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CONGRESSO PROVINCIALE ACLI BERGAMO FONDO FAMIGLIA LAVORO DELLA CARITAS DIOCESANA Le Acli rimettono al centro il tema del lavoro in tempo di crisi

Fondo Famiglia Lavoro della Caritas diocesana

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CONGRESSO PROVINCIALE ACLI BERGAMO

FONDO FAMIGLIA LAVORO DELLA CARITAS DIOCESANALe Acli rimettono al centro il tema del lavoro in tempo di crisi

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CONGRESSO PROVINCIALE ACLI BERGAMO

FONDO FAMIGLIA LAVORO DELLA CARITAS DIOCESANA

Le Acli rimettono al centro il tema del lavoro in tempo di crisi

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Indice

Introduzione 1. ..................................................................................................................... pg. 5

La crisi 2. ................................................................................................................................ pg. 9

La chiesa ed il Fondo Famiglia Lavoro 3. (lettera del Cardinale Tettamanzi – Milano) ......................................................... pg. 11

Dopo Milano anche a Bergamo nasce il 4.

Fondo Famiglia Lavoro ............................................................................................... pg. 21

Fondo Famiglia lavoro: alcune riflessioni 5. dell’osservatorio delle povertà e delle risorse Caritas Diocesana Bergamasca ............................................................................. pg. 23

Il coinvolgimento delle Acli nel Fondo Famiglia 6. Lavoro: intervista ai volontari .................................................................................................... pg. 29

Il prestito della Speranza – Fondo CEI 7. ................................................................. pg. 43

Il progetto la solidarietà si fa lavoro 8. ....................................................................... pg. 45

E il 2012? 9. Considerazioni di Don Claudio Visconti ......................................... pg. 51

Conclusioni 10. ...................................................................................................................... pg. 53

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Introduzione

Negli ultimi anni le Acli provinciali si sono cimentate nel tentativo di sollecitare attenzione e riflessione, dove possibile azione con-creta, attorno al tema della crisi finanziaria ed economica che ha travolto le economie mondiali e ha ovviamente fatto sentire i propri effetti anche in terra bergamasca.

La crisi che ancora oggi stiamo attraversando porta con sé un’urgente necessità di cambiamento di paradigma, un modo diverso di intendere il nostro essere cittadini, soggetti economici, persone chiamate a responsabilità e scelte consapevoli per stare dentro un mondo in cambiamento radicale. Tutto ciò va affronta-to a partire da un lessico comune, da una conoscenza e da una chiave interpretativa condivisa che permetta di affrontare le piccole e grandi questioni della cultura, della politica e della pratica del lavoro in modo non dogmatico o ideologico, non elitario, plurale. Abbiamo il compito – arduo ma ineludibile – di contribuire ad un dibattito aperto e profondo sui temi del lavoro e dell’economia in cambiamento: un dibattito all’interno del quale, con gli altri soggetti delle nostre comunità, sia possibile in modo pragmatico trovare nuovi schemi di riferimento, nuove modalità di azione affinché le tematiche del lavoro e dell’economia possano essere affrontate in modo diverso, più incisivo ed efficace.

Le Acli vogliono contribuire a far avanzare idee di cambiamento, accompagnate dalla “bussola” dell’attenzione a chi fatica di più e da quel tanto di consenso e di concretezza che consenta di evitare il rischio delle “belle parole”, astratte e poco praticabili rispetto al poter cambiare realmente scenari e prospettive delle scelte econo-

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miche e lavorative.

Il nostro Movimento ha avvertito in questi anni – e avverte oggi, sulla continua spinta di una “fedeltà al lavoro” che in qualche modo impone questa scelta di campo – la necessità di mettersi al ser-vizio delle persone, delle famiglie, delle comunità, per leggere e interpretare in modo corretto la crisi: vogliamo poter guardare al futuro senza angosce e sgomento, con fiducia nella responsabilità delle persone, nella capacità della gente di risollevarsi e invertire la rotta. Una sfida impegnativa, che parte prima di tutto dalla risco-perta del senso del legame della dimensione economico/lavorativa con la nostra vita: il lavoro come elemento fondamentale per una vita buona, eppure a sua volta da interpretare proprio sulla base di una vita che sappia leggersi anche oltre la dimensione lavorativa, in una visione “complessiva” dell’uomo moderno che sappia unire le dimensioni concrete e quelle etiche, intime, persino spirituali del nostro vivere di ogni giorno.

La volontà di darsi da fare, inclusivamente, ha aiutato l’Associa-zione in termini di impegno attivo e diffuso affinché il suo ruolo di servizio educativo e sociale raggiungesse il più largo numero di as-sociati nei circoli, nelle parrocchie, in rete con altre associazioni del territorio. Un’occasione particolarmente significativa di attivazione è stata quella giunta attraverso il Fondo Famiglia Lavoro, voluto dalla Diocesi di Bergamo – sulla scia di analoghe iniziative in altre parti d’Italia – e dalle Acli regionali e nazionali. Stare all’interno della sfida di questo Fondo ha significato in molti casi poter sperimen-tare nella quotidianità la vicinanza con le famiglie ed i lavoratori in difficoltà a causa della crisi. Una vicinanza discreta ma toccante, significativa per la forza con cui ci ha fatto conoscere la realtà di chi soffre, spesso con grande dignità, la precarietà e il rischio di esclusione sociale.

Le pagine che seguono vogliono offrirvi una rilettura ed una sintesi del percorso che le Acli hanno attraversato nella gestione del Fondo Famiglia Lavoro: gli scritti e i racconti dell’esperienza di questi anni di impegno vogliono essere uno spunto per poter riflettere insieme su come generare nuova comunità attenta alle persone – in particolare agli ultimi – riportando i nostri territori e l’intero il Paese a percorsi di compiuta democrazia partecipativa e di buona economia.

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La Crisi

Riflessioni di Alberto Berrini - economista

«La crisi si tende più a nasconderla che a farla conoscerla, specie quando diventa sociale», esordisce l’economista Alberto Berrini, intervenuto alla presentazione dell’VIII Rapporto sulle po-vertà di Caritas Ambrosiana. Non ha una “ricetta” per superare la crisi, ma non ha dubbi che occorra trovare «modelli alternati-vi» per questo dice: «È fondamentale lavorare nel sociale». Contesta chi afferma che «non è successo niente», come i li-beristi, i quali ritengono che «per definizione il mercato non può fallire», invece «i fatti lo smentiscono». I giuristi puntano il dito contro il sistema bancario e finanziario, «ma se così fos-se», dice Berrini, «basterebbe mettere qualche regola e si usci-rebbe dalla crisi». La verità è che oggi c’è «un modello di svi-luppo contraddittorio» e taglia corto dichiarando che «la crisi economica nasce da una cattiva distribuzione del reddito». Di fronte alla crisi economica tre potevano essere le vie d’uscita: au-mentare i salari (come è avvenuto tra gli anni ’45 e ’70); incrementare i servizi (previdenza, sanità e istruzione); indebitare le persone (mo-dello neoliberista degli anni ’80). Il risultato è che oggi molte fami-glie sono in difficoltà, «nel Nord del mondo, anche se noi non siamo tra quelli che stanno peggio, il problema è soprattutto occupazio-nale». In Europa sono già saltati 15 milioni di posti di lavoro, in Italia sono il 7-7,5%, ma in previsione la percentuale potrebbe alzarsi. La stessa Banca mondiale parla di «catastrofe sociale» e dichiara che nel 2009 ben 46 milioni di persone vivranno con 1,25 dollari al giorno. È vero che di fronte alla crisi lo Stato è intervenuto, ma utilizzando «i soldi delle Regioni per gli ammortizzatori sociali». E aggiunge: «Per

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L’Arcivescovo di Milano card. Dionigi Tettamanzi costituisce il “Fondo famiglia-lavoro” per sostenere chi perde l’occupazione1

Perché l’annuncio in questo Natale?

Il Natale cristiano chiama tutti ad uno slancio rinnovato, ad un supplemento speciale di fraternità e solidarietà. Questi tempi sono segnati da una crisi finanziaria ed economica che – secondo gli esperti – non ha ancora manifestato pienamente i suoi effetti desta-bilizzanti, soprattutto le preoccupanti ricadute sulla società e sulle famiglie. Lo scenario che si va delineando impone a tutti una rifles-sione seria e responsabile. Nell’intenso clima spirituale della Messa di Mezzanotte di Natale, a partire dalla meditazione del Vangelo e in una prospettiva anzitutto educativa per le comunità cristiane e per ciascuno dei fedeli della Diocesi, l’Arcivescovo di Milano cardinale Dionigi Tettamanzi ha annunciato la costituzione del “Fondo fami-glia-lavoro”, da finalizzare all’aiuto di chi ha perso, sta perdendo o perderà l’occupazione.

