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1 Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco ELEONORA DUSE Un’interprete in cerca d’autore Di Danilo Ruocco L’apparizione della Duse al Drury Lane, mercoledì scorso, in La moglie di Claudio è troppo recente perché il mio senso critico si sia riavuto dal turbamento emotivo che il suo fascino ha provocato sulla mia passionalità con la sua bella interpretazione. […] Direi senza riserve che la sua è la migliore arte interpretativa del nostro tempo che io abbia vista, […] 1 […] ogni parte per la Duse è una creazione indipendente dalle altre. Quando entra in scena, prendete pure il binocolo da teatro e contate quante rughe il tempo e gli affanni hanno tracciato sul suo volto. Sono le credenziali della sua umanità: essa sa fare qualcosa di meglio che occultare questi significativi segni del tempo sotto uno strato di pelle di pesca che si compra dal chimico. […] 2 Così si esprimeva George Bernard Shaw in due critiche drammatiche distinte risalenti al giugno del 1895, una delle quali avente il significativo titolo di La Duse e la Bernhardt . Sì, perché, in quel periodo, a Londra, le due grandi attrici, le due Divine, rivaleggiavano tra loro, portando alla ribalta, in due distinti teatri, pressoché lo stesso repertorio. Per Shaw la Duse batteva la Bernhardt su tutti i fronti, in quanto, a suo dire, la Bernhardt sarebbe stata «sempre la stessa»: L’abito, il titolo della commedia, la parte, l’ordine delle parole possono cambiare; ma la donna è sempre la stessa. Essa non entra nel personaggio per farsi guidare da esso: si sostituisce al personaggio. 3 ; mentre «La Duse non offre al pubblico il suo fascino personale. […] <bensì quello> che appartiene al personaggio che sta interpretando;» 4 . 1 GEORGE BERNARD SHAW, Di nulla in particolare e del teatro in generale , Roma, Editori Riuniti, 1984, p. 89. 2  Ibidem , p. 95. 3  Ibidem . 4  Ibidem , p. 92.

Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore

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Un saggio sull'arte d'attrice della Divina Eleonora Duse.

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1Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

ELEONORA DUSE

Un’interprete in cerca d’autoreDi Danilo Ruocco

L’apparizione della Duse al Drury Lane, mercoledì scorso,in La moglie di Claudio è troppo recente perché il mio sensocritico si sia riavuto dal turbamento emotivo che il suo fascinoha provocato sulla mia passionalità con la sua bellainterpretazione. […] Direi senza riserve che la sua è la migliorearte interpretativa del nostro tempo che io abbia vista, […]1

[…] ogni parte per la Duse è una creazione indipendentedalle altre. Quando entra in scena, prendete pure il binocolo da

teatro e contate quante rughe il tempo e gli affanni hannotracciato sul suo volto. Sono le credenziali della sua umanità:essa sa fare qualcosa di meglio che occultare questisignificativi segni del tempo sotto uno strato di pelle di pescache si compra dal chimico. […]2

Così si esprimeva George Bernard Shaw in due critiche

drammatiche distinte risalenti al giugno del 1895, una delle quali

avente il significativo titolo di La Duse e la Bernhardt . Sì, perché, in

quel periodo, a Londra, le due grandi attrici, le due Divine,

rivaleggiavano tra loro, portando alla ribalta, in due distinti teatri,

pressoché lo stesso repertorio. Per Shaw la Duse batteva la Bernhardt

su tutti i fronti, in quanto, a suo dire, la Bernhardt sarebbe stata

«sempre la stessa»:

L’abito, il titolo della commedia, la parte, l’ordine delleparole possono cambiare; ma la donna è sempre la stessa.

Essa non entra nel personaggio per farsi guidare da esso: sisostituisce al personaggio.3;

mentre «La Duse non offre al pubblico il suo fascino personale.

[…] <bensì quello> che appartiene al personaggio che sta

interpretando;»4.

1 GEORGE BERNARD SHAW, Di nulla in particolare e del teatro in generale , Roma, Editori Riuniti, 1984,p. 89.2 Ibidem , p. 95.3

 Ibidem .4 Ibidem , p. 92.

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2Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

Due modi diversi di intendere l’arte interpretativa quelli della

Duse e della Bernhardt, due modi di essere attrici che,

inevitabilmente, portarono i critici e il pubblico a schierarsi chi per

l’una e chi per l’altra, non solo nella Londra del 1895, ma in tutto il

mondo e a distanza di anni, tanto è vero che – per fare un esempio –

il 20 febbraio 1924 (la Bernhardt era morta l’anno prima, la Duse

scomparirà il 21 aprile di quell’anno) sul «Los Angeles Daily Times» si

poterono leggere tali parole:

Con ogni evidenza e francamente <la Duse> è una donnavecchissima, e tuttavia c’è in lei qualcosa che ricorda un

bambino patito. Credo sia la semplicità della sua arte… Dietroil bambino c’è un gran cuore che si nutre di esperienza…Naturalmente, la somma di questi elementi è l’artista perfetta:la semplice, diretta anima del bambino; l’esperienza tecnicadell’artigiano; il cuore che ha imparato la lezione dell’umanacompassione, e l’incisivo cervello analitico dello psicologo. LaBernhardt era sempre voluta e più o meno artificiale. La Duseè diretta e grandissima…5

Un giudizio nettissimo, senza appello. A scriverlo era stato

Charles Chaplin.

