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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 INTRODUZIONE ................................................................................................................................................... 3

2 IL PERSONALE DEL SISTEMA SANITARIO ITALIANO............................................................................. 4

3 APPROCCI DI STUDIO ALL’ ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO .......................................................... 14 3.1 TAYLORISMO ...................................................................................................................................................... 14 3.2 SCUOLA DELLE HUMAN RELATIONS ................................................................................................................... 15 3.3 TEORIE MOTIVAZIONALI ...................................................................................................................................... 16

3.3.1 Le teorie del Contenuto ............................................................................................................................. 16 3.3.2 Le teorie del processo ............................................................................................................................... 19 3.3.3 Teoria delle scienze manageriali (H Simon) ............................................................................................. 21 3.3.4 Approccio Sistemico e Socio – Tecnico .................................................................................................... 22 3.3.5 Approccio istituzionalista ......................................................................................................................... 23

4 IL POTENZIALE ................................................................................................................................................. 25

5 COMPETENZE E PRESTAZIONI .................................................................................................................... 28 5.1 Un modello olistico della competenza professionale ..................................................................................... 30 5.2 I fattori individuali ......................................................................................................................................... 31

6 IL CONTESTO ORGANIZZATIVO .................................................................................................................. 33 6.1 Livelli gerarchici ........................................................................................................................................... 33 6.2 Ruoli .............................................................................................................................................................. 33 6.3 Il ciclo di vita dell’organizzazione ................................................................................................................. 33 6.4 Cultura organizzativa .................................................................................................................................... 34

BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................................................................ 35

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1 Introduzione Le Risorse Umane rappresentano una componente fondamentale all’interno delle aziende

sanitarie pubbliche o private per la rilevanza quantitativa e qualitativa del fattore “personale” e per

la natura relazionale e personalizzata che dovrebbe contraddistinguere i servizi sanitari. Nelle

aziende sanitarie il patrimonio che consente il corretto svolgimento dei processi lavorativi è

costituito in gran parte dalle competenze (insieme di conoscenze, capacità ed esperienze), dagli

orientamenti e dai comportamenti delle persone che ci lavorano. E’ pertanto molto importante

adottare dei modelli di gestione impostati per competenze vista la rilevanza che queste hanno sul

conseguimento degli obiettivi e della mission aziendale. Le criticità che quotidianamente le Aziende

Sanitarie si trovano ad affrontare sono spesso collegate al bisogno continuo di miglioramento della

qualità, dell’efficienza, della riorganizzazione e, in tale contesto le motivazioni, la disponibilità, le

conoscenze e le competenze delle risorse umane rivestono un ruolo decisivo.

La crescente qualificazione professionale, all’interno del sistema salute italiano, comporta

anche un conseguente aumento dell’autonomia esercitata dagli operatori nei percorsi di assistenza.

Ogni azienda deve ovviamente gestire tale autonomia attraverso la ricerca degli strumenti e delle

condizioni che portino ad un equilibrio possibile, quanto indispensabile, che è possibile realizzare

solo attraverso un lavoro non più organizzato sullo svolgimento di mansioni ma attraverso processi

che abbiano come obiettivi outcomes di salute e all’interno dei quali i singoli professionisti

concorrano al loro raggiungimento.

Ogni Organizzazione Sanitaria dovrebbe dunque sviluppare una strategia aziendale che

superi la classica impostazione amministrativa verso un modello di sviluppo organizzativo centrato

sulle competenze e sulla crescita personale e professionale dei singoli individui. Il “patrimonio”

risorse umane viene considerato in linea di massima come una “risorsa critica” rispetto ai costi (in

quanto rappresentano una quota rilevante del bilancio delle aziende) ed alla gestione e troppo spesso

viene considerato come una “risorsa anonima” e non come un potenziale qualitativo che si ha a

disposizione e di cui vanno garantiti la crescita e lo sviluppo in linea con gli obiettivi programmati.

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2 Il personale del sistema sanitario italiano La definizione che la teoria aziendale dà del personale è “l’insieme unitario delle persone

che, con il proprio lavoro, partecipano allo svolgimento dell’attività aziendale”. Il personale del

Servizio Sanitario Nazionale è quindi costituito dal personale dipendente che opera nelle Aziende

Sanitarie Locali (strutture territoriali ed ospedali), nelle Aziende Ospedaliere e nelle Aziende

Ospedaliere Universitarie. Ad esso si aggiunge il personale dipendente dell’Università ma che opera

presso le Aziende Sanitarie, il personale delle strutture equiparate al pubblico, degli Istituti di

ricovero e cura a carattere scientifico, degli Ospedali classificati, degli Istituti qualificati presidi

delle USL, degli Enti di ricerca. Concorrono all’erogazione delle prestazioni sanitarie anche il

personale delle Case di cura convenzionate, delle strutture territoriali, e, non ultimi i medici di

continuità assistenziale, i medici di medicina generale e pediatri di libera scelta.

Il Ministero della Salute ha condotto uno studio nel 2010 attraverso le fonti informative

disponibili, dal quale risultano in servizio 237.388 medici, 334.918 unità di personale

infermieristico, 48.884 unità di personale con funzioni riabilitative, 45.364 unità di personale tecnico

sanitario e 11.103 unità di personale con funzioni di vigilanza ed ispezione che operano nei vari

livelli di assistenza: medicina primaria, riabilitazione, settore ospedaliero, ambulatori.

Nel corso del 2010 sono cessati dal servizio 19.202 unità di personale di cui il 57% è

costituito da personale collocato a riposo per limiti di età o con diritto a pensione. Il personale

risulta avere un’anzianità media di servizio par a 17,1 anni; si passa da 8,9 anni per il ruolo

professionale a 15,7 per i medici e 17 anni per il personale infermieristico. L’età media del

personale è pari a 47,5 anni, con valori inferiori al valore medio per il personale infermieristico

(44,6 anni), tecnico sanitario (46,2 anni) e con funzioni riabilitative (46,8 anni).

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Distribuzione Medici del SSN (ASL, AO, AOU, IRCCS PUBBLICI, ESTAV TOSCANA, ISPO, ARES LAZIO, ARES

LOMBARDIA) per Regione Elaborazioni su dati del conto annuale Tab.1 anno 2010 (31/12/2010) ; dati Istat Popolazione residente

al 1° gennaio 2011

Media Italia

1,83 per 1.000 abitanti

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Distribuzione Medici del settore pubblico ed equiparato (ASL, AO, AOU, IRCCS pubblici e privati, ESTAV TOSCANA,

ISPO, ARES LAZIO, ARES LOMBARDIA, Ospedali classificati, Policlinici privati, Enti di ricerca, Istituto qualificato presidio Usl)

per Regione Elaborazioni su dati del conto annuale e mod. HSP16- anno 2010 (31/12/2010); dati Istat Popolazione residente al 1°

gennaio 2011

Media Italia

1,95 per 1.000 abitanti

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Distribuzione personale infermieristico del SSN (ASL, AO, AOU, IRCCS PUBBLICI, ESTAV TOSCANA, ISPO, ARES

LAZIO, ARES LOMBARDIA) per Regione

Elaborazioni su dati del conto annuale – Tab.1A - anno 2010 (31/12/2010); dati Istat Popolazione residente al 1° gennaio

2011

Media Italia 4,39 per 1.000 abitanti

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Distribuzione personale area infermieristica del settore pubblico ed equiparato (ASL, AO, AOU, IRCCS pubblici e privati,

