DiGiacomo Icona e Arte Astratta

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    Aesthetica Preprint

    Icona e arte astrattadi Giuseppe Di Giacomo

    Centro Internazionale Studi di Estetica

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    Il Centro Internazionale Studi di Es tetica

    un Istituto di Alta Cultura costituito nel 1980 da un gruppo di studiosi di Estetica.Con D.P.R. del 7-1-1990 stato riconosciuto Ente Morale. Attivo nei campi della ricercascientifica e della promozione culturale, organizza Convegni, Seminari, Giornate di Stu-dio, Incontri, Tavole rotonde, Conferenze; cura la collana editoriale Aestheticae pub-blica il periodico Aesthetica Preprintcon i suoi Supplementa. Ha sede presso l'Uni-versit degli Studi di Palermo ed presieduto fin dalla sua fondazione da Luigi Russo.

    Ae sthetica Preprint

    il periodico del Centro Internazionale Studi di Estetica. Affianca la collana Aesthetica

    (edita daAesthetica Edizioni, commercializzata in libreria) e presenta pre-pubblicazio-ni, inediti in lingua italiana, saggi, bibliografie e, pi in generale, documenti di lavoro.

    Viene inviato agli studiosi impegnati nelle problematiche estetiche, ai repertori biblio-grafici, alle maggiori biblioteche e istituzioni di cultura umanistica italiane e straniere.

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    Aprile 1999Centro Internazionale Studi di EsteticaEdizione fuori commercio distribuita in omaggio

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    Giuseppe Di Giacomo

    Icona e arte astrattaLa questione dellimmaginetra presentazione e rappresentazione

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    Introduzione

    La tesi di fondo di questo saggio che lorizzonte problematicoentro il quale si muove da sempre la pittura faccia tuttuno con lequestioni dellimmagine e che la tradizione occidentale, soprattutto

    nella riflessione sulla storia dellarte, abbia incentrato la sua atten-zione sul problema dellimmagine senza tenere conto in genere deisuoi aspetti iconici. Gi Tommaso dAquino aveva posto in questitermini tale problema: limmagine pu essere considerata come og-getto particolare, o come immagine di un altro; nel primo caso log-getto la cosa stessa che al contempo ne rappresenta unaltra, nelsecondo laspetto dominante ci che limmagine rappresenta. Sem-bra dunque che rispetto a unimmagine lattenzione si rivolga o al-limmagine in se stessa allimmagine come fine o a ci che lim-

    magine rappresenta allimmagine come mezzo

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    .A diversi secoli di distanza un pensatore della statura di Witt-genstein riproporr con forza il problema dellimmagine che, a par-tire da una prospettiva iniziale fortemente improntata a concezionilogico-raffigurative, si andr via via sempre pi delineando allinter-no della sua riflessione come un problema di natura estetica. Cosegli scrive nelle Ricerche filosofiche: E chi dipinge non deve dipin-gere qualcosa e chi dipinge qualcosa non deve dipingere qualcosadi reale? Ebbene, qual loggetto del dipingere: limmagine di unuomo (per esempio), o luomo che limmagine rappresenta? 2. Tut-

    tavia Wittgenstein porta il problema alle estreme conseguenze: Separagoniamo la proposizione con unimmagine, dobbiamo tener con-to se la paragoniamo con un ritratto (unesposizione storica) o conun quadro di genere. E tutti e due i paragoni hanno senso. Se guar-do un quadro di genere, esso mi dice qualcosa, anche se io non cre-do (mi figuro) neppure per un momento che gli uomini che vedorappresentati in esso esistano realmente, o che uomini in carne e ossasi siano davvero trovati in questa situazione. Ma, e se chiedessi: Al-lora, che cosa mi dice? 3. La risposta di Wittgenstein suona: Lim-

    magine mi dice se stessa vorrei dire. Vale a dire, ci che essa mi diceconsiste nella sua propria struttura, nelle sue forme e colori 4.Ponendo la questione in tali termini tuttavia Wittgenstein non in-

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    tende affatto contrapporre unimmagine intesa come ritratto, il cuiscopo sarebbe quello di indirizzare lattenzione dellosservatore esclu-sivamente su ci che essa rappresenta, e unimmagine intesa comequadro di genere, il cui fine sarebbe quello di presentare la sua

    propria struttura e le sue forme e colori. Del resto, continuaWittgenstein nello stesso paragrafo, (Che significato avrebbe il dire:Il tema musicale mi dice se stesso?). Il fatto che per Wittgensteinqueste due modalit dellimmagine: immagine intesa come mezzo eimmagine intesa come fine, sono tra loro connesse, tanto da formareun unico concetto di immagine. Che il problema vada inteso e ap-profondito in questi termini, lo chiarisce lo stesso Wittgenstein, af-frontando in alcuni paragrafi successivi la questione relativa al com-prendere una proposizione: Noi parliamo del comprendere una

    proposizione, nel senso che essa pu essere sostituita da unaltra chedice la stessa cosa; ma anche nel senso che non pu essere sostituitada nessunaltra. (Non pi di quanto un tema musicale possa venirsostituito da un altro.) Nel primo caso il pensiero della proposizione qualcosa che comune a differenti proposizioni; nel secondo, qual-cosa che soltanto queste parole, in queste posizioni, possono esprime-re. (Comprendere una poesia) 5. E subito dopo aggiunge: Dunquequi comprendere ha due significati differenti? Preferisco dire chequesti modi duso di comprendere formano il suo significato, il mio

    concetto del comprendere

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    .Wittgenstein sottolinea in questo modo che i due tipi di com-prensione quella che potremmo chiamare logica, nel senso che ilpensiero espresso dalla proposizione pu essere riformulato in modidiversi, rimanendo lo stesso, e quella che potremmo definire esteti-ca, caratterizzata invece dal fatto che il suo tema non pu essereriformulato in altro modo, come esemplifica il caso del tema musica-le o della poesia sono imprescindibilmente connessi tra loro in unconcetto unitario. la stessa interconnessione che Wittgenstein avevarilevato in relazione allimmagine. Il fatto che quel particolare tipo

    di immagine che lopera darte costituisce pu rimandare allaltro das, soltanto in quanto in primo luogo rimanda a se stessa, dice sestessa; pu essere rappresentazione dellaltro, solo in quanto pre-sentazione di se stessa. Di conseguenza, ci che nellopera viene rap-presentato riceve la sua unicit, la sua specificit, insomma pro-prio questo, grazie al fatto che limmagine lo rappresenta, lo dice,secondo le sue linee e colori. Cos questo qualcosa di unico pu eanzi deve essere visto come qualcosa che, seppure da sempre presen-te sotto i nostri occhi, appare come se lo vedessimo per la prima vol-

    ta e, proprio per questo, non pu che procurarci stupore e meravi-glia. Scrive a questo proposito Wittgenstein: Non pensare che siacosa ovvia il fatto che i quadri e le narrazioni fantastiche ci procura-

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    no piacere, tengono occupata la nostra mente; anzi, si tratta di unfatto fuori dellordinario. (Non pensare che sia cosa ovvia questovuol dire: Meravigliatene, come fai per le altre cose che ti procuranoturbamento [...]) 7.

    Gi nel Tractatus Wittgenstein aveva affermato che La tautologiasegue da tutte le proposizioni: essa dice nulla 8, volendo con ci sot-tolineare il fatto che ogni proposizione dice, rappresenta qualcosa soloin quanto in primo luogo una tautologia, ossia dice nulla, e taletautologicit della proposizione ci che la proposizione mostra inci che dice. Secondo Wittgenstein il carattere logico della proposizio-ne in quanto immagine 9 dato dal suo essere rappresentazione diqualcosa, ossia dal suo rinviare a qualcosa daltro da s. In questo con-siste, sempre secondo Wittgenstein, la fondamentalit della logica,

    giacch se segno e designato non fossero identici rispetto al loro pie-no contenuto logico, allora vi dovrebbe essere qualcosa dancora pifondamentale che la logica 10. E tuttavia Wittgenstein si rende con-to che Nella proposizione qualcosa devessere identico al suo signi-ficato, ma la proposizione non pu essere identica al suo significato,dunque in essa qualcosa devessere non identico al suo significato 11.

    Questo qualcosa di non-identico, vale a dire di differente, tra laproposizione, o limmagine, e il qualcosa che viene rappresentato odetto, ci che esse mostrano o presentano. Tale presentazione, nel

    suo costituire la condizione interna al rappresentato, anche ci ched a questultimo il suo carattere di unicit, ossia di individualit, chesfugge a ogni previsione logica, vale a dire a ogni identificazione nelgi-saputo; ci che fa, in definitiva, del rappresentato qualcosa dinon-previsto e di non-saputo, qualcosa che nellopera darte trova ilsuo luogo esemplare. E, se la logica prima del Come, non del Checosa 12, allora Il miracolo per larte che il mondo v, che v ciche v 13.

    C dunque per Wittgenstein qualcosa di pi fondamentale dellalogica 14. La rappresentazione logica infatti implica qualcosa che si

    mostra, che si manifesta e nel manifestarsi resta altro dalla visibilitdella rappresentazione stessa. Cos, nel presentare se stessa, limma-gine manifesta laltro del visibile, del rappresentabile: quellaltro chesi rivela nel visibile, nascondendosi a esso. Se questo il tratto carat-terizzante licona, allora possiamo affermare che le riflessioni di Witt-genstein sullimmagine si riferiscono non allimmagine come copiadella realt, bens allimmagine intesa appunto come icona. Non acaso, se per Wittgenstein il silenzio, sul cui tema si chiude il Tracta-tus, non pu dirsi, giacch esso mostra s, proprio licona che ha a

    che fare con lirrappresentabile, con ci che resta sempre altro rispet-to a ogni determinazione logica e rappresentativa.Ci che nellopera darte si presenta sfugge alla nostra cono-

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    scenza e alla rappresentazione. Non stata larte astratta a mettereper prima in opera la presentabilit del pittorico di contro alla suarappresentabilit, dal momento che il rapporto tra presentazione erappresentazione appartiene allessenza stessa dellimmagine. pro-

    prio della natura dellimmagine infatti il suo presentarsi sempre chiu-sa e insieme aperta, opaca e insieme trasparente, vicina e insieme lon-tana: nelloffrirsi allocchio, essa cattura il nostro sguardo. necessa-rio tornare, al di qua del visibile rappresentato, alle condizioni stes-se dello sguardo, della presentazione. questo il non-sapere chelimmagine manifesta, e tuttavia tale non-sapere non una condizio-ne privativa, una mancanza, ma piuttosto una condizione positiva,come positivo il Niente dei quadri suprematisti di Malevic. Si trat-ta dellesigenza di qualcosa che costituisce laltro del visibile, il suo

    al-di-l e che non va pensato come lIdea platonica, dal momento chequesto altro del visibile nel visibile stesso. Cos liconoclastia delQuadrato bianco di Malevic annuncia non la fine dellarte, ma ci chelarte deve essere, per essere tale, arte appunto.