Il destino delle due Divine ebbe a incrociarsi più d’una volta, non

solo perché erano considerate le due più grandi attrici viventi, ma

anche perché, più d’una volta, tra una tournée internazionale e l’altra,

si trovarono a recitare nelle stesse città, quando non, addirittura,

nello stesso teatro. A complicare la vicenda, infine, intervenne anche

Gabriele D’Annunzio che, per un certo periodo, intrattenne,

contemporaneamente, rapporti di lavoro e di passione con entrambe.

Quanto tale disinvoltura di D’Annunzio poté spiacere alla Duse è facile

comprendere se si tiene conto che, non solo il Vate era il compagno

riconosciuto dell’attrice italiana, ma ne era anche l’Autore per

eccellenza e, usando le parole di Gerardo Guerrieri, è bene ricordare

come la Duse fosse «sempre un’attrice in cerca d’autore (anche nelle

5 CHARLES CHAPLIN in WILLIAM WEAVER , Eleonora Duse , Milano, Bompiani, 1984, p. 375. Corsivo mio.

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3Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

amicizie) cioè di un messaggio da ricevere e da diffondere; di qui

anche la sua funzione ispiratrice.»6.

Il primo fondamentale – per la Duse – incontro tra le due attrici

avvenne a Torino, nel 1882, al Teatro Carignano, gestito da Cesare

Rossi, capocomico dell’attrice italiana, che lo “cedette” alla già famosa

attrice francese impegnata in una tournée europea. La Duse

ventiquattrenne era una giovane attrice in ascesa che – nata a

Vigevano nel 1858 in una famiglia di guitti – aveva avuto la fortuna di

incontrare sul suo cammino la grande attrice tragica Giacinta

Pezzana (della quale subì la positiva influenza

7

); il primo marito,l’attore Tebaldo Checchi (che le fece da maestro d’arte, da ufficio

stampa e da manager); lo stesso Cesare Rossi, capocomico con il

quale divenne prima donna e il giovane attore Flavio Andò

(destinato a condividere con la Duse tredici anni di palcoscenico, dal

1880 al 1893). «A trentasette anni, la Bernhardt era <invece> una

stella internazionale con atteggiamenti da grande diva,»8.

La Duse non mancò una sola recita torinese dell’attrice francese(«ero andata ogni sera a udirla e a piangere»9 rievocò in seguito la

Duse), e ne ricevette una grande impressione che le diede la forza –

ripartita la francese da Torino – di imporre le proprie scelte

drammaturgiche e stilistiche allo stesso Rossi: «sentivo che avevo il

diritto di fare quel che volevo <ricorda ancora la Duse>, vale a dire

altro di ciò che mi si imponeva…»10. Dunque, parrebbe che la giovane

Duse, vista la Bernhardt, decidesse di entrare in conflitto con il

proprio capocomico per dare una svolta più “moderna” al repertorio e

6 GERARDO GUERRIERI, Eleonora Duse. Nove saggi , Roma, Bulzoni, 1993, p. 17.7 «Giacinta Pezzana <(1841- 1919) fu> attrice ammiratissima per la sua impeccabile dizione, labella voce e il patriottismo di accesa mazziniana. Indisciplinata ma generosa, la Pezzana non fumai, a rigor di termini, la maestra della Duse, ma agì senza dubbio da stimolo, né è escluso chel’attrice più giovane, schiva e solitaria, abbia subito anche l’influenza della sua sicurezza, del suodisprezzo per le convenzioni.» (W. WEAVER , op. cit ., p. 30).8 WEAVER , op. cit ., p. 41.9

ELEONORA DUSE in ibidem , p. 42.10 ID in ibidem .

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4Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

alla recitazione della compagnia. Sembrerebbe, quasi, dalle parole

della Duse e da quelle di Olga Signorelli (una delle prime biografe

della Divina) che Cesare Rossi fosse un capocomico stanco e

superato. Mirella Schino, invece, sottolinea come Rossi fosse un

capocomico spregiudicato e poco convenzionale, capace di creare una

compagnia composta quasi per intero da giovani attori (tra cui la

Duse e Andò) e non regolata dal sistema vincolante dei “ruoli” 11.

Tenendo, allora, conto del fatto che la compagnia diretta da Rossi

fosse stata giudicata, nel 1880, la più importante compagnia

drammatica italiana, va accettata per molto probabile l’ipotesiavanzata, a tale proposito, da Cesare Molinari:

È […] vero <scrive lo studioso> che l’affermarsi dellaDuse come prima donna comportò un rinnovamento delrepertorio della compagnia di Cesare Rossi, […] Marinnovamento in che senso? Nulla di rivoluzionario: unsemplice svecchiamento, che adeguava il repertorio dellacompagnia a quello delle altre formazioni primarie. Il repertorio di Cesare Rossi, […] era un repertorio che  privilegiava il caratterista. Ad esso la Duse sostituì unrepertorio che privilegiava la prima attrice, e che coincideva[…] con i drammi di Dumas e di Sardou: niente di più banale edi più ovvio.12