ESTAV TOSCANA, ISPO, ARES LAZIO, ARES LOMBARDIA, Ospedali classificati, Policlinici privati , Enti di ricerca, Istituto

qualificato presidio Usl) per Regione Elaborazioni su dati del conto annuale e mod. HSP16- anno 2010 (31/12/2010); dati Istat

Popolazione residente al 1° gennaio 2011

Media Italia 4,69 per 1.000 abitanti

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Distribuzione del Personale area riabilitazione del SSN (ASL, AO, AOU, IRCCS PUBBLICI, ESTAV TOSCANA, ISPO,

ARES LAZIO, ARES LOMBARDIA) per Regione Elaborazioni su dati del conto annuale – Tab.1A anno 2010 (31/12/2010) ; dati Istat

Popolazione residente al 1° gennaio 2011

Media Italia 0,32 per 1.000 abitanti

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Distribuzione del Personale area riabilitazione settore pubblico ed equiparato (ASL, AO, AOU, IRCCS pubblici e privati,

ESTAV TOSCANA, ISPO, ARES LAZIO, ARES LOMBARDIA, Ospedali classificati, Policlinici privati , Enti di ricerca, Istituto

qualificato presidio Usl) per Regione

Elaborazioni su dati del conto annuale e mod. HSP16- anno 2010 (31/12/2010); dati Istat Popolazione residente al 1°

gennaio 2011

Media Italia 0,35 per 1.000 abitanti

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Distribuzione del Personale area tecnico sanitaria del SSN (ASL AO, AOU, IRCCS PUBBLICI, ESTAV TOSCANA, ISPO,

ARES LAZIO, ARES LOMBARDIA) per Regione Elaborazioni su dati del conto annuale – Tab.1A anno 2010 (31/12/2010) ; dati Istat

Popolazione residente al 1° gennaio2011

Media Italia 0,58 per 1.000 abitanti

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Distribuzione del personale tecnico-sanitario settore pubblico ed equiparato (ASL, AO, AOU, IRCCS pubblici e privati,

ESTAV TOSCANA, ISPO, ARES LAZIO, ARES LOMBARDIA, Ospedali classificati, Policlinici privati, Enti di ricerca, Istituto

qualificato presidio Usl) per Regione Elaborazioni su dati del conto annuale e mod. HSP16- anno 2010 (31/12/2010); dati Istat

Popolazione residente al 1° gennaio 2011

Media Italia 0,63 per 1.000 abitanti

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Distribuzione del Personale area della prevenzione SSN /settore pubblico ed equiparato per Regione Elaborazioni su dati

del conto annuale Tab.1A anno 2010 (31/12/2010) ; dati Istat Popolazione residente al 1° gennaio 2011

Media Italia 0,18 per 1.000 abitanti

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3 Approcci di studio all’ organizzazione del lavoro 3.1 Taylorismo

Il primo approccio alla gestione delle risorse umane e all’organizzazione del lavoro fu della

scuola americana definita “classica” nata con Taylor con l’obiettivo di risolvere i problemi

manageriali e gestionali della grande industria americana. L’organizzazione scientifica del lavoro si

sviluppò, con Taylor, nel particolare contesto socio-economico del primo 1900 caratterizzato dagli

effetti della seconda rivoluzione industriale con l’avvento del sistema fabbrica (applicazione

massiccia del vapore, elettricità, combustibili, nuovi sistemi e tecniche di produzione, sistemi di

trasporto potenziati,…), dall’apertura dei mercati ai beni di consumo di massa, dalle grandi ondate

migratorie e quindi dalla disponibilità di manodopera non qualificata e basso costo e dall’aumento

dei conflitti tra datori di lavoro ed operai (gestione arbitraria del lavoro da parte dei capi-reparto,

assunzioni e licenziamenti arbitrari). La soluzione “scientifica” realizzata da Taylor si fondò su una

prospettiva esclusivamente economicista con l’obiettivo di garantire la massima efficienza

all’impresa, massimi profitti per l’imprenditore e massimo benessere per i lavoratori. .

Il modello Tayloriano pose alla sua base lo studio scientifico dei metodi di lavorazione e si

proponeva di organizzare il modello lavorativo secondo determinate fasi: analizzare le

caratteristiche della mansione da svolgere, creare il prototipo del lavoratore adatto ad una precisa

mansione, selezionare il lavoratore ideale, al fine di formarlo e introdurlo al meglio nel ciclo

produttivo. Secondo il modello di Taylor non era richiesta una specifica conoscenza né competenza

del lavoratore perché questo era chiamato ad interagire con una macchina con funzioni prestabilite.

Tutto era stabilito prima della fase produttiva così che i lavoratori non dovevano pensare a cosa

dovevano fare ma semplicemente eseguire con la macchina il compito che gli era stato assegnato,

nei tempi che la macchina stessa gli dettava. L’analisi scientifica del lavoro, messa a punto da

Taylor, mirava all’eliminazione dei capireparto fino a quel momento fulcro della gestione delle fasi

produttive. Con Taylor scomparvero persone che ricoprivano mansioni decisionali, nessuno doveva

pensare ma semplicemente agire e svolgere quello che gli era stato precedentemente assegnato.

Stabilire i tempi e i metodi, accertare i costi e la qualità, gestire la manodopera non era più

responsabilità di nessuno perché tutto nei minimi dettagli era studiato e deciso in precedenza. La

specializzazione verticale ed orizzontale dei lavoratori era al massimo. La visione Tayloriana

imponeva un unico metodo applicabile per ogni caso, One Best Way: stabilito un principio

lavorativo questo era unico ed indiscutibile. Dunque attraverso la misurazione dei tempi di lavoro,

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la scomposizione in microattività, la riduzione al minimo del lavoro di squadra, la razionalizzazione

della figura del capo, la selezione e l’addestramento specifico e l’aumento delle paghe, tutto veniva

studiato e definito in anticipo e il personale doveva solo eseguire i propri compiti, già stabiliti senza

alcuna possibilità di assumere iniziative proprie. Naturalmente si assistette alla riduzione al minimo

della variabile individuale, alla spersonalizzazione delle attività e all’imposizione di comportamenti

standardizzati e quindi facilmente prevedibili. Le conseguenze dell’organizzazione scientifica del

lavoro furono la progressiva dequalificazione degli operai di mestiere, la parziale qualificazione

della manovalanza semplice, un sistema di paghe differenziate e personalizzate, la divisione fra

programmazione ed esecuzione dei compiti e, non ultima in ordine di importanza, una scarsa

attenzione agli aspetti psicologici e sociali dei lavoratori.

Nel tempo molte critiche furono mosse all’organizzazione scientifica del lavoro e al suo

ideatore, anche se il suo modello è ancora esistente al giorno d’oggi, quali un’eccessiva rigidità del

sistema produttivo, la lentezza nei processi decisionali a fronte di turbolenza e variabilità, gli elevati

costi di coordinamento e controllo causati dalla verticalizzazione delle strutture organizzative e

dalla frammentazione dei processi, la scarsa capacità di far fronte alle eccezioni dovuta alla

sostanziale irresponsabilità delle persone, la caduta dei livelli di qualità e produttività correlata sia a

fenomeni di bassa motivazione sia a elevata conflittualità sociale, l’ insufficiente orientamento al

mercato e al cliente conseguente alla cultura dell’adempimento e alla insufficiente comprensione

del processo da parte dei lavoratori.

