di ricerche, di inseguimenti; un caleidoscopio colorito di storie e di volti. La pri-ma settimana di Gesù, registrata dall’evangelista Giovanni, è tutta punteggiata di domande che si accendono a catena – “Dove abiti? Che cercate? Come mi conosci?” – e di risposte che non spengono la ricerca, ma rilanciano cammini: “Seguimi!, riaprono circuiti: “Vieni e vedi”, promettono sorprese: “Vedrai cose maggiori di queste”.

Il fotogramma, dedicato dall’evangelista alla quarta giornata della settimana inaugurale di Gesù, apre feritoie sul mistero della chiamata, mentre ce ne ricon-segna il vocabolario di base, concentrato nei verbi: seguire – trovare – scegliere. Tre parole che dicono, sulla educazione, più di tanti trattati messi insieme.

1. SeguireIl giorno dopo, Gesù incontrò Filippo e gli disse: “Seguimi!”. La grande avven-

tura del discepolo comincia dai primi passi dietro il Maestro. Ma come Andrea e Simone-Cefa, come Filippo di Betania e poi Natanaele, e poi tutti gli altri, fino ad ognuno di noi, prima del primo passo c’è stato quello sguardo, partito dal cuore innamorato del Maestro, uno sguardo che ci ha trapassato l’anima. E, quando abbiamo ripreso il fiato, ci siamo ritrovati che non eravamo più come prima. La

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sequela comincia da qui, dal sentirsi guardati, scelti, chiamati, in una parola dal sapersi e sentirsi amati. Amati da un Dio, capace di dare la via per te, per me, per tutti e per ciascuno di noi. Così Filippo impara che ormai non può più fare a meno di quel Rabbi fuori-serie. E i figli di Zebedeo, dopo averlo incontrato lungo le rive del mare di Galilea, si ritroveranno nel cuore una indomabile energia che li spingerà a lasciare tutto e tutti, perfino il padre e la barca, il lavoro e gli affetti, pur di non rinunciare a stare con quel Maestro dallo sguardo magnetico e dalle parole che saziano l’anima di vita eterna.

Stare con lui: questo è il primo sogno che Gesù si porta in cuore quando chiama i Dodici. E questo si aspetta lui da noi: non ha bisogno di salariati sgob-boni, ma di discepoli innamorati. Non di facchini, ma di amici. Seguire è più che imitare: è mettersi a sua disposizione, lasciarsi assumere in proprio, è diventare suoi.

2. Trovare“Abbiamo trovato il Messia”: l’annunciato da Mosè, l’atteso dai profeti. Come

il contadino e il mercante della parabola, il discepolo è uno che ha trovato il tesoro. Che lo abbia trovato per caso dopo giorni e giorni sempre uguali con il cuore intento solo a sbarcare il lunario. Che lo abbia trovato dopo aver macinato distanze e consumato gambe a camminare e occhi a cercare, questo non conta. Conta il ritrovarsi, di incanto, sorpresi dalla gioia, dalla impagabile, intrattenibile letizia di aver finalmente scoperto la perla preziosa, dapprima sognata come un sogno troppo bello per non apparire impossibile e ora incontrata come un dono incredibile e immeritato. Non come una conquista ottenuta a costo di sacrifici immani e di spossanti rinunce. Non come un premio ambito, sudato e conse-guito per meriti acquisiti. Ma come una sorpresa che ti supera da tutte le parti. Il tesoro del regno non si acquista né si conquista, non si merita ma si accoglie, come un regalo inimmaginabile e stupefacente, come una impareggiabile for-tuna.

Fortissimo Gesù! Il suo amore ti inchioda l’anima e si impone alla tua libertà, non per costrizione, ma per irresistibile forza di attrazione, per divina seduzione d’amore. E, per accogliere il tesoro che è lui, arrivi a rinunciare a tutto. Per riem-pirti di lui ti svuoti di tutto. Attenzione: non rinunci per trovarlo, ma perché lo hai già trovato. E ormai non puoi più perderlo, perché lui non può più mollarti. E’ così che arrivi a “vendere tutto”. Ma non rinunci a tutto con il cuore amaro, per un doverismo asfissiante, per un ossessivo, inguaribile perfezionismo, ma “pieno di gioia”, come il contadino della parabola. Perché se la gioia di aver trovato il tesoro non precede rinunce, distacchi e gli inevitabili conflitti; se non è il gaudio estatico dell’innamorato a motivare il taglio da ogni altro vincolo o legame, allora il cuore del giovane ricco fatalmente sanguinerà il sangue amaro della tristezza più nera e deprimente. E conoscerà il freddo e il vuoto di una vita spenta, sterile, ripiegata.

3. ScegliereNell’affresco pennellato dall’evangelista Giovanni affiorano scorci di amici-

zia, segnali di legami tenaci come quello che si avvia con Natanaele, l’amico di

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Filippo. Natanaele è’ un giovane che si porta dentro un cuore limpido, anche se appesantito da pregiudizi: “Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?”. Eppure anche per lui l’incontro con Gesù si rivela decisivo. Si sente conosciuto profondamente da quel Maestro intrigante, e si decide, come Filippo, per la fede: “Tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele”.

La fede non è una barca che scivola tranquilla verso il porto della felicità, e quindi “fin che la barca va, tu lasciala andare”. La vita non è un programma con il tasto rewind. Non si può lasciare tempo al tempo. La ricerca non è fine a se stessa. Non ci si può lasciare paralizzare alla paura di sbagliare di fronte a scelte definitive. Occorre tagliarsi i ponti alle spalle, senza pretendere cautele, garanzie e uscite di sicurezza. Del resto, se non ci si decide, prima o poi ci si ritrova fatal-mente incamminati su strade non scelte da noi, ma che altri talvolta con furbizia, talora con inganno, ma sempre con la nostra acquiescenza, hanno scelto al posto nostro. Comunque il cuore non si risveglia come per incanto, non si rimette in moto da solo, quando scocca l’ora magnifica e drammatica della scelta. Deve potere lasciarsi abbracciare da uno sguardo d’amore, come è avvenuto per Nata-naele: prima ancora che se ne rendesse conto, Gesù lo aveva incrociato, “quando era sotto il fico” e ne aveva intercettato il lato migliore: “Ecco un vero israelita in cui non c’è inganno”.

Così avviene per Zaccheo: cerca di vedere Gesù e scopre che è Gesù che cerca di vedere lui. Il cercatore si accorge di essere cercato, l’innamorato si ritrova già amato. Perché Lui è fatto così: non vuole essere secondo a nessuno nella gara dell’amore; vuole vincere sempre il primo posto in classifica.

4. Nell’ultima parte di questa riflessione vorrei tratteggiare la missione edu-cativa con alcune parole: educazione come “missione”, come “testimonianza”, come “cammino”, per poi rispondere brevemente alle domande: cosa può dare la fede? cosa è chiamata a dare la scuola?

1. Educazione è missioneEducare è una chiamata che viene dall’atto della generazione: da qui nasce

il dovere di accompagnare e il diritto di essere accompagnati. Nessun io è padre del proprio io, nessuno si è dato la vita da solo, nessuno, anche se concepito in provetta, si è procreato da sé. Nessuno ha scelto il proprio sesso, i propri geni-tori, ma dall’atto della generazione scaturisce il dovere di dire a un figlio, perché è stato chiamato alla vita, perché ognuno ha il diritto di sapere perché sta al mondo. Se è missione, l’educazione non è semplicemente una professione; il rapporto educativo non può essere assimilato a quello economico: tra fornitore e cliente, fra chi vende e chi compra. E’ missione e dunque certamente richiede: preparazione, senso di responsabilità, ma soprattutto richiede passione. Come scriveva Saint-Exupéry “Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia del mare vasto e infinito”. L’educazione richiede un contagio da cuore a cuore, da vita a vita. Purtroppo oggi la missione educativa è messa in pericolo - in molti educatori - da un giovanilismo patetico e irresponsabile sotto la maschera di una gioviale demagogia.

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2. Educazione è testimonianzaPrima di essere un maestro l’educatore è un testimone, e il testimone è

caratterizzato da un profilo con questi tratti:- Innanzitutto la credibilità. Il testimone non è un eroe senza macchia e

senza paura; non è un essere perfetto, ma un uomo credibile e coerente.- Il coinvolgimento. Il testimone si coinvolge, perché l’educazione comporta

sempre una auto-implicazione. Romano Guardini scriveva: “Vogliamo entrambi - cioè io educatore, tu educando - essere ciò che dobbiamo essere”, e questo coinvolgimento si traduce in una educazione permanente che non si può mai dismettere.

- La responsabilità. Significa dire no all’autoritarismo ee sì all’autorevolezza, ma d’altra parte significa anche dire no al permissivismo e sì alla responsabiliz-zazione. Questo comporta una asimmetria nel rapporto educativo: l’educatore e l’educando non sono due compagni che camminano insieme. Il cammino educativo è come una escursione ad alta quota, che richiede sempre una guida.

- La gratuità. Nessuno è padrone di ciò che riceve; bisogna andare oltre alla logica della funzionalità. La logica dell’educatore è dare quanto lui stesso ha ricevuto, perché allora si alimenta quel patrimonio educativo che dobbiamo consegnare alle future generazioni. Gratuità, ricordando sempre che noi tutti siamo abbastanza poveri per dover ricevere e abbastanza ricchi per poter dare.

3. Educazione è camminoIl cammino implica la condivisione di una meta e di una strada, ma un cam-

mino con una guida alpina non è semplicemente fatto da uno (la guida), che cammina più veloce di quelli che accompagna, ma da uno che è già salito in vetta, ha già sperimentato la strada, ed è questo che lo rende esperto nel guida-re, sostenere, accompagnare gli altri. Gli educatori condividono con gli educan-di la meta e la strada, ma i primi – ecco l’asimmetria - hanno la responsabilità di mostrare l’una e l’altra ai secondi. Dice un proverbio africano: “Quando si ha una meta, anche nel deserto si trova una strada”. E un altro detto afferma: “Se vado da solo, vado più veloce; se camminiamo insieme, andiamo più lontano”. Ovviamente il cammino implica anche gradualità nelle tappe e fedeltà alla leg-ge della strada, perché la strada è non fatta per essere contemplata e sognata, ma per essere percorsa.

Eccoci ora alle ultime due domande: che cosa può dare la fede? cosa deve dare la scuola?

La fede può dare anzitutto l’ossigeno della trascendenza. Benedetto XVI ha scritto nella “Caritas in Veritate”: “Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia”. Inoltre la fede può dare un capita-le di certezze rasserenanti e che si riassumono nel titolo di un libro “Dio fa bene ai bambini”. Infatti la certezza dell’esistenza, o meglio della presenza di Dio, si declina in altrettante certezze rocciose sulle quali si può fondare una vita. Dire “Dio c’è”, significa che “io sono amato”. Cartesio affermava “cogito ergo sum” (“penso dunque sono”); il cristiano afferma “cogitor – o meglio ancora – amor”, “sono pensato, sono amato da Dio”, dunque esisto. Noi siamo gli amati, così

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Paolo chiama i cristiani nella lettera ai Romani: “amati da Dio”. Siamo i “grazia-ti”, i candidati alla vita eterna. Inoltre la fede può dare il dono di una presenza. Gesù non è solo un modello da imitare, ma una presenza da accogliere. Non ci dà una teoria sull’educazione; ci offre una esperienza paradigmatica, ed è la sua prassi di formazione dei suoi discepoli, che non è finita con la croce e ne-anche con la glorificazione di Gesù, ma continua. Il vangelo di Matteo, al posto dell’ascensione, racconta che Gesù sale sul monte, non per salutare i discepoli, ma per dire: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine dei tempi” (Mt 28,20). Infine - ma l’elenco potrebbe continuare a dismisura - la fede ci offre il pane della compagnia. Compagnia deriva da “cum-pane”, condividere il pane, il pane della presenza del Signore; il pane di un patrimonio fatto di storia educativa, ma anche di un presente che continua ad essere esperienza positiva e feconda.

Oggi la scuola rischia di trasformarsi in un caotico supermarket, dove ognu-no va a cercare i singoli prodotti secondo i canoni di una società consumista, i cui commessi (i docenti) non avrebbero se non il compito di dare istruzioni per l’uso degli strumenti, lasciando la questione del senso ai clienti (gli alunni). Una scuola così non sarebbe solo una brutta scuola; sarebbe una scuola cattiva che costringerebbe le persone, a partire dagli alunni, a soffocare il desiderio di infinito che ogni cucciolo d’uomo si porta in cuore.

In ultima analisi questa scuola cattiva costringerebbe a rimandare l’appun-tamento con se stessi. Per questo appuntamento invece è indispensabile una scuola che aiuti a recuperare il confronto con il reale, per smascherare i miti, i luoghi comuni, gli slogan imposti dalla cultura dominante sull’onda di mode effimere e alla fin fine deludenti. Ci è indispensabile una scuola che orienti a riscoprire nel passato e nel presente, nel mondo e nella vita, i segni di verità e di senso presenti in essi. “Fatti non foste a viver come bruti”, diceva Dante, “ma per seguir virtute e conoscenza”. Il verbo – conoscere - in francese “connaître” ha una impressionante parentela con il verbo nascere. Il - connaître - dicono i francesi - è “co-naître”, conoscere è: “co-nascere”. E’ vero. Conoscere è come un venire alla luce un’altra volta, rinascere con un nuovo sguardo sulla vita, sul senso dell’amore, del dolore, della ricerca, della scoperta, della comunione e della gioia. Per questo servono insegnanti che aiutino a far nascere o rinascere l’umanità dei propri alunni ricollegandoli alla tradizione ed educandoli ad ap-propriarsene criticamente e vitalmente.

La scuola italiana ha bisogno di cambi strutturali significativi ed effica-ci, ma ha bisogno soprattutto di un rinnovato patto educativo, ricordava Papa Benedetto nella lettera alla Diocesi di Roma, e lo confermano i Vescovi Italiani nel documento citato. Occorre dunque un rinnovato patto educativo tra fami-glia, scuola e comunità cristiana, ma anche un patto educativo all’interno della scuola tra insegnanti e studenti. Leggi e regolamenti sono come lo spartito: la musica la suonano gli interpreti, coloro cioè che nella scuola vivono e lavorano quotidianamente.

+ Francesco Lambiasi

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Carissima, Carissimo,

desidero condividere con te ciò che ho nel cuore: non è questo che rende importante l’amicizia? Di solito si sente amico non chi si incontra di sfuggita, ma chi si ferma con noi e vuole donarci un po’ del suo tempo, della sua vita, di ciò che ha di più caro. Così vorrei questa lettera: come un ponte gettato tra due persone che si incontrano.

Vorrei parlarti un po’ di Gesù. Credimi: non mi è facile riuscire a comunicare tutto il fascino che suscita in me la sua figura. Lo sento profondamente vicino, ma anche diverso; compagno di strada e insieme punto di arrivo verso il quale siamo tutti incamminati.

Qual era il segreto della sua personalità? Come si misura un uomo? Che cosa lo qualifica, attraverso quali aspetti lo si può giudicare?

• Un uomo si rivela dal suo modo di parlare. Il modo di parlare di Gesù non è quello del professore che fa lezione. Gesù usa un linguaggio fresco, im-mediato, che colpisce e fa pensare: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio... Chi è senza peccato, scagli la prima pietra... Sepolcri imbiancati, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello».

• Un uomo si rivela dal suo sguardo, da come sa vedere le cose. Tutti vediamo le nuvole, il cielo, gli alberi, l’acqua, le montagne, le case, gli uomini... Ma c’è vedere e vedere, e la differenza sta in ciò che hai dentro. Per Gesù ogni realtà rinvia sempre a qualcosa d’altro, suscita sorpresa e meraviglia, reca un messaggio: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, eppure il Padre celeste li nutre; voi valete più di loro».

• Un uomo si misura dalla sua libertà di fronte alle cose. Gesù ne è totalmente distaccato. Può dire: «Le volpi hanno una tana, gli uccelli un nido; il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo». Non è il distacco di chi disprezza. No: Gesù accetta gli inviti, mangia e beve, ed è accusato per questo. Ma, come accetta, ne può fare a meno: è libero, pienamente padrone di sé. La sua non è mai rinuncia immotivata e schifiltosa: è libertà che permette di godere le cose più a fondo. Noi godiamo dell’accumulo, del possesso, godiamo non di ciò che «è bello», ma di ciò che «è mio».

• Un uomo lo si riconosce dalle sue relazioni con gli altri. Gesù aveva la passione per la gente, la gente senza fama, senza nome, i poveri, i malati, i bambini, gli emarginati e gli esclusi. La folla che lo circondava era composta di bisognosi di tutto, e lui rappresentava una speranza affidabile.

Ti posso parlare di Gesù?

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Lettere e Messaggi

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• Un uomo lo si giudica dalla sua coerenza. In Gesù l’attaccamento alla verità non conosce incertezze. Per sfuggire alla spirale dell’odio che gli si va stringendo intorno, gli basterebbe fare un’autocritica, ma lui non è «una canna sbattuta dal vento», e continua a seguire la sua strada, pronto a pagare il prezzo della vita per rimanere fedele alla missione intrapresa.

• Ma da che cosa è determinata questa interiore sicurezza che permette a Gesù di superare la paura della morte? Dalla gratitudine e dalla fiducia. Rag-giungiamo così il segreto di questa vita interamente dedicata all’amore: il grato, fiducioso abbandono nella mani forti e tenere del Padre. Gesù è un uomo spiri-tuale, ma non è formalista. La sua spiritualità è limpida, solare. Sente profonda-mente l’amicizia, la solidarietà, ma si porta dentro una solitudine che nessuna creatura può colmare: è la nostalgia della sorgente, di Dio, che chiama Abbà, «papà», con una confidenza che nessun ebreo si sarebbe mai permesso nei confronti dell’Altissimo. È questa intima consapevolezza che il Padre è con lui e non lo lascia solo, che spinge Gesù a dare la vita per amore: «Prendete, man-giate: questo è il mio corpo, questo è il mio sangue che è per voi e per tutti». Così la morte, che ogni uomo affronta come può e che a lui tocca di soffrire in una straziante solitudine, lui la vive nel segno dell’amore e la trasforma in dono.

• Ma se ci fermiamo alla croce, restiamo con la spina di una domanda: che ce ne faremmo di un profeta ormai messo a tacere per sempre dalla morte? A chi servirebbe la sua sconfinata bontà se il suo cuore, cessando di battere, avesse subito la stessa fine di uomini crudeli come Erode o vigliacchi come Pilato? Nemmeno potremmo classificarlo tra i grandi fondatori di religioni, per-ché a differenza di Buddha o Maometto, non è morto tranquillo in un letto, circondato dall’affetto dei discepoli. È morto come un malfattore. E se non è riuscito a salvare se stesso, come potrebbe assicurarci una speranza concreta, un annuncio di vita e di gioia? No, l’originalità, l’unicità di Gesù è la sua risurre-zione, è il fatto che ci è contemporaneo: è attualmente esistente ed è sempre instancabilmente attivo fra noi.

Non è possibile pensare che la risurrezione sia stata inventata dai discepoli. È vero che Gesù aveva cercato di prepararli all’evento, ma loro quelle parole del Maestro non le avevano proprio capite. E così, dopo la tragedia del Calvario, Pietro e compagni sono caduti in uno stato di confusione e di totale smarri-mento, al punto che il mattino di Pasqua fanno fatica a credere alle apparizioni del Risorto.

• Risuscitando Gesù da morte, il Padre prende posizione a favore del Cro-cifisso: lo costituisce salvatore di tutti e conferma la sua «pretesa» di essere il Figlio di Dio. Dunque non basta affermare in Gesù la dimensione della sola umanità. Se il mistero di Cristo si esaurisse nell’uomo Gesù, insomma se Gesù non fosse anche Dio, rischieremmo di fare di lui un pazzo o il più grande bu-giardo della storia.

A questo punto mi fermo. Non volevo dire tutto, mi interessava solo aprire un dialogo. Se vuoi, potrai continuarlo con un amico, con il tuo insegnante di religione, con un prete che conosci. Anche con il vescovo? Certo, puoi scriver-mi ([email protected]), o telefonarmi (0541.1835101). Sarò contento di conoscerti.

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Atti del Vescovo

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Vorrei però raccomandarti di metterti di fronte a Lui nell’atteggiamento giu-sto: il mistero della sua persona si dischiude solo a chi è disposto a cercare e a lasciarsi interrogare, a rimettersi in questione e a stare dalla sua parte.

È quello che ti auguro di cuore.

Rimini, Pasqua 2011

Chi è Gesù per te? Alcune testimonianze di giovani credenti

1. Ciò che di più bello mi è stato dato di capire nella mia vita è che l’unica cosa che può appagare totalmente il mio cuore è sentirmi amata e amare: non una volta, non due o tre, ma sempre: poter essere l’amore! Una volta sperimenta-to questo, è semplice dire perché da Gesù non mi posso più staccare, non posso più fare a meno di seguirlo e di ritornare a Lui quando perdo questa chiarezza... perché Gesù è la risposta alla sete che abita in me! È Lui che mi svela quanto è grande l’amore del Padre nei miei confronti ed è Lui che con la sua vita mi dice che l’unica via per la gioia e la pienezza è amare come ha fatto Lui, di un amore che è disposto a dare tutto, fino alla fine, che ti chiede di perderti, consumarti, per ritrovarti trasfigurato, di morire a te stesso per generare vita. Grazie Gesù perché davvero ‘Tu hai parole di vita eterna’! (Benedetta D.F. - universitaria - 20 anni)

2. Giusto pochi giorni fa una persona mi ha chiesto a bruciapelo: “Qual è il tuo rapporto con Cristo?”. Questa domanda mi ha immediatamente scavato den-tro, mi ha toccato nel profondo. La mia risposta: dieci secondi di silenzio, più di mille parole. Poi gli occhi lucidi, e con la voce spezzata dalla commozione le ho risposto: “Lui c’è”. Poi altri secondi impiegati per trattenere il pianto che avrebbe voluto sgorgare ed essere l’unica risposta a quella domanda. Ed ancora: “C’è e mi aspetta. Io mi sento atteso, desiderato. E soprattutto perdonato, da un Amore che non verrà mai meno”. Non posso fare a meno di cercarlo e di seguirlo perché non mi molla, perché lui per primo mi viene a cercare, mi sostiene, mi vuole con sé . Ogni giorno. (Stefano B. - già impiegato di banca - seminarista - 28 anni)

3. Chi sei tu per me Signore? Tu sei santo, Signore, Tu sei Dio, che operi cose meravigliose. Chi sono io per te Signore? Io sono la creatura benedetta dalle tue meraviglie. Se considero tutto ciò che Dio ha fatto per me mi viene da sorridere. Un sorriso d’incredulità nello scoprire tutta la ricchezza e la bellezza che ha river-

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Lettere e Messaggi

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sato nelle mie mani. Mi sento chiamata ad essere impreziosita di doni. Ed il primo è quello di sperimentare la gioia di essere salvata. (Laura P. - aspirante clarissa - 26 anni).

4. Gesù è quel compagno di viaggio nel quale riporre tutto me stesso; Lui che legge nel mio cuore, sa quale sia la strada per me. Sto scoprendo che più mi dono a Lui, più lascio a Lui la guida del mio cammino, più mi appoggio con fidu-cia e abbandono e più scopro me stesso e divento libero. Ecco perché l’ho scelto come Verità e Amore della mia vita. In Lui trova senso tutto. Gesù ci chiama per nome, ognuno con un compito differente, e ognuno con la grande responsabi-lità di onorare il dono della vita che il Padre ci ha dato. Gesù è quell’amico, quel fratello, quel compagno che ci conosce meglio di noi stessi e che non desidera altro che vederci felici e realizzati... Gesù è quel Dio grande che ci ama talmente tanto, da farsi così piccolo donandosi a noi nell’eucaristia, perché nutrendoci di Lui possiamo essere “fontana di acqua viva che zampilla”. (Massimo M. - odontoiatra - missionario laico in Africa - 33 anni)

5. Era il 2 febbraio 1997. Avevo 13 anni. Non ricordo il motivo, ma c’era stato un qualche disguido con gli amici per cui ero triste e arrabbiata. Invece di andar-mene, ho alzato lo sguardo al Crocifisso e con una convinzione che ancora mi scuote ho pensato: “Non importa, io ho il Signore!”. E ho pregato. Ho colto che Gesù guardava proprio me, era lì sulla croce anche per me. Da quel momento, che può sembrare anche banale, Gesù non è più stato soltanto qualcuno di cui sentivo parlare, ma un “TU” a cui io non ho più smesso di rivolgermi. Una “Perso-na” che sentivo amico, poi divenuto sposo, che ha salvato la mia vita donandole gratuitamente una pienezza inaspettata. Poi con lo studio, la meditazione della Parola di Dio e la preghiera ne ho colto il volto di maestro e modello: mai come ora il Vangelo è concreta indicazione di vita. (Serena V. - suora - 28 anni)

6. Gesù è amore: un amore tanto grande da farsi bambino, crescere, gioire, lavorare e soffrire con chi gli era accanto. Gesù è perdono: mi dà fiducia nono-stante le mie debolezze e m’aiuta a scoprire il bello che c’è in me, anche se io faccio fatica a vederlo. Gesù è compagno di viaggio: non mi abbandona, mi si fa vicino attraverso le persone che mi mette accanto e a cui m’insegna ad aprirmi. Gesù è guida: ha un disegno di felicità per la mia vita e me ne mostra un pezzetto ogni giorno. Gesù è sorpresa: scombina i miei piani per offrirmene di inaspettati e più belli. Ed è abbraccio: il nido in cui mi rifugio quando sono in crisi e che gioisce con me nei momenti di grazia. Gesù è vita: la ‘sua’ vita, che ci ha donato moren-do in croce, e quella piena che ha regalato a noi con la risurrezione. (Ada S.- giornalista - 26 anni)

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Rimini, 11 aprile 2011

Carissimo,con la puntualità fedele e discreta dei giorni della grazia, torna anche

quest’anno - il prossimo 20 aprile - la ricorrenza del Mercoledì Santo, giornata tradizionalmente dedicata nella nostra Diocesi alla celebrazione della Messa Crismale, con la rinnovazione delle nostre promesse sacerdotali.