    Nellopera darte qualcosa rappresentato e si offre alla vista, maqualche altra cosa nello stesso tempo ci guarda, ci ri-guarda. Ci si-gnifica che la visione si divide, si lacera, nel suo stesso interno, travedere e guardare, tra rappresentazione e presentazione. Nella visibi-lit del quadro in opera qualcosa che non si lascia cogliere e che,

    come loblio, resta sempre altro rispetto a ci che possiamo ricorda-re. come se limmagine fosse nello stesso tempo rappresentazionedi ci che ricordiamo e presentazione di ci che abbiamo dimentica-to; per questo nellimmagine la rappresentazione deve essere pensa-ta sempre con la sua opacit.

    In particolare nellicona cogliamo lassenza di ogni immagine, in-tesa come rappresentazione logica: questa l astrazione dellicona,astrazione come sar intesa, teorizzata e messa in opera da tanta par-te della pittura del Novecento. Quello che licona mostra non di-scorsivamente esprimibile e, se essa pu far valere la propria impre-

    scindibile implicazione di senso di contro alla critica iconoclastica, perch mostra linesprimibile in quanto inesprimibile. proprio que-sta paradossalit dellicona a permettere di superare liconoclastia,per la quale non pu che porsi lalternativa schiacciante tra un asso-luto realismo e un assoluto silenzio. Licona la porta regale, comevoleva Florenskij, attraverso la quale si manifesta linvisibile e si tra-sfigura il visibile: in essa non c n imitazione, n rappresentazione,ma comunicazione tra questo e laltro mondo. Cos nellicona la di-mensione epifanica finisce per coincidere con la sua dimensione apo-

    fatica. Da questo punto di vista si pu dire che i problemi posti dal-licona siano gli stessi problemi che si ritroveranno nella contempo-ranea problematica dellastrazione.

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    Larte astratta fa appello allocchio spirituale, ossia allo sguardo,e ci comporta il rifiuto della tradizionale distinzione soggetto-ogget-to, dal momento che loggetto in tale prospettiva un soggetto checi cattura proprio mentre lo guardiamo. Gi Kandinskij con la nozio-

    ne di composizione intende superare sia gli stati danimo del sogget-to che loggetto come fenomeno naturale, per dare luogo a una pit-tura iuxta propria principia, nella quale lo stesso limite estremo, latela bianca o il silenzio, non significhi la morte dellarte, ma la ra-dicale presentazione di quella possibilit dalla quale ogni arte pren-de le mosse: lessenza o, per dirla con Heidegger, lorigine dellartestessa.

    In Kandinskij lastrattismo non vuoto decorativismo. Al con-trario, lastrattezza del segno, la sua non-rappresentativit, la mani-

    festazione della sua risonanza interiore, ossia della sua spiritua-lit. La concezione dellarte di Kandinskij intessuta della connes-sione di interiorit e astrazione, e una componente essenziale di taleastrazione il misticismo. Gi la mistica tedesca medievale affer-mava, con Meister Eckart, che, come Dio agisce al di l del mondodellessere, cos lanima, che in grado di rappresentarsi le cose chenon sono presenti, opera nel non-essere; unanaloga operazione com-pie il pittore astratto, che nientifica il mondo naturale delle cose,dando vita a un mondo di entit non-oggettive, inesistenti e tuttavia

    reali. Cos nel principio di Kandinskij della necessit interiore siriflette la natura mistica del procedimento astratto di costruzione diunopera che viene sottratta alla dipendenza delle cose esistenti. Que-sto rimando a un agire interiore d luogo a un non-oggetto che, ana-logamente a quanto avviene nella mistica, mostra un diverso mododessere delle cose rispetto a quello della loro forma reale. Leman-cipazione da qualsiasi dipendenza diretta dalla natura, della qualeparla Kandinskij, la riduzione delle cose naturali al non-essere. Diconseguenza, la necessit interiore di Kandinskij, che costituisce iltratto essenziale della sua pittura astratta, si pone come altro rispet-

    to al mondo delle cose, e questultimo trova in essa la sua unit e ilsuo senso.

    Del resto per Kandinskij, come per Wittgenstein, il misticismoriguarda Non come il mondo [...], ma che esso 15; esso consistenel Sentire il mondo quale tutto limitato 16. Ci significa dunqueche la totalit del visibile ha un limite: lo sguardo delle cose, ossiala loro spiritualit. Astrazione, daltro canto, proprio questo visi-bile limitato dal manifestarsi in esso di ci che visibile non : sen-tire il non-visibile nel visibile, cogliere la differenza nellidentit.

    Nellastrattismo il segno mostra se stesso, nel senso che non riman-da allaltro fuori di s, alloggetto, ma allaltro che nel segno senzaessere tuttavia esso stesso segno. Cos lastrattismo rifiuta il significato

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    del segno e nello stesso tempo ne esalta il senso, che si mostra nelsegno ritraendosi da esso. Non c dunque alcun contenuto, alcunsignificato manifesto dellimmagine, ma questa lespressione di uncontenuto interiore: questo a rendere il segno astratto, proprio

    nel suo presentarsi come evento. In definitiva, se il cubismo ha in-franto la totalit, lasciando solo frammenti, la composizione di Kan-dinskij mira non a ricomporre tale totalit, bens a presentare il sen-so, facendo risuonare il contenuto interiore del frammento stesso.

    Se lo spirituale nellarte di Kandinskij, come il suo concetto dicomposizione, interno al problema dellicona, altrettanto lo ilmondo senza oggetto del suprematismo di Malevic. Lopera su-prematista infatti ha unintenzione iconica: non esprime una perdita,

    ma una presenza, la presenza dellaltrimenti che essere. Di qui quelladimensione apofatica, propria dellicona in genere e del suprematismodi Malevic in particolare, che, in opposizione ai presupposti dellico-noclastia tesi a identificare la verit con la rappresentazione logico-discorsiva mostra la verit che contiene in s la propria negazione:la docta ignorantia la testimonianza di tale inesprimibile coincidenza.Per questo nel colore suprematista, come nellicona, non c alcunafinzione.

    Lessere di Malevic non lessere secondo la necessit, ovvero

    secondo il concetto, ma lessere come evento: qualcosa che si la-scia riconoscere solo al momento del suo apparire e, in quanto even-to, lessere laltro, poich non soggetto ad alcuna identificazione: lessere cos, che potrebbe anche non essere; in questo senso, affer-ma Malevic, lessere il Nulla, ovvero il che, lo spazio parados-sale proprio dellopera darte, del tutto indipendente dal pensierologico. Questo che negazione del significato, inteso come signi-ficato logico, negazione della rappresentazione, come rappresenta-zione logica e nello stesso tempo affermazione del senso, in quan-to condizione dei significati possibili 17. Il che non pu essere rico-

    nosciuto in relazione ad altro, ma solo per se stesso, e tuttavia por-ta in s lalterit, la differenza. Nel non significare nulla al di l di sestesso, levento il che assolutamente singolare: accade sem-plicemente, si d, si mostra, non come un mero oggetto per un sog-getto. Esso il manifestarsi di qualcosa che, presentando se stessa,presenta laltro, vale a dire si presenta come laltro dellessere oggettodi rappresentazione possibile. Per raggiungere infatti questo essere,che il Nulla, Malevic uscito dal mondo degli oggetti e delle rap-presentazioni, aprendo uno spazio assoluto, in quanto spazio del-

    laltro. Cos lastrazione di Malevic il liberarsi dalla rappresentazio-ne perla presentazione: questa lautentica iconoclastia che rivela ilprofondo legame del suprematismo di Malevic con licona.

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    E, se nel suo mondo senza oggetto il segno non rappresenta-zione di qualcosa, ma rivela laltro, ovvero il Nulla in quanto Nulladi rappresentabile e di dicibile questo Nulla non da intendersicome nichilismo: non indica il silenzio, la fine della pittura, ma espri-

    me la consapevolezza che si deve continuare a dipingere perch ilNulla si riveli. questa la radicalit della pittura di Malevic.

    A differenza di quella di Malevic, lopera d i Mondrian presentauno spazio la cui assolutezza assume un preciso significato: tutto ciche , perch si d solo spazialmente. Per questo in Mondrian il se-gno non nasconde e in esso non ha luogo alcun ritrarsi; al contra-rio, nel segno si mostra lessenza, lIdea, e non a caso egli definiscelastrattismo come la sola arte concreta. In definitiva: nella pittura

    di Mondrian non si manifesta alcun altro, n alcun contenuto in-teriore; essa si risolve totalmente nella superficie del quadro, ossia inun piano assolutamente bidimensionale, nel quale non c alcuna fin-zione di profondit, ma ci sono soltanto linee in rapporto ortogonaleche, tautologicamente, dicono se stesse. Cos, se la composizione diMondrian volta a ricostituire la totalit, tale ricomposizione si dproprio e solo allinterno della rappresentazione pittorica, rappresen-tazione assoluta, in quanto indipendente da qualsiasi riferimento adaltro da s.

    Larte di Klee, pur interrogandosi su problemi non del tutto dis-simili, muove in direzione opposta rispetto a quella di Mondrian. Seinfatti questultimo vuole abolire lelemento soggettivo definitotragico in nome delloggettivit, Klee invece indaga proprio lapresenza del mondo nel soggetto. Loggettivit di Mondrian il ri-fiuto del mondo, in quanto particolarit e contingenza; Klee, al con-trario, non cerca una realt pi vera di quella sensibile, non cercacio una realt fissa e immutabile, retta da leggi eterne, fuori dallastoria. Ci a cui tende lopera di Klee frugare nel profondo, nel-

    la vita sotterranea, immergendosi nel divenire delle cose stesse, nel-la genesi dei mondi possibili. Il compito dellartista infatti, a suogiudizio, quello di ritornare sulla creazione, portando avanti e tentan-do le vie di realt possibili.

    Klee, in definitiva, non vede nel mondo qualcosa di gi-concluso,ma ne ripercorre la genesi, e tale genesi si riferisce al sorgere dellarealt nella percezione e quindi al costituirsi dellessere in significa-to. I presupposti di tutto ci vanno rintracciati nel fatto che pro-prio sul piano della percezione che il mondo non si configura come

    linsieme delle cose gi date, ma come un continuo generarsi. Coslimmagine di Klee richiama alla memoria 18 possibilit diverse, so-miglianze e dissomiglianze, e queste trovano la loro ragione sul pia-

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    no dellagire del pittore, che non prende le mosse da una logica pre-fissata, ma genera continuamente forme via via che procede, muoven-dosi appunto tra somiglianze e differenze. I processi di formazione diKlee sono questa sorta di somiglianze di famiglia ancora una vol-

    ta nellaccezione wittgensteiniana e, in quanto tali, escludono la de-finitivit di ogni forma. Non a caso nellopera di Klee la genesi deimondi possibili riguarda lessenza stessa della pittura: si tratta di mo-strare lapparire di qualcosa che nessuna logica ha pre-visto, qualcosache viene allesistenza, apportando un aumento di essere 19 rispettoa tutte quelle altre possibilit che comunque sono presenti nel qua-dro come possibilit simultanee.