3.2 Scuola delle Human Relations Con la trasformazione del contesto socio-economico statunitense (crisi economica degli anni

’20-’30, avvento di riforme economiche, politiche e sociali, legalizzazione delle contrattazioni

sindacali e nuove ricerche sulla scienza del comportamento umano) si sviluppò la Scuola delle

Human Relations grazie al lavoro dello psicologo Elton Mayo. Venne rivalutata la dimensione

sociale del lavoro e rifiutato il modello dell’“uomo economico”. I risultati degli esperimenti di Mayo

si basavano sull’incidenza dei fattori sociali (clima, relazioni, autonomia, protagonismo, formazione,

coinvolgimento decisionale, partecipazione per raggiungere risultati economici e di produttività). I

meriti riconosciuti alla Scuola delle Relazioni Umane furono: il riconoscimento dell’uomo come

essere sociale e relazionale, il riscoperto interesse per aspetti della vita non lavorativa (primi circoli

aziendali, attenzione alla famiglia, assistenti sociali in fabbrica), l’attenzione al benessere

individuale. In poche parole la riscoperta di una dimensione più intimamente umana e difficilmente

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accessibile. I limiti della Scuola delle Relazioni Umane si riconoscono nell’idea ingenua

dell’armonia fra classi sociali e ruoli lavorativi (proprietari e lavoratori), nell’eccessivo sforzo

conciliativo mentre il fine ultimo dell’elite dirigenziale rimaneva il garantirsi la collaborazione dei

lavoratori per perseguire gli obiettivi aziendali. In definitiva non ci fu un vero e proprio tentativo di

modificare l’ordine strutturale delle cose, ma di far stare meglio le persone all’interno di un

determinato sistema produttivo.

3.3 Teorie motivazionali Si svilupparono, soprattutto negli USA, negli anni ’60 e ’70 in un contesto che vedeva

praticamente immutata la situazione rispetto al Taylorismo visto che l’effetto della Scuola delle

relazioni Umane sull’organizzazione del lavoro non era stato dirompente e non aveva capovolto

l’impostazione secondo cui le esigenze dell’organizzazione erano la variabile indipendente a cui il

comportamento umano andava subordinato.

3.3.1 Le teorie del Contenuto Rivolgono l’attenzione ai fattori che in una persona generano determinati comportamenti. Si

osservano gli specifici bisogni che motivano le persone.

La gerarchia dei bisogni: La piramide di Maslow rappresenta una gerarchia piramidale di

motivazioni, dalle più basse alle più alte. Per Maslow bisogni e motivazioni hanno lo stesso

significato e si sviluppano in gradi, essi sono: Fisiologia, Sicurezza, Appartenenza, Autostima,

Autorealizzazione. Il passaggio ad uno stadio superiore può avvenire solo dopo la soddisfazione dei

bisogni di grado inferiore. C’è da ricordare però che essendo gli individui unici e irripetibili tale

gerarchia può essere modificata.

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La teoria Erg di Alderfer: Clayton Alderfer ha elaborato un modello motivazionale basato su

tre livelli e denominato ERG: Existence (esistenza), Relatedness (Relazione), Growth (Crescita). Il

principio di Alderfer è basato su un meccanismo di regressione, che porta un individuo che non

riesce a soddisfare un bisogno, ad esempio l’autorealizzazione, a regredire cercando di soddisfare

maggiormente il bisogno immediatamente precedente e di cui era già in possesso, convincendosi e

accettando che quest’ultimo possa essere sufficiente e che il resto possa essere considerato

superfluo.

La teoria di McClelland: McClelland enfatizza i bisogni socialmente acquisibili

identificando tre bisogni fondamentali: Successo (achievement), Potere (power), Affiliazione

(affiliation), che operano contestualmente in ogni persona, anche se uno dei tre resta sempre

particolarmente rilevante rispetto agli altri. Il bisogno di successo condiziona le performance

individuali; è caratterizzato da una forte spinta verso la riuscita, l’assunzione di responsabilità

personali, l’accettazione di moderati livelli di rischio, la preferenza per il lavoro individuale ed il

bisogno di feedback e valutazione delle prestazioni. Il bisogno di affiliazione sollecita

comportamenti di accettazione e amicizia e di cooperazione, contribuisce a sviluppare il senso di

appartenenza. Le persone in cui emerge questo bisogno preferiscono il lavoro di gruppo e mostrano

un moderato interesse ai riconoscimenti professionali, sono attente al processo di lavoro e poco al

risultato. Il bisogno di potere si manifesta con esigenze di controllo ed influenza, facilmente stimola

la competizione, ma costituisce spesso uno strumento di evoluzione dell’organizzazione. La

rilevanza di uno dei bisogni spinge la persona, da un lato, ad attuare comportamenti adeguati al

soddisfacimento del suo bisogno e, parallelamente, ad attribuire valore a situazioni che, anche

indirettamente, contribuiscono alla soddisfazione del medesimo bisogno.

La teoria di Herzberg: Herzberg si ricollega indirettamente a Maslow nel tentativo di

individuare i legami esistenti tra lavoro e motivazione al lavoro. Sottolinea, in particolare,

l’importanza che l’individuo attribuisce allo sviluppo delle proprie potenzialità. L’organizzazione

orientata allo sviluppo delle persone si pone come obiettivo anche il miglioramento di quegli

elementi che più contribuiscono alla motivazione individuale. Dagli studi condotti da Herzberg e

colleghi nel 1959, volti ad indagare il modo in cui si sviluppano i bisogni di stima e di

autorealizzazione, si evidenzia che vi sono due tipi di fattori che incidono sull’insoddisfazione e

sulla soddisfazione del lavoratore. Innanzitutto i fattori detti igienici - retribuzione, condizioni di

lavoro, relazioni interpersonali, ecc. che non sono direttamente motivanti, ma che, se restano

insoddisfatti, inducono malcontento e demotivazione. Rientrano in questo gruppo la supervisione

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tecnica da parte dei superiori, le politiche e l'amministrazione dell'azienda, le condizioni di lavoro

(orario, riposo settimanale, stipendio), le relazioni con i superiori, i pari ed i subordinati, lo status, la

sicurezza del lavoro e gli effetti sulla propria vita personale. I fattori igienici sono in grado di

ridurre l’insoddisfazione, ma per ottenere una motivazione più durevole bisogna agire su quelli che

Herzberg chiama “fattori motivanti” - opportunità di carriera, responsabilità, riconoscimento,

crescita professionale, contenuto del lavoro, soddisfazione, ecc. – che contribuiscono più

direttamene alla motivazione lavorativa e soddisfano bisogni di livello superiore. Quando le persone

si pongono obiettivi di motivazione, attivano processi di effettiva crescita psicologica volta alla

ricerca di realizzazione, riconoscimento personale e miglioramento nella gestione di responsabilità.