È utile ricordare come, dalla seconda metà dell’Ottocento in

avanti, il successo di una compagnia si fosse via via basato sempre di

più sulle doti artistiche e fisiche della prima donna, il nome delle

quale serviva da sicuro richiamo per il pubblico. Di qui l’affermarsi

delle grandi attrici tragiche (Adelaide Ristori, Virginia Marini, Giacinta

11 Cfr. MIRELLA SCHINO, Il teatro di Eleonora Duse , Bologna, Il Mulino, 1992, p. 153. «I ruoli sidividono in due grandi categorie gerarchiche: ruoli maggiori, o assoluti, che costituiscono ilpunto di arrivo della carriera di un attore […] e in ruoli secondari, attribuiti ad attori agli inizidella carriera, oppure che non sembravano avere le doti per andar più oltre. Sono ruolimaggiori: la prima donna e il primo attore, il brillante, il caratterista […] e la madre, detta anchemadre nobile […] Sono invece ruoli minori: il primo attore, e la prima attrice giovani, destinatialla carriera di primi attori assoluti; la seconda donna […] il promiscuo, o attore di parrucca […]il generico primario, una sorta di secondo attore. Al si sotto di tutti la truppa dei generici […]»(CESARE MOLINARI, L’attrice divina. Eleonora Duse nel Teatro italiano fra i due secoli , Roma, Bulzoni,

19872

, p. 43).12 Ibidem , p. 62. Corsivo mio.

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5Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

Pezzana e Adelaide Tessero) e di un repertorio basato su drammi e

tragedie in cui l’eroina prendeva il sopravvento sull’eroe, divenendone

la vera protagonista. Dunque, in un certo qual modo, Cesare Rossi

non fece altro che adeguarsi ai gusti del pubblico che desiderava

ammirare in scena la prima attrice e soffrire con le sofferenze da essa

portate alla ribalta. A ciò si aggiunga che, negli anni Ottanta

dell’Ottocento, il pubblico iniziò ad accusare una certa stanchezza per

i temi risorgimentali cari, ad esempio, alla Ristori e alla Pezzana, e

iniziò a chiedere, ai teatranti, tematiche sempre più “moderne”, più

vicine al sentire della nuova generazione di spettatori. Ecco, allorache

[…] giunge improvviso il cambiamento: si parla di unostile nervoso, di un’arte forse un po’ morbosa, un’arte nuovamolto attesa, in cui il pubblico si specchia.13

Tale era lo stile di Eleonora Duse; lo confermano le parole che

ebbe a scrivere, sollecitata dal conte Giuseppe Primoli, Adelaide

Ristori (ormai divenuta marchesa Capranica del Grillo), in occasione

della prima tournée parigina della Duse (organizzata in seguito

all’invito giunto proprio da Sarah Bernhardt). Era il 1897 e la Ristori

godeva ancora di un enorme prestigio anche all’estero: un suo

 “giudizio” positivo sulla giovane attrice italiana non poteva che essere

percepito come una sorta di “benedizione”. Da tale pubblico e

articolato “giudizio”, non privo di riserve, si citano ora alcuni brani che

aiuteranno a comprendere meglio in cosa consistesse la novità dellostile recitativo della Duse:

Eleonora Duse ebbe il gran merito di comporsi unafisionomia propria, spiccata, una individualità estetica che nonassomiglia a nessun’altra attrice delle sue contemporanee, nédelle grandi attrici che la precedettero; seppe far sfruttare tuttii propri difetti fisici; persino la sua nevrosi, onde trarne da essidegli effetti nuovi che fanno sul pubblico una profondaimpressione. Colla sua voce sottile, talvolta leggermente

13 SCHINO, op. cit ., p. 106.

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6Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

stridente, ha saputo formarsi una recitazione sua propria, orarapidissima, ora pianissima, che non consente nessuno scoppiodi voce e dissimula la concitazione dell’animo. La Duse ha unafisionomia di una grande mobilità facile a decomporsi e a

comporsi, una fisionomia che appena l’artista si presenta inscena, s’impone allo spettatore, e lo costringe a concentraresu di lei la propria attenzione. È magra, ma piuttosto unafausse maigre come si dice in Francia, ma ciò le consente nellescene d’amore, di seduzione, un abbandono della persona… unlanguore delle membra… uno smarrimento dei sensi (dei qualitalvolta abusa un po’ troppo) che in lei sembra slancio dipassione e che conquista subito la simpatia del pubblico, equesti risultati spiegano l’entusiasmo che la Duse va destandoin ogni paese. A tutto questo non si riesce senza un grande

talento. […]La Duse si è creata da sé la propria maniera, un

convenzionalismo tutto suo, che affascina, per cui,essenzialmente, è la Donna moderna con tutte le malattie dinevrosi, d’anemia, e con tutte le sue conseguenze, e perciò nelsuo repertorio ha introdotto, con molta sagacia, una completacollezione di questi tipi anomali, con tutte le loro debolezze,fantasticherie, i loro scatti, e i loro languori […]

Artisticamente parlando, se le si deve fare una critica èquella di non variare il colorito del suo repertorio,

introducendovi qualche lavoro di un tipo nel quale dovrebbescomparire la personalità della Duse […]14

L’ultima affermazione – quella che nei lavori della Duse non

scomparirebbe la personalità dell’attrice – è in palese contrasto con

quanto affermato da Shaw e citato più sopra. Il fatto è che la Ristori

avrebbe voluto che la Duse impersonasse qualcuna delle eroine

risorgimentali che avevano portato al successo internazionale la

Ristori stessa. I tempi, però, erano mutati e il pubblico – si è detto –

voleva vedere sulle scene delle “donne moderne”.