1 Testo integrale della lettera di costituzione del Fondo FL nella Diocesi di Milano; riproposta per la ricchezza di spunti di riflessione

me non si sta facendo abbastanza, anche se è vero che abbiamo un debito pubblico». Senza contare che oggi ci sono ammortiz-zatori sociali «vecchi», non adeguati all’attuale mondo del lavoro, perché oggi non esistono più solo i contratti a tempo indetermina-to. Insomma, occorre “svecchiare” e cambiare le regole del gioco. In ogni caso per Berrini la crisi sarà ancora lunga e preve-de che solo dal 2013 si inizierà a tornare ai livelli occupaziona-li che si avevano nel 2007. E se in questi mesi «siamo riusci-ti a mobilitare tante risorse per il sistema finanziario, in realtà non si è fatto nulla per la sfera sociale». Tra lo Stato e il mer-cato infatti c’è la società, occorre quindi «ripartire dal basso». «In definitiva», si domanda l’economista, «quale può essere la stra-tegia di intervento per uscire dalla crisi?». La soluzione è quella di «cambiare il modello di crescita» e il segnale che si starà uscendo dalla crisi si avrà «quando consumi e investimenti ripartiranno da soli».

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Le motivazioni dell’iniziativa dell’Arcivescovo

Nell’omelia l’Arcivescovo ha anzitutto posto la domanda sul “perché” di questa crisi di portata mondiale, caratterizzata – a quanto sembra - da una particolare gravità e durata nel tempo.

Per il cardinale Tettamanzi spetta ai politici, agli economisti, ai tecnici rinvenire le cause delle presente situazione. Ma appare co-munque già con sufficiente chiarezza come l’origine dei mali stia a monte dell’economia: la produzione, la distribuzione e l’uso delle risorse, infatti, implica sempre un insopprimibile aspetto etico. Si chiede l’Arcivescovo: «Può dirsi etica un’economia che non mette al centro l’uomo ma il profitto da perseguire ad ogni costo? Quanta responsabilità – delle fatiche del momento presente – ha quella finanza divenuta virtuale, che ha perso di vista l’economia reale centrata sul benessere delle comunità e dei singoli? Non ho dubbi: l’etica – e il primo valore etico è il rispetto della persona in tutte le sue dimensioni – non è un’aggiunta all’economia, ma ne è il fondamento. Sempre quando si calpesta l’etica sulla breve o lun-ga distanza a pagarne le gravissime conseguenze sono l’uomo, la società, la natura e l’economia stessa».

Il cardinale Tettamanzi ha poi confidato le domande che questa situazione fa nascere in lui.

«In questo Natale, già segnato dalle prime ondate di una gra-ve crisi economica, un interrogativo mi tormenta: io, come Arcive-scovo di Milano, cosa posso fare? Noi, come Chiesa ambrosiana, cosa possiamo fare?».

Una domanda che ciascuno deve fare propria e che tutti deve interrogare.

Da scelte di sobrietà il miracolo della solidarietà

Per l’Arcivescovo di Milano occorre porre un segno, quasi a dare il “la” ad un concerto che deve coinvolgere coralmente tutta la Chiesa ambrosiana e tutti gli uomini di buona volontà.

«Il pensiero che delle famiglie in parrocchia, un vicino di casa, si possano trovare a vivere queste feste con il timore di perdere il pro-prio posto di lavoro non può non interrogare ciascuno di noi. C’è uno stile di vita costruito sul consumismo che tutti siamo invitati a cambiare per tornare a una santa sobrietà, segno di giustizia prima ancora che di virtù. C’è una solidarietà umana da ritrovare nei nostri paesi e nelle nostre città per uscire dall’anonimato e dall’isolamen-to, perché chi vive momenti di difficoltà non si senta abbandonato. C’è una nuova primavera sociale fatta di volontariato, mutuo soc-corso, cooperazione da far fiorire perché insieme – ne sono certo -, solo insieme è possibile affrontare e superare le difficoltà che sperimentiamo e che si prospettano».

Il cardinale Tettamanzi – muovendo da queste premesse - ha chiesto alla Chiesa di Milano di agire. E l’azione dovrà privilegiare chi nei prossimi mesi perderà il lavoro e così non sarà più in grado di mantenere dignitosamente sé e la propria famiglia.

Certo, la nostra Chiesa ambrosiana – nelle sue istituzioni, par-rocchie, associazioni – è da sempre accanto alle persone che sof-frono forme di antica e nuova povertà.

«Rinnovo l’appello alla responsabilità di tutti e di ciascuno af-finché il miracolo della solidarietà, possibile dove si vive con au-tenticità il Vangelo, si ripeta anche in questo momento difficile. Realizziamo, insieme, dei gesti concreti di “solidarietà”. I nuovi e

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più profondi legami che nascono dall’Eucaristia – celebrata questa notte e quotidianamente –siano le motivazioni più evangeliche e convincenti per sostenere umanamente e spiritualmente chi è o sarà in difficoltà per la perdita del lavoro».

La solidarietà si alimenta con la sobrietà. E questo stile è propo-sto a tutti: perché il cuore sia libero dalle ricchezze, per educarci a investire e a spendere per ciò che è necessario e importante e per condividere la nostra umanità e i nostri beni con chi è povero...

Il “Fondo famiglia-lavoro”

Concretamente – affinché l’intervento della notte di Natale non resti un generico appello – l’Arcivescovo ha costituito il “Fondo famiglia-lavoro” per sostenere chi è o si troverà nell’indigenza a seguito delle perdita dell’occupazione. La dotazione iniziale (che si chiede e spera di incrementare notevolmente) è di 1 milione di euro.

Una somma che il cardinale Tettamanzi ha stanziato attingendo dall’otto per mille destinato per opere di carità, dalle offerte che gli sono pervenute in questi giorni “per la carità dell’Arcivescovo”, da scelte di sobrietà della diocesi e sue personali.

Anche a livello locale occorrerà poi concretizzare la riflessione aderendo al fondo. Sarà compito insieme dei sacerdoti e dei laici – attraverso i consigli pastorali, per gli affari economici e gli altri organismi competenti – operare un serio discernimento e decide-re come parteciparvi (rimandare spese non urgenti o secondarie, destinare una percentuale del bilancio parrocchiale, intraprendere

coraggiose scelte di sobrietà…).

E sottolineando – ancora una volta – la centralità dell’aspetto educativo l’Arcivescovo ha raccomandato alle parrocchie di creare momenti di coinvolgimento dei singoli fedeli, delle famiglie e di tutte le persone di buona volontà nella riflessione sulla sobrietà e in que-sta gara di solidarietà.

Fondamentale l’aspetto educativo

La preoccupazione dell’Arcivescovo in questa iniziativa è an-zitutto educativa. Per questo ha anzitutto chiesto «alle comunità cristiane della diocesi di riflettere sulle conseguenze della crisi eco-nomica, di prestare particolare attenzione alle famiglie in difficoltà a causa del lavoro, di aderire con generosità a questo fondo».

La sola elargizione di contributi economici, per quanto impor-tante, non porta a nessun cambiamento strutturale: l’obiettivo che il cardinale Tettamanzi vuole raggiungere è – mediante lo strumento del contributo economico - la costruzione di reti solidali capaci di intercettare e raggiungere le persone che si dovessero trovare in situazioni di emergenza, a partire dalla perdita del lavoro o della drastica riduzione dello stipendio.

Reti capaci di fare sentire parte attiva e importante della co-munità anche le persone che - a causa della perdita del lavoro - sentono venir meno una parte importante della propria identità e dignità.

Sarà quindi fondamentale che nelle parrocchie si rifletta sulle

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cause della crisi economica, sull’importanza dell’etica in ogni ambi-to della vita umana (anche nell’economia), sul dovere di concretiz-zare le scelte di fede prestando attenzione e intervenendo a favore dei più disagiati.

Importante anche la proposta – a chi rimane senza occupazio-ne - di iniziative di volontariato a favore di altre persone in difficoltà (anziani, disabili, emarginati) così da valorizzare le competenze e le capacità lavorative di chi si trova espulso – temporaneamente o definitivamente – dal mondo del lavoro.

Un modo - per chi riceverà i contributi del “Fondo famiglia-soli-darietà” – per non sentirsi ulteriormente penalizzati ma per mettersi in gioco e conservare la propria dignità.

Uno degli obiettivi più importanti dell’iniziativa “Fondo famiglia-lavoro” è quello di fare in modo che le comunità cristiane e i sin-goli fedeli, a partire dal Vangelo e dall’Eucarestia, siano sempre più pronte e capaci di tradurre in pratica la propria fede.

La sensibilizzazione locale

All’avvio e alla presentazione dell’operazione avvenuta nella Messa di Mezzanotte del 25 dicembre segue ora la fase di sensibi-lizzazione nel territorio raccomandata dall’Arcivescovo.

Una riflessione che sarà sostenuta anzitutto dalle tante com-petenze delle quali le parrocchie sono ricche: le Caritas, le ACLI e tanti singoli fedeli sono in grado di riflettere sulle ricadute locali della crisi globale, di rinnovare l’appello alla solidarietà e di proporre –

alla comunità cristiana e ai singoli - lo stile della sobrietà.

La comunicazione diocesana (www.chiesadimilano.it, il setti-

manale Avvenire-Milano7, Radio Marconi, il mensile “Il Segno”, il

magazine televisivo trasmesso da telenova “La Chiesa nella Città”)

sta già offrendo - e continuerà a farlo - degli strumenti per accom-

pagnare questa riflessione.

Al tempo stesso, in questa prima fase, la Caritas Ambrosiana

e le ACLI stanno studiando le forme più adatte, a partire dalla loro

esperienza, per la gestione e l’utilizzo di questo fondo.

