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LUIGI NATOLI (WILLIAM GALT) I BEATI PAOLI GRANDE ROMANZO STORICO SICILIANO Saggio introduttivo di Umberto Eco Note storiche e biobibliografiche di Rosario La Duca Volume primo S. F. FLACCOVIO, EDITORE - PALERMO 1. "I BEATI PAOLI" E L'IDEOLOGIA DEL ROMANZO "POPOLARE". di UMBERTO ECO Non si può dire che la letteratura italiana manchi di una tradizione del romanzo storico: tutte le discussioni romantiche sono dominate da questo tema e, al post tutto, anche «I promessi sposi » rientrano in questo genere letterario. Sarebbe facile allora definire « I Beati Paoli » come un rampollo assai tardo di questo filone e, poiché non si possono attribuirgli innovazioni del « genere », né a livello linguistico né a livello delle strutture narrative, basterebbe leggerlo per il suo valore locale e per la non poca luce che getta su episodi storici ignorati ai più (e a quanto pare non del tutto estranei alla realtà contemporanea dell'isola). Tuttavia questo libro presenta vari motivi di interesse per una sociologia della narratività. Infatti, anzitutto, la chiave giusta per leggerlo, ci pare consiste in questo: « I Beati Paoli » non va visto come esempio di romanzo storico bensì di romanzo « popolare ». In tal senso i suoi ascendenti non sono Guerrazzi, Cantù o D'Azeglio, ma Dumas, Sue o, per restare in Italia, Luigi Gramegna (autore di una vasta epopea sabauda di cappa e spada, ingiustamente dimenticata). Del romanzo popolare il libro di Natoli ha alcune caratteristiche strutturali e ideologiche che per vari aspetti lo rendono (oltre che narrativamente piacevole) sociologicamente attuale. 1. romanzo storico e romanzo « popolare » Certo la distinzione tra storico e popolare rischia di farsi grossolana, quando si pensi alla popolarità che ebbero romanzi di impianto « storico », come quelli di Scoti o di D'Azeglio o di Tommaso Grossi. É indubbio che molti romanzi popolari, d'altra parte, sono anche romanzi storici, e basti citare « I tre moschettieri », anche se sarebbe possibile dimostrare il contrario e ricordare « Il conte di Montecristo » o « I misteri di Parigi » per individuare romanzi popolari di argomento non storico ma contemporaneo. Infine sia il romanzo storico che quello popolare affondano le loro radici nel romanzo « gotico »: vi pescano a piene mani tanto un romanziere « storico » come Guerrazzi quanto dei cronisti dell'irrealtà contemporanea come Ponson du Terrail o gli autori di Fantomas. A cavallo tra i due generi lo stesso romanzo di Natoli paga abbondantemente il suo tributo alla tradizione « gotica ». Tanto per cominciare, si veda all'inizio, quando mette in scena il suo « cattivo » principale, Don Raimondo Albamonte: Non aveva ancora trent'anni; era alto, snello, nervoso; il volto pallido, ma come invaso da una nube fosca, che poteva parere tristezza se un certo improvviso lampeggiare degli occhi non avesse fatto pensare al corruscare dei lampi lontani in un cielo nuvoloso. Le labbra sottili si disegnavano appena e la bocca pareva piuttosto una lunga ferita non ancora rimarginata... Con tutto ciò egli non aveva nulla di femmineo. Forse, esaminando bene l'angolo della mascella e la curva della bocca, un occhio scrutatore d'anime avrebbe potuto sorprendervi una certa durezza fredda ed egoista; forse anche qualcosa di felino, pazienza cioè e ferocia... Questo ritratto è canonico: parte dal Giaurro di Eyron e arriva sino al Capitan Blood di Raphael Sabatini e al James Bond di Fleming 1. A questo archetipo Mario Praz dedica addirittura un capitolo del suo « La carne, la morte e il diavolo», e basti questo ritratto dello Schedoni dall'«Italiano o Il confessionale dei Penitenti Neri » di Ann Radcliffe, del 1797, per risparmiarci altri raffronti: La sua figura faceva impressione... era alta, e, benché estremamente magra, le sue membra eran grandi e sgraziate, e, come andava a gran passi, avvolto nelle nere vesti del suo ordine, v'era qualcosa di terribile nel suo aspetto; qualcosa di quasi

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  • LUIGI NATOLI (WILLIAM GALT)

    I BEATI PAOLI GRANDE ROMANZO STORICO SICILIANO

    Saggio introduttivo di Umberto Eco Note storiche e biobibliografiche di Rosario La Duca Volume primo S. F. FLACCOVIO, EDITORE - PALERMO

    1. "I BEATI PAOLI" E L'IDEOLOGIA DEL ROMANZO "POPOLARE". di UMBERTO ECO

    Non si pu dire che la letteratura italiana manchi di una tradizione del romanzo storico: tutte le discussioni romantiche sono dominate da questo tema e, al post tutto, anche I promessi sposi rientrano in questo genere letterario. Sarebbe facile allora definire I Beati Paoli come un rampollo assai tardo di questo filone e, poich non si possono attribuirgli innovazioni del genere , n a livello linguistico n a livello delle strutture narrative, basterebbe leggerlo per il suo valore locale e per la non poca luce che getta su episodi storici ignorati ai pi (e a quanto pare non del tutto estranei alla realt contemporanea dell'isola).

    Tuttavia questo libro presenta vari motivi di interesse per una sociologia della narrativit. Infatti, anzitutto, la chiave giusta per leggerlo, ci pare consiste in questo: I Beati Paoli non va visto come esempio di romanzo storico bens di romanzo popolare . In tal senso i suoi ascendenti non sono Guerrazzi, Cant o D'Azeglio, ma Dumas, Sue o, per restare in Italia, Luigi Gramegna (autore di una vasta epopea sabauda di cappa e spada, ingiustamente dimenticata). Del romanzo popolare il libro di Natoli ha alcune caratteristiche strutturali e ideologiche che per vari aspetti lo rendono (oltre che narrativamente piacevole) sociologicamente attuale.

    1. romanzo storico e romanzo popolare

    Certo la distinzione tra storico e popolare rischia di farsi grossolana, quando si pensi alla popolarit che ebbero romanzi di impianto storico , come quelli di Scoti o di D'Azeglio o di Tommaso Grossi.

    indubbio che molti romanzi popolari, d'altra parte, sono anche romanzi storici, e basti citare I tre moschettieri , anche se sarebbe possibile dimostrare il contrario e ricordare Il conte di Montecristo o I misteri di Parigi per individuare romanzi popolari di argomento non storico ma contemporaneo. Infine sia il romanzo storico che quello popolare affondano le loro radici nel romanzo gotico : vi pescano a piene mani tanto un romanziere storico come Guerrazzi quanto dei cronisti dell'irrealt contemporanea come Ponson du Terrail o gli autori di Fantomas.

    A cavallo tra i due generi lo stesso romanzo di Natoli paga abbondantemente il suo tributo alla tradizione gotica . Tanto per cominciare, si veda all'inizio, quando mette in scena il suo cattivo principale, Don Raimondo Albamonte: Non aveva ancora trent'anni; era alto, snello, nervoso; il volto pallido, ma come invaso da una nube fosca, che poteva parere tristezza se un certo improvviso lampeggiare degli occhi non avesse fatto pensare al corruscare dei lampi lontani in un cielo nuvoloso.

    Le labbra sottili si disegnavano appena e la bocca pareva piuttosto una lunga ferita non ancora rimarginata...

    Con tutto ci egli non aveva nulla di femmineo. Forse, esaminando bene l'angolo della mascella e la curva della bocca, un occhio scrutatore d'anime avrebbe potuto sorprendervi una certa durezza fredda ed egoista; forse anche qualcosa di felino, pazienza cio e ferocia...

    Questo ritratto canonico: parte dal Giaurro di Eyron e arriva sino al Capitan Blood di Raphael Sabatini e al James Bond di Fleming 1.

    A questo archetipo Mario Praz dedica addirittura un capitolo del suo La carne, la morte e il diavolo, e basti questo ritratto dello Schedoni dall'Italiano o Il confessionale dei Penitenti Neri di Ann Radcliffe, del 1797, per risparmiarci altri raffronti: La sua figura faceva impressione... era alta, e, bench estremamente magra, le sue membra eran grandi e sgraziate, e, come andava a gran passi, avvolto nelle nere vesti del suo ordine, v'era qualcosa di terribile nel suo aspetto; qualcosa di quasi

  • sovrumano. Il suo cappuccio, inoltre, gittando un'ombra sul livido pallore del suo volto, ne aumentava la fierezza, e conferiva un carattere quasi d'orrore ai suoi grandi occhi melanconici. La sua non era la melanconia d'un cuore sensitivo, ferito, ma apparentemente quella di una tetra e feroce natura. V'era nella sua fisionomia un non so che d'estremamente singolare, difficile a definire. Portava le tracce di molte passioni, che sembravano aver fissato quei lineamenti che ora avevan cessato di animare. Mestizia e severit abituali predominavano nelle profonde linee del suo volto, e i suoi occhi erano cos intensi, che con un solo sguardo parevano penetrare nel cuore degli uomini, e leggervi i segreti pensieri; pochi potevano tollerare la loro indagine, o perfino sopportare d'incontrarli una seconda volta.

    In ogni caso, se non basta un richiamo all'inizio del libro, eccone un altro nella seconda met: la tentata esecuzione di Don Raimondo nelle segrete, in quell'intrico misterioso di cripte che attraversa Palermo e che, nella fattispecie, da nei sotterranei del Palazzo Albamonte. Dal Monaco di Lewis in avanti, il gotico tutto un gran far uso di sotterranei e spelonche artificiali, dove avvengono i crimini pi sanguinosi, ovviamente al lume delle torce. Ed questo un topos che sia il romanzo storico che il romanzo popolare non abbandoneranno mai pi, prova ne sia che, dovutamente rammodernate dalla provvida urbanistica napoleonica, le segrete e i sotterranei ritornano sotto l'aspetto delle fogne di Parigi sia nei Miserabili (in cui vi sono dedicate decine di pagine dense di tenebrose evocazioni) sia nella vasta epopea di Fantomas che Souvestre e Allain scrivono proprio negli stessi anni in cui Natoli stende I Beati Paoli . Ultimo avatar del topos, ecco le fogne di Vienna, questa volta sullo schermo, ne Il terzo uomo di Carrai Reed.

    Detto questo non si ancora chiarito perch il romanzo di Natoli ci paia da ascrivere non al filone storico ma a quello popolare. Ma certo che il romanzo storico nasce con intenti estetici e con intenti civili.

    Guerrazzi dice della Battaglia di Benevento io non ho voluto fare romanzi, ma poemi in prosa e D'Azeglio a proposito del Fieramosca afferma il mio scopo... era iniziare un certo lavoro di rigenerazione del carattere nazionale .

    Pertanto il romanzo storico, oltre l'ovvio richiamo al vero storico , un romanzo a sfondo esortativo, in cui predominano, proposte come modelli positivi, varie virt. E a tal punto il romanzo storico conscio di avere funzioni che esorbitano dalla pura proposta di una macchina narrativa, che ad ogni punto genera la propria riflessione metanarrativa, si interroga sui suoi fini, discute coi lettori, come fa ad esempio massimo fra tutti il Manzoni. Il romanzo storico figlio di una poetica assai conscia di se stessa, e si pone continuamente delle questioni sulla propria struttura e la propria funzione.

    Il romanzo popolare invece, oltre ad avere altre caratteristiche che esamineremo pi avanti e che ne costituiscono la marca ideologica fondamentale, nasce come strumento di divertimento di massa e non si preoccupa tanto di proporre modelli eroici di virt, quanto di descrivere con un certo cinismo dei caratteri realistici, non necessariamente virtuosi , nei quali il pubblico possa tranquillamente identificarsi per trarne le gratificazioni di cui si dir.