E, “donna moderna”, era percepita dal pubblico – Ristori

compresa – la Duse medesima con la sua biografia tormentata di

ragazza madre (la Duse, infatti, prima del matrimonio con il Checchi,

aveva portato a termine una sfortunata gravidanza, frutto di una

relazione altrettanto sfortunata con il giornalista napoletano Martino

14 ADELAIDE R ISTORI in GERARDO GUERRIERI, op. cit ., pp. 68-69.

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7Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

Cafiero), nonché di donna separata dal marito (il matrimonio con il

Checchi, infatti, ebbe una brusca interruzione durante la tournée Sud-

Americana del 1885). Si aggiunga a ciò, la salute malferma della

Duse (che la costringeva troppo spesso a letto e, quindi,

all’annullamento delle recite programmate) e il fisico minuto

dell’attrice (molto diverso da quello statuario delle altri attrici) e si

comprenderà come gran parte del pubblico vedesse nella Duse una

sorta di nevrotica di genio, nonché di sensuale ammaliatrice.

Forse non è inutile soffermarsi, per un momento, su quest’ultimo

aspetto della recitazione della Duse: la sensualità. Oggi, della Duseesiste un’immagine stereotipata di attrice tragica e spirituale, quasi

mistica, dalla recitazione vocale-canora, rarefatta e dannunziana. Tale

ritratto è frutto di un fraintendimento: di una fissazione di

un’immagine risalente, appunto, al periodo dannunziano dell’attrice.

In realtà la recitazione della Duse era molto più articolata e

 “complessa”.

In primo luogo <afferma la Schino a tale proposito>occorre ricordare la presenza scenica potente di per se stessache caratterizza la Duse in scena, una presenza scenicaindipendente dalla vita del personaggio rappresentato, e diparticolare forza e concentrazione.15

In altre parole, a dispetto della figura minuta e della voce non

proprio da prima donna, la Duse possedeva un tale magnetismo da

calamitare su di sé l’attenzione del pubblico, indipendentemente dal

fatto che stesse o meno dicendo una battuta o compiendo un’azione

scenica principale. Va, poi, ricordata «la sua capacità di toccare lo

spettatore a livello nervoso attraverso la sorpresa dei suoi movimenti.

[…] sorpresa che agisce immediatamente sui nervi degli spettatori,

provoca reazioni fisiche prima che apprezzamenti e riflessioni» 16. Per

fare un esempio, la sorpresa destata da uno scoppio di nervi in

15

SCHINO, op. cit ., p. 56.16 Ibidem , p. 58.

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8Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

proscenio della Duse nel ruolo di Cleopatra fu causa di un quasi

generale buttarsi indietro sulle sedie da parte della platea. L’azione

fu, dunque, percepita dagli spettatori come virtualmente pericolosa

per loro stessi. E, infine, va sottolineato il forte risultato erotico degli

spettacoli dusiani, ottenuto, principalmente, con un tipo di rapporto

scenico nuovo e diverso con gli altri attori della compagnia: la Duse,

infatti, entrava

[…] in contatto anche fisico coi suoi interlocutori in scena.Ella sfiorava o afferrava in continuazione, anche senzaapparente motivo, i colleghi e, benché fosse tutto sommato

priva di quella sensualità evidente che circondava altre attrici –in primo luogo la Bernhardt – approfittava delle molteoccasioni amorose offerte dai testi per creare momentifisicamente perturbanti.17

Tale continuo contatto fisico con gli altri attori, visivamente

nuovo per gli spettatori teatrali, causava «nel pubblico un senso di

partecipazione fisica e nervosa, e di sorprendente vicinanza.»18.

Dunque, per concludere questo primo momento di valutazione

dell’arte dusiana, si può affermare, con la Schino, che

I caratteri della recitazione dusiana si moltiplicano in unagamma vastissima che va dalle microscene alle acrobazie,dalle spezzature e dai toni nasali alle melodie della voce, dallepercezioni intellettuali più raffinate agli affetti (sic ) piùappariscenti.19

Non tutti, ovviamente, furono pronti ad accettare le novità

introdotte dalla Duse, la quale sembra, nelle parole che seguono,

dare una spiegazione di tale rifiuto:

[…] parte del pubblico non mi accetta ancora comedesidero d’essere accettata, perché non faccio le cose altro chea modo mio, cioè a dire nel modo come le sento. È convenutoche in certe circostanze bisogna alzar la voce, dare inescandescenze, e io invece, quando la passione che esprimo èviolenta, quando l’animo mio è colpito dal piacere o dal dolore,

17 Ibidem , p. 96.18

 Ibidem , p. 97.19 Ibidem , p. 59.