Le modalità di gestione del fondo

La primaria finalità di questo fondo è di fornire una concreta

risposta in termini economici alle famiglie che si trovino costrette a

fronteggiare le conseguenze finanziarie della perdita di lavoro di un

proprio componente e non risultino protette da altri ammortizzatori

e/o tutele sociali.

La modalità scelta è quella di fornire un assegno a parziale inte-

grazione del mancato reddito da lavoro.

Caritas Ambrosiana ed ACLI saranno chiamate a concorrere

sinergicamente alla realizzazione di questa meritoria iniziativa valo-

rizzando la propria capillare presenza sul territorio e le proprie vo-

cazioni istituzionali (capacità di ascolto ed accoglienza per Caritas,

erogazione di servizi alle famiglie ed ai lavoratori per ACLI e lettura

dei bisogni sociali per entrambe).

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La distribuzione dei fondi non avverrà infatti da subito e non sarà “a pioggia”. Oltre a perdere l’efficacia dell’aiuto che si vuole portare, un simile metodo impedisce di raggiungere adeguatamen-te chi – tra tutte le persone provate dalla perdita del lavoro – è in situazione di più grave difficoltà.

Il coinvolgimento del territorio

Punto di forza del progetto è il coinvolgimento attivo del territo-rio e la costruzione di reti di solidarietà.

Solo se le parrocchie e le associazioni saranno attente e vigili si potrà raggiungere chi è in grave difficoltà. Solo se “dal basso” si rinnovano e creano reti solidali si potrà andare oltre la logica dell’assistenzialismo, del contributo a fondo perso.

I 74 decanati in cui la Diocesi è suddivisa, le Caritas locali e ed i circoli ACLI saranno chiamati alla ricognizione e alla rilevazione puntuale dei bisogni sociali cui far fronte e quindi a stendere la for-male richiesta di contributo nella forma di un progetto di sostegno per un determinato numero di nuclei familiari.

A livello centrale Caritas Ambrosiana e ACLI verificheranno la pertinenza e la solidità dei progetti ed erogheranno il fondo richie-sto. Saranno poi le sedi territoriali della Caritas e i circoli locali delle ACLI richiedenti a distribuirlo alle persone in difficoltà, agendo con la massima discrezione.

Un simile procedimento consentirà alla Chiesa ambrosiana di conoscere e di affrontare le dinamiche socio-economiche con pun-

tualità, efficacia ed efficienza, valorizzando le potenzialità di presen-za ed azione sociale sul territorio con modalità nuove e concrete.

Applicando le indicazioni del cardinale Tettamanzi si giungerà così a promuovere le progettualità sociali locali mediante un pro-cesso di delega assistita, responsabilizzando e facendo crescere le competenze già presenti nelle parrocchie e sul territorio.

Fondamentale, per la buona riuscita del progetto, sarà la ca-pacità di attivare localmente altre persone per realizzare ulteriori iniziative di sostegno familiare, coinvolgendo anche le stesse per-sone assistite.

Con questo modo di agire ci si proporrà anche ad altri attori sul territorio per attrarre ulteriori forze e risorse.

Milano, 26 Dicembre 2008

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Dopo Milano anche a Bergamonasce il Fondo Famiglia Lavoro

Dopo Milano anche Bergamo in aiuto a chi ha perso l’impiego. In campo Caritas, Acli, Cisl, San Vincenzo, Consultorio familiare e Pastorale sociale.

La Caritas diocesana bergamasca lancia un appello ai cittadini, alle parrocchie, agli enti, ai privati ed alle aziende per sostenere i lavoratori che hanno perso l’impiego nella delicata congiuntura economica. La Diocesi di Bergamo ci mette 300 mila euro, segno di vicinanza alle situazioni di maggiore difficoltà economica e spera che altri seguano il gesto della Diocesi e vadano a ingrandire pro-gressivamente con le donazioni il monte di solidarietà da utilizzare poi per progetti verso famiglie in difficoltà.

La nostra Diocesi, seguendo l’esempio tracciato dall’arcivesco-vo di Milano, Dionigi Tettamanzi che per primo aveva annunciato la notte di Natale l’istituzione di un fondo famiglia lavoro di un milione di euro, decide di sostenere con un segno di prossimità le famiglie che hanno perso il lavoro e che si trovano a vivere situazioni di forte difficoltà sociale. L’attuale crisi economica ci può davvero aiutare a riscoprire come una società deve costruirsi sempre sulla solidarietà e deve sempre e con generosità lottare contro ogni forma di pover-tà, facendo ricorso alle risorse morali e culturali di tutti.

Le ACLI di Bergamo, la CISL di Bergamo ed il suo sportello so-ciale, Il consultorio Familiare diocesano, la Società di San Vincenzo e l’Ufficio pastorale sociale della Diocesi.

Con queste realtà attente al mondo del lavoro, si sono messe

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a punto modalità d’intervento comuni per sostenere le persone in difficoltà. L’intento è anche quello di non disperdere le energie e muoverci in modo coordinato negli aiuti studiati caso per caso.

Le principali forme di sostegno sono aiuti con buoni alimentari, microcredito, pagamento di bollette.

«È necessario – spiega don Visconti – che siano definiti i criteri di gestione del fondo di solidarietà Caritas. Ciò che sin d’ora si può dire è che l’entità del problema economico e la sua complessità invitano a non farsi illusioni: l’iniziativa che qui si propone si configura come un servizio-segno che indica una via d’azione e stimola uno stile di comunione e di solidarietà al fine di sollecitare le politiche più opportune per una presa in carico globale del problema nelle sedi più opportune. È un segno che si pone in un’ottica di sussidiarietà rispetto alla po-litica e all’imprenditoria bergamasca, che restano comunque chiamate a dare risposte alla crisi che viviamo. I fondi raccol-ti saranno ridistribuiti secondo il tradizionale stile Caritas, mediante l’elaborazione di progetti che limitino l’assistenzialismo e inducano stili sociali giusti e solidali. A questo proposito si individuerà un comitato di sindaci garanti della corretta utilizzazione dei fondi. I progetti saranno gestiti dalla Caritas e dagli enti che intendono collaborare con essa, in modalità da definire, e ricercando la collaborazione, tra gli altri, degli enti locali e degli istituti di credito. Il tempo dell’intervento si prospetta limitato. Dipenderà dall’entità dei fondi raccolti, ma certamente non si potrà continuare per molto tempo in questa linea di impegno».

Al più presto verranno indicati alle famiglie bisognose i canali attraverso cui inoltrare le richieste di aiuto. «Intendiamo – conclude don Visconti – trovare modalità di raccolta delle richieste distribuite sul territorio in modo da non centralizzare tutte le domande e tute-lare i richiedenti.

Fondo famiglia e lavoro alcune riflessioni

Osservatorio delle povertà e delle risorse - Caritas Diocesana Bergamasca

L’attuale società occidentale in cui viviamo attraversa una fase di profonda e repentina trasformazione: negli ultimi trent’anni si è passati da un modello economico fordista – basato sulla produzio-ne materiale di beni di massa- al cosiddetto modello post-fordista – che ha sostituito l’uniforme mondo del lavoro, com’era quello del Novecento, con un universo di lavori assai diversificati che si diffondono in senso spaziale e si disperdono in senso temporale, e che sono svolti da soggetti i quali operano alle dipendenze oppure in modo autonomo o con posizioni miste. La società fortemente strutturata su un mondo produttivo-industriale di grandi fabbriche è stata soppiantata da una società più polverizzata, più fluida, più precaria. Con tutte le conseguenze che viviamo oggi.

Questi cambiamenti sono iniziati prima dell’avvento della crisi globale finanziaria, economica e del lavoro arrivata verso la metà del 2008 e hanno acutizzato la tendenza alla frammentazione dei percorsi e delle difficoltà vissute dalle persone.

La forte differenziazione degli effetti prodotti dalla crisi sugli in-dividui e sulle famiglie ha in primo luogo un carattere territoriale ma non solo: le differenze dipendono anche dalle tipologie famigliari e dalle molteplici posizioni sul mercato del lavoro dei diversi membri del nucleo famigliare.

Il che può contribuire a spiegare il relativo “silenzio sociale”

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nei confronti delle problematiche connesse all’impoverimento e al disagio sociale; la loro relativa assenza dall’agenda politica e dai circuiti della mobilitazione collettiva; e in fondo la tendenza all’indi-vidualizzazione del fenomeno e della ricerca delle sue soluzioni (la “solitudine delle vittime”, potremmo dire, e la personalizzazione dei percorsi di adattamento/subordinazione alle sue dinamiche).1

La provincia di Bergamo non è rimasta esente da queste pro-blematiche: La crisi economica, con la conseguente perdita di tan-ti posti di lavoro anche da noi ha messo sempre più in evidenza gli elevati costi sociali che stanno subendo tante nostre famiglie, soprattutto quelle che già vivono situazioni di fragilità dovute alla presenza di persone non autosufficienti, anziani o minori.

Certamente l’origine dei mali sta a monte dell’economia: la pro-duzione, la distribuzione e l’uso delle risorse, infatti, implica sem-pre un insopprimibile aspetto etico. Un’economia che non mette al centro l’uomo ma il profitto da perseguire ad ogni costo può dirsi etica? Spetta alla politica, all’economia e ai tecnici individuare le cause della presente situazione e indicare risposte strutturali.