    Ettore Fieramosca un modello umano inattingibile; D'Artagnan invece come tutti. Come vedremo in seguito, Blasco da Castiglione ha pi di D'Artagnan che del Fieramosca. (Che poi Manzoni sia capace di giocare sia su caratteri utopia che su personaggi bassi e realistici, realizzando con Don Abbondio-Renzo-Federigo-Fra Cristoforo una sequenza a realismo decrescente e idealit esemplare crescente, questo significa solo che egli sapeva uscire dagli schemi; ma, d'altra parte, anche i personaggi comuni e bassi, se non costituiscono modello morale in positivo, lo costituiscono in negativo e servono anch'essi per indurre il lettore a riflettere e a trarne un insegnamento: ci che non accade n con D'Artagnan n con Blasco).

    Non interrogandosi pi di tanto sulle motivazioni morali dei suoi personaggi, il romanzo popolare non si interroga neppure sul proprio stile.

    Nel convegno svoltosi nel 1967 a Cerisy sulla paraletteratura , termine che veniva per la maggior parte a designare il romanzo popolare e i suoi derivati, stata data della paraletteratura una definizione atta a discriminarla nei confronti della 'Letteratura con la L maiuscola: Ci che paraletterario contiene a un dipresso tutti gli elementi che costituirebbero la letteratura, salvo l'inquietudine rispetto alla propria significazione, salvo la messa in causa del suo proprio linguaggio 2.

    Infatti il romanzo popolare non inventa situazioni narrative originali, ma combina un repertorio di situazioni topiche gi riconosciute, accettate, amate dal proprio pubblico e lo caratterizza questa

  • attenzione alla richiesta implicita dei lettori, come accade oggi per il romanzo giallo. I lettori, dal canto proprio, chiedono al romanzo popolare (che uno strumento di divertimento e di evasione) non tanto di proporgli nuove esperienze formali o rovesciamenti drammatici e problematici dei sistemi di valori vigenti, ma esattamente il contrario: di ribadire i sistemi di attese assestati e integrati alla cultura corrente. Il piacere della narrazione, come abbiamo gi visto in altre sedi3 dato dal ritorno del gi noto - un ritorno ciclico che si verifica sia all'interno della stessa opera narrativa che all'interno di una serie di opere narrative, in un gioco di complici richiami da romanzo a romanzo.

    L'obbedienza a questa regola fonda il romanzo popolare nella sua natura pi tipica, non ne costituisce difetto. Cos come appartiene alle regole del gioco il moltiplicare, con gli episodi, l'occasione di ritorni topici, e l'accettazione di una psicologia sommaria, applicabile a tutti gli avatars di uno stesso archetipo romanzesco.

    Del romanzo popolare il libro di Natoli ha proprio, infatti, l'estrema spregiudicatezza nel ricalcare modelli precedenti, la libert nell'allungare gli avvenimenti nel riaprire le partite gi chiuse, la disinvoltura nel fornire come prefabbricata la psicologia dei suoi protagonisti.

    Anzitutto, quasi a stabilire un legame e a dar ragione alla nostra ipotesi, Blasco viene ricalcato paro paro su D'Artagnan: ardito, squattrinato, spregiudicato e social climber come il guascone, come costui entra in scena su di un ronzino scalcagnato e quando mette piede in una osteria rischia di essere preso a bastonate: ha la sua Milady (perch almeno verso la met del romanzo Gabriella sfiora il ruolo della perversa vendicativa) che diventa la sua Costanza (Gabriella come Costanza Bonacieux muore avvelenata mentre D'Artagnan-Blasco le sfiora con un ultimo bacio le labbra ormai fredde); ha il suo Richelieu in Don Raimondo, che all'inizio cerca di farlo creatura sua; ha il suo Rochefort in Matteo Lo Vecchio, anima dannata di Richelieu-Raimondo; ha il suo Athos in Coriolano della Floresta. A met del libro ha un duello con tre gentiluomini piemontesi che ricalca passo per passo il duello dietro il convento dei Carmelitani Scalzi, compresa l'amicizia che da quel momento legher I contendenti. Ha il suo assedio della Rochelle e il suo brevetto di capitano, salvo che diventa duca alla fine per soprammercato, mentre D'Artagnan deve aspettare tre volumi per ricevere un bastone di maresciallo di Francia, e come lo riceve muore.

    Il romanzo, pur di addensare gli episodi e riaprire quelli che sembravano chiusi, non disdegna di passare a tratti alla struttura picaresca, con l'eroe che compie varie peregrinazioni, incontra e reincontra vecchi e nuovi personaggi, passa attraverso traversie inaudite e ne esce sempre gaio come un fringuello.

    Quanto alla psicologia, solo Raimondo che mantiene una certa fedelt al suo ruolo di cattivo; Blasco passa attraverso le varie sue avventure con una certa disponibilit a met tra la spensieratezza e il cinismo, Gabriella appare all'inizio come un angelo, diventa poi una specie di Milady De Winter tutta civetterie e propositi omicidi, si trasforma a un certo punto in una amante appassionata e devota e infine in una maddalena redenta dalla morte. Non sarebbe errato ritrovare il modello di questa complessit emotiva in certe eroine stendhaliane, ma l'analogia si arresta qui. Come creatura artistica Gabriella fa un po' acqua da tutte le parti, come fa acqua il fratellastro Emanuele, la cui conversione da ragazzino fiero a piccolo schifoso arrivista un po' troppo rapida. Ma questi rilievi non vanno fatti per cogliere in fallo Natoli, perch il suo comportamento perfettamente coerente con la poetica narrativa del romanzo popolare: ci che conta l'intreccio, il colpo di scena, l'espansione spregiudicata di una narrativit a briglia sciolta e - soprattutto, ma su questo ritorneremo - il delinearsi di un dramma tra oppressi e oppressori con la presenza risolutiva dell'eroe carismatico, ovvero del Superuomo.

    Una volta ascritto Natoli al filone del romanzo popolare bisogner soltanto, allora, risolvere alcune modalit anagrafiche. Perch la storia del romanzo popolare viene oggi scandita in tre grandi periodi, e il caso Natoli potrebbe sembrare atipico: - primo periodo, o periodo romantico-eroico: inizia, negli anni trenta del secolo scorso, parallelo allo sviluppo del feuilleton, alla nascita di un nuovo pubblico di lettori, piccolo borghese e anche artigiano operaio (vedi la sorte ai Sue e ai Dumas) e ispira persino alcuni narratori ritenuti superiori che dal romanzo popolare traggono temi, strutture narrative, caratteri e soluzioni stilistiche, come - secondo periodo, o periodo borghese: si situa negli ultimi decenni del secolo XIX, comprende i Montepin, i Richepin, i Richebourg e la nostra Carolina Invernizio. Mentre il romanzo del periodo precedente, oltre che popolare era populistico e in una certa misura democratico , questo appartiene all'et dell'imperialismo, reazionario, piccolo borghese, non di rado razzista e antisemita. Il personaggio principale non pi l'eroe vendicatore degli oppressi,

  • ma l'uomo comune, l'innocente che trionfa, dei suoi nemici dopo lunghe traversie; - terzo periodo, o neo-eroico: inizia ai primi del Novecento e vede in scena gli eroi antisociali, esseri eccezionali che non vendicano pi gli oppressi ma perseguono un loro piano egoistico di potere: sono Arsenio Lupin o Fantomas.

    Ora I Beati Paoli appare nel terzo periodo ma con caratteristiche tipiche del primo periodo. una sorta di Gattopardo del romanzo popolare, che riesce a rivisitare in modo molto spontaneo e con risultati felici uno stile trapassato. D'altra parte non si pu dimenticare che, attraverso le traduzioni Sonzogno e Nerbini, i romanzi del primo periodo si diffondevano in Italia proprio o ancora in quegli anni, e quindi la sensibilit giornalistica di Natoli gli faceva probabilmente avvertire l'attualit, per un pubblico di massa, di quello stile romanzesco che egli riprende con indubbio mestiere.

    Del romanzo popolare del primo periodo Natoli ricostituisce cos anche il tema centrale: la lotta manichea del bene contro il male, vissuta da una comunit di oppressi che viene vendicata dal Superuomo eroe. E lo riprende anche perch il tema stesso che egli vuole trattare si presta mirabilmente a questa griglia. Che I Beati Paoli siano o no il racconto degli antecedenti storici della Mafia, la struttura ideologica del romanzo d'appendice prima maniera, cos come stata definita da Marx, Engels e Gramsci, sembra fatta apposta per dare voce a questa rievocazione 4.

    2. TOPICA DEL ROMANZO POPOLARE

    In un suo saggio sul romanzo popolare Jean Tortel 5, riassumendo le caratteristiche dei tre periodi citati, ma riferendosi in particolare ai tipi del primo e terzo periodo, da una sorta di silloge che, applicata alla lettura de I Beati Paoli, sembra scritta proprio per questa occasione. Ci pare opportuno rifarci a queste pagine perch servono singolarmente a rivelare le strutture costanti a cui anche Natoli si riferito e definiscono senza ombra di dubbio l'appartenenza di questo libro al filone sociologico ed estetico del romanzo popolare. In esso abbiamo sempre un universo manicheo sottomesso alle due azioni opposte del bene e del male. La societ, sempre turbata, tuttavia sempre in equilibrio.

    Da una parte vi sono coloro che soffrono, subendo sia l'azione criminale dei prevaricatori che l'azione correttrice dei benefattori, passivamente: sono gli innocenti, protetti e vittime al tempo stesso. Essi non hanno possibilit di partecipazione attiva, sono popolo laborioso, ragazze sedotte, plebe che non pu che attendere e sperare. In fin dei conti la lotta, anche se pu perderli o salvarli, non li riguarda, e passa sopra le loro teste. una questione che riguarda gli eroi e i protagonisti. Quando qualcuno emerge da questa massa per tentare di diventare un protagonista, ponendosi al servizio dei protagonisti veri, alla fine viene distrutto, sia che tenti l'avventura del crimine sia che provi ad allearsi con l'eroe (tipico l'esempio del Chourineur ne I misteri di Parigi; ma si veda ne I Beati Paoli gli adepti minori della setta che finiscono sulla forca, mentre Coriolano possiede una sorta d'immunit che diritto di classe ma anche di esigenza mitica, poich appartiene alla coorte dei superuomini).

    Contro agli oppressi e agli innocenti sta il gruppo dei dominatori, cattivi o buoni che siano. Talora il dominatore pu provenire dalle classi pi miserabili (come il Rocambole dei primi romanzi) ma, baciato in fronte dal destino romanzesco, di fatto egli entra a far parte della classe egemone, sia pure sotto mentite spoglie e da quel momento non ne esce pi. Non diversamente accade a Blasco. In ogni caso il dominatore di origini umili non si afferma come umile che faccia valere le virt della propria classe: viene arruolato dalla classe superiore e ne assume i modi e l'ideologia.

    I dominatori, sia che lottino per il bene che per il male, usano gli stessi metodi di lotta: sono metodi antisociali, colpo per colpo, il fine giustifica i mezzi, la giustizia deve trionfare anche tramite il pugnale perch, come vedremo a proposito del superuomo, il dominatore che si fa fonte della giustizia e non la giustizia, come legge della societ, che determina i movimenti del dominatore. Portatore di una legge e di una moralit che la societ non conosce ancora o a cui la societ si oppone, l'Eroe non sceglie per imporla il mezzo consueto agli eroi rivoluzionari, e cio agli interpreti delle esigenze popolari: egli non fa ricorso al popolo per chiedergli di ratificare col suo consenso e la sua partecipazione attiva la nuova legge e la nuova moralit. Egli decide di imporla con mezzi occulti, dato che il potere ufficiale a cui si oppone non accetta la sua giustizia, e il popolo, per cui combatte, non viene chiamato a dividerne la responsabilit. Il suo strumento non pu essere pertanto che la societ segreta.