Diversamente, quando gli individui sono orientati a conseguire obiettivi di igiene, cercheranno di

concretizzare buoni livelli retributivi, buone condizioni fisiche di lavoro e coerenti relazioni

interpersonali. E’ evidente che permane il problema di individuare correttamente da un lato i

bisogni specifici delle persone e, dall’altro, di attuare le condizioni organizzative che favoriscono il

soddisfacimento di tali bisogni. Condizioni organizzative ideali per questo obiettivo, secondo

Herzberg, sono:

1. Continuo aggiornamento e allargamento delle conoscenze legate ai contenuti di lavoro di

ciascuno;

2. Accettazione degli aspetti creativi e innovativi dei diversi comportamenti legati al

raggiungimento degli obiettivi;

3. Allargamento dell’area di responsabilità individuale e aumento di consapevolezza dei

contenuti discrezionali di tale responsabilità;

4. Aumento della capacità di prendere, di assumere rischi, di programmare attività

coerentemente con quanto richiesto dalla mansione;

5. Creazione di un clima atto a conseguire una reale crescita psicologica al di là dei legami

che ciascuno ha con i gruppi di lavoro e con l’organizzazione nel suo complesso.

Teoria X e teoria Y di McGregor Douglas

McGregor rielaborò la teoria di Maslow applicandola al management. Egli rilevò che il

comportamento del dirigente si modifica in relazione alla concezione che egli ha dell’uomo,

distinguendolo in due modalità alle quali diede il nome di teoria X e di Teoria Y. Nel primo caso il

dirigente, ritenendo che l’uomo non ami lavorare ed è di natura indolente, pigro, portato a fare il

meno possibile, esercita una leadership caratterizzata dall’autorità, dalla supervisione diretta, dal

ricorso a punizioni, perché solo in questo modo possono essere raggiunti gli obiettivi organizzativi.

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Secondo la teoria Y, invece, le persone amano lavorare in quanto la soddisfazione sul lavoro

è un valore importante e dunque sono in grado di autogestirsi ed auto dirigersi, sono responsabili ed

attivi. In questo caso il dirigente ricorre alla delega, esercita una supervisione generale e ricorre ad

incentivi positivi, elogi e riconoscimenti. Secondo McGregor il fatto che il lavoratore si comporti

secondo l’una o l’altra teoria, dipende dalla sua possibilità di soddisfare i propri bisogni.

Teoria dell’energia psicologica di Argyris

Un’ulteriore elaborazione fu prodotta da Chris Argyris che definì la coesistenza, all’interno

del lavoro, di bisogni personali dei lavoratori e di bisogni dell’organizzazione e che gli stessi

lavoratori danno preminenza al soddisfacimento dei propri bisogni. Nelle situazioni in cui i due

ordini di bisogni non coincidono, o sono addirittura in contrasto, si creano situazioni di conflitto, di

tensione, di insoddisfazione. Per questo motivo, secondo Argyris occorre che l’organizzazione

sostenga la possibilità per i lavoratori di soddisfare i propri bisogni di ordine superiore e che sia

realizzata una direzione ispirata alla teoria Y di Mc Gregor poiché questo è l’unico modo per

promuovere la crescita professionale ed umana. Gravi sarebbero, infatti, le conseguenze nel caso in

cui in presenza di lavoratori con personalità mature, fosse realizzata una direzione di carattere

prescrittivo, autoritario, rigido e punitivo, in quanto questa porterebbe alla passività, alla

dipendenza, alla frustrazione ed alla insoddisfazione professionale. Per questo motivo occorre

coniugare lo stile direttivo alle caratteristiche del lavoratore valorizzandone i talenti, gli interessi e

le abilità: solo così la crescita della persona si coniuga ad un aumento della produttività del

lavoratore e anche l’organizzazione ne trae beneficio.

3.3.2 Le teorie del processo Forniscono una descrizione di come i comportamenti possono essere generati e sostenuti.

La Teoria del Goal SETTING. Si basa su una semplice premessa: la prestazione è causata

dalla volontà di fornire la prestazione eseguendo un lavoro. L’intenzione di agire (obiettivo),

diviene quindi un fattore determinante dell’azione. Gli obiettivi sono tutto ciò che si cerca di

realizzare o che si ha intenzione di realizzare e, secondo questa teoria, le persone realizzano ciò che

stanno cercando di realizzare. Le conseguenze sono chiare. Prima di tutto chi ha obiettivi ambiziosi

avrà una prestazione migliore di chi ha obiettivi modesti; secondo chi ha un’idea precisa di ciò che

vuole fare avrà una prestazione migliore di chi ha obiettivi poco chiari.

Per motivare una persona è dunque possibile anche non prestare attenzione direttamente ai

suoi specifici desideri ma motivarla tramite la calibratura dei suoi obiettivi. (setting: Specifici,

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Misurabili, Raggiungibili, Rilevanti, Associati ad un intervallo temporale). E’ possibile motivare il

personale fornendo degli obiettivi stimolanti, che diano la motivazione di mettersi in gioco e di

ottenere dei traguardi. Se l’obiettivo è troppo complicato da raggiungere si può ottenere l’effetto

contrario. Un obiettivo inaccessibile può diventare motivo di demotivazione.

La teoria dei rinforzi: L’incentivazione a comportamenti positivi e ad atteggiamenti

propositivi è attuabile con dei rinforzi rappresentati da premi per il comportamento, mentre la

disincentivazione nel comportarsi in maniera scorretta si attua con punizioni o deterrenti.

La teoria dell’aspettativa valenza:

Secondo Vroom la motivazione è correlata a due fattori: la valenza, che è riferita alla

importanza che la persona dà al conseguimento di un obiettivo, e la aspettativa, che è costituita dalle

probabilità riconosciuta dalla persona di riuscire a conseguirlo. La motivazione deriva quindi da

questa formula: Motivazione = Valenza X Aspettativa

La valenza può essere positiva (quando si vuole qualcosa) o negativa (quando non si vuole

qualcosa), mentre la aspettativa può avere solo valore positivo, infatti se la persona non riconosce

alcuna probabilità di conseguire l'obiettivo la aspettativa è pari a 0.

Conseguentemente a questo principio deriva che per favorire la motivazione del personale

occorre definire con chiarezza il rapporto tra il lavoro e il conseguimento dell'obiettivo ed inoltre, il

comportamento considerato positivo, ossia la performance di buona qualità, dovrebbe essere

soggetta ad un premio.

La teoria della giustizia organizzativa (Greenberg, 1987): Una buona ed equa giustizia

organizzativa permettere all’individuo di fidarsi del sistema. Se un dipendente è trattato in maniera

diversa o impari rispetto ad altri si può fortemente demotivare. Ciascun dipendente compara i propri

risultati e le proprie ricompense con quelli ottenuti dagli altri pari all’interno dell’organizzazione, Se tale comparazione è bilanciata il dipendente percepirà un senso di equità se la comparazione

segnala un disequilibrio o sbilanciamento a proprio favore o sfavore ciò stimolerà un disagio da

diseguaglianza organizzativa. Il disagio potrà essere alleviato solo se sarà ristabilito equilibrio

La valutazione della giustizia o equità organizzativa è il risultato di un processo soggettivo

fondato su un calcolo cognitivo.

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La scuola motivazionale ha portato ad interventi sul job:

- job rotation = rotazione delle mansioni finalizzata ad aumentare la polivalenza dei

lavoratori, accrescendo la conoscenza di diverse attività presenti nel processo produttivo

- job enlargement = allargamento dei compiti che modifica l’ampiezza delle singole

mansioni, con lavorazioni di qualche minuto contenente più operazioni elementari

- job enrichment = arricchimento delle mansioni attraverso l’attribuzione di compiti di

programmazione e auto-controllo

- gruppi semiautonomi di lavoro = nucleo di lavoratori che, all’interno di una propria sfera

di autonomia, decidono su alcune modalità di pianificazione, distribuzione del lavoro e

autocontrollo.