Ciò però non esime che ciascuno debba domandarsi cosa può fare che è ciò che ha fatto la Caritas Diocesana Bergamasca insie-me alle ACLI di Bergamo, alla Cisl, alla Società di San Vincenzo de’ Paoli, all’Ufficio per la Pastorale del Lavoro.

Il Fondo di solidarietà è stato pensato come strumento di pros-simità per le famiglie fragili che rischiano, a causa della perdita del posto di lavoro, di entrare nel tunnel della miseria e che in tale situa-zione possono alimentare il ricorso all’illegalità di vario tipo.

1 Marco Revelli, Poveri Noi, Einaudi, 2010

Questa visione di vicinanza, portata avanti dalla Caritas, è uno stile di lavoro e di presenza che la Caritas in questi anni ha cercato di coltivare e incentivare nelle comunità parrocchiali all’interno delle reti di vicinanza e di volontariato locali. La prossimità alle famiglie fragili, sperimentata nelle esperienze dei centri di primo ascolto e coinvolgimento e nelle caritas parrocchiali, recupera il modo di essere e di operare della comunità cristiana che diventa una “fa-miglia” simbolica e accogliente per tutte le persone, in particolare le più fragili e in difficoltà, cerca di instaurare in primo luogo una relazione di ascolto e riconoscimento reciproco, prendendosi poi cura anche delle necessità “materiali”.

L’idea quindi di dare un segnale di vicinanza e accompagna-mento alle famiglie in difficoltà ha portato agli sportelli delle Caritas, dei patronati, dei sindacati molte famiglie che non avrebbero mai pensato di chiedere aiuto ma che non riescono più a far fronte da soli alle necessità della vita quotidiana.

La crisi che si sta vivendo nella nostra provincia è una crisi oc-cupazionale: da noi sente il peso della fatica e a volte della dispera-zione chi ha perso il posto di lavoro e non ha più reddito.

Dall’inizio del progetto (17 aprile 2009) al 7 febbraio 2012, sono state 1.702 le persone con problemi lavorativi legati alla crisi che hanno chiesto aiuto. La metà di queste persone vive una condizio-ne di “vulnerabilità alla povertà” poiché non si può definire già in una condizione di povertà, ma spesso si trova a non avere gli strumenti idonei o non ha le possibilità per fronteggiare i problemi legati alla perdita del lavoro e del reddito.

E così il mutuo diventa una trappola, non si riescono a pagare regolarmente l’affitto, le bollette, le spese condominiali, la difficoltà nel pagare le rate per l’acquisto dell’automobile o dei mobili di casa

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diventa diffusa e qualsiasi problema si presenti aggrava ancora di più le situazioni precarie. Spesso la situazione economica precaria aggrava anche altri problemi che erano sopiti o quanto meno non erano così evidenti, come i conflitti coniugali, le questioni legate alla disabilità o a problemi di salute.

La metà delle persone che arriva a fare richiesta di aiuto al fon-do famiglia ha terminato gli ammortizzatori sociali e si trova ancora senza lavoro; il 19% ha ancora alcuni mesi di sussidio di disoc-cupazione o di assegno di mobilità ma è già in difficoltà, il 16% si trova in cassa integrazione (ordinaria, straordinaria o in deroga).

Questo nuovo tipo di povertà che sta sempre più emergendo legata al senso di insicurezza per il proprio futuro e di instabilità, coinvolge sempre più anche le relazioni e le reti di sostegno delle persone.

I “nuovi poveri”2 incontrati subiscono più di altri i fattori di cam-biamento, demografico e sociale, che sono in atto all’interno della nostra società: il mutamento del mercato del lavoro e la precariz-zazione della vita e dell’occupazione, l’incompatibilità dei tempi di lavoro con quelli di cura dei figli e l’incremento dell’età della prima maternità, la crescita di famiglie monoparentali con figli, l’aumento del numero di anziani sopra i 75 anni, hanno determinato lo scivo-lamento in una condizione di difficoltà di diverse categorie sociali prima assolutamente “immuni” e garantite.

Coloro che svolgono mansioni operaie nei settori metalmecca-nici, tessile, nell’edilizia rappresentano il 75% dei richiedenti fondo famiglia e lavoro: essi sono coloro che hanno migliorato le condi-zioni di vita grazie allo sviluppo economico del paese, avvicinan-

2 Nuove povertà ed esclusione sociale, Fondazione Labos - Laboratorio per le poli-tiche sociali, giugno 2007, Roma

dosi alla classe media, ma che nella nostra provincia subiscono in maniera pesante la crisi occupazionale e chiedono alla politica di proteggerli dalla paura dell’impoverimento e di preservare il benes-sere acquisito.

Gli stranieri sono quelli che stanno pagando molto le difficoltà della crisi: il rischio che stiamo vivendo è che la loro disoccupazione si trasformi in emarginazione sociale. Il che ci porta a prevedere, oltre agli aspetti negativi delle relazioni tra la popolazione nativa e quella immigrata, anche vere e proprie spirali di esclusione sociale.

L’incontro quotidiano con tutte queste persone e con le loro difficoltà ha indotto in primo luogo alla riflessione sulla necessità di prolungare per un altro anno questo progetto di sostegno: l’idea parte dalla riflessione sulla necessità di scongiurare che si determi-ni un clima culturale e sociale in cui la paura della povertà minacci la solidarietà e comprometta il capitale sociale, del resto già molto compromesso dalla cultura individualista e consumista.

In secondo luogo vi è l’importanza di preservare il lavoro con-giunto di così tanti soggetti per spostare la povertà da problema individuale a problema condiviso all’interno di una rete territoriale.

Mantenere l’attenzione alta su questo tema e la continua riela-borazione comune delle progettualità da pensare e proporre alle persone diventa un antidoto fondamentale al rischio di assuefazio-ne, fatalismo e assenza di speranza nel futuro cui la società odierna ci vuole abituare a tutti i costi.

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Dall’avvio del progetto fondo famiglia e lavoro, il 17 aprile 2009, al 31 dicembre 2011, sono 1.615 le persone incontrate e ascoltate. In media le persone presentano almeno due problematiche conseguenti alla perdita del loro posto di lavoro che riguardano in particolare modo il pagamento delle spese di affitto o mutuo e delle utenze. L’82% delle persone che hanno richiesto aiuto al progetto Fondo famiglia e lavoro è stato sostenuto in particolar modo con l’erogazione di buoni alimentari e il pagamento di bollette. Dal 2010 è stata incentivata la parte di progetto relativa agli inserimenti lavorativi che si sino concretizzati per 45 persone mentre altre 49 famiglie hanno fruito dell’erogazione del Prestito della Speranza attivato dalla conferenza episcopale italiana.

Il coinvolgimento delle Acli nel servizio di volontariato nel Fondo: intervista ai volontari

“Questa è un’intervista a chi ha partecipato al fondo famiglia-lavoro, pensato dalla Caritas, con il coinvolgimento delle Acli e della Cisl. È una storia nata all’inizio del 2009 quindi, con l’aiuto di Pietro, Camillo e mia, cercheremo di raccontare questa esperienza.

Io posso dire che le Acli si sono lasciate coinvolgere dalla Cari-tas, per partecipare a questo progetto mettendosi in rete con altre Associazioni del territorio. Le Acli e la Cisl, hanno una vocazione al lavoro e la crisi economica già preoccupava e spingeva a fare qual-cosa per i lavoratori e le famiglie in crisi. Per la nostra Associazione i volontari che, durante il tempo si sono impegnati maggiormente, sono stati Pietro e Camillo. Hanno prestato la loro opera con pas-sione e costanza. Altri volontari vicini al mondo delle Acli hanno contribuito a sostenere il Fondo FL.”

Come sei stato coinvolto e perché, in questo progetto?

Camillo: “Sono stato coinvolto da Daniela e da Rosa Gelso-mino, che mi hanno chiesto se ero disponibile a fare ‘gli ascolti’ in Caritas. Infatti ho partecipato alle riunioni plenarie dei volontari e mi sono reso conto di come fosse complicato mettere assieme tutte le disposizioni per il funzionamento.

“Che scopo avrebbe dovuto avere questo fondo?”

Camillo: “Assistere le famiglie di lavoratori che si sono ritro-vati, improvvisamente, in difficoltà per riduzione o cessazione del

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rapporto di lavoro. In effetti, si è vista la difficoltà di formare tutte le persone affinché afferrassero il senso e lo scopo di quel che si faceva. È bello assistere la gente, è bello dare un aiuto, ma deve essere fatto con modalità stabilite, per non fare interventi inutili o favorire gente che non ne ha diritto.

“Sono stati stabiliti dei criteri. Tu come ti sei sentito coin-volto?”

Pietro: “Io sono stato coinvolto in itinere. Io sono entrato circa un mese e mezzo dopo, perché le necessità nel frattempo erano aumentate a dismisura, per cui si pensava di fare un intervento uno-due volte alla settimana e alla fine gli interventi sono stati fatti tutti i giorni. Ho fatto quest’attività di ‘ascolto’, come dice Camillo, anche per dare un aiuto. All’inizio c’erano dei criteri un po’ larghi, con il la-voro sul campo i criteri sono stati affinati, ad esempio aumentando il numero dei CUD da presentare, con il controllo sugli estratti conti bancari, postali, con la produzione della lettera di licenziamento e la dichiarazione di disponibilità al lavoro. Alla fine si è arrivato a un pacchetto di criteri più consoni, sicuramente più equi”.