    Dalla Compagnia di Ges come viene presentata ne L'Ebreo errante di Sue, agli Abiti Neri di Ponson du Terrail, dai figli di Kali sempre in Ponson du Terrail al patto di sangue dei Tre Moschettieri,

  • dai Tredici balzacchiani ai nostri Beati Paoli, la societ segreta la maschera dell'eroe e ne nel contempo il braccio secolare. L'essere societ le assegna talora l'apparenza legalitaria di patto sociale, ma il dipendere dal progetto dell'eroe la qualifica appunto come l'artificio attraverso il quale costui amplia il raggio del proprio potere anzich fondarne la legittimazione.

    Che essa sia al servizio del malvagio o del giustiziere, la societ segreta nel romanzo popolare non cambia di molto le sue caratteristiche formali n i metodi che impiega. Rocambole, dopo la conversione (la svolta si pone dopo La morte del selvaggio) uccide i cattivi con la stessa fredda determinazione con cui prima uccideva i buoni. I Beati Paoli non impiegano mezzi molto diversi da quelli di Don Raimondo, e proprio per questo Blasco non riesce ad accettarne sino in fondo l'etica e il programma.

    Ma Blasco non il protagonista carismatico del libro, non Montecristo o Rodolfo di Gerolstein, perch questa funzione viene assunta da Coriolano della Floresta. E anche in questo Blasco affine a D'Artagnan, eroe portatore dell'azione, guidato nell'ombra dall'eroe portatore del carisma, che Athos - come si era accorto acutamente Gramsci.

    Tanto vero che ad amare sono D'Artagnan e Blasco, non Athos (distrutto da un amore tragico, ormai rimosso) e non Coriolano. L'eroe carismatico (caratteristica che si ritrova ancora nei supermen dei fumetti) casto e immune dal desiderio, non consumato da alcuna passione n posseduto da nessuna donna (anche Rodolfo de I misteri di Parigi come Athos, consuma i ricordi di un amore lontano e di una delusione che lo ha parsifalizzato per tutti gli anni a venire).

    L'un contro l'altro armati, i dominatori costituiscono coppie di nemici mortali, la cui lotta si svolge appunto sopra la testa del popolo che essi perseguitano o proteggono. Talora la coppia immediatamente esplicita (Juve contro Fantomas) talora si disegna solo ad una osservazione pi accurata, come nel libro di Natoli: dove l'opposizione non si pone tra Blasco e Don Raimondo, ma -parallelamente, tra blasco ed Emanuele da un lato e Coriolano e Don Raimondo dall'altro.

    Il gioco oppositivo tra i due nemici vuole che il nemico, come incarnazione dell'ostacolo, si rinnovi di volta in volta, imprevedibilmente, anche quando la partita sembrava chiusa. La lotta di Juve contro Fantomas, che si protrae per volumi e volumi senza mai compirsi (cos come si protrae il suo ricalco fumettistico attuale, la storia del commissario Ginko contro Diabolik) costituisce l'esempio da manuale di questa meccanica.

    Ma anche I Beati Paoli risponde alle prescrizioni del proprio genere, e gli episodi si inscatolano e si rinnovano, si rinchiudono e si riaprono senza mai -finire: come nel -finale di una sinfonia beethoveniana (o meglio ancora come in una sua consapevole enfatizzazione parodistica) il colpo di grancassa che annuncia la fine di fatto rivela, dietro il sipario che accenna a chiudersi, una nuova conclusione che ricomincia, e cos via per centinaia di pagine. I Beati Paoli incomincia a finire a tre quarti del suo percorso ed esplode in una catena di epiloghi che non si cicatrizzano mai.

    Ma se l'opposizione deve continuamente rinnovarsi, essa deve anche fondare la sua natura metafisica (bene contro male) su di un dato umanamente drammatico e stupefacente: ed ecco un'altra delle costanti del feuilleton, l'artificio dei fratelli nemici, che puntualmente troviamo rivisitato dal Natoli. Il topos dei fratelli nemici si unisce sovente (come in questo romanzo) a quello della generazione antitetica: il padre cattivo genera il figlio buono che ristabilir la giustizia dove egli ha commesso ingiustizia, o viceversa.

    Ne I Beati Paoli la generazione antitetica si raddoppia e si intrica in una serie di chiasmi, perch un padre libertino genera sia un figlio libertino che un figlio virtuoso; i figli sono buoni della loro stessa innocenza rispetto alle responsabilit del padre (il quale buono, come fratello nemico, rispetto a Raimondo); ma i due figli sono poi l'uno cattivo e l'altro buono in opposizione reciproca. Quanto al fratello nemico del padre esso genera un angelo di virt, Violante, che entra alla fine in un rapporto di parentela col figlio-fratello buono, Blasco.

    In questo gioco di connotazioni elementari di una parentela le valenze, come si vede, si complicano, perch nessuno buono o cattivo in assoluto, ma ciascuno assume una qualifica rispetto all'altro. A voler giocare di schemi, ecco come si potrebbe rappresentare questa serie di rapporti, dove si vede che solo Raimondo sempre cattivo e solo Blasco sempre buono e non pu alla fine non congiungersi con Violante, buona a valenza semplice. Col sacrificio di Gabriella, la quale riassume in s le opposte valenze dei vari personaggi in gioco, buona rispetto a Don Raimondo (e cattiva perch in ogni caso lo tradisce), buona-cattiva rispetto a Blasco, buona-cattiva rispetto a Violante. La sua

  • inverosimiglianza psicologica diventa una certa necessit emblematica a livello di strutture attanziali del dramma, e la sua morte il minimo che il narratore pu escogitare per liberare il racconto da una contraddizione permanente che impedisce alle cose di andare a posto (e qui il richiamo anche, forse, a certe dolci schiave salgariane, che i lettori vorrebbero sempre vedere sposate all'eroe, perch pi umane e simpatiche delle eroine dalla bellezza gelida e virginale; mentre l'autore alla fine le fa sempre miseramente perire perch altrimenti le valenze mitologiche salterebbero in aria e i lettori non riuscirebbero pi a collocare i pezzi al posto giusto, come vogliono le leggi del romanzo popolare). Allo stesso titolo osservavano Marx ed Engels che alla fine de I misteri di Parigi Fleur-de-Marie, diventata, da prostituita vergine che era, la principessa Amelia, deve morire, perch se il lettore pu accettare la redenzione, riesce difficile alla morale borghese accettare l'idea che una ex-prostituta, anche se innocente, sia premiata col trono. Potremmo dire che queste curiose figure di personaggi (sovente femminili, ma talora anche maschili: vedi lo Chourineur) di cornuti e mazziati servono proprio ad introdurre nel romanzo popolare una vena di umanit; perch sono privi della rigidit emblematica degli altri personaggi, ma proprio per questo sono destinati all'eliminazione. Curiosamente il loro destino tragico esattamente quello che nel romanzo colto o impegnato colpisce invece l'eroe, il quale appunto eroe problematico, e il romanzo (che riflette sulle proprie strutture e sulla propria funzione) non pu non votarlo allo scacco; mentre il romanzo popolare, presentandoci dei personaggi mitologici, li vota al successo e alla monodimensionalit e quindi ce li deve restituire alla fine coronati dalla felicit (o al massimo, per alcuni, da una morte serena, scontata per ragioni di et, coronata in ogni caso da qualcosa che ha a che fare con un premio soprannaturale).

    Per terminare questa rassegna delle costanti del romanzo popolare ricorderemo che Tortel (che abbiamo abbondantemente citato e altrettanto abbondantemente integrato in questa nostra silloge affrettata) cerca infine di circoscrivere lo spazio immaginativo del romanzo popolare, di trattare una topologia di questo universo in cui i colpi di scena si susseguono e la lotta tra bene e male sembra sempre rigenerarsi, senza attenuarsi del tutto neppure alla conclusione, lasciando aperto uno spiraglio su una possibile continuazione di questa dialettica, in una sorta di pessimismo consolatorio, o di ottimismo tragico, come per dire al lettore che la contraddizione tra bene e male, una costante della storia, che egli ne sar sempre la vittima e che nulla, neppure il romanzo che in questo momento lo consola, potr sottrarlo al suo destino.

    che l'immagine ossessiva non pu dare su uno spazio che non sia se stessa. Qui [egli sta parlando della scoperta finale del trentaduesimo volume della serie di Fantomas, dove si apprende che Juve e Fantomas sono fratelli], per una meravigliosa invenzione romanzesca, tutto lo spazio simbolico dell'identit dei contrari riempito. Un universo irrazionale, impossibile, si pietrificato improvvisamente in questa affermazione inverosimile e necessaria che i due avversari, i due dominanti opposti ed uguali, si riconducono ad una unit. Il bene e il male la cui orgine comune si compongono in una coppia di forze uguali di senso contrario. un meccanismo che la prima immagine allucinante ha fatto funzionare e che non si arrester pi. Ciascuna delle due facce inverse e inseparabili persegue il proprio doppio, la sua faccia negativa che non raggiunger che nella catastrofe finale e che sola permette a Juve di vedere il volto di suo fratello: " sicuramente la voce dei sogni aveva detto il vero!... ". La struttura del romanzo popolare ripetizione pura, ossesso-ossessiva di un tema unico: quello dell'accesso alla dominazione, quest'ultima figurata dall'impresa di colui che abbiamo chiamato l'eroe.

    Ora, non ci sar permesso di usare queste osservazioni come apologo non tanto dell'impresa di Natoli (che dipende da leggi del genere letterario in cui si inserisce) ma dello stesso soggetto che lo ispira e che lo conduce a scegliere la forma-feuilleton primo periodo, quasi cento anni dopo la sua prima apparizione e almeno cinquantanni dopo la sua scomparsa?

    Accingendosi a raccontare la storia di una societ segreta, dominata da un eroe fondatore di leggi autonome, che egli sovrappone a quelle della societ per realizzare una sua giustizia e una sua razionalit, non sar stato Natoli costretto ad assumere le leggi di quel genere che solo poteva fornire una giustificazione ideologica (e uno smascheramento al tempo stesso, al di l delle sue intenzioni), alla storia che egli ricostruiva? La natura profonda del feuilleton non concerne la lotta di un presunto bene contro un presunto male che si riscoprono alla fine molto simili? Questa genia di vendicatori che nascono per difendere il popolo e assumono fatalmente, coi metodi, il volto dei persecutori che combattono, questa virt che vive come criminalit (o questa criminalit che si presenta come virt)

  • non sono un marchio comune sia alle societ segrete immaginarie del feuilleton sia a quelle societ segrete reali di cui i Beati Paoli erano una, e quanto pare non l'ultima, delle incarnazioni?

    E dove risiede, per le creature immaginarie e per quelle reali, il meccanismo che le grava di questa ambiguit fondamentale e definitiva?

    E che le spinge ossessivamente a ripetere la propria vicenda, senza mai chiudere la partita, inventando nuovi volti del nemico, in un sogno sanguinoso, in un gioco tragico, dove e il bene e il male sono astrazioni romanzesche, e la realt quella della violenza tenebrosa, volta a volta ideologizzata come atto di solidariet o persecuzione di prevaricatori? Non star, questo peccato originale, in una separazione tra l'Eroe e il popolo per cui esso dice di battersi?

    Ed ecco che occorre tornare alla radice del mito portante del romanzo popolare, la figura dell'eroe come Superuomo. Quel superuomo che, come aveva osservato bene Gramsci, prima che sulle pagine di Nietzsche (o dei suoi falsificatori ideologici nazisti) appare sulle pagine del romanzo popolare populista e democratico, come portatore di una soluzione autoritaria (paternalistica, autogarantita ed autofondata) delle contraddizioni della societ, sopra la testa dei suoi membri passivi.