Come di consueto, ci prepareremo a questo evento con una mattinata di ritiro spirituale, nel nostro Seminario “Don Oreste Benzi”, secondo il seguente programma-orario:

• 9.30: Arrivi e accoglienza;• 10.00: Ora Media • Meditazione su “Formare alla vita secondo lo Spirito” – EDUCARE ALLA

VITA BUONA DEL VANGELO n.22 (Don Luciano LUPPI, del clero di Bo-logna)

• 11.00: Liturgia penitenziale e adorazione;• 12.30: Pranzo;• 15.30: S. Messa Crismale (in Basilica Cattedrale).Sono sicuro che tutti i Sacerdoti faranno ogni sforzo possibile per non ne-

gare ai Confratelli la gioia di incontrarci tutti insieme. Sarebbe davvero un bel regalo per ciascun membro del Presbiterio se nessuna sedia fosse vuota! Con-fido pertanto nella massima premura da parte di tutti per adeguare eventuali attività parrocchiali o impegni coincidenti, aiutando i fedeli a comprendere le ragioni di questa precedenza, così come la richiama il Concilio:

“Bisogna che tutti (omnes) diano la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi intorno al Vescovo, principalmente (praesertim) nella chiesa cat-tedrale: convinti che la principale (praecipuam) manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazione piena e attiva (plenaria et actuosa) di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto (praesertim) alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il Vescovo circondato dal suo presbiterio e dai ministri” (SC 41).

E’ opportuno invitare a tale celebrazioni anche larghe rappresentanze delle varie comunità parrocchiali, specialmente dei ragazzi che riceveranno la s. Cre-sima durante l’anno.

In quel giorno faremo festa con un ricordo particolare di quanti tra di noi

Lettera ai sacerdoti per il Mercoledì Santo

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ricorderanno il venticinquesimo, il cinquantesimo e il sessantesimo di ordi-nazione presbiterale, con una speciale benedizione del S. Padre.

Carissimi tutti, abbiamo bisogno di rivederci per “fare Pasqua” con il Signo-re. Abbiamo bisogno di riconciliarci se qualche contrasto o dissapore avesse turbato la nostra fraternità sacramentale. Soprattutto vogliamo incrementare la nostra comunione, consapevoli che questa viene liturgicamente espressa e re-alizzata al massimo grado quando i presbiteri “concelebrano la sacra Eucaristia con unanimità di sentimenti” (PO 8).

Riviviamo insieme la festa della nostra ordinazione ed insieme preghiamo e ci auguriamo che questa festa non abbia mai fine!

Nell’attesa di ritrovarci a questo prossimo appuntamento del nostro Presbi-terio, vi saluto di cuore e vi abbraccio con intima gioia

P.S. Chi avesse difficoltà negli spostamenti, può contattare la Segreteria Vescovile (0541.1835101) o la Segreteria Diocesana (0541.1835100) in modo che venga favorita la partecipazione di tutti.

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Ai Revv.mi Sacerdoti del Presbiterio DiocesanoCarissimi,Nella nota pastorale dell’Episcopato Italiano, dal titolo: Il volto missionario

delle parrocchie in un mondo che cambia, la parrocchia viene presentata come la forma storica privilegiata che dà concretezza alla dimensione territoriale della Chiesa particolare, e più puntualmente, in quel documento se ne parla come di “bene prezioso per la vitalità dell’annuncio del Vangelo”, di “avamposto della Chiesa verso ogni situazione umana”, di “figura di Chiesa vicina alla vita della gente”. D’altra parte anche le parrocchie sono coinvolte nel rinnovamento mis-sionario chiesto oggi alla diocesi: “Noi riteniamo - affermano testualmente i Ve-scovi – che la parrocchia non è avviata al tramonto; ma è evidente l’esigenza di ridefinirla in rapporto ai mutamenti, se si vuole che non resti ai margini della vita della gente” (n. 2). E’ dunque necessario disegnare con più cura il suo volto mis-sionario, rivedendone l’agire pastorale, per concentrarsi sulla scelta fondamentale dell’evangelizzazione, pena il suo ridursi a gestire il folklore religioso o il bisogno di sacro.

La “conversione missionaria” della parrocchia implica l’assicurazione di alcu-ne premesse, che, di quella irrinunciabile conversione, garantiscano l’autenticità e la reale efficacia. La prima premessa, del tutto imprescindibile, è la promozione di una spiritualità della comunione, che “ispira un reciproco ed efficace ascolto tra pastori e fedeli, tenendoli, da un lato, uniti a priori in tutto ciò che è essenziale, e spingendoli, dall’altro, a convergere normalmente anche nell’opinabile verso scelte ponderate e condivise”, scriveva Giovanni Paolo II, nella Novo Millennio Ineunte, n. 45).

Inoltre una parrocchia missionaria richiede preti più pronti alla collaborazio-ne nell’unico presbiterio, più attenti nel sostenere la formazione dei laici, nel promuovere carismi e ministeri, nel creare spazi di effettiva partecipazione. Al riguardo non si dovrà mai appannare la verità affermata con forza dal Vaticano II: “Presbyteri unum presbyterium cum suo episcopo constituunt” (LG 28), e la conseguenza che ne ricava la Presbyterorum ordinis: “Il ministero ordinato ha una radicale forma comunitaria e può essere assunto soltanto come un’opera collettiva” (n. 17). “In questo senso – affermava il beato Giovanni Paolo II, nella Pastores dabo vobis – l’incardinazione non si esaurisce in un vincolo puramente giuridico, ma comporta anche una serie di atteggiamenti e di scelte spirituali e pastorali, che contribuiscono a conferire una fisionomia specifica alla figura voca-zionale del presbitero” (n. 31).

Istituzione Commissione per la Pastorale Integrata

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In terzo luogo, poiché non si dà missione efficace, se non dentro uno stile di comunione affettiva ed effettiva, occorre “integrare in unico cammino pastorale sia i diversi operatori pastorali che esistono oggi, sia le diverse dimensioni del lavoro pastorale”: così Papa Benedetto ha definito la pastorale integrata. Soltanto in tale quadro più ampio si possono pensare criteri di ridistribuzione del clero e di revisione dell’attuale organizzazione delle parrocchie sul territorio.

Perché tale operazione, complessa e delicata, non risulti di pura “ingegneria ecclesiastica” – che rischierebbe peraltro di far passare sopra la vita della gente decisioni che non favorirebbero lo spirito di comunione né risolverebbero effi-cacemente il problema - occorre attivare un processo, che preveda il coinvol-gimento dell’intero popolo di Dio, a cominciare dai presbiteri, dai diaconi, dagli operatori pastorali, dalla vita consacrata, al laicato aggregato. Sarà anche necessa-rio articolare in modo ordinato e convergente le varie fasi del processo, da quella parrocchiale, zonale e foraniale, fino alla più ampia fase diocesana.

A tal fine, tenendo conto delle indicazioni e delle votazioni effettuate in sede di Consiglio Presbiterale e Pastorale, riuniti presso il nostro Seminario in data 2 maggio 2011, ho costituito una apposita Commissione per la pastorale inte-grata, che risulta così composta:

1. Mons. Dino PAESANI, con il compito di Presidente;2. Don Giampaolo BERNABINI;3. Don Biagio DELLA PASQUA;4. Don Pier Giorgio FARINA;5. Don Andrea TURCHINI;6. Diac. Ennio MORONCELLI;7. Sig. Stefano GIANNINI;8. Sig. Silvano PERAZZINI.

La Commissione, che dovrà necessariamente lavorare in stretto collegamen-to con il Vicario Episcopale per la pastorale, ha un triplice compito: di studio, di proposta e di animazione.

Lo studio riguarda: i principi ispiratori e le radici mistiche ed etiche che fonda-no e sostengono la pastorale integrata; la situazione attuale del nostro presbiterio e quella prossima futura; le esperienze in atto nelle diocesi che per il loro profilo sociologico, culturale e pastorale sono più vicine alla nostra.

La proposta e l’animazione comprendono tutte quelle iniziative, esperienze, ipotesi, sperimentazioni, che sarà opportuno prendere in attenta considerazione, avviare e valutare per poter orientare e sostenere il processo, di cui sopra.

Poiché il momento più frequente di incontro per l’intero presbiterio è la ri-unione che si tiene ordinariamente ogni due mesi in Seminario, raccomando alla Commissione di voler presentare al Consiglio Presbiterale di fine settembre p.v. una proposta organica per i “presbitèri” del prossimo anno pastorale 2011-2012, possibilmente integrando tale proposta con quella relativa al tema e allo svolgimento della “tre giorni di giugno” del 2012, e finalizzando contenuti e me-todologie al coinvolgimento dell’intero Presbiterio attorno alle tematiche e alle problematiche relative alla nuova evangelizzazione, alla pastorale integrata e al

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processo di riorganizzazione delle parrocchie sul territorio.Mentre ringrazio per la generosa e competente disponibilità, assicuro ai Com-

ponenti la Commissione la mia più cordiale vicinanza, con ogni benedizione.

Rimini, 9 maggio 2011,Memoria della Traslazione della reliquia di s. Nicola

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Prot. VFL2011/29 Rimini, 21 maggio 2011

Carissimi Fedeli di Gesù Redentore e Mater Admirabilisnella nuova Comunità Pastorale “Riccione mare”,vi scrivo nell’imminenza della costituzione della nuova Comunità Pastorale

“Riccione Mare”, che avrà luogo con l’avvicendamento tra Don Matteo Donati e Don Franco Mastrolonardo, il quale sarà coadiuvato da Don Daniele Missiroli.

Desidero innanzitutto rinnovare pubblicamente la mia stima sincera e la più cordiale gratitudine a questi carissimi Confratelli. A Don Matteo che in questi anni di ministero si è fatto apprezzare per la generosità umile e disinteressata, per la guida sapiente e lungimirante, come pure per la disponibilità spontane-amente rinnovata a servire dove l’obbedienza al Vescovo lo avrebbe portato. Ora è chiamato a farsi carico di una comunità più grande dove potrà mettere a frutto, oltre che le sue belle doti di mente e di cuore, anche la positiva e ricca esperienza che ha accumulato in questi anni.

Mi è anche caro esprimere la mia piena riconoscenza a Don Franco e a Don Daniele per la disponibilità pronta e convinta ad assumere la cura pastorale della nuova Comunità: la matura esperienza di Don Franco, la sua passione per i giovani, la grande bontà d’animo, unite allo slancio giovanile di don Daniele, alla sua spiccata capacità di relazione e soprattutto la fede di entrambi risulteranno di grande beneficio per il cammino unitario della vostra Comunità Pastorale.

Carissimi, ho fiducia che saprete accogliere queste preziose risorse come un dono inestimabile del Signore e che collaborerete senza riserve con i vostri Sacerdoti e tra di voi perché un’autentica “spiritualità di comunione” impregni la vostra testimonianza, di modo che quanti entreranno in contatto con la vostra Comunità possano rimanerne edificati e vengano così accompagnati ad entrare in contatto con il Signore Gesù, l’unico Salvatore di tutti.

“In conclusione, fratelli e sorelle, quello che è vero, nobile, giusto, puro, quello che è amabile e merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. E il Dio della pace sarà con voi!” (Fil 4,8). Vi supplico nel nome del Signore, con le parole di s. Paolo: "Rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi consideri gli altri superiori a se stesso. Nessuno cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri” (ivi 2,2ss).

Vi attendo domenica 29 maggio alle ore 18, presso la chiesa di "Mater Ad-mirabilis". Di cuore saluto e benedico tutti e ciascuno di voi

Ai fedeli della nuova Comunità pastorale di "Riccione Mare"

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Decreti e Nomine(In copertina: Adorazione dei Magi, Maestro di Verucchio, Lowe Art Gallery, Miami - dettaglio)

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Carissimo Don Gabriele, anche se ero già venuto varie volte nella vostra parrocchia, la visita pasto-

rale - svoltasi dal 9 all’11 dicembre 2010 - è stata una esperienza tutt’altro che formale e superflua. Ha dato invece a me la gradita occasione per stringere il vincolo di comunione che lega il Vescovo ad ogni comunità parrocchiale della Diocesi. E a voi tutti - così mi pare di poter dire in piena sincerità e cor-diale gratitudine al Signore - ha offerto la preziosa opportunità di vivere una piena esperienza di comunità cristiana. Momenti culminanti di quelle poche, ma intense giornate, sono state le due celebrazioni liturgiche: della Cresima di 14 ragazzi e della santa Messa conclusiva, l’ultima sera. Ma ricorderò a lun-go anche la visita ai malati e le due cene nel salone con molti collaboratori e parrocchiani.

Da tutto l’insieme mi è rimasto inciso nella memoria il ricordo di un clima familiare, sereno, molto caloroso e accogliente. Il nostro settimanale diocesa-no, ilPonte ha sintetizzato bene il passaggio che Casalecchio ha vissuto nei 32 anni del tuo ministero parrocchiale: “dal pugno chiuso alla mano aperta”. In effetti all’inizio i rapporti non sono stati facili: per molti il prete era il nemico numero 1; la chiesa era frequentata da pochissime persone, al punto che ap-pena 100 particole erano sufficienti per due mesi!

Molto intelligentemente tu hai improntato la tua azione pastorale all’in-segna della più cordiale e accogliente apertura a tutti: la chiesa infatti non è e non deve diventare territorio riservato a pochi intimi, ma casa abitabile da ciascuno senza però smettere di essere disponibile per tutti i battezzati del territorio. Il fatto che dopo la Messa domenicale molti abbiano preso la buona abitudine di trattenersi sul sagrato per scambiarsi notizie e intrecciare racconti è un indice assai interessante che fa capire come la parrocchia non possa ab-dicare alla sua nativa vocazione “sociale”, quella di cementare il tessuto con-nettivo che lega tutti i credenti del territorio.

Venendo tra voi, ho potuto apprezzare la concentrazione sull’essenziale della vita parrocchiale, come da te bene espresso: “La parrocchia si giustifica se viene annunciata la parola di Dio e se si celebrano i sacramenti”. Molto saggiamente ti sei ispirato al collaudato criterio di “non togliere nulla senza prima averlo sostituito”. Inoltre hai investito risorse ed energie nella catechesi della iniziazione cristiana per i fanciulli e i ragazzi, ai quali fai personalmente il catechismo settimanale. Purtroppo, anche da voi, si assiste al triste fenomeno della dispersione dei cresimati, una volta ricevuto il sacramento.

Visita pastorale a Casalecchio

Prot. VFL2011/26 Rimini, 20 maggio 2011

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Visita Pastorale

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Un impegno lodevole viene inoltre messo nella celebrazione del giorno del Signore, in particolare nella cura della celebrazione eucaristica. Ciò ha compor-tato, nel corso degli anni, il consolante risultato di una partecipazione sempre più viva e attiva da parte dei fedeli.

Ora vorrei condividere alcuni pensieri che riguardano una situazione ge-nerale che è sotto gli occhi di tutti. E’ evidente che oggi la parrocchia deve rispondere a sfide complesse e inedite: la secolarizzazione pervasiva che ha rarefatto il clima “morale” che si respira tra la gente; l’individualismo diffuso che induce molti a pensare al “fatto religioso” come a fenomeno del tutto pri-vato; la frammentazione dell’esistenza di tante persone, per cui si appartiene contemporaneamente a mondi diversi, distanti, perfino contraddittori. Per voi di Casalecchio in particolare si va profilando un cambiamento che rischia di risultare destabilizzante per l’equilibrio della vostra comunità, finora piuttosto piccola, e cioè il quasi raddoppio della popolazione: i circa 600 abitanti attuali in pochissimo tempo diventeranno oltre 1000, a causa del massiccio insedia-mento di edilizia popolare, che sta sorgendo nella zona di Tomba Nuova. E’ facile prevedere che sarà purtroppo un altro quartiere dormitorio, con tutti i problemi che questo inquietante fenomeno comporta. La comunità cristiana non potrà rimanere indifferente a cambiamenti così vistosi e preoccupanti, tanto più se si considera il fatto che nella nostra Diocesi il dato della diminu-zione del clero va ad assommarsi a quello della diminuzione delle ordinazioni: entro il 2017 ben 37 sacerdoti raggiungeranno i 75 anni - sperando che non vengano meno prima e anzi vi arrivino in buona salute in modo da assicura-re altro tempo al servizio pastorale - mentre saranno al massimo 10 i nuovi ordinati. Cercheremo di prepararci a questo domani, in particolare con “una sempre maggiore attenzione alla formazione di cristiani capaci di essere se stessi in ambienti diversi”, come hai giustamente richiamato in occasione della visita pastorale.

Carissimo Don Gabriele, in questi 32 anni di ministero in Santa Maria di Ca-salecchio, hai testimoniato giorno per giorno la fedeltà al mandato del Signore di pascere il “suo” gregge a te affidato. La tua gente ti vuole bene e tu continui a spenderti con generosità e con gioia. Mentre ti ringrazio per l’accoglienza squisitamente umana che mi avete riservato, prego il Signore di darti ancora energie e risorse per servire il popolo consegnato alle tue cure e di consolarti con l’affetto, la disponibilità e la gratitudine dei cari fedeli, ai quali, in sincera e sentita comunione con te, mi è grato partecipare una larga benedizione

______________________________Al Rev. Sac. Don GABRIELE GAGGIAe alla Comunità Parrocchiale di Santa Maria di Casalecchiovia Casalecchio 5247924 Gaiofana di RIMINI - RN

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Atti del Vescovo

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Carissimo don Giovanni,“piccolo è bello, se ci si dà una mossa!”: era il titolo con il quale si apriva la

pagina del Ponte, dedicata alla Visita pastorale nelle parrocchie di S. Lorenzo in Correggiano e S. Salvatore, titolo che, a sua volta, era preso dalla relazione preparata dai Consigli pastorali delle due parrocchie, in riunione congiunta. Cer-tamente avrà suscitato nei lettori la curiosità di sapere come era stato concre-tizzato, dato che esprimeva insieme l’orgoglio di ciò che si è e l’impegno verso la meta a cui si tende. Ebbene io voglio anzitutto testimoniare che ho toccato con mano che quanto da voi descritto corrisponde alla realtà: “Non è vero che le cose belle si fanno solo nelle grandi parrocchie; anzi il conoscersi tutti è un dono incredibile, che ci fa partire avvantaggiati e capaci di fare cose bellissime”.

La Visita pastorale era programmata dal 13 al 19 dicembre 2010, anche se il momento conclusivo è stato rinviato al 3 febbraio, a causa della neve.

Ho trovato un clima molto cordiale, di grande serenità, veramente di fami-glia. Ed è proprio alla famiglia che avete dato un’attenzione particolare nel lavoro pastorale: anche se per rendere concreta questa attenzione avete promosso at-tività sia per le singole fasce di età, dai più piccoli agli anziani, sia per la famiglia nella sua globalità. E solo in questo percorso passa la convinzione, da voi ben sottolineata, che la parrocchia è una famiglia di famiglie: una convinzione che gradualmente diviene realtà. Nel tendere a questo obiettivo era necessario tener presente che si tratta di due Comunità parrocchiali che, pur omogenee come territorio, hanno però storia e fisionomia diversa e fino a qualche anno fa ognu-na con il suo parroco. Pur con qualche difficoltà, in questi ultimi quattro anni il cammino pastorale delle due parrocchie ha avuto molti momenti comuni.

Vorrei evidenziare alcuni aspetti, che mi hanno particolarmente colpito ed esprimono la positività del lavoro svolto. Anzitutto la centralità della Messa domenicale. Il clima di festa, la presenza numerosa di ragazzi e di giovani fami-glie con bambini piccoli, accolti con gioia anche dagli adulti, il canto da parte di tutta l’assemblea, animato dal coro (con una diversità di stile e repertorio nelle due Comunità), l’abitudine di fermarsi a conversare davanti alla chiesa a conclusione della celebrazione e tanti altri segni dimostrano come l’Eucaristia festiva non è avvertito come un rito vuoto o un dovere da compiere, ma come il grande momento di incontro e di festa della famiglia parrocchiale.

Ho notato inoltre con gioia che c’è nella vostra Comunità grande atten-zione e impegno nel compito educativo, che comincia già a 5 anni e continua con un buon numero di ragazzi dopo la Cresima, cosa non comune, e con gli

Visita pastorale a S. Lorenzo in Correggiano

Prot. VFL2011/27 Rimini, 20 maggio 2011

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Visita Pastorale

Bollettino Diocesano 2011 - n.2

adulti. In questo modo ognuno, dai ragazzi ai genitori, si sente nello stesso tempo educatore ed educato. Tu stesso, caro don Giovanni, hai sottolineato con soddisfazione nella relazione che i ragazzi, già dal dopo-Cresima, chiedono di potersi impegnare come animatori-educatori, quasi come debito di gratitudine per quanto hanno ricevuto e nello stesso modo come ulteriore opportunità di crescita nella fede e nel servizio.

Sì, “piccolo è bello” se, come nel vostro caso, non esprime chiusura, spirito da “isola felice”. L’attenzione ai lontani, la partecipazione ai momenti di forma-zione e di festa delle parrocchie vicine, del Vicariato e della Diocesi, la disponi-bilità all’accoglienza, le tante esperienze di solidarietà, la festa dei Multicolori, la partecipazione alle problematiche sociali, vicine e lontane, anche attraverso un lavoro culturale, e tante altre iniziative sono la conferma di questa apertura.

Don Oreste era solito dire che “per i genitori anziani il miglior ricovero è il cuore dei figli e dei nipoti”. Il fatto che generalmente nella vostra parrocchia le persone anziane sono assistite con amore in famiglia mi sembra un’ulteriore conferma che formazione, celebrazione e carità sono tre dimensioni della vita cristiana inseparabili.

Certo non mancano i problemi e le difficoltà, che nella relazione avete mes-so in evidenza: la necessità di un’unità ancora più grande tra le due Comunità, l’impegno di evangelizzazione e di testimonianza, la cura per una maturità di fede dei giovani e delle famiglie. Vogliamo però lodare il Signore per il tanto bene già compiuto con la Sua grazia e chiedere che vi renda perseveranti nel continuare il cammino.

Conservo un caro ricordo degli incontri avuti con la vostra Comunità e, come Vescovo, voglio esprimere a te, don Giovanni, e alle Comunità di S. Loren-zo in Correggiano e di S. Salvatore, la mia gratitudine e chiedo che la benedizio-ne del Signore vi accompagni e renda ricco di frutti il vostro impegno.

______________________________Al Rev. Sac. Don GIOVANNI TONELLIe alle Comunità Parrocchiali di San Lorenzo in Correggiano e di San Salvatore via San Lorenzo in Correggiano 5947924 RIMINI - RN

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Atti del Vescovo

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Carissimo don Piermarino,il documento dei Vescovi italiani, “Il volto missionario della parrocchia in

un mondo che cambia”, è stato scelto come punto di riferimento e di prepara-zione per la Visita Pastorale, ma esprime anche la fisionomia della parrocchia S. Maria in Cerreto.

I cambiamenti sono evidenti e tu li hai toccati con mano in questi 25 anni di ministero come parroco. La chiesa è rimasta geograficamente al centro del vasto territorio della parrocchia; ma da comunità di campagna, dove le famiglie, anche se distanti, si conoscono tutte, è diventata ormai la periferia di Rimini e ha visto un notevole sviluppo urbanistico, concentrato in gran parte in località Gaiofana, alquanto distante dalla chiesa parrocchiale. La popolazione, in que-sto modo, è quasi raddoppiata, con molto maggiore difficoltà quindi per te a conoscere le famiglie, a conoscersi tra di loro, a inserirsi nella vita parrocchiale. E’ la situazione che tu stesso hai descritto nella relazione sintetica, presentata durante l’Assemblea con la quale abbiamo iniziato la Visita pastorale la sera di lunedì 15 novembre 2010. Questi cambiamenti non hanno affievolito, ma anzi stimolato l’impegno missionario. E’ stato certamente incisivo il ministro sacerdotale di don Aldo Fonti, già con il progetto di partire missionario per LA GUAIRA (Caracas – Venezuela), e i contatti sono proseguiti tra lui e i parroc-chiani facenti parte l’Associazione “san Martin de Porres” negli anni successivi. Si è poi aggiunto il tuo generoso ministero. Attraverso uno stile di accoglienza e di familiarità hai cercato tante occasioni per conoscere le famiglie e creare un rapporto con loro: i momenti ordinari della vita parrocchiale, e le occasioni straordinarie, come le feste, le benedizioni pasquali, le gite. Ma contempora-neamente ti sei preoccupato di insistere su ciò che rende viva e autentica la fede di un cristiano e la vita di una comunità: l’incontro personale con Gesù.

E’ evidente che il cammino è lungo, non tutti seguono con lo stesso passo. Ma sia l’incontro con gli operatori pastorali, la sera di giovedì 18 novembre, sia quello con i ragazzi del catechismo e i loro genitori, con i giovani e con i catechisti, il sabato pomeriggio, hanno evidenziato che un buon numero di persone ha risposto a questa chiamata, ha fatto un cammino personale e co-munitario di crescita nella fede e condivide con te non solo la gestione delle iniziative, ma la responsabilità dell’annuncio e dell’impegno missionario. E’ indispensabile che si integrino i due momenti, come ha fatto Gesù con i primi discepoli: li chiamò perché stessero con Lui e per mandarli ad annunciare la venuta del Regno.