“Come ti sei sentito coinvolto?”

Pietro: “Facevo il volontario in Acli per altre attività, non ero abituato a vedere da vicino queste situazioni di disagio e… non l’ho vissuta in maniera serenissima. L’impegno personale è maturato grazie allo scambio con altre persone delle Acli”.

Secondo voi, per quale motivo la nostra associazione è stata coinvolta nella gestione di questo fondo?”

Camillo: “Perché il lavoro, la promozione umana, fa parte dei principi e delle fedeltà indicate dallo statuto delle Acli. Quando un lavoratore è in difficoltà, le Acli devono intervenire, e sono sempre

intervenute. Sicuramente, oggi in maniera diversa rispetto al 1947, quando esisteva la classe operaia, la classe dei braccianti agricoli. Allora era più semplice rispetto a oggi. Penso che il coinvolgimen-to delle Acli fosse più che giustificato, perché proprio nell’anima delle Acli c’è questa voglia di andare incontro al fratello. Nel corso dell’opera, ti accorgi che magari qualcuno ti sfrutta, qualcuno non è genuino, però fa parte tutto del gioco”.

Pietro: “Bisogna dire che le Acli inizialmente, nell’attività del Fondo FL, facevano una prima attività di filtro, affinché le famiglie arrivassero al colloquio certe di ottenere un sostegno dal Fondo FL. Due signore volontarie, verificavano i documenti, controllavano la rispondenza dei criteri. Le famiglie residenti nel nostro comune ve-nivano indirizzate ai servizi sociali del Comune di Bergamo Partner di Caritas nel progetto”.

Abbiamo raccolto una sfida che fa un po’ parte del DNA delle Acli.

Come si è svolta l’attività di ascolto?

Io so che nell’attività di preparazione abbiamo prestato partico-lare attenzione a quelli che potevano essere i criteri, le dinamiche di costruzione dell’aiuto. Quindi, pensando che sarebbero arrivate persone da tutta la provincia, inviate dai centri di ascolto della Ca-ritas, dai patronati delle Acli, dalle sedi della Cisl, era necessario uniformare il più possibile la ‘burocrazia’ affinché non ci fossero disparità fra una zona e l’altra.

Cosa pensate che abbia impattato nello svolgimento dell’attività di questo progetto, nella preparazione dei vo-lontari o nell’organizzazione stessa del progetto?”

Camillo: “Io mi ricordo i primi incontri, dove veniva posto l’ac-cento sul fatto di essere accoglienti. Mi sono fatto punto fermo che

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la gente che si rivolge e arriva e mette la propria faccia per dimo-strare di avere bisogno, ha diritto ad avere una buona accoglienza, un ascolto, comprensione da parte nostra e la certezza che il pro-blema venga ascoltato; che abbiamo inteso cosa gli è successo. Durante l’ascolto, si chiedono le ragioni del mancato sostentamen-to e da lì sorgono varie questioni. Chi si è trovato coinvolto nella cri-si pura e semplice; chi si è trovato buttato fuori dall’azienda perché non era interessante; a volte il datore di lavoro ha colto l’occasione di espellere chi non era interessante perché non era all’altezza, non abbastanza professionale”.

Ma la preparazione dei volontari e l’organizzazione, se-condo te, sono state fatte in maniera accurata? O ci sono stati dei momenti in cui si è dovuta rivedere quest’organiz-zazione?

Pietro: “Sicuramente all’inizio l’organizzazione, come tutte le cose che partono, aveva i suoi problemi. Le attività erano un più difficili e il tempo che ci si impiegava era maggiore, c’era una minor conoscenza dei problemi generati dalla crisi. Addirittura inizialmen-te si comprendevano meno le persone che si presentavano. Con il tempo, le dinamiche si sono comprese meglio e si sono affinate le tecniche di ascolto, sia per quanto riguarda i criteri sia per le capa-cità di ascolto e le capacità di giudizio. Le persone che si sono suc-cedute, le dividerei in categorie: la categoria di chi ha bisogno e la categoria di chi, in effetti, è abituato a chiedere; inoltre la categoria dei professionisti dell’accattonaggio. C’è un’ultima categoria, che noi non vediamo, delle persone che si fanno problemi a chiedere e sono forse quelli che hanno effettivamente più bisogno”.

“Ma secondo voi, come ha risposto il movimento delle Acli alle necessità delle persone in crisi? Sapevano poterle inviare al fondo FL? O hanno ignorato questa piccola con-

creta possibilità di aiuto?”

Pietro: “Se parliamo di Acli, della nostra sede, c’era inizialmen-te una signora che faceva un primo filtro. Per quelli che sono i nostri patronati, non è mai stato rinviato praticamente nessuno”.

“La maggior parte delle persone che arriva in Caritas, arriva tramite i vari CPA; tantissimi dalla Cisl, molti meno dalla CGIL, dalle Acli arrivano in misura media. Anche perché è una questione di tempo. Alla Cisl c’è un operatore per almeno due giorni alla setti-mana. Dipende anche molto dalle forze che puoi mettere in cam-po”.

“Come avete vissuto quest’impegno? In maniera gratifi-cante? O in maniera pesante?”

Camillo: “L’ho ritenuto una nuova esperienza a cui non ero abi-tuato perché ho sempre fatto tutt’altro. La ritengo un’esperienza positiva”.

Pietro: “È sicuramente qualcosa che ti fa vedere un mondo di-verso da quello a cui siamo abituati, che sia la fabbrica o l’azienda. Non vedo un cliché per valutare queste situazioni, dove c’è disa-gio, dove c’è il problema di mangiare il giorno dopo, o di pagare l’affitto. È sicuramente un mondo diverso, che ti fa capire che ogni tanto è bene guardarsi anche un po’ indietro, e non guardare solo avanti. A volte le situazioni sono un po’ pesanti, specie negli ultimi tempi, dove stanno arrivando le persone sempre più al limite. È gente che arriva oggi perché già non arriva al domani. Ormai siamo arrivati all’orlo del baratro. Dopo un po’, non è che ti fai l’abitudine, ma almeno cerchi di vivere quelle situazioni in maniera un po’ più distaccata; altrimenti vivi malissimo”.

“Quest’esperienza che abbiamo fatto nel Fondo FL ci fa capire

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quanto la nostra comunità, la nostra associazione, il nostro quar-tiere, abbiano bisogno attenzioni diverse? Io credo di sì; credo che quest’esperienza vissuta da noi possa essere propagandata al fine di non lasciare le persone nel loro brodo, nella loro incoscienza e nella loro tranquillità; al fine di inquietare un po’ anche gli altri. Noi ci siamo lasciati inquietare da questi ascolti, da questa vicinanza e da questi incontri.

Ma pensiamo che le Acli, possano, debbano fare da cas-sa di risonanza per un’attenzione diversa ai bisogni della gente?”.

Camillo: “Non so se le Acli abbiano gli strumenti per fare tut-te queste cose. Sicuramente hanno voce, hanno la possibilità di farsi sentire. Il fatto di essere di Mozzo e di aver vissuta accanto a don Davide per 15 anni, può avermi aiutato ad avere gli occhi un po’ più aperti su queste necessità, su queste istanze, che arrivano dalla gente più disperata che c’è nel mondo. Non si arriva mai a esaurire i bisogni della gente, ma, se non fai, causi un danno alla società. Oltre al danno morale che fai a te stesso, fai un danno a questi poveri”.

Pietro: “Quando finiscono gli ammortizzatori sociali molte fa-miglie, anche italiane, rischiano la marginalità. Se la Comunità si rendesse conto di queste situazioni probabilmente saremmo meno individualisti, saremmo spinti a non pensare solo a noi stessi”.

“Penso anche al ruolo che ha avuto il Comune di Bergamo, in questo Fondo. Il Comune di Bergamo avrebbe dovuto essere l’espressione della vicinanza e partecipazione di questi sfortunati a nome della comunità tutta. Si è limitato ad erogare alcuni aiuti, che potevano essere l’esenzione delle rette scolastiche e servizi mense per i figli”.

Come si è evoluta la partecipazione del Comune di Ber-gamo al fondo?”

Pietro: “Sembrava che, per il 2012, il Comune di Bergamo non avesse più i fondi per andare avanti, invece sembra che alla fine sia in grado di continuare. Sia per la spesa, sia per pagare le bollette e le rette. Inizialmente, rispetto alla Caritas, era più rigido nei criteri; ora sono gli stessi”.

Camillo: “Io so che della provincia si occupa la Caritas; mentre la città è affidata ai servizi sociali, tramite qualche operatore”.

“Come abbiamo vissuto questo coinvolgimento perso-nale, il nostro sconcerto, le nostre aspettative? E, alla fine, come si è evoluta la nostra conoscenza rispetto alla mappa dei bisogni, a quella che è la mappa del territorio? Che ric-chezza personale ci ha portato? Che disponibilità ha creato in noi? E quali rigidità è invece venuta a costruire, durante quest’esperienza?”