3.3.3 Teoria delle scienze manageriali (H Simon) L’idea iniziale di H. Simon (1958) è che la teoria amministrativa deve stabilire i confini tra

gli aspetti razionali e non razionali del comportamento umano sociale.

Nell’analizzare il comportamento razionale dell’uomo amministrativo nella realtà operativa

egli sostituì la scelta ottimale, che necessita di scegliere tra alternative perfettamente note non

disponibili nella realtà, con la scelta soddisfacente (razionalità limitata).

Simon definisce un modello decisionale in cui la valutazione delle alternative avviene

secondo processi sequenziali, sviluppando programmi di azione che possono essere impiegati in

situazioni ricorrenti, impiegandoli per gamme ristrette di situazioni e di conseguenze, ed infine

facendo in modo che ognuno di essi possa essere eseguito in modo semi-indipendente da altri.

L’uomo che dirige è un uomo che deve continuamente decidere secondo tre stadi:

• Intelligenza: scoprire quando prendere una decisione

• Progettazione: trovare linee di azione alternative

• Scelta: selezionare la linea più appropriata tra quelle disponibili.

Per Simon, ciò che influenza la condotta e consente ad un’organizzazione il raggiungimento

degli obiettivi, assicurando un bilanciamento dei contributi delle singole risorse umane, è la

capacità di trasferire adeguate conoscenze ai soggetti decisori.

Le peculiarità del pensiero simoniano possono essere sintetizzate nei seguenti tre punti:

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1. lo studio del comportamento umano all’interno delle organizzazioni può essere avviato

partendo dalle decisioni dei singoli individui e non, come nello scientific management, dall’analisi

dell’organizzazione intesa come una struttura che statuisce ruoli;

2. l’uomo presenta un’intelligenza limitata per comprendere appieno la complessità della

realtà;

3. il funzionamento dell’organizzazione dipende dall’equilibrio tra incentivi e contributi.

Tale rappresentazione appare come la conseguenza di molteplici decisioni tutte razionalmente

limitate. Ecco dunque che la conoscenza si pone come la variabile indipendente dalla quale dipende

il successo/fallimento dell’organizzazione.

Lo studio delle organizzazioni si basa quindi, secondo Simon, sulla diagnosi delle decisioni,

che si compongono di due elementi di diversa natura, denominati elementi di «fatto» ed elementi di

«valore»; i primi si verificano mediante un confronto con i fatti, i secondi non possono essere

assoggettati a valutazioni empiriche-oggettive perché si riferiscono alle aspirazioni umane.

3.3.4 Approccio Sistemico e Socio – Tecnico L’approccio prende spunto dagli studi dell’Istituto Tavistock di Londra (1970) sulla

meccanizzazione dell’industria carbonifera inglese, sulla creazione di squadre di 50-60 persone e

sulla parcellizzazione del lavoro. L’organizzazione non è più necessariamente dettata ed imposta

solo dalla tecnologia, ma vanno tenute presenti anche le aspettative sociali.

In questo approccio l’organizzazione del lavoro viene quindi osservata come combinazione

dei due elementi tecnico e sociale. Il sistema tecnico viene inteso non solamente come il complesso

di macchine ed attrezzature produttive, ma anche i sistemi tecnici ed informativi per programmare e

controllare il sistema produttivo. Il sistema sociale è costituito dall’organizzazione formale ed

informale delle persone e dalle norme e ruoli sociali presenti nell’unità lavorativa.

L’azienda deve essere vista come un sistema aperto, composta da diversi elementi, che

influenza e a sua volta è influenzata dall’ambiente esterno. Esiste un flusso continuo di

informazioni con l’ambiente esterno e queste, attraverso il processo del feedback consentono

all’azienda di migliorare l’efficacia e l’efficienza della sua attività. Secondo tale impostazione

l’organizzazione è un sistema composto da più variabili interagenti e tra loro interdipendenti. Non

esiste un modello organizzativo ottimale ma un modello più o meno coerente con gli obiettivi. In

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questo senso ogni sistema è in continua evoluzione e il cambiamento comporta un riadattamento di

tutte le variabili. L’obiettivo dell’approccio sistemico è quello di migliorare l’integrazione tra

elementi diversi all’interno del sistema organizzativo nel suo complesso attraverso lo studio del

piccolo gruppo e quello delle relazioni fra le componenti organizzative di varia natura. All’interno

di un’organizzazione si definisce un sistema socio-tecnico (sistemico) quando si parla di un insieme

di aspetti tecnici e sociali tra loro “interdipendenti”, in relazione con l’ambiente esterno, che

operano congiuntamente per perseguire obiettivi attesi. L’integrazione e l’interazione di tali

elementi mira all’ottimizzazione dell’intero sistema e non solo della condizione del singolo

lavoratore e dunque la teoria sistemica è caratterizzata da una forte attenzione alla struttura del

lavoro e al ruolo delle macchine (tecnologia in generale) secondo un’ottica Sistemica. Secondo tale

impostazione le azioni di cambiamento devono essere rivolte ad:

• Integrare tecnologie e persone senza snaturare il lavoro umano

• Considerare persone e processi come assi principali e struttura e tecnologia come assi

di

supporto

• Coinvolgere le persone e incidere sui processi lavorativi

• Far accompagnare il cambiamento con le modifiche strutturali e tecnologiche

Secondo tali principi le organizzazioni sono concepite, realizzate, vissute, formate e

cambiate dalle persone; sono le persone reali che realizzano i processi, usano tecnologie, formano

strutture e svolgono professioni. Le risorse umane sono dunque l’elemento centrale di

un’organizzazione

3.3.5 Approccio istituzionalista L’istituzionalismo è una scuola di pensiero molto ramificata sia nelle discipline economiche

sia in quelle politiche e sociali. Ha la caratteristica di rifiutarsi di vedere la società come il semplice

aggregato di individui orientati a massimizzare le proprie attività secondo i criteri di razionalità

limitata.

Mostra i concreti limiti e la forte influenza che deriva dalla presenza di istituzioni storiche,

istituzioni che costituiscono l’ambiente sociale economico e politico di cui tener conto nell’analisi

di un organizzazione.

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Il punto forte del paradigma neo-istituzionale è proprio che le aziende sono condizionate nei

loro modelli organizzativi, nelle loro regole decisionali, nelle loro strategie dal contesto esterno in

cui vivono. Il contesto istituzionale, costituito dalle istituzioni pubbliche e non pubbliche,

condiziona il modello organizzativo e le scelte strategiche che un’azienda si trova a fare.

E’ da questo approccio che si sviluppa il paradigma neo-istituzionalista, che in realtà nasce

dall’istituzionalismo adottato da Selznich negli anni’50. Selznich aveva sostenuto che le forze locali

esterne condizionano pesantemente le organizzazioni locali e che per sopravvivere queste ultime

devono spesso accettare dei compromessi “distanti” dai loro scopi. Cioè, lo scopo di un’azienda è

fare profitto, ma alla fine si assumono delle decisioni e si fanno scelte per compiacimento di altri,

per ricevere, dicevano i neo-istituzionalisti, la legittimazione sociale. Le aziende fanno scelte,

spendono soldi per conquistarsi una legittimazione nel contesto istituzionale in cui operano.