Visita pastorale a Santa Maria in Cerreto

Prot. VFL2011/28 Rimini, 20 maggio 2011

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Visita Pastorale

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Non voglio tralasciare di sottolineare la grazia di avere in parrocchia una comunità religiosa, le Francescane Missionarie di Cristo (più conosciute come Suore di S. Onofrio). Attraverso la scuola materna, molto stimata dalla popo-lazione, incontrano tanti bambini e famiglie. Inoltre la Liturgia feriale e festiva, ben curata, l’animazione di un Centro di ascolto del Vangelo sono avvertite come una grazia dai fedeli stessi, tanto più in una zona di forte sviluppo e lon-tana dalla chiesa parrocchiale, come Gaiofana. Sappiamo inoltre che anche la presenza di diverse religiose anziane, con l’offerta della loro preghiera e della sofferenza, dà un contributo prezioso all’opera evangelizzatrice, che solo il Si-gnore sa ponderare.

Caro don Piermarino, nella tua relazione non hai nascosto le difficoltà che, come parroco, incontri nel formare cristiani adulti, consapevoli e contenti della loro fede e desiderosi di testimoniarla; difficoltà nel proseguire il cammino di fede dopo la Cresima, nel coinvolgere in questa proposta le famiglie e i giovani, nel far crescere il numero di chi si impegna nella vita parrocchie e farli passare da collaboratori in una attività a corresponsabili della Comunità, a sentirsi poi parte di una realtà ecclesiale più grande della parrocchia e quindi aperti alle altre parrocchie e alla diocesi. Ma sappiamo che, al di là delle difficoltà reali e dei nostri limiti, abbiamo un grande motivo di speranza in Gesù che ci ha detto: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”; e che ha assicurato. “Sarò con voi tutti i giorni…”.

Recentemente avete restaurato la chiesa parrocchiale, all’interno e all’e-sterno, con proprietà, amore e generosità. Di questo sono orgogliosi tutti i par-rocchiani, anche quelli che si sono trasferiti e tornano per qualche ricorrenza. Essa sia immagine della Chiesa spirituale sempre in costruzione, un cantiere permanente, a cui tutti sono chiamati ad essere pietre vive e costruttori.

La Messa conclusiva della Visita pastorale, sabato pomeriggio 20 novem-bre, voleva essere anzitutto una lode al Signore per il cammino di grazia da voi compiuto, un’offerta a Lui della vostra disponibilità a continuare questo impegno, una invocazione dell’aiuto del Suo Spirito. E’ l’incoraggiamento che, come Vescovo, rinnovo: ed questo uno degli scopi principali della Visita pasto-rale: confermare i fratelli nella fede. Ma soprattutto un grazie che rinnovo a te, don Piermarino, alle care suore di S. Onofrio, agli operatori nei vari settori della pastorale e a tutta la comunità: con l’assicurazione che continuerò ad accom-pagnarvi con la mia preghiera e la mia benedizione.

______________________________Al Rev. Sac. Don PIERMARINO PAESANIe alla Comunità Parrocchiale di Santa Maria in Cerretovia del Poggio 2447924 Santa Maria in Cerreto di RIMINI - RN

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Carissimo Don Vittorio,la visita pastorale condotta presso la vostra comunità parrocchiale nei gior-

ni dal 25 al 27 febbraio è stata per me la seconda occasione di incontro con voi e ha confermato nel mio cuore l’impressione positiva e confortante già provata la prima volta che venni tra voi, all’inizio del mio ministero in diocesi. La vostra è una piccola realtà, formata da 352 persone, articolata su 150 nuclei familiari, con molte persone singole, per lo più anziani, ma non poche sono anche le giovani famiglie con bambini piccoli. Dunque una realtà modesta nella sua con-sistenza numerica, ma che ho ritrovato viva, serena, aperta al più ampio respiro diocesano.

La storia della parrocchia è piuttosto recente: risale agli anni ’60, per istitu-zione di Mons. Biancheri, data la previsione di una grande comunità che sareb-be cresciuta nel territorio di confine fra san Marino e l’Italia. Ma mentre in poco tempo si sviluppò la dogana di s. Marino, il blocco delle costruzioni in territorio italiano interruppe l’afflusso di nuovi abitanti, e la vostra parrocchia, come era sorta rapidamente, altrettanto rapidamente rischiava di scomparire, se la cura pastorale assicurata dalla bella e autorevole figura di don Lino Grossi non aves-se contribuito in modo determinante a tenere viva la fede della comunità, la quale, pur rimanendo di modeste proporzioni numeriche, è molto cresciuta sotto il profilo umano e cristiano.

Al termine del servizio pastorale di don Grossi, il mio Predecessore ne af-fidò a te la cura pastorale, alla duplice condizione: che tu potessi continuare a svolgere tranquillamente il tuo servizio di padre spirituale in seminario; e che tu non abitassi nella canonica e non celebrassi più di una messa domenicale. Ci si sarebbe potuto aspettare che un tale assetto pastorale avrebbe mortificato la vitalità della parrocchia, e invece è proprio vero che nella vigna del Signore la qualità della vita spirituale è spesso in proporzione inversa rispetto alla quantità delle risorse e delle strutture. Quanto vado affermando, lo ritengo vero, pensan-do anzitutto al poco spazio che puoi dedicare al servizio pastorale. Di fatto però la tua presenza, pur limitata nel tempo, risulta capillare, incisiva e assai efficace. L’ho toccato con mano nel contatto con le famiglie, con il Consiglio pastorale e il C.A.E., con i collaboratori, con i malati. Ma l’ho sperimentato soprattutto nella celebrazione eucaristica domenicale. Essendo l’unica assemblea liturgica settimanale, è quello il momento più partecipato e significativo per tutta la comunità, con un forte senso di comunione ecclesiale, da cui si evince la ve-rità del detto: la Chiesa fa l’Eucaristia, e l’Eucaristia fa la Chiesa. Non dunque una pastorale del minimo indispensabile è quella che lì da voi si persegue, ma piuttosto la pastorale del massimo possibile. Come si vede anche dalla vivacità

Visita pastorale a Dogana

Prot. VFL2011/33 Rimini, 31 maggio 2011

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Visita Pastorale

Bollettino Diocesano 2011 - n.2

della Caritas, con le raccolte a favore di altre comunità più bisognose e dall’aiu-to che viene prestato ai poveri che risiedono nel territorio. E come risulta pure dalla ospitalità ad alcuni servizi sociali, quali l’attività del gruppo GET (Gruppo educativo territoriale) della Millepiedi, e dalla possibilità offerta al medico di base di una saletta della parrocchia per visitare le persone anziane e le famiglie del territorio.

Apprezzo molto la collaborazione già avviata con la parrocchia di sant’Aqui-lina, alla quale vengono indirizzati per la catechesi i bambini e i ragazzi delle vostre famiglie.

Ora però si va profilando una situazione completamente diversa rispetto a quella che richiese a suo tempo la fondazione della parrocchia nel vostro territorio, e cioè, a fronte di una preoccupante diminuzione del clero - a quel tempo la nostra diocesi contava molti più preti rispetto a una popolazione ben più ridotta - nel giro di pochi anni avremo ben 34 preti che raggiungeranno i 75 anni, mentre nel frattempo non potremo avere più di 10 ordinazioni sacer-dotali. Si richiede quindi una riorganizzazione della presenza delle parrocchie nel territorio.

Sarà indispensabile perciò preparare i fedeli a convergere con quelli delle altre piccole parrocchie confinanti. Le direzioni obbligate del futuro prossimo prevedibile, le conosciamo già, e sono la formazione di un laicato solido e ma-turo, la ridefinizione dei confini parrocchiali, e l'educazione a lavorare in rete sul territorio. Sarà pertanto facile prevedere parrocchie più grandi delle attuali, ma strutturate in piccoli nuclei guidati da un diacono, e coordinate da una comu-nità sacerdotale.

Vi indico pertanto come obiettivo remoto quello di convergere in una co-munità territoriale che inglobi anche altre piccole parrocchie viciniori, e come tappa intermedia quella di convergere con le stesse parrocchie in alcuni ambiti comuni, quali la pastorale delle giovani famiglie, quella giovanile ecc.

Ora chiudo invitandovi ad una preghiera intensa e accorata per chiedere al Signore il dono di autentiche vocazioni sacerdotali, possibilmente di qualche giovane delle vostre famiglie.

Permettetemi di benedirvi rinnovandovi stima, affetto e gratitudine

______________________________Al Rev. Sac. Don VITTORIO METALLIe alla Comunità Parrocchiale di san Pio X di DoganaStrada Consolare San Marino 27547923 RIMINI - RN

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Atti del Vescovo

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Carissimo Don Renzo, “Con le radici in una grande storia”: è stato il titolo che il Ponte dava al ser-

vizio dedicato alla visita pastorale, svolta nelle vostre parrocchie di san Fortunato e di san Lorenzo a Monte, dal 17 al 19 febbraio 2011. E “Riappropriamoci della Tradizione” è il tema che guida il cammino della vostra unica e unita comunità pastorale.

Conserverò a lungo nel cuore il ricordo della veglia di preghiera, la prima sera, in codesto vostro stupendo gioiello qual è la chiesa di san Fortunato. Tante primule variopinte la rendevano ancora più splendente e offrivano a te un felice spunto per il saluto di accoglienza. Le primule sono foriere di primavera – dicevi – e auguravi che la visita segnasse l’inizio di una nuova stagione per tutti gli abi-tanti di Covignano. Le primule sono fiori piccoli ma ben visibili, e ci richiamano quell’impegno della testimonianza cristiana che rende tangibili le nostre opere buone, in modo che tutti possano dare gloria al Padre dei cieli. Inoltre le primule sono di colori diversi, ma tutte belle, e questa loro qualità fa pensare alla santa Chiesa del Signore, comunione multicolore e variegata, formata da persone di-verse - ognuna portatrice di carismi unici e singolari - eppure unite dallo stesso Spirito nell’unica fede e nello stesso battesimo.

Dicevamo del ricco patrimonio del passato. In effetti un fiume di storia scor-re sull’incantevole colle di Covignano. Storia civile e storia religiosa, antica e meno antica: storia di Pieve – san Lorenzo – e quindi di popolazioni rurali; storia di monaci – san Fortunato – raccolti nell’antica abbazia di s. Maria di Scolca. Tanta storia è giustamente motivo di orgoglio, ma soprattutto di responsabilità, che esige una attenta, impegnativa opera di rievangelizzazione. E’ per questo che tu stai tentando di aiutare tutta la comunità cristiana a radicare la vita nel kèrygma fondante della fede: l'annuncio di Cristo Gesù morto e risorto. Pertan-to la riappropriazione dell’antico, preziosissimo patrimonio culturale e artistico deve essere nutrita e sostenuta dalla riassimilazione del patrimonio spirituale, impregnato di quei valori che hanno dato un volto cristiano alle vostre famiglie e perfino al vostro territorio. Altro punto-forza della vostra realtà è il cammino di comunione che, sotto la guida dell’unico sacerdote, stanno perseguendo le due antiche parrocchie di origine. Al riguardo non posso che confermare il senso e la direzione di tale cammino e raccomandarne una sempre più decisa accelerazio-ne, visto anche il futuro prossimo che ci attende nella diocesi, con il progressivo allargamento della forbice tra il numero degli abitanti che tende ad aumentare e quello dei sacerdoti che continua a diminuire.

Visita pastorale a San Fortunato

Prot. VFL2011/34 Rimini, 31 maggio 2011

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Visita Pastorale

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Riprendendo il racconto della visita, non posso non richiamare il pomeriggio del 18 febbraio, con la visita ai malati, in casa, e la celebrazione della Messa nella RSA degli anziani. Mi pare di cogliere anche in questa direzione il tuo im-pegno a curare relazioni profonde, aperte all’ascolto, per orientare le persone alla ricerca della verità e alla testimonianza della carità. Altro punto di forza del tuo ministero di parroco è il rapporto con le famiglie, sia con la visita annuale per la benedizione pasquale, sia offrendo occasioni di incontro tra i parrocchiani con le feste tradizionali, come quella di s. Lorenzo il 10 agosto, di san Fortunato la prima domenica di ottobre e quella della Madonna e delle famiglie l’ultima domenica di maggio.

Ritornando all’impegno culturale, esprimo il convinto apprezzamento sia per la creazione del Centro culturale di spiritualità monastica ‘Benedetto e Scolasti-ca’, sia per la promozione dell’Accademia di Scolca, come pure per l’apertura del Museo, dove si raccolgono i molti oggetti di valore storico e artistico, che fanno della vostra antica abbazia uno scrigno prezioso e attraente. Ma è soprattutto la cura della liturgia l’anima che voi avete colto dall’eredità della spiritualità bene-dettina. Come non incoraggiarvi a continuare nel dar vita a celebrazioni dignito-se, semplici e belle, partecipate e coinvolgenti, efficaci e fruttuose?

Prima di concludere con alcune indicazioni sintetiche, vorrei affrontare bre-vemente due questioni aperte, che mi avete presentato. La prima riguarda l’as-setto pastorale di tutta la zona di Covignano, che attualmente comprende, oltre la vostra, la parrocchia di s. Aquilina e di Dogana. Al riguardo dovremo attendere i risultati del lavoro di una apposita Commissione – da me recentemente costitu-ita - che entro un anno dovrà proporre al Consiglio Presbiterale un piano di ride-finizione della presenza delle parrocchie su tutto il territorio diocesano. Ritengo comunque urgente aprire e intensificare un cammino di collaborazione tra par-rocchie viciniori, che vada nella direzione della cosiddetta “pastorale integrata”.

L’altra questione riguarda la chiesa di san Lorenzo. Per riaprire il cantiere sarà indispensabile assicurarsi preventivamente della copertura finanziaria dell'inter-vento, con il coordinamento dei lavori da parte dell’Economato diocesano. Ci auguriamo pertanto di poter riaprire la chiesa in tempi brevi, stando però ben attenti a che la gente non si illuda circa l’eventuale riapertura della parrocchia.

Vengo in breve ad alcune indicazioni conclusive. Come vi dicevo nella cele-brazione finale, occorre camminare secondo tre direzioni convergenti e recipro-camente interagenti. La prima è quella della nuova evangelizzazione: c’è urgente bisogno di sollecitare e accompagnare i nostri fedeli nel rifondare la fede in modo da poterne dare una testimonianza convinta e convincente. Secondo, è indispensabile favorire la spiritualità di comunione, perché il Signore non ci salva individualmente, ma insieme con i fratelli, facendo di noi un popolo che, anche se ha la dimensione di un “piccolo gregge”, costituisce però un segno attrattivo che deve mostrare a tutti la bellezza e la concreta vivibilità del Vangelo. La terza costituisce una sintesi tra queste due direttrici di marcia, e riguarda la domenica, cuore e vertice della vita parrocchiale, ma anche sorgente di slancio missionario, che prende forma solo in una celebrazione dell’Eucaristia, curata secondo verità e bellezza.

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Ora vi benedico, come mi avete chiesto, con la formula che mi è più cara:Che il Signore sia davanti a voi per guidarvi, dietro a voi per difendervi, ac-

canto a voi per accompagnarvi, sostenervi e consolarvi.Che il Signore vi mostri il suo volto e vi dia pace, e faccia di voi uno strumen-

to della sua pace.Che il Signore vi illumini, vi protegga e vi benedica

______________________________Al Rev. Sac. Don RENZO ROSSIe alle Comunità Parrocchiali di san Fortunato e san Lorenzo a Montevia Covignano 25747923 RIMINI - RN

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Visita Pastorale

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Carissimo Don Antonio,della visita pastorale condotta nella vostra parrocchia - iniziata il 28 febbra-

io e conclusa il 7 marzo del 2011 - mi resterà a lungo inciso nel cuore il ricor-do del primo impatto: l'atmosfera creata dall'intenso raccoglimento dei molti partecipanti che assiepavano la vostra bella chiesetta, con quel segno dell'uva e degli acini distribuiti a ognuno dei presenti dicevano in modo plastico una immagine di comunità cristiana, raccolta attorno al Signore risorto, consapevo-le della sua missione, unita nel legame forte della carità. Il segno del grappolo d'uva rimandava alla parola di Gesù: "Io sono la vite, voi i tralci", ma anche alla pagina indimenticabile di quel gioiello della letteratura cristiana del I secolo: "Come questi acini....

Questa immagine di Chiesa mi si è ampiamente confermata negli altri mo-menti della visita pastorale, in particolare nella s. Messa vespertina del sabato 5 marzo u.s., e nel pomeriggio del successivo lunedì 7, nell'incontro dedicato al catechismo dei bambini e dei ragazzi, con i loro genitori.

E' dal lontano 1951 che tu, caro Don Antonio, stai donando la tua vita al Signore per questa piccola e vivace comunità parrocchiale, che attualmente assomma a circa 700 abitanti. Fin dall'inizio hai proposto e condiviso il tuo programma pastorale: fare della parrocchia una sola famiglia. Per l'attuazione di questo programma, di autentica marca "conciliare", tu ti sei fatto - e continui a farti! - tutto a tutti, senza risparmiarti in nessun campo, vivendo in povertà e in perfetta letizia. Al vederti sempre così mite e allegro, viene da chiedersi se mai ti hanno visto teso, inquieto o arrabbiato.

Purtroppo anche la vostra parrocchia è stata investita dalle correnti gelide dell'indifferentismo e del relativismo, come si nota anche nel calo della fre-quenza alla Messa domenicale e ai sacramenti. Certo, piange il cuore al vedere che anche le tue trovate geniali per favorire la partecipazione dei lontani e degli anziani ai vari momenti celebrativi - come, ad esempio il "giro del pullmino" - non trovano più la generosa condivisione dei primi tempi.

Ma tu non ti sei mai arreso: hai continuato a fare il parroco di tutti, senza scoraggiarti, anzi con una "grinta" che ha dell'invidiabile. Così sono rimaste sal-de Le attività pastorali, quali il catechismo, che raccoglie i bambini dalla prima elementare alla seconda media, ed è aperto alla partecipazione dei ragazzi che vengono dalle parrocchie limitrofe e che frequentano i plessi scolastici del cir-condario. Ma non vi limitate al catechismo dell'infanzia, tant'è vero che da una decina d'anni avete avviato il cammino del dopo cresima e così avete in parroc-

Visita pastorale a Santa Aquilina

Prot. VFL2011/35 Rimini, 31 maggio 2011

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chia un gruppetto di giovani che si prestano a fare da educatori agli adolescenti e curano per loro il campeggio estivo e i momenti ricreativi che si svolgono in parrocchia per i ragazzi.

Un altro bel segno di proiezione missionaria sul territorio è costituito dai centri di ascolto del vangelo, che si svolgono nelle case. Ma il centro della vita della comunità cristiana è l'Eucaristia domenicale, debitamente curata con il canto e con il coinvolgimento di tutta l'assemblea, in particolare dei bambini e dei loro genitori.

Resta che il dono più prezioso per la vita della parrocchia è senz'altro la presenza positiva e rasserenante del sacerdote, per il quale preghiamo il Signo-re che voglia dargli ancora vita e salute, in modo da assicurare alla comunità il conforto della santa Eucaristia e il sostegno alla vita di fede e di carità di tutti i fedeli.

Al termine della visita sentivo il cuore grosso per una domanda che si perce-piva nell'aria: che ne sarà di questa parrocchia, quando il Signore dovrà invitare Don Antonio a godere il più che meritato riposo e gli dirà: "Vieni, servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore"? In effetti è già venuto il tempo in cui non è più possibile assicurare ad ogni parrocchia, come la vostra, un sacerdote a tempo pieno, e quindi sarà necessario integrare le piccole comunità attuali in una più grande. Ma sarà indispensabile aiutare le stesse comunità non ad annullarsi, ma a convergere sulla strada della comunione, in modo che al rischio della frammentazione non si risponda con quello opposto della massificazione.

Nel frattempo vi incoraggio ad aprirvi alle parrocchie vicine, cominciando a condividere risorse e servizi, come già fate lodevolmente nell'ambito del ca-techismo.

Caro Don Antonio, permettimi di rinnovarti la mia sincera ammirazione per l'esempio di dedizione apostolica che continui a dare a me e a tutto il nostro presbiterio. Che il Signore ti mantenga a lungo e ancora per molto ci dia di go-dere della tua bontà, della tua grande fede e del tuo sorriso!

A te, ai Membri del Consiglio Pastorale e a tutti i cari Fedeli, un cordiale saluto di pace e una grande benedizione

______________________________Al Rev. Sac. Don ANTONIO CICCHETTIe alla Comunità Parrocchiale dei santi Cristoforo e Aquilinavia Montechiaro 2347923 S.AQUILINA di RIMINI - RN

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Visita Pastorale

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Carissimo Don Mirko,Carissimi Fedeli della Parrocchia di Spadarolo e Vergiano,

nel mio block-notes di appunti e impressioni sulla visita pastorale, a con-clusione di quella che si è svolta nella vostra comunità dal 9 al 12 febbraio 2011, leggo questa annotazione veloce: "La direzione è giusta, ma si deve - e si può! - accelerare il passo". Il titolo del rispettivo articolo del Ponte - "Verso un'unica comunità" - mi aiuta a ricordare: dieci anni fa le vostre due parrocchie furono affidate alla cura pastorale di un unico parroco, nella persona di Don Giampaolo Bernabini. Da allora è partito un cammino di progressiva unificazio-ne della attività e dei servizi pastorali. E una tappa significativa si è registrata di recente con la costituzione del nuovo Consiglio pastorale unitario. Dunque siamo sulla rotta giusta, ma ora occorre imprimere al cammino una accelera-zione decisa.

Prima di ritornare su questo punto, vorrei anzitutto ripercorrere brevemen-te il filo degli eventi che hanno segnato l'agenda di quelle giornate. Dopo l'as-semblea di apertura, celebrata la prima sera, all'indomani insieme a Don Mirko abbiamo fatto un giro in macchina a visitare alcuni laboratori come quello dei fratelli liutai, e alcune aziende come la "Fabbri" per l'allevamento cavalli, o il Podere dell'Angelo. Ho trovato la cosa molto interessante, poiché mi ha dato modo di vedere da vicino come lo sviluppo dell'industria e dell'artigianato ab-biano cambiato il volto e i ritmi di questa che è senz'altro tra le più incantevoli dell'entroterra riminese. Una volta santa Maria di Spadarolo e santa Maria della Neve di Vergiano erano due piccole parrocchie rurali che vegliavano la campa-gna dei dintorni e scandivano i ritmi della vita dei contadini con il suono delle campane. Oggi non è più così: la popolazione è aumentata - Spadarolo conta intorno ai 2 mila abitanti e Vergiano 1600 circa - e l'attività prevalente non è più quella agricola. Eppure si respirano ancora nell'aria tanti di quei valori che hanno impregnato la cultura contadina di un tempo: l'attaccamento alla famiglia, la persistenza del sentimento religioso, la vitalità di tradizioni e feste antichissime, come ad esempio la processione con l'immagine miracolosa del Crocifisso, che si svolge a Vergiano da più di 500 anni. Insomma questo primo giro m ha dato modo non solo di contemplare lo splendido paesaggio, ma di cogliere la cornice geografica del territorio e ancor di più l'habitat socio-culturale della popolazione che vi abita.

Visita pastorale a Spadarolo e Vergiano

Prot. VFL2011/36 Rimini, 5 giugno 2011

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Atti del Vescovo

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Il pomeriggio, nell'incontro con i catechisti/e del Buon Pastore insieme agli educatori dell'ACg e dell'ACr, si è sviluppato un vivace confronto tra i due metodi educativi. Siamo arrivati alla conclusione che, prima del metodo, viene la fede del catechista-educatore, il quale, prima di essere tale, è un testimone. Pertanto i due metodi non vanno né confusi né contrapposti, ma debbono sapientemente e pazientemente integrati.

Alla sera del secondo giorno si è avuto l'incontro con il Consiglio pasto-rale unificato. Ho avuto modo di richiamare il fine di un tale organismo (la comunione e il discernimento) e lo spirito: essere uniti a priori nell'essenziale , ma essere anche capaci di convergere nell'opinabile, come ricorda la Novo Millennio Ineunte, al n. 45. A seguito di queste premesse ho consigliato alcuni passi possibili, tra cui vorrei richiamarne due: unificare i comitati per le feste patronali, in modo d collaborare insieme, indipendentemente che la festa sia di Spadarolo o di Vergiano. Secondo, unificare i consigli economici, pur man-tenendo le amministrazioni distinte. Su questo punto vorrei spendere qualche altra parola. E' importante che, senza attendere troppo tempo, anzi quanto prima si arrivi anche ad una comunione economica: infatti se la comunione di spirito senza quella di cassa rischia di rimanere vaga e astratta - come un'a-nima senza il corpo - la comunione di cassa senza quella di spirito rischia di essere come un corpo senza l'anima. Non è questo l'esempio insuperabile che ci viene dalla comunità cristiana dopo la Pentecoste, dove vigeva lo spirito e la legge del "tutto in comune"?

La mattina dell'11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes, l'abbiamo de-dicata alla visita ai malati, mentre alla sera abbiamo incontrato i giovanissimi e i giovani di Azione Cattolica. Si tratta di un gruppo unitario che riunisce giovani delle altre parrocchie, così pure avviene per il gruppo delle famiglie e quello bi-blico. Queste realtà trasversali alle due zone fanno un prezioso lavoro di cucitu-ra e aiutano tutti ad immunizzarsi dal virus fatale del campanilismo. In questo senso rende un bel servizio anche il coro unico, che risulta composto da mem-bri di Vergiano e di Spadarolo: si può essere certi che se si canta insieme, non si litiga, ma anzi si offre la testimonianza più credibile all'unico Spirito, all'unica fede e all'unico battesimo. Apprezzabile anche la testimonianza e il servizio reso dalla Caritas interparrocchiale - Spadarolo-Vergiano-Padulli -, come pure le attività estive in comune con s. Domenico Savio e il pellegrinaggio unitario al santuario delle Grazie: chissà che non sia questa la strada per sopperire alla situazione che certamente si creerà quando non sarà più possibile assicurare un prete ad ogni parrocchia?

