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Scuola Normale Superiore di Pisa Comune di Gibellina CESDAE Centro Studi e Documentazi one sull' Area E li ma - Gibellina - GIORNATE INTERNAZIONALI DI STUDI SULL'AREA ELIMA (Gibellina, 19-22 Settembre 1991) ATTI II Pisa -Gib ellina 1992

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Scuola Normale Superiore di Pisa Comune di Gibellina

CESDAE

Centro Studi e Documentazione sull ' Area Eli ma

- Gibellina -

GIORNATE INTERNAZIONALI DI

STUDI SULL'AREA ELIMA

(Gibellina, 19-22 Settembre 1991)

ATTI II

Pisa -Gibellina 1992

ERICE: PROBLEMI STORICI E TOPOGRAFICO­

ARCHEOLOGICI FRA L'ETA' BIZANTINA

ED IL VESPRO

FERDINANDO MAURICI

Il recentissimo sviluppo di indagini sull 'area elima (di cui questo secondo Convegno è ulteriore dimostrazione) pone in primo piano i problemi storici ed archeologici anche di Erice, la terza importantissima città d eU' area e lima.

Erice, in effetti, ha sempre goduto particolare notorietà nell ' ambito degli studi di storia antica siciliana, non fosse altro che per la frequente menzione che le fonti antiche ne fanno 1 e per l' importanza e la fama del santuario di Afrodite, «vero e proprio polo di aggregazione inter-etnica di g rande rilevanza mediterra­nea»2. Con tutto ciò è considerazione piuttosto agevole (ed è stata ribadita di recente da S. Tusa) notare come a questa diffusa notorietà non corrisponda un'approfondita conoscenza delle caratteris tiche topografico-archeologiche del centro abitato3.

Non sono mancate, in realtà, indagini archeologiche ad Erice: dai recuperi antiquari del Pepoli\ agli scavi di Salinas e Cavallari5, di Marconi e Messina6, della Bovio Marconi e quindi, ultimi in ordine di tempo, quelli di A.M. BisF. Si è comunque trattato sempre di scavi abbastanza brevi e limitati all ' appro­fondimento di problemi particolari come la topografia dell'area del santuario di Veneree la cronologia delle mura. Nonostante risultati anche di rilevante valore scientifico (non si può non ricordare qui l'ordinamento dei materiali del Museo Cordici dovuto ad A.M. Bisi e, per le monete, ad A. Tusa Cutroni)X,

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bisogna riconoscere che a tutt'oggi ben poco (o nulla) è noto della reale consistenza ad articolazione urbanistica e monumentale del centro antico e che, in definitiva, l ' archeologia può avere ancora un ruolo insostituibile per una maggiore conoscenza della storia di Erice9.

Questa premessa, scontata ma necessaria, vale anche per la storia medievale di Erice ed in particolare per i secoli, pochis­simo o nulla documentati, dall ' età bizantina al XII. Le fonti scritte, dopo gli ultimi riferimenti di Tacito, tacciono comple­tamente fino al secolo XII ed all'opera geografica di Idrisi. E' estremamente probabile che la città, fin da età imperiale romana, fosse «avviata verso una lenta ma irreparabile decadenza»10• E' ipotesi facile ritenere che la diffusione del cristianesimo e la decadenza del santuario abbiano messo definitivamente in crisi Erice, mentre anche l'importanza strategica della posizione elevata e certamente assai scomoda declinò fino a scomparire quasi del tutto nei lunghi secoli di pax romana durata in Sicilia fino alle scorrerie vandale del 440. Una attenta ricognizione di superficie sulle balze del monte e nel territorio circostante potrebbe apportare elementi molto importanti ed eventualmente confermare anche per quest'area l' immagine (altrove assai bene documentata) di un insediamento estremamente frammentato in età tardo-antica e nella prima età bizantina. Tale indagine potrebbe prendere le mosse dalle numerose segnalazioni di piccoli siti e di necropoli presenti nella migliore monografia storica su Erice, quella ottocentesca del Castronovo11•

Per il momento, dobbiamo accontentarci dei pochissimi materiali ceramici tardo-antichi esistenti nel Museo Cordici e studiati da A.M. Bisi: due lucerne cristiane in argilla giallognola con fregi a stampo lungo il bordo, databili tra IV e VI secolo d.C.; un 'altra lucerna con candelabro ebraico; un gruppo di una decina di balsamari vitrei con corpo globulare o imbutiforme ed alto collo cilindrico con orlo generalmente svasato12• Sempre nel Museo Cordici sono conservate una serie di monete di età romana imperiale ed alcune di età bizantina, da Anastasio ( 491-518) a Romano I (919-944)13.

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Al poverissimo panorama dell 'archeologia tardo-antica e prato-bizantina di Erice può aggiungersi anche un singolare monumento segnalato e descritto alcuni anni fa da v_ Scuderi: l'oratorio di s_ Matteo 14• L'edificio, ridotto allo stato di rudere, si trova su una spianata settentrionale del monte, nella contrada omonima. E' costituito da due ambienti diversi: uno rettangolare (m 3 x 2,10 e 2,60 alt.) a circa un metro sotto il piano di campagna, con pavimento impermeabile e tracce di malta idraulica anche sulle pareti. Questo vano è coperto da quattro arco n i di las troni calcarei grossolanamente squadrati ed accosta­ti a coltello sui quali poggiano lastre disposte a gradini. A questo primo vano ne venne addossato, sul lato E, un altro di pianta quasi quadrata (m 3,12 x 3,60), con pavimento a las troni calcarei, raccordato ali' ambiente rettangolare da una scaletta oggi distrutta. Questo secondo vano era in origine coperto da una cupola, in gran parte crollata. Sulle pareti N e S sono state ricavate due nicchie quadrate (rispettivamente cm 30 x 30 e 50 x 50), motivate, secondo Scuderi, da ragioni liturgiche. Lo stesso Scuderi ritiene che il monumento presenti due fasi costruttive ben distinte: il primo vano sarebbe in origine una cisterna, ipoteticamente di età tardo-antica; l 'ambiente originariamente cupolato sarebbe un'aggiunta d'età bizantina (VI-VII sec.). Ne11a sua conformazione attuale il monumento è interpretato come un monumento oratorio, piuttosto che, vista la mancanza di ogni traccia di altare, come una chiesetta.

