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03 Centro di gravità (permanente) Il cuore di Firenze è il simbolo dell’operosità che diventa bellezza. Peccato che speculazione, malaffare e inciviltà lo stanno condannando al degrado. Dobbiamo rifondare un patto di convivenza, fare delle piazze il luogo dell’incontro, dare sicurezza e richiedere responsabilità. ‘Firenze Dispari’ inizia un suo viaggio nel centro della città... a cura di Maurizio Abbati A.A.A.: progeo per l’Oltrarno cercasi Dire che l’Oltrarno sta cambiando è come recitare una litania. Il problema vero è che nessuno regola o ha regolato il cambiamento, se non a posteriori. Tra riconversione tardiva dei fondi argiani in abitazioni e case affacciate che tremano al passaggio dei grandi bus. Firenze non è Parigi, l’Arno non è la Senna e non basta sedere sulla riva sini- stra per portarsi addosso l’echea di rive gauche. Eppure il tessuto di cui si veste Santo Spirito in fondo si presta a cucire un vesto da quarere intellet - tuale, arsco e a modo suo bohemien. Basterebbe un buon sarto. La mate- ria prima è faa di popolo, di gente cresciuta all’ombra dei grandi campanili, il tema del mese !!! la protesta sui muri di Piazza della Passera e delle strade circostanti dove si è riversato il traffico conseguente la pedonalizzazione di Piazza Pitti (pagina a fronte)

Centro di gravità

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Centro digravità(permanente)Il cuore di Firenze è il simbolo dell’operosità che diventa bellezza. Peccato che speculazione, malaffare e inciviltà lo stanno condannando al degrado. Dobbiamo rifondare un patto di convivenza, fare delle piazze il luogo dell’incontro, dare sicurezza e richiedere responsabilità.‘Firenze Dispari’ inizia un suo viaggio nel centro della città...

a cura di Maurizio Abbati

A.A.A.: progetto per l’Oltrarno cercasi

Dire che l’Oltrarno sta cambiando è come recitare una litania. Il problema vero è che nessuno regola o ha regolato il cambiamento, se non a posteriori. Tra riconversione tardiva dei fondi artigiani in abitazioni e case affacciate che tremano al passaggio dei grandi bus.

Firenze non è Parigi, l’Arno non è la Senna e non basta sedere sulla riva sini-stra per portarsi addosso l’etichetta di rive gauche. Eppure il tessuto di cui si veste Santo Spirito in fondo si presta a cucire un vestito da quartiere intellet-tuale, artistico e a modo suo bohemien. Basterebbe un buon sarto. La mate-ria prima è fatta di popolo, di gente cresciuta all’ombra dei grandi campanili,

il tema del mese

!!!la protesta sui muri di Piazza della

Passera e delle strade circostanti dove si è riversato il traffico

conseguente la pedonalizzazione di Piazza Pitti (pagina a fronte)

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frammisti a quegli autentici quarti di nobiltà che tuttora si riconoscono nei grandi palazzi e nei giardini invisibili dal passante. Del resto la storia parla chiaro e racconta di un quartiere sorto e sviluppato attorno a un primo insediamento fatto di piccola manodopera e artigiani, che misero qui le loro botteghe e vi costruirono le loro case, prima ancora che nel Duecento si pensasse di costruire i nuovi ponti che lo collegassero con l’altra sponda del fiume. E il diritto a far parte integrante della città in rapida espan-sione arrivò solo nel Trecento, con la costruzione della sesta cerchia di mura. Di quell’epoca, l’Oltrarno ha mantenuto la vocazione produttiva; e la forte presenza degli artigiani ne ha segnato lo sviluppo e la fisionomia, sociale e ur-banistica, fino a pochi anni fa, quando la crisi, la difficile raggiungibilità, il caro affitti, hanno cominciato a far sentire i loro effetti. Ma di quegli stessi anni è rimasta anche la capacità incredibile di integrazione, cosicché i sanfredianini di oggi sono già un melting pot che sconta i problemi legati all’immigrazione e cerca di governarli a modo suo, facendo filtro, anche a muso duro, con una contrapposizione che lascia spazio solo quando si condividono le regole base di convivenza.