    Klee ha disvelato cos lessenza dellopera darte: questultima non la rappresentazione di un fatto del mondo, ma un evento nel qua-

    le si manifesta la possibilit di molteplici determinazioni del mondo,senza che tale possibilit sia riconducibile ad alcun principio logicodi identit e di non-contraddizione. A ben vedere dunque tale evento,che lopera costituisce, altro non che il darsi del contingente, del ciche cos ma poteva essere diversamente, in quanto condizione dellastessa necessit logica che regola ci che nel mondo gi-dato; si trat-ta di quel che che si dia questo mondo e non un altro il qua-le, come afferma Wittgenstein, precede quella logica che presiede alcome del mondo. Si tratta insomma di quel senso che la condi-

    zione dei tanti significati possibili: lopera la presentazione del darsidi questo senso, e non la rappresentazione del suo configurarsi comesignificato dato, di un senso che si pu dunque soltanto sentire, stan-do al suo interno e non contemplare dallesterno. Per questo la pit-tura di Klee ha il suo luogo delezione nel cuore stesso della creazio-ne, l dove hanno origine tutte le cose.

    1 Sul problema dellimmagine e del segno in genere nella riflessione filosofica medievale,

    si veda A. Maier, Signum dans la culture mdivale, in Miscellanea Mediaevalia, Verf-fentlichungen des Thomas-instituts der Universitt zu Koln, Walter de Gruyter, Berlin New York 1981; Id., Signum negli scritti filosofici e teologici fra XIII e XIV secolo, di imminen-te pubblicazione.

    2 L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1968, 518 (ed. or. Philoso-phische Untersuchungen, Blackwell, Oxford 1953).

    3 Ivi, 522.4 Ivi, 523.5 Ivi, 531.6 Ivi, 532.7 Ivi, 524.8 L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi, Torino

    1968, 5.142 (ed. or. Tractatus logico-philosophicus, London 1922).9 Nel Tractatus infatti i due termini si equivalgono, dal momento che La proposizione unimmagine della realt (ivi, 4.01).

    10 Ivi, p. 87.

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    11 Ivi, p. 103.12 Ivi, 5.552.13 Ivi, p. 189.14 Vedi su questo G. Di Giacomo, Dalla logica allestetica. Un saggio intorno a W itt-

    genstein, Pratiche Editrice, Parma 1989.15

    L. Wittgenstein, Tractatus..., cit., 6.44.16 Ivi, 6.45.17 Si veda in proposito E. Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, Milano

    1992, in part. pp. 245-270.18 Lespressione usata nel senso del Wittgenstein delle Ricerche filosofiche, 89,90.19 H. G. Gadamer, Verit e metodo, Bompiani, Milano 1983, pp. 168-196 (ed. or. Wahr-

    heit und Methode, J. C. B. Mohr (Paul Siebeck), Tbingen 1972).

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    Per visibilia invisibilia: liconicit dellimmagine

    Rispetto a unimmagine artistica la posizione dellosservatore quella di chi si trova nello stesso tempo allinterno e allesterno di ciche osserva: come se egli si sentisse catturato in essa, pur sapendo

    che ne fuori. Limmagine il luogo di un sapere che insieme unnon-sapere, poich nel suo essere rappresentazione si pone al con-tempo come luogo del presentarsi di qualcosa che si ritrae nel mo-mento in cui si offre in essa. In questo senso limmagine non ri-ducibile al modello di verit come corrispondenza, come adquatiorei et intellectus.

    Da questo punto di vista larte astratta del 900 non ha fatto altroche esplicitare quellaspetto dellimmagine come presentazione chetradizionalmente la storia dellarte a partire dal XVI secolo, con Va-

    sari ha messo in parentesi, volgendo la sua attenzione unicamenteallimmagine in quanto rappresentazione.Attraverso questo rifiuto di ridurre limmagine a rappresentazione

    figurativa, vale a dire referenziale e visibile, lastrattismo contempora-neo non ha fatto altro che riprendere, implicitamente, e sviluppare leidee che gli antichi Padri della Chiesa avevano formulato riguardo alproblema dellicona, allepoca della disputa tra iconoduli e iconocla-sti 1. Si tratta in definitiva di tornare a riflettere, al di qua del visibilerappresentato, su quella che la sua stessa condizione di possibilit:il suo essere presentazione. Questo significa che si ha a che fare non

    con una opposizione tra visibile e invisibile allinterno della qualeil visibile costituirebbe lapparenza, il fenomeno, e linvisibile lIdea,la vera realt che sta dietro, al di l del fenomeno ma piuttostocon qualcosa che, pur dandosi nel visibile, non essa stessa visibile,essendo ci che rende possibile il visibile stesso. Questo qualcosa chesi d nel visibile perci non-prevedibile e, in quanto tale, qualco-sa che si dona. In ci consiste il non-sapere che limmagine propone:se il sapere ha a che fare con la rappresentazione e con la referenza,il non-sapere riguarda invece ci che si presenta come non pre-visto

    nel visibile.Individuando nella problematica dellincarnazione il fondamento

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    della legittimit dellimmagine iconica, i Padri della Chiesa avevanosuperato la teoria platonica della rappresentazione come copia 2. At-traverso lincarnazione infatti Dio si offre nel mondo come un dono,in quanto non previsto e non spiegabile: questo il Cristo che , si

    d, nel mondo senza essere del mondo. Si trattava, vero, in quel ca-so, di una teologia dellimmagine che non aveva niente a che vederecon un qualche programma artistico, dal momento che era alloraignota la nozione moderna di opera darte, ma ci che rilevante il fatto che in una tale teologia si manifesti lesigenza di qualcosache, pur essendo altro dal visibile, si rivela tuttavia nel visibile stesso.

    I Padri della Chiesa concepivano limmagine o come qualcosa dipuramente visibile, e come tale essa andava rifiutata in quanto idolo,oppure come il luogo nel quale, come un miracolo, si donava laltro

    del visibile, quellaltro che doveva essere venerato, e non adorato co-me se appunto fosse un idolo, attraverso limmagine stessa. Cos, sei Padri della Chiesa prima e molti autori mistici dopo hanno accet-tato il mondo visibile, quello nel quale Dio aveva preso la figura delCristo, stato solo a condizione che il visibile non fosse consideratocome assoluto, ma come qualcosa di circoscritto attraverso il quale sirivela laltro del finito e del visibile; a condizione insomma che lafigura, in primis quella del Cristo, si presentasse come una figura sfi-gurata 3.

    In senso analogo larte contemporanea non mette in scena la fi-ne dellarte, ma soltanto la fine dellarte come visibilit totale, comerappresentazione assoluta. Nel rifiutare lassolutezza della rappresen-tazione larte contemporanea scinde la nozione di immagine iconicada quella di immagine logica, facendo emergere la presentazione pri-ma che questa affiori alla rappresentazione, lopacit prima della tra-sparenza. Non si tratta di mostrare linvisibile in luogo del visibile,lirrappresentabile in luogo del rappresentabile. Si tratta in definiti-va non di condividere un punto di vista nichilista, ma di fare emer-gere il paradosso, lo spazio della docta ignorantia, pensando il tessuto

    della rappresentazione con la sua lacerazione. Questo significa che inun quadro qualcosa si rappresenta e si vede, ma qualche altra cosa sipresenta, richiede il nostro sguardo e ci guarda. In questo modo lavisione si divide, si lacera, tra vedere e guardare, tra occhio e sguar-do, e limmagine si offre nello stesso tempo come rappresentazione ecome presentazione. come se davanti a noi qualcosa si rappresen-tasse in quanto ricordata, e qualche altra cosa si presentasse in quan-to dimenticata. in questo rapporto tra memoria e oblio che limma-gine si manifesta al nostro occhio e si nasconde al nostro sguardo, si

    lascia catturare e nello stesso tempo ci cattura.Il motivo dellincarnazione era per i Padri della Chiesa un mododi pensare la rappresentazione con la sua opacit e con la sua lacera-

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    zione. Lincarnazione mostra infatti il visibile, il corpo, e insieme lasua sfigurazione, quello sguardo dal quale ci sentiamo presi mentreguardiamo. Cos, se il corpo del Cristo una figura sfigurata, ci ac-cade perch lincarnazione unapertura al mondo e insieme unaper-

    tura nel mondo, una lacerazione nel centro stesso del tessuto. dun-que il motivo dellincarnazione che infligge un colpo mortale alla ti-rannia del visibile. Limmagine non unapparenza che vela una pre-sunta essenza, ma unapparizione che rivela: una rappresentazionee insieme una presentazione. Vale per limmagine quanto Walter Ben-

    jamin ha scritto a proposito dellaura.

    Nella Piccola storia della fotografia (1931) Benjamin formula per laprima volta la sua definizione di aura, annunciandone la scomparsa

    nel dominio ristretto della fotografia. Cinque anni pi tardi, nel sag-gio Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica, Benjamindenuncer la scomparsa dellaura dallarte in generale, criticando queifondamenti religiosi dellarte che hanno ispirato lesperienza esteticain senso tradizionale. Nella Piccola storia della fotografia, riferendosia una foto di Kafka bambino, cos Benjamin introduce il tema del-laura: Nella sua sconfinata tristezza, questa immagine un pendantdelle prime fotografie, nelle quali gli uomini non guardavano ancorail mondo da tanto isolamento, cos smarriti, come il ragazzino. Era-

    no circondati da unaura, da un medium, il quale conferiva al lorosguardo, che vi penetrava, la pienezza e la sicurezza 4. In questo te-sto Benjamin d inoltre una definizione di aura che verr ripresa suc-cessivamente nellOpera darte nellepoca della sua riproducibilit tec-nica: Che cos propriamente laura? Un singolare intreccio di spazioe di tempo: lapparizione unica di una lontananza, per quanto possaessere vicina 5. proprio questo ci che viene meno nella societmoderna: Ora, il bisogno di avvicinare le cose a se stessi, o meglioalle masse, intenso quanto quello di superare lirripetibile e unico,in ogni situazione, mediante la sua riproduzione. Giorno per giorno

    si fa valere sempre pi incontestabilmente il bisogno di impadronirsidelloggetto da una distanza minima, nellimmagine o meglio nellariproduzione 6. Tuttavia Benjamin conclude queste osservazioni conuna frase ambigua, che rinvia a un altro aspetto del declino dellau-ra: Il fatto di spogliare loggetto della sua guaina, la distruzione del-laura, il contrassegno di una percezione in cui la sensibilit pertutto ci che nel mondo della stessa specie, cos cresciuta che essariesce a reperire questa uguaglianza anche nellirripetibile 7. Non sitratta pi dunque soltanto del bisogno di vicinanza e dappropriazio-

    ne, ma di una vera e propria tendenza al livellamento.Il saggio Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnicaaffronta il tema dellaura da un punto di vista pi generale e pi ra-

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    dicale, in linea con le tesi di Max Weber sul disincanto del mondo.Ora, nel dominio dellarte, Benjamin assegna un senso positivo alladesacralizzazione e al disincanto del mondo. Se infatti la tradizioneartistica appare indissociabile da una nozione di culto, allora lopera

    darte perde la sua aura quando perde la sua funzione rituale. Propriola riproducibilit tecnica, secondo Benjamin, libera lopera darte dalsuo ruolo rituale. A questo punto il carattere artistico secondario equello che conta soltanto la funzione sociale dellopera. Il problemacentrale di Benjamin il fatto che lo sviluppo della riproduzione tec-nica d origine ad arti dellimmagine per le quali la questione dellau-tenticit non si pone pi; nello stesso tempo larte, liberata dalle suebasi cultuali attraverso le tecniche di riproduzione, viene a perdereanche ogni apparenza di autonomia. Cos il saggio sullOpera darte

    nellepoca della sua riproducibilit tecnica d rilievo a quellideologiadel progresso che lultimo Benjamin finir col denunciare.Sempre in questo saggio Benjamin afferma che il viso umano ha

    perduto il ruolo centrale che ancora aveva nello stadio della fotogra-fia: Non a caso il ritratto al centro delle prime fotografie. Nel cul-to del ricordo dei cari lontani o defunti il valore cultuale del quadrotrova il suo ultimo rifugio. Nellespressione fuggevole di un voltoumano, dalle prime fotografie emana per lultima volta laura. que-sto che ne costituisce la malinconica e incomparabile bellezza. Ma

    quando luomo scompare dalla fotografia, per la prima volta il valoreespositivo propone la propria superiorit sul valore cultuale 8. Inquesto saggio troviamo dunque il declino dellaura, la liquidazionedella tradizione, la scomparsa dellumano.