Rinvenimenti archeologici e tracce monumentali poveris­:;;mi e sporadici, che quindi, al massimo, segnalano una scarna continuità di vita sul monte, senza nulla dirci sulla consistenza e le caratteristiche d eli ' abitato fra tarda antichità ed altomedioevo. L'assenza di documentazione certo depone a favore dell ' ipotesi di un centro urbano ridotto 'a ben misera cosa' 15, ma ogni con­clusione a tale riguardo sembra quanto meno prematura.

Il panorama diviene ancora più sconsolante inoltrandoci nella piena età bizantina: oltre ai pochi esemplari di monete già ricordati, sembra provenire da Erice anche un frammento di fregio con rilievo a motivi romboidali (conservato al Museo

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Pepoli di Trapani) che Scuderi data all 'VIII sec. d.C. 16. Per il resto, il bujo è completo e non bastano a rischiararlo alcuni toponimi greci della zona (Scopello, monte Palatimone, Scurati)17 che potrebbero in effetti essersi affermati in epoca bizantina. Una considerazione immediata porta però ad ipotizzare che il monte non restasse spopolato in età tematica: sembra in effetti difficile che una posizione strategica straordinaria come quella di Erice rimanesse deserta i n un 'epoca in cui, sotto l'incalzare della minaccia musulmana, i Bizantini in tutta la Sicilia «edificarono fortalizi e castella né lasciarono monte che non v'ergessero una rocca>> 18•

Tanto più che, oltre alla posizione naturalmente munitissima, il monte Erice offriva probabilmente, nell'VIII e nel IX secolo d.C., l 'ulteriore vantaggio di una massiccia cinta muraria antica ancora in condizioni tali da poter essere agevolmente presidiata e difesa.

Con tutto ciò le fonti , tanto di campo bizantino che musulmano, tacciono completamente e non abbiamo quindi prove per potere con certezza includere Erice nella lista dei kastra siciliani d 'età tematica.

Il silenzio assoluto delle fonti storiche continua anche per tutta l 'età musulmana. Ancora una volta, i pochi rinvenimenti archeologici, tutti sporadici e casuali, offrono solo scarsissimi appigli. Oltre a poche monete con leggenda cufica pubblicate da A. Tusa Cutroni e a ceramica invetriata rinvenuta sotto le mura e definita sommariamente 'araba ' 19, abbiamo notizia del rinvenimento a Castelluzzo, all'epoca del Cordici, di «cippi sepolcrali marmorei arabica mente iscritti»20, di monete arabe in rame, argento ed oro ed ancora di gettoni monetali in pasta vitrea. Di recente, F. D 'Angelo ha identificato a Pizzo Monaco, fra Balata di Bai da e Scopello, un sito fortificato con ceramica della prima metà dell'XI secolo: altri tre piccoli siti archeologici prossimi a Pizzo Monaco restituiscono, fra gli altri materiali, anche frammenti ceramici di XI secolo21•

A tutto ciò si aggiunge l' incerto contributo di toponimi d'origine araba molto frequenti nel territorio circostante il monte

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Erice: Racarruni, Rakalbi, Racanzili, Raculeo (tutti composti in ral;zal cioè «casale»), Buseto, Cubbastacca, Bai da, Dagala22 ed altri ancora. E' comunque ancora poco, troppo poco per avanza­re alcuna ipotesi ed immaginare, ad esempio, un vasto distretto costellato da casali (ril;zal, in arabo) dipendenti dal centro emi­nente sito sul monte.

Nulla ci dicono su Erice le più antiche fonti d'età normanna, neanche Malaterra che pur si dilunga a narrare la presa di Trapani e dei distretti circostanti protetti da firmissima castra23• E quindi rimane solo una supposizione, per quanto non inverosimile, che fra queste località fortificate fosse compresa anche Erice o meglio Gaballfamid (il toponimo arabo attestato la prima volta nel XII secolo da ldrisi). Non credo comunque si possa attribuire molto valore storico al racconto leggendario dell'assedio di Erice da parte del granconte Ruggero, miracolosamente aiutato da San Giuliano24• E ciò anche se a possibile sostegno di una sua radice storica il Castronovo notò nel secolo passato come ancora si tramandasse il ricordo d eli' esistenza d eli' accampamento normanno nella contrada Seggio, un toponimo messo ipotetica­mente in rapporto con la parola siege, assedio25•

Erice, con il toponimo arabo di Gaballfamid , rientra fi­nalmente nella storia con l'opera di ldrisi. La descrizione del geografo è ben nota, ma vale la pena ripeterla ancora una volta: «Gaballfamid ... è montagna enorme, di superba cima ed alto pinnacolo, difendevole per l'erta salita; ma stendesi al sommo un terreno piano da seminare. Abbonda d' acque. Avvi una fortezza che non si custodisce né alcun vi bada»26•

Le considerazioni sulle caratteristiche morfologiche del monte e sulla presenza di sorgenti sono estremamente precise. Non è invece del tutto chiaro se ldrisi descrivesse come «fortezza che non si custodisce» l 'area dell'abitato antico con le sue mura o solo la più circoscritta zona del tempio di Afrodite, dove di lì a poco si impianterà il castello normanno. Comunque sia, l 'ab­bandono del sito sembrerebbe in quel momento totale ed ipo­teticamente perdurante da lungo tempo. In altri casi, infatti (Caltabellotta e Qal'at a~-Sirat), lo stesso ldrisi fa esplicita

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menzione di centri abitati distrutti, o comunque spopolati per motivi di sicurezza, dopo la conquista normanna27.