    3. IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO E DELLA SOCIETA' SEGRETA

    Il filone che abbiamo deciso di chiamare romanzo popolare nasce e si afferma in Francia dopo che Emile de Girardin fonda nel 1833

    Le muse des familles. Certo si potrebbe parlare di romanzo popolare per il pi antico filone narrativo anglosassone, che dalla Clarissa di Richardson e dai romanzi di Fielding o di Defoe, passando attraverso i capolavori della gothic novel, arriva sino a Dickens. Si tratta in effetti dell'apparizione di una narrativa per la borghesia, influenzata dal fatto che anche le donne cominciano a diventare acquirenti di merce romanzesca.

    Ma, a caratterizzare il romanzo popolare francese dell'epoca di cui si parla, stanno vari fattori concomitanti: la stampa popolare promossa da Girardin raggiunge anche le classi pi umili della popolazione e si sa che durante l'uscita a puntate de I misteri di Parigi anche gli analfabeti si riunivano in portineria per farsi leggere la vicenda. la nascita di un nuovo pubblico, al quale la narrativa popolare parla ma di cui anche parla.

    Le plebi, le classi subalterne incominciano a diventare l'oggetto del racconto.Si pensi, oltre che a I misteri di Parigi, a L'Ebreo errante, a I Miserabili, per arrivare sino ai

    personaggi e all'universo proletario torinese che appare nelle pagine di Carolina nvernizio. Il romanzo popolare francese non parla solo del popolo per poter vendere al popolo: di fatto subisce l'impatto di una situazione politica e sociale generale, contemporaneo della nascita dei movimenti socialisti, (I misteri di Parigi anticipa di qualche anno le barricate del '48), scrtto da narratori che in un modo o nell'altro si sentono coinvolti in una battaglia democratica . Sue, lo sappiamo, consuma la sua esperienza dandystica per diventare prima socialista riformista ed infine socialista rivoluzionario; Dumas si batte contro la legge Riancey che minaccia la libert di stampa; Hugo pervaso di fermenti populistici e di un suo socialismo moderato e mistico al tempo stesso... Il romanzo popolare della prima fase si presenta come democratico, a differenza di quello della seconda fase, a cui gi si avvia attraverso Ponson du Terrail, il quale invece usa la malavita e le plebi come sfondo alle imprese dei suoi torbidi personaggi senza alcuna preoccupazione di indagine sociale.

    Ma anche quando sinceramente democratico, il romanzo ottocentesco non sfugge a un destino di mistificazione, e per ragioni abbastanza chiare. Come abbiamo mostrato in un nostro studio su Sue, l'ideologia di questi autori socialdemocratico-riformista. La stessa forma del romanzo li obbliga a questa scelta, o questa scelta li porta a scegliere quella forma: la costante curva narrativa del romanzo popolare vuole che nella vicenda si aprano crisi e contraddizioni e poi, per l'apparizione di un Deus ex machina, le contraddizioni si sanino e l'ordine ritorni. la estrema depauperazione dello schema della tragedia aristotelica, salvo che l la curva terminava in una catarsi tragica (e il discorso del poeta verteva intorno all'urto dell'uomo con il fato) e qui invece la catarsi, per ragioni di vendibilit, deve essere ottimistica. La struttura narrativa che vuole una crisi colmata da una catarsi ottimistica esige che l'universo presenti delle falle, ma che queste possano essere sanate da una azione riformatrice. Il romanzo popolare non pu essere rivoluzionario, perch altrimenti anche il modello narrativo, in cui il pubblico si riconosce e che gli procura gradevoli consolazioni, salterebbe in aria. In narrativa la

  • rivoluzione si attua a livello di forme narrative altre, che prefigurano una diversa definizione del mondo, oppure, in ogni caso, affermano l'impossibilit di accettare il mondo cos com'. Per questo Balzac non Dumas, perch Lucien de Rubempr si uccide, papa Goriot muore, Rastignac vince ma a caro e squallido prezzo. Stendhal rivoluzionario perch Julien Sorel non pu perseguire il suo sogno di successo nella societ della Restaurazione. Dostojewskij rivoluzionario perch il fallimento dei suoi eroi una critica all'ordine ufficiale dell'universo.

    Non potendo essere rivoluzionario perch deve essere consolatorio, il romanzo popolare costretto ad insegnare che, se esistono delle contraddizioni sociali, esistono forze che possono sanarle. Ora queste forze non possono essere quelle popolari, perch il popolo non ha potere, e se lo prende abbiamo la rivoluzione e quindi la crisi. I risanatori devono appartenere alla classe egemone. Poich, come classe egemone, non avrebbero interesse a risanare le contraddizioni, devono appartenere a una schiatta di giustizieri che intravvedono una giustizia pi ampia e pi armonica.

    Poich la societ non riconosce il loro bisogno di giustizia e non capirebbe il loro disegno, essi debbono perseguirlo contro la societ e contro le leggi. Per poterlo fare devono essere dotati di qualit eccezionali e avere una forza carismatica che legittimi la loro decisione apparentemente eversiva. Ecco la generazione del Superuomo.

    I tre moschettieri agiscono come superuomini, sovrapponendo la loro capacit di discriminare bene e male alla miope considerazione legalistica delle autorit ufficiali, e decidono l'esecuzione di Milady o, in Venti anni dopo, la salvazione di Carlo I e la morte di Mordante. Ma in effetti tra essi il portatore del carisma, e colui che prende le decisioni ultime assumendone su di s la tragica responsabilit, Athos. Nella serie della rivoluzione francese, di Dumas, l'eroe carismatico Giuseppe Balsamo, che praticamente decide, col raggiro della collana della regina, di far scoppiare la rivoluzione. Per far ci, egli che gi dotato di qualit soprannaturali, perch l'immortale Cagliostro, si avvale anche di una societ segreta, la setta degli Illuminati di Baviera (che, guarda caso, attirava le simpatie legittimiste di Joseph De Maistre: la societ segreta che decide del bene e del male intimamente reazionaria e agisce secondo un suo principio mistico senza cercare il rapporto con le masse che cercavano Marat o Le pre Duchesne). Montecristo un superuomo che decide della punizione di tutti i malvagi senza aver un dubbio sulla legittimit del suo gesto (garantito dal suo enorme potere economico) e corrobora il carisma anche con apparizioni esteriori ispirate ai fasti orientali. Il Rodolfo di Gerolstein de I misteri di Parigi un superuomo che, dall'alto del suo carisma legale giudica e manda secondo che avvinghia, e - decisa da lui - diventano cosa santa anche l'inumana tortura fatta subire al notaio Jacques Ferrand, l'accecamento del Matre d'Ecole, la distruzione finale di tutti i prevaricatori, cos come il premio ai buoni, che egli anzi riunisce in una fattoria modello dove paternalisticamente dispensa loro felicit e sicurezza (purch non si ribellino alle sue decisioni).

    Nella fase imperialistica del feuilleton ecco che saranno superuomini malefici Rocambole e Fantomas, ma quando il primo si ravvede egli funziona ancora come un superuomo benefico.

    E superuomo infine Coriolano della Floresta. Caratteristica di tutti costoro decidere per conto proprio cosa bene per le plebi oppresse e come vadano vendicate. Mai il superuomo sfiorato dal dubbio che le plebi possano e debbano decidere per conto proprio e quindi mai portato a illuminarle e consultarle. Nella sua fola di virt egli le ricaccia costantemente al proprio ruolo subalterno, e agisce con una violenza repressiva tanto pi mistificata in quanto si traveste da Salvezza.

    Cos fatalmente la sua rivolta diventa un regolamento di conti tra Poteri rivali, i quali sono due volti della stessa realt. Non contano le ragioni morali o di necessit storica per cui la societ segreta sorta; conta il suo rifiuto di manifestarsi e sollecitare la presa di coscienza popolare.

    Cos la societ segreta, incarnazione collettiva del superuomo, fallisce il suo illusorio progetto di resistenza e liberazione e diventa un'altra forma del dominio. Nata contro il Potere o contro lo Stato, agisce come uno Stato nello Stato, e Stato Occulto diventa, senza speranza.

    Chi ne subisce il fascino, vive la propria vicenda onirica come il lettore di romanzo popolare, che chiede alla pagina fantastica di consolarlo con immagini di giustizia, gestite da altri, per fargli dimenticare che nella realt la giustizia gli sottratta.

    Cos il cerchio della nostra lettura de I Beati Paoli si salda: e non tanto il soggetto, quanto la forma narrativa che l'autore stato portato ad usare nel doverlo raccontare, si fa per noi documento etnologico, spia antropologica di comportamenti ricorrenti, rispecchiamento di una ideologia.

  • Inizio, anche, come sempre per chi sappia leggere le vicende della societ nello specchio della letteratura, di un civile discorso critico.

    4. STORIA E LEGGENDA DE "I BEATI PAOLI. Di ROSARIO LA DUCA

    Nessun romanzo d'appendice fu mai tanto popolare quanto I Beati Paoli che Luigi Natoli - con lo pseudonimo di William Galt - scrisse appositamente per il Giornale di Sicilia, pubblicandolo in 239 puntate dal 6 maggio 1909 al 2 gennaio 1910.

    L'Autore si ispir alle gesta dei componenti di una societ segreta il cui ricordo ancor oggi mantenuto vivo da una costante tradizione orale; di una setta, quella dei Beati Paoli, che il popolo, con ostinazione, pretende esser stata formata da giustizieri e non da sicari, come invece l'aristocratico marchese di Villabianca tent di dimostrare in uno dei suoi Opuscoli palermitani. E se - come sostiene Gramsci - il romanzo d'appendice sostituisce, e favorisce nello stesso tempo, il fantasticare dell'uomo del popolo; se esso un vero sognare ad occhi aperti dipendente dal "complesso di inferiorit sociale" che determina lunghe fantasticherie sull'idea di vendetta e di punizione dei colpevoli di mali sopportati, dobbiamo allora ammettere che nel romanzo del Natoli ci sono tutti gli elementi per cullare queste fantasticherie e propinare un narcotico che attutisca il senso del male.

    Una fortuna, pertanto, non immeritata quella toccata a I Beati Paoli, anzi ben guadagnata attraverso un sapiente dosaggio di tutti quei fattori che, oltre a formare una narrazione avvincente, alimentano anche le non sempre sopite aspirazioni democratiche di ogni lettore.

    Se poi consideriamo che gli eroi della letteratura popolare, quando sono entrati nella sfera della vita intellettuale del popolo, si staccano dalla loro origine letteraria ed acquistano la validit del personaggio storico, per cui i lettori non sanno pi distinguere tra mondo effettuate della storia passata e mondo fantastico, e discutono sui personaggi romanzeschi come farebbero su quelli che hanno vissuto, troviamo ancora un'ulteriore ragione del successo che arrise al romanzo del Natoli che, in Sicilia per il pubblico popolare, fu ed ancora un best seller non superato.

    Luigi Natoli, attento conoscitore della storia e dei costumi del popolo siciliano, non si limit nella sua narrazione a prendere lo spunto dalle leggendarie vicende della misteriosa setta, ma svilupp l'intera trama del romanzo ambientandola con scrupolosa aderenza alla realt storica ed a quella topografica da cui l'azione dei numerosi protagonisti si discosta soltanto eccezionalmente ed in quei pochi casi in cui esigenze letterarie lo impongono. Pochissimi i personaggi immaginari, ma anch'essi cos abilmente inseriti nel "carosello storico" settecentesco da far s che il lettore non distingua pi la realt dall'immaginazione.

    Alla setta de I Beati Paoli, prima del Natoli, si erano interessati altri autori. Tra essi, Gabriele Quattromani che, nelle Lettere su Palermo e Messina di Paolo R. (1836) dava alcune notizie raccolte direttamente dalla tradizione popolare; Vincenzo Linares che sul "giornale letterario" Il Vapore (1834-37) aveva dato inizio ad una serie di racconti popolari raccolti poi in tre distinti volumi che videro la luce rispettivamente nel 1840, 1841 e 1843 e che vennero infine ristampati in un unico tomo nel 1886 con note storico-illustrative di Carlo Somma; Carmelo Piola che nel 1848 dava alle stampe I beati Peculi, Liggenna pupulari; Benedetto Naselli che nel 1842 pubblicava il dramma I misteri di Palerryco; Giuseppe Bruno-Arcaro che dei Beati Paoli scrisse nel suo lavoro Sopra una pagina di storia municipale ed infine Salomone-Marino e Giuseppe Pitr che raccolsero quanto della setta, al loro tempo, era ancora vivo nei canti e nei racconti popolari.