I principali punti di Selznick sono:

- Funzionalismo: le organizzazioni per sopravvivere devono soddisfare alcuni

bisogni fondamentali.

- Enfasi sulle influenze: Esistono centri di potere esterno, che esercitano

influenza sulle organizzazioni per costringerle a seguire i loro voleri.

- Pessimismo: le organizzazioni per sopravvivere e nel loro processo di

cambiamento accettano le pressioni di tali istituzioni esterne. Tali pressioni le allontanano,

però, dalla missione originaria per la quale sono state fondate.

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4 Il potenziale Il concetto di potenziale deriva dalla fisica del moto e più precisamente dal concetto di

energia potenziale, cioè una determinata quantità di energia posseduta da un corpo in relazione alla

posizione che esso occupa all’interno di un campo di forze conservativo. Nel campo della

psicologia del lavoro il concetto di potenziale fa riferimento ad una posizione di tipo

“interazionista” (il comportamento è il prodotto dell’interazione individuo-ambiente), ed è

definibile come l’insieme delle caratteristiche che si ipotizza siano a disposizione di un individuo

ma che, nei momenti e nelle situazioni considerate, non hanno la possibilità di essere manifestate e

quindi risultano sconosciute.

Questa definizione può essere declinata su tre livelli: psicologico, organizzativo e culturale.

A livello psicologico il potenziale può essere considerato come l’insieme delle energie, delle

motivazioni e delle competenze presenti in un determinato individuo, ma che non sono richieste

dalla posizione che egli al momento ricopre o non sono utilizzate per la mancanza di esperienza o

know how.

A livello organizzativo il potenziale si configura come il confronto tra le caratteristiche di un

individuo e le caratteristiche richieste per ricoprire al meglio una determinata posizione (requisiti).

Dal punto di vista culturale il potenziale può essere considerato come il confronto tra cultura

dell’organizzazione e cultura dell’individuo, intese nell’accezione di sistema di valori e

convinzioni.

Generalizzando al massimo possiamo definire la valutazione del potenziale come la

definizione delle possibili possibilità. A differenza di altri interventi di valutazione delle risorse

umane, l’analisi del potenziale pone l’accento non solo sul momento in cui si accerta la presenza di

certe caratteristiche ma anche sulla previsione della positività dell’impatto tra le caratteristiche

rilevate ed una determinata prestazione lavorativa. In altre parole si tratta di un confronto tra due

configurazioni dove è importante conoscere l’articolazione degli elementi che le compongono più

che la loro intensità.

Possiamo dunque definire la valutazione del potenziale come un’attività di rilevazione volta

ad individuare le caratteristiche attitudinali, comportamentali e professionali di un individuo

espresse ed inespresse in relazione ad una specifica prestazione lavorativa attesa.

E’ opportuno affrontare a questo punto i concetti di posizione, prestazione, requisiti

attitudinali e potenziale stesso.

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Per posizione si intende l’insieme delle attività e delle aree di responsabilità che

l’organizzazione stabilisce indipendentemente da chi ne sia titolare.

Per prestazione si intende la relazione tra risultati richiesti dalla posizione e risultati ottenuti

in un certo tempo.

Per potenziale, come abbiamo visto, si intende l’insieme delle risorse di un individuo,

indipendentemente dal fatto che esse possano essere espresse nella posizione occupata.

I requisiti attitudinali sono costituiti dalle caratteristiche psicologiche richieste per coprire al

meglio la posizione e sono alla base di quei comportamenti che devono essere messi in atto per

ottenere la prestazione desiderata.

In un percorso di orientamento, in vista di un inserimento nel mondo professionale, la

valutazione del potenziale permette all’individuo di prendere coscienza del proprio essere, dei

propri saperi e del proprio saper fare al fine di renderli manifesti anche agli altri.

In un percorso di orientamento per reinserimento, la valutazione del potenziale permette

all’individuo di prendere coscienza del proprio essere, dei propri saperi e del proprio saper fare al

fine di renderli manifesti anche agli altri in un contesto altro da quello che ha vissuto fin’ora.

In quest’ottica la valutazione si colloca in una logica di sviluppo personale e professionale

che si concretizza da un lato nella ricerca di un ambiente che permetta l’espressione dell’inespresso,

dall’altro nella necessità di una formazione permanente.

Nel campo della selezione di personale qualificato, la valutazione di potenziale colma le

lacune di un profilo ideale poco definito o agevola il percorso di inserimento e socializzazione al

lavoro del neo inserito ( non nel senso anagrafico del termine, ma nel senso relativo all’anzianità

aziendale).

In ambito organizzativo la valutazione del potenziale risponde alla necessità specifica di

gestione delle risorse. Se nell’inserimento e nel conseguente assestamento di una specifica

posizione, si parte dalla funzione e si va verso l’individuo, nel caso della valutazione si parte

dall’individuo e si va verso la funzione. Naturalmente i perni fondamentali di questo processo

fondano su tre fondamenta irrinunciabili: presa di coscienza (consapevolezza), accettazione delle

possibilità (responsabilizzazione) e necessità di trasformazione (cambiamento). Il fine ed il risultato

deve essere necessariamente l’ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse umane all’interno di

un’organizzazione.

Il percorso operativo di una valutazione di potenziale è basato fondamentalmente sulla

raccolta delle informazioni riguardanti il percorso personale e professionale, i tratti e le attitudini

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personali, abilità, capacità acquisite, conoscenze padroneggiate, competenze stabilizzate, stile

comportamentale, motivazioni implicite ed esplicite, bisogni percepiti, stima dei valori, auto

percezione di sé.

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5 Competenze e prestazioni Gli operatori della sanità sono per la maggior parte dei professionisti con un livello di

istruzione avanzato che consente loro, a fronte di specifiche e specialistiche conoscenze e

competenze, di esercitare autonomia professionale. Ciò significa che ciascun professionista può

scegliere tra varie alternative personalizzando le prestazioni. La prestazione è dunque il risultato

misurabile e verificabile di un’attività professionale tipica di una determinata figura professionale,

caratterizzata da standard di prestazione definiti e riconosciuti. Le dimensioni che determinano la

prestazione sono da un lato le competenze, intese come insieme di conoscenze ed esperienze, e

dall’altro l’impegno come insieme di motivazione e fiducia di sé.

La Competenza può essere definita come l’integrazione delle conoscenze, delle

capacità/abilità, dei comportamenti e delle esperienze che si implementano e si evolvono in un

determinato contesto lavorativo e che consentono la realizzazione appropriata di specifiche

performance professionali. Le dimensioni delle competenze sono dunque :

• Le Conoscenze scientifiche/tecniche ed esperenziali

• Gli Skill/Abilità tecniche, metodologiche e procedurali

• I Comportamenti, gli Atteggiamenti e i Valori

I livelli di competenza vanno dalla consapevolezza/conoscenza di base con limitata capacità

applicativa, alla competenza che rende possibile l’applicazione autonoma e la valutazione

sull’appropriatezza dell’operato proprio ed altrui, fino ad un livello elevato che rende possibile la

valutazione di azioni diverse, la modifica delle attività da svolgere, il trasferimento delle

competenze ad altri. L’eccellenza delle persone che fanno parte di un’organizzazione e le loro

competenze determinano la competitività della stessa organizzazione.