Ora mi avvio alla conclusione, riprendendo lo spunto iniziale: "verso un'u-nica comunità". Carissimi, vi supplico di collaborare attivamente perché quei semi di unità che il carissimo don Giampaolo ha sparso con tanta generosità e determinazione e che don Mirko sta coltivando con altrettanta passione e impegno, possano portare frutto per il bene vostro e di tutta la nostra Chie-sa diocesana. Prego perché arrivi il giorno in cui "tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Gal 3,28). Le due belle chiese saranno allora non il segno della vostra divisione, ma quello della vostra comunione. Saranno come due fuochi di una unica ellissi; come due polmoni ma con un solo cuore.

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Visita Pastorale

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Che il Signore vi benedica e vi sostenga, e che la sua e nostra Madre vi sorrida e vi accompagni

______________________________Al Rev. Sac. Don MIRKO VANDIe alla Comunità Parrocchiale di Spadarolo e Vergianovia Montefiorino 1347923 Vergiano di RIMINI - RN

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Caro Don Giuseppe,ti confido che, quando termina una visita pastorale ad una parrocchia come

la vostra, mi affiora nell’animo una domanda: cosa mi resterà di questa visita tra qualche tempo? Bene, a distanza di pochi mesi vengo a dire a te e ai tuoi carissimi fedeli quanto, con gioia intima e grata, mi risuona ancora nel cuore.

Innanzitutto il dono della tua amicizia. Non si tratta affatto di cosa da poco tra il vescovo e un suo prete, coetaneo di anni di vita e di ministero presbite-rale. In effetti in questo 2011 compiamo ambedue 40 anni tondi di sacerdozio, e il grazie che cantiamo al Signore per un dono tanto stupefacente si declina in preghiera condivisa perché riusciamo ad essere fedeli all'amore del "Pastore bello", come quel giorno dell'ordinazione di tanti anni fa, fino a quando inizierà anche per noi il sabato senza tramonto. Tu hai dichiarato - e anch'io ti ho sentito ripetere spesso - "Non potrei pensare per me un'altra strada, se non quella del prete. Ne sono certo e ne sono contento". Auguriamoci a vicenda e preghiamo perché la luce di questa certezza e l'intima letizia del cuore non si spengano mai nella nostra vita.

Nei giorni della visita pastorale - svoltasi nella vostra parrocchia dal 7 al 12 marzo 2011 - ho potuto godere anche dell'amicizia fraterna che lega te e don Paolo Lelli, con l'esperienza - ormai felicemente collaudata da tre anni - del dono di abitare insieme. Si realizza così la profezia del Signore Gesù che ha detto: "Dove sono due o tre, riuniti nel mio nome, là sono Io in mezzo a loro".

Passo ora alla parrocchia a te affidata. Conta attualmente 800 famiglie, per un totale di circa 2300 abitanti. Si registra anche da voi un forte bisogno di compagnia tra persone, famiglie e gruppi. E la parrocchia diventa luogo di in-contro, di dialogo fraterno e di scambio amichevole. I momenti più intensi sono il sabato per il catechismo e la domenica per la Messa.

Il catechismo non è soltanto incontro, ma anche gioco. Gli spazi non vi mancano, e quindi vi è possibile vivere nei confronti dei ragazzi il saggio princi-pio pedagogico di Don Bosco: "Rendere contenti quelli che si vogliono rendere buoni". Oggi forse quel grande educatore direbbe: "... quelli che si vogliono ren-dere credenti" "digiuni" di fede. In effetti sempre più spesso bambini e ragazzi vengono al catechismo. Anche se battezzati, arrivano come dei piccoli "pagani". E' importante allora accendere nel loro cuore la scintilla della nuova evange-lizzazione: farli innamorare di Gesù e, attraverso di loro, rinnovare la proposta della fede ai genitori.

Per questa "strategia pastorale", il parroco ha bisogno di un gruppo di adul-

Visita pastorale a S.Ermete

VFL2011/37Rimini, 5 giugno 2011

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Visita Pastorale

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ti, che abbiano riscoperto la bellezza della fede cristiana, la vivono con passione e - se è consentito un termine sportivo - con "grinta". Ma è proprio quanto ho trovato a s. Ermete: un gruppo di adulti che segue la catechesi chiamata "scuola di comunità". Quest'anno avete lanciato una nuova offerta, rivolta a tutti i ge-nitori del catechismo: un momento mensile, seguendo il percorso del Catechi-smo della Chiesa cattolica. Mi sembra che questa strada vada perseguita con convinzione, con inoltre impegno determinato e fedeltà tenace. E i frutti non mancheranno.

Altro forte momento della vita della comunità cristiana è la Messa dome-nicale: è il momento culminante. La Messa è il cuore della domenica e la do-menica è il cuore della settimana. E' vero che non tutti i fedeli vi partecipano, ma il fatto che quelli che vi partecipano lo facciano con intima convinzione e in un'atmosfera di fede lieta e matura - e che siano in aumento! - questo sta a dire che al centro della comunità e insieme al parroco c'è un nucleo di cristiani motivati e coinvolti che sanno rendere ragione della speranza che li abita.

Un'esperienza impegnativa, che tu porti avanti con la determinazione di chi la considera del tutto irrinunciabile, è la benedizione alle famiglie, casa per casa. Condivido pienamente quanto affermi: la visita alle famiglie è un modo per dire a tutti, soprattutto ai lontani: "Gesù c'è, si interessa di te/voi, e la Chiesa ti/vi è vicina". Insomma è la via della amicizia, quella che marca il tuo stile di fare il parroco. Del resto, non è quello che faceva Gesù con le sue frequentazio-ni di pubblicani e pubblici peccatori? E non ci ha detto il beato Giovanni Paolo II che l'uomo è la via della Chiesa? Dunque, aprire il cuore a tutti, a cominciare dai cosiddetti o sedicenti "lontani", e poi aspettare, perché il tempo del germoglio lo conosce solo il Signore.

Due realtà positive e in crescita che mi hanno allargato il cuore sono state la "casa dei nonni" e la casa di accoglienza per disabili delle Maestre Pie. Sono due segnali di carità, che prima o poi feriscono il cuore dei "lontani" e pungola-no tutta la comunità ad attestarsi sulle frontiere più remote, dove non possia-mo assolutamente renderci latitanti. Vorrei anche rimarcare il valore aggiunto della piccola, ma vivace comunità delle Maestre Pie: una parrocchia che può godere ancora del carisma della vita consacrata di sorelle che rinunciano a tutto per seguire e servire Cristo povero nei fratelli poveri risulta un segno che non ha finito di "parlare" al cuore delle nostre comunità, spesso troppo indaffarate, e ad una società sonnolenta e distratta.

Vorrei ora condividere con te alcune ragioni di speranza, riguardo al cammi-no della vostra bella comunità.

La prima riguarda il clima che si respira da voi. Il clima di una comunità non è cosa marginale e accessoria. E' la ragione per la quale una comunità si rende attraente e abitabile. Ecco, io spero che questa aria fresca di umanità sincera e "sanguigna" esca a ondate, a correnti dal centro della parrocchia, raggiunga il maggior numero possibile di persone che cercano Dio, forse senza neanche rendersene conto, e le aiuti ad entrare in contatto con la comunità per potere così incontrare un Gesù vivo e vero.

La seconda ragione di speranza mi viene da quel germoglio di ragazzi del dopo-Cresima che ho incontrato da voi. E' vero: si tratta di un piccolo gruppo,

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ma ho letto nei loro occhi la voglia di conoscere Gesù più da vicino e di speri-mentare la maternità di una Chiesa fatta di persone vere e incontrabili. Mi piace quando affermi: "Se il Signore mi ha dato questi ragazzi, è con loro che devo fare i conti, perché è prima di tutto a loro che vuole farsi conoscere attraverso di me". Forza, caro Don Giuseppe, continua a seminare, e lascia che il Signore faccia crescere e fruttificare. Del resto il suo braccio non si è accorciato...

Una terza ragione è la tua convinzione di non mettere in opposizione par-rocchia e movimenti. A tutti è noto quanto affermai all'assemblea del 12 otto-bre 2008, e che ripeto spesso: "Né la parrocchia né le associazioni e i movimen-ti devono cadere nella 'trappola' delle esclusioni vicendevoli o delle pericolose alternative, ma collaborino cordialmente per una apertura reciproca e per un impegno condiviso a favore della 'svolta missionaria' della parrocchia". Mi do-mando allora se non sia maturo il tempo per 'aprire' anche alle buone offerte formative dell'Azione Cattolica o dell'Agesci o di altre aggregazioni ecclesiali.

Inoltre - è la quarta ragione che mi fa sperare in un cammino positivo del-la comunità di s. Ermete - è l'aver percepito ormai mature le premesse e le condizioni per costituire un vero Consiglio Pastorale. Si tratta di un organismo tutt'altro che superfluo, che può svolgere un efficace servizio come lievito di comunione, vivamente raccomandato dal Papa e dai Vescovi, e che dove è vivo e attivo, rende più viva e vivace tutta la comunità.

Un'ultima ragione, ma forse avrei dovuta elencarla al primo posto - è il tuo sacerdozio, vissuto con serenità e interiore appagamento. E' la prima testimo-nianza che un prete deve dare, e tu la stai dando, senza importela, con una naturalezza che mi fa sognare in grande. Sì, sogno che una scintilla del fuoco d'amore per il Signore che ti brucia in cuore, possa avere una positiva ricaduta nel cuore di qualcuno dei tuoi giovani, che arrivi a consegnarsi senza riserve a Gesù per seguirlo sulla strada del sacerdozio. Non sarebbe il regalo più bello per te e per la nostra diocesi?

Infine vi rilancio il mio ultimo messaggio che vi consegnai alla s. Messa di chiusura, e che vi proposi con la formula: Conversione + Comunione = Missio-ne. Non c'è bisogno che torni a spiegarla, perché l'ho ricavata dal vostro cammi-no in corso, un cammino che vi auguro possa continuare in avanti, verso l'ideale di una comunità parrocchiale viva, bella, forte.

Buon cammino, dunque, caro Don Giuseppe. E che Maria ti sorrida e ti ac-compagni, insieme a tutta la carissima comunità di s. Ermete.

Continuate a ricordarmi al Signore, come faccio anch'io tutti i giorni.Con una grande benedizione e un forte abbraccio

______________________________Al Rev. Sac. Don GIUSEPPE MAIOLIe alla Comunità Parrocchiale di s. Ermetevia Casale 122047822 S.Ermete di SANTARCANGELO - RN

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Visita Pastorale

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Caro don Paolo,dal 13 al 19 marzo 2011 si è tenuta la visita pastorale presso la tua parroc-

chia di s. Martino dei Molini. Non c'è che dire: è stata un'esperienza positiva, consolante e, spero, anche corroborante, per te, per i collaboratori e per tutti i fedeli a te affidati. Vengo ora a rileggere quelle giornate, nella convinzione che il farne memoria lieta e grata vi confermi nella bontà della strada intrapresa e vi slanci in quella che il Signore vi apre davanti.

Abbiamo incominciato la visita, come al solito, con la veglia di apertura, la sera del 13 marzo scorso. Ho ancora davanti ai miei occhi un'assemblea par-tecipe, raccolta e molto concentrata, che sembrava non volesse perdersi una parola di quanto andava ascoltando. Nel mio intervento ho tentato di scolpire il profilo di una comunità cristiana, seguendo il tracciato: "1. l'evento (il fuoco della Parola); 2. il sacramento (il pane dell'Eucaristia); 3. il comandamento (la strada della Carità)". Poi tu, nella relazione sullo stato della parrocchia, ci hai presentato i tratti più marcati del suo volto. Ci hai aperto una finestra sul panorama della vita parrocchiale, che poi nei giorni successivi ho avuto modo di esplorare da vicino. Riprendo perciò il filo del racconto degli eventi in pro-gramma.

Intanto vorrei ricordare l'incontro con il Consiglio pastorale parrocchiale e con il Consiglio per gli affari economici. Ho respirato un clima sereno e costrut-tivo, e ho apprezzato molto la tua richiesta di comprensione per i limiti che, con tutta la nostra buona volontà, segnano immancabilmente il nostro dire e il nostro agire.

Ho avuto modo di registrare anche le belle espressioni di affetto nei tuoi confronti, da parte di anziani e malati. Ma è stato soprattutto l'incontro con quella trentina di giovani che mi ha aperto il cuore alla speranza. Ho riscontra-to nei più grandi la voglia di spendersi per aiutare i più giovani nel seguire un cammino di fede e di vita ecclesiale.

Un altro momento forte è stata l'assemblea parrocchiale, con il salone sti-pato di gente, e con quella presentazione panoramica delle varie realtà presen-ti in parrocchia: la Caritas, che meriterebbe di essere promossa e consolidata, possibilmente costituendo un centro di ascolto; la squadra dei "messaggeri", che recapitano nelle case il foglio parrocchiale degli avvisi e fanno un po' da antenne "ricetrasmittenti" tra le famiglie e il centro pastorale; il gruppetto dei ministri della Comunione eucaristica, che mi auguro possa essere incrementa-to da altre figure ministeriali, come lettori e accoliti; il piccolo nucleo di CL, che

Visita pastorale a S. Martino dei Molini

Prot. VFL2011/38Rimini, 5 giugno 2011

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potrebbe essere affiancato, a Dio piacendo, anche da qualche altra aggregazio-ne ecclesiale, come l'Azione Cattolica e l'Agesci; il club "Araba Fenice" che or-ganizza la vivace e seguitissima Festa delle contrade; il gruppo Teatro, nato nei lontanissimi anni '50, e ancora vivo e vegeto, che invito caldamente a misurarsi con testi ben più nutrienti di certa letteratura dialettale e a mettere in scena qualche bel dramma di autori cattolici; i CAV (centri di ascolto del vangelo) che seguono nei tempi forti le schede del centro diocesano.

In quella assemblea ho posto una domanda che ritengo decisiva: cosa pensa Gesù della vostra comunità? Sintetizzando le risposte e integrando con qualche mio pensiero, mi sembra si possa rispondere così. Gesù vi chiede di rafforzare il vincolo della vostra comunione, nel segno di "Mille voci, un solo coro". Ma questo suppone un impegno più radicale di conversione e di forma-zione nel nucleo portante della comunità: quel gruppo di fedeli e di collabora-tori, chiamati a fare da lievito per la crescita di tutta la comunità cristiana. Con-cludevo quelle considerazioni con queste parole: l'ideale di una vera comunità cristiana si può riassumere in questa espressione: una cellula viva di Chiesa quale deve essere la parrocchia è "Gesù con noi per il mondo". Se manca uno di questi travi portanti, la parrocchia non sta in piedi e non va avanti.

Nella s. Messa conclusiva, sulla traccia della 2.a Domenica di Quaresi-ma, dicevo nell'omelia che la vita di una comunità cristiana si può raffigurare nell'immagine di un pellegrinaggio - come è avvenuto per Gesù - verso la Geru-salemme celeste. La metafora del pellegrinaggio mi pare che esprima bene gli elementi fondamentali di una esperienza di Chiesa. Dice infatti di un popolo in cammino: il popolo di Dio in marcia verso la terra della libertà e della piena comunione (il regno di Dio). Dice il punto di partenza: il fonte battesimale; e il traguardo finale: la casa del Padre. Ma dice soprattutto la presenza di Gesù come Pastore, Maestro e Salvatore, il quale si rende presente nel papa e nei vescovi, e si nasconde nei poveri e nei tanti cercatori di Dio, anche quelli in-consapevoli.

La cena comunitaria partecipata da tantissimi fratelli e sorelle ha siglato alla grande una visita incominciata in modo lusinghiero e promettente.

Caro Don Paolo, nella dichiarazione al Ponte hai affermato: "Ho cercato di mettere al centro di ogni mia attività l'amore a Cristo e alla sua Chiesa decli-nandolo in ogni ambito della pastorale. Sono convinto che lo Spirito Santo sia continuamente all'opera e a me è chiesto di riconoscere quello che Lui compie sia attraverso di me sia indipendentemente da me". Chiedo al Signore di con-fermarti in questo atteggiamento e di aiutarti a spenderti con gioia e grande entusiasmo per la santificazione della comunità e per la nuova evangelizzazio-ne soprattutto degli adulti e dei giovani.

Non posso terminare questa lettera senza spendere due parole sulla vita fraterna che state conducendo con don Giuseppe Maioli. Ho avuto modo anch'io di goderne nei giorni della visita pastorale. Mentre vi benedico, vi in-coraggio a integrare anche alcuni ambiti della pastorale, in particolare quello delle famiglie e dei giovani. Ciò aiuterà i fedeli delle due comunità a converge-re progressivamente, anche perché è facile prevedere che in un futuro non lon-tano non si potrà disporre di più che un sacerdote per ambedue le parrocchie.

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Ora ti saluto rinnovandoti cordiale gratitudine per la squisita ospitalità ri-servatami, mentre ti confermo stima sincera e ti esprimo un forte incoraggia-mento per il tuo ministero.

Una grande benedizione a te e a tutti

______________________________Al Rev. Sac. Don PAOLO LELLIe alla Comunità Parrocchiale di s. Martino dei Molinivia Tomba 17647822 S.Martino dei Molini - RN

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Carissimo Don NicolaCarissimi tutti,vi scrivo alla sera della festa dell'Ascensione. Lo sappiamo: l'esaltazione-

elevazione di Gesù al cielo non è un'appendice della Pasqua, ma il suo felice compimento. Risorgendo e salendo al Padre, Gesù effonde il suo Spirito: nasce la Chiesa, inizia la missione. Nel vangelo secondo Marco, si legge che dopo l'in-tronizzazione del Risorto alla destra del Padre, i discepoli "partirono e annun-ciarono dappertutto il cherigma, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la Parola con i segni che l'accompagnavano" (Mc 16,20). Da questo versetto prendo a prestito la chiave di lettura per provare a scolpire il volto della vostra comunità parrocchiale, così come mi si è presentata nei giorni dal 21 al 26 marzo 2011, in occasione della visita pastorale.

Come la Chiesa del Risorto nasce per evangelizzare, così è per evangelizza-re che esiste una comunità cristiana, come la vostra. Sì, "evangelizzazione" pen-so che sia la parola programmatica e sintetica per raccontare la vostra storia. "Uno degli obiettivi del mio ministero di parroco - hai dichiarato tu, caro Don Nicola - è proprio quello di portare la parrocchia da una pastorale dei sacra-menti a una pastorale di evangelizzazione". Il punto di partenza è il battesimo, preparato, celebrato e vissuto come grazia e tempo opportuno (= gr. kairòs) per far riscoprire ai genitori il loro battesimo e le loro responsabilità educative. Dunque, prima del sacramento, c'è la fede, e quindi la conversione. "Ma come si potrà credere nel Signore risorto, se prima non c'è nessuno che lo annuncia?", direbbe s. Paolo (cfr Rm 10,14s). E il Concilio Vaticano II vi fa eco quando affer-ma: "Prima che gli uomini possano accedere alla divina liturgia, è necessario che siano chiamati alla fede e si convertano" (SC 9).

Un grande impulso al passaggio da una pastorale tradizionale a una pasto-rale di evangelizzazione è venuto dal Cammino Neocatecumenale. In parroc-chia sono suddivisi in otto comunità di una quarantina di persone ciascuna. Il Cammino è un aiuto offerto a tutti per riscoprire la bellezza e la vivibilità del battesimo e della nuova vita che ne scaturisce. Concretamente è un metodo per lasciarsi (ri)evangelizzare per diventare poi cristiani missionari, chiamati e mandati a (ri)evangelizzare.

Ho avuto modo di incontrare le varie comunità presenti in parrocchia la sera del 23 marzo: è stata un'assemblea partecipata da tantissimi adulti e giova-ni, di cui una quarantina di fratelli e sorelle di Corpolò, e tutti gli altri provenienti da altre parrocchie. Ho ascoltato diversi racconti di conversione e di ritorno alla

Visita pastorale a Corpolò

Prot. VFL2011/39Rimini, 5 giugno 2011

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Visita Pastorale

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fede, e mi ha colpito vedere persone incamminate verso la grande meta della vita cristiana: camminare nella lode grata e gratuita al Signore. Come non bene-dire tanta ricchezza di fede vissuta, celebrata e testimoniata? E' indispensabile tuttavia che si preghi e si operi per il dono dell'unità tra i credenti: infatti, perché cresca in modo armonico e sereno l'unica comunità parrocchiale occorre che il parroco sia il perno visibile della comunione tra tutti i fedeli e che ci sia da parte di tutti i membri della comunità parrocchiale - a cominciare dai collaboratori più stretti - l'unica competizione ammessa nella Chiesa: la gara nello stimarsi a vicenda (cfr Rm 12,10).

Un altro momento vivace e intenso è stato l'incontro con gli Scouts del "Rimini 8", con un centinaio di ragazzi e giovani, che seguono l'intero itinerario dello scoutismo: dai Lupetti al Clan, passando per la comunità Capi. Ritengo che l'offerta educativa dell'Agesci sia quanto mai valida per aiutare i ragazzi a coltivare la loro umanità e ad innamorarsi di Gesù e della sua Chiesa. Ovvia-mente, come per ogni associazione o movimento, una grande responsabilità ce l'hanno gli educatori: se sono credenti credibili e coinvolgenti, se si comportano da persone mature, equilibrate e responsabili, il loro impegno formativo avrà una ricaduta positiva e assai efficace nei confronti dei più giovani. Per questo è indispensabile il tipico servizio, assicurato dal presbitero parroco, come ho visto che tu fai con passione e con fedele, instancabile dedizione.

Della visita pastorale mi porto nel cuore anche un caleidoscopio di vivaci, incancellabili fotogrammi, come la celebrazione della Parola, all'inizio della vi-sita, la celebrazione del sacramento della riconciliazione e della affollatissima e tanto partecipata e raccolta eucaristia conclusiva. Un altro momento prezioso è stata anche la riunione di tutti gli operatori pastorali - oltre 100! - in cui anche chi svolge servizi che rimangono spesso più in ombra si è sentito valorizzato e coinvolto.

Molto consolante è stato anche l'incontro con i ragazzi del post-cresima. Sono rimasto favorevolmente impressionato non solo dal numero - sei gruppi per oltre una cinquantina di ragazzi! - ma anche dalla freschezza e dalla frizzan-te vivacità dei partecipanti. E il segreto di un risultato apostolico così rilevante è senz'altro la presenza di "padrini" catechisti-educatori, ben formati a una fede adulta e matura, capaci di mostrare una umanità trasfigurata dalla grazia.

Momenti ricchi e belli sono stati anche gli incontri con la casa-famiglia "Nonno Oreste", con le due squadre di calcio e le due di pallavolo dell'Associa-zione Sportiva, le visite all'asilo "Millepiedi", alla Casa per ragazze-madri, e al Centro socio-culturale degli anziani.

Prima di qualche indicazione, vorrei ritornare anche sulla simpatica cena tra vari collaboratori provenienti da s. Maria di Corpolò, da s. Cristina e s. Paolo, il 24 marzo sera. Era la prima volta che si faceva un'agape del genere, ma come non consigliarvi di farlo almeno una volta all'anno?

Così pure vi suggerirei di incontravi in un'assemblea pastorale annuale. Mi dite infatti che è "auspicabile una maggiore comunione e condivisione fra le varie realtà presenti in parrocchia". Al riguardo, non posso che confermare la bontà della vostra scelta di unificare il Consiglio Pastorale - pur lasciando an-cora distinti i rispettivi Consigli per gli affari economici. Mi sembrano decisioni

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molto sagge, ma, come dicevo, è importante proseguire il cammino sulla strada di una comunione affettiva ed effettiva sempre più stretta tra i tre nuclei di fedeli raggruppati rispettivamente attorno alle tre chiese presenti sul territorio parrocchiale. Ripeto: la comunione cresce attraverso incontri di conoscenza e di scambio, di preghiera e di fraternità, e così si supera il pericolo di tensioni particolaristiche, di assolutizzazioni improprie, e di corsa alle "prime file". Infatti, ripeto, l'unica gara consentita nella comunità cristiana è quella dello "stimarsi a vicenda", non solo tra persone, ma anche tra gruppi, associazioni, movimenti e altre aggregazioni ecclesiali. La lezione di Chiara Lubich è punto di non-ritorno: "Ama il gruppo del fratello come il tuo". E io, come Vescovo, mi faccio coraggio e aggiungo: "Ama la tua parrocchia più del tuo gruppo, la tua diocesi più della tua parrocchia, la Chiesa universale più della tua diocesi".

Mi avete anche rappresentato la difficoltà a raggiungere persone lontane dalla fede e dalla Chiesa e a coinvolgere le famiglie nella trasmissione della fede ai propri figli. Mi sembra che la strada l'abbiate imboccata: formare un nucleo di laici che siano disposti a "lasciarsi rievangelizzare per rievangelizzare altri". Il nucleo poi si allargherà ad altri, e così la parrocchia sarà costellata di vari "fuochi di evangelizzazione". Da voi, grazie allo Spirito Santo e alla intercessione della santa Madre di Dio, di s. Paolo e di s. Cristina, questa strada è già aperta e voi la state percorrendo con generosità, con umile gratitudine e gioia intensa.

Vi auguro di proseguire il cammino intrapreso e per questo vi assicuro la mia preghiera, accompagnata da una grande, affettuosa benedizione.