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9Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

spesso ammutolisco, e sulla scena parlo piano, a fior dilabbra… Allora, certuni dicono che non ho espressione, che nonsento, che non soffro…20

La Duse, quindi, violava le convenzioni teatrali allora in uso e ciòfu rilevato fin da subito dalla critica drammatica che parlò di un

[…] abbandono <da parte dell’attrice> di tutti glistereotipi formali del mestiere teatrale, ed in particolare diquegli stereotipi vocali che costituivano lo schema di unesercizio virtuosistico inteso ad abbellire la dizioneavvicinandola, in certi momenti di particolare intensità, alcanto: […]21

Tale abbandono delle convenzioni teatrali, portò alcuni critici adassimilare la recitazione della Duse al naturalismo scenico; altri

invece, come il marchese Francesco D’Arcais («il più autorevole

sostenitore della Duse, al momento della sua affermazione»22),

negarono «ogni riferimento a poetiche e a pratiche di carattere

naturalistico»23 riconoscendo, è vero, all’attrice la capacità di spingere

«l’illusione fino al punto che la convenzione non si palesa<va> più

agli occhi dello spettatore»24, ma al contempo sottolineando il fatto

che ella avesse «un salutare orrore per tutto ciò che è volgare e

triviale sulla scena»25; ovvero, in altre parole, la Duse avrebbe avuto

«orrore» delle manifestazioni più estreme del naturalismo scenico.

Ad ogni modo, uno dei testi più importanti del naturalismo

scenico italiano, ossia Cavalleria rusticana di Giovanni Verga, divenne

uno dei “cavalli di battaglia” della Duse che lo inserì stabilmente

(unico testo italiano assieme alla Locandiera di Carlo Goldoni) nel

repertorio delle di lei lunghe tournées estere, «sicché Santuzza

20 DUSE IN WEAVER , op. cit ., p. 43.21 MOLINARI , op. cit ., p. 103.22 Ibidem .23 Ibidem , p. 10524

D’ARCAIS in MOLINARI, op. cit ., p. 105.25 ID in ibidem .

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10Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

diventò uno dei personaggi che costituirono l’immagine della Duse per

il grande pubblico internazionale»26.

Assieme a Verga e Goldoni, la Duse inserì nel repertorio

 “d’esportazione” – ovvero quel gruppo di testi che la Divina recitava

durante le faticose tournées estere – autori come Ibsen, Suderman e

Pinero come relative novità e Sardou e Dumas come sorta di classici

o, meglio, di autori privilegiati. La scelta dei due autori francesi può

essere compresa non solo considerando il fatto che essi erano più o

meno stabilmente nel repertorio delle più importanti compagnie

dell’epoca e, quindi, più o meno conosciuti dai pubblici dei diversipaesi attraversati durante le tournées, ma anche perché «essi

proponevano […] <nei loro testi> un assoluto protagonismo

femminile»27. Ciò non è un dato secondario se è vero che la

compagnia della Duse all’estero era una tipica compagnia

mattatoriale, ovvero che ruotava completamente sulla presenza in

scena della “mattatrice”. Inoltre, con quei

[…] personaggi nei quali aveva visto il riflesso dellapropria condizione di donna e di attrice e addirittura deglianeddoti dolorosi della sua vita <la Duse> poteva continuareun dialogo che assumeva flessioni sempre diverse, dallatenerezza al disprezzo, ma che non riusciva ad esaurirsi mai.28

Si è detto che la Duse nelle tournées estere si comportava come

una mattatrice, ovvero costruiva lo spettacolo mettendone al centro

la propria figura e lasciando che gli altri personaggi esistessero solo in

funzione del proprio. Tale atteggiamento, è comprensibile se si tiene

conto di alcuni fattori: spostare una compagnia in giro per il mondo

comportava un enorme dispendio economico che induceva i

capocomici a circondarsi di attori mediocri e relativamente poco

pagati, piuttosto che di attori di richiamo e decisamente costosi. Si

aggiunga che, per solito, i capocomici affrontavano una rischiosa26 MOLINARI, op. cit ., p. 71.27

 Ibidem , p. 77.28 Ibidem .

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11Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

tournée estera per il bisogno stringente di liquidità: dunque, il

risparmio sulle paghe degli attori era percepito come necessario se si

voleva essere mediamente certi di tornare in patria con degli utili.

Non era, invece, possibile risparmiare sulle scene e, soprattutto, sui

costumi che, in quanto elemento visivo dello spettacolo, erano in

grado di catturare l’attenzione anche di quegli spettatori che non

riuscivano a seguire il dialogo in italiano. Infine, fattore di non poco

conto, il pubblico straniero era disposto a pagare il costo del biglietto

– di solito maggiorato se non, addirittura, raddoppiato – per vedere

recitare una stella internazionale e si sarebbe sentito in qualche mododefraudato se, per esempio, tale stella si fosse presentata alla ribalta

per un tempo non percepito come congruo. Tutto ciò, ovviamente,

voleva dire, anche e soprattutto, non rispettare il dettato del testo

rappresentato, operando dei tagli che favorivano la presenza in scena

della Divina. Ma il rispetto per il testo, la Duse non lo conservava

neppure in patria, tanto è vero che, come ricorda Cesare Molinari,

Tutti gli osservatori un poco attenti riconoscevano lasostanziale autonomia dell’opera della Duse di fronte a quelladegli autori da lei interpretati. Naturalmente per alcuni ciòcostituiva una colpa di lesa letteratura […] ma si può dire che ilfenomeno Duse ebbe per i contemporanei anche […] <il>significato di insinuare nell’alta cultura […] <l’> idea del valoreautonomo della recitazione nei confronti del testo.29

