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Editoriale di Gennaio - Lions Club Palermo Dei Vespri · sotterraneo dei mitici Beati Paoli, resi celebri e po - polari da Luigi Natoli. Un pubblico numeroso ed interessato ha riempito

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Vesprino Magazine

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Editoriale Gabriella Maggio

Auguri La Redazione

Una lettura di Miele di Mare Gabriella Maggio

I flauti di S. Matteo Carmelo Fucarino

Condoglianze Lions Club

La cucina nell’antica Roma Gabriella Maggio

7 gennaio 2014 Festa del Tricolore Pino Morcesi

Tradizionale Befana con i piccoli degenti

Attilio Carioti

I sessant’anni della televisione Daniela Crispo

Le ricette letterarie di Marinella Marinella

Carlo Barbieri e Pablo Neruda Carlo Barbieri

Partita la XXIX Stagione della Mazzoleni

Gaetano Albergamo

Quinta edizione dei Concerti di Natale

Gabriella Maggio

Il fascino della voce Mariny Franciosa

Anche per scaramanzia Carmelo Fucarino

Giornata mondiale della pace Irina Tuzzolino

Condoglianze Lions Club

L’odore degli altri Raimondo Augello

L’odore degli altri seconda parte Raimondo Augello

Alleluia! I Siciliani in scena Carmelo Fucarino

Feursnot Salvatore Aiello

L’esondazione della Secchia Lions Club

Omaggio a Claudio Abbado Gabriella Maggio

Prevenzione in piazza Vincenzo Ajovalasit

27 gennaio 2014 Giornata della memoria

La Redazione

Rileggendo il Don Quijote Gianfranco Romagnoli

Ancora sulla lingua italiana Carmelo Fucarino

L’eretico Raimondo Augello

L’Orto Botanico Tommaso Aiello

SOMMARIO

Comitato di redazione:Gabriella Maggio (Direttore)Mimmo Caruso • Renata De SimoneCarmelo Fucarino • Francesco Paolo Scalia

Hanno collaborato al n. 46 di Vesprino:

Cari Amici, Care Amiche un tempo si

diceva che “seggendo in piuma, in fama non

si vien”, cioè vivendo tra gli agi e in ozio non

si acquista fama. Sembra che oggi noi

questo monito l’abbiamo preso alla lettera

visto che ci affanniamo costantemente

senza posa. Forse troppo. E la fama non

sempre arriva, ammesso che ci interessi ve-

ramente. A fine giornata abbiamo l’impres-

sione di avere accumulato una grande stanchezza e sentiamo che un

senso di generale inutilità si stende sulle nostre occupazioni, anche se ab-

biamo raggiunto dei risultati. Forse perché non tutte sono veramente nec-

essarie. Con ingordigia riempiamo il nostro tempo, temendolo quando è

vuoto, biasimandolo quando è troppo pieno, raramente vivendolo

sapendo di viverlo per quello che è. Il tempo è l’antagonista privilegiato

e ciò nonostante lasciamo che ci rubi minuto dopo minuto. Sospendere

talvolta le nostre occupazioni, fermandoci un po’, potrebbe aiutarci a

capire l’inutilità o l’utilità di molte di esse e potrebbe spingerci a scegliere,

ma anche potremmo capire che molti eventi bruciano troppo in fretta,

così come il mondo che ha accelerato con la velocità di un frullatore. Gli

inizi dell’anno sono i più propizi alle riflessioni ed ai bilanci e natural-

mente ai progetti e a questi non bisogna sottrarsi. Allora affrontiamo il

nuovo anno con l’impegno di vivere il tempo riappropriandoci del tempo

stesso, anche se desideriamo fama e successo.

Gabriella Maggio

Hanno collaborato: Salvatore Aiello, Tommaso Aiello,Gaetano Albergamo, Vincenzo Ajovalasit, RaimondoAugello, Carlo Barbieri, Attilio Carioti, Daniela Crispo,Mariny Franciosa, Carmelo Fucarino, Marinella, PinoMorcesi, Gianfranco Romagnoli, Irina Tuzzolino.

Editoriale di Gennaio

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Lions Club

LA REDAZIONEDI VESPRINO

AUGURA UN FELICE

A TUTTI I LETTORI ECOLLABORATORI

Letteratura

L’opera prima di Emanuele Lanzetta, Mieledi mare, è presentata ai lettori come un ro-mance, racconto di un amore e di un viag-gio, metafore dell’affacciarsi alla vita

pienamente e profondamente vissuta col corpo e conla mente. Romance come ricerca di sé, soprattutto nelmomento del discidium. Emanuele infatti ha cantatol’amore felice nelle e con le parole di Fabrizio DeAndrè, ma nel momento del distacco scioglie il suocanto più intimo e personale  per comporre il sensodella sua vita dove non c’è più niente d’incredibile,niente d’amore. Me duele una mujer en todo il corpoaveva detto con sintesi straordinaria J.L.Borges ( Elamenazado, in Oro delle tigri – Rizzoli) . Nel mo-derno romance, l’avanture è rappresentata dall’espe-rienza d’amore e la queste diventa ricerca di un sensodi sé , sempre deluso. La sombra no ha traìdo la paz( Borges , idem) la zona d’ombra in cui il poeta si trovadopo la fine dell’amore non porta la pace. La dol-cezza del miele cede all’amaro dell’acqua salata: am-

bivalenza del mare, che pure aveva portato l’amore,la dolcezza. La disposizione dei testi poetici, distintiin prologhi “p.” e canti,  è coerente con la queste delromance, come tentativo di mettere in sequenza coe-rente le tessere della storia e ricavarne un significato.Ricerca di una nuova scansione del tempo… star con-tigo e no estar contigo es la medida de mi tiempo (Borges, idem). Emblematico l’ultimo componi-mento,Uno e infiniti addii, un calligramma che ri-produce la farfalla nel duplice aspetto di leggerezzaed incostanza, ma anche di rinascita, per la meta-morfosi da crisalide a farfalla, dalla potenzialità del-l’essere all’essere. Ma ancora ritorna l’ossimorodell’addio infinito. Emanuele si rivela uomo del nostrotempo sebbene appaia legato profondamente alla let-teratura.  La sua poesia rivela conoscenza e padro-nanza dei mezzi espressivi nel dar voce al processodal solido al fluido, dall’amore vivo e vissuto al disci-dium, alla vita che diventa solitaria compagna.

Una lettura di miele e di maredi Emanuele Lanzetta

di Gabriella Maggio

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La chiesa di S. Matteo al Cassaro ha ac-colto in tutto il suo splendore una seratadi eccezione, un concerto da camera par-ticolare. La chiesa è di elezione del Lions

Palermo dei Vespri, che ad essa ha dedicato daqualche anno un suo service, per un primo avviodi restauro globale, che meriterebbe più attenzioneda parte delle Autorità, dati la sua storia e i tesoriche conserva. Il Club ha cominciato con una puli-zia generale, soprattutto negli arredi della preziosasacrestia, che in uno strano scanno in legno inta-gliato nasconde l’apertura di un cunicolo che con-duceva, secondo la leggenda, al percorsosotterraneo dei mitici Beati Paoli, resi celebri e po-polari da Luigi Natoli.Un pubblico numeroso ed interessato ha riempitola chiesa per ascoltare l’Ensemble Flûtes en vacan-ces, un gruppo vario di flautisti accompagnati daun pianista e da un maestro di contrabbasso. L’en-semble è straordinario perché di recentissima co-

stituzione (estate 2013), ma soprattutto perchécomposto da strumentisti giovanissimi. Lode per-ciò al maestro Francesco Sclafani, che nel brevetempo di sua formazione è riuscito a creare unaperfetta sintonia e un così saldo ed unisono sodali-zio. Un encomio anche al direttore artistico di “Na-tale a Palermo”, maestro Gaetano Colajanni, cheha impostato la scelta dei gruppi in questa dire-zione di promozione giovanile, e un ringrazia-mento all’architetto Giacomo Fanale per la sceltadello scrigno architettonico della nostra chiesa diadozione – basterebbero i Serpotta -, e un grazie alparroco che la ha gentilmente concessa.Sciolti gli obblighi di rito, passiamo ai protagonistidella serata, cioè agli autori dei brani e ai giovaniartisti esecutori ed interpreti. Il programma è statoassai articolato, scorrendo nei suoi nove passi tuttolo sviluppo della musica cameristica dedicata aquesto strumento, il più antico che l’uomo abbiainventato e suonato, l’aulos della musica greca, il

di Carmelo Fucarino

I flauti a S. Matteo

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Attualità

Attualità

più semplice strumento nell’invenzione primitiva enel suono caldo e vellutato. Dato lo spazio del blog,posso solo ricordare i versi danteschi (Par. I, vv. 19-21, «Entra nel petto mio, e spira tue / sì comequando Marsïa traesti / de la vagina de le mem-bra sue») e il mito dell’invenzione divina da partedi Atena, che lo buttò via inorridita, appena vide lesue gote deformate.La parte del leone l’ha fatto naturalmente J. Seba-stian Bach (1685-1750) con una triade ben cali-brata di sue composizioni. L’avvio è offerto da unasinfonia e corale (Cantata natalizia, BWV 142, Unsist ein Kind Geoboren, È nato un Bambino, corale,Alleluja, Alleluia, gelobet sei Gott, Leipzig 1720circa). Si tratta naturalmente di un adattamento alcomplesso flautistico di una sinfonia spesso usataper organo grande e i ragazzi hanno saputo co-glierne lo spirito sotto la guida esperta del maestro.A seguire il tema “arioso” dalla Cantata n. 156, instile di canto solista, lirico tra recitativo e aria, il cuititolo esprime il momento tragico della vita del-l’artista, «Io sto con un piede nella fossa» (Ich steh'mit einem Fuß im Grabe), nato per oboe e archi, ingenere per flauto è reso in una tonalità superiore.Infine del corale n. 147, che ebbe due versioni aWeimar e Leipzig, è stato eseguito il decimo movi-mento, il corale Jesus bleibet meine Freude, sem-plice corale a quattro parti che si sviluppa su unastruttura orchestrale tripartita su melodia dallaprima frase del cantus firmus in un’atmosfera pa-storale. E qui i ragazzi hanno avuto modo di espri-mere le loro qualità sorretti dal motivo insistente.Dal barocco della Weimar del Bach che ivi era Ka-pellmeister, alla Venezia di Vivaldi (1678-1741) conil concerto specifico dedicato a due flauti e orche-stra (Kv. 533), che ha dato possibilità agli strumen-tisti di esprimere le loro capacità sonore e levariazioni melodiche nei tre movimenti di Allegromolto, Largo e Allegro. Il salto all’odierno è avve-nuto con l’Antique suite di un organista inglesecontemporaneo, John Rutter (London, 1945), neitempi Prelude-Ostinato-Aria e un ritorno al primoNovecento con l’Hymnus del violoncellista Julius

Klengel (1859-1933). Un omaggio al giovane, pre-maturamente scomparso a quaranta anni il 19 di-cembre scorso, è dedicato con la fantasia dallacolonna sonora di The Mission di Ennio Morri-cone, famoso per la collaborazione con SergioLeone e Oscar alla carriera nel 2007, e dello stessosfortunato maestro una fantasia a chiusura (Medleynatalizio per orchestra di flauti, Santa claus is co-ming to town; It's beginning to look a lot like Chri-stmas; Let It snow,Let It snow,Let It snow; Jinglebells). È un lavoro in collaborazione con i “Joueursde Flûte”, ensemble di flauti piemontese diretto daMariangela Biscia in occasione del tour americanoe della loro presenza al National Flute Association2011 in North Carolina. Nel mezzo un suggestivomovimento di La Moldava, poema sinfonico del1874 di Bedrich Smetana (1824-1884), facenteparte del ciclo sinfonico La mia patria (Má vlast),da lui composto negli anni difficili di malattia. Pro-prio all'inizio due flauti danno vita alla melodia on-deggiante del ruscello, seguiti dai clarinetti conun'entrata a canone e poi con l’avvio degli archi.Per gli ascoltatori sono stati momenti di grande go-dimento, sia per la scelta così eterogenea dei braniche andavano dalle melodie barocche, così ormaifuori epoca, ma sempre suggestive per le loro va-riazioni e sonorità, alle modulazioni jazzisticheodierne, ma anche per la versatilità e intercambia-bilità dei solisti che hanno mostrato una grandesintonia e una esperienza degna del maestro, ecce-zionale per la brevità di tempo del sodalizio e perla loro giovane età. Ogni solista meriterebbe unaparticolare segnalazione dell’esecuzione.