    Benjamin muter parere nel saggio del 1939 intitolato Di alcunimotivi in Baudelaire, nel quale scrive: Se si scorge il contrassegnodelle immagini che affiorano dalla memoria involontaria nel fatto chepossiedono unaura, bisogna dire che la fotografia ha una parte deci-siva nel fenomeno della decadenza dellaura [...] lapparecchio [fo-tografico] accoglie limmagine delluomo senza restituirgli uno sguar-

    do. Ma nello sguardo implicita lattesa di essere ricambiato da cia cui si offre 9 e subito dopo afferma: avvertire laura di una cosasignifica dotarla della capacit di guardare. Ci confermato dai re-perti della memoria involontaria. (Essi sono daltronde irripetibili: esfuggono al ricordo che cerca di incasellarli. Cos vengono ad appog-giare un concetto di aura per cui si intende, con essa, lapparizioneirripetibile di una lontananza. Questa definizione ha il merito di ren-dere trasparente il carattere cultuale del fenomeno. Lessenzialmen-te lontano inaccessibile: e linaccessibilit una qualit essenziale

    dellimmagine di culto)10

    .Ricambiare lo sguardo dunque ora la formula dellesperienzaauratica, anche in rapporto con realt non umane: Avvertire laura

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    di una cosa significa dotarla della capacit di guardare. Nella no-zione di aura sono dunque impliciti i concetti di sguardo e di di-stanza, ossia di una vicinanza che insieme lontananza.

    Il tema della distanza come tensione daltro canto un elemen-to fondamentale e ricorrente nella riflessione estetica e nella produ-zione artistico-letteraria del nostro secolo: lidea che ci si trovi davan-ti allimmagine come a qualcosa che costantemente si allontana e cheinsieme ci guarda. Tutto ci magistralmente colto e tematizzato solo per citare un caso esemplare nellopera di uno dei maggioriartisti del Novecento: Alberto Giacometti.

    Le piccole o sottili statue di Giacometti, sostenute da grandi basi,danno infatti unimpressione di distanza. come se in questa distan-

    za loggetto potesse accedere a una realt assoluta, al di l dellesi-stenza contingente. Il problema pi difficile che si trovato ad af-frontare Giacometti stato quello relativo alla possibilit di renderelo sguardo, poich solo questo pu restituirci la presenza immedia-ta. La pittura per Giacometti deve essere volta non a ci che al dil del visibile, ma alloggetto stesso, nel momento in cui questo ma-nifesta il suo altro, limpossibilit cio di essere racchiuso nella gab-bia della rappresentazione.

    Se i volti di Giacometti sono simili a icone perch le sue linee

    non pretendono di racchiudere loggetto, ma di evocare ci che re-sta altro da esse e che pure solo attraverso esse si mostra. Per questole sue figure sono apparizioni che si offrono nel momento stesso incui scompaiono: ci danno una presenza e insieme il suo ri-trarsi. E,se ci che egli disegna o scolpisce ci che vede, anche vero perche questo non mai somigliante al modello. Quello che emerge lalacerazione nel tessuto stesso della rappresentazione, la sfigurazionedella figura. Giacometti tende infatti a restituire lo sguardo, inquanto questo che d vita alla figura, che la rende presente, in-dipendentemente dalla sua esistenza e quindi da ogni rassomiglianza.

    Di qui quella sensazione di solitudine nella quale Jean Genet ricono-sceva lessenza stessa delle figure di Giacometti.

    Nel tentativo di restituire lo sguardo, Giacometti lavora sulloc-chio, ma non per una sua resa precisa; al contrario lo confonde, poi-ch sa che lo sguardo non locchio, anche se passa attraverso que-sto. come se lautore riconoscesse nellaltro qualcosa di pi dellasua semplice immagine. Tutta larte di Giacometti sospesa tra iltentativo di far apparire laltro e limpossibilit di conseguire questofine. E la distanza, nella quale le sue figure si manifestano, il segno

    di questo scacco sempre e di nuovo perseguito.Non a caso, riferendosi allopera di Giacometti, Genet scrive:sembra che questo artista abbia saputo rimuovere ci che impediva

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    al suo sguardo di scoprire quanto rester delluomo quando sar can-cellato ogni falso sembiante 11. In particolare proprio la distanzache caratterizza quelle figure, a colpire Genet: non smettono di ve-nire avanti e ritrarsi, in unimmobilit sovrana. Non appena il mio

    sguardo cerca [...] di avvicinarsi [...] solo perch tra loro e me cuna distanza che non avevo notato [...] ecco che si allontanano a per-dita docchio: questo perch la distanza tra me e loro si subito am-pliata. Dove vanno? Dove sono, mentre la loro immagine ancoravisibile? 12.

    Per questo, secondo Genet, lopera di Giacometti si offre allin-finito popolo dei morti 13, giacch a esso che comunica la cono-scenza della solitudine dogni essere e dogni cosa, e che la solitudine la nostra gloria pi certa 14. Lopera darte non si offre in uno spa-

    zio, ma crea un suo proprio spazio ed per questo che basta unastatua in una stanza e la stanza si trasforma in un tempio 15. Ci signi-fica che non ci si accosta a unopera darte come a una persona realeo a un fenomeno naturale, poich la comprensione dun volto se vuolessere estetica deve rifiutarsi dessere storica 16. In questo senso ciche manifestano quelle figure la loro solitudine e insieme la loro di-stanza. In definitiva: la loro presenza, non la loro rappresentazione,e tale presenza rende la figura inaccessibile 17. questa solitudinedella figura che ci d lesperienza della singolarit, di qualcosa cio

    di fronte alla quale la logica della rappresentazione svela la sua impo-tenza, limpotenza di ogni definizione e di ogni classificazione.A proposito dei disegni di Giacometti, Genet afferma: I segni

    sono usati non per esprimere il proprio significato, ma per conferiresenso ai bianchi. I tratti esistono solo per dare forma e spessore aibianchi [...] Non il tratto a essere pieno, ma il bianco 18. comese Giacometti avesse cercato di dare realt sensibile a ci che primaera assenza 19. Per questo, continua Genet, lintera opera di Giaco-metti potrebbe intitolarsi Loggetto invisibile 20. Non a caso infattise nei ritratti le linee paiono in fuga dalla linea mediana del viso,

    questo accade perch il pittore vuole tirare allindietro (dietro latela) il significato del volto 21. In questo modo Il significato del viso la profonda somiglianza invece di concentrarsi sul davanti, si di-legua, si perde allinfinito, in un luogo mai raggiunto, dietro al bu-sto 22. Cos, dal momento che la sua opera non si affida alla vista,Giacometti pu essere definito scultore dei ciechi 23.

    La distanza, caratteristica delle opere di Giacometti e pi in ge-nerale delle icone, pu essere colta solo dallinterno, non dallesterno.

    Per questo essa non rappresentabile, ma si definisce proprio e solosottraendosi a ogni rappresentazione.Nellicona ritroviamo la messa-in-opera del concetto di distanza,

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    dal momento che in essa qualsiasi pretesa a un sapere assoluto ido-latria. Questo appare tanto pi chiaramente se confrontiamo liconaallidolo. Lidolo si offre alla vista e, nel fare tuttuno con la rappre-sentazione, non ammette alcun invisibile: in esso lo sguardo si ferma

    al visibile, e non lo guarda-attraverso. Licona invece cerca di renderevisibile linvisibile, lasciandolo tale, invisibile appunto. Questo signi-fica che licona non si vede, ma appare: in essa il visibile si satura diinvisibile. Licona infatti cerca di far s che il visibile continui a rin-viare ad altro da s, senza per che questo altro possa mai riprodur-visi. Cos nellicona lo sguardo non pu mai fermarsi, ma risale allin-finito dal visibile allinvisibile attraverso il visibile stesso.

    Ci che si ritrae ci che si nega alla vista per offrirsi alla memo-ria. Si tratta come gi le parole di Benjamin sottolineavano di

    quella memoria involontaria che trova la sua condizione nelloblio:non si d infatti nella forma di una rappresentazione, nella quale ve-dere e sapere fanno tuttuno, ma nella forma di una presentazione,dove ci che si mostra nello stesso tempo ci che si sottrae. Non acaso, come sostiene Derrida 24, lorigine del disegno si fa leggenda-riamente risalire a Dibutade, che disegna il proprio amante solo se-guendo i tratti della sua ombra, volgendogli dunque le spalle. Que-sto mito esprime dunque appieno lidea che si disegna solo alla con-dizione di non vedere, ossia alla condizione di un oblio che la memo-

    ria cerca di fare emergere, senza mai poterlo del tutto svelare. Nel-limmagine-icona linvisibile nel visibile, non come sua essenza, macome ci che rende visibile il visibile stesso, costituendolo come da-tit e facendo di questo suo darsi un dono che supera ogni nostraprevisione logica. Si tratta di ci che si ritrae perch non si lasciaidolatrare, ma anche ci che denuncia la totalit come impossibile.Cos nella questione dellicona ritroviamo la stessa questione della ve-rit. Non abbiamo a che fare con la verit logica come corrisponden-za, ma della verit intesa come altheia, termine con il quale si vuo-le indicare lesperienza del carattere di evento della verit, pensata

    nel senso della svelatezza, ossia di una manifestativit in coesistenzacon una velatura.