Ovvero, in altre parole, la Duse, in certo qual modo, rivendicava

come attrice-capocomica il fatto di essere autrice dello spettacolo e,

dunque, di godere d’autonomia rispetto all’autore. Tale rivendicazione

d’autonomia artistica e di pari dignità con l’autore era esattamente

quanto sostenevano i registi che, all’epoca, andavano facendo la loro

comparsa in tutta Europa, Italia esclusa; o, meglio, in Italia – prima

che la regia fosse imposta sui palcoscenici da Tatiana Pavlova – ci

furono una serie di autori (tra cui Marco Praga, Luigi Pirandello e

29 Ibidem , p. 107.

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12Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

Gabriele D’Annunzio) che salirono sul palcoscenico per dirigere le

prove, ma con la mentalità dell’autore, del letterato, raramente del

regista. Non si confondano, però, le idee, le posizioni e la pratica

teatrale della Duse, con quelle dei registi: la Divina non fu regista, né

fu particolarmente vicina al movimento dei registi. Anzi, quando nel

1921 la Duse decide di tornare al teatro – dopo averlo abbandonato

nel 1909 – non accettò di entrare nella compagnia di Virgilio Talli

(sicuramente uno dei proto-registi italiani), perché, affermò, «io non

posso accettare nessun controllo sulle ragioni e sui movimenti

dell’arte mia»

30

. Quanto, poi, la Duse fosse distante dai metodiadottati dalla regia per la costruzione di uno spettacolo lo dice la di lei

avversione per le prove che, invece, per un regista, sono il periodo di

maggiore creatività artistica.

La Duse <afferma Guerrieri> odiava le prove comecerimonia pubblica e collettiva, coltivava amorosamente la suapianta in privato. Provare per lei significava reimmergersi nellastoria e nella situazione, da sola, in camera sua, reinventarlaper rovesciarla allegramente in scena, in barba a tutti e a quelche si era fatto la volta prima, rivivendola lì per lì con queltanto di nuovo, di sorprendente e di inedito che era riuscita atrovare, rinnovando ogni volta il gioco: e sorprendendo gli altriattori, tenendoli in sospeso e in forse sul contenuto delle sueimprovvisazioni, contando anzi sulla sorpresa come sorgente dispontaneità nella routine: giocando a bella posta sul lorosgomento […]31

Essendo, quindi, la sua «un’arte di relazione»32 e considerando

«che la grande specialità della Duse erano le controscene, o meglio,le scene di reazione alle parole e all’agire di un altro attore»33, è facile

comprendere come alla Duse servissero «attori capaci di opporre

resistenza innestando in lei un impulso a reagire. Non dovevano

assecondare, quanto stimolare e provocare il suo gioco scenico.»34.

30 DUSE in MOLINARI, op. cit ., p. 245.31 GUERRIERI, op. cit ., p. 321.32 SCHINO, op. cit., p. 89.33

 Ibidem , p. 87.34 Ibidem , p. 89.

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13Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

Ciò spiega anche il perché la Duse sentisse il bisogno di circondarsi di

una sorta di compagnia “fissa”, composta da un gruppo di attori con i

quali c’era del feeling o, se si preferisce, con i quali si sentiva “sicura”.

Tali attori erano Flavio Andò, Carlo Rosaspina, Antonio Galliani, Ciro

Galvani, Alfredo Robert, Ines Cristina, ma, a suo modo, anche il

grande Ermete Zacconi o l’allora giovanissimo Memo Benassi, il quale,

pur venerandola, era in grado di prodursi in gustose parodie della

voce e dei silenzi della Signora (come era rispettosamente chiamata

la Duse dai suoi attori).

Comunque, innegabilmente, se quello della Duse può esseredefinito come un metodo d’approccio alla creazione dello spettacolo a

suo modo di genio, sicuramente si può anche affermare che non è

regia.

Ad ogni modo, se da un lato, la Duse rivendicava pari dignità

artistica con l’autore, dall’altro è percepibile, a livello di sensazione

epidermica, una specie di complesso di inferiorità della Duse nei

confronti degli autori da lei frequentati. Si ha, infatti, l’impressione elo si afferma come ipotesi, che la Divina ricercasse la compagnia dei

letterati come una sorta di riscatto da un’infanzia e un’adolescenza

vissute in ristrettezze economiche, nonché in una condizione di basso

profilo culturale. I suoi legami di amicizia e sentimentali con gli

appartenenti al mondo delle Lettere non appaiono, ad una lettura

posteriore, del tutto equilibrati, tra pari. È, questo, un aspetto su cui

varrebbe la pena indagare più approfonditamente partendo, per

esempio, dai suoi legami sentimentali con due dei letterati più famosi

dell’epoca: Arrigo Boito e Gabriele D’Annunzio. Se si esaminano

le vicende quotidiane delle due relazioni si ha l’impressione che la

Duse, in qualche modo, fosse quasi soggiogata dai due uomini e non

in ragione di una sottomissione dovuta alle differenze allora esistenti

di carattere socio-sessuale (e contro le quali si batteva il nascente

movimento delle femministe), ma proprio per il fatto che la Duse dà

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14Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

l’impressione di percepire se stessa come una semplice teatrante

coperta dalla polvere del palcoscenico (tale era l’opinione che i

letterati, in genere, avevano delle attrici, Divina esclusa), e di

considerare, invece, i letterati come bruciati dal sacro fuoco dell’arte.