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I flauti a S. Matteo

Il Presidente del Lions Club Palermo dei Vespri Giuseppe Sunseri e tutti i Soci

del Club partecipano al dolore di Gerardo La Mantia e di Rosalba Bellavia

per la morte della madre Sig.ra Marianna Tuccio La Mantia.

Lions Club

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Storia

In un tempo in cui sui media si spadella in con-tinuazione non guasta rivolgerci ai nostri anti-chi e valorosi antenati il cui valor non è ancormorto come suggeriva Fr. Petrarca, l’ever green

della nostra illustre letteratura. Probabilmente questopromette l’invito di Carmelo. I Romani seguivano laseparazione degli stili delle letterature classiche, percui parlavano di cibo in alcuni generi letterari: lacommedia e la satira. Anche nel genere epico talvoltagli eroi mangiavano, ma di sfuggita e quasi sempre lastessa cosa: carne arrostita allo spiedo. Qualcosa sitrova anche nei trattati sulla gestione della fattoria diCatone e di Varrone, per quel che riguarda la cucinapopolare, ma è la satira a darci un’idea precisa delcibo e del banchetto romano delle classi alte. In par-

ticolare Q. Orazio Flacco in due satire del secondolibro dei Sermones: Unde et quo Catius?( IV-II) ; UtNasidieni iuvit te cena beati? ( VIII-II) in cui ci pre-senta lo schema tipico della cena romana nel tricli-nium,col susseguirsi delle portate dalla gustatio aldessert, che qualche decennio dopo sarà ripreso conarte meravigliosa da Petronio nella Cena Trimal-chionis, il più ampio frammento del suo Satyricon,che noi moderni chiamiamo romanzo. Ma gli antichiignoravano questo nome. Resta il famoso e stuzzi-cante Marco Gavio Apicio col suo De re coquinaria,ricettario in dieci libri, dove si possono trovare spuntiper la nostra cucina. Ma dove muoverà i suoi passiCarmelo Fucarino ? Chi volesse saperne di più nondeve che andare ad ascoltare la sua conversazione.

La cucinanell’antica Roma

di Gabriella Maggio

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Oggi 7 gennaio 2014 ricorre la Festa del Tricolore punto di riferimento essenziale per far fronte conrobuste radici e spirito innovatore alle sfide attuali ha detto il Presidente della Repubblica GiorgioNapolitano, ricordando che ricorre il 217° anniversario del primo tricolore, proclamato a ReggioEmilia ed eletto subito a simbolo della Nazione che lottava per la libertà e l’indipendenza.

Attualità

7 gennaio 2014Festa del Tricolore

di Pino Morcesi

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Lionismo

Secondo una consolidata tradizione il Lions Club Palermo dei Vespri anche quest’anno ha trascorso lamattina della Befana con i piccoli degenti dell’Ospedale G. Di Cristina di Palermo. Promotori VincenzoAjovalasit e Aldo Barone, nella foto in camice bianco, soci del Club e medici dell’Ospedale. Tradizio-nali anche le due Befane, Vittoria Milazzo e Lucina Gandolfo, che hanno divertito i piccoli edistribuito i doni.

Tradizionale Befanacon i piccoli degenti

di Attilio Carioti

Vittoria Milazzo Lucina Gandolfo

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Queste parole pronuncia la prima annun-ciatrice, Fulvia Colombo, il 3 gennaio1954. Dell’annuncio non abbiamo laregistrazione originale, perché allora

non si pensava a conservare, ma una del 1964 rifattaper un documentario di Ugo Zatterin. Da quelgiorno l’Italia ancora afflitta dai problemi della ri-costruzione postbellica guarda al mondo con spe-ranza e fiducia di migliorare la propria condizione.Ai giovani non suggerisce nulla o quasi l’anniversa-rio, ma ai sessantenni e cinquantenni rievocal’aprirsi di nuovi orizzonti culturali, l’input a leggeread informarsi a comprendere la complessità e le in-terconnessioni culturali tra i popoli. Perché al con-trario di oggi le trasmissioni suscitavano curiosità,facevano venire voglia di comprare e leggere il libroda cui era tratto lo sceneggiato o il film, di andarea teatro per vedere l’attore ammirato nei pro-grammi teatrali puntualmente trasmessi in diretta.

La Rai è stata veramente una grande industria cul-turale. Il suo tono era medio-alto in sintonia conun programma di acculturazione che sfruttando lecaratteristiche proprie del mezzo di comunicazionesi rivolgeva anche ai meno colti, guidandoli attra-verso l’ampliamento del linguaggio alla compren-sione di testi ed opere, che altrimenti avrebberoignorato. Dalla promozione culturale a quella so-ciale. Ma il tempo cambia e trasforma ogni cosa.Oggi non si può più sostenere che la Rai sia la piùgrande industria culturale o che abbia un valore for-mativo di rilievo. La pubblicità la rende serva del-l’audience. Deve offrirsi ad un pubblico il piùampio possibile, ma non per migliorarlo cultural-mente, ma per stimolarne i desideri. Quindi vale lapena ricordare la ricorrenza anche per pensare alfuturo, più che a conservare ad innovare con corag-gio.

I sessant’annidella Televisione

di Daniela Crispo

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Attualità

“La Rai, Radio Televisione Italiana, inizia oggi il suo regolare servizio

di trasmissioni televisive”

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Cucina

LE RIcETTE dIMaRInELLa

Preparazione:

Versare l’emulsione di olio, limone, brandy, salsa Worcester, senape, sale epepe sulla carne, battuta con un coltello. Disporre la tartare al centro delpiatto, versarvi sopra il tuorlo d’uovo e ornare intorno con capperi,prezzemolo cipollotto, fettine di limone.Si può accompagnare con pane di segale tostato, birra o vino rosso corposo.

BIstecca alla tartara

Ingredienti:

Filetto di manzo, olio, limone,

brandy,salsa Worcester , senape,sale e

pepe, 1 tuorlo d’uovo, capperi,

prezzemolo, cipollotto scalogno in

proporzione

I fiori blu di Raymond Queneau ci propongono una vicenda che si svolge su piani temporali diversi, gli anni ’60ed il 1264 di cui sono protagonisti due personaggi diversi, Cidrolin ed il Duca d’Auge, che si muovono tra le ma-cerie della storia mentre l’uno sogna di essere l’altro. Tra i Normanni che bevono calvadòs e i Gaulois che fumanoGitanes, gli Unni mangiano bistecche alla tartara.

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Letteratura

La Speranza ha due bellissime figlie:lo Sdegno e il Coraggio.

sdegno per la realtà delle cose;il coraggio per cambiarle.

Pablo Neruda

I brutti nipoti della Speranza sono il Fatalismo e la Disillusione.Sono nati tutti e due lo stesso giorno in cui è morta la nonna.

Carlo Barbieri

da “Cambiamo il punto di vista? - Inedito destinato a rimanere tale”

carlo Barbierie Pablo neruda

di Carlo Barbieri*

Già postato su : www.ilfattobresciano.itCarlo Barbieri è autore diracconti, Pilipintò,di romanzi gialli La pietra al collo,Il morto con la zebiba.

di Gaetano Albergamo

Partita la XXIXstagione della

Mazzoleni

Martedì 7 gennaio, negli splendidi salonidi Villa Malfitano, sede della Fonda-zione G.Whitaker, si è inaugurata laXXIX Stagione dell’Associazione

Amici dell’Opera Lirica Ester Mazzoleni, in collabo-razione con l’Associazione Luna Dolce EmanuelaBrancati e la Facoltà di Medicina e Chirurgia del-l’Università di Palermo con un Concerto del pianistaCalogero Di Liberto preceduto dalla Cerimonia eConsegna della Borsa di Studio Emanuela Brancati. Il padrone di casa, prof. Renato Albiero, ha dato ilbenvenuto ad un parterre ricco di presenze significa-tive del mondo della Medicina, della Musica, dellaCultura. Giacomo De Leo, preside della facoltà diMedicina, ha consegnato il premio 2013/2015, allaricercatrice dott.ssa Francesca Toia impegnata conun team di studiosi sulle implicanze del melanoma.Innocenzo e Marina Brancati, presidenti dell’Asso-ciazione Lunadolce, hanno illustrato le finalità cheanimano il sodalizio impegnato settimanalmente aportare conforto e sostegno ai malati oncologici.L’incipit alla musica è stato dato dal presidente del-l’Associazione Ester Mazzoleni, prof. Salvatore Aielloche oltre a fornire ragguagli sulla Stagione 2014 si è

detto orgoglioso di mettere a servizio del dolore edella sofferenza, l’Associazione.Ben impaginato il programma del concerto che spa-ziava dalla Sonata al “Chiaro di luna” di Beethoven,attraverso la Fantasia – Improvviso op.66 di Chopin,“La campanella” di Paganini – Liszt, “Tre preludi” diG. Gershwin, “Danza rituale del fuoco” di M. deFalla, giungeva alle scintillanti note del ConcertoArabesques sui temi tratti dal “Bel Danubio blu”.Il virtuoso Calogero Di Liberto ha offerto un’ulte-riore prova del suo talento e della sua appassionataesperienza che ha saputo tradurre nella tastiera inso-spettate suggestioni timbriche, idee giuste e necessa-rie per rendere giustizia a pagine immortali diverseper atmosfera e stile. Rapinoso il suo virtuosismofatto di delicatezze ricche di spiritualità ed emozionisostenuto da ritmi incalzanti e magnifici spunti me-lodici in continuo dialogo con lo strumento e il pub-blico,assai numeroso, rapito, gli ha regalato unastanding ovation ricambiato, per bis, dal Sogno diSchumann. Ancora una volta l’Associazione si è con-fermata una presenza di tutto rispetto e di grande ri-salto nella città.

Musica

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Attualità

di Gabriella Maggio

V edizione deiconcerti di natale

Il 6 gennaio 2014 si è conclusa la quinta edizionedei Concerti di Natale, Itinerari culturali traarte, architettura e musica. Iniziativa graditis-sima dal pubblico palermitano che ha affollato

i dieci concerti che si sono svolti in luoghi non a tuttinoti come l’Oratorio di S Mercurio, Santa Maria diPorto Salvo, San Matteo al Cassaro. Prestigiosi i gio-vani artisti che si sono esibiti gratuitamente, offrendoun’inconsueta immagine della città: attiva, proposi-tiva, piena di entusiasmo. La quotidiana ora di mu-sica classica goduta nel cuore del patrimonio artisticodi Palermo, ha messo le ali al passato, per citare unafrase di Leoluca Orlando, Sindaco della città dura-mente provata dalla trascuratezza e dal fatalismo.Dall’arte del passato a quella del presente. Con la dif-ferenza che quella del passato sia architettonica chemusicale era legata alla committenza, quella di oggideve offrirsi gratuitamente se vuole andare in giro afarsi conoscere, perché è priva di sostegno pubblico eprivato. Tempi di crisi. E’ vero e nessuno può ne-garlo, ma anche tempi, ieri ed oggi, traditi, da tantoscialacquamento. Tornando al pubblico numerosoed interessato, pochissimi erano i giovani, per lo piùamici e compagni di studio degli artisti, gli altri si col-locavano dai quarantacinque in su. Perché il grossopubblico arriva alla conoscenza della musica classicaper itinerari personali, privo com’è di adeguata for-mazione. Non bastano gli anni confusi della scuolamedia. Inutile dire qualcosa sui limiti della nostra for-mazione culturale, non soltanto quella della scuola,parafulmine di tutti i nostri personali fallimenti, maanche quella che ci trasmettono i mezzi d’informa-zione che in quest’ambito classico hanno scarso in-teresse e curiosità. E’ più facile veicolare i ritmi e leparole di artisti che ci mettono anche il loro corpo, leloro storie vere o inventate non importa, ma chefanno notizia. Chi si interessa alle vicende di chi nonè quotidianamente in prima pagina con avventureartistico-sentimentali o non ha il glamour richiesto?La musica classica è ormai, stando così la situazione,

un prodotto di nicchia per pochi , chi la coltiva permestiere, chi l’ascolta per piacere, magari senza saperleggere una nota, chi la segue con un po’ di compe-tenza. Anche questo è un motivo della crisi del teatroe del teatro lirico in particolare. In questo contesto iClub service per la città, dai Rotary: Palermo, Pa-lermo Est, Palermo Ovest, Palermo Nord, PalermoBaia dei Fenici, Palermo Monreale, Palermo Sud, Pa-lermo Teatro del Sole, Palermo Parco delle Mado-nie, Palermo Mediterranea, Palermo Mondello; agliInner Wheel : Valle del Torto e dei Feudi, PalermoCentro, Palermo Mondello; ai Lions : Palermo di Ve-spri, Palermo Normanna, Palermo Mediterranea; alSoroptmist, all’Associazione Volo, alla Fanale ArteArchitettura, all’Accademia Musicale Siciliana, conla rassegna concertistica Natale a Palermo si sono im-pegnati nella divulgazione culturale non per colmareun deficit formativo antico, ma per avvicinare la bel-lezza al grande pubblico e aiutarlo a considerare lacittà da un altro punto di vista, più creativo ed apertoal futuro, almeno per dieci giorni. Ben curato dalMaestro Gaetano Colajanni del Conservatorio V.Bellini di Palermo il programma dei concerti chehanno spaziato dal Cinquecento al Novecento, dallostrumentale al vocale. Sempre puntuale e precisa lapresentazione storico-artistica dei monumenti curatadall’arch. Giacomo Fanale. Intenso e propositivo ilricordo di Nelson Mandela fatto dalla dott.ssa MariaDi Francesco e da Carmen Cutrera dell’AssociazioneVolo durante il concerto del 5 gennaio.