Una trentina di anni dopo la situazione appare completa­mente diversa. Jbn Jubayr, che fu in Sicilia fra 1184 e 1185, così descrive Monte Erice: «gran monte, altissimo, vasto, sormontato da una rupe che spiccasi dal resto. Su la rupe è un fortilizio dei Rum, al quale si passa dalla montagna per un ponte: contiguo poi al fortalizio dalla parte della montagna giace un grosso paese [abitato anche] dai Rum. Si dice che qui le donne sia n le più belle dell'isola tutta: che Dio le renda cattive dei Musulmani. In questo monte son delle vigne e dei seminati: ci fu detto poi che vi scaturiscono da quattrocento sorgenti d 'acqua. Chiamasi Gaballfamid . La salita è agevole da un lato soltanto: e però pensano [i Cristiani] che da questo monte dipenda, se Dio voglia, il conquisto dell'isola: e non c'è modo che vi lascian salire un Musulmano. Per lo stesso motivo hanno munito benissimo questo formidabile fortalizio. Al primo romor di pericoli, vi metterebbero in salvo le donne: taglierebbero il ponte, ed un gran fosso il separerebbe da chi si trovasse nella contigua sommità del monte»28.

La descrizione è interessantiss ima e fornisce molti dati. In primo luogo, rispetto al testo di Idrisi, vi è la grande novità dell'esistenza di un centro abitato. Evidentemente questo dovette sorgere fra gli ultimi anni del regno di Ruggero II e l'età di Guglielmo il Buono. Ibn Jubayr mette in evidenza la grande rilevanza strategica e militare del monte, anche se certamente era esagerato ritenere che dal controiJo di Erice dipendesse la conquista di tutta l' isola. Comunque, l ' importanza di questa posizione è ribadita chiaramente dal divieto di residenza o anche di semplice accesso ai musulmani.

La rifondazione normanna di Erice sembra quindi potersi inquadrare anche in un programma di fortificazione e difesa (da nemici interni ed estern i) varato dalla corona. Non si dimentichi che il regno di Guglielmo il Malo vede una violenta esplosione di odio razziale nei confronti dei musulmani di Sicilia, con stragi a Palermo e nell 'area delle colonie lombarde29• Mentre sotto

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Guglielmo II la monarchia porta avanti un deciso tentativo di risolvere definitivamente il problema della difficile convivenza, concentrando una consistente popolazione di villani musulmani nelle terre dell 'arcivescovado di Monreale30• Lo stesso Ibn J ubayr, inoltre, ebbe modo di rendersi conto, proprio soggiornando a Trapani, del progressivo inasprimento delle misure coercitive contro la popolazione musulmana dell' isola31•

Secondo Tbn Jubayr le zone coltivabili del monte Erice erano occupate da vigneti e seminati: il paesaggio agricolo del monte sembrerebbe quindi essere stato simile alla fine del XII secolo a quello descritto più di cento anni dopo dai documenti del notaio Maiorana.

Molto interessanti sono in particolare le notizie che lbn Jubayr fornisce sul castello di Erice: esse sono tanto più preziose quanto più i lavori di riadattamento e di restauro hanno mutato nel corso dei secoli l'aspetto del monumento e la stessa conformazione dell'area su cui esso sorge. Afferma quindi Tbn Jubayr che il ' fortalizio dei Rum' occupava una rupe isolata dal pianoro sommitale del monte. Il cosiddetto castello di Venere sorge in effetti su rupi elevatissime che lo isolano totalmente su tre lati. Attualmente l ' accesso è possibile dal lato della città, ma fino al XVII secolo anche su questo versante il fortilizio rimane­va isolato dal resto della montagna da un profonda fenditura, colmata per iniziativa del castellano A Palma. L'attuale cordonata a gradini sostituì allora il ponti celio in mura tura documentato da una rara immagine ed erede a sua volta del ponte levatoio, o comunque della passerella volante, attestata da Ibn Jubayr.

Anche il castello, quindi, trent'anni dopo l' attestazione di Idrisi che lo voleva deserto e privo di presidio (il che non esclude che all'occorrenza potesse costituire un possibile rifugio per i cristiani di Trapani)32, appare svolgere pienamente le sue fun­zioni. Tutta l' area in effetti meriterebbe indagini metodiche, una serie completa di rilievi e letture stratigrafiche delle murature, e soprattutto nuovi scavi archeologici che verifichino ed appro­fondiscano i dati forn iti dalle ricerche di Marconi e Messina.

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Allo stato delle conoscenze, non possiamo neanche ipotizzare quale fosse lo stato dell 'area e delle rovine esistenti prima del massiccio intervento fortificatorio medievale. Id risi, lo si è visto, parla di un fortilizio (in arabo /:ti~ n) abbandonato, ma la laconicità del testo non permette neanche di capire con certezza se inten­desse riferirsi al 'castello di Venere' o a h1tta la cinta muraria cittadina. Nulla, inoltre, neanche gli scavi del 1930-31, docu­menta con precisione eventuali interventi edilizi posteriori all'età romana (cui sono databili alcune delle strutture e dei frammenti architettonici messi alla luce da Marconi e Messina)33, ma an­tecedenti alla fine del XII secolo. In fondo, quindi, il /;li~n ab­bandonato di Idrisi potrebbe essere stato semplicemente il cor­tile chiuso da mura dell 'antico tempio di Venere di cui ci restituisce un ' immagine sommaria una nota serie di monete del console Considius Nonianus del60 a.C.34 •

In via di ipotesi è verosimile ritenere, sulla base delle due testimonianze di Idrisi ed Ibn Jubayr, che sull'area del s_antuario venissero realizzati, fra 1150 circa e 1185, interventi tali da riadattare a fini difensivi le rovine esistenti, sovrapponendovi anche nuovi corpi di fabbrica. Ritengo probabile, inoltre, che venisse realizzata in età normanna anche la cinta esterna del castello, che oggi, isolata da interventi di restauro ottocenteschi dal nucleo del fortilizio, sembra costituire un insieme edilizio a sé stante, tradizionalmente quanto impropriamente definito 'torri del Balio '.

In realtà, la cortina turrita detta 'torri del Bali o ', anche se in stato di conservazione molto precario, fino al secolo scorso manteneva inalterato l 'organico collegamento originario con il nucleo del castello, con l 'area cioè dell'antico santuario. Due rare immagini tratte dal manoscritto inedito dell 'erudito ericino Carvini35 (tav. LII, l)mostranosenzaalcundubbiocomele ' torri del Balio' fossero in realtà la prima cinta del castello, delimitan­do un vasto cortile antistante il nucleo fortificato36.

