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Governance e qualità del sistema integrato dei servizi per l’infanzia Firenze, 17 novembre 2006

Governance e qualità del sistema integrato dei servizi per l’infanzia · 2014. 10. 7. · L’esigenza di standard a tutela della qualità dei servizi ... prezziamo i primi segnali

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Sede legale: Via Nobili 9, 42100, Reggio Emilia - C.F. 91020970355

Segreteria: Viale dell’Industria, 24052 Azzano S. Paolo (BG)tel. 035 534123 - fax 035 [email protected]

I quaderni del Gruppo Nazionale Nidi Infanzia

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Governance e qualitàdel sistema integrato

dei servizi per l’infanzia

Firenze, 17 novembre 2006

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GRUPPO NAZIONALE NIDI INFANZIA

Con la collaborazione di ANCI Regionale Toscanae il patrocinio dell’Istituto Innocenti di Firenze

Seminario di studio

GGoovveerrnnaannccee ee qquuaalliittàà ddeell ssiisstteemmaaiinntteeggrraattoo ddeeii sseerrvviizzii ppeerr ll’’iinnffaannzziiaa

Salone Brunelleschi Istituto degli Innocenti di FirenzeP.zza SS. Annunziata, 12 - Firenze

17 novembre 2006

MATTINA ore 10 - 13

Saluti• Alessandra Maggi - Presidente Istituto

degli Innocenti di Firenze• Tullia Musatti - Presidente Gruppo

Nazionale Nidi Infanzia

ESPERIENZE ITALIANE ED EUROPEE

A CONFRONTO

Coordina• Aldo Garbarini - Dirigente Settore Nidi e

Scuole dell’infanzia, Comune di Torino

Relazioni• Rapporti tra Governo centrale e autonomie

locali: l’esperienza catalanaIrene Balaguer - Presidentedell’Associazione Rosa Sensat, Barcellona

• Pubblico e privato nei servizi perl’infanzia: una panoramica europeaPerrine Humblet - Libera Università diBruxelles

• Problemi di governance del sistema inItaliaSandra Benedetti - Responsabile P.O. AreaInfanzia e Famiglia, Regione Emilia-Romagna

• L’esigenza di standard a tutela dellaqualità dei serviziGiovanna Zunino - Segreteria ConfederaleCGIL

Dibattito

POMERIGGIO ore 14 - 17

GOVERNO LOCALE E QUALITÀ DEI SERVIZI PER

L’INFANZIA

Presiede e introduce• Daniela Lastri - Assessore alla Pubblica

Istruzione, Comune di Firenze

Interventi• Il governo del sistema integrato nella

grande cittàMaria Coscia - Assessore alle PoliticheEducative e Scolastiche, Comune di Roma

• Gli strumenti per sostenere la qualità delsistemaLilia Bottigli - Responsabile SistemaIntegrato Servizi Prima Infanzia, Comunedi Livorno

• La formazione del personale: investimentosulla qualità dei serviziElena Giacopini - ResponsabileCoordinamento Pedagogico IstituzioneScuole e Nidi d’infanzia, Comune diReggio Emilia

• Qualità del sistema integrato zero-sei:un’occasione da cogliereAdriana Querzè - Assessore all’Istruzione,Politiche per l’Infanzia, Autonomiascolastica, Rapporti con l’Università,Comune di Modena

• Il ruolo della cooperazione socialeClaudia Fiaschi - Vice presidente Gruppocooperativo CGM - Welfare Italia

Conclusioni

© 2007 Gruppo Nazionale Nidi Infanzia24052 Azzano San Paolo (BG)viale dell’IndustriaTel. 035/534123 - Fax 035/[email protected]

Prima edizione: marzo 2007

Edizioni: 10 9 8 7 6 5 4 3 2 12011 2010 2009 2008 2007

Questo volume è stato stampato daPronto Stampa, Vaprio D’Adda (MI)Stampato in Italia - Printed in Italy

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Indice

ESPERIENZE ITALIANE ED EUROPEE A CONFRONTO

Rapporti tra Governo centrale e autonomie locali:l’esperienza catalanaIrene Balaguer................................................................................................................7