L’undici gennaio 2013 è scomparso all’etàdi quasi 98 anni l’attore Arnoldo Foà , vocedel teatro di prosa italiano. Attore versatilesi è cimentato in testi classici e contempo-

ranei, ha recitato con i grandi registi del ‘900, Stre-hler, Visconti a teatro, Bragaglia, Monicelli, Blasetti,Welles al cinema, Bolchi, Maiano in televisione.Nella sua lunga vita ha percorso i diversi momentistorici italiani sempre con coerente passione civile.La sua cifra d’attore era la voce a cui dava modula-

zioni e sfumature tali che rendevano comprensibilequalunque testo e lo fissavano nella mente di chiascoltava e nello stesso tempo rendevano lui rico-noscibile immediatamente come attore. I testi vi-vono nel suono delle parole che li compongono, percui far percepire all’ascoltatore la sonorità della pa-rola equivale a consegnargli la chiave di lettura ade-guata non soltanto per capirli, ma per amarli.Grazie, per gli itinerari di emozioni che ci hai rive-lato con la tua voce suadente.

IL FaScInOdELLa VOcE

di Mariny Franciosa

Cultura

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Teatro

Non è certo il grande Edoardo, il De Fi-lippo, noto solo per nome, il genio indi-scusso della commedia italiana delNovecento, da Farmacia di turno del

1920 a Gli esami non finiscono mai del 1973, per58 commedie, molti film, in tutti i teatri di Italia e delmondo, spesso in Russia. Si tratta invece della com-mediola di Peppino De Filippo del 1942, Non èvero... ma ci credo, l’altro figlio d’arte, pure lui na-turale, dell’altrettanto unico mattatore delle scenenapoletane, Eduardo Scarpetta. La commedia si faancora vedere, nonostante la polvere del tempo tra-scorso e le tante esperienze teatrali, avanti e indietro,nella realizzazione del più antico spettacolo delmondo. Non per nulla questa commedia è stata rap-presentata nel novembre scorso al teatro Quirino diRoma, proposta dalla regia di Michele Mirabella,con il Gervasio di Sebastiano Lo Monaco, la moglieTeresa di Lelia Mangano De Filippo, la Rosina di

Maria Laura Caselli, l’avvocato Alfonso Liguori, etc.L’opera è pertanto sempre godibile, specialmente sese ne offre una lettura moderna con un ritmo dina-mico ed incalzante come ha fatto con la sua regiaIrene Ponte per il Teatro Agrigantus, realizzata dallacollaudata Associazione Vivi il Territorio che ha giàpresentato al Teatro Lelio con la sua regia Non tuttii ladri vengono per nuocere di Dario Fo, appena unmese fa. I personaggi si muovono in un ambientepiccolo borghese, ove l’affare predomina sulle grandiquestioni della vita. Naturalmente non può man-care, incastonata in questa angosciosa ansia di gua-dagno, la storia della bella morosa e il matrimonioosteggiato e poi celebrato, come è nell’antichissimocostume del teatro comico dai tempi di Menandro,rivisto nella lettura latina di Plauto e Terenzio, ac-compagnato dalla ripresa da commedia dell’arte diGoldoni e delle sue Mirandoline. Si rifletta anchesulla data di scrittura del testo, in un tragico 1942,

anche per scaramanzia...

di Carmelo Fucarino

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Teatro

tra fame e bombe. Alla fine dell’anno gli alleatierano passati dal bombardamento strategico aquello a tappeto. Il tema portante era un cavallo dibattaglia del teatro meridionale, il suo esorbitantefatalismo che gli derivava da una secolare tradizionedi soprusi e di violenze. Il tema della scaramanzia edella gobba era una maschera antichissima, forse ilDossenus della fabula atellana, il gobbo scaltro chesi spaccia per sapiente. Certo in confronto al mira-colo dell’ironia tragica della Patente di Pirandello,Peppino ha il tono sbarazzino e leggero del teatropopolare, con le sue battute esilaranti e con il suotradizionale intreccio a sorpresa. 'A patenti di Pi-randello, creata in lingua siciliana per AngeloMusco, che la recitò nel 1918, aveva altro spessore eproponeva altri tragici dilemmi umani sul tema delle“maschere nude” e dell’apparire o del come tu mivuoi (grandioso Totò nell’episodio del film del 1954di Luigi Zampa, Questa è la vita). Ma così va ilmondo, se è vera la leggenda del filosofo della Lo-gica e dello storicismo, il Benedetto Croce, di spiritoe natura meridionale, che portasse un cornetto alla

catena dell’orologio. A chi gli chiese se fosse super-stizioso, avrebbe candidamente risposto: «Sì, non è‘o vero, ma ci credo» (Camillo Albanese, Un uomodi nome Benedetto: la vita di Croce nei suoi aspettiprivati e poco noti, 2001). È invece questa la com-media della superstizione, sottile, senza turpiloquioe senza battutacce, un piccolo gioiello di comicitàbonaria, un ridere alla Terenzio, diciamo un sorrisocompiacente per le debolezze altrui, chiusa dallasorpresa finale, il consueto imprescindibile coup dethéâtre. D’altronde sfido chiunque ad incrociare ungatto nero o a passare sotto una scala. Per pura cor-tesia bisogna ricordare che non ci sono artisti più su-perstiziosi degli attori, guai a non invocare il lupocattivo per augurare loro un buon spettacolo. Gli in-glesi sono più forti con il loro break a leg. Le inter-pretazioni di Irene Ponte e degli attori tuttiriempiono per se stesse la scena e ci danno unaprova del dono del recitare, trattandosi di una com-pagnia che si regge solo sull’adesione spontanea esull’impegno di un gruppo affiatato.

anche per scaramanzia...

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Attualtà

GIORnaTa MOndIaLE

dELLa PacE

Il 1 gennaio si è celebrata la Giornata Mondiale della Pace, isti-tuita da Paolo VI nel 1967 per orientare il Capodanno verso la

riflessione e la preghiera. Quest’anno Papa Francesco ha centratoil suo discorso sulla fraternità e sulla famiglia che è la sorgente di ogni

fraternità, e perciò è anche il fondamento e la via primaria della pace, poiché,

per vocazione, dovrebbe contagiare il mondo con il suo amore.”

di Irina Tuzzolino

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Lions Club

Il Presidente del Lions Club Palermo dei Vespri

Giuseppe Sunseri e tutti i Soci del Club partecipano al

dolore di Oreste Milazzo e della Sua Famiglia

per la morte della madre.

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Cultura

di Raimondo Augello)

L’odore degli altri

Qualche settimana addietro in un articolopubblicato su questo blog e su altre rivi-ste on-line e cartacee, ci è capitato di oc-cuparci del dramma sanitario legato

all’interramento di parecchi milioni di rifiuti specialinella cosiddetta “Terra dei fuochi” e allo scandalo delsegreto di Stato tenuto per ben sedici anni sulle di-chiarazioni del pentito Carmine Schiavone inerenti atali vicende. Il titolo di quell’articolo, volutamenteprovocatorio, era “Il Sud è sporco”, con un chiaro ri-ferimento sarcastico a tutte quelle aziende del Nordche hanno concorso a determinare il disastro cam-pano e ad un certo vezzo diffuso a considerare “ge-neticamente” sporco il nostro Meridione. A tal puntoche non è cosa affatto rara al Nord, anche da parte dipersone dotate delle migliori intenzioni, sentire par-lare di Napoli o del Sud focalizzando in modo quasiesclusivo la propria attenzione su questo aspetto e suquei disservizi (in molti casi purtroppo reali) che af-fliggono le grandi città (Napoli e Palermo, come èovvio in primo luogo) e che renderebbero a loro direpoco gradevole l’eventualità di vivere in quei luoghi.Così, qualche giorno fa, da un amabile conversareavuto con certi miei amici di Milano su questi argo-menti, mi sono venute in mente alcune riflessioni cheho deciso di mettere per iscritto. Lungi dal volere in-dagare le ragioni storiche, sociali ed economiche chehanno portato il nostro Sud alla caduta diffusa del li-vello di vita civile, immondizia inclusa, cosa che ri-chiederebbe tempi diversi, mi è parso opportuno inquesta sede chiedermi che cosa possa concorrere a

rendere “vivibile” una città, quali siano quei para-metri che, fatta salva la libertà di scelta soggettiva,concorrano a rendere desiderabile l’idea di vivere inun posto piuttosto che in un altro; se, in altre parole,possa essere universalmente accettabile il criterio pu-ramente “economico” adottato da Il Sole 24 ore cheogni anno crocifigge sistematicamente le provincemeridionali agli ultimi posti della graduatoria (un po’come sparare sulla Croce Rossa, e farlo ripetuta-mente!) o se esiste anche una prospettiva diversa diaffrontare il problema. Si potrebbe obiettare che anche la presenza del mare,o di un clima mite o di un cielo terso e luminoso perbuona parte dell’anno, rappresentano degli elementitali da determinare la “vivibilità” di un luogo piutto-sto che di un altro, ma di questo le statistiche de IlSole 24 ore e il giudizio di tante persone paiono nontenere conto. Mi viene in mente la confidenza fat-tami qualche tempo fa da un conoscente trasferitosida tempo dalla Sicilia nell’hinterland milanese alquale creava disagio la mancanza di “quei bei nuvo-loni che corrono veloci in cielo spinti dal vento” ra-ramente presenti nel grigio e uniforme cielo padano.Ma le sensazioni di questo signore non fanno natu-ralmente statistica. Ciò che tuttavia qui mi preme dipiù sottolineare è un altro aspetto della faccenda.Una città non è un puro aggregato urbanistico, mauna città è anche e soprattutto un’entità capace diparlare allo spirito, e per far ciò non ci sono efficien-tismi reali o maniacalmente ostentati che possanosopperire. Perché una città è come un essere vivente,

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che per quante rughe o sfregi il suo corpo mostri,deve essere capace di raccontarci una storia, di rive-larci un’anima, senza di cui il suo aspetto esteriore celo fa rassomigliare a certi manichini, privi di memo-ria, privi di parola. E in questo senso Napoli, con lasua storia, con il suo teatro, con la sua arte, è unadelle pochissime città al mondo capaci di parlare allospirito umano con un messaggio universale, comegiustamente è stato scritto da un antropologo qual-che tempo fa, il quale aggiunge che al mondo sa-ranno soltanto cinque o sei le città che sono state ingrado di fare ciò. Volevo concludere con un ricordo.Non me ne vogliano i miei amici milanesi, ma perpar condicio bisogna potere parlare di tutto e di tutti;e poi, come si suole dire, in questo caso relata refero,riferisco cose riferite da altri, ove per altri si intendel’ illustre soggetto di cui diremo. Qualche anno ad-dietro mi è capitato di partecipare ad un incontro conil compianto Vincenzo Consolo tenutosi all’istituto