A questo proposito occorre notare che la spiegazione cor­rente del toponimo ' torri del Balio ' come ricordo dell'antica residenza del Baiulus o Baiulo37, non è per nulla convincente.

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Vista la originaria situazione topografica, ben evidente dalle immagini nel manoscritto del Carvini, mi pare molto più proba­bile che il toponimo 'Balio ' derivi dal ballium o bailey, dalla basse court, cioè, del castello normanno. La parola, e quindi lo schema castrale a baglio, è documentata in Sicilia nel1194 per il castello di Vicari, dove risulta chiaro che il ballium è un cortile chiuso, in parte composto anche da case, che precede e difende il nucleo principale del castello38•

La spiegazione è tanto semplice da doversi dare per scon­tata.

Tanto più che, non essendo il castello di Erice residenza di una famiglia feudale e di un piccolo numero di accoliti, ma dovendo in origine servire ad ospitare tutta la popolazione in caso di necessità, era obbligatorio prevedere ampi spazi per dar ricetto ad alcune centinaia di persone e probabilmente anche a numerosi capi di bestiame. A ciò potevano egregiamente servire tanto il baglio esterno che il cortile interno, erede del temenos del tempio di Afrodite.

L'originale organicità del complesso era, ripeto, evidente fino al secolo scorso. A partire dal 1872 il conte A. Pepoli realizzò a sue spese una serie di lavori di ' restauro ' che modifi­carono sensibilmente la situazione originaria39. L' intervento più rilevante riguardò la cortina muraria che raccordava sul versante SO le ' torri del Balio' al nucleo del castello. Il tratto di muro venne smontato e ricostruito arretrandolo quanto bastava a lasciare all'esterno del cortile la rampa d'accesso al 'castello di Venere'. Contemporaneamente si provvide a spianare l'area antistante le 'torri del Balio', destinata a divenire giardino pubblico.

Vennero inoltre consolidate e risarcite le muraglie, per decenni utilizzate come cava di pietre, e le torri: fu anche realizzata la sopraelevazione pentagonale della torre mediana del 'Bali o' di cui esisteva solo un tronco ne. Su li 'ala di levante, infine, vennero costruiti di bel nuovo, in sti le medievaleggiante, alcuni ambienti destinati ad alloggio di custodi ed ospiti. Anche l' interno dell'antico baglio venne in parte regolarizzato e tra-

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sformato in pineta. Lavori oggi piuttosto discutibili, dunque, quelli realizzati

dal singolare mecenate. Essi ebbero comunque il merito di frenare un degrado oramai secolare e che è ripreso negli ultimi decenni, facendo scomparire il tratto di muro ricostruito ad E fra le ' torri del Bali o' ed il 'castello d i Ve nere'. Si è accentuato quindi il reciproco isolamento fra le due parti dell'originario complesso castrale. Un triste destino di abbandono e obsole­scenza accomuna oggi le fabbriche medievali e la villetta costru­ita sotto il ' Balio' dal conte Pepoli (la torretta Pepoli).

Questo singolarissimo ed eclettico monumento sta lette­ralmente andando in rovina nell' indifferenza generale (tav. UI, 2), pur continuando a venir riprodotto su ceramica e paccottiglia turistica quale emblema di Erice.

Un altro problema archeologico che meriterebbe a mio avviso un riapprofondimento è quello delle mura ericine, con­servatesi sul versante NO per un andamento di circa 800 m, da porta Spada a porta Trapani, con spessori dai 2 ai 3 m. Lungo le mura aprirono alcuni saggi di scavo Cavallari e quindi il Salinas. Indagini archeologiche più approfondite vennero poi realizzate da J. Bovio Marconi nel 1957 e quindi A.M. Bisi nel 196740.

Le mura poggiano su un letto di piccole pietre rozze senza conglomerato di circa 40 cm di altezza. Su di esso si impiantano i filari inferiori costituiti da grossi massi squadrati e relativamente regolari, posti in opera senza legante. L'alzato presenta poi una seconda parte costituita da blocchetti di dimensioni assai minori tagliati piuttosto regolarmente e disposti senza coesivo con andamento rigorosamente orizzontale. Come è noto, la Bisi, in base a ceramica rinvenuta nelle trincee aperte sotto le mura, ha datato la fase ' megalitica' ad epoca anteriore all ' avvento dei Punici (quindi tra VIII e VI sec. a.C.). La seconda fase, pseudo isodoma, viene dalla studiosa messa in rapporto con l' abbondan­te ceramica greca di VI e IV sec.41• A questo periodo peraltro potrebbero appartenere le lettere puniche incise su alcuni blocchetti. Rifacimenti d'età romana e medievale furono indivi­duati dalla Bisi in vari punti; in particolare le tre porte oggi

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esistenti vennero aperte certamente fra medioevo ed età moder­na. Sono inoltre documentati, ma evidentemente andrebbero riscontrati con precisione sulla struttura, i restauri conservativi ed integrativi realizzati nel 1877 dal Cavallari e quindi nel1907 e nel 1922 dalla Soprintendenza ai Monumenti di Palermo.

Non è questa la sede per entrare nel merito della questione. Mi limito solo a segnalare qui la necessità preliminare di un accurato rilievo complessivo dell'alzato e quindi di una lettura stratigrafica delle murature che potrebbe portare molti dati nuovi e permettere la costruzione di una cronologia più dettagliatamente scandita.