    Il romanzo del Natoli, sin dal suo primo apparire, fu seguito con il pi grande interesse, ne entr soltanto nelle case della povera gente e nelle portinerie delle abitazioni del medio ceto, ma, quasi con prepotenza, sal anche negli appartamenti della borghesia siciliana.

    Per gli abitanti del quartiere del Capo, che per tradizione si ritenevano i legittimi discendenti della setta, il romanzo divenne, al contempo, sillabario e testo sacro, tenuto al capezzale del pater familias che, nelle lunghe sere di inverno, ne leggeva, con voce velata di commozione, i diversi capitoli ai parenti e vicini che lo attorniavano ascoltandolo nel pi religioso silenzio.

    In Sicilia, I Beati Paoli ancor oggi l'unico libro che molta gente del popolo abbia letto nel corso della sua vita.

    Il romanzo venne pubblicato in volume da la "Gutenberg" di Palermo nel 1921 e successivamente, nel 1949, messo in vendita a dispense dalla casa editrice "La Madonnina" di Milano che lo ristamp

  • anche in volume nel 1955.Per concessione di questa casa editrice, nello stesso anno, fu pubblicato, in appendice, sul giornale

    L'Ora, in 212 puntate con gustose illustrazioni di Gino Morici.La sua trama, inoltre, serv per realizzare nel 1947 il film I Cavalieri dalle maschere nere, prodotto

    dalla Organizzazione Filmistica Siciliana (O.F.S.) con regia di Pino Mercanti. Insieme ad attori professionisti, vi parteciparono, in parti di minore rilievo, anche alcuni discendenti delle nobili famiglie di cui si parla nel romanzo.

    Appare oggi opportuna la ristampa del popolare romanzo integrandola con una introduzione e con note atte a consentire una pi agevole lettura del testo.

    4.1. GLI AVVENIMENTI STORICI.

    Il periodo in cui si svolgono i fatti narrati nel romanzo va dal 1698 al 1719. Esso - come scrisse il Di Marzo nella prefazione al coevo Diario palermitano del Mongitore - segna una delle epoche pi gravi di contrasti di idee e di principi, "per cui la Sicilia, senza posa agitata per molti e molti anni da guerre, da intestini partiti, da mutazioni continue di signoria, dalle pi accanite discordie tra la Chiesa e lo Stato, traeva da quelle lotte e da quelle sventure i primi vantaggi ad emancipare mano mano le menti dalla superstizione e dall'ignoranza, a sollevar dalla sua abbiezione la dignit depressa del popolo in faccia alla ierocrazia ed ai potenti, a cominciare una civilt nuova, che doveva operare pi tardi un vero rinnovamento morale merc lo sviluppo delle idee e l'operosit degl'ingegni". La guerra tra la Spagna e la Francia era finalmente cessata con la pace formalmente conclusa il 20 settembre nel castello di Rijsvvijk in Olanda, e grandi festeggiamenti avevano avuto luogo negli Stati di Carlo II. Ma, dopo qualche anno, il giovane monarca chudeva gli occhi senza lasciare eredi.

    A succedergli al trono egli aveva chiamato, per testamento, Filippo di Borbone, secondogenito del Delfino di Francia, che assumeva il nome di Filippo V. Tale decisione, all'inizio del nuovo secolo, scatenava in Europa una guerra di successione combattuta in Germania, nei Paesi Bassi ed in Italia dove Vittorio Amedeo di Savoia, dapprima alleato della Francia, era poi passato dalla parte dell'Austria. Ma, nonostante la guerra, Filippo V veniva riconosciuto ed acclamato a Palermo come re di Sicilia inaugurando cos il do minio della dinastia borbonica nell'Isola, dove per esplodevano e venivano soffocate nel sangue sedizioni e rivolte. Nello stesso tempo una questione sollevata dal vescovo di Lipari "per un pugno di ceci si metteva a soqquadro l'Isola facendo nascere un lungo conflitto tra Stato e Chiesa.

    Intanto, poich le vicende della guerra non volgevano favorevoli alla Francia, quest'ultima venne a pi miti consigli stipulando la pace di Utrecht nel marzo del 1713. La Sicilia fu ceduta a Vittorio Amedeo di Savoia che venne incoronato a Palermo il 24 ottobre del 1713.

    Il conflitto tra Stato e Chiesa, suscitato dalla "controversia liparitana", continuava anche sotto la nuova monarchia che non intendeva rinunciare a quei diritti che le derivavann dalla Apostolica Legazio di Sicilia, giurisdizione antichissima, proveniente dal potere assunto gi dal normanno Ruggero e Di fronte a tale stato di cose, il popolo cercava di farsi giustizia con le proprie mani, non una giustizia individuale e quindi debole, ma amministrata invece da un organismo collettivo che agiva nell'ombra e con la massima segretezza.

    Furono giustizieri o sicari i componenti di questa setta? Certamente l'uno e l'altro contemporaneamente. Giustizieri, quando operarono per vendicare delitti impuniti ed impedire soprusi; sicari, quando invece si prestarono ad eseguire vendette personali o allorch si servirono dell'alone di mistero che li circondava e dell'indubbio favore popolare per compiere delitti comuni.

    Discordante, infatti, il giudizio dato dal Linares con quello che si pu trarre dal romanzo del Natoli. Il primo li descrive come appartenenti ad una empia setta che infine viene sgominata e dispersa; il Natoli ce li mostra, invece, come componenti di una societ segreta, vero e proprio tribunale di giustizia, protettrice dei deboli e degli oppressi. Ma evidente che, sulla scorta delle scarse fonti storiche che ci sono pervenute, non possiamo esprimere un giudzio certo su questa setta che sicuramente esistette, ma le cui vicende oscillano tra la realt e la leggenda.

    N, a nostro avviso, pu ricercarsi un collegamento storico tra la setta dei Beati Paoli e la "mafia" intesa come societ segreta, ove si pensi che quest'ultima ha un'origine agraria connessa al disintegrarsi della struttura feudale dell'Isola, avvenuta all'inizio del XIX secolo quando ormai la setta dei Beati Paoli

  • era da tempo scomparsa.Si pu invece ammettere che nella setta dei Beati Paoli ci sia stata la presenza del sentimento mafioso

    inteso - come scrisse il Franchetti nel suo studio sulle condizioni economiche e sociali della Sicilia - come "un sentimento medievale di colui che crede di poter provvedere alla tutela ed alla incolumit della persona e dei suoi averi, merc il suo valore e la sua influenza personale indipendentemente dall'azione dell'autorit e della legge, sentimento che si accentua nella cosiddetta omert, per cui si ritiene come primo dovere di un uomo quello di farsi giustizia con le proprie mani dei torti ricevuti".

    Se poche sono le notizie sulla setta dei Beati Paoli, ancora minori sono quelle relative ai suoi appartenenti.

    Il Villabianca riuscito a raccogliere soltanto un paio di nomi: Giuseppe Amatore e Girolamo Ammirata. L'Amatore, maestro "scopettiere", impiccato in Palermo il 17 dicembre 1704. Nulla dicono su questa esecuzione i coevi diari del Mongitore; soltanto dalla Cronologia dei giustiziati di Palermo - redatta dal Cutrera sulla scorta dei registri della Compagnia dei Bianchi apprendiamo che Giuseppe Amatore, detto anche "u Russu", di anni 27, avrebbe dovuto essere impiccato per sentenza della Corte Capitaniale di Palermo; per, la sera del 16 dicembre, dopo che si fu confessato e comunicato, ed ebbe fatto testamento, appiccato il fuoco alla porta della sua cella, con l'intenzione di evadere, mor soffocato. Il giorno successivo, il suo cadavere venne trascinato per le vie della citt e appeso per un piede ad una forca eretta ai Quattro Canti.

    L'Ammirata, razionale di professione, fu impiccato nel piano del Carmine il 27 aprile 1723 per avere ucciso un uomo "in tempo di notte con colpo di carrubbina, nella piazza Ballar e calata del Convento del Carmine". Il Natoli ne fece il protagonista del suo romanzo assegnandogli il ruolo di "secondo" nella gerarchia della setta e facendolo morire sulla forca nel 1723 per avere ucciso nella piazza del Carmine il Beato Paolo traditore Nino Bucolaro. Il Villabianca accenna, infine, ad un famoso vetturino di Palermo di nome Vito Vituzzu che egli conobbe nei primi anni della sua fanciullezza, "facinoroso" della setta dei Beati Paoli, e che se la fece franca in quanto, in tempo utile, "si pose colla corona alle mani" nella chiesa di S. Matteo del Cassaro divenendone anche il "massaro". Ma - aggiunge il Villabianca "nelle occasioni ch'esso avea di risse, facea delle sue scappate, menate solo di bocca e che gli dispiaceva d'essergli venuti tali incontri ne' tempi della diversa sua vita e che perci li chiamava per s mali tempi".

    Probabilmente, il nostalgico Vituzzu fu uno degli ultimi Beati Paoli.Il motivo per il quale i componenti della setta si chiamassero Beati Paoli e la data d'inizio della loro

    attivit rimangono alquanto incerti.Il Villabianca - che scrive verso la fine del XVIII secolo - precisa che "non v' stato libro fino ora o

    uomo antico che abbia potuto contentar la sua ricerca ad onta delle assidue e minute diligenze che pel conseguimento di si fatta erudizione siano state da lui a tutt'uomo adibite". Aggiunge poi che - a suo credere - "sia stato l'autore di questa vendicosa unione quell'uomo che nell'et sua si sia vantato il pi valente sgherro nel mezzo di pi bravi sicari, il quale abbia portato il nome di sua persona di Paolo, opure tal nome appostatamente se l'abbia assunto come nome di un Santo che pria di divenire vas di elezione fu uomo di armi, e piccandosi delle bravure sol riponeva nella spada sua legge. Vantandosi poi quest'uomo dell'essere un altro guerriero Paolo Apostolo pens bene d'imitarlo anche nella santit, ma lo volle essere in met per ognuno de' di lui caratteri, cio il giorno la facea da Santo col culto della Chiesa e corona alle mani, e perci fu detto Beato Paolo, e la notte la facea da capo sicario come lo fu Paolo perseguitando i Cristiani". Ma questa ricerca etimologica del Villabianca inficiata dall'assoluto desiderio del nostro marchese di voler dare al fenomeno storico una spiegazione a qualunque costo.

    Pi verosimile, invece, sembra quanto si deduce da un racconto popolare raccolto a Borgetto dal Salomone-Marino e riportato dal Pitr.

    Leggiamo, infatti, che "a st'omini cci davanu stu titulu pirch eranu tutti omini ca facianu li divoti; lu jornu, pri putiri sapiri megghiu li cos chi succidianu, javanu vistuti comu monaci di San Franciscu di Paula e si stavanu 'ntra li chiesi a diri lu rusariu (pri finzioni): la notti poi facianu cunciura di zoccu avianu vistu e avianu saputu, e urdinavanu li vinnitti" ("a questi uomini davano tale titolo in quanto erano tutti uomini che si mostravano devoti; il giorno per meglio poter apprendere i fatti che succedevano, andavano vestiti come monaci di San Francesco di Paola e stavano nelle chiese fingendo di recitare il rosario: la notte poi complottavano su ci che avevano visto e saputo ed ordinavano le

  • vendette"). A tal proposito, non bisogna dimenticare che l'appellativo "beato" o "beata" viene ancora attribuito in molti paesi della Sicilia ai bigotti e, in genere, a coloro che indugiano, fuori del consueto, in assidue pratiche religiose. Se poi si tratti di uomini che andavano vestiti come monaci di S. Francesco di Paola o che, invece, si ispiravano nelle loro azioni all'apostolo Paolo, non sappiamo.