Pubblico e privato nei servizi per l’infanzia:una panoramica europeaPerrine Humblet ..........................................................................................................14

Problemi di governance del sistema in Italia: l’esperienza della Regione Emilia-RomagnaSandra Benedetti ..........................................................................................................20

L’esigenza di standard a tutela della qualità dei serviziGiovanna Zunino..........................................................................................................28

GOVERNO LOCALE E QUALITÀ DEI SERVIZI PER L’INFANZIA

Le politiche per l’infanzia: scelta prioritariaDaniela Lastri ..............................................................................................................33

Il governo del sistema integrato nella grande cittàMaria Coscia................................................................................................................36

Gli strumenti per sostenere la qualità del sistemaLilia Bottigli ................................................................................................................41

La formazione del personale: investimento sulla qualità dei serviziElena Giacopini............................................................................................................48

Qualità del sistema integrato zero-sei: un’occasione da cogliereAdriana Querzè ............................................................................................................55

Il ruolo della cooperazione socialeClaudia Fiaschi ............................................................................................................60

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Gruppo Nazionale Nidi Infanzia

Siamo felici di accogliere ancora unavolta il Convegno Nazionale Nidi Infan-zia. È una bella consuetudine per questasplendida platea poter accogliere operato-ri e amministratori che arrivano da tuttaItalia. Questo per noi è motivo di grandesoddisfazione, in primo luogo perchéemerge il senso dell’attenzione che il no-stro paese dimostra per i bambini e per leopportunità che ai bambini vengono date;in secondo luogo perché momenti di con-fronto, come questi, sono fondamentaliper far crescere la qualità e quantità deiservizi per l’infanzia.

Molti di voi sono già stati qui; per chipartecipa per la prima volta a un’iniziati-va in questo luogo, mi permetto di diresolo due cose: ricordate che dagli inizidel Quattrocento questo luogo si occupadell’infanzia; è stato progettato dal Bru-nelleschi, secondo la volontà del Comunedi Firenze e dei mercanti della seta, peraccogliere i bambini che venivano abban-donati. È un luogo che nei secoli ha mo-dificato le sue caratteristiche; da grandeistituto è diventato un luogo in cui si ge-stiscono servizi per la prima infanzia, sifanno attività di ricerca, formazione e do-cumentazione a vari livelli istituzionali.

Troverete materiale attinente al temache viene sviluppato oggi, materiale che

è stato preparato dal Centro Nazionale diDocumentazione e Analisi sull’Infanzia el’Adolescenza, nonché materiale prodottodalla Regione Toscana sui temi dellaqualità e del costo dei servizi, che rappre-senta un importante elemento di supportoper gli altri approfondimenti.

Credo che momenti come questo, chesi sono susseguiti negli anni, grazie ancheall’attenzione delle istituzioni locali, deinostri Comuni e delle nostre Regioni aiservizi per l’infanzia, hanno rappresentatoun percorso virtuoso. Un percorso che haportato alla presentazione della propostadi legge “zerosei” che, credo, tutti abbia-mo condiviso, perché finalmente prevedela possibilità di trasformare gli Asili nidoda servizi a domanda individuale a servizieducativi. Chi, come me, ha provato a fa-re l’amministratore di Asili nido, ha sof-ferto a lungo della negazione dell’Asilonido come servizio educativo.

Penso che tutti condividiamo questopercorso di continuità e formazione e ap-prezziamo i primi segnali presenti nellaFinanziaria verso i servizi all’infanzia egli Asili nido, ma non bastano. Credo chesia importante sostenere l’approvazionedella legge “zerosei” che fa parte del pro-gramma di Governo. Occorre tenere altal’attenzione su questi temi affinché la

Alessandra MaggiPresidente Istituto degli Innocenti, Firenze

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legge sia approvata e siano garantiti, inmaniera anche superiore a quello che siprevede, i finanziamenti alle Regioni eagli enti locali, necessari per la creazionedi nuovi servizi laddove ce ne sono po-chi, dove non si danno a tutti bambini lestesse opportunità.