Dopo il tempio-castello e le mura, il terzo problema, cer­tamente il più complesso, è costituito dall 'aspetto topografico e monumentale del centro antico e quindi di quello medievale. Occorre partire da una considerazione brutalmente immediata: non sappiamo praticamente nulla sull'assetto dell 'abitato anti­co. E per avere qualche informazione sul centro medievale occorre scendere a più di un secolo dopo la sua ' rifondazione' nel Xli secolo, utilizzando gli atti del notaio Maiorana42•

Le imbreviature, intanto, non ci dicono quasi nulla sul castello e sulle mura, se non che nel castrum (demaniale come la città) esisteva un carcere43 e che una contrada prendeva la sua denominazione dall'essere ubicata subter de porta diruta44 , con riferimento verosimilmente ad un'antica porta della cinta. Per quanto specificamente riguarda il centro abitato, l ' impressione generale è che, all ' interno dell'area urbana racchiusa dalla cinta, il tessuto costruttivo presentasse ancora larghi vuot i e discontinuità. Negli atti di Maiorana è relativamente frequente la menzione di casalini, spazi edificabili vuoti o occupati da rovi­ne, ed anche di terre vacue all'interno della terra Montis45 •

D 'altra parte, dai probabili 800 fuochi dell277 (per una popo­lazione stima bile di circa 3000 anime), il centro, dopo un profondo calo demografico nel corso del XV secolo46, superò i 7000 abitan ti alla metà del '500, gli 8000 alla fine del '700 ed i 12000 alla metà del"800"7• Ciò senza che si sia registrata mai

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una espansione del tessuto edilizio al di là del limite delle mura antiche che ancora oggi separano nettamente lo spazio urbano da quello rurale. L 'area cintata conteneva quindi nel XIII secolo spazi sufficienti ad ospitare un aumento demografico indub­biamente rilevante anche detraendo l' eventuale popolazione sparsa alle pendici del monte. In parte almeno, la presenza di aree vuote o occupate da rovine poteva essere conseguenza, ancora alla fine del XIII secolo, d eli' assedio e della devastazione subiti dalla città in seguito alla rivolta contro re Manfredi.

Il tessuto urbano si organizzava attorno ad una mezza dozzina di chiese: S. Cataldo, S. Giuliano, S. Maria de Monte, S. Bartolomeo de Monte, S. Oliva, S. Martino48• Nelle immediate vicinanze dell ' abitato si trovavano inoltre la chiesa di S. Nicolò de Menta prope terra m 49 e quelle, ancora oggi esistenti anche se in pessimo stato, di S. Maria Maggiore, S. Antonio e S. Maria Maddalena50. La comunità giudaica di Monte San Giuliano aveva una sua sinagoga51, mentre l' Universitas teneva le as­semblee presso l' Ospedale della terras2•

La rete viaria presentava nel XIII secolo una sua gerarchia con vanelle, vie regie e la principale via seu platea publica diete terr&3, dove si concentrava la maggioranza delle apoteche allocate, al piano delle case. Proprio su li ' edilizia privata le imbreviature del notaro Maiorana offrono una serie cospicua di informaz ioni che permettono di far rimontare al XIII secolo il tipo di abitazione ancora oggi caratteristico di Erice: la casa, o meglio, le case organizzantesi attorno ad un cortile interno ed isolate da muradallospaziopubblico di vie e vanelle. l documen­ti sono estremamente espliciti in tal senso: spess issimo due o più case (terranee o solerate) si aprono su un cortile ed hanno ingresso (introitus o exitus) comune sulla strada54• Nei cortili è a volte menzionato un pozzo55 o una cistema56 e sotto l ' ingresso comune (il cui utilizzo è in alcuni casi fonte di litigi fra vicini)57

scorre un condotto sotterraneo per lo scolo delle acque58• Un documento menziona anche la sikifa59 (dall'arabo sagifah, por­tico, galleria coperta) e cioè l'androne coperto o il corridoio che mette in comunicazione il cortile comune con Ja via6o.

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Anche questo esempio di continuità lessicale induce a cercare nell ' architettura domestica araba il possibile precedente delle case con cortile di Erice61. Si può ritenere assa i verosimile che al momento della 'rifondazione' normanna deJJa città del Monte tipi edilizi caratterizzati dal ruolo centra le della ga 'a (il cortile), simili ad esempio alle case del X e XI secolo scavate a Setif62, fossero diffusi specialmente nella parte occidentale dell'isola, la più profondamente islamizzata. L' influenza araba nell'edilizia domestica, in ogni caso, non contrasterebbe per nulla col carattere cristiano ed 'antisaraceno ' della Erice normanna. Inoltre, occorre considerare nella giusta importanza l'influenza della folta comunità ebraica di Monte San Giuliano, che anche qui certamente continuò a parlare arabo ed a perpetua­re costumi e tradizioni legate al mondo arabo. E' ben noto, in particolare, come nel medioevo siciliano il mestiere di muratore fosse assai diffuso fra gli ebrei. E la tradizione della maramma meruevale sici liana, anche nel lessico, attinge largamente alla sapienza costruttiva araba63 • O gru conclusione è comunque del tutto prematura, visto in particolare che l'archeologia non ha ancora mostrato esempi chiari di abitazioni arabe in Sicilia, né tanto meno di dimore ebraiche fra XI e XIII secolo.

L' ultimo problema topografico-archeologico cui voglio qui accennare è quello del territorio dipendente da Erice nel XII e XIII secolo e dell'insediamento sparso. V. Scuderi ha studiato alcune chiesette rurali del Monte e dell' agro eri cino (S. Maria Maggiore, S. lppolito, S. Antonio, S. Barnaba di Valderice, S. Maria Maddalena) proponendo per esse una datazione al XII secolo64. Sembra quindi che, più o meno contemporaneamente alla rifondazione della città, venissero edificati piccoli luoghi di culto nella campagna circostante, nuclei di popolamento o comunque di cristianizzazione di un territorio profondamente islamizzato.

E' inoltre pervenuta in copia quattrocentesca6s la conferma rilasciata da Federico II di un privilegio di Guglielmo II che assicurava a Monte San Giuliano il vasto territorio compreso lungo la costa dalla tonnara di S. Cusmano al vallone delle ferie

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(ad un miglio da Castellammare) e nell' interno, più o meno lungo la direttrice della statale Palermo-Trapani, da Trenta piedi ai confini di Castellammare. In questo vastissimo comprensorio, la conferma federiciana (datata maggio 1241) enumera tredici casalia inhabitata: Curci, Scopello, Fragginesi, Raccaruni, Sanguigno, Rakalbi, Raculeo, Rabilesi, Bombolone, Murfi , Buseti, Arcodaci , Inici, toponimi almeno in parte ancora esi­stenti. Il documento è probabilmente una falsificazione ma è in ogni caso antico e presenta una situazione verosimilmente vicina alla realtà lasciata in quest' area della Sicilia dalle guerre musulmane e dalla repressione operata da Federico II66. La drammatica menzione dei tredici casali disabitati non può infatti non far pensare immediatamente all'ecatombe di ril;zal e manazil verificatasi prima del 1246 nel territorio monrealese.