A seconda di diverse prospettive di studio possiamo distinguere:

L’approccio competenza professionale come insieme di attributi connessi al posto di

lavoro, che tende a considerare la competenza come l’insieme delle abilità definite e formalizzate

dall’analisi dei processi produttivi e delle posizioni di lavoro che identificano automaticamente i

confini e il contenuto della competenza professionale. L’approccio propone una sostanziale identità

tra le richieste del compito e requisiti del lavoratore. Il lavoratore competente sarebbe colui che si

adatta alle richieste della posizione producendo azioni conformi alle mansioni e ai compiti previsti.

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Questa modalità attualizza l’idea che la competenza è riconducibile a ciò che una persona fa o

dovrebbe fare, concretamente nelle situazioni di lavoro.

L’approccio competenza professionale come attributo delle persone che valorizza la

dimensione soggettiva della competenza. In questo approccio viene valorizzato non tanto quello che

la persona effettivamente fa o dovrebbe fare in una situazione, ma piuttosto quello che sa e che

potrebbe fare. La competenza professionale è intesa come l’esito di un investimento personale,

come il frutto di un cammino di sviluppo professionale e che si connota come potenzialità

disponibile per l’organizzazione o esportabile altrove. In questo approccio si tende ad enfatizzare il

ruolo attivo che le persone possono assumere all’interno dei processi di cambiamento o sviluppo

organizzativo e si sostiene l’idea dell’importanza delle azioni di bilancio di competenza come base

per definire più o meno autonomamente i possibili sviluppi di carriera.

L’approccio competenza professionale come esperienza personale e costruzione collettiva

che cerca di esplorare il concetto di competenza professionale all’interno di un paradigma

interpretativo di tipo “interazionaista”, nel quale si considerano sia gli attributi dell’individuo che le

caratteristiche delle situazioni. La competenza professionale è qui definita come il risultato di

processi psicologici e sociali specifici che caratterizzano l’interazione individuo-organizzazione. La

competenza è l’insieme delle strategie cognitivo-comportamentali che una persona ha a

disposizione per rispondere alle richieste di uno specifico ambiente lavorativo. Può essere definita

come un modo di pensare, uno stile di azione, attraverso cui si costruiscono ipotesi di gestione e

controllo dei compiti e delle situazioni di lavoro. In questo approccio si vuole sottolineare il

carattere costruttivo e dinamico della competenza e si enfatizza l’importanza dell’esperienza e del

confronto sociale come processi essenziali che ne determinano la sua progressiva costruzione. La

competenza è sempre contestualizzata ed in evoluzione e si traduce nella capacità generale di

interpretare contesti, nelle abilità di definire percorsi di risoluzione dei problemi posti al lavoro,

nella capacità di tradurre in atto e comunicare agli altri attori organizzativi le proprie conoscenze,

esplicite e tacite, e le personali immagini di lavoro.

L’approccio competenza professionale come partecipazione ad una comunità di pratiche

che analizza la competenza come partecipazione ad una comunità di attori professionali affini.

Questo approccio si propone di superare una visione individualistica della competenza

professionale. Questa modalità di studio e di intervento non è tanto interessata ad una ricostruzione

precisa delle abilità necessarie alla produzione di una risposta competente, ma tenta di cogliere,

attraverso metodi antropologici, la natura delle pratiche lavorative concrete osservando i contesti in

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cui si attivano i processi mentali e sociali di costruzione delle risposte competenti. Queste ultime

sono intese come esito di un processo di socializzazione alla professione e di costruzione di un

mondo di significati comuni sia per quanto riguarda la visione della realtà lavorativa sia per quanto

riguarda i tipi di azioni e le soluzioni che vengono progressivamente giudicate utili e pertinenti in

quella specifica comunità professionale.

Esplicitamente o meno, tutti gli approcci descritti vedono la competenza come costituita da

una serie di fattori e semmai le differenze risiedono nel modo in cui questi si sviluppano o si

esprimono. Questo insieme di fattori è comunque il frutto di processi di apprendimento e sviluppo

dove vengono coniugate conoscenze di senso comune (procedurali) con conoscenze tecniche o

processuali (anche attraverso la scolarizzazione) nonché abilità tecniche o processuali (i modi di

risolvere i problemi). Il tutto è fondato sulla capacità di controllo e monitoraggio del sapere e sui

meccanismi personali di regolazione. Sinteticamente la competenza può essere allora definita come

un insieme di saperi di diversa natura, di abilità per agire, di modi di essere connessi ad un tempo

dato e ad una comunità sociale determinata.

Si può ipotizzare che ogni individuo realizzi un proprio tipo di competenza, in relazione ai

successi o insuccessi registrati e che quindi la competenza sia una modalità generale e soggettiva

attraverso la quale persegue i propri obiettivi. Ne deriva un sostanziale avvicinamento al concetto di

potenziale che permette all’individuo di collocarsi, più o meno efficacemente, in un determinato

contesto sociale, producendo azioni tese al raggiungimento degli scopi che vuole (o deve)

raggiungere.

5.1 Un modello olistico della competenza professionale L’Approccio olistico alle Competenze (AOL) considera il contesto in cui le caratteristiche

individuali che sottostanno al comportamento al lavoro vengono espresse. Questo modello è,

fondamentalmente, un orientamento o una filosofia con cui occuparsi delle persone nelle

organizzazioni. L’AOC implica che il comportamento nel posto di lavoro si può comprendere

appieno solo in quanto interazione fra competenze dell’individuo e contesto organizzativo. Su

questa base il modello può essere utilizzato per produrre profili di competenza che riflettono la

complessità dell’individuo al lavoro. Delineando questi profili individuali, di gruppo o

dell’organizzazione intera, si possono governare con maggiore efficacia processi quali l’assunzione

di personale, la valutazione delle prestazioni, la formazione e lo sviluppo, il team building, ecc.

Ancor di più essi possono servire da guida per lo sviluppo individuale e delle carriere professionali.

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5.2 I fattori individuali L’AOC prevede otto categorie di fattori individuali alla base della competenza:

Attitudini Le attitudini si riferiscono al potenziale o alla capacità di acquisire le abilità (cioè

che cosa la persona può imparare se si sottoponesse agli stimoli adatti). Le attitudini sono distinte

dalle abilità in quanto sono utilizzate per inferire il potenziale, a differenza delle competenze reali.

Lo sviluppo di un’abilità specifica può richiedere il possesso di una determinata attitudine, ma le

due categorie non sono equivalenti. Le attitudini sono prese in più attenta considerazione laddove si

sta scegliendo una strada educativa o professionale.

Abilità Le abilità sino fattori essenziali per le prestazioni nel lavoro. Sono considerate

componenti essenziali della competenza per la maggior parte delle mansioni e delle posizioni. Si

suddividono in abilità tecniche (il saper fare tecnico relativo ad una determinata professione) e

procedurali (il problem solving ad esempio).

Conoscenze Le conoscenze sono ciò che un individuo ha già appreso e può applicare nelle

relative situazioni; fatti, eventi, informazioni tecniche e procedurali, ecc. Le conoscenze specifiche

sono fondamentali per lo sviluppo di competenza in un settore specifico di lavoro.

Competenze fisiche Questa categoria contiene fattori quali il movimento, la resistenza o la

coordinazione, i sensi, quali l’acuità visiva; gli aspetti psicofisici. Generalmente si pensa queste

competenze nel caso di occupazioni specifiche (vigile del fuoco o ufficiale di polizia ad esempio)

ma ci sono molti lavori molto meno stressanti fisicamente ma che richiedono determinate

competenze che ricadono in questa categoria. Il lavoro del chirurgo, ad esempio, può richiedere una

grande tolleranza fisica a rimanere in piedi al tavolo operatorio per periodi di tempo molto lunghi.