    Noi propendiamo per la seconda ipotesi, tenendo presente che questo Santo, in Sicilia, stato sempre oggetto di un particolare culto connesso a credenze su esseri che il Pitr definisce "soprannaturali e meravigliosi". Ricordiamo, a tal proposito, che, secondo le credenze popolari, esistono molti uomini - detti Cirauli o Ciarauli (dal greco Kepav'5, che vale "suonatore di tromba, trombettiere") - che noi nella notte del 29 giugno o in quella dal 24 al 25 gennaio, commemorazioni di S. Paolo Apostolo, posseggono virt straordinarie quali, ad esempio, quella di poter liberamente maneggiare serpenti ed insetti velenosi e di liberare - per facolt ricevuta dal Santo - dai pericoli di questi animali quanti vengono da costoro unti con un po' di saliva sul morso avvelenato.

    Ma il Ciraulo non ha soltanto queste doti. Esso sa anche indovinare il futuro, considerato oracolo infallibile e, in qualche circostanza, viene addirittura identificato con lo stesso santo.

    Non pertanto improbabile che questi esseri, ritenuti soprannaturali e quasi incarnazione dell'apostolo Paolo, abbiano dato il nome ai vendicosi palermitani, anch'essi ritenuti esseri quasi soprannaturali sia per l'alone di mistero che li avvolgeva che per la segretezza delle loro azioni.

    Giuseppe Bruno-Arcaro segnala che il luogo dove si adunava la setta faceva parte di catacombe nelle quali si riunivano i primi cristiani e avanza la ipotesi che queste fossero sotto il patrocinio dell'apostolo Paolo e che da ci fosse venuto il nome dei componenti della societ segreta.

    Ma, evidentemente, tutte queste sono soltanto delle ipotesi e riteniamo che la verit sulla etimologia di questo nome sia alquanto difficile da accertare. In merito al nome dei componenti della setta molto interessante ricordare che il barone di Riedesel, che visit la Sicilia nel 1767, gi dava notizia di una confraternita di San Paolo che, sin dall'epoca della venuta di Carlo V si form in Trapani "e la cui costituzione ed il cui voto consistevano nel pronunciare giudizi sulle azioni e la condotta dei loro magistrati, dei loro concittadini e di ogni abitante della citt: chiunque fosse stato condannato da tutta l'assemblea era perduto senza scampo, e quello dei membri della confraternita che veniva incaricato dell'esecrabile ufficio di assassino, era obbligato ad obbedire senza fiatare, e di mandare al Creatore di nascosto l'uomo cos condannato in segreto da quell'abominevole tribunale".

    Vogliamo ricordare che, ancor oggi, la gente del popolo solita dire di persona trista, ma soltanto in apparenza buona, "pari un Biatis Paulu" o, meglio, lo classifica come "Biatu Paolo occulto" avvalorando con ci l'ipotesi che gli appartenenti alla setta siano stati, pi che giustizieri, dei sicari. Non riteniamo, invece, che ci sia alcun collegamento con quanto riferisce l'Aretino nel primo dei suoi "ragionamenti", allorch narra di due monache che, essendo in fregola, contendendosi i favori di un giovane e robusto mulattiere, vennero alle mani e "se ne diero pi che i Beati Paoli". A nostro avviso, l'Aretino in questo caso fa soltanto riferimento ad una delle tante confraternite di "flagellanti" che fiorivano ai suoi tempi.

    4.2. LA PALERMO SETTECENTESCA.

    La Palermo settecentesca in cui sono ambientate le vicende del romanzo resa dal Natoli - che si rivela profondo conoscitore della topografia coeva della citt - in modo talmente reale da identificare perfino i pi minuti particolari. Nel suo romanzo non rivivono soltanto le piazze, le strade, i vicoli, i cortili, i palazzi dei nobili, i conventi ed i monasteri con le loro logge sul Cassaro, le misere abitazioni del popolo, sibbeno anche la vita dei suoi abitanti, i loro usi ed i costumi oggi in gran parte scomparsi.

    All'inizio del XVIII secolo, epoca in cui, come gi detto, si svolgono i fatti narrati, la citt era ancora compresa entro la cinta muraria secentesca, ma era gi scomparsa la sua divisione nei quartieri del Cassaro (l'antico nucleo punico-romano), dell'Albergheria, del Seralcadio e della Kalsa (formatisi in periodo arabo) e dell'Acifitania, sorto quest'ultimo sulle aree resesi disponibili per il naturale interramento dell'antico porto, la Cala, a causa dei detriti riversati dai due corsi d'acqua che fino al termine del Cinquecento avevano attraversato la citt costituendo i due profondi avvallamenti che separavano il Cassaro dai quartieri arabi. Questi due corsi d'acqua, il Kemonia ed il Papireto, alla fine del XVI secolo erano stati deviati o incanalati per mezzo di condotti sotterranei, i loro letti erano stati colmati ed il tessuto urbano si era lentamente sviluppato sui terreni bonificati.

    Il taglio della via Maqueda, operato nell'anno 1600, aveva dato alla citt una nuova suddivisione nei

  • quattro quartieri del Palazzo Reale (o di S. Cristina), dei Tribunali (o di S. Agata), di Castellammare (o di S. Oliva) e del Monte di Piet (o di S. Ninfa).

    L'incrocio della Strada Nuova (cos venne allora chiamata la via Maqueda) con l'antico Cassaro o Strada Toledo (l'odierno corso Vittorio Emanuele) aveva fatto sorgere la piazza Villena, detta anche piazza del Sole, dove nei "quattro cantoni" - assieme alle statue delle stagioni e di monarchi spagnoli - troneggiavano anche i simulacri delle sante cui erano intitolati i corrispondenti quartieri.

    Sontuosi palazzi di nobili potenti, grandiosi complessi conventuali che lo ancora vigente maggiorasco alimentava di continuo, occupavano buona parte dell'area urbana. I poveri, gli artigiani, i piccoli borghesi, con la tipica rassegnazione dell'anima siciliana, si annidavano nei catodi e nelle umili abitazioni degli antichi e maleodoranti quartieri. Gli artigiani, riuniti in maestranze ed in congregazioni, innalzavano altre chiese ai loro santi protettori.

    Nella parte pi alta del Cassaro sorgeva il palazzo del vicer, l'antica reggia normanna, con il vicino quartiere militare di S. Giacomo. All'imboccatura della Cala si ergeva minaccioso il castello a mare. L'uno e l'altro non facevano soltanto parte delle fortificazioni esterne: i loro bastioni erano anche rivolti verso la citt per tenere a freno la sempre turbolenta popolazione della capitale dell'Isola.

    Il Tribunale della Santa Inquisizione aveva il suo palazzo e le sue tremende prigioni nello Steri chiaramontano in piazza Marina; nelle piazze principali celebrava gli atti di fede; nel piano di S. Erasmo o in altri luoghi della citt accendeva sinistri roghi.

    Anche se la citt era divisa nei nuovi quartieri, il popolo continuava a designare le varie zone urbane con le antiche denominazioni. Gli abitanti si vantavano di appartenere a questo o a quell'altro rione: al Capo, alla Conceria all'Albergheria, alla Kalsa, al Cassaro, dove diversi erano gli usi e perfino il dialetto. Il fossato, che un tempo correva tutt'intorno alla citt, era stato in buona parte colmato, venendo cos a costituire uno stradone naturale che permetteva di percorrere agevolmente il circuito esterno della cinta muraria. Sul mare, la passeggiata creata dal vicer Marcantonio Colonna poteva considerarsi, durante i mesi estivi, il salotto dei Palermitani che vi si recavano per ascoltare la musica eseguita nel "teatro marmoreo" che, assieme a fontane e statue, adornava quella sontuosa strada che per, in quel tempo, era ancora parzialmente occupata dai due bastioni di Vega e del Tuono.

    Fuori delle mura sorgeva il borgo di S. Lucia, ancora separato dall'antico agglomerato urbano dagli orti che si sviluppavano oltre Porta S. Giorgio. C'erano anche conventi, come quelli di S. Spirito, dei Cappuccini e di S. Francesco di Paola; nella "piana dei Colli", a Malaspina, lungo lo stradone di Mezzomonreale e nella pi lontana Bagheria, la nobilt aveva cominciato ad innalzare le sue sontuose dimore di campagna destinate alla villeggiatura estiva.

    Il nuovo porto, costruito nel XVI secolo per sopperire all'ormai insufficiente approdo della Cala, aveva origini o alla radice del molo nord un'edilizia che gi tendeva a saldarsi con il vicino borgo di S. Lucia. Il "piano dell'Ucciardone" si presentava ancora brullo e polveroso: le carceri, dette in quel tempo della Vicaria, si trovavano all'interno della citt in un tetro edificio che sorgeva lungo il Cassaro, proprio dirimpetto alla piazza Marina dove, quasi perennemente, stava eretta la forca.

    L'anello delle mura che ancora cingeva la citt ne aveva bloccato ogni espansione fatta eccezione per qualche episodio edilizio esterno che doveva per considerarsi un fenomeno isolato.

    Per le necessit di una sempre crescente popolazione, lo sviluppo urbano era avvenuto saturando le aree interne ancora libere adibite a giardini o resesi disponibili a seguito della bonifica dei corsi d'acqua del Kemonia e del Papireto.

    La cinta muraria appariva ancora particolarmente munita. Oltre ai due castelli, quello superiore abitato dal vicer e quello inferiore detto "di mare", dieci possenti bastioni rafforzavano la cortina, e la loro difesa, in caso di attacchi esterni, era affidata alle maestranze cittadine. Altre fortificazioni erano costituite dalla Garita posta all'imboccatura della Cala, dal forte del molo e dal fortino della lanterna che sorgevano rispettivamente alla radice ed alla estremit del molo nord. I fortini di S. Erasmo, della Tonnarazza e del Sagramento, con le loro batterie poste a fior d'acqua, integravano le fortificazioni della costa, tra la citt e la contrada di Romagnolo.

    Le dodici porte che in quel tempo si aprivano lungo la cortina muraria permettevano ai cittadini di raggiungere facilmente le varie contrade "rusticane" dove, attorno ad antiche torri di campagna, si erano sviluppati "bagli" ed altre costruzioni per uso agricolo.

    Questa era - nelle linee generali - la configurazione di Palermo e del suo vicino territorio all'inizio del

  • XVIII secolo. Le note che corredano il testo del romanzo e la carta topografica che vi abbiamo allegato serviranno a dare al lettore una visione pi concreta dell'aspetto della citt nei primi del Settecento.

    Come abbiamo gi detto, il racconto del Natoli, aderente con molto scrupolo alla effettiva situazione dei luoghi, cos come essi erano all'epoca dello svolgimento dei fatti narrati, riesce a rappresentare anche i vari ambienti urbani nei pi minuti dettagli e con grande fedelt dando un quadro vivo e reale della citt di cui il lettore potr, con la sua immaginazione, percorrere le piazze e i vicoli, penetrando nei sontuosi palazzi o immergendosi nel silenzio dei chiostri, seguendo le gesta di Blasco da Castiglione o partecipando alle misteriose adunanze dei Beati Paoli.

    Ma le vicende, i fatti e le azioni che vengono narrati nel romanzo non riguardano soltanto la citt che emerge dal suolo. C' un'altra Palermo nascosta, fatta di grotte, di cripte, di lunghi e tortuosi cunicoli; una vera e propria citt sotterranea misteriosa e sconosciuta regno incontrastato dei Beati Paoli che qui avevano il loro tremendo tribunale ed attraverso la quale raggiungevano ogni luogo interno od esterno di Palermo.