Dire che l’Oltrarno sta cambiando però è come recitare una litania. Certo che cambia, e lo fa da sempre. Come è normale che sia in ogni città moderna. Il problema vero, forse, è che nessuno regola o ha regolato il cambiamento, se non a posteriori. E’ capitato così che le norme con cui si è arginata la riconver-sione dei fondi artigiani in abitazioni, che avevano determinato la chiusura di molte botteghe, sono arrivate a cosa ormai fatta. E capita tuttora che le case affacciate sul borgo San Frediano tremino al passaggio dei grandi bus che lambiscono pedoni e portoni, mentre i mezzi elettrici restano solo un sogno. Così come non si è ancora trovata una soluzione per liberare dal peso delle auto il Cestello e il Carmine, una volta abbellita da alberi che qualcuno un giorno pensò sottraessero solo spazio alla sosta. E i turisti che arrivano in pel-legrinaggio per vedere la Cappella Brancacci appaiono stupiti di come il Ma-saccio possa aver trovato casa solo lì, senza generare un contesto culturale o solo logistico, fosse solo una panchina o un chiosco di bibite per rinfrescarsi nell’afa dell’estate. Del resto non esiste un vero e proprio percorso turistico in Oltrarno che vada oltre piazza Pitti e chi giunge da fuori città procede un po’ casualmente, in-ciampando nella bottega del falegname o del ceramista come in piacevoli sorprese. Non c’è un itinerario che valorizzi il tessuto artistico, come se Santo Spirito fosse solo l’ombelico della movida del quartie re o il punto di riferi-mento sicuro dei giornali che vanno in cerca di qualche segno di degrado.

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In rete ancora si trovano immagini e riproduzioni delle opere proiettate anni fa dal compianto Mario Mariotti sulla facciata di San Spirito.

Ma d’altra parte qui non c’è neanche un efficace sistema della mobilità, come si nota nell’inversione di senso di circolazione imposta proprio per Santo Spi-rito, o un sistema della sosta che tenga conto delle esigenze dei pedoni e dei ciclisti. Ogni tanto si cambia. Questo si sa. Ma pochi partecipano di questi cambiamenti: il coinvolgimento diretto della gente resta sempre scarso, al-dilà degli annunci. E le reazioni non si fanno attendere, in un quartiere di una vitalità uguale solo a se stessa. Reazioni che si traducono in comitati, in gruppi di cittadini pronti alla protesta, sia contro un’ipotesi di parcheggio sotterraneo per il Carmine di cui i residenti non hanno mai sentito il bisogno, sia per la chiusura del giardino Nidiaci di via della Chiesa, che resta una ferita, una sorta di tradimento dopo le rassicurazioni ricevute.

Qui però nessuno molla. Non lo fa Duccio, il bronzista di via Serragli, che allar-ga le braccia quando parla degli effetti della crisi che ha costretto molti suoi colleghi a chiudere, ma si riaccende nel ricordare la coppia di cinesi, i primi visti da queste parti, entrata ieri in bottega e proprio per comprare. Perché significa che i cinesi, allora, ci sono davvero. E non lo fa piazza Tasso, stretta attorno al suo campino di calcio e il piccolo parco giochi dove si alimenta la nuova generazione di sanfredianini. Attorno a loro, come se fossero gironi, i giovani che altro spazio non hanno se non quello di una panchina, almeno in estate. E ancora le mamme, defilate quanto basta per osservare i bambini giocare. E gli anziani, al circolo Aurora. Una spugna, capace di assorbire e integrare chiunque, ma pronta a strizzarsi per far schizzare fuori l’acqua quando il troppo è troppo. D’intorno presenze che ad integrarsi non ci pensano nemmeno; gli ospiti del vecchio albergo popolare, alcuni migranti su cui si posano gli sguardi torvi di altri loro conna-zionali che di quella piazza oggi si sentono orgogliosamente parte. Su tutto un’assenza pressoché totale di regia. Qui si va avanti alla Lorenz, in base all’imprinting: di generazione in gene-razione. Dell’idea di cancellare gli alberi e scavare per farci un parcheggio interrato ormai non si ricorda quasi più nessuno (e per fortuna). Uno dei tanti progetti abbandonati o rimasti a metà strada; come il Conventino di via Giano della Bella, cittadella pensata ed ampliata per rilanciare l’artigianato. Come l’area dell’ex gasometro, fuori le mura, e lì vicino la sede della Asl di Santa Rosa, con il suo presidio sanitario che il quartiere difende a denti stret-ti, ma che senza tradire questa sua vocazione potrebbe ospitare anche un parcheggio più facile da raggiungere che non quello ipotizzato al Carmine e senza bisogno di scavare sotto la piazza. Chi invece il suo progetto continua a coltivarlo è Vanni Torrigiani, che a due

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Piazza del Carmine è teatro, ormai da anni (decenni?), di

un dibattito interminabile che ruota attorno all’idea di

liberare la piazza (bene)e farci un parcheggio

sotterraneo (meno bene). Uno, due o tre piani... ma gli abitanti? Contrari da sempre

e non sempre ascoltati.

passi da piazza Tasso invita le scolaresche del quartiere a immergersi nel ver-de del suo giardino, che con i suoi quasi sette ettari è il più grande giardino privato d’Europa all’interno della cerchia delle mura di una città, con la sua serra riscaldata dai pannelli fotovoltaici, le splendide aiuole e le collezioni di insalate che per i bambini sono ogni volta una scoperta.