Tali finanziamenti sono utili per so-stenere la gestione, poiché in molte Re-gioni del nostro paese i servizi sono mol-ti, di diverse tipologie, perché c’è statauna grande attenzione a quelli che sono inuovi bisogni dei bambini e delle fami-glie. Questo è indice di un lavoro impor-tantissimo che una rete incredibile dioperatori e amministratori hanno fattonel nostro paese. È quindi necessario so-

stenere, da una parte, la creazione dinuovi servizi e, dall’altra, supportarequelli che già esistono, per essere sem-pre attenti ai cambiamenti e continuare amigliorare.

Questo è il nostro auspicio per lagiornata di lavoro e di confronto che sisvolgerà oggi, che è ricca di importanticomunicazioni.

Auguro buon lavoro, sperando chel’attività di questa giornata possa esseredi sostegno alle politiche nazionali rivol-te ai bambini. Inoltre, il convegno non acaso è vicino al 20 novembre, giornataimportante per i diritti dell’infanzia. Mi-gliore collocazione non poteva trovare.Buon lavoro.

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Ringrazio la Presidente Maggi per ilsuo intervento, la sua collaborazione e ilsuo sostegno a questa iniziativa, rinnova-ta anche quest’anno, che ci permette dicollocare la nostra riflessione in uno sce-nario così bello, pregno di significato sto-rico, ma anche importante rispetto allaprogettazione politica per l’infanzia a li-vello nazionale.

Questo seminario si colloca ideal-mente e materialmente a seguito dei pre-cedenti incontri: uno preliminare, che sisvolse a Reggio Emilia nell’aprile del2003, e uno, analogo, che si svolse loscorso anno a Firenze.

Il seminario odierno vuole nuova-mente invitare ad una riflessione ammini-stratori, funzionari, dirigenti, ricercatori etutti coloro che si interessano ai servizidell’infanzia. Sono anni che la nostra as-sociazione “Gruppo Nazionale Nidi In-fanzia” si batte per una nuova normativanazionale, per una presa di posizione daparte del mondo politico, del Parlamento,del Governo, a proposito del problemadell’estensione quantitativa dei servizidell’infanzia, ma anche della necessità direalizzare un’offerta di buona qualità pertutti i bambini. Lo slogan che ha costitui-to il punto di riferimento di molte nostrebattaglie, “I bambini chiedono servizi di

qualità”, è sempre di attualità e le batta-glie che lo hanno assunto sono ancora incorso.

Paradossalmente, le modifiche del Ti-tolo Quinto della Costituzione, che hannocontribuito a rendere obsoleta la normati-va che ancora regola il settore, hanno ul-teriormente modificato l’assetto legislati-vo e il quadro dei rapporti tra i diversi li-velli di governo. Nell’attesa delle diretti-ve per l’applicazione dei trasferimenti fi-nanziari tra Stato e Regioni, la sorte deiservizi dell’infanzia sembra essere rima-sta sospesa in un limbo. Un problema ditutti e di nessuno rispetto a cui i Comunisono spesso lasciati soli a fronteggiare lapressante richiesta delle famiglie, anchenel momento in cui questa richiesta nonriesce ad ottenere un’organizzazione, e idiritti dei bambini continuano ad esseretrascurati e ignorati.

È importante ricordare la sentenzadella Corte Costituzionale che ha ricono-sciuto nella giurisdizione il carattere an-che educativo del servizio nido. La pro-posta del Ministro Moratti, sull’anticipodell’ingresso alla scuola dell’infanzia adue anni e mezzo, ha acceso una polemi-ca che ha portato all’auspicato blocco ditale anticipo e ha permesso di riaprire ladiscussione a proposito della pressante

Tullia MusattiPresidente Gruppo Nazionale Nidi Infanzia

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domanda delle famiglie sui servizi educa-tivi per i più piccoli. Molti Comuni han-no sperimentato nuovi modelli di gestio-ne, sono state delineate nuove forme diintegrazione a livello territoriale. Ci sononuovi problemi, nuovi obiettivi che sonoemersi per mantenere e approfondire laqualità del sistema, per garantire a tutti ibambini e alle loro famiglie, ovunque ri-siedano e qualsiasi servizio frequentino,un’offerta educativa che tuteli le pari op-portunità.