    Dov'era il tribunale dei Beati Paoli?

    4.3. LA CITTA' SOTTERRANEA DEI "BEATI PAOLI".

    Secondo la tradizione raccolta dal Villabianca, il luogo di riunione dei componenti la setta dei Beati Paoli fu identificato in una cavit sotterranea esistente nel quartiere del Capo in prossimit della chiesa di S. Maria di Ges, detta anche "di Santa Maruzza" o "dei Canceddi" essendo essa un tempo appartenuta ad una confraternita di conduttori da basto che per caricare le merci usavano grossi cesti detti "canceddi".

    La chiesa, che era stata precedentemente della Confraternita degli Orfani di S. Rocco, ancor oggi esistente e prospetta sulla piazza S. Cosmo e sul vicolo degli Orfani.

    Il Villabianca, che visit il luogo di adunanza dei Beati Paoli, ci ha lasciato una esauriente descrizione di come esso appariva ai suoi tempi.

    "La casa del vivente giuris perito Gio Battista Baldi" - scrive il Villabianca - "che sta a S. Cosimo nella vanella di Santa Maruzza, Quartiere del Capo, attualmente ce lo dimostra e qual notabile anticaglia in Patria religiosamente ce lo conserva.

    Dal primo piano dell'ingresso di questa casa si passa per una porticella in esso in un piccol baglio scoverto in cui sorge un basso albero boschigno e si camina sullo strato di una volta ben larga di fabbrica che cuopre la grotta che sta di sotto. Nel centro di s fatta volta vi sta un occhio con grata di ferro che serve di spiraglio e lume alla sotterranea caverna. In questa scendesi per cinque scoglioni di pietra rustica che in faccio presentanvi un piccolo altare fatto similmente di pietra e a lato portanvi in una piccola oscura stanza o sia nascondiglio con tavola posta nel mezzo pel poso delle carte ove scrivevansi gl'atti e i secreti che si facevano da quei micidiali giudici ed era posto proprio detto della Cancellaria. Da qui si entrava nella principale grotta ove trovavasi una ben larga camera con sedili tutto all'intorno e col comodo di cave o sia nicchie e scansie al muro, nelle quali si posavan l'armi sia di fuoco che di ferro. Or qui adunavansi questi sectarii e vi tenevano le loro congreghe in luoghi oscuri e dopo il tocco della mezzanotte vi capitavano onde tutte facevansi a lumi di candele".

    Aggiunge il Villabianca che, oltre all'ingresso della casa Baldi (che successivamente appartenne al barone Blandano), la grotta aveva un altro accesso attraverso una porticina che si apriva nel vicolo degli Orfani.

    Il sac. Vincenzo Di Giovanni, erudito palermitano dello scorso secolo ed autore della Topografia di Palermo, ebbe la possibilit di esplorare quel luogo che ha cos descritto: "Il giorno 17 maggio di quest'anno 1889 volli vedere in compagnia del giovine avvocato Sig. Mangano lo stato presente della Grotta dei Beati Paoli, alla quale ora si accede non pi dal vicolo di Santa Maruzza o dell'Orfarao, ma dalla casa del Barone Blandano nella via Beati Paoli, n. 35, e per una porta che si apre al lato opposto alla porticina (ora murata) donde entr dal vicolo di S. Maruzza il Villabianca sulla fine del secolo passato.

    Il pianetto scoverto ancora esiste, ma senza l'albero boschigno, bens con alberi di limoni e pergole, e da questo pianetto si scende non per cinque, ma per nove scalini, cinque di pietra, tre di mattoni, e altri due di pietra, nella prima grotta, la cui bocca tagliata nella roccia, aperta, e nella cui volta ancora si vede il buco o lucernale antico. Ma non si vede pi in fondo di questa grotta l'altare veduto dal

  • Villabianca, al cui posto l'incavo quadrato di un pozzo ripieno, n allato si apre pi la piccola stanza, donde si passava alla principale grotta. Alcune fabbriche di sostegno, posteriori al tempo del Villabianca, hanno otturato e trasformato questa escavazione sotterranea, che a me parsa del tipo stesso delle escavazioni o catacombe fuori Porta di Ossuna; tranne che nella grotta, tuttavia accessibile, non si osservano nicchie, n scansie come le vide il Villabianca nella grotta principale, ma solamente un rialzo in guisa di sedile sul fianco destro di chi entra, ora mezzo coperto dal terriccio e dai rottami che hanno in parte riempito la grotta".

    La "grotta dei Beati Paoli" non pi accessibile in quanto, da tempo, ne sono stati murati gli ingressi, tuttavia la situazione generale dei luoghi poco mutata. A dire di alcuni abitanti del Capo, sino a qualche tempo fa si poteva penetrare anche in altre cavit vicine.

    Il Natoli fa chiaramente intendere che la grotta non era un elemento isolato, anzi collegato, attraverso tortuosi cunicoli, ad altre cripte dalle quali facilmente si poteva uscire in aperta campagna, oltre la cinta muraria. Tale situazione dei luoghi, effettivamente, corrisponde ad una realt che riteniamo utile illustrare.

    Grotte e cunicoli, infatti, come ben precis il Di Giovanni, fanno parte di un complesso cimiteriale cristiano sviluppatosi nel IV secolo d.C. al di l del fiume Papireto.

    Un avvallamento naturale, lungo circa tre chilometri, si dipartiva dalla grande depressione di Denisinni compresa tra le vie dei Cappuccini e dei Cipressi e, attraversando la citt raggiungeva la Cala.

    Questa depressione, sino alla fine del XVI secolo, aveva costituito il letto paludoso del fiume che, lungo il suo corso, veniva alimentato da alcune bolle d'acqua e sboccava infine nell'insenatura settentrionale dell'antico porto.

    Causa di malaria, era stato deviato, immettendolo in un condotto sotterraneo, ancora esistente, ed il suo alveo in parte ricolmato, dando cos origine a nuove aree edificabili.

    Il corso di questo fiume ancor oggi chiaramente riconoscibile nella depressione lungo Denisinni, piazza Peranni, via Gioiamia, piazza S. Cosmo, piazza Monte di Piet, piazza S. Onofrio, piazza Venezia e piazza Caracciolo. Il Papireto delimitava a Nord la citt murata punico-romana di cui costituiva il profondo fossato naturale oltre il quale si estendeva la campagna prima che gli Arabi nel IX secolo vi insediassero il quartiere degli Schiavoni, detto successivamente Seralcadio e di cui il Capo costituiva la parte superiore. Con l'apparire e l'affermarsi del Cristianesimo, in questa zona si sviluppava un vasto complesso cimiteriale, casualmente scoperto nel 1785 nei pressi della non pi esistente Porta d'Ossuna.

    Il tipo di escavazione di queste catacombe molto simile a quello adottato a Siracusa. Esse si sviluppano con un decumanus avente andamento irregolare e che immette lateralmente in altre gallerie piene di arcosoli e di cubiculi.

    Nei pressi della scala, per mezzo della quale vi si discende, si trova un caratteristico rialzo, intagliato nel tufo, che probabilmente dovette servire come luogo di esposizione del defunto.

    Tali catacombe sono da attribuire al IV-V secolo d. C. Una loro completa esplorazione non stata mai eseguita in quanto le strutture di fondazione di alcuni edifici sovrastanti ne ostruiscono corridoi e passaggi. certo, per, che la loro estensione debba interessare l'intero quartiere del Capo. Ricordiamo, infatti, che nel 1732, nell'eseguire gli scavi per le fondazioni della chiesa delle Cappuccinelle, venne scoperto ed in parte esplorato un profondo sotterraneo nel quale, oltre ad un gran quantitativo di ossa umane, fu anche rinvenuta una lapide paleocristiana.

    Osserviamo inoltre che nel sottosuolo del quartiere esistono anche altri ingrottati che sono stati casualmente scoperti per il cedimento delle sovrastanti sedi stradali in dipendenza del carico di pesanti automezzi che vi transitavano; ed anche da notare che molti edifici della zona hanno scantinati o seminterrati la cui esistenza giustificata dalla presenza di cavit sotterranee in quella parte del territorio palermitano prima che esso venisse urbanizzato.

    Questo esteso sistema di catacombe fu certamente interrotto dallo scavo per la realizzazione del fossato della citt eseguito nel Cinquecento, per cui si soliti considerare quelle di Porta d'Ossuna come a s stanti e non invece quale parte di un unico complesso ricadente sotto il quartiere del Capo. Il fatto che la "grotta dei Beati Paoli" non sia altro che un elemento di tali catacombe anche avvalorato dalla descrizione del Villabianca, nella quale chiaramente si fa riferimento a lucernali di areazione, a nicchie nelle pareti per la deposizione dei cadaveri, ecc. tutti elementi tipici delle catacombe cristiane.

    Il Natoli - che ben conosceva la configurazione del sottosuolo di quel quartiere - localizz abilmente

  • nell'intrigo dei cunicoli e delle grotte, cui si accennato, lo svolgimento di alcuni episodi del romanzo. Verosimile, infatti, appare la possibilit di accedere nelle cavit esistenti sotto il presunto palazzo degli Albamonte, nonch la fuga dei componenti della setta verso la campagna che si estendeva al di l di Porta d'Ossuna.

    Meno aderente alla realt appare invece il presunto collegamento tra la cripta della chiesa di S. Matteo e gli ingrottati del quartiere del Capo ove si pensi che tra il Cassaro, dove sorge la chiesa, ed il Capo scorreva il Papireto, sia pure incanalato in un condotto sotterraneo. lecito per immaginare che, proprio utilizzando un tratto di tale ampio condotto nei periodi in cui, per la magra del corso d'acqua, esso era facilmente percorribile, tramite un collegamento tra le cavit del sottosuolo di queste.

    La Palermo sotterranea nella quale il Natoli ambienta alcuni avvenimenti del romanzo luppri che oltre le mura che ricade sotto il quartiere del Capo e che si va a Porta d'Ossuna.

    Anche un'altra zona della citt, nella quale esistono ingrottati e camminamenti sotterranei, teatro delle gesta dei Beati Paoli quando costoro sono costretti ad abbandonare la loro grotta ormai scoperta dagli sbirri.

    L'attivit segreta della setta viene allora trasferita al di l dell'altro corso d'acqua che anticamente delimitava verso Mezzogiorno la citt punico-romana. questo il torrente Kemonia, detto anche fiume del maltempo, che s'ingrossava nei periodi di piena scorrendo in una depressione di notevole ampiezza, oggi scomparsa a seguito della deviazione del corso del torrente e del successivo interramento del suo letto sul quale venne tracciata la via Castro. La vallata del Kemonia era un tempo fiancheggiata da grotte di origine naturale scavate, nel corso dei secoli, dal fiume impetuoso delle torbide acque del torrente tra i calcari tufacei della zona. Molte di queste grotte furono utilizzate come chiesette ipogeiche sepolcrali e, in seguito, su di esse vennero costruite altre chiese di maggiore importanza. Sin dal secolo XI abbiamo memoria di tali cripte che vengono nominate in diplomi normanni.

    Percorrendo l'antico letto del Kemonia, da monte verso mare incontriamo dapprima la cripta di S. petronio che ricade sotto l'omonima chiesa dietro la piazza della Pinta. Essa attualmente chiusa e non si conosce la precisa ubicazione del suo accesso, n si hanno descrizioni relative alla sua configurazione.