Gonzaga di Palermo. Ebbene, lo scrittore siciliano,trapiantato ormai da parecchi anni a Milano, rivol-gendosi agli studenti presenti li ha esortati a conside-rarsi non inferiori ai loro coetanei del Nord, mafortunati per il fatto di vivere in una città ricca di mo-numenti capaci di parlare allo spirito; quegli studentiche, al dire dello scrittore, non avevano consapevo-lezza di cosa significasse vivere nello “squallore di unhinterland come quello milanese, pari a quello dellaperiferia di qualsiasi altra area metropolitana ”, in cui(cito ancora testualmente) “in posti come SestoS.Giovanni o Cinisello Balsamo è possibile fare interichilometri senza incontrare nemmeno l’ombra di unmonumento che si rivolga all’anima del passante edel cittadino e che lo esorti, lo formi”. Ma anche inquesto caso, si dirà, siamo fuori dagli indicatori delSole 24 ore. La verità è che forse, come suggerisce unvecchio adagio popolare, ciascuno non avvertel’odore che ha addosso e dunque se ormai noi quasi

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non facciamo più caso alla nostra immondizia, ai no-stri disservizi (veri o presunti) ai mille difetti delle no-stre città, altri magari, paghi del proprio efficientismo(vero o presunto) ritengono trascurabile il fatto di do-versi muovere sotto un cielo grigio fra grigi e anonimipalazzi che non hanno nulla da raccontare allo spiritodi chi li osserva. Sarà così: il mondo è bello in quantovario. L’importante è non arrivare ad avere la pre-sunzione di avvertire solo l’odore degli altri. un pro-dotto di nicchia per pochi , chi la coltiva per mestiere,chi l’ascolta per piacere, magari senza saper leggereuna nota, chi la segue con un po’ di competenza.Anche questo è un motivo della crisi del teatro e delteatro lirico in particolare. In questo contesto i Clubservice per la città, dai Rotary: Palermo, PalermoEst, Palermo Ovest, Palermo Nord, Palermo Baiadei Fenici, Palermo Monreale, Palermo Sud, Pa-lermo Teatro del Sole, Palermo Parco delle Mado-nie, Palermo Mediterranea, Palermo Mondello; agliInner Wheel : Valle del Torto e dei Feudi, Palermo

Centro, Palermo Mondello; ai Lions : Palermo di Ve-spri, Palermo Normanna, Palermo Mediterranea; alSoroptmist, all’Associazione Volo, alla Fanale ArteArchitettura, all’Accademia Musicale Siciliana, conla rassegna concertistica Natale a Palermo si sono im-pegnati nella divulgazione culturale non per colmareun deficit formativo antico, ma per avvicinare la bel-lezza al grande pubblico e aiutarlo a considerare lacittà da un altro punto di vista, più creativo ed apertoal futuro, almeno per dieci giorni. Ben curato dalMaestro Gaetano Colajanni del Conservatorio V.Bellini di Palermo il programma dei concerti chehanno spaziato dal Cinquecento al Novecento, dallostrumentale al vocale. Sempre puntuale e precisa lapresentazione storico-artistica dei monumenti curatadall’arch. Giacomo Fanale. Intenso e propositivo ilricordo di Nelson Mandela fatto dalla dott.ssa MariaDi Francesco e da Carmen Cutrera dell’AssociazioneVolo durante il concerto del 5 gennaio.

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Talvolta certe intuizioni stentano a tenerdietro all’incalzare degli sviluppi dellacronaca. Ci giunge notizia proprio inqueste ore della bufera politica, e non

solo, provocata dall’uscita lo scorso 10 Gennaionelle sale cinematografiche dell’ultimo film del re-gista livornese Paolo Virzì,”Il capitale umano”. Maandiamo ai fatti.Virzì, usufruendo di un finanziamento del Mini-stero dei Beni Culturali, opera una scelta insolitaper la cinematografia italiana e mondiale e decidedi ambientare il suo film in Brianza raccontando,attraverso la vicenda di due famiglie, la realtà diquei luoghi vista dalla sua ottica. In realtà il registasi è limitato ad operare una trasposizione cinema-tografica dell’omonimo romanzo (Mondadori,2005) dello scrittore americano Stephen Amidonin cui egli, ambientando la vicenda nell’ “Americaprofonda” del Connecticut, racconta attraverso lametafora letteraria la crisi di valori di un certo tiposocietà americana.E’ bastata la scelta di individuare la Brianza perl’ambientazione del film per scatenare, lo ripe-tiamo, una bufera inimmaginabile, relegata ai mar-gini dai mass-media, ma di cui sulla rete si puòtrovare amplissima testimonianza. A parte l’ura-gano di critiche e insulti gratuiti rivolti al regista to-scano su twitter e su vari siti (di cui naturalmentenon facciamo neppure menzione), ferma e diffusaè stata la condanna delle autorità politiche locali.Come ci racconta Il Sole 24 Ore, l’assessore al Tu-rismo e Sport della Provincia di Monza e Brianza,Andrea Monti, è andato su tutte le furie e ha par-lato di “uno schiaffo alla Brianza”, arrivando achiedere la restituzione al Ministero dei Beni Cul-turali del finanziamento percepito da Virzì. Inne-scato il turbine delle polemiche, il regista non si èsottratto alla disputa, affermando nel corso di unaconferenza stampa di avere scelto di ambientare in

Brianza il romanzo di Amidon per il fatto che essagli era apparsa come «paesaggio gelido, ostile eminaccioso», segnato da «grumi di villette preten-ziose» e di «ville sontuose dai cancelli invalicali-bili». Ma non basta. Ben presto la polemica si èspostata sulle rive del Lago di Como. Le parole delregista («Como esprime il degrado della culturacon quel suo unico teatro, il Politeama, chiuso e inrovina») non sono andate giù all'assessore comu-nale alla Cultura, Luigi Cavadini. E la precisazionedi Virzì non si è fatta attendere. «So che a Como sisono offesi per quello che ho detto a proposito delteatro Politeama abbandonato e del fatto che espri-messe il declino della cultura - ha replicato - ma ionel film ho lavorato a Como come se avessi lavo-rato nel Connecticut, tenendo fede al tema dellibro di Amidon”. Ma andiamo a vedere cosa nepensa del film appunto lo scrittore americano.Egli scrive:«È un film commovente. È stata unadelle gioie più grandi della mia vita. Ho amato ognisequenza. Paolo è riuscito a essere fedele al libro,trasformandolo nello stesso tempo in un’opera sua.Mi hanno emozionato le performance degli attori»,e Amidon cita Valeria Bruni Tedeschi (Carla Ber-naschi, la fragile Carrie del libro) per omaggiaretutto il cast, composto da Fabrizio Bentivoglio(Dino Ossola, trasfigurazione del protagonista per-dente, Drew Hagel), Fabrizio Gifuni (GiovanniBernaschi, versione nostrana del finanziere QuintManning), Valeria Golino, Luigi Lo Cascio, BeboStorti, solo per citarne alcuni. “Sono riusciti a vei-colare una storia ambientata in America in un rac-conto italiano senza snaturarla », continuaAmidon, alludendo alla sceneggiatura, scritta dallostesso Virzì, assieme a Francesco Bruni e France-sco Piccolo.Per la verità, qualche voce di dissenso dal coro dicritiche piovute su Paolo Virzì è arrivata anche daqualche giornale lombardo. Il giornale indipen-

di Raimondo Augello

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dente e di denuncia “Nuova Brianza”, per esem-pio, titolando “Finanza e squali in Brianza”, scriveche “non a caso  Paolo Virzì  ha sceltola Brianza come ambientazione per il suo nuovocapolavoro”.E lo stesso Il Sole 24 Ore, attraverso un articolodella giornalista Cristina Battocletti, si è cosìespresso: “Prendi la profonda provincia ameri-cana, della competizione sfrenata, inculcataquando l’anima è ancora imberbe, dei divari so-ciali vertiginosi, del dio dollaro che nobilita e ingi-nocchia, e sbattila nella Brianza ispidadell’imprenditûr coi danè. Una virata sociogeo-grafica che ha travolto positivamente Stephen Ami-don, fresco di visione di “Il capitale umano” . Eandando ai giornali nazionali, la Repubblica titola:“La scommessa sulla rovina di un Paese: PaoloVirzì ha vinto”.Ci fermiamo qui, ma potremmo andare avanti.E lo facciamo non perché il tema non sia inte-ressante, ma per il fatto che l’argomento di que-sto articolo non è il film di Virzì, ma un altro.E’ notorio che la quasi totalità di quella partedel cinema italiano e internazionale che ha vo-luto ambientare i propri film in Italia ha sem-pre scelto il Meridione e in particolare la Siciliaper raccontare qualcosa. Sarà stato per la sto-ria millenaria e la stratificazione delle più im-portanti civiltà di cui quei luoghi parlano alvisitatore o forse per la complessa realtà sulpiano antropologico e culturale che ne è deri-vata (d’altro canto, lo sappiamo, l’elaborazionedel pensiero filosofico-matematico, così pocoincline alle rozze semplificazioni, ebbe la suaculla proprio nella Magna Grecia) o sarà stato per-ché con il sole la qualità delle riprese risulta mi-gliore. E invece non è così. Nell’immensopanorama della cinematografia che ha scelto il Sude la Sicilia come sfondo, se si escludono pochissimicasi (penso, ad esempio a Rossellini o a Marco Tul-lio Giordana con il suo indimenticabile ritratto diPeppino Impastato ne “I cento passi”), nessuno ha

mai scelto di raccontare quei luoghi nella loro re-altà più profonda: l’unico tema prescelto, anche daparecchi film francamente scadenti sul piano arti-stico, oltre che qualche capolavoro, è stato quellodella Mafia, concorrendo a determinare la nascitadi uno stereotipo semplificato (così antitetico ri-spetto al modello problematico, lo ripeto, del pen-siero di origine magno-greca). Chiaramente unostereotipo, lo ribadisco, non meno di quello sottesoal film di Paolo Virzì. Perché allora è potuto acca-dere ciò? Intendo dire, perché al Sud non ci si èmai ribellati ad uno dei filoni privilegiati a cui haattinto la cinematografia mondiale innumerevolivolte, mentre l’unico film ambientato in Brianza stascatenando quel caos di cui abbiamo raccontato lapunta dell’iceberg? Forse perché ciò è la più lam-pante e immediata (nei tempi) dimostrazione dellaveridicità di quanto ho scritto nella prima parte

dell’articolo “L’odore degli altri”, ma questa giu-stificazione da sé appare insufficiente. Io ho un’al-tra spiegazione (ma quanto è problematico questopensiero magno-greco, diamine!). Forse il pesoesercitato nell’arco di 150 anni da quella che an-tropologi e sociologi (ovviamente sui libri, non intelevisione, si intende) chiamano “educazione allaminorità” riferendosi ai Meridionali è la vera ra-

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gione. Forse l’abitudine inculcata nell’homo meri-dionalis da un pensiero subdolamente sotteso nellenostre scuole, dall’asilo all’università, e diffuso inmille forme nella nostra società, lo ha portato acredere che il suo sia un modello culturale “per-dente” (è stato così anche per le donne sino alla ri-voluzione del ’68, non è vero? Quanteanalogie!)inducendolo ad accettare tutto ciò evi-tando levate di scudi in stile brianzolo. E d’altrocanto, è inevitabile che un popolo privato della me-moria, della conoscenza della propria storia pre-unitaria, finisca per smarrire i propri riferimentisino a perdere coscienza di sé e della propria di-gnità. Ricordo di avere letto la frase di uno socio-logo che mi ha colpito molto, il quale riferendosiproprio a questa condizione anomala che il Meri-dionale vive, scrive che “un popolo che non ha ri-spetto della propria storia non ha rispetto di sé eneppure della propria terra”. Ma no? La cosa mi favenire in mente la Terra dei fuochi, l’ILVA di Ta-ranto, Gela, Augusta, Priolo, Milazzo, la Basili-cata, cui presto dedicheremo un lavoro, e tanti altriposti ancora dove si è permesso per anni con lecomplicità locali l’inimmaginabile, altro che film!(“Ma insomma”, si chiederà qualcuno, “maquanto è complicato ‘sto pensiero magno-greco, èproprio noioso, bisogna essere più pratici, suvvia!”).Se la mia analisi non fosse corretta non si capi-rebbe, per esempio, come non dico tanti Milanesi,ma addirittura tanti Meridionali considerino natu-rale che da anni nel centro di Milano stazioni uncarrozzone che offre con amplissima scelta (ma conpessima qualità, a giudicare dall’aspetto approssi-mativo e con approssimativa conoscenza della giu-sta denominazione dei manicaretti e degliingredienti che li compongono) prodotti gastrono-mici tipici siciliani sui cui troneggia una scritta acaratteri cubitali che denomina il carrozzonestesso: IL PADRINO. Ed è una meraviglia osser-vare, come a me è capitato, anche i tanti sicilianipresenti nella metropoli lombarda correre felici ad