E’ di questo che San Frediano ha voglia: di progetti, ma soprattutto di ri-definire le proprie funzioni urbane. Valutare l’impatto delle auto (qualcuno aveva anche proposto una tramvia leggera con capolinea a Porta Romana), facilitare la circolazione delle biciclette, mettere in sicurezza i percorsi pedo-nali attraverso una revisione della sosta, stimolare il recupero e il riutilizzo degli immobili dove c’è bisogno di ristrutturazione, presidiare meglio le stra-de attraverso i vigili di prossimità. Ma anche abbattere i tributi per chi crea attività economica, riapre le botteghe, riaccende le luci spente, stimolando la nascita di centri commerciali naturali. Pensare a piazze con tanto di arre-do urbano e wi-fi, agli spazi ricreativi. E ancora tracciare percorsi turistici e culturali che coinvolgano il quartiere, perché se dall’altro lato del fiume gli occhi degli stranieri brillano lungo le vie della moda, qui possono farlo per le vie dell’artigianato, per l’odore del tempo andato che si respira. Ci vuole però un’idea di città.

“Il rione di Sanfrediano - scriveva Vasco Pratolini - è ‘di là d’Arno’, è quel gros-so mucchio di case tra la riva sinistra del fiume, la Chiesa del Carmine e le pendici di Bellosguardo; dall’alto, simili a contrafforti, lo circondano Palazzo Pitti e i bastioni medicei; l’Arno vi scorre nel suo letto più disteso, vi trova la cura dolce, ampia e meravigliosa che lambisce le Cascine. Quanto v’è di perfetto, in una civiltà diventata essa stessa natura, l’immobilità terribile e affascinante del sorriso di Dio, avvolge Sanfrediano, e lo esalta. Ma non tutto è oro quel che riluce. Sanfrediano, per contrasto, è il quartiere più malsano della città; nel cuore delle sue strade, popolate come formicai, si trovano il Deposito Centrale delle Immondizie, il Dormitorio Pubblico, le Caserme. Gran parte dei suoi fondaci ospitano i raccoglitori di stracci, e coloro che cuociono le interiora dei bovini per farne commercio, assieme al brodo che ne ricavano. E che è gustoso, tuttavia, i sanfredianini lo disprezzano ma se ne nutrono, lo acquistano a fiaschi”. Una dichiarazione d’amore per un quartiere che tuttora almeno in parte so-pravvive e deve sopravvivere, ma vuole anche guardare al futuro.

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a cura di Marco Bazzichi

San Lorenzo: c’era una volta una città nella città

Chiamatelo “rione” o “quartiere”: resta un’enorme questione aperta, in una fetta di città che va dalla stazione centrale a piazza del Duomo. Fioriere invece di bancarelle sul sagrato della Basilica. E poi?

Dici “San Lorenzo” e a molti ormai vengono in mente solo dei flash isolati: la facciata della basilica, le bancarelle, le vie strette che circondano il mercato, mentre chi ci abita o ci lavora ancora ti ricorda che San Lorenzo è un’enorme questione aperta, in una zona molto vasta del centro di Firenze. Andando praticamente dalla stazione di Santa Maria Novella a piazza del Duomo, questo è più che un semplice “quartiere” o “rione”, come amano definirlo quelli dell’associazione “Noi per Firenze”. C’era una volta una città nella città, verrebbe piuttosto da sintetizzare. Da anni si dibatte sulla sua riqualificazione, persino turistico-culturale. E pen-sare che tra la chiesa e le Cappelle Medicee hanno lasciato il segno, tra gli altri Brunelleschi, Verrocchio e Michelangelo, i cui gioielli, talvolta, alle guide è consigliato di nascondere ai turisti. “Per via del degrado”, raccontano. Sotto accusa finisce così il mercato, considerato il più caratteristico e antico di Fi-renze, ma che oggi è solo una fitta vetrina del gadget e dei prodotti in serie.Un primo passo è stato fatto, liberando il sagrato.