In via di ipotesi, tutta da verificare sul terreno, si può pensare67, per il XII secolo, ad un territorio animato da alcuni insediamenti in terca lari che, almeno a giudicare da molti toponimi, potrebbero far pensare ad un 'origine più antica, rnusulmana. Anche in quest'area del Val di Mazara la repres­sione delle rivolte musulmane dovette lasciare una campagna priva di abitati stabili e vuota di abitanti, vasto campo d' intra­presa di borgesi nella città del Monte.

Il resto della vicenda è, almeno neUe grandissime linee, relativamente chiaro. Nonostante il tentativo federiciano di ripopolare Scopello68, la colonizzazione di quest' area sarà estre­mamente lenta e si realizzerà solo in tempi a noi vicini. Al massimo, nel tardo medioevo, rimarrà qualche torre e qualche baglio fortificato (splendido quello di Inici), a ricordare l 'esi­stenza di antichi casali . Lungo il mare, a Scopello, a capo San Vito, a San Cusmano, saranno invece le tonnare con le loro torri a punteggiare un litorale deserto e a lungo infestato da pirati e corsari musulmani .

La discesa a valle dei muntisi è storia recente, del secolo passato e del nostro. Una città in crisi si svuoterà allora a favore del le borgate sorte (o ripopolatesi) alle pendi ci del monte (Paparella, Casal bianco, Fico, Chiesanuova, S. Marco) e, n a tu-

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ralmente, di Trapani, che era stata nell 'antichità semplice empo­rio marittimo di Eryx.

NOTE

1 Per le fonti arcaiche su Erice cf. E. MANNl, Geografia fisica e politica della Sicilia antica, Roma 1981, 173-174; cf. inoltre K. ZIEGLER, s.v. Eryx, RE, VI [1909), 602--606.

2 Cf. S. TusA, Per un'archeologia di Erice, in corso di stampa. 3 Cf. T USA, ibid. 4 Cf. A. PEPouAntichi bolli figulini e graffiti delle sacerdotesse di Venere

Ericina rinvenuti in Monte San Giulimw, Firenze 1885. 5 Cf. A. SAUNAS, Le mura fenicie di Erice, NSA, 1882, 121-130. 6 Cf. G. CuLTRERA, Erice. Il 'teme11os' di Afrodite Ericina e gli scavi del

1930 e dell931, NSA, 1935,294-328. 7 Cf. A.M. BJSI, Testimonianze fenicio-punidle ad Erice, OA, V, 1966,

246-247; EAD. , Erice. Saggi alle fortificazioni puniche, NSA, 1968, 272-292; EAD., Ricerche sul/' origine e la cronologia delle mura 'puniche' di Erice, Si cA, l, l, 1968, 17-27; EAD., Erice punica, Trapani. Rassegna della Provincia, XIV, 3-5, 1969, 7-12; EAD., Erice (Trapani). Scoperta della necropoli pun.ica e ricerche archeologiche nell'agro ericino, NSA, 1971, 640-661.

8 Cf. A.M. BISJ, Catalogo del materialearcheologicodelMuseoA. Cordici di Erice, SicA, Il, 8, 1969, 2-43; A. TusA CuTRoNJ,La collezione numismatica del MuseoCordicidiErice. T,SicA, II, 6, 1969, 29-45;.EAD.,La collezionenumismatica del Museo C01·dici di Erice. TT, SicA, Ili, 9, 1970, 42-47; EAD., La collezione numismatica del Museo C01·dici di Erice. III, SicA, III, 10, 1970, 45-53; EAD. ,

La collezione numismatica del Museo C01·dici di Erice. IV, SicA, IV, 12, 1971, 49-60; EAo., La collezione numismatica del Museo Cordici di Erice. V, SicA, V, 15, 1971, 43-51.

9 «La preistoria e la leggenda si vanno trasformando in istoria a mano a mano che l 'archeologia ritoglie alla terra i misteri che il tempo vi aveva depositati come sotto spessissimi strati alluvionali. Chi pensi dunque quale grande impor­tanza per gli studi e la scienza avrebbe la soluzione delle accennate questioni relative ai culti antichissimi ed alla civiltà degli Elimi, non puòchefarvoti perché nel magnifico piano di azione che ora si va svolgendo con grande e novissimo impulso per la restaurazione e raccrescimento del patrimonio archeologico nazionale siano inserite idonee ricerche nella zona ericina». Così, molti anni orsono, concludeva il suo breve articolo su Erice un redattore de Le vie d'Italia (A. MILITELLO, Monte San Giuliano, Le vie d.ltalia, 135-142). Mi sembra che, nella sostanza almeno, i suoi voti siano validi ancora oggi.

458 F. MAURICI

10 Cf. Brsr, Ricerche sull'origine cit., 26. 11 G. CASTRONOVO, Erice oggi Monte San Giuliano in Sicilia. Memorie

storiche, Palenno 1872, l, 161-164. 12 Cf. BISI, Catalogo cit., 38-40. 13 Cf. TusA CuTRONI, La collezione cit., IV-V. 14 Cf. V. ScuoERI,Architetture medievali nel trapanese inedite o poco note.

l , SicA, I, 3, 1968, 14-15. 15 Cf. E. CARACCIOLO,Ambienti edilizi nella città sul Monte Erice, Palenno

1950,9. 16 Cf. V. ScuDERI, Il Museo Nazionale Pepoli in Trapani, Roma 1985, 6,

29; il reperto ha il nr. di inv. 4383. 17 L'antico territorio di Erice, oggi suddiviso fra vari comuni, rientra nelle

seguenti tavolette IGM: 248 m NE Monte Cofano; II NO Castelluzzo; ID SE Erice; Il SO Balata di Baida; m SO Trapani; Il SE Castellammare del Golfo. Sui toponimi di origine bizantina nell 'area ericina cf. inoltre V. ADRAGNA, Erice, Trapani 1986, 15.