    Nel quadro si manifesta sempre uno sguardo, anche se in primoluogo esso si offre allocchio. C infatti nel quadro qualcosa di nonpadroneggiato da chi guarda e che perci cattura. Lacan 25 parla aquesto proposito di schisi fra occhio e sguardo, e riconosce nelquadro di Holbein Gli Ambasciatori una trappola da sguardo, attra-verso quella figura anamorfica, fluttuante in primo piano, che il te-schio: un modo di lasciare intendere come losservatore, in quanto

    soggetto, sia letteralmente chiamato nel quadro e rappresentato inesso come preso. In questo rapporto tra occhio e sguardo c noncoincidenza, ma inganno. quanto, secondo Lacan, dimostrerebbe

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    lantico apologo di Zeusi e Parrasio. Se infatti Zeusi ha dipintounuva cos perfetta che anche locchio degli uccelli ingannato, Par-rasio ha la meglio su di lui per aver dipinto sul muro un velo cossomigliante che lo stesso Zeusi lo invita a toglierlo per vedere cosa ci

    sia dietro. Cos nella pittura linganno dellocchio rivela il trionfo del-lo sguardo, rivela cio che la funzione del pittore non quella di or-ganizzare il corso della rappresentazione, rispetto alla quale il sog-getto dovrebbe mantenersi allesterno di un oggetto che sarebbe ap-punto da lui rappresentato. Il punto centrale non che la pittura diaun equivalente illusorio delloggetto, ma che il trompe-lil dellapittura si d come altro da ci che .

    Di fatto, come afferma Merleau-Ponty, pi che vedere il quadro,io vedo secondo il quadro o con esso 26. Il quadro non deve essere

    considerato come qualcosa che serve a indicare cose assenti, ma arendere visibile ci che per locchio invisibile. Per questo la pit-tura, anche quando sembra destinata ad altri scopi, non celebra maialtro enigma che quello della visibilit 27. E, se molti pittori si sonoraffigurati nellatto di dipingere, perch in questo caso viene mes-so-in-scena proprio questo: il sentirsi guardati da ci che si vede. Maallora, ci che nel quadro si offre alla vista, non qualcosa di givisto, o di pre-visto, ma qualcosa che si dona a noi e ci sorprende,perch sempre e di nuovo ci giunge al di l delle nostre aspettative.

    Il quadro non ci parla dello spazio e della luce, ma sono essi che ciparlano, dal momento che si offrono non gi a una definizione, maa una sempre rinnovata interrogazione.

    Ha dunque ragione Merleau-Ponty ad affermare che lo spirito del-la pittura, per liberarsi dallillusionismo e per acquisire dimensionisue proprie, ha un significato metafisico 28. Non si tratta infatti diuna conquista realizzata dalla pittura moderna e che sarebbe statapreparata dallintera storia della pittura; semmai la pittura modernanon ha fatto che esplicitare quanto era gi implicito nella pittura pre-cedente. Cos da Czanne a Klee la dimensione del colore non un

    simulacro della natura 29, ma crea da se stessa a se stessa delleidentit, delle differenze, una struttura 30. Il quadro allora non inprimo luogo rappresentazione di qualche cosa, dal momento che essopu rapportarsi a una qualsiasi cosa empirica solo a condizione diessere innanzi tutto autofigurativo 31. E, per chiarire limportanza diquesta autofigurativit come condizione del fatto che il quadro pos-sa rappresentare, rinviare a qualcosa, Merleau-Ponty scrive: Quan-do vedo attraverso lo spessore dellacqua le piastrelle sul fondo dellapiscina, non le vedo malgrado lacqua e i riflessi, le vedo proprio at-

    traverso essi, mediante essi32

    .Il punto di vista di una filosofia della rappresentazione sembraper altro verso porre unalternativa, dopo la lunga storia della pittura

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    figurativa e lapparire della pittura astratta: o la pittura rappresen-tazione, rinvio a scene reali o fittizie del mondo, oppure autorap-presentazione, manifestazione non-figurativa della sua stessa tessitu-ra e, in quanto tale, non rinvierebbe che a se stessa. Merleau-Ponty

    vuole invece evitare di cadere in questo falso dilemma: per lui il pit-tore non imita il visibile, non produce duplicati del mondo, e nellostesso tempo non presenta i colori per se stessi. Con latto del dipin-gere si vuole ritornare al sorgere incerto del visibile allo stato nascen-te, vedendo le cose nel momento nel quale prendono forma. Il pitto-re coglierebbe lapparire e non ci che apparso: prima del visto cidarebbe lenigma del visibile, dal momento che ogni pittura dipin-ge la nascita delle cose, la venuta a s del visibile 33.

    Ci che si vede in un quadro altro da quel visibile che sta sem-pre sotto i nostri occhi: si vede un visibile che fino a quel momento rimasto inaccessibile alla visione. Il fatto che nel quadro il pittorerende visibile ci che senza di lui sarebbe rimasto non visibile. Il qua-dro non organizza in modo nuovo il gi-visto, ma aggiunge al gi-visto qualcosa di non ancora visto: il pittore che fa irromperequestultimo nel visibile. Egli, come il cieco, vede al di l del visibilee, come afferma Klee, rende visibile linvisibile. Tuttavia nel qua-dro linvisibile si manifesta nel visibile solo sottraendosi a esso. Lir-

    ruzione dellinvisibile nel visibile si rivela infatti non solo come unnon pre-visto, ma anche come un non-oggetto, dal momento che sisottrae a ogni rappresentazione. qui che si d la differenza tra lido-lo e licona, dal momento che solo questultima annulla ogni previsio-ne e ogni attesa.

    Il vero quadro dunque libera lo sguardo dalloggettivit, e ci in-segna a vedere un non-oggetto. Esso non mostra nulla, ma si mostra,mostrando cos non come le cose sono, ma che sono. Questo significapure che il quadro fa vedere che non si vede. Quello che infatti simostra nel quadro il darsi, ovvero il donarsi, di ci che non solo

    non pre-visto, ma supera ogni pre-visione e viene guardato come selo si vedesse per la prima volta.

    Nellepoca audio-visuale le immagini si sono liberate di ogni refe-renza e si moltiplicano senza neppure che si avverta lesigenza di unoriginale. Limmagine diventa cos idolo, vale a dire immagine diunimmagine. In questa situazione, caratterizzata da un assoluto po-tere delle immagini, sembra imporsi una nuova forma di iconoclasmo:linvisibile non pu che restare del tutto estraneo a questo mondo

    della visibilit che rifiuta ogni rimando allaltro del visibile. In talmodo non solo si approfondisce lestraneit tra il visibile e linvisibile,ma soprattutto si avalla la tirannia dellimmagine.

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    opportuno chiedersi tuttavia se sia proprio vero che lattualeepoca audio-visuale dellimmagine esaurisca lessenza del visibile, o senon sia anche vero che lo sviluppo contemporaneo dellimmaginenella pittura post-cubista non delinei un altro tipo di immagine, ca-

    ratterizzata da quel rapporto tra il visibile e linvisibile che era pro-prio dellicona. Storicamente infatti, se possibile rintracciare un mo-dello di immagine che si sia sottratto alliconoclasmo e abbia trionfa-to, esso proprio quello dellicona. Con la nozione di icona non sivuole intendere tanto un genere pittorico particolare, quanto una dot-trina della visibilit dellimmagine. Al dualismo di un soggetto veden-te e di un oggetto visibile si aggiunge nellicona un terzo termine: ilprototipo, che non si offre al nostro sguardo come un oggetto, mache esso stesso uno sguardo dal quale ci sentiamo guardati. Cos

    nellicona siamo vedenti e insieme visti, liberi e insieme catturati, al-lesterno e insieme allinterno. Licona dunque inverte la logica mo-derna dellimmagine: non pretende che la si veda, ma che si vedaattraverso essa.

    Per questo i Padri della Chiesa affermavano che licona deve es-sere non adorata, giacch non si tratta di un idolo, bens venerata, dalmomento che lonore reso allicona passa al prototipo 34. Il fatto che nellicona greco-russa il Cristo offre non unimmagine soltantovisibile del Padre che resta invisibile, bens unimmagine visibile del-

    linvisibile in quanto invisibile. Se ci si sottrae a questo paradosso nonresta che interpretare licona a partire dalla logica dellimmagine; solo questo paradosso che permette infatti di sfuggire alla critica ico-noclasta. Nellicona la rinuncia allassolutezza dellimmagine fa tut-tuno con il mostrarsi del Cristo come una figura sfigurata. La disfattadellimmagine, che si compie con la sfigurazione del Cristo, lasciaapparire quellinvisibile che ci guarda, dal momento che, proprio per-ch non si dona per se stessa ma richiede una knosi dellimmagine,licona rende possibile che si passi attraverso essa fino al prototipoinvisibile. La grande pittura del passato, e quella contemporanea in

    modo esplicito, ha sempre messo in opera una tale knosi dellimma-gine; in essa infatti limmagine non rivendica alcuna autosufficienza,ma rinvia ad altro, seppure in modi diversi.

    Come s detto, tra lidolo, che ferma lo sguardo sulla sua originefinita, e licona, che attraverso limmagine visibile rimanda al proto-tipo invisibile, la rottura totale 35. Ora, il primo esempio di icona proprio la croce, dal momento che questa non riproduce il suo ori-ginale secondo i gradi della similitudine e in questo modo non offrealcuno spettacolo, n alcuna immagine del Cristo, ma il segno del-

    linvisibile nel visibile. Cos la croce diviene icona: non attira linvisi-bile in s, ma al contrario non cessa di farsi attirare da esso. Questosignifica che, a differenza dellidolo autoreferente, la croce e licona

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    che le riproduzioni delluno e dellaltro siano riferite a piani distinti:lacciaio deve essere rappresentato dal colore e il campo di forza dal-loro, ossia astrattamente. Loro dellicona non rappresenta qualcosa,ma presenta la forza divina; per questo loro senza oggetto. Il com-

    pito della pittura di icone di tenere loro alla giusta distanza daicolori, manifestando linconfrontabilit delloro e del colore: loro pura luce, mentre i colori sono luce riflessa; di conseguenza appar-tengono a sfere distinte: i colori sono concreti, loro astratto.

    Nellicona non ci sono fonti di luce, dal momento che questa pe-netra dappertutto. La luce, simbolo del divino, rappresentata dal-loro che irradia la luce, ma nello stesso tempo opaco. Queste pro-priet rispecchiano il fatto che, se Dio si manifesta come luce, la suaessenza resta per inaccessibile. E tale inaccessibilit una vera e

    propria tenebra. Cos loro, che congiunge luminosit risplendentee opacit, esprime simbolicamente la luce divina, che insieme tene-bra impenetrabile: se la luce rappresentabile, la sua fonte, in quan-to tenebra, impenetrabile e dunque irrappresentabile. quanto sirintraccia nel principio stesso della teologia apofatica: limpossibilitassoluta di conoscere lessenza divina.

    Se con il Cristo che il cielo disceso sulla Terra, la bellezza delCristo, che solo licona suggerisce, scaturisce dalla coesistenza della

    trascendenza e dellimmanenza divina. In questo senso le icone sonoimmagini epifaniche: attraverso il visibile linvisibile viene verso dinoi. Questo significa che il Regno di Dio non accessibile che attra-verso la finitezza e contingenza di questo mondo. Cos lumanit vi-sibile del Cristo licona della sua divinit invisibile, ovvero il visibiledellinvisibile.