Camillo: “Il contatto continuo con gente bisognosa ha una doppia possibilità di sbocco. O ti apre di più al bisogno, o ti fa diventare più sospettoso nei confronti di chi cerca di sfruttare la situazione. Stranamente, il contatto con la povertà è un arricchi-mento. Solo il fatto di capire quanto siamo fragili, quanto poco ba-sta per mettere a soqquadro l’andamento familiare, fa capire che c’è bisogno di welfare e di tutele; c’è bisogno della rete di amicizie poiché abbiamo visto come chi si è trovato in difficoltà,non avendo parentele o amicizie che potessero sostenerlo nei momenti di di-sagio è precipitato nel bisogno. Qualcuno, con un piccolo aiuto, si è risollevato; altri invece non avendo la possibilità di farsi prestare qualche euro da amici o parenti ha dovuto ricorrere a finanziarie non sempre trasparenti rischiando il passo verso il precipizio. Si è

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vista gente che sta perdendo la casa, e non avrà mai accesso ad un credito regolare a causa di queste finanziarie. Per conto mio, l’esperienza è positiva e il coinvolgimento è notevole”.

Pietro: “La gratuità con cui operi ti fa conoscere meglio le per-sone, ti dà una visione diversa da quella raccontata dai telegiornali; hai a che fare con la brava gente e, anche con chi bravo non lo è per nulla. Quello che accade in questi incontri è qualcosa che ti dà una sensazione di vicinanza alle persone. Egoisticamente, è la stessa vicinanza che vorresti se un giorno ne avessi bisogno: una persona che ti sa ascoltare. A volte succede che vengano rac-contati fatti che non c’entrano con i problemi di lavoro, racconti di vita, di figli, mogli ed è un’esperienza un po’ particolare; si impara la disponibilità ad ascoltare pur non essendo preti, o avvocati, o medici. A volte alcuni fatti lasciano un po’ perplesso perché, se per te sono di poco conto; per loro sono molto importanti e toccano la sfera del quotidiano. Sarebbe bene che tutti potessero avere la possibilità di fare questa esperienza di ascolto, anche solamente una volta, per capire come ci siano mondi così diversi a distanza di un isolato”.

Avete individuato una mappa di bisogni, una mappa an-che territoriale dove le richieste sono più concentrati? Op-pure una mappa di genere; sono più le donne, o sono più gli uomini, i vecchi o bambini?

Camillo: “Per quanto riguarda la geografia, i luoghi dove erano concentrate tante aziende ora in difficoltà sono anche i luoghi dove ci sono i maggiori bisogni. Per quanto riguarda le persone, abbia-mo preso coscienza delle differenti culture, delle differenti religioni. Ad esempio il fatto che un uomo abbia più mogli, figli distribuiti a strati, residenti un po’ in Italia e un po’ nei Paesi originari, ci ha messo in condizioni di difficoltà nel valutare: siamo un po’ prigionie-

ri del nostro ordinamento”.

Pietro: “Ci sono alcune parti della nostra provincia, ad esem-pio la Valle Imagna, dove non ci sono i CPA e c’è poca assistenza sociale, e queste sono zone più disagiate di altre. Per quel che riguarda le tipologie di persone legate al lavoro, nella Bassa vi sono tantissimi muratori e operai edili. Da parte nostra, si è migliorato l’approccio, acquisendo una professionalità che non avevamo. Da parte delle persone ascoltate ora stanno arrivando quelli più fragili, con situazioni familiari sempre più gravi. Cercano un aiuto, a pre-scindere da quello che gli puoi dare. Già il fatto di ascoltarli è qual-cosa; se gli dai qualcosa sono grati. La maggior parte comunque cerca un posto di lavoro”.

Camillo: “Ultimamente, specie nell’ultimo anno, si è notato un peggioramento della situazione abitativa. Chi ha cominciato ad avere difficoltà a pagare il mutuo ora si trova con molte rate arre-trate o ad averlo sospeso e, a rischio di esproprio. A volte sospi-riamo di sollievo chiedendoci come mai la banca non ha ancora reso operativo l’esproprio, forse la banca stessa non è attrezzata a gestire questa ondata di immobili, non sa cosa farne, visto che il mercato non tira un granché. Per quanto riguarda il problema degli affitti, si sono visti un sacco di sfratti, per morosità; si è vista gente con più contratti di affitto perché le persone cercano situazioni abi-tative meno care.

Pietro: “La nuova frontiera è condividere con più famiglie lo stesso alloggio per diminuire i costi”. Le famiglie cercano di stare nelle stessa casa, con annessi tutti i problemi di convivenza, di spazi e di servizi.

Ad alcuni siamo riusciti noi a fermare il mutuo, per un anno, ma è solamente spostato il problema. Non so se si riuscirà poi a supe-

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rarlo. Sono tutti interventi che sono stati fatti utilizzando volontari della Caritas. Il fondo FL in questi mesi ha subito una evoluzione, dapprima si erogavano solo aiuti alimentari ora si cerca di dare un servizio più completo, ad esempio si seguono i figli tramite il Caaf, per i problemi di dipendenze ci si affida la consultorio psicologico, nel caso di problematiche legali per sfratti o vertenze, o nell’am-bito di rapporti con le banche si attivano le reti che già sono a disposizione. E così accade anche per i rapporti con l’Inps, con il sindacato stesso; si è tentato di dare un servizio un po’ più ampio. Siamo partiti dall’indispensabile per stendere una rete che contrasti le fragilità”.

“E invece il fondo della speranza CEI?”

Pietro: “Il fondo CEI è un ulteriore strumento a disposizione delle famiglie bisognose a causa della crisi. La maggior parte di persone che arrivano al colloquio per ottenere il microcredito dal fondo CEI viene indirizzato dal fondo FL. Il Fondo eroga un prestito sotto forma di microcredito e dopo un anno inizia la restituzione. Ovviamente non viene dato a tutti, ma in funzione di una analisi della capacità reddituale successiva, dopo aver analizzata la situa-zione debitoria della famiglia, mutui o finanziamenti non pagati.

È un secondo step, un aiuto che viene dato a chi ha la prospet-tiva di riprendersi nel giro di un anno. Anche con interessi bassi, ma è pur sempre un prestito che va restituito. La Cei paga una quota dell’interesse, che è un massimo del 4% per l’utente. La Cei comunque garantisce il 75% della somma erogata alle banche, di modo che le banche siano più sicure”.

“E il ruolo delle Acli in questo fondo?”

Pietro: “Il ruolo delle Acli è fondamentalmente nella gestione operativa e nella selezione, poiché il rapporto è stato gestito dalla

CEI, con l’ABI e l’operatività della gestione affidata alle Acli/Caritas. Una quota di capitale viene messa a disposizione dai vescovi; in più un’altra quota viene da un mese di stipendi dei preti italiani. I 15 milioni messi dai vescovi, più circa 1 milione e 200 mila che vien dai preti, sono andati a Banca Prossima, che fa parte del gruppo Ban-ca Intesa. In Bergamo ci appoggiavamo inizialmente su Banca Po-polare di Bergamo, poi siam passati su Banca Intesa; inizialmente poche famiglie riuscivano ad accedere al prestito. In seguito, quan-do le garanzie della CEI sono passate dal 50% al 75% sul prestito erogatole maglie si sono allargate. Ora anche altre banche hanno chiesto di essere inserite, e ultimamente ci stiamo appoggiando un po’ anche sul Credito Bergamasco e sul Banco di Brescia, che fa ancora parte del gruppo UBI Banca. Si chiama prestito-speranza, anche se si fa chiamare fondo CEI. Si era tentati di utilizzare questo prestito come fosse un altro aiuto, un ammortizzatore sociale. In effetti, non è un ammortizzatore sociale, e non deve essere utiliz-zato per quello. Il criterio iniziale indispensabile avere una famiglia con almeno 3 figli, ora basta che il richiedente sia una famiglia. Potrebbe non avere neanche un figlio. L’importante è che ci sia il certificato di matrimonio e che uno non sia divorziato”.

“Quante persone, che sono passate dal fondo, sono riu-scite autonomamente a ritrovare un posto di lavoro? Abbia-mo visto un po’ di luce in fondo al tunnel?”

Camillo: “Io ho partecipato parzialmente alla seconda fase, dove si riprendevano gli assistiti del 2009 ed è stato confortante apprendere che su 50 casi esaminati, una ventina riusciva a risol-levarsi. Però, a fronte di una minoranza che aveva potuto riavviarsi, quelli che non hanno trovato lavoro sono sprofondati e sono diven-tati casi dove il semplice sostegno non bastava più. Il 30-40% dei casi non si ripresenta più, perché ha trovato un impiego, magari non ha più il peso di tutta una famiglia da mantenere perché l’ha

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rimandata al paese d’origine. Un conto è vivere a Bergamo e un conto è vivere in Marocco, o da qualche altra parte”.

“Alla fine del primo anno, più che fare dell’aiuto del fondo un aiu-to temporaneo,si era spesso riflettuto sulla necessità di usare delle risorse del fondo per far incrociare chi cerca e chi offre lavoro.

Come siamo arrivati a definire un progetto sul lavoro?”