E da una caro saluto a tutti e a ciascuno

______________________________Al Rev. Sac. Don NICOLA SPADONIe alla Comunità Parrocchiale di Corpolòvia Belvedere 2947923 CORPOLO’ di RIMINI - RN

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Visita Pastorale

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Carissimo Don Probo,mi permetta anzitutto di significarle la mia gratitudine più sincera e cordiale

per l’esemplare dedizione con cui vive il suo ministero pastorale nella piccola comunità di s. Martino in XX, ormai da tanti anni e in una età così avanzata, ma anche tanto benedetta dal Signore con il dono di una buona salute e soprattut-to con quello ancora più stupefacente di ben quattro figli sacerdoti.

Nei giorni dal 24 al 26 febbraio 2011 si è svolta la visita pastorale alla vostra parrocchia, che, pur comprendendo un territorio alquanto esteso, attualmente ammonta a circa 350 abitanti. Come risulta dalla relazione sintetica, presentata nella veglia di apertura, la vostra piccola comunità si caratterizza per una mar-cata centralità data alla santa Eucaristia, con la celebrazione della Messa quo-tidiana e l’ampio spazio riservato all’adorazione del Ss.mo Sacramento. Come avviene nelle grandi parrocchie, anche da voi si assiste però a un fenomeno che si va facendo sempre più frequente e diffuso, e cioè che a fronte di un esi-guo numero di praticanti residenti nel territorio parrocchiale, i frequentatori più assidui provengono da altre comunità. Tale fenomeno si riscontra anche nella composizione del Gruppo di Preghiera “Padre Pio”, che è il gruppo più consi-stente e caratterizzato, che sia presente in parrocchia.

La vostra piccola comunità si avvale peraltro della generosa disponibilità di un gruppetto di “operatori pastorali”: due ministri straordinari della Comunione eucaristica, un lettore, due catechiste, e quattro membri del Consiglio Pasto-rale. Il Signore, poi, ha benedetto la comunità con il dono di una vocazione sacerdotale di un giovane seminarista appartenente a una delle vostre famiglie.

Encomiabile l’impegno che lei, come Amministratore Parrocchiale, investe nella visita annuale alle famiglie, nel periodo della Quaresima. Lodevole anche l’amorosa attenzione che i fedeli nutrono per l’edificio sacro. I maggiori inter-venti che risultano necessari riguardano l’area del presbiterio: è bene rimuovere le due statue, poste su due tronconi di colonna; inoltre sarebbe opportuno eliminare i due altari laterali, in modo da salvaguardare l’unità dell’altare e della mensa eucaristica. Ad ogni modo, per questo e per altri interventi, sarà neces-sario presentare un progetto alla Commissione Diocesana di Arte Sacra.

Ma l’aspetto più delicato che qui mi preme sottolineare riguarda il cammino prossimo futuro dalle vostra comunità. L’urgenza della nuova evangelizzazione - a cui ci ha richiamato il beato Giovanni Paolo II e continuamente ci stimola Benedetto XVI – la necessità di configurare in senso fortemente missionario il volto delle comunità parrocchiali, la situazione del nostro presbiterio dioce-

Visita pastorale a S. Martino in Venti

Prot. VFL2011/40Rimini, 5 giugno 2011

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sano, che - a fronte di una popolazione che continua ad aumentare e di una pastorale che si va facendo sempre più complessa e delicata - va numericamen-te diminuendo in modo inesorabile, impongono un profondo ripensamento dell’attuale organizzazione parrocchiale. Mentre le auguro di poter proseguire il servizio con immutata fedeltà e zelo pastorale, la prego caldamente di pre-parare la piccola comunità a confluire in una comunità più grande, secondo le possibilità che il Signore a suo tempo certamente non ci farà mancare.

Caro Don Probo, che il sommo ed eterno Sacerdote la benedica! Che Maria, sua e nostra Madre, le rivolga ogni giorno il suo dolcissimo sorriso!Che il santo Padre Pio la sostenga, l'accompagni e continui a farci godere

della sua benevola fraternità!

______________________________Al Rev. Sac. Don PROBO VACCARINIe alla Comunità Parrocchiale di s.Martino in XXvia San Martino in XX 1147923 RIMINI - RN

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Visita Pastorale

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Caro Don Daniele,la comunità dei Padulli è giovane, e si vede! E' giovane per la sua storia: la

parrocchia venne istituita nel 1975 e il centro pastorale venne inaugurato venti anni dopo. E' giovane per la popolazione: i primi insediamenti nel quartiere co-minciarono negli anni '70. E siccome a una comunità giovane ben si addice un patrono giovane, venne scelto s. Domenico Savio. Ma dall'anno scorso, ad in-crementare queste quote di giovinezza, è arrivato anche il parroco: tu non solo sei appena il quinto nella breve cronotassi dei parroci, ma sei giovane anche di età e di spirito. Però non sei ai primi passi, visto che ti ritrovi alla tua seconda esperienza di parrocchia, dopo aver guidato quella di Saludecio. Tra le due, è vero che a prima vista non ci potrebbe essere contrasto più marcato: quella di s. Biagio è una parrocchia millenaria, legata ad antiche tradizioni, con la cultura di un piccolo paese, con relazioni corte e fitte. Ai Padulli invece, mentre la trama sociale è ancora in gran parte da tessere, la comunità cristiana ha bisogno di crescere, di irrobustirsi e di maturare nelle due dimensioni fondamentali: quel-le della comunione e della missione. Ma l'una e l'altra comunità parrocchiale - come tutte, del resto, in questo nostro occidente stanco e sterile - sono state investite da fenomeni pervasivi - che portano il nome di secolarismo, individua-lismo, relativismo - insomma da correnti culturali che hanno minato alla base la "società cristiana".

Sta di fatto che al tuo primo impatto con la nuova realtà hai incontrato "gente con la voglia di fare e di costruirsi come comunità cristiana". Ecco la scin-tilla che avvia il cammino: la passione di ripartire da Cristo e di "fare comunità cristiana"; se questa scintilla non scocca, il fuoco non si accende, e la comunità non parte... Due sono dunque i fattori favorevoli e concomitanti, che possono sostenere la parrocchia in un autentico cammino di fede: da un lato la giovinez-za della popolazione, con la possibilità di costruirsi su basi nuove, alla misura dei tempi; dall'altro il tuo slancio giovanile, che ti fa interpretare il nuovo servizio come una nuova "avventura". Permettimi una parentesi che non vorrei risultas-se un po' pedante. Quest'ultima parola - avventura - non deve farci paura, dal momento che viene dal vocabolario cristiano, e sta ad indicare l'essere protesi "ad venturas (res)", verso gli eventi futuri, che si riassumono tutti nell'incontro con Colui-che-viene.

Cominciando il nuovo servizio pastorale ai Padulli, hai trovato realtà po-sitive e belle: il gruppo della Legio Mariae; il folto gruppo Scout del Rimini 6; il nutrito e vivace gruppo Anziani, aiutati dai volontari della Papa Giovanni; il

Visita pastorale a Padulli

Prot. VFL2011/41Rimini, 5 giugno 2011

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gruppo Famiglie che si incontrano mensilmente, ed altri ancora. Ho avuto modo di contattare questi gruppi, durante la visita pastorale che

si è svolta nei giorni dal 1 al 6 febbraio 2011. Mi ha fatto molto piacere intercet-tare anche quel piccolo "germoglio" del gruppetto dei giovanissimi del Biennio. Inoltre non posso che benedire la Caritas interparrocchiale Padulli-Vergiano-Spadarolo. Ho riscontrato molto intensa anche l'attività catechistica, con gruppi che vanno dalla seconda elementare alla seconda media.

All'inizio della visita pastorale, è risultata utile e opportuna l'assemblea ge-nerale di apertura, in cui queste varie realtà si sono presentate a vicenda: incon-tri del genere fanno bene a tutti, poiché favoriscono la conoscenza e la stima reciproca, e aiutano a "fare coro".

In sintesi, da tutto l'insieme mi pare che si possano individuare tre strade per proseguire il cammino.

La prima è quella della formazione. Ne sono sempre più convinto: il proble-ma numero uno delle nostre comunità non è di tipo pastorale, ma formativo, e dunque è un nodo di carattere spirituale e culturale. Di laici formati, adulti e maturi nella fede, ai nostri giorni ne abbiamo bisogno più del pane. Oggi la società secolarizzata sembra sempre più sorda al linguaggio delle Chiese, ma può essere scossa dal gesto e dalla parola di chi vive pienamente la radicali-tà evangelica nella condizione secolare della nostra epoca. Occorrono dunque cristiani che non si vergognino del Vangelo; che sappiano organizzare la casa e la giornata, che sappiano realizzare un rapporto libero con il denaro e il lavoro, i media e la vacanza, in modo che tutti possano vedere la loro fede vissuta e provata. Allora la parola di Dio non resterà chiusa nelle nostre chiese, o peggio imprigionata nelle nostre sagrestie, e riprenderà a circolare per le strade, nei condomini, in ufficio, al negozio, in banca o in ospedale, al mare e ai monti. Non posso quindi che incoraggiare l'intenso lavoro formativo che stai portando avanti con le catechiste, con gli educatori, e auguro a te e a tutta la comunità che quanto prima possa nascere un gruppo di adulti appassionati del Vangelo e impegnati a seguire un solido cammino di conversione e di formazione, per essere poi a loro volta testimoni credenti e credibili, capaci di coinvolgere altri adulti nel coltivare in sé "gli stessi sentimenti di Cristo Gesù" (Fil 2,6).

Poiché una vera formazione non può non portare a una sincera conversio-ne, questa a sua volta si prolunga nella strada - è la seconda indicazione - della comunione. Ti ho visto seriamente e giustamente preoccupato del gran bene dell'unità di tutta la comunità parrocchiale: questo è in effetti il dono più pre-zioso per una comunità cristiana, per le persone che la compongono e per i settori in cui si articola. Al riguardo esorto tutti, a cominciare dai collaboratori più stretti a custodire e a coltivare il vincolo della pace: è meglio poco ma uni-ti, che molto ma disuniti! Vi giro l'accorato appello di s. Paolo ai cristiani della comunità di Filippi: "Rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi il proprio interesse, ma anche quello degli altri" (Fil 2,2-4).

Non stancarti, perciò, caro Don Daniele, di proporre continuamente esercizi spirituali di comunione, in modo che gradualmente cresca la stima reciproca, si

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Visita Pastorale

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rinsaldi il vincolo della carità e si superi il pericolo più grave per una comunità cristiana, quello di dare agli altri - in particolare ai piccoli e ai "cercatori di Dio" - lo scandalo devastante della divisione. In questo contesto vi raccomando di se-guire qualche itinerario di riflessione e di preghiera per rivitalizzare il Consiglio Pastorale, perché questo prezioso organismo vi aiuti ad essere "uniti a priori nell'essenziale, ma anche a convergere nell'opinabile" (NMI 45).

Vorrei dire anche qualcosa sulla terza strada, quella della missione, ma mi limito a porre un interrogativo: non è essa il frutto maturo e spontaneo della formazione e della comunione?

Infine permettimi di ritornare ancora sugli ultimi due fotogrammi che con-servo nell'album del cuore: l'eucaristia conclusiva e il pranzo comunitario di domenica 6 febbraio nel grande salone di Spadarolo, con oltre 200 persone. In quelle occasioni mi pare di aver intercettato un potenziale ancora più alto dei traguardi già raggiunti. Che san Domenico Savio vi aiuti a sviluppare in pienezza quell'elevato potenziale di comunione, perché la vostra comunità possa essere sale e luce di tutto il quartiere dei Padulli!

Ora, mentre ti ringrazio per il dono della tua vita che continui a fare al Si-gnore Gesù per il bene della comunità di cui sei maestro, sacerdote e guida, ti rinnovo stima sincera e fraterno affetto, e ti prego di salutare e di benedire tutti i cari fedeli di "S. Domenico Savio".

Che il Signore sia davanti a voi per guidarvi, dietro a voi per difendervi, ac-canto a voi per accompagnarvi, proteggervi e consolarvi!

Pace e ogni bene a te e a tutti!

______________________________Al Rev. Sac. Don DANIELE GIUNCHIe alla Comunità Parrocchiale di s.Domenico Saviovia Villagrande 3547922 RIMINI - RN

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Carissimi Don Pier Giorgio e Don Marino,Carissimi membri del CPP e Fedeli tutti,

dire che a due mesi di distanza il ricordo della visita pastorale da me svolta presso la vostra parrocchia nei giorni dal 5 al 10 aprile 2011, mi ritorna nitido e centrato è dire poco, troppo poco. Non solo perché ne saprei ricostruire il programma per giorni, ore e perfino minut, ma perché ho potuto finalmente vi-sitarvi con un ritmo più pacato, meno frammentario ed episodico, e soprattutto perché insieme a voi mi è sembrato di poter abbracciare con uno sguardo più limpido e coordinato il disegno di Dio sulla vostra cara e davvero bella comu-nità.

Come al solito, la visita è cominciata con la veglia di preghiera, con un veloce, simpatico buffet, e poi con la presentazione delle varie realtà, settori e ambiti della vita parrocchiale. Per me questo è un momento tutt'altro che for-male: mi serve piuttosto a vedere quale immagine di comunità cristiana questi fratelli e sorelle hanno davanti a sé, e, di riflesso, quale autocoscienza della loro identità e missione essi mi rimandano. Bene, alla luce degli elementi che ho avuto modo di cogliere anche nei giorni successivi, a me sembra di aver riscon-trato un buon livello di responsabilità in coloro che sono chiamati ad essere i primi collaboratori. Lo ricavo da due segnali molto netti. Il primo è che siete credenti ben consapevoli che la vita cristiana non si può ridurre a una somma di attività, e che anzi prima ancora che un 'fare', il credere è questione di 'esse-re'. Mi permettete di citarlo anche stavolta il buon Don Oreste, quando diceva che "il Signore non ha bisogno di facchini, ma di innamorati"? L'altro segnale è che vi ho visti sicuri e convinti di un fatto decisivo: la vostra testimonianza deve essere visibile a tutti, soprattutto ai cosiddetti "lontani". Questi vi guardano e hanno il sacrosanto diritto di aspettarsi da voi una coerenza di comportamento e una trasparenza di vita in modo che, vedendo voi e il volto della comunità tutta, possano intercettare almeno qualche tratto del volto di Cristo. Ricordate? "Contemplare il Suo volto per mostrarlo a tutti": era lo slogan di qualche anno fa, ma è la missione dei cristiani di ieri e di sempre.

Dopo queste prime considerazioni di carattere globale e prima di aggiun-gerne qualche altra più specifica, scorro in veloce rassegna il ventaglio delle varie realtà.

Il Consiglio Pastorale risulta attualmente composto da 47 persone, tra elet-ti, nominati e membri di diritto. Vi ricordo i tre verbi che vi avevo citato quella

Visita pastorale a Villa Verucchio

Prot. VFL2011/42Rimini, 5 giugno 2011

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Visita Pastorale

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sera: voi siete chiamati a discernere (più che a organizzare), a verificare (alla luce del vangelo e non semplicemente del buon senso) quanto si è fatto, e a convergere (non solo in ciò che è essenziale, ma anche nell'opinabile). Per fare questo mi domando se non convenga ridurre il numero dei membri del Consi-glio proprio per elevare il livello della partecipazione e la qualità del servizio da rendere alla comunità.

Il Consiglio per gli Affari Economici sta portando avanti l'impegno di ripia-nare il pesante passivo che grava sulla vostra comunità. Il Comitato che si è costituito per la riduzione del debito sta svolgendo un ottimo lavoro. Ma è im-portante che si consolidi quel clima di partecipazione affettiva ed effettiva che è indispensabile per operazioni così esigenti e gravose: senza una economia di comunione non è possibile una comunione anche nell'economia!

L'impegno del catechismo - con i ben 400 bambini e ragazzi dalla 2.a ele-mentare alla 1.a Media, e le 60 catechiste - costituisce uno sforzo apprezzabile, ma purtroppo non adeguatamente ripagato dai risultati, come si riscontra dai tristi fenomeni della latitanza di molti genitori, nonché dell'abbandono - pres-soché generalizzato - dei ragazzi dopo la cresima, e la forbice sempre più larga tra la frequenza al catechismo e la partecipazione alla Messa domenicale. Non pretendo certo di rifilarvi ricette pronte per l'uso - ma ce ne stanno da qualche parte? Vorrei però incoraggiarvi a vigilare da una parte sull'assimilazione - sem-pre più diffusa nell'immaginario collettivo - "catechismo in parrocchia = scuo-la dell'obbligo", dall'altra vorrei invitarvi a ripartire decisamente dagli adulti. Si deve e si può: ovviamente non si potrà fare tutto in una volta, ma è possibile ac-cendere dei "focolai di fede" tra genitori disposti a seguire itinerari di riscoperta del vangelo. Questo suppone, ancora più a monte, la disponibilità a mettersi in gioco di qualche adulto che già abbia fatto l'esperienza dell'incontro con Gesù e sia pronto a "rendere ragione della speranza" cristiana ad altri adulti. Se non scocca la scintilla, il fuoco non si accende... E' inoltre importante che ci siano in parrocchia dei giovani maturi, positivi e capaci che facciano "da traino" ai più giovani. In questo senso il lavoro che sta svolgendo Suor Serena per l'oratorio e per i giovanissimi, mi sembra che meriti di essere sostenuto e condiviso.

Mi piacerebbe ora dire qualcosa sulle altre realtà presenti - Agesci, Terz'Or-dine Francescano, Gruppo Famiglie, ANSPI, Caritas, CML, ACI - ma questa let-tera sulla visita pastorale rischierebbe di diventare più lunga della visita stessa. Vorrei però almeno dare spazio ad altre realtà che costellano la vita della par-rocchia. Comincio dalla "Goccia", un vero gioiello di carità cristiana e di pro-mozione umana per un discreto numero di disabili, che svolge un lavoro di eccellenza, grazie all'opera di tanti volontari motivati e ben preparati. Vorrei menzionare anche le due scuole materne, quella parrocchiale e quella del Con-vento, e qui non posso non rimarcare la cospicua risorsa costituita dalle due comunità religiose - quella maschile dei Frati Francescani, e quella femmini-le delle Suore Francescane di Palagano. Queste comunità che già con il fatto stesso di esserci rappresentano un segnale che speriamo possa riprendere a trasmettere in modo più chiaro e più forte il messaggio della radicalità e della bellezza di una vita a misura di vangelo. Un'altra testimonianza convincente e contagiosa è quella della Casa-famiglia "Sant'Agostino", dove è possibile vedere

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da vicino di che cosa sono capaci i preti santi (vedi Don Oreste) e i cristiani che si sono lasciati affascinare dal suo carisma. Inoltre la presenza di 1 Diacono, 6 Accoliti, di vari Ministri straordinari della comunione eucaristica lascia sperare in una crescita della sensibilità ministeriale della vostra parrocchia in modo che una fioritura più vivace di carismi e di ministeri faccia da fermento a tutta la comunità.

Vorrei in conclusione rivolgere due brevi parole al Parroco e al Vicario par-rocchiale.

Carissimi Don Piergiorgio e Don Marino, il fatto che vi trovate a condividere la responsabilità di una delle più grandi, giovani e complesse parrocchie del-la Diocesi risponde a un disegno d'amore che il Signore sta realizzando nella vostra vita a vantaggio del presbiterio e della comunità che vi è stata affidata. Ognuno di voi due, per le specifiche condizioni anagrafiche, fisiche e spirituali, si ritrova nella necessità e nell'opportunità di ritornare ogni giorno all'essen-ziale. Il vostro impegno - e il dono incalcolabile - è quello di dirvi ogni giorno: "Siamo qui per dar vita alla presenza di Gesù Pastore in questa parrocchia". L'u-nico motivo per stare insieme, per cominciare e ricominciare a vivere la parola del Signore, a celebrare i suoi santi misteri, ad esercitare la carità pastorale, è di rendere possibile la presenza di Gesù risorto e vivente, come Capo e Pastore della comunità che vi è stata affidata. I discorsi non servono, le attività non ba-stano, non basta neanche l'aggiornamento pastorale e culturale. L'essenziale è questo: riscoprire continuamente che, se all'inizio del cristianesimo il kerygma era Gesù risorto, anche oggi non ci può essere altro kerygma, altro annuncio o messaggio, se non il Risorto. Che voi come pastori possiate gridare con la vostra vita - con il coraggio di fronte alle prove, con la fortezza di chi non rinuncia a ricominciare, con la grinta appassionata di chi si sa a servizio di un Capo affa-scinante - che Lui, il Pastore grande delle pecore, non si è ancora stancato di guidare, difendere, nutrire il suo gregge.

Carissimi tutti, mentre vi offro la disponibilità a venire da voi per commen-tare insieme questa lettera, vi ringrazio per l'accoglienza premurosa e cordiale che mi avete riservato e vi saluto con tutta la stima e la simpatia che voi meri-tate e di cui io sono capace

______________________________Ai Rev. Sacc. Don PIER GIORGIO FARINA e Don MARINO ANGELINIe alla Comunità Parrocchiale di s.Paterniano di Villa Verucchiovia Aldo Moro 13047826 VILLA VERUCCHIO- RN

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Visita Pastorale

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Carissimo Don Valerio,circa due mesi fa si concludeva la visita pastorale, condotta nei giorni dall'11

al 16 aprile 2011, presso la vostra parrocchia di s. Martino di Verucchio. A ripen-sarci è stata quasi una "settimana santa", non solo perché era l'ultima settimana di Quaresima, quindi immediatamente prima della Domenica delle Palme, ma anche perché tutto quello che abbiamo detto, celebrato e vissuto insieme è stata davvero una santa sequenza di doni di grazia, di semi di vita, di belle opportunità di cui io Vescovo - ma ne sono sicuro, anche tutti voi - non possiamo che ralle-grarci e benedire il Signore.

Erede della millenaria storia della Pieve di s. Martino, che sorge a metà stra-da tra Verucchio e Villa, oggi la chiesa parrocchiale si innalza solenne come una cattedrale nel cuore del borgo antico, e riassume nel titolo di 'collegiata' la volu-minosa vicenda di questa comunità, intrecciata con gli eventi di ordini religiosi e di vite di santi, come i quattro beati che qui sono nati: Gregorio Celli, Giovanni Gueruli, Bionda Foschi e Galeotto Norberto Malatesta.

Questo, il considerevole passato remoto. Quello prossimo non lo è stato di meno, segnato - com'è avvenuto - dalla malattia e dalla santa morte di don To-nino Fraticello, tuo predecessore. Don Tonino ha amato questa comunità e ne è stato amato; l'ha servita dando per lunghi anni, giorno dopo giorno, il meglio di sé, e il Signore, mentre lo ha chiamato a godere il premio dei servi buoni e fedeli, ve lo ha restituito come un "angelo custode" che vi illumina, vi custodisce e vi accompagna.

Dalla scorsa estate sei arrivato tu, proveniente da Sogliano: te ne avevo chie-sto la disponibilità e tu me l'hai data con convinta, serena prontezza, rinnovando l'obbedienza al Vescovo, come il giorno dell'ordinazione. La gente ti ha accolto bene e conta molto su di te. Tu sei un uomo di relazioni, e il tuo biglietto da visita porta scritte parole di mitezza, di cortesia e di generosa disponibilità. Ma soprat-tutto sei un uomo di fede: tu sai bene che senza il Signore non possiamo fare nulla; ma con lui e in lui possiamo fare addirittura molto di più - sono parole sue - di quanto a lui non sia piaciuto fare da solo (cfr Gv 14,12). Nei giorni della visita ho potuto osservare da vicino la tua "strategia pastorale", che mi pare si possa riassumere letteralmente in tre parole: discernere, riformare, formare.

Anzitutto discernere. Tu, caro don Valerio, non sei di temperamento precipito-so: prima osservi con attenzione, poi rifletti e quindi decidi. Ora, la percezione che tu hai avuto del clima della parrocchia, a me sembra sia quella effettiva: un clima spirituale di tipo 'tradizionale', con qualche segnale di rinnovamento. La fede è

Visita pastorale a Verucchio

Prot. VFL2011/43Rimini, 5 giugno 2011

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vissuta a livello più individuale, come fatto privato e riservato ai momenti forti della vita (sacramenti, feste, funerali). Ma hai individuato anche un buon gruppo di fedeli che ha maturato una fede adulta e consapevole. Su questo nucleo più vicino e formato, puoi senz'altro contare perché diventi un lievito efficace al fine di far maturare altri nuclei di cristiani coerenti, credibili e capaci di assumersi, a loro volta, l'impegno della testimonianza al Vangelo, da portare a tutti.

E' così che si intraprende un serio ed efficace cammino che punti a riforma-re la comunità. Il prete non può illudersi di poter fare tutto da solo, e il delicato compito della cosiddetta "svolta missionaria" della parrocchia - passare da una fede per tradizione o convenzione a una fede per scelta e per convinzione - si può portare avanti solo a condizione di una intensa vita spirituale, condivisa dal parroco e da almeno un gruppo di fedeli, disposti a vivere la radicalità del Vangelo e a perseguire l'ideale alto della santità.

Ancora più a monte, la "conversione missionaria" richiede di investire in una solida formazione degli adulti. Personalmente ne sono sempre più convinto, ma credo che lo sia anche tu: oggi il problema numero uno delle nostre parrocchie non è anzitutto di tipo pastorale, ma spirituale e perciò formativo. Dove, per "for-mazione", si deve intendere quanto s. Paolo afferma nella Lettera ai Galati, nel passo in cui parla di quel parto doloroso che l'apostolo deve patire "finché Cristo non sia formato" nei suoi figli spirituali (cfr Gal 4,19).

I tuoi primi passi nella - per te - nuova parrocchia di Verucchio vanno in questa direzione: l'attenzione al giorno del Signore con la cura di una liturgia semplice, bella e partecipata; l'impegno generoso e appassionato nella iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi; l'intelligente valorizzazione degli apporti straordinari dei consacrati originari di Verucchio - come Maestre Pie, Frati Minori e Salesiani; la stretta collaborazione con la missione delle Maestre Pie in Bangladesh: sono tutte opportunità e fattori decisivi al fine di impiantare una pastorale missionaria, di nuova evangelizzazione.