Stili Gli stili sono distinti da altre componenti della competenza. Ad esempio nella categoria

delle abilità sono indicate le caratteristiche associate all’essere un leader efficace. Queste possono

includere il saper presentare una visione, fornire l’ispirazione o progettare strategicamente. Questi

attributi servono a condurre un’organizzazione in una determinata direzione e si riferiscono a quali

obiettivi devono essere raggiunti. Lo stile invece si riferisce a come un obiettivo è raggiunto,

riconoscendo che esiste più di una strada per arrivarci. L’essenza dello stile, inteso come

competenza, è la varietà del repertorio di modelli di comportamento da cui un individuo può

attingere a seconda della situazione. Il modo con cui sceglie di esprimere le sue competenze o

realizzare gli obiettivi può dipendere dal contesto, se è da solo o in una squadra; dai colleghi, se pari

o subalterni o superiori, o dallo scopo della situazione, quale una trattativa o un’attività di servizio.

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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)

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Personalità Con il termine personalità si intendono le differenze individuali espresse

all’interno di un insieme di caratteristiche costanti. La personalità può contribuire notevolmente alla

comprensione delle prestazioni e del comportamento al lavoro. I fattori compresi in questa categoria

influenzano spesso persino l’espressione di altre competenze. Una grande riservatezza, ad esempio,

può influenzare la capacità di dimostrare conoscenze o di comunicare efficacemente.

Principi, Valori, Credenze, Atteggiamenti e Spiritualità Questa categoria contiene un

insieme di fattori che formano una parte integrante del carattere di un individuo. Queste

caratteristiche possono essere alla base della motivazione e modellano le scelte e le decisioni

nell’ambiente del lavoro.

I Principi sono verità fondamentali usate come base per il ragionamento e come guida

all’azione. I Valori definiscono l’importanza, l’utilità assegnata ad attività particolari, gli obiettivi

che si vogliono raggiungere per soddisfare i nostri bisogni. I valori influenzano le scelte fra i mezzi

disponibili ed i fini da raggiungere. Le Credenze sono nozioni circa il funzionamento della realtà

che aiutano gli individui a trovare un significato nel loro ambiente; servono a definire i

collegamenti causali, quali il controllo sull’ambiente. La credenza e l’accettazione di una

determinata proposizione come un fatto. Gli Atteggiamenti sono la tendenza a rispondere

positivamente o negativamente ad un certo oggetto, situazione, gruppo, idea, persona o istituzione.

Riflettono l’approvazione, la disapprovazione o un giudizio morale. La Spiritualità definisce la

ricerca del significato, dell’essenza, dello scopo nei differenti aspetti della vita, compreso il lavoro.

Interessi Gli interessi sono preferenze per determinati tipi di attività, di ambienti o di

occupazioni nel lavoro. Queste preferenze possono variare considerevolmente. Mentre alcuni

preferiscono occupazioni a contatto con la gente, altri possono preferire l’occuparsi di fatti,

informazioni o di aspetti estetici. Gli individui tendono ad essere soddisfatti quando lavorano in un

ambiente che permette loro di esprimere interesse e competenze. Per questo il grado di consonanza

tra interesse dell’individuo e occupazione (o ambiente di lavoro) può avere un effetto significativo

sulle prestazioni e sul comportamento sul lavoro.

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6 Il contesto organizzativo Il contesto organizzativo è dinamico e complesso come l’individuo. L’espressione delle

competenze individuali è intimamente collegata all’ambiente di lavoro ed al contesto in cui si opera.

L’AOC sottolinea l’importanza non solo della corrispondenza tra competenze dell’individuo e

posizione di lavoro, ma anche con le caratteristiche del contesto organizzativo generale. Il modello

prende in considerazione quattro aspetti: livelli gerarchici, ruoli organizzativi, ciclo di vita e cultura

organizzativa.

6.1 Livelli gerarchici I livelli gerarchici sono le posizioni di un’organizzazione che riflettono differenze nel grado

di responsabilità ed autorità.

6.2 Ruoli Gli individui possono ricoprire un certo numero di differenti ruoli in un’organizzazione.

Coloro che contribuiscono allo svolgimento del compito organizzativo (Si deve effettuare il

lavoro per cui quella organizzazione esiste. Quasi tutte le posizioni di lavoro devono essere

coinvolte nell’esercitare questo ruolo).

Gli amministratori sono orientati ai processi (Sono interessati all’applicazione efficiente

delle regole e delle procedure. Sono inoltre coinvolti con il coordinamento delle risorse materiali,

finanziarie, ecc.)

I manager sono orientati alle persone (Sono interessati alla forza lavoro, allo sviluppo, alla

delega, al controllo ed al benessere del personale)

I leader possono giocare tutti i ruoli precedenti nello svolgere il loro lavoro. Il ruolo del

leader è caratterizzato dall’orientamento strategico, dalla responsabilità del dove va

un’organizzazione, dalle esigenze di sviluppo e transizione e dal benessere complessivo

dell’organizzazione.

6.3 Il ciclo di vita dell’organizzazione Il ciclo di vita organizzativo è riferito ai cambiamenti prevedibili nella vita delle

organizzazioni e nel loro passaggio da una condizione all’altra. Come gli organismi biologici, le

organizzazioni possono essere viste in un’ottica di sviluppo e di ciclo di vita. Le competenze

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richieste da un’organizzazione possono dunque variare, dovendosi conciliare con la fase che sta

attraversando.

6.4 Cultura organizzativa La cultura organizzativa è il fattore all’interno nel quale opera l’individuo al lavoro. Designa

i valori dominanti di un’organizzazione, le norme che vigono e si sviluppano nei gruppi di lavoro e

nell’interazione tra i membri, i modelli di comportamento utilizzati con regolarità e frequenza, i

linguaggi e i rituali, le regole del gioco che i nuovi assunti devono apprendere per orientarsi

all’interno dell’organizzazione e per essere accettati come membri, il lay-out e le modalità di

interazione con l’esterno (Avallone, 1997)

Dall’interazione tra fattori individuali e contesto organizzativo derivano i comportamenti al

lavoro. Sono proprio questi ultimi ed il loro collegamento con le prestazioni ad aver ricevuto

l’attenzione nella pratica e nella letteratura. Comprendere il comportamento inefficace, tuttavia, può

essere importante tanto quanto capire il comportamento efficace. Organizzazioni con problemi

specifici, quali assenteismo, reclami del cliente, errori sul lavoro, ecc., possono essere interessate a

capire quali caratteristiche sono alla base di questi problemi.

Nel quadro dell’evoluzione del sistema-lavoro, una gestione delle risorse umane basate sulle

competenze diventa ancora più importante. La descrizione del lavoro o delle mansioni sono metodi

sempre meno utili, mentre persone e competenze risultano essere unità di analisi più adatte. Sono

inoltre più utili per la descrizione del lavoro e delle forze e debolezze degli individui e delle

organizzazioni.

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• Zangrandi A. (2000), Autonomia clinica e processi organizzativi nelle aziende

sanitarie: vincoli e opportunità per la progettazione organizzativa, in Bergamaschi M

(a cura di), l’organizzazione delle aziende sanitarie. McGraw-Hill, Milano