Pietro: “Ci siamo arrivati perché è l’unico sbocco che abbia-mo, per risolvere effettivamente i problemi delle persone. Diamo un minimo di dignità a queste persone; non si sentono supportate e basta ma si sentono inserite in un contesto. Alcune persone, a cui si era trovato lavoro con il progetto “LA SOLIDARIETA? SI FA LAVORO”, dopo aver fatto il periodo di tempo determinato sono state confermate. Per quelle persone è stata un ottima possibilità( chances). Se si trova un lavoro, loro non hanno più bisogno di venire da noi; hanno risolto i loro problemi. Diciamo anche che tanti tra gli extracomunitari che vengono sono di un livello culturale molto molto basso; tante volte capita che ad essi si accompagni il figlio, o la figlia, perché non riescono a spiegarsi bene in italiano nonostante siano in Italia da 10-12 anni. Per quanto riguarda gli italiani, la povertà va valutata sotto molti aspetti. Moltissime di que-ste famiglie, anche italiane, hanno anche problemi di disabilità dei figli. Questo ti fa capire che c’è un malfunzionamento nel nostro sistema. L’handicap è un qualcosa che peggiora la qualità della vita della famiglia, ma per certi versi diventa fonte di reddito. Ades-so c’è l’accompagnamento di frequenza scolastica, che ti dà 270 euro per 10 mesi, e in più ti danno il buono-scuola; usano questi soldi, che sono una cosa minimale, per riuscire a sbarcare il lunario. E a volte è l’unico reddito”.

“Parlando con la cooperazione è emersa la necessità di fare un

lavoro di intermediazione, fra chi ha una bassa scolarità e fatica a rientrare nel mondo del lavoro. Perché chi ha un’alta scolarità ed una professionalità le difficoltà di reinserimento sono inferiori. Sa-rebbero necessari progetti di riqualificazione, accompagnamento, intermediazione, per poter aiutare queste persone che abbiamo intercettato, nel fondo famiglia-lavoro, a reinserirsi nel mondo del lavoro e non lasciarle cadere poi nella marginalità.

Voi cosa ne pensate di quest’idea che sta sorgendo nella nostra Associazione?

Pietro: “Anche la Caritas si è uniformata a questo pensiero e sembra che abbiam messo a disposizione un certo quantitativo di soldi per poter fare accedere queste persone al mondo del lavoro, con degli aiuti di vario genere. Il problema sono le relazioni, il pro-blema sono il rischio che non si vogliono accollare il proprietario e l’artigiano, il datore di lavoro in generale. Anche se proponi delle persone con degli aiuti, lui ti dice che non vuole assumere perché non se la sente. C’era una valanga di casi, in cui uno veniva as-sunto e subito gli veniva fatta firmare la lettera di dimissioni; ce ne siamo accorti noi, e ora anche i telegiornali ne parlano. Dobbiamo riuscire a trovare un lavoro, ma che cosa gli fai fare? Come glielo fai fare? Tu, come cooperativa nuova, come ente-Acli, ente-Caritas, ente-Cisl, fai da intermediazione, ma il problema è il lavoro che non c’è”.

“La mia esperienza mi porta a pensare che per queste perso-ne si usi lo stesso meccanismo con cui si inseriscono le persone svantaggiate, quelli che stanno nelle liste della Legge 68. Queste vengono accompagnate con un periodo di stage, in cui la coo-perativa che li prende in carico gli trasmette anche le modalità di lavoro. Viene poi inserito in azienda con il supporto di un tutor, un facilitatore.

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Pietro: “un ulteriore problema si presenta per diverse persone, mi riferisco più agli extra-comunitari non padroni della lingua italia-na che agli italiani, che non riescono ad avere il patentino richiesto oggi da alcuni lavori. Inoltre, per acquisire questo patentino, biso-gna iscriversi a corsi, e scuole, che sono a pagamento. Anche a questi bisogni concreti di formazione bisognerebbe costruire per-corsi utilizzando l’Enaip, che fa parte della nostra struttura”.

Camillo: “Le Acli sono il soggetto principale che può occuparsi di questo progetto, però ci vuole che l’economia si svegli e riparta un pochino. Non so se per le banche, le agenzie di rating, lo spre-ad, ma noi stiamo pagando, sarà per effetto della Cina, o della Ro-mania, dato che tutto partì 20 anni prima dalla Romania; se riparte l’economia, mi sembra giusto che le Acli si impegnino a far da volano per questi corsi, promuovendo queste persone facendole salire dal livello minimo di scolarizzazione a quello accettabile, tale da renderli in grado di sostenere un esame di lingua”.

Prestito della speranza

Per far fronte alla crisi economica che ha investito la comunità italiana la Cei ha istituito, d’intesa con l’ABI, un fondo di garanzia orientato alle necessità delle famiglie.

L’ufficio diocesano della Caritas è l’organismo locale di tutte le attività di valutazione e preparazione delle at-tività del prestito.

L’accesso al credito è possibile per quelle famiglie che, all’atto della presentazione, versano che abbiano perso o diminuito l’unica fonte di reddito per la perdita tempo-ranea o anche definitiva del lavoro.

La modalità di garanzia del fondo prevede che, a ciascuna famiglia richiedente, dopo averne accertato il possesso dei re-quisiti, possa essere erogato:

Il “credito sociale” alle famiglie di importo non superiore •a seimila euro, con restituzione a partire dal tredicesimo mese finalizzato alla realizzazione di un percorso per il reimpiego.

il prestito “microcredito d’impresa” per l’attivazione di at-•tività artigianale o imprenditoriale con importo non supe-riore a venticinquemila euro i tassi annui sono agevolati e il fondo risponde per un cospicua quota dei singoli finan-ziamenti.

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Collaborano con la Caritas diocesana per individuare e per effettuare una prima scrematura delle famiglie aventi la possi-bilità di accedere al fondo.

•  I centri di primo ascolto della Caritas

•  le ACLI (Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani)

• le Organizzazioni Sindacali

• le parrocchie

• gli assistenti sociali dei comuni e delle comunità montane

Progetto “la solidarietà si fa lavoro”

CHI PROMUOVE IL PROGETTO

Capofila del progetto è l’Associazione Diakonia Onlus, •braccio operativodella Caritas Diocesana Bergamasca

la Cooperazione delle Acli;•

Ambito Val Cavallina•

comuni di Albino, Nembro, Alzano Lombardo, Ranica, Villa •di Serio, Selvino

Azienda Speciale consortile “Isola Bergamasca - Bassa Val •San Martino” azienda territoriale per i servizi alla persona

Ambito territoriale 14 Romano di Lombardia•

Consorzio Ribes, Solco, Consorzio Mestieri•

IN COSA CONSISTE

Il progetto “La solidarietà si fa lavoro” vuole contribuire alla cre-azione di opportunità lavorative per le famiglie di alcuni distretti i cui componenti hanno perso il lavoro, a causa della “crisi” attivando una rete che possa favorire l’incontro fra le imprese ed i lavoratori. Inoltre vuole affrontare l’emergenza lavorativa mantenendo le ca-pacità produttive delle persone coinvolte e offrire loro la possibilità di contatti che possano portare a ulteriori opportunità di occupa-zione stabile.

COME SI ATTIVA

La Caritas offre incentivi (fino a e 8.500,00/annue *full time /

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1anno*), circa un terzo del costo effettivo del lavoratore) alle azien-de e/o attività produttive di qualsiasi genere che assumeranno per durata di un anno (anche frazionabile), le persone ritenute idonee a beneficiare del progetto.

In sintesi la procedura prevede: i consorzi della cooperazione sociale si attivano presso cooperative ed aziende alla ricerca di società interessate alla proposta, la ditta interessata al progetto segnalerà la potenziale disponibilità di posti, la Caritas proporrà le persone beneficiarie del progetto e in cerca di lavoro che corri-spondono ai requisiti dell’azienda, la ditta infine deciderà autono-mamente, in seguito a colloqui e/o periodo di prova, di procedere all’assunzione del lavoratore, e sottoscrivendo relativa convenzione con Caritas Diocesana beneficiare quindi del contributo.

SIMULAZIONE CONTRIBUTO

Assunzione • Part-time 12 mesi Contributo pari a € 4.250.00

Assunzione • Part-time 6 mesi Contributo pari a € 2.125.00

Assunzione • Full-time 12 mesi Contributo pari a € 8.500.00

Assunzione • Full-time 6 mesi Contributo pari a € 4.250.00

Riflessioni sull’esperienza del progetto “la solidarietà si fa lavoro”

Sergio Manzoni

La Chiesa in campo

È in questa povertà di risposta alla crisi da parte delle istituzioni e ai suoi effetti sul lavoro e sulle famiglie che nasce la proposta della Chiesa prima e di altre organizzazioni a ruota poi, di scendere in campo con uno sforzo straordinario capace di una risposta utile.

Non più solo carità ma azioni di sostegno e rilancio delle prero-gative soggettive, delle opportunità di lavoro; le Acli (con i volontari e la cooperazione) e la Cisl, diventano motori di questa iniziativa della Caritas Diocesana.

Tra gli obiettivi, oltre a cercare una soluzione per i non tutelati dagli ammortizzatori sociali, vi è quello di assistere coloro che la crisi la pagano più di altri: la perdita del lavoro ha ridotto la capacità di reggere il peso economico e sociale della famiglia.