acquistare per sé o per i propri figli una di quelleleccornie, felici forse di ritrovare un surrogato sep-pur scadente dei sapori della propria terra, o forseorgogliosi di vedere proprio sotto quella scritta ol-traggiosa l’immagine disegnata con ampio trattodella propria isola. Addirittura durante le ultimefestività natalizie il carrozzone si è stabilmente col-locato alla destra dell’ingresso del Duomo. Io credoche il sindaco di Milano (nei confronti del quale,detto per inciso, nutro sincera e profonda stima)avrebbe forse fatto bene a tutelare non dico l’im-magine dei Siciliani, a cui come sto cercando di di-mostrare forse non tengono, come è evidente,neanche loro, ma quanto meno le ragioni dell’arte,dell’estetica, e i diritti di uno splendido monu-mento come il Duomo di Milano. E adesso comela mettiamo con i Brianzoli? Se qualcosa del ge-nere fosse stato fatto a loro cosa avrebbero detto?Ma per loro fortuna i Brianzoli non sono stati“educati alla minorità”, e dunque insorgono.E nel caso degli stereotipi sulla Sicilia, si badi bene,non si tratterebbe di reagire istericamente (L’odoredegli altri!) e campanilisticamente alla metaforadella nostra società che un regista offre attraversola rappresentazione di uno sfondo grigio e fosco (intutti i sensi), ma di reagire contro chi non ha alcunrispetto delle innumerevoli vittime della mafia, ma-gistrati, forze dell’ordine, onesti e semplici cittadini,imprenditori, molte donne anche, sino a Presidentidi Regione, come Pier Santi Mattarella, tutti sici-liani naturalmente, morti in una vera e propriaguerra, per essersi opposti ciascuno da solo e con ipropri mezzi alla violenza mafiosa. Insomma, cheun siciliano accetti che il carrozzone associ al pa-drino l’immagine della Sicilia è un po’ come se unEbreo accettasse che si facesse ironia sulle vittimedello sterminio, no? Forse il carrozzone avrebbefatto meglio ad associare l’immagine della Sicilia aquella, che ne so? di un Falcone, per far contento ilgrande pubblico, di un Ninni Cassarà, o più mo-destamente (spero sia chiara l’ironia, immagine

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cara a Socrate: e che cavolo, ancora ‘sti Greci? Maandiamo, su!) a l’immagine di un ragazzotto di pro-vincia di un piccolo paese del palermitano, che ri-sponde al nome di Peppino Impastato. Forse ilcarrozzone dovrebbe aggiornarsi. E dico che do-vrebbe aggiornarsi perché a chi frequenta la rete ènoto come in tutto il Meridione ormai da annistiano moltiplicandosi in misura esponenziale le as-sociazioni antiracket, gli imprenditori, i gruppi ci-vici spontanei, i sindaci-coraggio (parecchi inCalabria, a proposito, donne- sindaco soprattutto,che da sole e sempre più si sono opposte alla‘Ndrangheta in molti casi le conseguenze imma-ginabili, ma di cui i mezzi di informazione si guar-dano bene dal parlare senza che nessuno battaciglio: ecco cosa vuol dire “educazione alla mino-rità”!), che hanno deciso di dire NO alla Mafia,anche se lo Stato non li degna di uno sguardo. ESI BADI BENE: quelle persone di cui stiamo par-lando in molti casi sono le stesse che come un fiumein piena ogni giorno di più (no, inutile aspettareche ce informi la televisione!, su) si battono attra-verso ormai un numero incalcolabile di libri, opereteatrali, testi musicali di grande pregio artistico

(sconosciuti, ovviamente a chi ascolta le canzonettee non solo) per recuperare la memoria storica diciò che davvero è stato il Meridione pre-unitario ,per raccontare, denunciare e per colmare l’eserci-zio di cancellazione coatta di ogni ricordo di sé acui l’”educazione alla minorità” ha condannatol’homo Meridionalis.Ma “il carrozzone” non bada a queste sottigliezze,e come cantava già qualcuno anni fa, “va avanti dasé, con le regine, i suoi fanti, i suoi re” (e anchecon i suoi padrini, aggiungo io!), non c’è niente dafare!Io ho concluso. Sperando che qualcuno non si siaperso nel frattempo per strada, ho da aggiungereun’ultima cosa.Chiunque trovasse insufficiente o difettosa questamia analisi è caldamente invitato ad intervenire suquesto blog e sugli altri giornali (on-line e cartacei)su cui questo mio articolo sarà a giorni pubblicato.A patto però che dimostri con altrettanta lucidità ecapacità di argomentazioni le ragioni del propriodissenso, dimostrando di avere assimilato le moda-lità della logica magno-greca.

L’odore degli altri - parte seconda (ovvero il carrozzone)

Dall’apertura della stagione teatrale sullastampa palermitana, con più spavalderiada un foglio proviciale, non si è fatto cheinnalzare alleluia e cantare Te Deum di

ringraziamento e di vittoria per un fatto che si ri-tiene unico e straordinario, l’occupazione delle scenedei teatri principi di prosa e di lirica da parte di Pa-lermitani di ritorno. E si è voluto decantare il feno-meno nell’alveo della cosiddetta fuga degli ingegni edel loro accoglimento nel loro humus naturale. Glo-ria ai buoni eccezionali patron della cultura paler-mitana, si suppone anche politici, che hanno postoalla direzione di tali strutture palermitani che a lorovolta hanno chiamato ad operare tutti i palermitani,grandi all’estero, cioè per dire sulle scene da Romain su. A parte che vantare questa sventagliata di si-ciliani di ritorno sa molto di provinciale, l’artista ètale, qualunque sia la sua patria di origine, la que-

stione si dovrebbe porre in termini diversi. Si puòessere grande artista, se non si è superato l’esamedella industria selettiva del Nord? Si può esseregrandi Abbagnato o Dante, se non si è passati dallaScala, o Lo Cascio senza le scene del Nord e un’in-finità di film là realizzati? E se un grande artista nonha avuto questa chance, questa “fortuna”, possiamodirlo, pur essendo grandissimo? E perché ora sivanta questa occupazione delle scene da parte di Pa-lermitani e di successi siderali? Quando il teatro Ga-ribaldi cade a pezzi e ed è stato chiuso, nonostantele proteste ed inutili esborsi finanziari, quando lastessa sorte tocca al glorioso Bellini o Regio Caro-lino del 1726 e si paventa o forse minaccia per soldila chiusura del Biondo. Non sarebbe più gloriosocreare le condizioni perché il teatro Biondo e il Mas-simo dessero spazio e gloria alle nostre leve locali perlanciarli poi con tale gloria a stupire le scene di

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di Carmelo Fucarino

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alleluia! I Siciliani in scena

Roma e di Milano? Che vanto si può spacciare diglorie forgiate dalla scoperta e valorizzazione dellaloro genialità all’estero? Intanto si sono colonizzatele nostre scene con piccole compagnie di confine epoi ci si vanta che altri hanno scoperto i nostri iper-dotati. Fortuna che ci sono stati i vivai dei laboratoriscolastici artigianali, primo cronologicamente e nonsolo il Liceo Garibaldi che ha dato Lo Cascio eGioè. Si tratta dello stesso provincialismo del ritornodel chirurgo che esibisce una permanenza in USA oin Germania o in Francia, ma che per lotte baronaliha dovuto dimostrare all’estero che le nostre Uni-versità non sono ultime a nessuna, che determinatiparametri di valutazione, come le fioriere dei cam-pus, non dimostrano la genialità dello studioso chepuò creare in cantina come i miracolosi ragazzi divia Panisperna.Oggi si innalzano le somme laudi ad Emma Dante,

un solo, misero “diretto da” per Gabriele Ferro. Al-meno gli si sono risparmiati i fuori opera inoperosi,come avvenne al direttore della recente Ceneren-tola. Un coro imbarazzante di addetti alla stampa.Che fortunatamente non sono passati in mezzo al“popolo” dei reali fruitori, hanno sostenuto con me-riti la “passerella”, si sono amichevolmente intratte-nuti con i big del potere e del parterre, assessori edirigenti vari, che vanno e vengono stagionalmente,ma anche con uomini a latere di questo nuovo finaleindirizzo guttusiano. Mi perdoni Tutino. Per carità,stavolta, era l’ora, si è voluto dimostrare che tuttisono geni in patria, se ritornano da trionfatori. E aloro si deve l’arco di trionfo. Prima con Rancatore,ieri sera con Dante. Certo che contro la sua Carmenlà si levò, si dice, “l’ira funesta dei loggionisti”. Matutto entra nel circo mediatico. Non per nulla itrenta attori-mimi-danzatori (omettiamo il nome di

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un giovane danzatore citato, per amor di carità),fuori opera.Perché di questo si tratta, di circo mediatico. Si co-mincia con dei “tizi” che gettano fogli di musicasulla scalinata, indifferenti, davanti a indifferentidame e cavalieri in gran gala, che tentano anzi discansarsi da questi lanci di tovaglioli. Un tempo sidiceva coup de théâtre. Questo è stato il saggio dellavolontà precipua di stupire, di alludere ed interpre-tare con richiami il tessuto narrativo dell’opera. Ungrande critico di un grande quotidiano attacca so-disfatto che «il primo marameo ai rituali della liricaè il lungo prologo di teatro-danza con saltimbanchie giocolieri, etc.». Gode dell’altra bravata, il «bal-letto in mutande e reggiseno, che a dispetto del se-condo indumento, coinvolge sia uomini che donne»,naturalmente esalta la grande invenzione delle“sedie volanti”. Che altro dicono ai palermitani nonsolo per la celebre via. Titolo edificante, “Danze, co-lori e lingerie”. Perciò gli applausi scroscianti, “ad-dirittura trionfali” e i dieci minuti di applausi.Sarebbero potuti durati ancor di più. Senza nulla to-gliere alla bravura dei musicisti che hanno avuto perla prima volta l’onore del palcoscenico, confinati ineterno nella “fossa” o “golfo”, anche se divinamente“mistico”. E i cantatori? Ma hanno qualche impor-tanza? Chi sono stati?Brutti tempi per i musicisti la cui musica è diventataun semplice pretesto per contorsioni di materia gri-gia e lussuose e criptiche interpretazioni scenografi-che. Perché tutti ormai vogliono alludere, come sequel deficiente di spettatore non potesse da sé solocapire i reconditi significati della vicenda, le rivela-zioni che l’autore ha voluto nascondere nei temi nar-rativo e musicale. L’ineluttabile citazione! Ma siamosicuri che Strauss volesse significare l’uso degli stru-menti musicali per accendere i falò con il coro difanciulli, Gebts uns ein Holz, “Dacci la legna” (stu-pendo il valkyriano Maja maja mia mö)? E i trilli nervosi dei violini adesordio di quella notte di magia, Feuersnot, “l’as-senza dei fuochi”, l’incantesimo dell’ottavino e le in-

sistite citazioni wagneriane e il folklorismo di Mo-naco nella leggenda della casa disabitata e del gi-gante, e l’aspro sarcasmo contro i suoi concittadini,borghesia “ottusa e filistea”, l’ironia sempre circo-lante per tutto il poema, l’innocenza briosa e biri-china dei bambini, l’aria civettuola delle fanciulle, ilsenso di immobilità dell’assenza. E la rivoluzionedella musica, difficile, innovativa, in alcuni casi as-sordante di ritmi e modi wagneriani, qualche voltadi un tedio mortale come il pomposo monologo dicento versi.Con grande dispiacere per i toni trionfalistici, la mu-sica e Gabriele Ferro avrebbero meritato più atten-zione rispetto alle trovate da avanspettacolo. Si stavaparlando di Richard Strauss, alla seconda opera atrentasette anni (non proprio giovanile, signori), diun’epoca musicale di trapasso, di un tipo particolaredi creazione operistica, che si sviluppa dal poemasinfonico, il “poema cantato”, su una leggenda delsolstizio e di S. Giovanni in una epoca imprecisata,nata da una vignetta boccaccesca del 1843 sul-l’amante sospeso in un cesto (reminiscenza socraticache mi parrebbe più dilaniante di una sedia di uffi-cio) e sullo scandalo del bacio francese, rappresen-tato a Dresda nel 1901 (a Vienna nel 1902 direttada Mahler), negli anni successivi ad Also sprach Za-rathustra e premonitore del vernacolo di Rosenka-valier.Forse basta, perché questo mi permette lo spazio diun blog.A proposito di fuochi e solstizio, un falò nella notte,l’apertura del teatro-cantiere Garibaldi per pervica-cia di Matteo Bavera e dell’Unione dei Teatri d’Eu-ropa, circuito di Strehler e Lang, e soprattuttol’annunzio di Orlando e la volontà di FrancescoGiambrone con il bando-concorso di mettere a di-sposizione di giovani artisti residenti immobili informa gratuita o quasi, un centinaio di siti per pro-getti di pubblica utilità sociale e culturale. Se sonrose, se questa è rivoluzione artistica!Sotto Palermo dei giovani e della cultura, datti sotto,o Palermo, o cara! È la tua occasione.