Non si tratta di disegnare machiavelli-ci scenari istituzionali, né di ridefinire as-setti di mercato o di potere fra diversisoggetti, bensì di garantire e tutelare lepari opportunità educative di tutti i bam-bini. Tutti i paesi europei stanno attraver-sando gli stessi problemi; per questo, og-gi, abbiamo con noi due care amiche ecolleghe, Irene Balaguer e Perrine Hum-blet, che sono entrambe esperte di servizidell’infanzia e che la nostra Associazioneha ritrovato, e ritrova spesso, nelle occa-

sioni di riflessione a livello europeo. Laloro presenza qui è indicativa del nostrosentimento comune che, anche nel campodelle politiche dell’infanzia, reputa nonsia più tempo di restare entro i confininazionali. Ora è tempo di Europa, è tem-po di conoscere la situazione degli altripaesi e di riconoscere, al di là delle storiee delle differenze locali, la matrice comu-ne dei problemi che emergono. È neces-sario comprendere le esigenze delle fami-glie, i diritti dei bambini e trarne ispira-zione nuova per affrontare in manieracongiunta, non necessariamente identica,ma complementare e solidale, i problemiche emergono, per dare una prospettivaeuropea alla soluzione dei loro problemie alle politiche dell’infanzia a livello lo-cale e nazionale.

Auguro buon lavoro a tutti e speroche, anche oggi, si riesca a compiere unariflessione e a produrre in comune delleproposte per portare avanti le nostre bat-taglie.

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Esperienze italiane ed europee a confronto

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Innanzitutto, desidero ringraziare ilGruppo Nazionale Nidi Infanzia peravermi invitata a prendere parte a questocongresso, che si svolge in questa bellis-sima città, in questo spazio che, come ègià stato detto, è pieno di storia sull’in-fanzia, l’istituto “degli Innocenti”, con lesue attività, iniziative e ricerche, che co-stituiscono un punto di riferimento inelu-dibile per tutti noi che lavoriamo nelcampo dell’educazione.

Innanzitutto, devo avvertirvi che nonho focalizzato il mio intervento sull’edu-cazione al nido e alla scuola dell’infan-zia, ma ho affrontato il tema del signifi-cato che ha avuto per la Spagna e, in de-finitiva, per l’educazione, il processo ditransizione verso l’autonomia. Non ba-serò il mio intervento solo sull’esperien-za della Catalogna, ma cercherò di defi-nire il panorama a livello nazionale.

Nella realtà spagnola, la questione deldecentramento, o dell’autonomia, si èsviluppata ad una velocità straordinaria;in un quarto di secolo siamo passati dauno Stato centralizzato e centralista a unoStato con 17 Comunità autonome.

Questa importante trasformazione haoriginato due grandi dibattiti iniziali, in-nanzitutto ci si chiede se tutte le Comu-nità sono uguali; io non so se in Italia esi-

ste lo stesso problema, ma in Spagna ab-biamo comunità caratterizzate da storia,cultura e lingua proprie e volevamo che atali entità venisse riconosciuta una mag-giore autonomia.

Nel corso del mio intervento insisteròsulla parola autonomia, più che sulla pa-rola decentramento. Autonomia significapiù potere e capacità di autogoverno. De-centramento, invece, significa gestionedel governo di qualcun altro. Io credo chesi tratti di una sfumatura importante perriflettere sul tema che ci interessa.

Alla fine, il dibattito iniziale si è con-cluso con l’istituzione di cinque Comu-nità essenzialmente autonome, denomi-nate “storiche”, e dodici Comunità, o Re-gioni, caratterizzate da un minore gradodi autogoverno.