    Non conosciamo con esattezza il luogo delle grotte di Santa Parasceve e di S. Pancrazio che furono aperte al culto sino al 129 e che probabilmente ricadono sotto la piazza Casa Professa. Maggiori notizie abbiamo invece sulle grotte di S. Maria de Cryma e di S. Calogero in Thercis che si trovano proprio sotto la chiesa di Casa Professa, ma che non sono pi accessibili. In questa zona si trova anche l'importante chiesa ipogeica di S. Michele Arcangelo che ricade sotto l'omonima chiesa in atto adibita come magazzino della Biblioteca comunale. Essa fu utilizzata per diversi secoli come luogo di culto e come cimitero poi venne chiusa e se ne perse ogni notizia. Fu riscoperta ed esplorata parzialmente nel 1718 dal Mongitore che ne esegu anche un rilievo sommario. Pietro Cannizzaro, che la visit nel 1625, erroneamente la ritenne "moschitta sotterranea con bagni e bare de cadaveri de Saraceni". Un rilievo molto accurato di questa cripta venne eseguito, verso la fine dello scorso secolo, dallo studioso tedesco Giuseppe Fhrer che esplor la maggior parte delle chiese ipogeiche e delle catacombe dell'Isola.

    Un'altra cripta vicina, oggi non pi accessibile, quella dei SS. 40 Mar tiri al Casalotto, ricadente sotto l'omonima chiesa, sempre in vicinanza di Casa Professa. Circa la sua effettiva configurazione abbiamo soltanto le poche notizie che ci ha lasciato l'Inveges.

    Questo complesso di cripte, assieme ad altre che probabilmente ancora non conosciamo, formano i cimiteri cristiani del Trans-Kemonia. Tali cripte dovrebbero fare sistema con un locus sepulcrorum che, da un diploma del XII secolo, sappiamo trovarsi nella zona urbana denominata Kemonia, in prossimit di una delle porte della citt. Gian Giacomo Adria, medico di Carlo V, nel XVI secolo indicava, in un suo manoscritto, che nei pressi di Porta Mazara, durante l'esecuzione degli scavi per alcune opere di difesa, erano stati ritrovati degli antri sotterranei, nonch vie ampie e alte sulle cui pareti erano addossati dei monumenti sepolcrali con croci. Ma di tali cavit oggi si sa ben poco.

    Da quanto abbiamo precedentemente riferito, appare chiaro come in tutta la zona a Sud del Kemonia ricadente sotto il quartiere arabo dell'Albergheria, esistano cavit sotterranee di cui molte collegate tra di loro e spesso raggiungibili anche dalle cripte delle numerose chiese di conventi e monasteri che, pur essendo state scavate in tempo successivo, certamente interruppero il tessuto preesistente dei cunicoli sotterranei.

    Nel romanzo, luogo di alcuni episodi la cavit dei SS. 40 Martiri al Casalotto nei pressi del palazzo

  • Marchese, sulla cui torre impiantato il campanile della chiesa di Casa Professa. Sono queste le "grotte" pi misteriose della zona la cui parziale esplorazione, eseguita all'inizio del XVIII secolo, fa intravedere un intricato sviluppo.

    Nelle grotte e nei cunicoli della Palermo sotterranea del Trans-Papireto e del Trans-Kemonia sono ambientate le tenebrose gesta della setta dei Beati Paoli. Ma la fantasia popolare - per un naturale fenomeno di estrapolazione - ritenne e ritiene ancora che ogni cavit esistente nel sottosuolo della citt o del suo vicino territorio sia stata utilizzata dai componenti della societ segreta. Sono sorte cos le pi impensabili leggende sull'esistenza di lunghi camminamenti sotterranei che consentivano di raggiungere anche le pi lontane contrade di campagna; leggende che trovano un giustificabile sostegno nella presenza nella zona nordovest del territorio palermitano di vastissime cave di pietra coltivate in galleria che rendono in buona parte vuoto ed anche percorribile il sottosuolo.

    NOTA BIOGRAFICA SU LUIGI NATOLI.

    LUIGI NATOLI, di famiglia messinese, nacque a Palermo il 14 aprile 1857.Fu narratore, letterato e giornalista fecondo e brillante.Consegu a 23 anni l'abilitazione all'insegnamento dell'italiano e, dopo un breve periodo di attivit

    didattica svolto nei ginnasi di Palermo, si trasfer a Roma dove divenne anche redattore del "Capitan Fracassa" (1886-1888) assumendo lo pseudonimo di Maurus che sempre mantenne come giornalista.

    La sua produzione intellettuale in parte organicamente raccolta in volume ed in parte sparsa su giornali e riviste.

    In numerosi saggi il Natoli, oltre a studiare movimenti e scrittori siciliani, svolse una accurata indagine sulla posizione della cultura letteraria siciliana rispetto a quella nazionale.

    Il Natoli soprattutto conosciuto per i suoi "grandi romanzi storici siciliani" che pubblic con lo pseudonimo di William Galt e nei quali, allontanandosi dalla tradizione veristica siciliana, si ispir al romanzo storico di modulo ottocentesco risentendo particolari influenze da quello francese di S. Se e di A. Dumas.

    Mor a Palermo il 25 marzo 1941.Fra le sue principali opere sono: Giovanni Meli, studi critici (1883); Cielo dal Camo, noterelle critiche

    (1884); Giobbe e la critica italiana (1884); Hortensio Scamozacca e le sue tragedie (1885); Gli studi danteschi in Sicilia, saggio storico-bibliografico (1894); La civilt siciliana del secolo XVI (1895); Studi su la letteratura siciliana del secolo XVI (1896); La prosa di A. Veneziano (1896); Prose e prosatori siciliani del secolo XVI, ricerche (1904); Congedo, versi (1903); La rivoluzione siciliana del 1860 (1910); La Sicilia e Garibaldi (1910); I Beati Paoli (1909-10). A quest'ultimo romanzo storico seguono, dapprima pubblicati in appendice, e successivamente ristampati in epoche diverse: Il Paggio della Regina Bianca; Il Vespro Siciliano; La principessa ladra; Ferrazzano; Fioravanti e Rizzeri; Fra Diego La Matina; Braccio di Ferro. Avventure di un carbonaro; Cagliostro, il grande avventuriero; Calvello il bastardo ovvero Un bacio sul patibolo; Coriolano della Floresta ovvero IL Segreto del romito, sguito ai Beati Paoli; La darvcu tragica; La vecchia dell'aceto; I morti tornano; Latini e Catalani: Parte I - Mastro Bertuchello; Parte Il - Il Tesoro dei Ventimiglia.

    Il Natoli anche autore di una Storia della Sicilia, edita nel 1935.

    BIBLIOGRAFIA.

    F. D'Esirinoln, Note ed appunti.A proposito di alcuni studi storico-letterari, Palermo, 1896.S. SALAMONE, La Sicilia intellettuale contemporanea - Dizionario bio-bibliografico, Catania, 1911.La morte di Luigi Natoli, Giornale di Sicilia, 26 marzo 1941.Luigi Natoli, L'Ora, 26 marzo 1941.C. DI MINe, Luigi Natoli, Giornale di Sicilia, 27 marzo 1941.A. DI VITA, Luigi Natoli, Giglio di Rocca, aprile-giugno 1941.P. Gulirro, Luigi Natoli scrittore siciliano, Giornale di Sicilia, 27 marzo 1951. G. SANTANGELO,

    Lineamenti di storici della letteratura in Sicilia dal secolo XIII ai nostri giorni, Palermo, 1952.R. Fxn'rToxoLo, Anonimi e pseudonimi, Caltanissetta, 1955.Dizionario enciclopedico della Letteratura italiana, Bari-Roma, 1967 (vol. IV).

  • Note.

    1 Cfr. Il nostro "Le strutture narrative in Fleming o in AA'W, L'analisi del racconto, Milano, Bompiani, 1969.

    2 AA.VV., Entretiens sur la paralittrature, Paris, Plon, 1970, pag. 18.3 Cfr. il nostro Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1964, in particolare le osservazioni su

    "Difesa dello schema iterativo" e "Lo schema iterativo come messaggio ridondante" nel saggio su Superman.

    4 Le note, brevi ma illuminanti, di Gramsci sul romanzo popolare si trovano in letteratura e vita nazionale, parte III, "Letteratura popolare" si vedano in particolare le pagine 108-111, 116-125 dell'edizione Einaudi.

    Le osservazioni di Marx ed Engels sono sparse, passim, nel corso de La sacra famiglia, che, come noto, costituisce una lettura polemico-ideologica de I misteri di Parigi di Eugne Se. Su queste interpretazioni cfr. il nostro "Eugenio Se, il socialismo e la consolazione", apparso come prefazione all'edizione de I misteri di Parigi, Milano, Sugar, 1965.

    Una rielaborazione di questo studio, col titolo "Rhtorique et idologie dans "Les Mystres de Paris" d'E. S., stata pubblicata sulla Revue Internationale des Sciences Sociales, XIX, 4. 1967. Il testo della prefazione italiana con una antologia di Marx, Engels, Poe e Bielinski (i quali ultimi hanno detto cose molto affini a quelle dei padri del socialismo scientifico, recensendo il romanzo non appena apparve) apparsa col titolo Socialismo e Consolacion, Barcelona, l'usquets, 1970.

    5 "Le roman populaire", in entretiens sur la paralittrature, cit.

    PROLOGO.

    Capitolo 1.

    La sera del 12 gennaio 1698, due ore prima dell'Avemaria, la piazza del Palazzo Reale di Palermo si empiva di una folla immensa, ondeggiante, varia, che si accalcava dietro le file della fanteria spagnola, schierata fra i due bastioni costruiti dal cardinale Trivulzio 1. e il monumento di re Filippo V 2. Perpendicolarmente alla linea dei soldati, e con le spalle al quartiere militare degli spagnoli 3, erano ordinati tre squadroni di cavalleria, gente estera raccogliticcia, che, per tradizione, si chiamava dei Borgognoni.

    In uno spazio sufficiente lasciato sgombro dinanzi al monumento, sorgeva un palco di legno coperto riccamente di velluto cremisi e verde, e chiuso in cima da una finta balaustrata di legno inargentato, a chiaroscuro.

    Il lungo loggiato dalla ringhiera di ferro, corrente, come esterno corridoio pensile, dinanzi agli ampi finestroni del Palazzo Reale, era coperto di arazzi; e arazzi pendevano sul muro, fra un'apertura e l'altra, con effetto bellissimo. Tutti i finestroni erano aperti sebbene la stagione rigida non lo comportasse e nel vano di ognuno di essi scorgevasi un alto candelabro, con le sue torce, apparecchiato per la luminaria; ma quello di mezzo, sopra la grande aquila marmorea che stende le ali sull'arco del grande portone, era coperto di un ampio baldacchino di velluto porpora, ornato di lunghe frange d'oro e con nel campo le armi del re di Spagna e, sotto, quelle di sua Eccellenza don Pedro Colon de Portugal de le Cueva Enriquez, grande Almirante e Adelantado maggiore delle Indie, per diritto ereditario, come discendente di Cristoforo Colombo, duca di Veraguas e de la Vega, marchese di Xamaica, conte di Gelves e Villamico, marchese di Villanova dell'Ariscal, signore di Torrequemada, Alamedano, Alamedilla, e, finalmente, Vicer e capitano generale del regno di Sicilia per sua maest Carlo II 4. Sotto il baldacchino erano stati posti due seggioloni alti, troneggianti, e altre seggiole e sgabelli erano schierati lungo il loggiato, che, naturalmente, aspettavano di essere occupati.

    Di palchi, come quello rizzato davanti al monumento di Filippo IV 5) se n'erano costruiti altri due nella citt; uno dinanzi al palazzo del Pretore, addossato alla magnifica fontana; l'altro nella piazza della Marina, dinanzi l'antico Steri dei nobili e magnifici Chiaramonte, nel quale s'era annidato il Sant'Offizio 6); ma d'intorno a questi altri palchi non c'era quasi nessuno, almeno per ora, giacch tutta Palermo curiosa e festaiuola s'era riversata nella piazza del Palazzo Reale, dove lo spettacolo era pi solenne, perch vi assisteva il Vicer con la Viceregina e la nobilt.

    Veramente non si trattava di uno spettacolo, ma di una cerimonia ufficiale.

  • Il 20 settem