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DScelta assai coraggiosa e significatival’inaugurazione della Stagione 2014 delMassimo di Palermo che per onorare il150° anniversario della nascita di Ri-

chard Strauss ha messo in cantiere una produzionedel tutto nuova ed inusitata nel panorama lirico ita-liano: il singgedicht Feuersnot, capolavoro giovaniledel cigno di Monaco che dopo l’insuccesso di Gun-tram, grazie all’incontro con Ernest von Wolzogenpersonaggio di spicco della letteratura tedesca, diedevita all’atto unico andato in scena a Dresda nel no-vembre del 1901 con esito tiepido.Strauss ormai decisamente votato, nonostante le re-sistenze paterne al culto wagneriano, vi rivela la suapersonale cifra di geniale compositore con caratte-ristiche peculiari che gli fanno conquistare risultatistraordinari non disgiunti da piacevolezza e fascino.Il soggetto della fiaba perché di questo trattasi ,af-fonda le sue radici in antiche saghe di cui c’è tracciaanche nella favolistica romana ma si anima di duecaratteri biografici particolari: la polemica del com-positore contro la borghesia monacense che nonaveva accolto di buon grado Also sprach Zarathu-stra e la fame d’amore conseguenza del suo tor-mentato ménage familiare.

In una Monaco senza tempo né spazio epocale sisvolge l’azione che vede protagonista un mago in-namorato che dispettoso per essere stato deriso, spe-gne tutti i fuochi della città ma alla fine, accolto nellacamera dall’amata Diemut restituisce al villaggio lavita poiché: “Quando l’amore si unisce alla magiadel genio allora spunterà una luce anche per il piùgretto dei filistei”.Impegno, cura e passione hanno animato lo spetta-colo palermitano curato in tutti i particolari daEmma Dante che si avvaleva delle scene sobrie diCarmine Maringola, dei costumi variegati di Va-nessa Sannino e delle luci appropriate di CristianZucaro.La regista palermitana, dopo le sue frequentazionioperistiche scaligere e parigine, sfatava il “nemo pro-feta in patria” gettandosi anima e corpo in un’ope-razione che imponeva e proponeva il suo stilepersonale ed intelligente di intendere e fare teatro.Avere immesso sulla scena una fitta folla di mangia-tori di fuoco, clown, danzatori apparentemente sco-ordinati di memoria felliniana ma coesi nelrappresentare erotismo, sensualità, gioia di vivere,facendoli muovere agevolmente ed opportunamentenon è stata un‘impresa facile ma soprattutto ciò che

FEUERSnOT

di Salvatore Aiello

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ci ha preso e abbiamo apprezzato profondamente él’aver lavorato in sintonia con la musica e con un li-bretto denso di allusioni, di simboli che ci riportanoall’estreme propaggini del Romanticismo: dove nonc’è amore non ci può essere luce e solo dal corpo diuna donna può rinascere la forza della vita e alloraecco che la fiamma nel suggestivo finale ricomin-ciava ad ardere, ritornava la luce affidata allo sfavil-lio e allo sfolgorio di veli policromi la cui resa è statasensazionale.Assai valido l’apporto del direttore Gabriele Ferro,uno specialista del repertorio del Novecento che haconfermato autorevolezza, presenza e scavo dellapartitura di cui ha colto tutte le implicanze, tutte lepossibilità dinamiche con equilibrio e padronanza.Un po’ meno convincente la resa vocale: il Kunraddi Dietrich Henschel evidenziava una vocalità ai li-miti che minava la varietà di accenti che il perso-naggio richiede e soprattutto il fraseggio che avrebbedovuto restituirci situazioni psicologiche diversemancando talvolta di quella caratterizzazione chedeve avere il protagonista. Nicola Beller Carbone di-

segnava una Diemut di garbata linea vocale ed in-terpretativa in consonanza col ruolo. In risalto, diincisiva vocalità e simpatico gioco scenico ChristineKnorren, Chiara Fracasso, Anna Maria Sarra, leamiche di Diemut, che ci ricordavano le figlie delReno. Validi Alexs Wawiloff ( Il castaldo) e RubenAmoretti (Il borgomastro).Completavano il cast adeguatamente e omogenea-mente Michail Ryssov (Jorg Poschel) Niccolò Ceriani(Hammerlein), Paolo Battaglia (Kofel),Paolo Orec-chia(Kunz Gilgenstock), Cristiano Olivieri (OrtliebTulbeck), Irina Pererva (Ursula), FrancescoParrino (Ruger Aspeck ),Valentina Vitti (Walpurg),Madchen (Francesca Martorana)Complimenti a Salvatore Punturo maestro del biri-chino Coro di Voci bianche e a Piero Monti mae-stro del Coro.Assai caloroso ed entusiasta il pubblico plaudente lospettacolo e un po’ forse immemore del tributo aun’opera che rimasta sepolta nel tempo meriterebbeinvece una maggiore diffusione.

FEUERSnOT

Lions Club

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L’ESOndaZIOnE

dELLa SEccHIa In EMILIa

Il Presidente del Lions Club Palermo dei Vespri, Giu-

seppe Sunseri, esprime a nome di tutti i Soci solidarietà

alla popolazione dell’Emilia tanto duramente colpita

dall’esondazione della Secchia.

Cultura

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Il 20 gennaio 2014 è morto Claudio Abbadogrande direttore d’orchestra, magico inter-prete della musica, che nella sua lunga e splen-dida carriera ha scelto d’interpretare, dopo

studi pazienti e lunghi. Ha diretto i Berliner Philar-moniker, che lo hanno voluto come direttore dopoKarajan, e con questi ha inaugurato la riaperturadel Teatro Massimo di Palermo il 12 maggio 1997con l’esecuzione della prima e della terza sinfonia diBrahms. Vi fa ritorno il 1 maggio 2002 già segnatodalla malattia, emaciato nel volto e allampanatodentro il frac, ma tanto più incisivo e perfetto nel-l’articolato programma di sala : Beethoven “Eg-mont” ouverture op. 84, Brahms Concerto perviolino op. 77 – violinista gil Shaham, Dvoràk Sin-fonia n. 9 “Dal nuovo mondo”, Verdi Ouvertureda  "I Vespri Siciliani". Ritorna ancora nel

2006 con l’ Orquesta Sinfónica de la Juventud Ve-nezolana “Simón Bolívar” che raccoglie ragazzi delVenezuela a rischio, offrendo loro l’opportunità diimparare a suonare uno strumento. Ancora unavolta propone gli amati Beethoven e Mahler. Ab-bado ha coniugato insieme cultura e impegno ci-vile, attraverso la divulgazione della musica. Per chiha avuto la fortuna di ascoltare la sua musica dalvivo, è difficile trovare le parole adatte a rendernel’armonia e la sapienza umana che trasmetteva. Ilinguaggi verbali come credo anche quelli musicalisono sempre allusivi e simbolici e sfumano proprioquando pare di maneggiarli con precisione, ma la-sciano un ‘impressione come i sogni che non si ri-cordano e pure di loro resta qualcosa che testimoniache li abbiamo veramente sognati. Abbado erauomo di sogni.

OMaGGIO a

cLaUdIO aBBadOdi Gabriella Maggio

Lionismo

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Dalle 8,30 alle 18,00 di sabato 18 gennaio 2014 il Lions Palermo dei Vespri è stato in Piazza UnitàD’Italia a disposizione dei cittadini per uno screening sul glaucoma. Il dott. Corrado Ajovalasit,specialista in oftalmologia, ha eseguito visite oculistiche gratuite per la diagnosi di questa pato-logia dell’occhio, che se non individuata e trattata in tempo può portare alla cecità.

PREVEnZIOnE In PIaZZa

dEL LIOnS

PaLERMO dEI VESPRI

di Vincenzo Ajovalasit

Cultura

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27 GEnnaIO 2014

GIORnaTa dELLa MEMORIa

La Redazione di Vesprino ricorda la Shoah con le prime duestrofe del Canto del popolo ebraico massacrato del poeta polacco

Yitzhak Katzenelson:

«Canta! Prendi la tua arpa curva e leggerae sulle sue corde sottili getta le tue dita,

pesanti come cuori dolenti. Canta l’ultimo canto,l’ultimo canto degli ultimi ebrei in terra d’Europa».

Ma come posso cantare? Come posso aprire la bocca,io che sono rimasto così solo?

Mia moglie e i miei due bambini... Che orrore!Rabbrividisco... E sento piangere, piangere dappertutto…..

Cultura

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Una estrema lettura del mito della caval-leria e del disgregarsi dei suoi valori inun mondo che, dopo la svolta rinasci-mentale, sta rapidamente e irrimediabil-

mente cambiando, è data dal romanzo di Miguel deCervantes Saavedra El ingenioso hidalgo Don Qui-jote de la Mancha (in Italiano tradotto malamenteDon Chisciotte), un’opera che è giustamente rite-nuta il capolavoro per eccellenza della letteraturaspagnola. Scritta in due parti, apparse la prima nel1605 e la seconda nel 1615, riprende sotto unanuova ottica sia la letteratura cavalleresca che quellapicaresca.

Don Quijote non è quel personaggio assurdo o ridi-colo, il “cavaliere dalla triste figura” tramandatocida una interpretazione farsesca e superficiale peral-tro favorita dal sense of humor dell’Autore, ma inlui Cervantes incarna la figura dell’appassionato so-gnatore, assimilabile a quella dei fondatori di reli-gioni. Nella sua “pazzia”, mosso dall’amore per lagiustizia, egli si vota a combattere le iniquità del-l’egoismo umano che domina il mondo, lanciandosiin stravaganti avventure la cui fine ingloriosa gli fasentire unicamente il dolore dell’ideale infranto. Lesue dure esperienze di vita conferiscono all’immor-tale opera cervantesca un tono malinconico, al qualefa da contrappunto salvifico Sancho Panza, che conil suo buonsenso popolano e il suo umorismo nativoè il tipico personaggio del gracioso della commediaaurisecolare spagnola (non dimentichiamo che Cer-vantes fu anche autore di teatro).

embra peraltro, in questa malinconia che pervadel’opera, di ravvisare una identificazione dell’autorecon il personaggio, avente come motivo di fondo lesue vicissitudini. Animato da schietto entusiasmo per gli ideali nazio-

nalisti e di restaurazione cattolica, cui si ispirava lapolitica ispanica, Cervantes partecipò con ardorecombattivo alla battaglia di Lepanto (1571), ripor-tando una ferita alla mano sinistra, che gli costòl’amputazione dell’arto. Di quella menomazione simostrò sempre orgoglioso, tanto da affermare, nelPrologo della Seconda Parte del Quijote, che «se perassurdo gli fosse concesso di scegliere, sceglierebbeancora di trovarsi nella mischia di Lepanto piuttostoche sano da ogni ferita senza aver preso parte adessa, [poiché] le ferite che il soldato mostra nel voltoe nel petto sono stelle che guidano altri al cielo del-l’onore».

Egli è un eroe di nuovo tipo, che nelle avversitàdella mutilazione subita, della successiva lunga pri-gionia ad Algeri (con la serenità che è dei grandi spi-riti Cervantes ammetteva che nel carcere «aprendíoa tener paciencia en las adversidades») e dell’inizialemisconoscimento da parte della comunità letteraria

Rileggendo il

dOn cHIScIOTTEdi Gianfranco Romagnoli

Cultura

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e del pubblico (che invece tributava grandi ricono-scimenti ed onori ad autori contemporanei spessomeno grandi nel Nostro),«si dà alla conquista del-l’anima propria, alla coltivazione di un albero se-greto che sorgerà tutto dentro di lui e sbocceràimprovviso con tutti i suoi frutti: un mondo vivo, cuinon manca nulla per essere eterno» (U. Gallo, Sto-ria della letteratura spagnola).