Era come se, di fronte ai letterati, il suo fosse solo mero mestiere,

mentre, il loro, vera arte. Insomma, sembra che la Duse avesse fatto

suo lo sprezzo che gli uomini di lettere sbandieravano nei confronti

dei teatranti ai quali, peraltro, erano “costretti” ad affidare i loro

lavori, se volevano vederli tradotti sulle scene (con immancabile

accusa di tradimento da parte degli autori nei confronti degli attori).Con Arrigo Boito il vincolo d’amicizia durò circa un trentennio,

durante il quale, per una decina d’anni, dal 1884 al 1894 (anno in cui

la Duse si legò a D’Annunzio), si trasformò in una relazione

sentimentale. Durante tale lungo periodo, i due intrattennero una fitta

corrispondenza nella quale, però, contrariamente a quanto ci si

potrebbe aspettare, scarseggiano i riferimenti diretti alla vita teatrale.

Quando Boito parla del teatro (di quello di prosa, non di quello lirico,nel quale era personalmente impegnato) è sempre per manifestare il

proprio disprezzo. A Eleonora, quando non la esorta ad abbandonare

le scene, chiede di cambiare il repertorio, composto, secondo Boito,

da «opere basse, volgari», «opere cui sei condannata»35, e sostituirlo

con altre di maggior impegno. A tal fine, si fece personalmente

traduttore dell’   Antonio e Cleopatra di Shakespeare. La sua

traduzione, però, così tesa com’era a esaltare il ruolo in scena della

Duse, risultò tanto distante dall’originale che Boito stesso negò il

permesso di far figurare il suo nome in cartellone. Privo di quel nome

che avrebbe potuto (per il rispetto che se ne portava) fare da scudo

alle critiche più maligne, lo spettacolo subì una poco onorevole sorte

di pubblico e critica, almeno in Italia (non così in Germania e in

Russia dove, invece, riscosse sempre ampi consensi a causa, si

35 ARRIGO BOITO in GUERRIERI, op. cit ., p. 188.

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15Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

sospetta, della non comprensione del testo italiano e dello sfarzo

profuso nei costumi e nelle scene).

E a proposito del pubblico, che sempre tributava lunghe ovazioni

alla Duse, va detto che Boito non ne aveva un’opinione lusinghiera.

Per questo pubblico <infatti> lei prodigava tesoriinestimabili di sensibilità, enormi energie; per avere quegliapplausi ella metteva in pericolo la sua salute fisica e morale.Era il pubblico il vero responsabile dei suoi <di Eleonora> mali,dalla tubercolosi in poi.

Le scriveva <da San Remo il 4 febbraio del 1889>:«Una donna, una madre, non deve consumarsi così per

dolori e amori fittizi d’opere d’arte assai basse. Tu dici di

spregiare e non ispregi ancora abbastanza quella ciurmagliache viene a passare le sere dove tu sei.».36

Certo, nonostante la Duse affermasse di continuo di volersi

allontanare dal teatro, parole come «ciurmaglia» o appelli alla salute

morale e alla condotta che una madre avrebbe dovuto tenere, non

dovevano essere di grande aiuto all’umore dell’attrice. Né poteva farle

da conforto una costante vicinanza dell’amato, dato che le occasioni

per stare assieme erano sempre rare, sia per gli impegni teatrali della

Duse, sia per gli impegni coniugali di Boito (quelli della Duse si

limitavano ad un rispetto delle convenienze, dato che il Checchi era

restato in Argentina). Forse, il rispetto sempre esibito dalla Duse nei

confronti di Boito (che ella, in privato, chiamava il Santo) nascondeva

anche un certo senso di disagio che pur ella doveva provare; tanto è

vero che

Nei primi tempi con D’Annunzio fu un grande sollievo perlei sentirsi amata e apprezzata (in un certo senso idolatrata)per quel che faceva, per quel suo mestiere che per tanti anniera stato portato a disprezzare.37

Infatti, per dirla con Gerardo Guerrieri,

[…] è l’attrice, anzi il suo fantasma idealizzato, che apparefin dall’inizio a D’Annunzio desiderabile, e anzi indispensabile

36

GUERRIERI, in Ibidem , p. 189.37 Ibidem , p. 191.

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16Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

compagno della sua ambizione e, con l’andar del tempo, delsuo lavoro.38

E si noti che Guerrieri ha parlato di «fantasma idealizzato»

dell’attrice, non di attrice tout court . Tanto è vero che, ricorda Cesare

Molinari, tra gli obiettivi che la nuova coppia si era preposti, v’era

quello dell’arte

[…] da creare insieme con il ruolo passivo della donna-attrice, un ruolo per il quale D’Annunzio, grande forgiatore divocaboli, trovò il termine adatto: «rivelatrice», eccellente perridare dignità al lavoro dell’attore, pur mantenendolo nei limitisubordinati che la Duse stessa gli aveva sempre assegnati.39

Ed ecco che, con l’autore sul quale la Duse investe di più (sia a

livello di energia creativa, sia a livello più propriamente economico),

si firma, tramite il conio di un vocabolo, una sorta di contratto di

sudditanza al cui vertice di pone D’Annunzio, il Vate, e alla base la

Duse, la «rivelatrice». È come se la Divina si annullasse, come

posseduta da un cupio dissolvi , e, dal proscenio dov’era sempre stata,

si spostasse a recitare a ridosso del fondale, per lasciare la scenaintera alle parole dell’Autore, e ciò si afferma nel doppio senso

metaforico e reale. Infatti, la Duse dannunziana recitava con una

[…] prevalenza dell’elemento vocale, che entusiasmavaSilvio D’Amico, incrollabile sostenitore della supremazia delVerbo nel teatro, <e> tendeva naturalmente ad annullare lacomponente mimica e quella gestuale. […] Per quanto <laDuse> componesse le linee dei suoi atteggiamenti secondofigurazioni sempre più ricercate e marcatamente armoniche, il

tono generale della sua azione, soprattutto nelle ultimerappresentazioni, era sempre più languido e stanco […]40