Non posso terminare questa lettera senza accennare, caro Don Valerio, ai momenti di incontro fraterno che tu condividi con altri sacerdoti della zona: il pranzo che consumate insieme a don Pier Giorgio, ora a Villa ora a Spadarolo o a Corpolò, sono momenti preziosi per evitare il rischio fatale dell'isolamento e soprattutto per testimoniare quella comunione presbiterale che è la prima testi-monianza che un parroco è chiamato a dare ai suoi fedeli.

Mentre ti ringrazio per la premurosa accoglienza, ti rinnovo l'augurio di un fe-condo apostolato, stracarico di bene, e ti assicuro la mia vicinanza nella preghiera e nel più sincero interessamento alla tua persona e al tuo prezioso ministero.

E benedico di cuore te e tutti

______________________________Al Rev. Sac. Don VALERIO CELLIe alla Comunità Parrocchiale di s.Martino di Verucchiovia Marconi 147826 VERUCCHIO - RN

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Diario del Vescovo

APRILE

Dal 31 marzo al 2 aprile Convegno Diocesano sull'Educazione Sabato 2 Pomeriggio Miramare, Sorelle dell'Immacolata Apertura processo canonizzazione

Domenica 3 Mattino ore 11.00 Torre Pedrera - S.Messa, anniversario Carla Ronci Pomeriggio Piazza Cavour - consegna e benedizione pulmino UNITALSI Cattedrale - S.Messa, istituzione ministeri

Lunedì 4 Mattino Bologna - Conferenza Episcopale dell'Emilia Romagna Martedì 5 Visita pastorale a Villa Verucchio Mercoledì 6 Mattino Curia - Consiglio Episcopale Pomeriggio Visita pastorale a Villa Verucchio Giovedì 7 Visita pastorale a Villa Verucchio

Venerdì 8 Visita pastorale a Villa Verucchio Sabato 9 Caritas - presentazione rapporto povertà Domenica 10 Visita pastorale a Villa Verucchio (S. Messa) Pomeriggio Stradone - ritiro quaresimale Lunedì 11 Sera S. Agostino - Itinerario quaresimale, relazione

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Martedì 12 Mattino Cattedrale - S. Messa, forze armate e forze dell'ordine Sera Seminario - Scuola della Parola Mercoledì 13 Sera Suffragio - S. Messa, Pasqua Universitaria Visita pastorale a Verucchio Giovedì 14 Visita pastorale a Verucchio Venerdì 15 Mattino Udienze Sera ISSR - meditazione pasquale Sabato 16 Pomeriggio Cattedrale - S.Messa, con i disabili Sera Visita pastorale a Verucchio Domenica 17 Mattino Cattedrale - S. Messa, Le Palme Sera Via crucis organizzata da CL

SETTIMANA SANTA

Martedì 19 Mattino Officine FS - S.Messa Pomeriggio Ospedale - via crucis Sera Curia - Consulta per la scuola Mercoledì 20 Mattino Seminario - incontro di presbiterio Pomeriggio Cattedrale - S.Messa crismale Giovedì 21 Pomeriggio Cattedrale - S.Messa, "in coena Domini" Venerdì 22 Mattino Saiano - via crucis organizzata dall'Azione Cattolica giovani Sera Cattedrale - Liturgia della Passione

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Sabato 23 Mattino Fiera - esercizi spirituali GS Clarisse - Ora della Madre Pomeriggio Carcere – visita e preghiera Notte Cattedrale - Veglia Pasquale Domenica 24 SANTA PASQUA Mattino Cattedrale - S.Messa solenne di Pasqua Lunedì 25 Mattino Pianventena - cresime Sera Miramare, Sorelle dell'Immacolata professioni solenni Martedì 26 Potenza - Incontro Rettori Seminari Regionali Mercoledì 27 Loreto - Seminario di formazione sulla direzione spirituale (Centro Nazionale Vocazioni) venerdì 29 Sera Veglia festa dei lavoratori

SETTIMANA SANTA

Domenica 1 Roma - beatificazione Papa Giovanni Paolo II e Giuseppe Toniolo Lunedì 2 Mattino Ospedale inaugurazione nuovo Pronto Soccorso Pomeriggio Seminario - Consiglio Presbiterale Seminario - Consiglio Pastorale Diocesano Martedì 3 Mattino Udienze Sera Seminario - Scuola della Parola Mercoledì 4 Pomeriggio Sala San Gaudenzo incontro con i Dirigenti Scolastici S. Agostino - S.Messa, per la scuola

Venerdì 6 a Roma, per Assemblea Nazionale Azione Cattolica

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Sabato 7 Mattino Seminario - ritiro AMCI (Medici Cattolici) Sera Viserba monte gruppi famiglie vicariato Litorale Nord Domenica 8 Mattino Castelvecchio - cresime Fiumicino - cresime Pomeriggio Riccione, S. Martino - cresime Lunedì 9 Pomeriggio San Nicolò - Liturgia della Parola Martedì 10 Mattino Seminario - Ordo Virginum Giovedì 12 Pomeriggio S.Chiara - S. Messa, Madonna della Misericordia Venerdì 13 Sera San Fortunato - veglia di preghiera per le vocazioni Sabato 14 Mattino Udienze Pomeriggio Cattedrale - Ordinazioni Presbiterali Domenica 15 Mattino San Giovanni in Compito - cresime San Giovanni in Marignano - cresime Pomeriggio San Martino Monte l'Abate - cresime Lunedì 16 Mattino Curia - Commissione Albania Sera Curia – Commissione Pastorale Integrata

Mercoledì 18 Mattino Udienze Pomeriggio Musei Comunali, Sala del Giudizio: presentazione volume "Storia della Chiesa di Rimini" Sera Suore Maria Bambina S.Messa, festa sante fondatrici

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Giovedì 19 a Rimini, incontro Ufficio Catechistico Regionale e Ufficio Pastorale Familiare Regionale

Venerdì 20 Mattino Seminario - incontro di presbiterio Sabato 21 Mattino Carpi intervento all'assemblea regionale dei diaconi Pomeriggio S.Agostino - preghiera AC, festa ACR, partenza pellegrinaggio a Saiano Rimini, parr. san Giovanni Battista - cresime

Domenica 22 Mattino San Mauro Pascoli - cresime Cattedrale - S. Messa, giornata nazionale della comunità cinese Pomeriggio Savignano, parr. santa Lucia - cresime da Lunedì 23 a Venerdì 27 Roma, Assemblea Generale CEI

Sabato 28 Mattino Curia, Sala Marvelli - Conferenza Organizzativa Fondazione En.A.I.P Associazione "S.Zavatta" Curia, Sala Madonna dell'Acqua Collegio Consultori Pomeriggio Santuario Madonna di Bonora - S. Messa, conclusione pellegrinaggio "Fuori le sbarre" Domenica 29 Mattino Mondaino - cresime Morciano - cresime Pomeriggio Saludecio - cresime Riccione, parr. Mater Admirabilis - ingresso nuovo parroco e nuovo vicario parrocchiale Lunedì 30 Mattino Valle Avellana incontro Direttori Uffici Pastorali Sera Curia, Sala Santa Colomba - MEIC Martedì 31 Udienze

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GIUGNO

Mercoledì 1 Udienze

Giovedì 2 Pomeriggio Fiera Rimini - Convocazione Nazionale RnS Cattedrale - cresime parr. S.Giuseppe al Porto Venerdì 3 Mattino Bologna riunione Vescovi del Seminario Regionale Pomeriggio Palacongressi Rimini - S.Messa, Assemblea Generale Associazione Papa Giovanni XXIII Sera Suore di Maria Bambina Scuola di Preghiera FUCI Sabato 4 Pomeriggio Tavoleto - cresime Riccione, parr. s. Martino - S.Messa, Campo Lavoro Missionario Domenica 5 Pomeriggio Campo "don Pippo" - S.Messa da Lunedì 6 a Mercoledì 8 Seminario Tre giorni del presbiterio diocesano Martedì 7 Pomeriggio Seminario – Consiglio Presbiterale

Mercoledì 8 Pomeriggio ISSR "Marvelli" - Collegio Docenti

Venerdì 10 Mattino Curia - Uffici Pastorali Sabato 11 Mattino Udienze Pomeriggio Convento Santo Spirito incontro C.I.I.S. (Istituti Secolari) Domenica 12 Mattino Mater Admirabilis – S.Messa Villa Verucchio - cresime Sera Rivabella - S.Messa

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Lunedì 13 Pomeriggio Sogliano – funerale don Antonio Bartolini Sera Cattolica, parr. S.Antonio da Padova - Consacrazione altare

Mercoledì 15 Pomeriggio Udienze Sera San Vito – S.Messa, festa patrono

Domenica 19 Mattino Serravalle, RSM - Concelebrazione Eucaristica presieduta da Sua Santità Papa Benedetto XVI Pomeriggio Coriano - S.Messa, anniversario beatificazione Madre Elisabetta Renzi MPDA Martedì 21 Pomeriggio Udienze

Mercoledì 22 Mattino Curia – Consiglio Episcopale

Giovedì 23 Sera Rimini, celebrazione cittadina del Corpus Domini Venerdì 24 Mattino Udienze

Sabato 25 Sera Cattolica - celebrazione Corpus Domini Domenica 26 Mattino Cappuccini Santarcangelo - S.Messa Lunedì 27 Matttino Funerale mamma don Giuseppe Tognacci

da Lunedì 27 giugno a Venerdì 1 luglio Marola (RE) - Esercizi spirituali Vescovi

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Attività del Presbiterio

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Attività del Presbiterio

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Si è svolta nei giorni 6-7-8 giugno 2011 presso il Seminario Vescovile “don Oreste Benzi” la tradizionale Tre Giorni del presbiterio Diocesano. Tema della Tre Giorni: La formazione nella Chiesa di Rimini. Questo è stato il programma delle giornate:

LUNEDÌ 6 GIUGNOore 9,30: saluto ed introduzione del Vescovo.ore 9,45: Celebrazione di Ora media ore 10,00: Relazione introduttiva, a cura della Segreteria, per uno status quaestionis sulla formazione in Diocesi.ore 10,30: Pausa ore 11,00: Gruppi di studioore 12,30: Pranzo MARTEDÌ 7 GIUGNOore 9,30: Celebrazione di Ora media ore 9,45: “La formazione dei laici per una Chiesa missionaria”Don Luciano Paolucci, Rettore del Seminario Regionale delle Marche e pastoralista.ore 10,45: Pausa ore 11,15: Dialogo in Assembleaore 12,30: Pranzo

MERCOLEDÌ 8 GIUGNOore 9,30: Celebrazione di Ora media ore 9,45: Prospettive in ordine alla formazione (laboratorio)ore 10,30: Pausa ore 11,00: Esperienze di formazione (testimonianze)ore 12,00: Intervento conclusivo del Vescovoore 12,30: Pranzo.

Tre giorni del Presbiterio Diocesano

Rimini, 6-8 giugno 2011

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Relazione introduttiva

La formazione in diocesi di Rimini

PremessaLa domanda alla base del nostro lavoro in questa 3 giorni potrebbe essere

formulata così: Quale formazione, per quali operatori pastorali, per quale Chie-sa? Per rispondere a questa domanda articolata e complessa è necessario parti-re dall’ultimo elemento: Quale Chiesa? Infatti, se non si ha un’idea abbastanza univoca su cosa è la Chiesa non è possibile a maggior ragione accordarsi sul cammino di formazione degli operatori pastorali.

• Di conseguenza la relazione sarà distribuita in 4 parti:• Quale volto di Chiesa (interroghiamo il Concilio)• Quali caratteristiche per gli operatori pastorali• Il progetto formativo in Diocesi di Rimini• La vita concreta delle comunità (relazioni dei vicariati)

Parte prima: Il volto della ChiesaNon possiamo dare per scontato che esistano elementi comuni per definire

o tratteggiare il volto della Chiesa: esistono infatti diverse sottolineature e tal-volta diverse ecclesiologie. Per questo è necessario interrogare il Magistero della Chiesa e, in particolare, il Concilio Vaticano II. Le linee fondamentali che il Conci-lio offre (ma anche altri passi fondamentali del recente Magistero) costituiscono un sicuro punto di riferimento. Le 4 costituzioni conciliari sono altrettanti poli per comprendere l’identità e la missione della Chiesa. Procediamo per titoli.

1.1 Una Chiesa che è comunione ed è tutta ministeriale (Lumen gentium)“La Chiesa non e’ una corporazione, e’ un corpo, non e’ un’organizzazione,

e’ un organismo” (Benedetto XVI, udienza generale 10.12.2008) . Prima ancora, il Vat. II aveva dedicato il cap. 1 della Lumen Gentium alla Chiesa mistero. Il cap. 2 tratteggia invece il volto della Chiesa come popolo di Dio. Un brano capitale:

Lumen gentium 9“Questo popolo messianico ha per capo Cristo « dato a morte per i nostri

peccati e risuscitato per la nostra giustificazione » (Rm 4,25), e che ora, dopo essersi acquistato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, regna glorioso in cielo. Ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio. Ha per legge il nuovo pre-cetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati (cfr. Gv 13,34). E finalmente, ha per fine il regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da lui portato a com-pimento, quando comparirà Cristo, vita nostra (cfr. Col 3,4) e « anche le stesse creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio » (Rm 8,21). Perciò il popolo messianico, pur non comprendendo effettivamente l’universalità degli uomini e apparendo talora come un piccolo gregge, costituisce tuttavia per tutta l’umanità il germe più

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Attività del Presbiterio

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forte di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunto ad essere strumento della re-denzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cfr. Mt 5,13-16), è inviato a tutto il mondo.”

1.2 Una Chiesa convocata dalla Parola (Dei Verbum)Dei Verbum 21“ La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Cor-

po stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrir-si del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra Tradizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture come la regola suprema della propria fede; esse infatti, ispirate come sono da Dio e redatte una volta per sempre, comunica-no immutabilmente la parola di Dio stesso e fanno risuonare nelle parole dei profeti e degli apostoli la voce dello Spirito Santo. È necessario dunque che la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e rego-lata dalla sacra Scrittura. Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimen-to dell’anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla sacra Scrittura ciò che è stato detto: «viva ed efficace è la parola di Dio » (Eb 4,12), « che ha il potere di edificare e dare l’eredità con tutti i santificati» (At 20,32; cfr. 1 Ts 2,13).”

Il nostro Vescovo, nell’omelia della Messa crismale lo scorso mercoledì san-to, così si esprimeva:

La seconda preoccupazione è di chi teme che un marcato riferimento alla Scrittura finisca per relegare l’autorità della Tradizione e del Magistero in secon-do piano, favorisca la concezione protestante della sola Scriptura e “assoggetti la Scrittura a privata spiegazione” (cfr 2Pt 1,20). Indubbiamente la Parola di Dio è più ampia della Scrittura. ‘Parola di Dio’ non significa “una parola scritta e muta, ma il Verbo incarnato e vivente” (san Bernardo), è la Parola divenuta carne, fatta avvenimento, e l’avvenimento è sempre più ricco della sua regi-strazione scritta. Il cristianesimo non è una religione del Libro, e la Chiesa tra-smette ben altro che semplici copie della Bibbia! Del resto anche gli analfabeti possono essere pienamente cristiani. Il cristianesimo è la storia della salvezza, e “al centro della rivelazione divina c’è l’evento di Cristo” (VD 7). Quindi non la Scrittura in quanto tale è per noi Parola di Dio, ma la Scrittura in quanto capace di ridiventare parola viva e attiva, annunciata e ascoltata, vivace e vissuta. Tut-tavia “le sacre Scritture contengono la parola di Dio e, poiché ispirate, sono ve-ramente parola di Dio” (Dei Verbum 24). “Pertanto la Scrittura va proclamata, ascoltata, letta, accolta e vissuta come Parola di Dio, nel solco della Tradizione apostolica dalla quale è inseparabile” (VD 7; cfr DV 10).

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La Chiesa non può prescindere dalla Parola di Dio perché da essa è convo-cata e da essa è nutrita. Questo vale sia per i singoli cristiani che per le comu-nità. La Parola di Dio è il nutrimento più sano e più solido per la nostra fede. L’annuncio e la predicazione non possono avere altro riferimento che la Parola. Nel discernimento sul proprio cammino, la Chiesa si lascia guidare dalla Parola.

1.3 Una Chiesa riunita intorno all’Eucaristia (Sacrosanctum concilium)Sacrosanctum concilium 2. 102. “La liturgia infatti, mediante la quale, specialmente nel divino sacrificio

dell’eucaristia, «si attua l’opera della nostra redenzione», contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa. Questa ha infatti la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invi-sibili, fervente nell’azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina; tutto questo in modo tale, però, che ciò che in essa è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all’invisibile, l’azione alla contem-plazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati. In tal modo la liturgia, mentre ogni giorno edifica quelli che sono nella Chiesa per farne un tempio santo nel Signore, un’abitazione di Dio nello Spirito, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo, nello stesso tempo e in modo mirabile fortifica le loro energie perché possano predicare il Cristo. Così a co-loro che sono fuori essa mostra la Chiesa, come vessillo innalzato di fronte alle nazioni, sotto il quale i figli di Dio dispersi possano raccogliersi, finché ci sia un solo ovile e un solo pastore.”

10. “Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro apo-stolico, infatti, è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore. A sua volta, la liturgia spinge i fedeli, nu-triti dei « sacramenti pasquali », a vivere « in perfetta unione »; prega affinché « esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede »; la rinnova-zione poi dell’alleanza di Dio con gli uomini nell’eucaristia introduce i fedeli nella pressante carità di Cristo e li infiamma con essa. Dalla liturgia, dunque, e particolarmente dall’eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini nel Cristo e quella glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa.”

Una Chiesa, dunque, riunita intorno all’Eucaristia, che si nutre di essa e della liturgia in genere, che è consapevole della forza missionaria della stessa liturgia e che quindi la circonda della massima cura.

1.4 Una Chiesa che dialoga col mondo (Gaudium et spes)Gaudium et spes 1 “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli

uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le

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gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.

La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti.

Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia.”

11 “Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio. La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell’uomo, orientando così lo spirito verso soluzioni piena-mente umane.”

E’ cambiato il clima in cui è nata la costituzione pastorale GS, ma restano

sempre validi i fondamenti teologici. La Chiesa è chiamata a guardare il mondo e la storia con simpatia, anche se non con ingenuità, nella consapevolezza che lo Spirito soffia dove vuole e che quindi essa è chiamata a cogliere i “semina Verbi” ovunque presenti. In modo efficace Giovanni Paolo II nella Redemptoris missio n. 20 così parla del rapporto Chiesa-Regno:

La Chiesa è effettivamente e concretamente a servizio del regno. Lo è, an-zitutto con l’annunzio che chiama alla conversione: è, questo, il primo e fon-damentale servizio alla venuta del regno nelle singole persone e nella società umana. La salvezza escatologica inizia già ora nella novità di vita in Cristo: «A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome». (Gv 1,12) La chiesa, poi, serve il regno fondando comunità e istituendo chiese particolari e portandole alla maturazione della fede e della carità nell’apertura verso gli altri, nel servizio alla persona e alla società, nella comprensione e stima delle istituzioni umane.» La chiesa, inoltre, serve il regno diffondendo nel mondo i «valori evangelici», che del regno sono espressione e aiutano gli uomini ad accogliere il disegno di Dio. È vero, dunque, che la realtà incipiente del regno può trovarsi anche al di là dei confini della chiesa nell›umanità intera, in quanto questa viva i «valori evan-gelici» e si apra all’azione dello Spirito che spira dove e come vuole; (Gv 3,8) ma bisogna subito aggiungere che tale dimensione temporale del regno è incompleta, se non è coordinata col regno di Cristo, presente nella chiesa e proteso alla pienezza escatologica. 28 Le molteplici prospettive del regno di Dio 29 non indeboliscono i fondamenti e le finalità dell’attività missionaria, ma piuttosto li fortificano e allargano. La chiesa è sacramento di salvezza per tutta l’umanità, e la sua azione non si restringe a coloro che ne accettano il messaggio. Essa è forza dinamica nel cammino dell’umanità verso il regno escatologico, è segno e promotrice dei valori evangelici tra gli uomini. 30 A que-sto itinerario di conversione al progetto di Dio la chiesa contribuisce con la sua testimonianza e con le sue attività, quali il dialogo, la promozione umana, l’im-

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pegno per la giustizia e la pace, l’educazione e la cura degli infermi, l’assistenza ai poveri e ai piccoli tenendo sempre ferma la priorità delle realtà trascendenti e spirituali, premesse della salvezza escatologica. La chiesa, infine, serve il regno anche con la sua intercessione, essendo esso per la sua natura dono e opera di Dio come ricordano le parabole evangeliche e la preghiera stessa insegnataci da Gesù. Noi dobbiamo chiederlo, accoglierlo, farlo crescere in noi; ma dobbiamo anche cooperare perché sia accolto e cresca tra gli uomini, fino a quando Cristo «consegnerà il regno a Dio Padre» e «Dio sarà tutto in tutti». (1 Cor 15,24)

Una Chiesa che si percepisce missionaria e che con coraggio e gioia annun-cia il Vangelo ed edifica la comunità, ma consapevole che il fine non è la Chiesa ma il Regno e che esso è più grande della Chiesa stessa anche se esiste un rap-porto stretto tra Chiesa e Regno.

Parte seconda: Quali operatori pastorali?Atti, 6“Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: “Non è giusto

che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. 3Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico.”

La scelta dei collaboratori degli apostoli è basata su tre criteri: la buona re-putazione, la “santità” personale e la sapienza. Gli operatori pastorali debbono possedere alcune caratteristiche fondamentali:

• Ricchezza umana e stima da parte dei membri della comunità e della gente. Non si diventa operatori pastorali per essere qualcuno, ma poi-ché si è “qualcuno” si può essere operatori pastorali. Una personalità normale, ma sana.

• Profondo radicamento nella comunità cristiana. L’operatore pastorale non è un battitore libero, ma un membro della comunità, alla quale partecipa in modo assiduo. La comunità dovrebbe essere anche concre-ta, presentare dei volti precisi e una vita reale.

• L’operatore pastorale ama il mondo in cui vive, non fugge da esso per-ché è difficile, ma cerca di coglierne con sapiente amore gli aspetti posi-tivi e i nodi, sapendo che lo Spirito è all’opera sempre. In questo amore al mondo e nella capacità di discernimento è di grande aiuto ai pastori.

• L’operatore pastorale ama la propria comunità, vuole bene alle per-sone concrete che la compongono e si sente corresponsabile della vita della comunità.

• Capacità e possibilità di nutrire la propria fede con una vita spirituale buona, fatta di preghiera, vita sacramentale, ascolto della Parola, con-creto esercizio della carità.

• Non essere clerico-dipendente ma, nel contempo, essere capace di pro-fonda comunione coi propri pastori. L’operatore pastorale ama la Chie-sa e “sta in piedi” in essa, con dignità e insieme rispetto e obbedienza.

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Attività del Presbiterio

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Bollettino Diocesano 2011 - n.2

L’operatore pastorale è un “laico” e non un “mezzo prete”.• L’operatore pastorale possiede delle conoscenze e delle competenze:

conoscenza degli elementi principali della Scrittura e della dottrina cri-stiana, capacità di rapportarsi con le persone con una ricca umanità, conoscenze e competenze specifiche e “tecniche” per l’ambito pastorale in cui opera.

Parte terza: Il cammino della nostra Diocesi• La nostra Diocesi ha una ricca tradizione di formazione degli operatori

pastorali. Per alcuni decenni è stato attivo il Corso per Operatori Pa-storali (COP), svoltosi nella prima parte dell’anno pastorale, con una lezione comune a tutti ed un secondo momento articolato per ambiti pastorali. Tale strumento ha formato centinaia e forse migliaia di opera-tori pastorali e ha contribuito a creare una mentalità di corresponsabilità all’interno delle comunità cristiane.

• Accanto al COP, a livello zonale o vicariale o anche a livello diocesano sono sorte varie iniziative di formazione di base o per ambiti specifici: ad esempio corsi zonali per catechisti ecc.

• Punta di diamante del progetto formativo in Diocesi è stata la Scuola di teologia, diventata poi Istituto di scienze religiose e ora Istituto superiore di scienze religiose, recentemente articolato in corso triennale e biennio di specialistica.

Dopo il convegno di Verona, e dopo un’attenta verifica del COP, si è dato vita da due anni ad un nuovo e globale progetto diocesano di formazione, sul quale è necessario fare attenta verifica. Il progetto si articola su quattro livelli, strettamente legati tra loro:

• L’esperienza ecclesiale quotidiana, capace di formare cristiani e di dare il nutrimento essenziale anche per la vita degli operatori pastorali.

• La formazione di base per i collaboratori dell’attività pastorale, a livello parrocchiale o zonale, quasi come percorso formativo iniziale.

• La formazione degli operatori pastorali, attraverso la Scuola diocesana per operatori pastorali (SDOP), che si sviluppa in un biennio e articolata in otto incontri. Ogni incontro prevede una lezione magisteriale comune e un momento di seminario/laboratorio in tre grandi aree: evangelizza-zione; testimonianza della carità; cultura e formazione. In questa scuola non è contemplata la preparazione specifica ad alcuni ministeri; viene demandata ad altra sede.

• L’ISSR, al servizio della formazione teologica nella nostra Chiesa, che ha per destinatari coloro che intendono acquisire i titoli accademici per l’IRC, i candidati al diaconato e gli operatori pastorali.