Questo nuovo, singolare eroismo egli lo trasfondeintegralmente nel suo personaggio, sempre pronto,malgrado le delusioni, a riprendere le armi contro ilmondo a difesa dei suoi ideali. Così, anche nell’“amor cortese” di Don Quijote per Dulcinea, pre-scindendo dai tratti caricaturali che lo stesso Autoredà alla rustica ispiratrice di questa idealizzata figura,è stato ravvisata da José Luis Gonzales Quirós l’im-magine della patria: da ciò deriva che servire la pa-tria è l’ideale più alto che compete a un cavaliere.

Con la sua creazione immortale, Cervantes ci tra-scina nel vortice di un’avventura metafisica, il cuiprotagonista, immagine speculare di un’iperbolicamescolanza di follia raziocinante e di saviezza deli-rante, lotta per l’affermazione di ideali di respiro

universale, quali l’affermazione della giustizia, iltrionfo dell’onestà, il riscatto degli oppressi, il cultodella bellezza, la conquista di un equilibrio interiore.Le rovinose cadute nel reale non incrinano mai lafede che il cuore immacolato del “Quijote eterno”nutre per i citati ideali. Anche se un mondo ostile losbeffeggia, egli non alzerà mai bandiera bianca, in-carnando, come afferma Luciano Codignola, «unalibertà tutta moderna, così assoluta, da essere an-cora oggi attuale, post-razionalista».

Dal personaggio di Don Quijote discende la cate-goria del Quijotismo, così radicata nell’anima spa-gnola da informarne tutta la passata storia gloriosa:è infatti soltanto alla luce di esso che si possono leg-gere e comprendere correttamente, ad esempio, leimprese dei Conquistadores i quali, pochi e soli con-tro nemici infinitamente superiori e vincendo con lacostanza terribili difficoltà ambientali, costruironola grandezza della loro patria dando vita all’ultimoimpero universale della storia: il mondo dell’hispa-nidad, universo politico-culturale di cui la Sicilia fuparte e conserva tuttora parte importante dell’ere-dità.

Rileggendo il dOn cHIScIOTTE

Storia

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Avevo promesso che sarei tornato sullaquestione della lingua e sul dialogo senzamoderatore tra il tecnico della linguaTullio De Mauro e il praticante di lingua

e falso dialetto siculo Andrea Camilleri (A. Camil-leri – T. De Mauro, La lingua batte dove il denteduole, Bari, Laterza 2013). Oggi mi sollecitano idrammatici risultati dei test Ocse-Pisa 2012, inprimo luogo per la posizione dell’Italia e soprattuttoper la Sicilia buona penultima nella graduatoria, sol-tanto prima della Calabria. La tragedia sta nel fattoche, se i test sono affidabili nella loro articolazionedei quesiti e suciò non possociecamente giu-rarci non aven-doli letti, i nostriquindicenni per-mangono penul-timi al mondoper il puro esemplice «saperleggere e far diconto». Tullio è fratellodi Mauro DeMauro, più notoalle cronachenazionali, per-ché martire delgiornalismo ditrincea in unaterra che forseben poco c’entrò con la sua morte se non la manodei carnefici, lontani invece e potentissimi i man-danti. Ma resta pur esso uno dei tanti misteri sici-liani dall’inizio della Repubblica e dello Statuto, acominciare dalla strage di Portella della ginestra eda quel cortile di Castelvetrano in cui fu esposto inuna posizione del Cristo morto di Mantegna e diFidel Castro il corpo del bandito Giuliano. Tullio èstato per anni professore di linguistica generale, suo

capolavoro la Storia linguistica dell'Italia unita(prima edizione Laterza, Bari 1963), ma nel librotornano soprattutto i ricordi della sua terra napole-tana. Camilleri, l’inventore del falso dialetto sici-liano, rinverdisce anche lui i suoi ricordi di infanzia,tanto lontani, io ritengo, dopo decenni vissuti all’ariadel Continente che stupisce che possa ancora con-servarne tanti, nelle sedimentazioni di lingua e fattidella sua profonda Sicilia africana. Un dialogo allabuona, senza grandi pretese o sistemi di platonicamemoria, perché qui manca la grande scenografiadel maestro, il platano del Fedro platonico o quello

meno nobiledella chiesa diOrtis ove leg-geva le vite di Li-curgo e diT i m o l e o n e .Forse potevastarci l’ombraprotettrice delficus di villa Ga-ribaldi in piazzaMarina, l’alberodei 150 anni.Ma forse anchequalche interlo-cutore più ad-dentro nelle cosedialettali, mi im-magino un Cu-ticchio e unvenditore di

mussu, quarumi e frittola al Capo. Così mi pare ildialogo di due vecchi compari che chiacchierano inun non-luogo della cultura, diciamo al baretto dellalibreria Feltrinelli, De Mauro ottantunenne, Camil-leri ottantottenne. Non è solo l’assenza di scena e diambiente a rendere informe il dialogo, a rendere apieno la sua finzione, è soprattutto l’assenza di unavera questione unificante. Il libro è infatti articolatoin sette sezioni eterogenee e un epilogo. I titoli ad ef-

ancora sulla lingua italiana

di Carmelo Fucarino

Storia

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fetto intendono delimitare l’ambito della chiacchie-rata. Un campione già il primo: «l’albero è la lin-gua, i dialetti sono la linfa» oppure «Scrivila comel’hai raccontata a me» o «Un italiano in cui non sidice mai “dare”». Per di più le lunghissime citazionivirgolettate sconfortano e indicano chiaramente lachiave di una finzione assoluta, della traccia razio-nale di un questionario prefabbricato, con quesitiche possono nascere soltanto da una conversazionefittizia, da un questionario da redigere a tavolino. Inquesta struttura incongrua che avrebbe voluto darel’impressione del provvisorio e del naturale di unaconversazione a due, ne è venuto fuori un coacervoindistinto di battute e di riflessioni, che sanno di rie-vocazioni nostalgiche, in un flusso che si estrania edivaga, anche se ciononostante non conserva quel-l’incanto che sa dare il poetico flusso di memoria.Ho letto, anche se con calda partecipazione emo-tiva, la rievocazione di sparsi ricordi di due nostalgicianziani di altri tempi, che si scambiano aneddoti epettegolezzi di vita quotidiana, esperienze sfasate didecenni e perciò talvolta dissonanti.De Mauro avvia con una citazione di Luigi Mene-ghello (molti ignoranti si chiederanno chi era costui),Camilleri per conto suo con Pirandello e il dialettocome “cosa stessa” e i ricordi della lingua della“madre” e le su deduzioni da ottuagenario, al qualesi adegua il primo con la sua “storia linguistica per-sonale”. Poi la nonna Elvira di Camilleri che gli leg-geva Alice, ma anche l’abate Meli. Etc. etc. Con gliincontri e le sorprese linguistiche da grandi, maturisignori affermati, tra grandi uomini di cultura chesono capitati sotto il loro raggio di osservazione (daAriosto a Manzoni, Sciascia o il Gasmann irato peresempio, e tanti altri), esplicazione di glosse (anna-carsi, il solito mòviti e chinnicchienacchi, ma anchePizzo e Sasso) e le grandi battute ad uso dei fanciulli(p. 15, «Sì, prima era Girgenti, poi divenne Agri-gento, col fascismo»). Le tesi tendono a dimostrareche «Eravamo italiani senza saperlo» oppure scen-dono nel didascalico, «ci sono tanti modi di leggere»,«ad alta voce». In linea generale si propende nel cre-

dere che l’italiano sia ormai la lingua di tutti, che ildialetto è destinato a scomparire, però con «la spe-ranza e l’augurio che i dialetti non spariscano deltutto» (Camilleri), ma anche con la costatazione che«in fondo ancor oggi buona parte della popolazionesa, è in grado di parlare un dialetto» (De Mauro, p.124).Ci sarebbe molto da dire sulle reminiscenze di que-sti due ottuagenari, sulle loro personalissime espe-rienze di linguista e di uomo di spettacolo, diverseda quelle dei comuni parlanti quell’oggetto miste-rioso che loro continuano a definire con molta sicu-rezza “italiano” di tutti gli Italiani. E le deduzioniporterebbero a scrivere un altro saggio da altra per-sonalissima angolazione, quella di tanti parlanti, masoprattutto scriventi in italiano, che sono rimasti pertutta la loro vita immersi in un ambiente stretta-mente dialettofono. Perché per tanti siciliani rimastiin loco, fra i luoghi e tipi sfiorati da Camilleri in gio-ventù e da De Mauro nel suo soggiorno siciliano daprof in un ambiente medioborghese, per tanti sici-liani che sono vissuti senza innesti e contaminazionidi altre tipologie dialettofone o di ambiente culturalieterogenei, il dialetto dei ricordi dei due confabu-lanti è continuato ad essere materia viva, organismosempre vivo, cioè materia ribollente in trasforma-zione, un magma che ci ha continuato a permearee a rendere quel che siamo, siciliani che presumonodi parlare italiano, come sento che fa nei suoi inter-venti fonici televisivi il caro Camilleri (e pure il suoparticolare originale inventato Montalbano, sicilianodi Roma). Presume di parlare italiano, ma è chiaroad un linguista che la sua parlata è lontana mille mi-glia dall’italiano, lingua come espressione fonetica.In lui c’è ancora quella particolare cadenza strasci-cata del porto agrigentino, condita con qualche so-norità milanese, fiorentina e romana, forse ancheveneta.A loro studiosi di lingue astratte e inesistenti vorreidire di fare una passeggiata per i paesi di Sicilia edascoltare i dialoghi che si sperdono nell’aria. Senzaintavolare discorsi, perché allora entrerebbe la fin-

ancora dulla lingua italiana

Storia

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zione e la pretesa di voler parlare italiano (con le esi-laranti traduzioni dal dialetto). Scoprirebbero che cisono, sì, italiani, perché nessuno in Sicilia pretende-rebbe di essere Siciliano esclusivamente, ma tuttiparlano in dialetto, popolo e nobili professionisti,spesso anche i professori in cattedra. Ma come av-viene in Francia per il marsigliese del Sud o in Ger-mania per il profondo interno bavarese, tutti parlanoun dialetto, senza per questo vergognarsene e pre-tendere di essere proprietari di un francese di Sor-bona o di un tedesco puro. Perciò mi arrogo il dirittodi confortare Camilleri, i dialetti in tutto il mondosopravvivranno, solo che come qualsiasi lingua par-lata andranno modificandosi a dispetto degli scrit-

tori che mummificano e musealizzano la “loro” lin-gua. Moltissimi sono ancora i poeti in siciliano, ingenere fra gli incolti, ma non solo, che fanno opera-zioni linguistiche diverse da quelle di Meli o del fot-tutissimo Micio Tempio (p. 209), letto di nascosto oproposto in combriccole di “vastasi” (la celebregrandiosa azione degli dei! Di essa una sonora, esi-larante lettura in rete, in stretto catanese), diversedal Nino Martoglio di Angelo Musco. Che sonooperazioni culturali costruite e false come il dialettodei pescatori di Verga, realizzato da Visconti inmodo orribilmente incomprensibile pure a noi sici-liani di oggi.

ancora dulla lingua italiana

Attualità

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Nell’indifferenza generale dei mezzi di in-formazione nazionali si sta consumandol’ennesimo atto (non vorremmo apparireprofeti di sventura, ma potrebbe essere

l’estremo) dello sfascio a cui la Regione Sicilia rischiadi essere spinta a grandi passi. E’ di questi giorni, in-fatti, la notizia della solenne bocciatura inflitta dalCommissario dello Stato al piano finanziario pro-posto dalla Giunta Cro-cetta. Dei cinquantapunti previsti, infatti,ben trentacinque sonostati cassati dal commis-sario Aronica, un fattosenza precedenti che hasuscitato l’esacerbataindignazione del gover-natore siciliano, solita-mente cauto nelle sueesternazioni, e l’iniziodi una vera guerra di-plomatica tra Regione eStato i cui esiti appa-iono al momento im-prevedibili. Mavediamo di capire me-glio cosa sta succedendo. Di fronte al dissesto eco-nomico ereditato dalla Giunta Crocetta (un dissesto,ad onore del vero, non dissimile da quello di parec-chie altre regioni), il Governatore ha tentato di va-rare un piano che fra tagli dolorosi ma necessaricercasse di salvare le priorità imprescindibili di na-tura sociale e culturale in una regione che forse piùdi altre ha fortemente avvertito gli effetti di una crisia livello mondiale di rara gravità. E a proposito ditagli dolorosi, qui basterebbe citare la scelta di chiu-dere il parco ornitologico di villa d’Orleans, il se-condo in Europa per numero ed importanza dispecie ospitate, da parecchi decenni un autentico ri-ferimento di crescita culturale per intere generazionidi bambini che, come il sottoscritto e i figli del sot-toscritto, sono cresciuti imparando ad amarlo. E qui

omettiamo di parlare della soppressione o dell’ac-corpamento dei tanti enti regionali o pararegionalicui Crocetta, non appena insediatosi, ha provveduto:enti che gravavano pesantemente sul bilancio regio-nale, la cui abolizione ha provocato non pochi ri-sentimenti nei confronti del Governatore. Il pianofinanziario presentato, dunque, teneva conto di queiprincipi di risanamento (economico, ma anche e

forse soprattutto mo-rale) a cui l’azione po-litica di Crocetta hacercato di volgersi sindal primo momento,tentando tuttavia diconciliare ciò con l’in-sopprimibile necessitàdi mantenere in vita ilsoddisfacimento deibisogni primari e deiservizi senza i qualiuna comunità non puòdichiararsi civile. Percomprendere megliociò di cui stiamo par-lando, l’iniziativa delCommissario dello