Se la Cassa Integrazione Speciale in deroga ha fatto il pro-prio dovere e comunque ciò che ci si attendeva, dare una prote-zione a tutti coloro che non avevano altri ammortizzatori sociali a disposizione, il Progetto “la Solidarietà si fa lavoro” ha una finalità diversa.

Il progetto tenta di mettere in rete e di sollecitare vari soggetti presenti sul territorio, Provincia, Comunità Montane, Comuni, Terzo Settore, Associazioni sindacali e di volontariato, per riflettere ed

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agire, in questo scenario, al fine di recuperare ulteriori occasioni di lavoro e di attenzione lavorativa per persone particolarmente fra-gili.

La “Solidarietà si fa lavoro” è parte del Fondo Famiglia Lavoro

Questa parte del progetto è stata la più difficile da attuare; in un primo momento si è riusciti ad avviare al lavoro per un anno 24 per-sone grazie al fatto che le aree produttive cui il progetto di rivolgeva (terzo settore), sono entrate in crisi più tardi rispetto al settore indu-striale vero e proprio. L’obiettivo proposto è stato così raggiunto a 100%, anche grazie all’estrema flessibilità dei meccanismi operativi utilizzati e minori rigidità nella selezione delle persone.

Il secondo progetto, più vasto ed articolato, per ora si è arenato ad un limitato 30% di soddisfazione degli obiettivi previsti (non an-cora ultimati ma se va bene arriviamo al 50%); ciò non sminuisce certo lo sforzo prodotto: ogni posto di lavoro che si riesce ad offrire è un grande aiuto per le persone iscritte al fondo.

In totale sono state inserite ad oggi 49 persone, una goccia in un mare di necessità ma, sposando il pensiero della Caritas, il Segno Educativo oltre che economico del progetto, vuole essere di stimolo e di esempio per altri territori affinché si spendano in prima persona nella ricerca di soluzioni, in discontinuità con il passato, leggendo i segni del presente e sfidando il futuro con idee nuove.

Alcune difficoltà incontrate durante il percorso:

la crisi iniziale si è aggravata, chiudendo i pochi spazi ri-•masti ed ha visto peggiorare la situazione occupazionale anche nei settori dapprima esclusi dalla crisi;

il coinvolgimento degli attori individuati è stato poco pro-•

duttivo, sia per le cooperative sociali che per il privato. Se le cooperative hanno contribuito al 30% dell’obiettivo, il set-tore privato si è fermato ad uno scarno 2%.

i criteri di selezione, inizialmente stretti, non sono stati allar-•gati a sufficienza; una maggiore flessibilità avrebbe consen-tito qualche posto in più;

le risorse finanziarie a disposizione erano copiose ma, co-•munque, non si sono dimostrate determinanti per assegna-re un posto di lavoro in quanto l’esigenza era più legata alla flessibilità ella prestazione. Diversi imprenditori ci chiedeva-no: “fateci provare le persone per uno o due mesi prima di assumerli per un anno intero”; i vincoli del mercato incidono anche in percorsi lavorativi mediati dalla solidarietà.

Qualcosa è rimasto:

è nata comunque una consapevolezza• : nei percorsi di rein-serimento nel mercato del lavoro, più o meno protetti, è co-munque necessario muoversi con professionalità mettendo a disposizione risorse dedicate e competenti; ai disoccupati devono, se necessari, essere offerti percorsi di formazione a diversi livelli per facilitarne l’occupabilità.

una esperienza riutilizzabile: la reciproca conoscenza, la •fiducia, la condivisione degli obiettivi, sono tutti aspetti di un’esperienza che non deve essere dispersa; deve conti-nuare, nella nostra associazione, la volontà di cimentarsi ogni volta che le necessità ci sollecitano. Si può anche ipo-tizzare di valorizzare la rete costruita creando un contenitore ad hoc per favorire l’inserimento lavorativo.

La Crisi non è terminata ed il 2012 ci vedrà ancora in prima fila,

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va prodotto uno sforzo per concludere al meglio l’attuale progetto anche attraverso alcune modifiche dei meccanismi in atto;

Infine, un’idea che da tempo ci si presenta come spunto per il futuro: puntare non solo alla ricerca di nuovi posti di lavoro bensì diventare noi stessi “produttori di lavoro”; la rete delle cooperati-ve Acli, unitamente al resto dell’impresa sociale bergamasca, può cimentarsi in nuove attività produttive ad elevata occupabilità af-fiancandosi allo sforzo già in campo per le persone svantaggiate. La crisi ha infatti evidenziato un nuovo svantaggio derivante dalla perdita del lavoro prima ancora che delle capacità lavorative.

E il 2012?

Alcune considerazioni di Don Claudio Visconti – Direttore della Caritas Diocesana

All’inizio di questo 2012 come Caritas non pensavamo di dover parlare nuovamente della situazione di crisi economica e lavorativa in cui versano moltissime famiglie. Pensavamo di mantenere un progetto a sostegno di quelle persone che la crisi ha colpito in maniera più grave e profonda, credendo di avere a che fare con numeri esigui.

L’anno che sta cominciando sembra in realtà ancora più critico soprattutto dal punto di vista delle difficoltà che si stanno verifican-do a livello occupazionale: solo nella nostra provincia sono molte le aziende in grande difficoltà che hanno terminato la possibilità di usufruire della cassa integrazione e sono costrette a licenziare i dipendenti, molte che non riescono più ad avere commesse o rischiano la chiusura. E sono molte le persone che dopo aver perso il lavoro non riescono più a rientrare nel settore produttivo rimanen-do disoccupate.

Le Parrocchie e i centri di ascolto parrocchiali hanno incremen-tato le azioni di solidarietà e di prossimità attivando progetti sui ter-ritori e con la Caritas Diocesana. Tutti concordano sulla persistenza della situazione di crisi in cui versano ancora molte famiglie.

Avendo quindi valutato l’andamento delle richieste, la commis-sione diocesana ha deciso di mantenere attivo il fondo famiglia e

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lavoro anche per il 2012: l’obiettivo è sempre quello di cercare di raggiungere tra i lavoratori rimasti senza occupazione gli ultimi, quelli che non hanno nessuna rete di sostegno e che hanno biso-gno di non sentirsi soli in un momento di così grave difficoltà. Una considerazione particolare va alle famiglie che hanno figli minori in età scolare e che quindi hanno un aggravio in più per l’economia famigliare.

Ciò che nel corso del 2012 si vuole continuare a valorizzare sono i microcrediti erogati tramite il “prestito CEI” e gli inserimenti lavorativi effettuati nell’ambito del progetto “la solidarietà si fa lavo-ro” con la Fondazione Comunità Bergamasca/Fondazione Cariplo per andare oltre la logica assistenziale e dare la possibilità alle per-sone di camminare con le proprie gambe.

Conclusioni

Il progetto

Il Progetto Lavoro e solidarietà ha offerto a tutta l’associazione

l’opportunità di rilanciare e testimoniare la capacità di impegno e

di azione, soprattutto nelle situazioni cruciali a disposizione di chi

è coinvolto nella crisi economica a partire dai lavoratori e dalle loro

famiglie.

Questo progetto ha avuto inoltre il compito di promuovere e

coordinare la nostra presenza sul territorio provinciale al il fine di

“rigenerare comunità inclusive” soprattutto di chi sta ai margini

della società e di chi fatica a uscire dalla zona grigia della povertà e

della fragilità. Ha prodotto una nuova consapevolezza: la speranza

di rigenerare comunità creando altre reti, più proficue, più solide

con le associazioni presenti. Reti per contrastare gli effetti della cri-

si, pur nei limiti delle nostre forze, senza cadere nella rassegnazio-

ne o nel ribellismo.

Ci sfidiamo a pensare alla crisi come occasione per inne-

scare processi di cambiamento, partendo dalle nostre piccole

comunità e ricercando occasioni di solidarietà e inclusione.

Crediamo alla solidarietà come espressione della giusti-

zia prima ancora che della carità: invertendo la tendenza all’in-

dividualismo che ci ha accompagnato in questi anni, vittime del

modello liberista e individualista. Vorremmo ricostruire il paese ri-

partendo da piccoli progetti di economia civile per seminare una

diversa cultura sociale.

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Il lavoro a misura di cittadino, che coinvolge tutte le realtà sociali attribuendo, ad esempio, pari dignità al settore profit e quello non profit, che guarda alla gestione dei tempi come condizione essen-ziale per la qualità della vita. Mettere al centro non il capitale ma le persone, l’attività civica ed il volontariato, la cura della famiglia e della comunità.

Le Acli come Luogo educativo: Come evidenziato nelle inter-viste ai volontari,questo progetto ha raggiunto pienamente l’obietti-vo educativo “learning by doing” di imparare facendo. La riflessione e la condivisione personale su questa esperienza ha fatto crescere nuove consapevolezze.

Questo è stato il modo più concreto per le Acli provinciali di rimettere al centro il tema del lavoro, spingendoci a riflettere sia sul bene comune (il lavoro) che sulla testimonianza della speranza, nel-la certezza che tutto ciò si possa tradurre anche in iniziativa politica capace di stimolare l’intervento pubblico.

Le Acli si devono impegnare a dare voce e rappresentanza a chi rappresentanza non ha. Devono essere il megafono di chi è escluso dal mondo del lavoro, senza tutela e senza rappresentanza.

Bergamo 25 febbraio 2012

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