La Duse «rivelatrice» del Verbo dannunziano non fu mai in grado

di portare al successo le opere per lei scritte. Ciò avvenne per una

serie di concause, tra le quali una sorta di ribellione, da parte del

pubblico, alla visione di una Duse in qualche modo sacrificata nella38 Ibidem .39

MOLINARI, op. cit., p. 169.40 Ibidem , p. 182.

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17Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

propria arte, abbassata, appunto, dallo status di Divina a quello di

«rivelatrice».

Le accurate messinscene di tragedie come La Gioconda, La città

morta e la Francesca da Rimini , proprio perché accolte in modo ostile,

portarono la Duse al tracollo economico. La fine della collaborazione

artistica tra la Duse e D’Annunzio coincise sia con il clamoroso

successo della Figlia di Iorio messa in scena da Virgilio Talli, sia con la

fine del loro rapporto sentimentale (costellato dai continui tradimenti

messi in atto dal gaudente D’Annunzio). Era il 1904. Due anni dopo vi

fu il ritorno della Duse ad Ibsen (che, come si è visto, era uno deisuoi autori prediletti41) con un evento eccezionale: la messa in scena

di Rosmersholm per la regia del geniale Edward Gordon Craig, figlio di

Ellen Terry, considerata la più grande attrice inglese dell’epoca e

amica personale della Duse. L’eccezionalità dell’evento è dato, anche,

dai nomi coinvolti, ai quali è bene aggiungere quello della grandissima

danzatrice Isadora Duncan, compagna di Craig, che fece da

traduttrice tra Craig (che parlava solo inglese) e la Duse (in grado diparlare, oltre all’italiano, anche il francese): fu una traduttrice sui 

generis, in quanto la Duncan tralasciò di tradurre, diplomaticamente,

molte cose, per evitare litigi tra i due. La messa in scena di Craig fu,

secondo il suo stile, ciò che di più lontano dal naturalismo si potesse

immaginare, tutta giocata su variazioni di colore e di luce. La Duse vi

si adattò magnificamente e il successo arrivò puntuale alla prima con

conseguente invito, da parte della rifiorita Divina, ad intraprendere un

percorso di collaborazione comune. L’idillio, però, non durò a lungo:

per adattare la scena ideata da Craig ai teatri toccati dalla tournée, la

Duse non esitò a tagliarla e adattarla. Fu la fine della collaborazione.

Ibsen, nel nome del quale Craig e la Duse si erano incontrati,

Ibsen che la Duse aveva portato con sé nelle tante tournées sia

nazionali sia estere, continuò a rimanere stabilmente nel repertorio

41 Nel 1891, per esempio, aveva realizzato la prima messa in scena italiana di Casa di bambola .

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18Eleonora Duse. Un’interprete in cerca d’autore di Danilo Ruocco

dell’attrice fino a quel 25 gennaio del 1909, quando, a Berlino, dopo

una rappresentazione della Donna del mare, la Duse si ritirò dalle

scene. Vi restò lontana per più di un decennio durante il quale girò il

suo unico film: Cenere per la regia di Febo Mari, dal romanzo di

Grazia Deledda. Il ritorno al teatro avvenne a Torino il 5 maggio del

1921 di nuovo sotto il segno di Ibsen e di nuovo con La donna del 

mare. Al suo fianco il vecchio amico Ermete Zacconi che, per

l’occasione, l’aveva “ospitata” nella propria compagnia.

Fra i molti giovani che accorsero alla rentrée della Duse c’era

anche un quindicenne Luchino Visconti cui volentieri si lascia ilcompito di concludere questo profilo della Divina Eleonora Duse:

Quegli spettacoli sono impressi nella mia memoria neiminimi particolari. Li ascoltai tutti con mia madre, che era<una sua> ammiratrice […] E ne ricevetti una suggestioneprofonda. Fino allora il teatro era stato per me un divertimentoed un gioco, dove attori più o meno esperti sfogliavano unvocabolario di parole risapute oltre la ribalta. Quando ascoltaiEleonora Duse compresi per la prima volta come tra tutti noiche eravamo in platea e la scena potesse anche non esistereun diaframma. Provavo l’impressione, assurda e reale, diascoltare, non visto, dietro una porta, di essere capitato incasa d’altri e di scoprire improvvisamente i terribili segretiquotidiani di una famiglia sconosciuta. Solo allora, in preda aquesta emozione, ho forse cominciato a pensare seriamente alteatro […] Le impressioni suscitate in me da quella piccolasignora ultrasessantenne, che entrando in scena si trasfiguravae diventava La signora del mare, parlando come se fosse acasa sua, senza mai alzare la voce, se non in un solo momentodel dramma, appartengono, nella mia vita di uomo, alla

categoria ristrettissima delle impressioni definitive.42

42 LUCHINO VISCONTI in SCHINO, op. cit ., p. 383.