Stato pregiudicherebbe, ad esempio: a)la possibilitàda parte delle università siciliane di erogare borse distudio ai meritevoli; b) i servizi di giardinaggio e ma-nutenzione negli ospedali; c) gli interventi urgentinelle aree caratterizzate da dissesto idro-geologico.Si potrebbe andare avanti, ma penso sia superfluo.Purtroppo questo non è stato capito dal governo na-zionale, o forse (vorrei insinuare) è stato compresotroppo bene. Intendo dire che in un panorama geo-politico in cui alla Sicilia e al Meridione in generaleè stato assegnato un ruolo coloniale, in cui la politicalocale si è sempre configurata come estensione di in-teressi concepiti e stabiliti altrove, Crocetta e la suascelta di “tagliare” con il sistema clientelare su cuiquegli equilibri si reggevano appare come un corpoestraneo, una monade impazzita, un eretico da fare

L’eretico

di Raimondo Augello

Attualità

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affondare insieme a tutta la Sicilia, caso mai ciò fossenecessario. E attenzione, proprio di default dell’isolasi parla da parte di molti esperti, se la scelta delCommissario dello Stato dovesse essere confermata,poiché si stima che ciò porterebbe alla perdita di ben40000 posti di lavoro, alla negazione dei servizi so-ciali minimi, alla scomparsa di qualsiasi forma di fi-nanziamento per il settore della cultura, conl’immediata soppressione, ad esempio, dell’Orche-stra Sinfonica Siciliana. Lo SVIMEZ, l’istituto alta-mente qualificato di studi e ricerca sul Meridione,ha parlato di iniziativa da parte del Commissariodello Stato che nei modi e nelle proporzioni non haprecedenti nella storia d’Italia, i cui effetti sull’eco-nomia e sulla vita sociale dell’isola sarebbero disa-strosi. E come se non bastasse, quasi a voler fareCrocetta oggetto di una sorta di risolutivo attaccoconcentrico, proprio in questi giorni il Sole 24 Oreha pubblicato una delle sue famigerate classifiche incui il Governatore siciliano appare l’ultimo in Italiaper gradimento. Ma come, verrebbe da chiedersi,giusto in un’Italia che nella fauna dei Presidenti diRegione, volendo tacere di altri, annovera la triadeleghista Cota, Maroni e Zaia? Forse è un po’troppo.Forse sarebbe il caso di ricordare, a chi non lo ri-cordasse, oltre che il presente anche il passato diCrocetta, quando sindaco di una Gela devastata dalpetrolchimico e dall’efferata criminalità che si eradiffusa contestualmente a quel distorto modello disviluppo industriale, era l’unico ad avere il coraggiodi gridare in piazza durante i suoi comizi i nomi e icognomi dei mafiosi e dei politici collusi, forse sa-rebbe il caso di ricordare come tale azione antima-fia in quello scenario di guerra sia valsa a Crocettaun numero imprecisato di minacce e parecchi ten-tativi da parte della “stidda” di passare alle vie difatto per eliminarlo fisicamente. Ma poiché tale eli-minazione fisica non è riuscita, sotto dunque conl’eliminazione politica e mediatica e dunque benvengano anche le classifiche del Sole 24 Ore, tuttoconcorre alla causa. Che caso mai ci fosse bisogno diessere espliciti, è la causa di un’Italia corrotta e non

equilibrata nelle sue componenti geo-politiche, incui per i poteri forti, inclusi quelli della sedicente in-formazione, non ci può essere spazio per una Siciliao un Meridione che cerchi di rialzare la testa, né perquelle figure politiche che ne incarnano tale ansia. Edunque che la Sicilia continui pure ad essere la terradelle trivellazioni, in cui si succhia e si raffina il pe-trolio dove si può, ben vengano Gela, Melilli, Mi-lazzo, Pace del Mela, Augusta e Priolo, ben venga ilMUOS*, ben vengano le armi chimiche siriane nelporto calabro di Gioia Tauro e lo scandalo lucano(ma quante vite ci vorrebbero per raccontare inbreve tutto quello che ci stanno facendo?), ben ven-gano i vari Cuffaro, i Lombardo e anche i Cosen-tino, se necessario, ma che non si nomini piùl’eretico Crocetta: si rischierebbe che altri, al Sud,ne traessero motivo di emulazione e di esortazionealla ribellione morale.A proposito del MUOS, è proprio di questi giornila notizia dell’inizio dei lavori di costruzione dellaprima antenna e della conseguente recrudescenzadella protesta popolare, guidata come già in passatodalle mamme di Niscemi, che ha portato a raffor-zare i presìdi civili che 24 ore su 24 circondano labase americana. Ma di quanto spazio l’informazionenazionale riservi a questa vicenda fa fede l’articoloda me pubblicato nel Febbraio dello scorso anno,dedicato a Mamma Rai e sarcasticamente intitolato“Ma quanto mi pensi?”. Ed è sempre di questi giorniuna chicca: Matteo Salvini (sì, proprio lui, quelloche, giova ricordarlo, ama farsi riprendere su YouTube mentre ubriaco insieme ad alcuni compari,boccale di birra alla mano, intona cori ingiuriosi neiconfronti dei Napoletani), in visita per motivi nonmeglio precisati nel catanese, si è fatto intervistaredichiarando al TG 3 Regione che alle prossime ele-zioni regionali siciliane (quando avranno venduto lapelle dell’orso Crocetta, insomma) la Lega Nord sipresenterà con un programma politico foriero diuna vera autonomia per la Sicilia: insomma, comedire che non c’è limite all’impudenza. E neppurealla stupidità.

L’eretico

Sicilia

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L’Orto Botanico di Palermo

(Hortus Panormitanus)

di Tommaso Aiello

Istituito nel 1779 e collocato inizialmente sulterrapieno del cinquecentesco Bastione d’Ara-gona,venne trasferito accanto alla Villa Giulia,l’anno successivo allo scoppio della Rivolu-

zione francese .Sui suoi dieci ettari di superficie sonoimpiantate specie arboree particolarissime e monu-mentali. Sul fronte di via Lincoln sorgono il Gym-nasium, la biblioteca e gli erbari, costruiti suprogetto di Léon Dufourny (foto 1). Poi ci sono gliedifici laterali del Calidario e del Tepidario,dell’ar-chitetto palermitano Venanzio Marvuglia. L’OrtoBotanico è una delle più significative istituzioni ac-cademiche siciliane e certamente quella che meglioconiuga realtà scientifica e territorio. Il giardino ètra i più ricchi d’Europa per ricchezza e abbondanzadi esemplari con forte componente tropicale e sub-tropicale. Del nucleo originario dell’Orto, impian-tato dal francescano Bernardino d’Ucria secondo ilsistema di Linneo, faceva parte anche l’Aquariumche si trova in fondo al viale centrale, una grandevasca suddivisa con tre cerchi concentrici e poi a

spicchi in modo da formare,in tutto 24 scomparti didiverse profondità

Sicilia

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Si diceva che l’Orto botanico è il più ricco d’Italia etra i primi d’Europa perché al suo interno,oltre adun’ eccellente collezione scientifica,composta daoltre 12.000 specie, si trovano una moltitudine dipiante che per la loro monumentalità riescono a cat-turare l’attenzione di tutti .Si tratta di piante che,grazie al favorevole clima, hanno raggiunto dimen-sioni pari a quelle delle piante dei luoghi d’origine,come il gigantesco esemplare di Ficus magnolioi-des,forse l’albero più grande d’Italia. La chioma del-l’albero,dalle impressionanti dimensioni, riesce a

proiettarsi su una superficie di circa 1200 metri qua-drati. Tra le curiosità si segnala l’alberobottiglia(Chorisia speciosa) presenti con numerosiesemplari che crescono lungo un bel viale. Questapianta si è diffusa nel mediterraneo a scopo orna-mentale,grazie proprio all’Orto botanico di Palermo. Nell’Aquarium prosperano diverse piante acquati-che tra le quali varie specie di ninfee e il caratteri-stico Fior di loto. Nelle vicinanze della vasca unintricato boschetto di bambù,uno specchio d’acquacon il papiro e un monumentale esemplare di san-

gue di drago.

L’Orto Botanico di Palermo (Hortus Panomitanus)

Sicilia

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Nella Serra Carolina,dono della regina Maria Ca-rolina di Borbone,detta anche giardino d’invernoperché vi vengono ricoverate alcune delle piante col-tivate nei vasi durante i mesi più freddi,prosperanopiante come il caffè (Coffea arabica), la sensitiva(mi-mosa spegazzinii),varie bouganvillee .Mi sembra più giusto,piuttosto che continuare a par-lare delle moltissime varietà di piante,che potete sco-prire voi con una vostra visita all’Orto,accennareall’organizzazione dell’Orto stesso e alle sue colle-zioni distribuite prevalentemente in piena aria se-condo criteri sistematici,bioecologici e geografici .Al primo criterio si rifanno il “Sistema di Lin-neo”,corrispondente al nucleo originario del-l’Orto,ed il “Sistema di Engler”, insediatoall’estremità opposta in seguito ad aggiornamentistrutturali,realizzati ai primi degli anni ’30 conse-guentemente all’ultimo ampliamento della fine delsecolo scorso. Tra i due sistemi si interpongono or-

dinamenti bioecologici e geografici,tra cui il bo-schetto esotico,l’angolo delle succulente e la colli-netta mediterranea,mentre la porzione più a monteospita le collezioni sperimentali .Nella vasta superfi-cie di questo rigoglioso giardino,intersecata da bel-lissimi viali,vegetano piante dalle straordinarieforme di fronte alle quali anche i comuni visitatorirestano estasiati. All’Orto botanico di Palermo sideve l’introduzione in coltura e la diffusione delmandarino(Citrus deliciosa) e del nespolo del Giap-pone(Eryobotrya japonica),le prime esperienze delripristino della coltura in Europa del cotone,l’intro-duzione del ramiè,dell’aleurite,della soja,oltre a variepiante di interesse decorativo fra cui alcune Cycas .La ricchezza e la qualità delle collezioni in pienaaria,principalmente di provenienza subtropicale etropicale e il ruolo scientifico e culturale svolto in Si-cilia in oltre due secoli di storia,fanno di questo unodei più prestigiosi Orti Botanici italiani ed europei

L’Orto Botanico di Palermo (Hortus Panomitanus)

Sicilia

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L’Orto Botanico di Palermo (Hortus Panomitanus)

.La costruzione del complesso architettonico del-l’Orto,in stile neoclassico,fu terminata nel 1789;essoè costituito da un edificio centrale il Ginnasio,pro-gettato dall’architetto francese Leòn du Fourny conla collaborazione di valenti architetti quali PietroTrombetta,Domenico Marabitti e Venanzio Mar-vuglia,il quale disegnò i due edifici ai lati del Gin-nasio,destinati inizialmente a Calidario e Tepidario

Gli elementi decorativi sono dovuti a diversi artistitra cui il pittore Giuseppe Velasquez che affrescò lavolta della cupola e del tetrastilio

Lo scultore Gaspare Firriolo che modellò le statueraffiguranti le quattro stagioni:lo stuccatore Dome-nico Danè, autore dei bassorilievi che abbelliscono i

prospetti del Calidario e del Tepidario .Nel 1795 fi-niti i lavori di costruzione,si insediò un’attività ormaipiù che bicentenaria che ha consentito lo studio e ladiffusione a Palermo,in Sicilia e perfino in Europa diinnumerevoli specie vegetali.