    Per gli iconoduli dunque rifiutare le icone rifiutare lincarna-zione, poich licona mostra lo stesso paradosso dellincarnazione:linvisibile si fa vedere. E, se il mistero dellincarnazione consiste nelfatto che il Verbo si fatto uomo, non uomo in generale, ma questo

    uomo, il Cristo appunto, questo Cristo che licona mostra. C dun-que una correlazione tra la concezione del mistero divino-umano delCristo e quella dellarte, dal momento che proprio riflettendo sulmistero teandrico del Cristo che gli iconoduli hanno giustificato lartesacra 39. Ma la connessione tra il motivo dellincarnazione e quellodellicona ha anche un altro significato: in entrambi i casi loriginalericeve un aumento di essere.

    Com noto, per Platone limmagine falsa apparenza, poichmanifesta soltanto laspetto esteriore della cosa che imita. sulla base

    di questo statuto fenomenico che limmagine estromessa dal realee dal sapere. Il Modello, o Idea, invece altro dallimmagine in quan-to non visibile e non dipende quindi dalle molteplici prospettive

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    dellapparire. Per raggiungere lIdea occorre dunque staccare gliocchi da ci che vediamo e questo salto dalla cosa allIdea della cosapriva le immagini di ogni statuto ontologico, riducendole appunto afalsa apparenza.

    A differenza della conclusione platonica, la filosofia neoplatonicaha definito ontologicamente il contenuto dellimmaginazione comeuna emanazione delloriginale. Il punto centrale di tale concezione che lessere delloriginale in questa emanazione risulta non impo-verito, bens aumentato. Lo sviluppo di questa idea fonda quello sta-tuto ontologico dellimmagine che spiega, secondo David Freed-berg 40, le diverse posizioni assunte dagli iconoclasti e dagli iconodulirispetto al significato e al ruolo dellimmagine. Sul valore ontologicodellimmagine e sul fatto che nellimmagine loriginale riceva un au-

    mento di essere ha insistito in particolare Gadamer41

    , secondo ilquale nellanalisi del concetto di quadro abbiamo a che fare con dueproblemi: le distinzioni tra il quadro-immagine (Bild) e limmagine-copia (Abbild), e il rapporto del quadro col suo mondo. Dopo averconnesso il concetto di rappresentazione con quello di quadro-im-magine, Gadamer afferma che il mondo che appare nella rappresen-tazione non si pone di fronte al mondo reale come una copia. Se in-fatti la rappresentazione mimesis, tuttavia questo significa non chela rappresentazione sia copia, bens che essa la manifestazione del

    rappresentato, nel senso che nella rappresentazione si realizza la pre-senza del rappresentato. La rappresentazione dunque, pur essendolegata alloriginale, autonoma rispetto a esso, a differenza della co-pia che, in quanto riproduzione e ripetizione delloriginale, finisce colsopprimere se stessa.

    Nel caso del quadro-immagine quello che conta proprio comesi rappresenta ci che in esso rappresentato. Il quadro-immagine,pur mostrando unindistinzione rispetto alloriginale rappresentato,tuttavia non una pura copia, giacch rappresenta qualcosa che sen-za di esso non si presenterebbe in quel modo: esso dice qualcosa di

    pi sulloriginale. Secondo Gadamer infatti, che solo alle origini del-la storia dellimmagine, o per cos dire nella sua preistoria, si incontrila magia dellimmagine, che si fonda sullidentit e indistinzione traimmagine e soggetto raffigurato, non significa che si abbia un proces-so di sempre maggiore distacco dallidentit magica verso una cre-scente coscienza della differenza dellimmagine, processo che dovreb-be condurre a un completo distacco. Anzi lindistinzione rimane unacaratteristica essenziale di ogni esperienza di immagini 42.

    Autonomia e ontologia dellimmagine fanno tuttuno: infatti nel-

    limmagine autonoma che loriginale si presenta con un aumentodessere. questa, fa notare Gadamer, unidea centrale della filoso-fia neoplatonica, secondo la quale lessere delluno originario non

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    viene impoverito nel fluire da esso della molteplicit, ma al contrarioviene aumentato. Anche i Padri della Chiesa si sono serviti di questadottrina per respingere le tesi iconoclastiche, giacch nellincarna-zione essi vedevano il riconoscimento fondamentale del valore del

    mondo finito, sensibile e visivo, e in tale riconoscimento era implicitaanche una giustificazione per le opere darte, dal momento che il su-peramento del divieto biblico di farsi immagini pu essere conside-rato come levento decisivo che rese possibile lo sviluppo delle arti fi-gurative nelloccidente cristiano.

    C dunque tra limmagine e loriginale un rapporto paradossale:da una parte limmagine non altro che il manifestarsi delloriginale,dallaltra questultimo diventa tale solo in virt dellimmagine-quadro. in particolare limmagine religiosa che manifesta, secondo Gada-

    mer, la portata ontologica dellimmagine, dal momento che essa non copia dellessere raffigurato, ma ha una comunione ontologica conil raffigurato stesso. Cos limmagine religiosa mostra in modo esem-plare come larte, nel conferire a qualcosa loriginale, il modello il carattere di immagine, apporti a esso un aumento dessere. In que-sto senso, poich limmagine-quadro ha in s un insopprimibile rap-porto con il suo mondo, ovvero con loriginale, si pu dire che pro-prio questo concetto di originale costituisca un momento essenzialedel carattere di rappresentazione proprio dellarte.

    Se in particolare il ritratto costituisce un esempio di immagine-quadro nel quale si d esplicitamente il riferimento alloriginale, piin generale limmagine una manifestazione di ci che essa rappre-senta. Cos per Gadamer proprio in quanto rappresentazione chelopera darte deve essere vista come manifestante un aumento des-sere, il che tuttavia non ne diminuisce affatto lautonomia. In questomodo, mentre il segno si risolve del tutto nel suo rimandare ad altroda s, giacch il suo richiamare lattenzione su di s solo finalizzatoa rendere presente qualcosa che non presente, limmagine al con-trario rimanda ad altro solo attraverso il proprio contenuto, dal mo-

    mento che il rappresentato esso stesso presente nellimmagine eproprio per questo ne riceve un aumento dessere, nel senso che nel-limmagine il rappresentato, loriginale, in modo pi autentico ciche davvero .

    Come si visto, la relazione tra il visibile e linvisibile la ca-ratteristica essenziale dellicona e, se licona, a differenza dellidolo, in primo luogo una presentazione e non una rappresentazione, que-sto dovuto al fatto che essa la presentazione di un assente. Per

    questo il Cristo non nellicona, ma licona che verso il Cristo, equesti non cessa di ritrarsi. In questo senso licona incarna il ritrar-si stesso. Inoltre, se licona ha una relazione di rassomiglianza e non

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    di similitudine con il prototipo, perch essa convoca lo sguardo erifiuta la visione, mettendo in relazione il visibile e linvisibile. que-sta lastrazione dellicona che era in questione nel dibattito tra icono-duli e iconoclasti.

    Come licona, cos ogni grande arte kenotica, in quanto mani-festa sempre la presenza di un vuoto. Il tratto iconico, che costitui-sce il disegno, non limita lessere che manifesta, dal momento che proprio nel tratto che lessere si ritrae. Nellicona si d cos la memo-ria di ci che si ritrae alla vista e alla rappresentazione, e questo fadella dottrina del segno iconico la prima formulazione dellastrazionepittorica, dal momento che ci che si presenta nellicona la mani-festazione di una latenza. Se il segno iconoclasta antifigurativo eignora lastrazione, poich ignora il ritrarsi, il segno iconico figura-

    tivo solo in quanto astratto. Il primo tipo di segno caratterizza lalinea che va dai dadaisti alla Pop-Art comprendendo anche Du-champ, il secondo proprio del cosiddetto astrattismo, secondo ilquale la tela, come un velo, copre e insieme scopre, e la memoria sinutre di quelloblio che nessuna rappresentazione potr togliere 43.

    1 Sul tema dellicona in generale e sulla sua attualit, si veda L. Russo (a cura di), Niceae la civilt dellimmagine, Aesthetica Preprint, 52, Palermo 1998.

    2 Sulla questione dellimmagine e delle sue valenze iconiche vedi L. Pizzo Russo, Genesi

    dellimmagine, Annali della Facolt di Lettere e Filosofia dellUniversit di Palermo, Palermo1997, in part. pp. 7-33.3 Si confronti in proposito G. Di Giacomo, Il Secondo Concilio di Nicea e il problema

    dellimmagine, in Nicea e la civilt dellimmagine, cit., pp. 71-86.4 W. Benjamin, Piccola storia della fotografia, in Id., Lopera darte nellepoca della sua

    riproducibilit tecnica, Einaudi, Torino 1966, p. 67 (ed. or. Das Kunstwerk im Zeitalter seinertechnischen Reproduzierbarkeit, in Schriften, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1955).

    5 Ivi, p. 70.6Ibidem.7Ibidem.8 W. Benjamin,Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica, in op. cit., p. 28.9 W. Benjamin, Di alcuni motivi in Baudelaire, in Id., Angelus Novus, Einaudi, Torino

    1995, p. 124 (ed. or. Schriften, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1955).10 Ivi, p. 124-125.11 J. Genet, Latelier di Alberto Giacometti, Il Melangolo, Genova 1992, p. 8 (ed. or.

    Latelier dAlberto Giacometti, in uvres compltes de Jean Genet, Tome V, Gallimard, Paris1979).

    12 Ivi, p. 10.13 Ivi, p. 11.14 Ivi, p. 18.15 Ivi, p. 12.16 Ivi, p. 19.17 Ivi, p. 21.18 Ivi, p. 43.19Ibidem.20

    Ivi, p. 44.21 Ivi, p. 46.22Ibidem.23 Ivi, p. 49.

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    24 J. Derrida,Mmoires daveugle. Lautoportrait et autres ruines, ditions de la Runiondes muses nationaux, Paris 1990, p. 54.

    25 J. Lacan, Lo sguardo come oggetto a, in Id., Il seminario. Libro XI. I quattro concettifondamentali della psicanalisi (1964), Einaudi, Torino 1974, p. 74 e 94 (ed. or. Le sminaire.Livre XI. Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse (1964), Seuil, Paris 1973).

    26

    M. Merleau-Ponty, Locchio e lo spirito, SE, Milano 1989, p. 23 (ed. or. Lil etlEsprit, Gallimard, Paris 1964).27 Ivi, p. 23.28 Ivi, p. 45.29 Ivi, p. 48.30Ibidem.31 Ivi, p. 49.32 Ivi, p. 50.33 Ivi, p. 49.34 L. Russo (a cura di), Vedere linvisibile. Nicea e lo statuto dellImmagine, Aesthetica,

    Palermo 1997, p. 20.35 Vedi su questo J. L. Marion, Lidolo e la distanza, Jaca Book, Milano 1979, pp. 205-

    250 (ed. or. Lidole et la distance, Paris 1977).36 A questo proposito cfr. J. L. Marion, La croise du visible, PUF, Paris 1986.37 Si veda L. Ouspensky, Thologie de licone, dans lEglise orthodoxe, Cerf, Paris 1982.38 Cfr. P. Florenskij, Le porte regali. Saggio sullicona, Adelphi, Milano 1987.39 In particolare si rimanda a C. Schnborn,Licone du Christ. Fondements thologiques,

    Cerf, Paris 1986.40 In D. Freedberg,Il potere delle immagini. Il mondo delle figure: reazione ed emozio-

    ni del pubblico, Einaudi, Torino 1993 (ed. or. The Power of Images. Studies in the Historyand Theory of Response, The University of Chicago, 1989).