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Incontri e ritiri

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Parte quarta. Il polso della situazione (elementi emersi negli incontri di vicariato) • I preti sono oberati e rischiano di essere sommersi dalle cose da fare. La

complessità della situazione rischia di creare affanno e talvolta frustra-zione. Appare sempre più evidente che una pastorale imperniata solo sul prete, anche se carismatico, non regge più. Bisogna puntare sulla formazione del laicato, combattendo la tentazione del clericalismo, e sulle unità pastorali o comunque sulla pastorale integrata. Il clericalismo è di ostacolo alla formazione e valorizzazione dei laici. Al contrario, pun-tare sul laicato è vitale per l’evangelizzazione.

• Occorre passare dalla figura del prete carismatico che fa tutto a quella dell’intera comunità che cresce. Questa crescita insieme del prete con la sua comunità rende inoltre meno traumatico anche l’eventuale cam-bio del prete. Accanto a ciò è indispensabile che il prete si senta parte integrante di un presbiterio: coralità del presbiterio e sana laicità sono due elementi importanti perché la pastorale sia sempre più incisiva e missionaria.

• Appare quindi indispensabile un cambiamento di mentalità: passare dalla gestione dell’ordinario ad una pastorale missionaria (cfr Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia). La capacità di annunciare il vangelo è la cartina al tornasole della validità delle nostre iniziative. In questo senso è necessario che la Chiesa vada dove la gente vive, perché la gente non viene più alla Chiesa. Dentro ad una relazione che si crea tra Chiesa e persone è possibile, tra l’altro, anche essere esi-genti nel rispetto della verità: verità e carità vanno di pari passo.

• Occorre però essere onesti in proposito: da decenni ormai la Chiesa nei suoi documenti parla di necessità della evangelizzazione, ma non sembrano essere cambiate molte cose. Perché? Qual è il nodo del pro-blema? Le nostre comunità sono “attrezzate” per l’annuncio del Van-gelo? La fatica che come preti facciamo, e talvolta lo scoraggiamento che ci prende, sono legati solo agli impegni che aumentano sempre più, come si è detto sopra, oppure anche al fallimento di tanti tentativi fatti in un recente passato? (si pensi, ad esempio, all’entusiasmo con cui è stato salutato il RdC e alla delusione che ne è seguita perché la catechesi non sta certamente meglio di alcuni decenni fa). Cosa dovrebbe cam-biare per passare da una pastorale di conservazione ad una pastorale missionaria?

• C’è una pluralità di operatori pastorali nelle nostre comunità: dalle fi-gure ormai “storiche” dei catechisti e dei ministri della liturgia alle forme nuove di ministero quali i catechisti battesimali, le coppie guida per i gruppi famiglie ecc. Inoltre è sempre più rilevante la presenza dei dia-coni e, in modo e forme diverse, quella tradizionale dei religiosi/e. Il rischio, tuttavia, è che spesso si tratti di persone che avvertono il proprio ministero (e tali sono avvertiti) come “dare una mano al prete che ormai non riesce più ad arrivarci”. Si tratta di un grande impoverimento perché non si ha consapevolezza che ogni ministero è fondato sul Battesimo

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Attività del Presbiterio

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e non è determinato dalla semplice esigenza e, inoltre, perché non si riesce ad essere autonomi nell’esercitare il ministero.

• Un rischio è presente anche nella scelta della ministerialità laicale: quel-lo di favorire i ministeri “ad intra” (istituiti o di fatto per la liturgia e la catechesi), trascurando i ministeri più tipici del rapporto col mondo. Tut-tavia occorre chiedersi se lo spartiacque non sia sul modo di intendere e vivere i ministeri: anche un lettore, per fare un esempio, può essere un ministero ad extra se non si limita alla proclamazione della Parola nella liturgia ma diventa annunciatore della Parola nella vita.

• La presenza di tanti operatori pastorali formati aiuta anche i presbiteri a ripensare le modalità del loro ministero (quello della presidenza) e i diaconi.

• Quale formazione per gli operatori pastorali? Bisogna contrastare la ten-tazione di favorire una deriva devozionistica anziché offrire un solido nu-trimento spirituale fatto di ascolto della Parola e di sacramenti. A proposi-to della Parola è necessario ripensare i centri di ascolto del Vangelo (nella grande maggioranza sono falliti o versano in gravi difficoltà) o comunque trovare modalità nuove: l’ascolto della Parola, infatti, è fondamentale per tutti.

• Occorre saper modulare la formazione degli operatori pastorali tra il li-vello parrocchiale o zonale (il centro Diocesi talvolta rischia di essere “lontano”) e quello diocesano. In questa linea occorre anche riflettere sul raccordo tra gli uffici pastorali e le comunità: c’è infatti il pericolo di uno scollamento che rende inutile la presenza degli uffici stessi e, d’altro canto, l’evanescenza di un cammino diocesano e l’isolamento e l’impoverimento della vita delle comunità. Ma non si deve dimenti-care che la Chiesa particolare è teologicamente il soggetto e non sem-plicemente la somma di comunità autonome o autoreferenziali: come favorire questo cammino come Chiesa diocesana che accoglie tutti i carismi senza mortificare nulla ma che è profondamente unita anche nella pastorale?

• Da ultimo si deve riflettere sulla ricchezza data dalla presenza dell’ISSR e, purtroppo, sullo scarso utilizzo di questo strumento. Occorre recupe-rare la presenza dell’ISSR dentro la pastorale delle nostre comunità: se questo non accadesse avremmo da un lato il suo isolamento e la sua riduzione a ristretto ambito accademico e, dall’altro, l’impoverimento della riflessione nelle stesse comunità e quindi il procedere a tentoni o per sentieri interrotti che non portano da nessuna parte.

Conclusione • Col tema della formazione, solo apparentemente parziale, abbiamo toc-

cato i punti nodali dell’esperienza della Chiesa e della nostra Chiesa oggi. Tentando uno status quaestionis circa la formazione nella Chiesa e degli operatori pastorali siamo stati obbligati ad allargare il campo.

• Già abbiamo lavorato negli incontri di vicariato; ora siamo chiamati a lavorare in questo appuntamento annuale. Siamo chiamati a ricercare

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Incontri e ritiri

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insieme delle strade nuove o comunque percorribili, senza avvilirci ma anche senza illusori irenismi e fuggendo la tentazione di evitare i pro-blemi.

• La nostra Chiesa è viva, ovviamente per la presenza dello Spirito che la anima, ma anche per la sua storia e per il suo presente. Noi siamo dentro questa storia e dentro questo presente. Amiamo la nostra Chiesa perché – come diceva don Milani – è la nostra mamma; questo non ci impedi-sce di vederne le rughe, ma insieme ad esse, che comunque dobbiamo cercare di eliminare, ne vediamo il volto splendente di sposa di Cristo.

don Tarcisio Giungi, Vicario Episcopaleper la Pastorale

Sintesi dei gruppi di studio

Note previe• Hanno partecipato 82 persone. Clima sereno e costruttivo. Dialogo fecondo. • È emersa nei sacerdoti la voglia di confrontarsi e di affrontare i nodi proble-

matici.• Normalmente non è stata seguita la scansione delle domande e, in ogni

caso, alcuni nodi trattati sono trasversali o addirittura non sono collocabili in una delle domande. Pertanto proverò a riassumere quanto emerso enucle-ando alcuni nodi.

Il soggetto ChiesaSe è vero, come ha ricordato il vescovo, che il problema della formazione

non è anzitutto pastorale ma spirituale occorre riflettere sul soggetto-Chiesa e sul suo reale cammino. Nella vita di una comunità tutto è formativo: occorre superare un’idea scolastica di formazione. In tal senso acquista valore anche la formazione degli operatori pastorali in itinere.

Il vero nodo: come essere veramente comunità cristiana convocata dalla Parola e riunita intorno all’Eucaristia? Tutta la comunità è chiamata ad essere missionaria e non solo gli operatori pastorali. La Chiesa è più grande dell’insie-me dei ministeri e delle funzioni. Per quale Chiesa stiamo lavorando?

Parrocchie e movimentiE’ un tema emerso in alcuni gruppi di studio. Entrambi sono all’interno della

Chiesa particolare, ma hanno modalità diverse per costruire comunità. Si tratta ovviamente di sottolineature e non di scelte esclusive. E’ stato detto :

• La parrocchia cerca di costruire comunità attraverso il nutrimento della Parola e dell’Eucaristia

• Il movimento valorizza il proprio carisma e le parole del fondatore o del leader.

Perché parrocchie e movimenti possano collaborare all’interno della stesa

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Attività del Presbiterio

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Chiesa diocesana non è sufficiente un richiamo irenico, ma occorre valutare le rispettive impostazioni di fondo. In ogni caso occorre recuperare la spiritualità battesimale, alla base dell’essere Chiesa sia delle parrocchie che dei movimenti.

Preti e laiciAll’interno del soggetto Chiesa è fondamentale il rapporto preti-laici. Occor-

re superare il modello autorità/esecutori per assumere quello della comunione pur nei ruoli diversi. La comunione, insomma, precede qualsiasi distinzione. Il rischio del clericalismo è sempre in agguato: noi preti rischiamo di occupare spazi non nostri e di limitarci a chiedere ai laici di “dare una mano”.

E’ necessario formare laici che lavorino per una Chiesa missionaria.Accanto a ciò, c’è il compito del discernimento comunitario (si pensi alla

funzione del consiglio pastorale) e della testimonianza dell’intera comunità: non è il singolo laico o prete che evangelizza, ma la comunità che testimonia una vita nuova.

Gli operatori pastorali(Caratteristiche umane, spirituali e specifiche: cfr. relazione di don Tarcisio)Gli operatori pastorali non possono essere semplici “manovali”, ma anzitutto

testimoni.

La formazione• La prima formazione è data dalla vita stessa della Chiesa. In questa linea

l’operatore pastorale (ma anche ogni cristiano) deve avere consapevolez-za della fede, capacità di preghiera e stile di vita evangelico. La prima for-mazione, insomma, è l’esperienza di fede e non può essere funzionalista.

• Tuttavia la vita della comunità non è sufficiente per la formazione degli operatori pastorali, ma è necessario un lavoro specifico (cfr. i 4 livelli del progetto formativo della diocesi).

• Per quanto riguarda il metodo è indispensabile superare l’impostazione “omiletica” e assumere lo stile di Gesù che va in cerca delle persone. In questo senso deve esserci maggior coinvolgimento: studiare e attuare l’idea del “laboratorio”.

• Superare il rischio di formare solo operatori pastorali “ad intra”.

Il rapporto con il centro diocesi• Serve maggior condivisione e corresponsabilità tra centro diocesi e par-

rocchie. Il centro rischia di essere “lontano”. E’ necessario proporre agli operatori pastorali da parte di noi preti la formazione zonale e diocesana secondo il principio della sussidiarietà.

• Il centro diocesi può dare un grande aiuto al discernimento. Occorre maggior dialogo tra le diverse generazioni di preti.

• Sul piano degli strumenti si suggerisce di valorizzare sia per i laici che per noi preti i momenti intensivi e residenziali per dare maggiore incisività e creare un clima di comunione.

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Organismi Pastorali

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Organismi Pastorali

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Alla c.a. Signor Mauro MorettiAmministratore Delegato Ferrovie dello Stato

e p. c. Signor Vasco Errani, Presidente Regione Emilia RomagnaSignor Stefano Vitali, Presidente Provincia di RiminiCandidati sindaci al Comune di Rimini

Da alcune settimane la Diocesi di Rimini segue con partecipazione l’evolversi della situazione delle Officine Trenitalia in ordine alla garanzia occupazionale e al futuro assesto di essa.La Chiesa di Rimini è sempre stata presente fin dagli anni ’70 nelle Officine, attraverso il caro don Luigi Tiberti, allora direttore dell’Ufficio Diocesano per la Pastorale Sociale, che durante il periodo quaresimale visitava e portava la bene-dizione pasquale ai vari reparti. In occasione della Pasqua, inoltre, veniva orga-nizzata la S. Messa con la presenza del Vescovo, tradizione che continua tuttora.Le Officine sono una realtà storica e significativa per la città di Rimini e per l’intero comparto ferroviario nazionale essendo state, nei decenni passati, una delle più grandi in Italia.Nella nostra realtà cittadina e provinciale ha garantito a centinaia e centinaia di persone un lavoro degno e sicuro lungo tutti gli anni, e nelle stagioni più recenti ha offerto occupazione a moltissimi giovani.Siamo coscienti di vivere in una situazione di crisi economica mondiale che ha creato forte riduzione dei posti di lavoro in tantissimi settori industriali e una riorganizzazione degli stessi.Il Consiglio Pastorale Diocesano nel documento del 2009 ”…E mi sarete testi-moni”. La Chiesa riminese di fronte alle sfide attuali”, affrontando il tema della crisi ha sottolineato come sia importante che:“Lavoro, solidarietà e sobrietà, non possono coesistere se non sostenuti da un agire etico personale e collettivo, ridando forza e significato a termini quali collaborazione, condivisione e sinergia, e più propriamente fraternità e comu-nione, a tutti i livelli istituzionali. Va evitato quel meccanismo di chiusure reci-proche, che accentua solitudini e incomprensioni, e lascia nell’abbandono i più bisognosi di aiuto”.Anche le locali Officine hanno visto, nel corso di questi anni, una considerevole riduzione dei posti di lavoro, 250 solo nell’ultimo decennio, mettendo in discus-

Lettera aperta sulla situazione delle Officine Trenitalia di Rimini

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Organismi Pastorali

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sione il futuro stesso di questa realtà.La Chiesa tutta di Rimini è vicina ai 280 lavoratori tuttora occupati, e alla loro preoccupazione nel vedere il loro posto di lavoro senza un preciso futuro.Si registra inoltre da parte di Trenitalia una mancanza di chiarezza sul futuro delle Officine locomotori, anzi tutte le scelte dell’azienda sembrano andare ver-so una progressiva chiusura dell’intera realtà riminese.Non è compito della Chiesa proporre soluzioni tecniche, ma vorremmo sottoli-neare i seguenti punti perché si possa sbloccare l’attuale situazione di stallo e di incertezza in cui vivono tutti i lavoratori.Ci sembra importante che:1) Tutte le organizzazioni dei lavoratori siano coinvolte dall’azienda Trenitalia nel discutere insieme un piano industriale che possa prevedere una fase diver-sa e nuova di rilancio delle stesse Officine locomotori.2) Molti lavoratori nei prossimi anni, per raggiunti limiti di età, lasceranno il posto di lavoro. Desideriamo sottolineare l’importanza di un adeguato turnover in grado di ridare slancio occupazionale all’azienda riminese.3) Le istituzioni, provincia e regione, siano protagonisti, in questo tempo di passaggio, con la loro autorità e competenza nella difesa dei posti di lavoro e nel rilancio dell’azienda stessa.4) Nel Comune di Rimini è in atto la campagna elettorale per le elezioni ammi-nistrative 2011; invitiamo tutti i candidati sindaci a inserire nel loro programma politico una particolare attenzione al tema occupazionale in riferimento alla vertenza Officine.Auspichiamo che questa lettera possa aiutare le varie coinvolte nella vicenda aintraprendere la strada della collaborazione e delle sinergie per affrontare insie-me la giusta causa delle persone occupate nelle Officine.

don Antonio MoroDirettore dell’Ufficio Diocesano per la Pastorale Sociale

Rimini, 1 maggio 2011Festa di san Giuseppe lavoratore

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Avvenimenti Diocesani

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Avvenimenti Diocesani

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Puntare sugli adulti: sono loro i veri soggetti dell’emergenza educativa. Ma senza dimenticare il lavoro di rete, perché non si educa da soli. La per-sona al centro dell’azione educativa, gli educatori e la loro formazione e le alleanze educative: ecco gli altri temi forti del Convegno.

Dopo tre giorni di lavori, aperta dall’intervento del card. Carlo Caffarra arcive-scovo di Bologna, il convegno diocesano “Educare alla vita buona del Vangelo” si è concluso sabato alle ore 12.30, con la catechesi e l’intervento del Vescovo di Rimini. Mons. Francesco Lambiasi ha iniziato così a compilare l’agenda della Diocesi di Rimini per il prossimo decennio. E lo ha fatto seguendo le indicazioni emerse dai lavori del convegno stesso, in particolari dai denominatori comuni evidenziati nei sei laboratori a cui hanno partecipato 300 dei 500 iscritti totali al convegno, provenienti da parrocchie, istituti religiosi, associazioni, movimenti ed aggregazioni laicali.

Di seguito, un “compendio” della sintesi elaborata dal coordinatore del con-vegno, don Andrea Turchini.

1. Puntare sugli adulti: i veri soggetti dell’emergenza educativaAccogliere come priorità l’impegno educativo per le nostre comunità significa

puntare sugli adulti affinché, a tutti i livelli, cominciando dai genitori, andando alla scuola e passando per la parrocchia, non deroghino alla responsabilità edu-cativa nei confronti delle nuove generazioni: questa è la dimensione più concreta dell’emergenza educativa. Gli adulti per primi sono i destinatari di una proposta educativa evangelica che chiede di entrare con forza in tutte le pieghe dell’umano superando quel dualismo deleterio che ci spinge a dividere sacro e profano.

Puntare sugli adulti significa elaborare un progetto di formazione serio che ricuperi la famiglia e il matrimonio come ambito, che metta al centro e difenda lo stretto rapporto tra fede e vita, facendosi aiutare dalla dottrina sociale della Chiesa.

In alcuni settori specifici come la scuola, l’università o il mondo della cultura e della politica, puntare sugli adulti significa richiamare loro che prima delle istitu-zioni, ci sono delle persone e che queste persone, specialmente se cristiane con-sapevoli, sono chiamate farsi carico delle istanze educative e formative che emer-gono dal singolo contesto con competenza, professionalità, e come testimoni.

2. Il lavoro di rete: non si educa da soliè di primaria importanza un lavoro di rete che valorizzi la conoscenza dell’im-

Convegno Diocesano sull’EducazioneSintesi sul lavoro dei laboratoriRimini, 31 marzo - 1 - 2 aprile 2011

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Bollettino Diocesano 2011 - n.2

pegno di tutti e aiuti a far fruttare l’esperienza di altri. Nessuno di noi deve pensa-re di partire da zero, ne che il lavoro di altri non possa essere utile per il proprio servizio educativo.

Soprattutto all’interno della comunità cristiana questo lavoro di rete affonda le sue radici nella grande tradizione di cui siamo eredi e si estende ai nostri con-temporanei. Occorre guardarsi intorno per riconoscere coloro che, insieme a noi, stanno lavorando per il bene della persona.

3. La figura degli educatori e la loro formazioneAl centro dell’impegno educativo sta la figura dell’educatore, definito da tre

dimensioni chiave:• la sua capacità di mettersi in gioco in una relazione significativa, con una

disponibilità all’incontro capace di empatia,• una vocazione riconosciuta o almeno una predisposizione chiara a vivere

il servizio educativo (non tutti possono essere adatti e non basta la generosità),• la disponibilità a lasciarsi formare secondo percorsi differenziati e adatti al

singolo.Occorrerà investire ampie risorse in tale formazione e nel riconoscimento di

questa ministerialità che, in alcuni contesti, può diventare anche una professio-nalità.

4. I passaggi di un processo educativo: la persona al centro dell’attenzio-

ne educativaL’azione educativa, pur dovendosi avvalere di una certa creatività, altro non

è che la risposta d’amore data di volta in volta all’inerme per rispondere ai suoi bisogni e farlo progredire nel processo di crescita. Fondamentale per i cristiani è porre al centro dell’azione educativa la persona così com’è, con le sue fragilità e le sue domande e fare appunto dell’atto educativo un atto d’amore.

Dall’esserci, dallo stare accanto, si passa all’ascolto. Da questo ascolto nasce un interessamento, un prendersi cura della persona; a questo punto, ultimo, ma non ultimo, l’atto educativo arriva al suo culmine con l’annuncio di Gesù. Volen-do coniare uno slogan, potrebbe essere “dall’azione alla relazione”, oppure “una azione che parte dalla relazione”.

5. Le alleanze educative per affrontare le grandi questioni dell’uomoNell’affrontare le grandi sfide che riguardano l’uomo e l’umano, emerge l’e-

sigenza di stringere alleanze educative con tutti coloro che hanno a cuore il bene della persona.

Nell’atto educativo la Chiesa non vuole procedere isolata. Ci sono delle que-stioni importanti che ci richiamano e contesti di impegno in cui queste alleanze sono ineludibili e fondamentali: le stesse testimonianze ascoltate nella serata di giovedì sera ce lo hanno ribadito.

don Andrea TuchiniSegretario del Convegno

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Una grande folla per una grande festa. Domenica 3 aprile, durante la S. Messa delle 17.30 in Basilica Cattedrale, il Vescovo di Rimini mons. Francesco Lambiasi ha istituito 86 nuovi ministri istituiti. Provenienti dalle diverse parroc-chie della Diocesi (e alcuni appartenenti ad alcuni ordini religiosi e movimenti ecclesiali), i nuovi ministri istituiti in particolare sono: 21 accoliti, 17 lettori, 48 ministri straordinari della Comunione. Tra loro alcune suore e tre seminaristi, ma sono sopratutto i laici che si sentono interpellati da questa occasione di prezioso servizio alla comunità.

Tra gli accoliti (tutti uomini), erano presenti un seminarista, due persone provenienti dalla Diocesi di San Marino-Montefeltro. Le parrocchie più rappre-sentate in questo ministero, sono state S. Maria di Spadarolo – Vergiano e Cuo-re Immacolato di Maria (Bellariva) con due accoliti a testa.

Tra i 17 nuovi lettori di domenica, due erano seminaristi, 2 provenivano da S. Maria Ausiliatrice e ben 6 dalla parrocchia di Castelvecchio, Savignano.

Tra i 48 ministri straordinari della Comunione istituiti, 13 sono uomini e 35 donne. In 5 casi si tratta di religiose, 6 persone provengono dalla Diocesi di San Marino-Montefeltro, mentre le parrocchie più rappresentate sono Sacro Cuore di Gesù (Miramare) con 6 nuovi ministri (di cui 4 suore), S. Maria di Corpolò e S. Apollinare e Pio V di Cattolica, con 4 ministri istituiti a testa. Seguono due S. Michele Arcangelo: la parrocchia di Santarcangelo di Romagna e quella di Mor-ciano, con 3 ministri straordinari.

Sale così a 900 il numero dei ministri istituiti nella Diocesi di Rimini, di cui 500 donne e 400 uomini. Gli accoliti sono 200, i lettori 100, 600 i ministri stra-ordinari della Comunione, che possono distribuire il corpo e il sangue di Cristo durante l’Eucaristia ma anche agli ammalati che non possono fisicamente re-carsi a Messa. Un centinaio di persone hanno ricevuto due ministeri, una decina di adulti addirittura tutti e tre.

Le parrocchie con più ministri istituiti sono san Michele Arcangelo di San-tarcangelo e Sant'Agostino, a Rimini, un numero che risente anche della dimen-sione totale delle due parrocchie. I ministri sono arrivati al momento dell'istitu-zione dopo quattro incontri di formazione, alcuni anche frequentando l'Istituto Superiore di Scienze Religiose “A. Marvelli” di Rimini.

Istituzione di 86 nuovi Ministri

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Grazie a due magnifiche giornate quasi estive e con la Pasqua alle porte, per la 31a raccolta pro-missioni, svoltasi il 9 e 10 Aprile, il bilancio finale fa regi-strare un utile netto di 187 mila euro: ovvero 20 mila euro in più dell'anno scor-so, che pure fu un anno record. Si tratta di un esito straordinario al quale hanno contribuito l'aumentata quantità di materiali raccolti, l'incremento di vendite nei mercatini dell'usato, l'accresciuto numero di volontari impegnati e senza di-menticare le due magnifiche giornate di sole che hanno riscaldato l'edizione di quest'anno, riversando nei centri di raccolta migliaia di persone. Basti pensare che complessivamente nei piazzali di Rimini, Riccione, Bellaria, Villa Verucchio sono state ammassate qualcosa come 261 tonnellate di ferro e metalli vari, 164 tonnellate di indumenti usati, 80 tonnellate di carta, 49 di legno, 26 di vetro e 125 tonnellate di rifiuti elettrici e elettronici. Una montagna di rottami che, rivenduti sul mercato del recupero hanno fruttato 94 mila euro. Ai quali vanno aggiunti gli oltre 70 mila euro dei mercatini dell'usato, i quasi 18 mila euro provenienti dalla vendita dei biglietti della lotteria, più altri introiti e donazioni.

Tra questi, in particolare il contributo di 8 mila euro assegnato da Hera Ri-mini che anche quest'anno ha deciso di sostenere "una iniziativa di solidarietà - sono parole del direttore Edolo Minarelli - che si inserisce perfettamente nel quadro di valori che da sempre guidano le politiche aziendali: vicinanza al terri-torio e alle migliori iniziative che lo contraddistinguono".

In tutti i centri di raccolta si sono riversate migliaia di persone. Una folla multicolore e multilingue in mezzo alla quale era davvero difficile farsi largo, e alla quale si è aggiunto, in particolare a Rimini, l'intasamento delle auto private giunte al Campo per scaricare materiali, facendo risparmiare viaggi ai camion ma anche rallentando il lavoro dei volontari. A causa dell'elevatissimo numero di chiamate in alcuni casi non si è riusciti a procedere al ritiro dei materiali. Dalle abitazioni ma soprattutto dagli alberghi è arrivato di tutto e di più. Dalla marea di vecchi televisori a tubo catodico da sostituire perché privi di decoder, alla montagna di computer usciti dagli scantinati di scuole e Università, a un'infinità di vecchi mobili che il Campo raccoglieva per la prima volta rivendendoli a 15 euro alla tonnellata come legname da recupero.