18 Il passo, notissimo, è del cronista musulmano An Nuwayri, nella traduzione italiana in M. AMARI, Biblioteca arabo-sicula, Torino-Roma 1882, n, 113.

19 Sulle monete con legenda cufica custodite presso il Museo Cordici cf. TuSA CurRoNI, La collezione cit., V. Abbondante ceramica invetriata (definita araba, in accordo alle conoscenze del momento) venne rinvenuta negli scavi condotto da A.M. Bisi sotto le mura (cf. Brsr, Erice. Saggi alle fortificazioni ci t., 283 epassim). Questo materiale medievale(seancora rintracciabile) meriterebbe senza dubbio uno studio approfondito.

20 Cf. CASTRONOVO, Erice cit., n, 161; cf. inoltre lv., Rivista Siciliana di Scienze, Lettere ed Arti, Vll, 176-177.

2J Cf. F. D ' ANGELO, Jnsediamenti medievali in Sicilia: Scopello e Bai da, SicA, XIV, 44, 1981, 65-70.

22 Si veda la cartografia IGM ed inoltre ADRAGNA, Erice cit., 15. 23 Cf. G. MAlATERRA, De Rebus Gestis Rogerii Calabriae et Siciliae

ComitisetGuiscardiDucis fratris eius, a cura di E. Pontieri, inRerum Italicarum Scriptores, V, Bologna 1928, III, Xl, 63: undique adiacens provincia firmissimis castris circumsepta munitissima erat.

24 Cf. CASTRONovo,Erice cit., Il, 163: l' intervento miracoloso del santo è collocato, da altre versioni della leggenda, al tempo della conquista musulmana. Non entro nel merito dei problemi storico-religiosi e demologici, rimandando preliminarmente a E. 0ACERI, Culti e miti nella storia dell'antica Sicilia, Catania 1911 (Sala Bolognese 1981 ], 126, 180. La figura di San Giuliano che con una muta di cani difende Erice dai Saraceni potrebbe essere, secondo Ciaceri, una reminiscenza cristianizzata del mito di Crimiso vivo nell ' area segestana.

25 Cf. CASTRONOVO, Erice cit., Il , 165.

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26 Cf. IDRISI in AMARI, o. c., l , 80(testo arabo in 2aed., a cura di U. Rizzitano, Palermo 1988, l, 50-51).

27 Cf.IDRISI in AMARI, o. c., Il, 78 (Caltabellotta), 114-115 (Qal'at a.s-Sirat­Collesano ).

28 Cf. IBN JuBAYR in AMARI, o. c., l, 166. 29 Cf. S. TRAMONTANA, La monarchia normann.a e sveva, in AA.VV.,

Storia d'Italia, Torino 1983, Ili, 624. 30 Su questa problematica rimando aH' importantissimo studio di J. JoHNs,

The Muslims of Norman Sicily 1060-1194, Ph. D. Thesis, ds., Oxford 1983, passim.

3l Cf. AMARI, o. c., I, 177-180. 32 Cf. H. - G. BRESc, Ségestes médiévales: Calathamet, Cala rabarbaro,

Calatafimi, MEFR(M), LXXXIX, 1977, l, 346. 33 Cf. CULTRERA, Il 'teme110s' ci t. , 323, passim. Durante gli scavi, in parti­

colare, vennero portati alla luce i resti di un piccolo impianto termale romano. Tutta l 'area, inoltre, mostrava chiaramente di aver subito continui interventi: «ciò che apparisce chiaro è il fatto di larghe devastazioni e successivi rimaneggiamenti entro l'ambito del santuariO».

34 Cf. CuLTRERA, ibid., 297. 35 V. CARVINI,Erice antica e moderna, sacra e profana, m s. della Biblioteca

A Cordki di Erice. Le due immagini sono inoltre riprodotte in V. ADRAGNA, Il castello di Erice, Trapani. Rassegna della Provincia, Il, 1961, 2, 4.

36 Cf. ADRAGNA, ibid., 2-3. 37 Così ritiene, ad esempio, ADRAGNA, ibid., 2-3; lo., Erice. Immagini della

memoria, Trapani 1990, 49. 38 Cf. C.A. GARVFI, I documenti inediti dell'epoca normanna in Sicilia,

Palermo 1899, 264-265, doc. nr. CVlll. Inoltre H. BRESC, Terre e castelli: le fortificazioni della Sicilia araba e normanna, in <<Castelli. Storia ed archeologia. Atti del Convegno, Cuneo 1981», Torino 1984, 79.

39 Su tutto cf. V. ADRAONA, IL restauro delle torri del Ba/io E ricino realiz­zato dal Conte Pepoli nel sec. XIX, Trapani. Rassegna della Provincia, XXIX, 265, l 984, ll-22.SuUafiguradiAgostinoPepolicf. lo.,AgostinoPepolimecenate ed amico di Erice, Trapani. Rassegna deUa Provincia, XI, 1961, 1-9.

40 Cf.supra, nn. 6 e8. Nel secolo passato accennarono alle mura ' pelasgiche' di Erice Petit-Radel, Brune t de Presle, Stoddart, Cantù, Fraccia ed altri. Il primo a porre scientificamente il problema e a proporre un intervento di restauro fu G. CASTRONovo, Perla riparazione e conservazione delle mura ciclopidte di Erice, Palermo 1865.

41 Cf. B1s1, Ricerche cit., 25-26. Cf. inoltre V. TusA, La Sicilia fenicio­punica, in AA.W., Storia della Sicilia, Napoli 1979, l, 157.

42 D registro venne pubblicato per la prima volta da A DE STEFANO, Il registro notarile di G. Maiorana (1297-1300), Palermo 1943. E' quindi stato

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ristampato, con riproduzioni fotografiche dell'originale, a cura di A SPARTI, Il registro del notaio ericino Giovanni Maiorana (1297-1300), I-II, Palermo 1982. Mi sono servito, per maggiore comodità, della riedizione curata da Sparti.