    41 Cfr. Gadamer, cit.42 Ivi, pp. 173-174.43 Cfr. su questo M. J. Mondzain, Image, icne, conomie. Les sources byzantines de

    limaginaire contemporain, Seuil, Paris 1986.

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    Kandinskij: astrazione e misticismo

    La concezione dellarte di Kandinskij nasce dalla connessione diinteriorit e astrazione. Nello Spirituale nellarte Kandinskij tenta diindividuare, attraverso lanalisi del colore, della forma e della com-

    posizione, la possibilit di rivoluzionare il significato delloperazionepittorica. Tale possibilit data dal principio interiore e non piesteriore, ossia naturalistico, dellarte. In base a questo principio Kan-dinskij pu infatti affermare che, come al colore corrisponde unaparticolare vibrazione spirituale, cos alla forma corrisponde lestrin-secarsi di un contenuto interiore e alla composizione la risonanza,in quanto principio interno della composizione stessa. In questo mo-do il colore, la forma e la composizione intesi come architetture disuoni interiori partecipano di quella stessa qualit astratta che

    propria della musica e del suo carattere non-oggettivo. questa equivalenza colore-suono a far s che larte si estranei dalmondo. In tale nientificazione del mondo delle cose consiste quelmisticismo insito nellastrattismo di Kandinskij, che crea un mondodi entit non-oggettive, inesistenti e tuttavia reali. Il rimando a unagire interiore d infatti luogo a un non-oggetto che, analogamente aci che avviene nella mistica, mostra un diverso modo dessere del-le cose rispetto a quello della loro forma reale. La necessit interio-re di Kandinskij, la ricerca sottesa alla sua pittura astratta, si ponecome altro rispetto al mondo delle cose e questultimo trova in essa

    la sua unit. Cos, se Kandinskij parla di costruzione occulta, perch quanto apparentemente sembra casuale sulla tela invece in-teriormente fuso. Viene cos contrapposta a un mondo disgregatolesigenza di ricostituire interiormente una nuova totalit.

    In Kandinskij attivit pittorica e attivit teorica sono strettamenteconnesse. Al centro di questa duplice attivit il tema dellimmagineche, intesa come icona, resta sempre al di l del linguaggio descritti-vo e rappresentativo. La rottura radicale che compie Kandinskij ri-spetto alla raffigurazione mimetica legata alla sua scoperta del va-

    lore dellinteriorit e, daltro canto, il passaggio al non-figurativo sipresenta come la scoperta del contenuto reale della pittura. CosKandinskij assegna allarte una missione essenziale: lo svelamento del-

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    la realt nascosta, e fonda linvenzione dellastrazione pittorica sul-lesperienza della realt interiore che al centro della sua teoria.

    Kandinskij considera la sua pittura come un viaggio verso il sen-so, verso il vero essere. Questo implica non solo la dissoluzione del-

    loggetto, ma anche la fusione dello spettatore nel quadro. Larte concepita allora come un itinerario mistico poich, se lo spettatore invitato a fondersi nel quadro dimenticando se stesso, ci significa cheluniverso pittorico apre a una realt altra, la realt interiore. La sco-perta pi importante di Kandinskij infatti quella relativa al fatto cheil colore ha una realt interiore che lo caratterizza in modo del tuttoautonomo rispetto a qualsiasi finalit raffigurativa della realt esterna.

    questo che costituisce il nucleo teorico dello Spirituale nellarte.Il principio fondamentale che ispira questo lavoro infatti quello

    della necessit interiore, in forza della quale i colori entrano incontatto con lanima. Ma anche le forme, che costituiscono laltromezzo della pittura, hanno un contenuto interiore. Se nelle Bagnan-ti di Czanne Kandinskij sottolinea la progressiva geometrizzazione equindi astrazione dellelemento organico, perch considera larteastratta non come una rivoluzione, bens come unevoluzione natu-rale della creazione pittorica. La pittura astratta, lungi dal celebrarela scomparsa delloggetto, tende piuttosto a farne emergere la vita in-teriore: lastrazione non un fine ma un mezzo.

    Kandinskij fa unanalisi rigorosa della risonanza dei colori sullani-ma. Il colore lelemento astratto per eccellenza, dal momento chenon implica unazione emozionale dellindividuo, ma mette in causala sola anima. Egli distingue tra il calore o la freddezza del tono dicolore e la sua chiarezza o oscurit: cos, ad esempio, il giallo ha latendenza ad avvicinarsi allo spettatore, il blu quella di allontanarse-ne; il bianco il silenzio prima della nascita, il nero il silenzio dopola morte.

    Dello spirituale nellarte, che compare nel 1910, rappresenta laprima analisi formale dei presupposti della creazione artistica, pro-

    fondamente rivoluzionaria rispetto alle condizioni e alle possibilitdellarte moderna. Emerge chiaramente in Kandinskij la consapevo-lezza che il mondo, che si rivela ai nostri sensi, un insieme di fe-nomeni che nulla ha a che fare con la realt delle cose. Il pittore de-ve perci volgere la sua attenzione non a questo mondo, ma alla pro-pria interiorit. lo spirituale lobiettivo verso il quale dora inpoi, secondo Kandinskij, dovranno indirizzarsi tutte le arti. Questasvolta spirituale esige che loggetto scompaia e che la pittura rivolgala sua attenzione unicamente ai propri mezzi compositivi. Ci tutta-

    via non pu non sollevare un interrogativo: se la pittura deve fare ameno di raffigurare il mondo esterno, che cosa deve o pu sostituirsialloggetto? Kandinskij, rifiutando larte puramente decorativa, ri-

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    sponde che loggetto deve essere sostituito dalla risonanza interio-re, ossia dallazione diretta del colore sullanima. La forma e il co-lore si armonizzano per creare il quadro, secondo il principio dellanecessit interiore; solo allora nasce lopera darte autentica: la com-

    posizione entra in contatto con lanima umana e si stabilisce la riso-nanza. La teoria dellastrazione di Kandinskij deriva cos dalla consa-pevolezza dellimpossibilit di esprimere con i mezzi raffigurativi del-la pittura quella sensazione di felicit che, come scrive nella sua au-tobiografia Sguardo sul passato doveva essere il vero scopo dellapittura.

    Larte astratta nasce quando lartista rinuncia a perseguire la per-fetta imitazione della natura: soltanto allora larte pu raggiungereunespressione altrettanto intensa di quella della natura stessa. Il fatto

    che per Kandinskij larte una creazione parallela, che si pone difronte alla natura e possiede il suo stesso grado di realt. La conse-guenza la scoperta dellanima di ogni cosa, in particolare di quelladel punto e di quella del punto in movimento, ossia della linea. Lar-te astratta nasce e si fonda su questa consapevolezza: essa arte pireale e pi concreta dellarte figurativa perch, invece di limitarsi aimitare la natura, trova la sua realt nei mezzi che le sono propri.Cos per Kandinskij soltanto lopera pu portare fuori del tempo edello spazio, dando vita a ci che nascosto nelle cose. Di qui la

    consapevolezza che creare unopera darte creare un mondo: que-sto il motivo conduttore dello Spirituale nellarte.Per Kandinskij larte che solo figlia del suo tempo e non mai

    in grado di diventare la madre del futuro unarte sterile; soltantolarte capace di ulteriori creazioni, radicata nel proprio periodospirituale, ma nello stesso tempo non ne solo uneco e un riflessobens possiede una stimolante forza profetica, capace di esercitareunazione vasta e profonda 1. questa nuova arte che richiede unamisteriosa capacit di vedere 2, di vedere la via e indicarla. Lo spi-rituale fa dunque appello non alla visione dellocchio, ma a quella

    dello sguardo, poich si tratta di vedere laltro delloggetto che sioffre allocchio, ovvero di distogliere gli occhi dallesteriorit e di ri-volgerli verso se stesso 3. Di qui lammirazione di Kandinskij perSchnberg, la cui musica ci introduce in un nuovo regno, dove leesperienze musicali non sono acustiche benspuramente psichiche 4.

    Allo stesso modo Czanne riusc a fare di una tazza da t un es-sere animato o, pi esattamente, riusc a riconoscere in una tale taz-za un essere. Egli innalza la natura morta a un livello in cui le coseesteriormente morte acquistano una vita interiore [...] Un uomo, una

    mela, un albero non sono gli oggetti della rappresentazione pittorica,ma vengono usati da Czanne per creare una cosa che ha un suonointeriore e pittorico e che si chiama immagine. Cos chiama le sue

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    quel che del mondo che sfugge a ogni raffigurazione e pu esseresoltanto sentito. lelemento mistico, connesso allastrazione kan-dinskijana, il quale implica non un superamento del finito, del limite,bens proprio questo finito e questo limite, prima che essi diven-

    gano oggetti di raffigurazione. In questo senso lastrazione ha a chefare con un mondo senza-oggetto, ovvero con il non-oggetto. Ed per questo che Kandinskij riconosce nello spirituale la dimensio-ne propria dellarte. Si tratta di qualcosa che non si offre alla nostravista come un oggetto, ma di qualcosa che si mostra a una secondavista e, in quanto tale, pu essere non conosciuto, raffigurato, masolo sentito, di qualcosa nella quale ci sentiamo presi.

    In base al principio della necessit interiore, la stessa forma pit-torica diventa astratta, poich non ha pi una finalit rappresentativa,

    ma vale per se stessa. Secondo la tesi di Kandinskij, la visibilit dellaforma o del colore non che il suo aspetto esteriore, mentre la suarivelazione interiore costituisce la sua realt vera. Lastrazione diKandinskij leliminazione delloggetto come condizione dello svela-mento degli elementi pittorici nella loro purezza. Lelemento pittori-co pu dunque mostrare una risonanza interiore solo in quanto ri-dotto alla sua pura apparizione sensibile.

    Il principio della pittura astratta lirruzione di ci che si sottraeal visibile. Abbandonata la rappresentazione della terza dimensione,

    la possibilit della composizione, cio della pittura, risiede ormai nel-lo spazio stesso, nellesteriorit come tale. Il colore non legato auna tonalit secondo unassociazione esterna e contingente, dal mo-mento che esso in se stesso questa tonalit, questa sonorit interio-re. In tal senso, secondo Kandinskij, larte appartiene esclusivamen-te alla sfera della sensibilit. Il tema non precede lopera, n si separada essa, dalla sua pura pittoricit: esso il contenuto reale e invisibi-le, il suo contenuto astratto. Di qui quella che Michel Henry giudi-ca la tesi pi radicale di Kandinskij: la stessa forma astratta 42. infatti proprio estendendo la risonanza interiore, che propria di

    ogni oggetto particolare, agli elementi puri linea, punto, colori liberati da ogni significato esteriore, che Kandinskij ha fatto la sco-perta dellastrazione.