Al di là del colpo d’occhio, favorito dalle fioriere che hanno sostituito sei ban-chi, per far posto ai quali lo spazio ricoperto dagli ambulanti si è serrato an-cora di più, si deve segnalare che in certi giorni non è più possibile entrare o uscire dai lati dalle vie dove spopolano pelletteria in serie, magliette di calciatori e grembiuli del David. Questo, per quanto riguarda gli ambulanti. Poi c’è lo spazio, ormai solo interno del mercato della frutta, della carne e del pesce. Qui, da sempre, la parte più ardua è trovare un’armonia tra le esigenze dei commercianti (in primis, i rifiuti) e il contesto urbanistico in cui si trova la piazza del mercato centrale. E poi c’è la madre di tutte le ‘X’: il convento di Sant’Orsola, 15 mila metri quadri che si sono stufati di annunci e inaugurazioni.“I fiorentini rimasti in San Lorenzo chiedono che la politica locale non abban-doni un rione che un tempo era il cuore del centro storico di Firenze -taglia

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corto Michele Turini- abbiamo riscontrato un aumento sproporzionato di un turismo di massa, a discapito della residenza”. Una “città nella città” che cambia volto: “l’illegalità è all’ordine del giorno. Chiunque può vedere che nello spazio pubblico si vendono oggi di contraffazione.” L’associazione Noi per Firenze, nata quasi tre anni fa, con residenti e com-mercianti del centro storico, ritiene che comunque alcuni risultati siano sta-ti ottenuti, negli ultimi tempi. In particolare, l’avvio della risistemazione dei cassonetti in Piazza del Mercato Centra, la presa di impegno da parte della Prefettura di convocare un tavolo sulla “concorrenza sleale”, l’impegno da parte di Quadrifoglio per una disinfestazione straordinaria della zona di via Panicale e piazza del Mercato Centrale. Ma sono ancora tante le richieste alle autorità locali, che attendono una risposta concreta, a partire dagli interventi di manutenzione e riqualificazione della viabilità dell’arredo urbano via Pani-cale, piazza del Mercato e piazza San Lorenzo. E poi c’è la pagina più cupa, quel buco nero che corrisponde al complesso di Sant’Orsola.

Sembrava fatta, nel giugno 2012, quando un pool di privati aveva presentato un piano finanziario, ma, in cambio della concessione per 35 anni, chiedeva-no alla la Provincia, un esborso di 58 milioni di euro. Una cifra troppo onero-sa per l’ente: “Non ci sono le condizioni, i privati rivedano i loro piani”, fu la risposta dell’amministrazione provinciale. Poi l’avvio di una seconda trattativa, finché tutto si è arenato nuovamente. Ci ha scherzato, amaramente, persino monsignor Livi: ‘’hanno incominciato a cercare ossa’’, ha detto riferendosi alla ricerca delle ossa della Monna Lisa- io avrei cominciato al contrario dando a Sant’Orsola un nuovo aspetto e una nuova visione’’.

Tanti i rendering presentati in questi anni, in particolare il 19 luglio 2010. A Sant’Orsola, sarebbero dovuti sorgere una piscina pubblica, uno spazio espositivo, per l’insegnamento artistico e per laboratori di arti e mestieri, uffici della Provincia di Firenze. Fino all’installazione dell’artista Vaclav Pivsejc, con i “dollari” sui esterni. Dopo alcuni tentativi “bloccati” dalla polizia, la Provincia ha acconsentito a lasciargli eseguire la installazione completa coprendo i 25 metri di muro di via S. Orsola ed i 45 metri di via Guelfa per un’altezza di 16 metri. “I dollari -spiega Pivsejc- sono stati attaccati in modo dal lasciare la possibilità che po-tessero ondeggiare con il vento e mutare di colore con la luce nonché pro-durre il fruscio che è tipico delle foglie sugli alberi con il vento.

Il mercato com’era (molto diverso da oggi ovviamente);

le bancarelle possibili (nell’immagine il progetto di

Michele Marchiori che vinse uno dei tanti concorsi sul tema,

ben 10 anni fa) e quelle reali.

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PER UN PUGNO DI DOLLARI...

I soldi in questione non sono quelli finti, appesi alla facciata delle Oblate ma quelli, veri, che nes-suno riesce a trovare per mettere in moto il riuso di Sant’Orsola.Ci ha provato Renzi, ci ha ritentato Barducci ma non sembra che non si riesca a trovare il bando-lo della matassa e delle idee e dei progetti dati per fatti rimangono solo i renders su Google!

Nelle mie opere la partecipazione del pubblico è parte integrante dell’opera stessa e questo allestimento “obbligava” la gente a soffermarsi e guardare e fotografare l’opera nonchè commentarla e cercando di capirne il significato. Tutti lo hanno capito: lo spreco. Occorre costruire qualcosa e questo qual-cosa si fa accettando la propria identità contemporanea e non solo quella Rinascimentale ormai pure messa in vendita.”

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FUORI

DENTRO

ALLA RICERCA DELL’ARCA PERDUTA

Qualche tempo fa sono iniziati i lavori a Sant’Or-sola... beh, non proprio quelli attesi da decenni ma all’interno dell’ex conven-to sono apparsi picconi e pale, transenne e caschet-ti da operaio o, per meglio dire, da esploratore. Dopo i forellini negli affre-schi del Vasari alla ricer-ca del Leonardo perduto ecco i buchi per scoprire la sepoltura di Monnalisa!