Come sempre, in questa specie di suk non sono mancati gli episodi e gli og-getti curiosi. Dai 237 dollari trovati per caso a Riccione, ben piegati tra le pagine di un libro; al borsone - sempre raccolto dai fortunati campo lavoratori riccione-

Campo Lavoro Missionario 2011

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Avvenimenti Diocesani

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si - ricolmo di vecchie monete da 10, 20 e 50 lire. Dalle 20 camerette d'alber-go complete messe in vendita al Campo di Bellaria e ritirabili direttamente in l'hotel, al malandato pianoforte che a Rimini qualcuno ha tentato inutilmente di suonare e che alla fine è stato svenduto a 100 euro.

I volontari si sono ritrovati poi venerdì 15 aprile, presso la Parrocchia di

Santa Maria al Mare a Viserba per la Messa di ringraziamento del Campo 2011. E’ seguita l'estrazione dei biglietti della Lotteria.

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Il risultato record del Campo 2011 consentirà di allungare - e di molto - l'e-lenco dei beneficiari che passano da 4 a ben 17. Tra le finalità già annunciate, 30 mila euro andranno alla missione di Marilena Pesaresi in Zimbabwe per la costruzione di nuovi alloggi destinati agli infermieri dell'ospedale di Mutoko. Altri 30 mila euro sono stati destinati alla realizzazione di un ostello per ra-gazze nella missione delle Maestre Pie in Bangladesh; 22 mila euro serviranno per finanziare la formazione di maestri di sostegno nella missione diocesana in Albania mentre 16.200 euro andranno al progetto di recupero scolastico presentato dall'Associazione Papa Giovanni XXIII in Cile, rivolto a bambini pro-venienti da situazioni di degrado.

Tra i nuovi aiuti figurano ancora un contributo di 10 mila euro per la rea-lizzazione di una struttura di recupero di minori ex carcerati nella missione di Maria Negretto in Camerun; un finanziamento di 9.500 euro per garantire un servizio di assistenza psicosociale nella missione di Apucarana delle suore di Sant'Onofrio in Brasile. Altri 4 mila euro sono stati assegnati alla Consulta della Protezione civile riminese che da anni collabora con la missione delle suo-re di Sant'Onofrio in Tanzania; 10 mila euro andranno invece all'Associazione morcianese "Oasi di speranza" impegnata nella missione di Timon in Brasile e serviranno per la realizzazione di un orto didattico finalizzato alla formazione professionale dei giovani del luogo. Ancora 10 mila euro sono stati destinati all' "operazione cuore" della Caritas di Rimini per coprire le spese di viaggio dei piccoli cardiopatici seguiti dalla dottoressa Marilena Pesaresi e trasferiti dallo Zimbabwe per essere operati in Italia. Sempre tra le nuove destinazioni figura-no la missione di San Martin del Porres in Venezuela (10 mila euro a sostegno del progetto di asili popolari), la missione in Congo di Padre Forcellini (8 mila euro per opere murarie nella scuola della missione), la missione di Padre Re-signo nelle Filippine (3 mila euro per la ricostruzione di baracche incendiate) e un aiuto ad una piccola comunità cristiana in Ghana con la quale mantiene i contatti il sacerdote misanese don Marzio Carlini (3 mila euro per il comple-tamento della chiesa).

Ulteriori contributi serviranno infine per sostenere altri progetti urgenti a livello locale. 5 mila euro andranno alla comunità aquilana di San Nicola di Torninparte (già aiutata l'anno scorso) per proseguire la ricostruzione post-teremoto; 4.400 euro saranno utilizzati per sostenere il progetto di "Casa Be-tania della parrocchia di San Raffele di Rimini (struttura di accoglienza per anziani); 2.000 euro per iniziative rivolte a gruppi di immigrati presso la chiesa

La ripartizione dell'utile. Tutti gli aiuti 2011

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di San Nicolò, mentre 10 mila euro sono stati assegnati alla Missio diocesana (ex Ufficio missionario) per finanziare progetti formativi rivolti a giovani che intendono impegnarsi nell'attività missionaria.

La consegna degli utili ai missionari è avvenuta sabato 4 Giugno alle ore 19, nella chiesa di San Martino a Riccione, dopo la celebrazione della messa di ringraziamento a conclusione del Campo Lavoro 2011.

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La Settimana Santa 2011 si è aperta Mercoledì santo: i sacerdoti della Dio-cesi si sono ritrovati presso il Seminario “don Oreste Benzi” per un ritiro guida-to dal vescovo Francesco Lambiasi.

Alle 15,30 si è svolta in Basilica Cattedrale la Messa del Crisma. È una cele-brazione unica in tutto l’anno liturgico: è presieduta dal Vescovo ed è concele-brata da tutti i sacerdoti, sia diocesani che religiosi. In essa vengono benedetti gli olii per la celebrazione dei sacramenti: l’olio dei catecumeni (usato nei riti preparatori del Battesimo), l’olio degli Infermi (per il sacramento dell’Unzione dei malati), e il Crisma (usato nel rito del Battesimo, della Cresima, nelle Ordi-nazioni presbiterali ed episcopali). Durante la Messa il Vescovo ha rivolto la sua omelia soprattutto ai sacerdoti, che in tale occasione rinnovano le promesse della loro ordinazione. I sacerdoti si sono preparati alla celebrazione della Mes-sa del Crisma con una mattinata di ritiro e di preghiera in Seminario.

Giovedì santo, 21 aprile, alle ore 18 in Basilica Cattedrale si è celebrata la Messa nella Cena del Signore, memoriale dell’Ultima Cena e dell’istituzione dell’Eucaristia e del sacerdozio. Il Vescovo compirà il gesto di Gesù ai suoi apostoli: la lavanda dei piedi a dodici sacerdoti e seminaristi. Dopo la Messa l’Eucaristia sarà solennemente riposta per l’adorazione.

Venerdì santo, 22 aprile, giorno di contemplazione del mistero della pas-sione di Gesù durante il quale i fedeli sono invitati al digiuno e all’astinenza dalle carni.

I Giovani dell’Azione Cattolica di tutta la Diocesi hanno svolto la Via Crucis, dal titolo “Fino in cima”.

La traccia delle riflessioni ha avuto come filo conduttore la lettura di alcuni momenti significativi della Passione dal vangelo secondo Matteo.

Il percorso, suddiviso in tre tappe, a cui si aggiungono introduzione e tappa finale, animate dai giovani e accompagnate dal Vescovo Francesco Lambia-si e dall'Assistente diocesano dei giovani di Azione Cattolica don Giampaolo Rocchi, ha previsto la partenza dalla chiesa di San Vicinio a Torriana e l'arrivo dopo pranzo presso il santuario della Madonna di Saiano, dove si è svolta la celebrazione della Passione del Signore.

L'invito è stato rivolto a tutti i giovani delle parrocchie e associazioni con i loro educatori per trascorrere insieme una giornata di riflessione spirituale e di vita, sottolineata dallo stile sobrio del pranzo a base di solo pane e acqua.

Settimana santa e celebrazioni pasquali

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Alle ore 18 il Vescovo ha presieduto in Basilica Cattedrale la celebrazione della Passione del Signore. Dopo la lettura solenne della passione dal Vangelo di S. Giovanni, si è svolta la grande preghiera per le intenzioni della Chiesa seguita dalla presentazione e l’adorazione della Croce. La celebrazione si è conclusa con la Comunione eucaristica, con il Pane consacrato nella Messa del Giovedì santo.

Sabato santo 3 aprile la Chiesa sosta presso il sepolcro del Signore. Nella Chiesa di S. Bernardino, alle 10, si è cantato l’”Ora della Madre”: una

preghiera in canto, della tradizione cristiana orientale, in cui si rivive la spe-ranza della Madonna in trepida attesa della risurrezione del Figlio. Parteciperà anche il Vescovo.

Alle 22,30, in Basilica Cattedrale, il Vescovo ha presieduto la solenne Ve-glia Pasquale nella notte santa. Ha aperto la celebrazione il “Lucernario”, con inizio sul sagrato: benedizione del fuoco, preparazione del cero, ingresso in Cattedrale, canto dell’Annunzio Pasquale. E’ seguita la liturgia della Parola, con le letture, il Vangelo e l’Omelia. Il Vescovo ha proceduto alla liturgia battesima-le, conferendo i sacramenti dell’Iniziazione Cristiana a 23 catecumeni giovani ed adulti di varie nazionalità; seguita dalla liturgia eucaristica.

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Giovedì 5 maggio il Vescovo ha incontrato i Dirigenti scolastici. In una Sala San Gaudenzo gremita, mons. Lambiasi si è soffermato sul tema dell’educa-zione, a partire del documento dei Vescovi italiani, Educare alla vita buona del Vangelo, che la Diocesi di Rimini ha subito “tradotto” nel grande convegno di fine aprile-inizio maggio e in una serie di orientamenti per la Chiesa riminese del prossimo decennio

Sul tema dell’educazione, cosa può dare la scuola? “La scuola ha bisogno di cambi strutturali significativi ed efficaci. Ma ha bisogno soprattutto di un rinnovato patto educativo tra insegnanti e studenti. Leggi e regolamenti sono come lo spartito. La musica la suonano gli interpreti, coloro cioè, che nella scuola vivono e lavorano quotidianamente”.

È uno dei passi più significativi dell’intervento che il Vescovo di Rimini Francesco Lambiasi ha tenuto incontrando i dirigenti scolastici della Provincia (e della Diocesi) di Rimini.

“La scuola – ha proseguito il Vescovo Francesco durante l’incontro, al qua-le han partecipato tra gli altri il dirigente scolastico della Provincia di Rimini, Agostina Melucci – si va sempre più trasformando in un caotico supermarket, in cui ognuno va cercare singoli «prodotti», secondo i canoni della società con-sumistica, e i cui commessi – i docenti – non avrebbero altro compito se non quello di dare istruzione per l’uso degli strumenti, lasciando la questione del senso ai «clienti», che sono gli studenti”. Una scuola del genere, ne è convinto mons. Lambiasi, non sarebbe solo una brutta scuola. Sarebbe fatalmente “una scuola cattiva, perché costringerebbe gli studenti a soffocare il desiderio di infinito che ogni «cucciolo» d’uomo e di donna porta dentro”. In ultima analisi, una scuola del genere costringerebbe “i ragazzi a rimandare l’appuntamento con sé stessi”.

Per questo è indispensabile una scuola che aiuti a recuperare il confronto con il “reale”, per smascherare i miti, i luoghi comuni, gli slogan imposti dalla cultura dominante sull’onda di mode effimere e alla fin fine deludenti. “Ci è indispensabile una scuola che orienti a riscoprire nel passato e nel presente, nel mondo e nella vita i semi di verità e di senso presenti in esso.”

“Fatti non foste a viver come bruti” ricorda Dante. E per vivere da umani, rilancia il Vescovo Francesco, “abbiamo la necessità e, insieme, la possibilità di conoscere. Questo verbo in francese ha una impressionante parentela con il verbo nascere. È vero: conoscere è come «venire alla luce» un’altra volta, è rinascere con un nuovo sguardo sulla vita, sul senso dell’amore, del lavoro e

La scuola? C’è bisogno di un patto educativoIncontro del Vescovo con i Dirigenti ScolasticiRimini, 5 maggio 2011

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del dolore, della ricerca e della scoperta, della comunione e della gioia”. Per questo, ha concluso il Vescovo di Rimini, “servono degli insegnanti che… ser-vano a «far nascere» di nuovo i propri alunni, ricollegandoli alla tradizione ed educandoli a riappropriarsene criticamente e vitalmente”.

Un’altra illuminante metafora per lo studio, utilizzata in modo sapiente da mons. Lambiasi, è quella del cammino: non siamo dei vagabondi smemorati che non ricordiamo più da dove sono partiti e dove stiamo andando, come qualche pubblicità in voga vorrebbe farci credere (“Life is now”). “Abbiamo bisogno di scoprire la meta che ci attende. Ci occorre qualcuno che ci guidi e ci aiuti ad andare avanti. E non possiamo fare a meno di compagni – è l’invito e l’auspicio finale del Vescovo – con cui condividere l’attrattiva dei grandi oriz-zonti e la concretezza dei piccoli passi.” Come recita un antico adagio, se corro da solo vado più forte, ma se cammino insieme ad un altro vado più lontano.

Al termine dell’incontro, alle ore 18,30 presso la Chiesa di Sant’Agostino di Rimini, il Vescovo Francesco ha presieduto la S. Messa per la Scuola, un appun-tamento ormai tradizionale per la Diocesi di Rimini, al quale hanno partecipato dirigenti scolastici, docenti, studenti di ogni ordine e grado e il personale non docente.

L'intervento del Vescovo è riportato integralmente, sopra, alle pagine 46-53)

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Martedì 31 maggio il Vescovo di Rimini Francesco Lambiasi ha provveduto a nominare il nuovo Economo diocesano.

Si tratta di don Danilo Manduchi, 58 anni, parroco di S. Martino in Riparotta e Vicario foraneo del vicariato Litorale nord.

Don Danilo Manduchi (che continuerà a svolgere il suo servizio pastorale come parroco di S. Martino in Riparotta) prende il posto di mons. Andrea Ba-iocchi, 81 anni, che ha svolto un prezioso servizio nel Consiglio per 40 anni, di cui 11 come responsabile dell’Ufficio nuove chiese e collaboratore di don Alfredo Castiglioni, e 29 anni in qualità di Economo diocesano.

Come Vicario Episcopale per l’Economia, mons. Andrea Baiocchi resterà a collaborare con l’Ufficio Diocesano per l’Economia.

Vice Economo diocesano è confermato Maurizio Casadei.

Il Vescovo ha anche nominato il nuovo Consiglio per gli affari economici.Ne fanno parte:mons. Giuseppe Celli, parroco di Ss. Vito e Modesto (Rimini)don Giampaolo Bernabini, parroco di Natività di Maria Ss. di Castelvec-

chio (Savignano)don Andrea Turchini, rettore del Seminario diocesano “don Oreste Benzi”avvocato Pierino Budaragioniere Daniele Dell’Omoarchitetto Elena De CeccoI componenti del nuovo Consiglio (che resterà in carica per i prossimi cin-

que anni) hanno prestato giuramento nella giornata di lunedì 30 maggio.

Il Vescovo ringrazia i sacerdoti e i laici che hanno prestato la loro opera e quanti si sono ora impegnati in questo servizio per lo spirito di disponibilità e di corresponsabilità, e invoca su tutti la benedizione del Signore.

Nomina del nuovo Economo diocesano

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Da martedì 21 a giovedì 23 giugno presso la Chiesa di Sant’Agostino si è svolto un Triduo di preghiera in preparazione del Congresso Eucaristico Nazionale (Ancona, 3-11 settembre 2011):Martedì 21 giugno Adorazione Eucaristica guidata; Mercoledì’ 22 Adorazione Eucaristica guidata; Giovedì 23 Celebrazione Eucaristica presieduta dal nostro Vescovo Francesco a cui è seguita la Solenne Processione del Corpus Domini per le vie cittadineIl Santo Padre Benedetto XVI, ci ricorda che "i fedeli cristiani hanno bisogno di una più profonda comprensione delle relazioni fra l'Eucaristia e la vita quo-tidiana".Con questa consapevolezza sono stati invitati tutti i parroci del Vicariato Urba-no a sensibilizzare le proprie comunità a partecipare numerosi a questi appun-tamenti quale segno di unità e comunione per stringerci a Cristo Via, Verità e Vita: "Signore da chi andremo? L’Eucaristia per la vita quotidiana".L'invito a vivere in comunione di preghiera è stato esteso a tutti i Vicariati affin-ché possiamo essere un unico coro. Ogni parroco è stato invitato a sensibiliz-zare i fedeli a lui affidati perché chi non potrà partecipare alle Celebrazioni a S. Agostino, possa sentirsi partecipe di questa comune preghiera.Questa catena di preghiera che avvenuta in tutta la Diocesi, è stata anche l'occasione per accogliere l'invito della Congregazione Pro Clericis di stringerci intorno al Sommo Pontefice, in occasione del sessantesimo anniversario della sua Ordinazione Sacerdotale avvenuta il 29 giugno 1951. Si offriranno preghie-re per la santificazione del Clero e per ottenere da Dio il dono di nuove e sante vocazioni.

Triduo in preparazione al Convegno Eucaristico nazionale

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Il Vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi, oggi venerdì 24 giugno, alle ore 12, in concomitanza con la Sala Stampa vaticana e il Vicariato di Roma, ha dato l’annuncio della nomina da parte del Santo Padre, di mons. Giovanni Tani, sacerdote diocesano, ad Arcivescovo della Diocesi Suffraganea di Urbino-Urbania-Sant’Angelo in Vado. Sostituisce l’Arcivescovo Francesco Marinelli, per sopraggiunti limiti di età.

Il Vescovo Lambiasi, a nome di tutta la Diocesi di Rimini, esprime i più felici rallegramenti a mons. Giovanni Tani per la nomina, confermando stima e frater-na amicizia e augura intenso, fecondo ministero episcopale.

Mons. Giovanni TaniNato l’8 aprile 1947 a Sogliano al Rubicone. secondo di quattro fratelli,

mons. Giovanni Tani ha compiuto gli studi nel Seminario minore di Rimini e Bologna, e ha frequentato il Seminario Romano Maggiore dal 1967 al 1974.

E’ stato ordinato sacerdote per la Diocesi di Rimini dal Vescovo monsignor Emilio Biancheri a Sogliano il 29 dicembre 1973.

Dal 1974 al 1985, mons. Tani è stato direttore spirituale del Seminario dio-cesano di Rimini. Dal 1985 al 1999 è stato nominato direttore spirituale del Pontificio seminario romano maggiore, incarico che ha lasciato nel 1999 per divenire parroco di Nostra Signora di Lourdes a Tor Marancia, in provincia di Roma, ruolo che ha ricoperto fino al 2003.

Nel 2003 Papa Giovanni Paolo II lo ha nominato rettore del Seminario romano maggiore, nomina resa nota dal cardinale vicario Camillo Ruini in occa-sione della festa della Madonna della Fiducia, protettrice del Seminario romano.

Ha conseguito la Licenza di Diritto canonico presso la Pontificia Università Lateranense e il dottorato in Teologia spirituale presso l’Università Gregoriana.

E’ anche Canonico onorario della Cattedrale di Rimini.

Mons. Giovanni Tani nominato Arcivescovo di Urbino-Urbania-Sant’Angelo in Vado

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Costanza,paternità sacerdotale e saggezza nella guida spiritualeDon Antonio Bartolini, morto a 90 anni, per 51 anni sacerdote a Vignola.Un uomo, un soglianese, che si è identificato con la sua terra e il suo popolo

Dopo 90 anni e due giorni di vita e 57 anni di sacerdozio, don Antonio Bar-tolini, o don Tonino, come qui tutti affettuosamente e rispettosamente lo chia-mavano, ha risposto all’ultima vocazione: la chiamata alla vita eter¬na. I cristiani delle catacombe chiamavano il giorno della morte il “dies natalis”, giorno della nascita alla vita che non finisce. Era nato l’8 giugno 1921 a Perticara, penultimo di 13 figli, da babbo Anacleto, minatore nella locale miniera di zolfo, e da Santa Mancini. Ordinato prete il 25 marzo 1944 nella cappella del seminario di Pen-nabilli dal Vescovo Vittorio De Zanche, fu l’unico della sua classe a raggiungere il sacerdozio. Il suo primo incarico pastorale fu quello di cappellano a Talamello, sotto la guida di un santo sacerdote, don Filippo Baldassini, e all’ombra del me-raviglioso Crocefisso, attribuito a Giotto, la cui festa è celebrata il lunedì di Pen-tecoste. Le prime esperienze pastorali, con le loro gioie e le loro pene, avranno certamente ispirato molti momenti di intimità, di preghiera e di dialogo di don Tonino con il Crocefisso.

Come la prima, anche la seconda esperienza pastorale di don Tonino a Mon-tegrimano fu breve, per alcuni problemi di salute. Si ritirò per un tempo presso lo zio don Salvatore, parroco di Strigara. A Natale del 1947 divenne coadiutore con diritto di successione del parroco di Vignola don Giuseppe Sartori, alla morte del quale giuridicamente succedette nel 1949.

Il 1° luglio 1998 don Tonino presentò al Vescovo di Rimini le dimissioni da parroco di Vignola, avendo già oltrepassato il compimento del 75esimo anno. Una settimana dopo mons. Mariano De Nicolò rispose accettando le dimissioni presentate.

Per 51 anni don Tonino esercitò il ministero sacerdotale a Vignola, dove fu parroco per 49 anni. Il suo stile fu calmo, sereno, pacifico; la sua nota do¬minante fu la costanza, la paternità sacerdotale e la saggezza della guida spi¬rituale. Quando dissi ai miei che volevo entrare nel seminario, mia madre mi disse “se vuoi essere prete e un buon prete, guarda don Tonino”, da cui usava confessarsi. Don Tonino fu all’origine della nuova parrocchia e chiesa parroc-chiale di San Paolo di Ponte Uso, la cui prima pietra venne benedetta da mons. Antonio Bergamaschi il 6 luglio 1958. Sotto l’altare una pergamena, dettata in latino da mons. Rubertini, in italiano dice “nell’anno del Signore 1958, durante

Una campana, il prete, la sua gente In memoria di don Antonio Bartolini

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Necrologi

l’anno centenario dell’Apparizione della Beata Vergine Immacolata nella Grotta d Lourdes, in giorno di domenica 6 luglio, alla presenza dei sacerdoti don Antonio Bartolini parroco di S. Maria in Vignola, don Domenico Palpacelli parroco di S. Maria di Pietra dell’Uso e di don Fernando Ferrini parroco di S Apollinare di Gi-nestreto Sua Eccellenza Mons. Antonio Bergamaschi, Vescovo di Montefeltro, tra la le tizia del popolo plaudente, compì la rituale bene dizione della prima pietra della nuova chiesa parrocchiale”. Terminata la costruzione materiale della chiesa, don Bartolini per diversi anni si dedicò alla costruzione della comunità parroc-chiale di San Pietro Apostolo di Ponte Uso. In quella chiesa non ancora ultimata, fui ordinato sacerdote il 14 marzo 1964, assistito da don Antonio Bartolini e da don Alfonso Clementi.

Per circa due anni don Tonino ha compiuto il servizio pastorale anche presso l’Abbazia di Montetiffi di cui si innamorò e della quale nel 1967 scrisse la storia.

La chiesetta di San Donato, nella parrocchia di Vignola, fu teatro di una ce-lebre battaglia di cui parlano le memorie della II Guerra Mondiale. Don Tonino molto fece perché scomparissero dai muri i segni della violenza e dell’odio e la chiesetta rifatta tornasse a essere sul colle del vasto orizzonte un invito alla fede, all’amore, alla speranza.

Un servizio lungo, silenzioso e prezioso è stato quello che egli ha prestato con puntuale regolarità alle Suore Agostiniane di Sogliano come cappellano e confessore.

Il 9 novembre 1985, mentre ricevevo l’ordinazione episcopale dal Card. Jozef Tomko nel Duomo di Rimini, avevo la gioia di essere nuovamente accompagna-to da don Antonio Bartolini e da don Alfonso Clementi.

Come segno di amore per queste terre, queste chiese e questa gente, egli ha lasciato diverse pubblicazioni storiche, diventate

un punto di riferimento obbligatorio per chi voglia conoscere meglio i nostri posti.

Nel 1998 il comitato parrocchiale di Vignola pub¬blicò un volumetto dal titolo: “Terra di Vignola: una campana, il prete, la sua gente”, per onorare e rin-graziare don Bartolini

al termine del suo lungo ministero.Lo stesso anno 1998 egli si ritirò presso la Casa del Clero in Rimini fino all’8

marzo 2011, quando fu trasferito al Maccolini, dove è deceduto il 10 giugno.

L’uomo di culturaIsieme agli impegni pastorali, don Tonino ha curato lo studio, conseguendo

prima la Licenza in Pastorale presso la Pontificia Università Lateranense in Roma (1966) e poi il Dottorato presso la Fa¬coltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Urbino (1970). Saltuariamente ha in¬segnato come supplente per brevi periodi nelle scuole medie.

Leggendo libri di storia locale e documentazione di archivio, egli si è ap-passionato alle memorie dei propri luoghi e di quelli dove è stato chiamato ad esercitare il ministero sacerdotale; le sue pub-blicazioni sono diventate un punto di riferimento obbligatorio per chi voglia conoscere il passato della nostra zona. Don Tonino è autore degli studi seguenti:

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La rocca di Strigara e i Malatesta di Sogliano, Sogliano al Rubicone 1969;Il Capobandito Ramberto Malatesta, feu¬datario nel Montefeltro di Tornano

e Serra, Sogliano al Rubicone, 1964;Montetiffi e la sua Abbazia, Memorie Sto¬riche, Cesena 1967L’Abbazia benedettina di Montetiffi nel Montefeltro: dalle origini alla metà

del ’400, Urbino, 1970. Tesi di laurea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Urbino. Relatore: prof. Lino Marini.

Perticara nel Montefeltro: un monte, una miniera, un paese, Rimini, 1974;I Vescovi del Montefeltro: cronotassi (826- 1976), Urbania, 1976;Sogliano al Rubicone: tra cronaca e storia, S. Maria di Vignola, Sogliano al

Rubicone, 1980.Don Tonino inoltre è autore delle voci “S. Leo” e “S. Marino” nella volumi-

nosa pubblicazione Bibliotheca Sanctorum, Roma 1962-1969, e dell’articolo “La chiesa delle Agostiniane di Sogliano al Rubicone”, edito a cura delle medesime nel 1975.

+ mons. Pietro SambiArcivescovo - Nunzio Apostolico in USA

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BollettinoAprile - Giugno

20112

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Direz. Amministr.: Curia Vescovile, via IV Novembre, 35Rimini – Tel. 0541. 24244Pubblicazione TrimestraleCon approvazione ecclesiastica

Progetto grafico e impaginazione - KaleidonStampa: Tipolito Garattoni - Rimini

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