    Tornare ai colori e alle forme nella loro pura pittoricit compor-ta una riduzione: leliminazione delloggetto, cio il rifiuto della figu-razione, e questo rinvia la pittura agli elementi che le sono propri.Sono queste forme e questi colori puri, questi elementi pittorici por-tati allestremo limite della loro pittoricit e della loro astrazione ciche possibile contemplare nelle ultime tele parigine di Kandinskij.

    A partire da quei colori e da quelle forme non si pu vedere nienteche indichi o significhi qualcosa al di l di essi. Non c nessuna real-t, nessun contenuto, solo campi di colore che non sono colori di

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    nessuna cosa. In quelle tele, colori e forme non sono soltanto gli ele-menti del quadro, ma sono anche quelli delluniverso nel quale vivia-mo. Cos lo statuto delluniverso sarebbe simile a quello di un dipin-to astratto. in questo modo realizzata lidentit di pittura astratta e

    cosmo. Si tratta ovviamente di un mondo ben diverso da quello dellanostra percezione quotidiana, poich tutto ci che contempliamo me-ravigliati non rimanda a nulla di ci che conosciamo. Le ultime telekandinskijane ci propongono dunque mondi nuovi, astratti, privi dirapporti con il nostro; un cosmo vivente, abitato da elementi insoli-ti, che hanno laspetto di forme viventi: forme organiche, frammentidi insetti, creature di un altro mondo, che ci rivelano lessenza diogni natura e di ogni mondo possibile 43.

    Proprio in questa regressione a ci che primordiale il quadro

    non ci d alcuna informazione oggettiva, non essendo n paesaggio,n natura morta, n ritratto, ma solo immagine, rinuncia allunivo-cit oggettuale per una molteplicit di significati, che hanno la loroorigine nella meraviglia di fronte a una pittura che ha rinunciato araffigurare il come del mondo per mostrarci il suo che. Per questoKandinskij afferma che Ogni vera nuova opera porta a espressioneun nuovo mondo, ancora mai esistito prima. Ogni vera opera, quin-di, una nuova scoperta; al mondo conosciuto ne affianca uno nuo-vo, fino ad allora ignoto 44. Questo spiega il fatto che oggetto della

    sua ricerca non sia il mondo concreto, bens il contenuto stesso del-larte, la sua essenza.

    1 V. Kandinskij, Dello spirituale nellarte, in Tutti gli scritti, 2 voll., Feltrinelli, Milano1989, vol. II p. 72 (ed. or. a cura di Philippe Sers, Denol-Gonthier, Paris 1970).

    2Ibidem.3 Ivi, p. 83.4 Ivi, p. 85.5 Ivi, p. 86.6 Ivi, p. 89.7 Ivi, p. 90.8Ibidem.9 Ivi, p. 96.10 Ivi, p. 98.11 Ivi, p. 99.12 Ivi, p. 100.13 Ivi, p. 119.14 Ivi, p. 132.15 Ivi, p. 133.16 V. Kandinskij, Sguardo al passato, in Tutti gli scritti, cit., vol. II p. 157-158.17 Ivi, p. 160.18Ibidem.19 Ivi, p. 162.20

    Ivi, p. 162-163.21 Ivi, p. 164.22 Ivi, p. 165.23Ibidem.

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    24 Ivi, p. 168.25 Ivi, p. 169.26 Ivi, p. 170.27 Ivi, p. 174.28 Ivi, pp. 175-176.29

    Cfr. a proposito P. Sers, Kandinsky. Philosophie de labstraction: limage mtaphysique,Skira, Genve 1995.30 V. Kandinskij, Conferenza di Colonia, in Tutti gli scritti, cit., vol. I, p. 148.31 V. Kandinskij, Arte astratta, in Tutti gli scritti, cit., vol. I, p. 166.32Ibidem.33 V. Kandinskij, Riflessioni sullarte astratta, in Tutti gli scritti, cit., vol. I, p. 177.34 Come fa giustamente notare Philippe Sers, curatore degli scritti di Kandinskij, que-

    sta traduzione del titolo, Punto e linea nel piano, preferibile a quella Punto, linea e super-ficie perch, mentre questultima pone sullo stesso livello dimportanza i tre elementi, laprima, pi conforme del resto alloriginale Punkt und Linie zu Flche, stabilisce una netta re-lazione dei primi due elementi al terzo. Di fatto lopera di Kandinskij analizza il punto e lalinea in funzione del piano, ossia nel loro uso in pittura.

    35 V. Kandinskij, Punto e linea nel piano, in Tutti gli scritti, cit., vol. I, p. 15.36 Cfr. ivi, p. 35.37 Ivi, p. 57.38 Cfr. V. Kandinskij, La pittura come arte pura, in Tutti gli scritti, cit., vol. I, p. 137.39 Cfr. ivi, p. 138.40Ibidem.41 Ivi, p. 140.42 In M. Henry, Vedere linvisibile. Saggio su Kandinskij, Guerini, Milano 1996 (ed. or.

    Voir linvisible. Sur Kandinsky, ditions Juillard, Paris 1988).43 Cfr. M. Henry, Il mistero delle ultime opere, in J. Hahl-Koch, Kandinskij, Fabbri,

    1994 (ed. or. Kandinsky, Marc Vokar Editeur, Paris 1993).44 Cit. in W. Hofmann, I fondamenti dellarte moderna, Donzelli editore, Roma 1996, p.

    57 (ed. or.Die Grundlagen der modernen Kunst. Eine Einfhrung in ihre symbolischen For-

    men, Alfred Krner Verlag, Stuttgart 1987).

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    Malevic: il Niente liberato e lo zero delle forme

    possibile seguire gli sviluppi della pittura di Kandinskij, che a buon diritto considerato il fondatore dellastrazione, attraverso lim-pressionismo e il simbolismo fino a quegli esiti pittorici che celebrano

    la scomparsa progressiva delloggetto, per approdare infine a una pre-sentazione della pura visione interiore delle cose. Latto pittorico diKandinskij procede progressivamente dalla rappresentazione del mon-do fenomenico a una visione astratta di questo mondo. La suaastrazione nasce dal fatto che la visione del pittore si basa su un dua-lismo tra la forma interiore e quella esteriore, laddove la necessitinteriore, considerata come lunica legge dellarte, ci che permettedi adeguare tra loro le due forme. Nello stesso tempo una tale astra-zione mira a trasfigurare gli oggetti, superando quanto di materiale presente nelle forme in vista di una esclusiva composizione dellaloro consonanza e dissonanza. Di qui in Kandinskij limportanza dellaquestione della forma. Se Kandinskij stato senza dubbio uno deiprimi artisti ad aver formulato il principio dellautonomia della crea-zione artistica, tuttavia la sua pittura continua ad avere un referente:il mondo interiore, che prende il posto del referente mimetico-natu-ralistico. Cos pur sempre un oggetto, sebbene spirituale e nonmateriale, a costituire il fine della pittura.

    La differenza tra lestetica di Kandinskij e quella dei cubisti to-tale: se il primo parla di astrazione, con riferimento allastrazione

    musicale, i cubisti invece parlano di costruzione, sviluppando il prin-cipio di Czanne in base al quale la natura va raffigurata per mezzodel cilindro, della sfera e del cono. Loggetto materiale non spariscenelle opere dei cubisti, ma scomposto e ricomposto secondo unalogica pittorica nella quale non ci sono che volumi, rapporti e contra-sti. Del resto anche nel raggismo di Lorianov loggetto ridotto al-linsieme dei raggi che da esso si dipartono. Ed proprio alliniziodegli anni Dieci durante i quali quei movimenti si vanno forman-do e sviluppando che nasce anche il suprematismo, spesso defini-

    to come il tentativo pittorico pi radicale del XX secolo1

    . in questi anni che Malevic connette i principi del cubismo equelli del futurismo in un gruppo di quadri che classifica sotto le-

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    tichetta di realismo transmentale, del quale sono espressione esem-plareIl mattino dopo la tempesta di neve nel villaggio eLarrotino, esotto quella di realismo cubo-futurista, come ad esempio Il samo-var. A questo sistema cubo-futurista si sovrappone il sistema alogi-

    sta, per esempio La vacca e il violino e Linglese a Mosca, nel qua-le la pittura perde definitivamente lo statuto di rappresentazione delmondo sensibile: la vacca che distrugge il violino sta infatti a signifi-care la distruzione di uno degli oggetti della rappresentazione cubi-sta. Se prendiamo in considerazioneLinglese a Mosca, notiamo comegli elementi figurativi siano accostati arbitrariamente, in contrasto coltitolo dellopera e diano allimmagine un senso di provocazione, libe-randola da ogni rappresentazione mimetica. In questo caso chiaroche la provocazione, liconoclastia, si consuma allinterno della stes-

    sa immagine. Qualcosa di analogo sar rintracciabile nellopera diRen Magritte e in particolare nella sua immagine della pipa: Questonon una pipa.

    Per Malevic sono dunque le leggi del materiale, inerenti allopera,che devono determinare la forma. Questo significa liberare la pitturada ogni soggetto extra-pittorico: il soggetto va ricercato nel materialee non a livello storico, letterario o psicologico. Di qui la convinzionedi Malevic che sia la forma a creare il contenuto. Tali esperienze pit-toriche erano state del resto precedute dalla messa in scena dellopera

    La vittoria sul Sole, alla quale Malevic aveva lavorato come pittore-scenografo. Se il sole il mondo figurativo, la vittoria sul sole lavittoria sul mondo degli oggetti; essa proclama infatti la distruzionedel vecchio ordine culturale e descrive ci che ne prender il posto:una nuova concezione dellarte e della vita. Ed proprio tra i disegniscenografici di questopera che compare per la prima volta un quadri-latero nero. vero che questo quadrilatero non arriva ancora a eclis-sare totalmente le forme di una prospettiva che per il momento an-cora cubista, tuttavia rappresenta lultimo passo verso uneclissi totale,che trover piena espressione nel Quadrangolo nero su fondo bianco,

    esposto per la prima volta a Pietrogrado nel 1915. proprio Malevica chiamarlo quadrangolo e non quadrato nel catalogo dellespo-sizione 0,10, volendo con ci sottolineare il fatto che tale quadran-golarit si oppone alla triangolarit che per secoli ha rappresentatosimbolicamente il divino 2. Di fatto il problema del suprematismo non un problema di geometria, ma il problema della dimensione pit-torica in quanto tale, ossia della superficie assolutamente piana colo-rata. Non si ha infatti a che fare con una superficie piana con varia-zioni geometriche, giacch in questo caso si rimarrebbe nel dominio

    del figurativo, della rappresentazione e del simbolismo; il supremati-smo fa piuttosto apparire il senza-oggetto assoluto che non rappre-senta bens , ovvero presenta il mondo senza-oggetto.

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    laltro che si d in essa senza essere esso stesso immagine. Non acaso, liconoclasmo condannava licona proprio perch, non ricono-scendone la natura