43 Cf. MAioRANA, ibid., 20, doc. nr. 6, 12 fcb. 1298. 44 Cf. MAIORAs'IA, ibid., 114, doc. nr. 83, lug. o ago. 1299. 45 Molte le menzioni dci casalini , ad esempio: cf. MAIORANA, ibid., 18, doc.

nr. 4, 9 fcb. 1298 (si ricorda anche la presenza di una terra vacua); 59, doc. nr. 24 ott. 1298; 91, doc. nr. 63, 8 mar. 1299; 106, doc. nr. 76, 31 mag. 1299; 110, doc. nr. 80, 271ug. 1299. Per menzioni di terre vacue cf., ad esempio, 131, doc. nr. 97, 16 set. 1299; 136, doc. nr. 102, 12 ott. 1299 (hortum vacuwn).

46 Cf. i dati riportati ed elaborati da H. BRESC, Un monde médil.erranéen. Economie et société e n Sicile (1300-1450), Palermo-Roma 1986, I, 63.

47 Dati riportati da V. AMico, Dizionario topo grafico della Sicilia, a cura di G. Di Marzo, Palermo 1855, I, 409.

48 Cf. MAioRANA, o. c., passim. Alla fine del '600 le chiese di Erice erano una trentina più sei conventi e tre monasteri (cf. ADRAGNA, Immagini cit., 70). Attualmente, oltre la chiesa madre, delle chiese urbane ricordate negli atti di Majorana, hanno conservato la loro dedicazione S. Giuliano, S. Martino e S. Cataldo. Le prime due sono tradizionalmente ritenute di fondazione normanna (cf. ADRAGNA, ibid .. , 69). Si è inoltre mantenuto il ricordo di una chiesetta esistente all 'interno del castello e dedicata alla Madonna delle Nevi. Di essa fu rinvenuta solo traccia del vano corrispondente all'abside (cf. CuLTRERA, o. c. , 314 ).

49 Cf. MA!ORANA, O. C. , 137, doc. nr. 103, 19 Otl. 1299. 5° Cf. M.AJORANA,o. c., 160,doc. nr.127, 17 giu.l300(S. Maria Maggiore,

S. Antonio); 138, doc. nr. 103, 19 ott. 1299 (S. Maria Maddalena). Su S. Antonio e S. Maria Maddalena cf. ScuoERI, Architetture. I, cit., 1.8-22; su S. Maria Mag­giore cf. lo. ,Architetture. l , SicA, I, 4, 1968, 35. Inoltre lo., Arte medievale nel trapanese, Trapani 1978, 28-29.

SI Cf. M.AIORANA, o. c., 15, doc. nr. l, l feb. 1298. 52 Cf. MAIORANA, o. c., 145, doc. nr. 11.0, 5 nov. 1299. D loco solito ubi

curiam consuevimus regere menzionato dall 'atto è specificato essere coram hospitali eiusdem montis da un altro documento (38, doc. or. 23, 20 lug. 1298).

53 Cf.MAIORANA, o. c., 119, doc. nr. 88, 23 ago. 1299. 54 Ad esempio cf. MAIORANA, o. c., 99, doc. nr. 70, 3 mag. 1299; 11 O, doc.

nr. 80, 27 lug. 1299; 119, doc. nr. 88, 23 ago. 1299. 55 Ad esempio cf. MAIORANA, o. c., 67, doc. nr. 45, 10 nov. 1299; 91, doc.

nr. 64, 22 mar. 1299. 56 Cf. MAJORANA, o. c., 114, doc. or. 84, 15 ago. 1299. 57 Cf. MAIORANA, o. c., 21, doc. nr. 8, 5 mar. 1298. 58 Cf. MAIORANA, o. c., 29, doc. nr. 14, 17 apr. 1298: quendam conductum

si ve rivolum cohoperwm, scilicet sub terra. 59 Cf. MAJORANA, o. c., 151, doc. nr. 117, 27 geo. 1300.

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60 a. G. CARACAUSl,Arabismimedieva/i di Sicilia, Palermo 1983,347-348. In effetti, nel caso particolare del documento e ricino, il significato della parola si allarga a tutto l'insieme delle case con cortile comune (cf. H. BIW>C, Filologia urbana: PalennodaiNormanni agli Aragonesi, Incontri meridionali, 1-2, 1991, 9-40.

61 a. CARACCIOLO,Ambienli cit., 31. Case con cortile probabilmente non molto dissimili da quelle ericine del 1 300 sono molto ben documentate a Palermo fra XII e XV secolo (cf. BRESc, Filologia cit., 16).

62 a . E. FENTRESS, The House of the Prophet: Nortlt African lslamic Housing, ArchMed, XIV, 1987,54-62.

63 Cf. G. -H. B RESC, Maramma. l mestieri della costruzione nella Sicilia medievale, in «l mestieri. Atti del II Congresso lntemaz. di studi Antropologici Siciliani, Palermo 1 980», Palermo 1984, 145-186.

64 Cf. Sa.JDERJ, Architetture ci t. , / , 18-22. 65 n documento era già noto nel secolo scorso a G. Castronovo (Cf.

CASTRONovo, Erice cit., I, 157-158). H. Bresc ne ha individuato una copia fra gli atti del notaio G. Comito custoditi presso l'archivio di Stato di Palermo, Notai 846, l ottobre 1445 (cf. BRESC, Ségéstes cit., 349-350, n. 11).

66 a. BRESC, ibid. 67 a. F. D'Angelo,/ casali di Santa MarialaNuovadi Monrealenei secoli

XII-XIV, BCFS, XXI, 1973,333-339. 68 Sui tentativo federiciano di ripopolare Scopello con un contingente di

immigrati lombardi, cf. D' ANGELO, lnsediamenti cit., 65.

T AV. Lll

l. li castello di Erice nel XII secolo (dal ms. di G. Carvini).

2. Erice. n "ca~tello di Venere" con la vegetazione che ha invaso l'antico ballium.