Il secondo grande dibattito ha riguar-dato le competenze che tali nuove Comu-nità autonome dovevano avere: pieni po-teri in materia di salute, benessere socia-le, cultura ed educazione, e potere condi-viso in materia di industria, lavoro, eco-nomia e finanza, giustizia e sicurezza. Inquesto modo, si definirono i temi ritenutipiù o meno prioritari.

Oltre al trasferimento di competenzea diciassette governi autonomi, con i re-lativi Parlamenti, in Spagna abbiamo vis-

Rapporti tra Governocentrale e autonomie locali:

l’esperienza catalanaIrene Balaguer

Presidente dell’Associazione Rosa Sensat, Barcellona

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suto un’ulteriore realtà, che ritengo nonsi possa dimenticare e alla quale Tulliaha già accennato, parlando dell’estensio-ne dell’educazione e dei servizi per i mi-nori di tre anni: si tratta dell’Europa, cheassorbe competenze statali.

Oggi, il modello statale configuratosidurante il ventesimo secolo è in crisi,dobbiamo esserne consapevoli. Da un la-to, gli Stati devono necessariamente ce-dere competenze all’Europa per potercontinuare ad essere forti e per avere unruolo nel mondo; dall’altro, per poter agi-re in modo più adeguato nella realtà con-creta di ogni popolazione, essi devonomettere in atto un processo di decentra-mento o di autonomia. Si tratta, indubbia-mente, di un grande cambiamento che dàorigine a una situazione di crisi, pertanto,ci troviamo a vivere un processo moltocomplesso e non privo di difficoltà.

Che cosa ha comportato la transizioneverso l’autonomia nel campo dell’educa-zione? La Spagna era un paese accentra-tore, fascista e uniformatore; tutto era de-ciso a Madrid, ma senza arrivare all’a-neddoto che sempre si racconta, ovveroquello dell’orgoglioso ministro dell’edu-cazione francese che diceva: “Oggi èmartedì, sono le dodici, tutti i bambini diFrancia stanno studiando la geografiadel Rosellon...”; in Spagna non si maigiunti a questo punto, non per volontà,ma perché non se ne aveva la capacità. Ilcentralismo ha comunque fatto moltidanni, ad esempio nella costruzione diedifici; potrebbe sembrare una stupidag-gine, ma non lo è: la Spagna è un paeseche presenta molte differenze tra il nord-est e il sud. Nel nord-est piove sempre,nel sud c’è sempre il sole e tuttavia gliedifici erano uguali ovunque e i bambinio morivano di caldo o avevano freddo.

Inoltre, tutti i mobili erano uguali, tutte lesedie erano uguali, tutto il materiale erauguale. Questa non è uguaglianza, è di-scriminazione, sociale e culturale.

Lo Stato centralizzato, almeno inSpagna e, credo, anche in Italia, ha creatograndi disuguaglianze. Tra i vari territorice n’erano di più poveri, che erano ab-bandonati a se stessi, come la Galizia,l’Extremadura e l’Andalusia. Uno Statocentrale non è garanzia di pari opportu-nità. In queste regioni del paese, non tuttii bambini in età scolare obbligatoria era-no scolarizzati. Non tutti i bambini.

Lo Stato centralizzato generò anchegrandi differenze tra copertura pubblica ecopertura privata. Concretamente, la Ca-talogna contava solo un terzo dei bambininella scuola pubblica, mentre nel restodel paese la scuola pubblica accoglievapiù del 70% dei bambini. La Catalognaera discriminata, con la scusa della suapresunta ricchezza, ma non era vero: laverità è che attribuivamo valore all’edu-cazione e pertanto l’iniziativa sociale simise in moto.

Autonomia significa capacità legisla-tiva, capacità di stabilire normative, di fa-re politica, capacità di gestione. Oggi, inquesto contesto di trasformazione dellestrutture, possiamo avere delle prospetti-ve: le Comunità storiche hanno autono-mia nella gestione di tutta l’educazione,università compresa, da vent’anni. Le al-tre dodici Comunità autonome, dotate diminori competenze, esercitano i loro po-teri da dieci anni; queste Comunità hannoricevuto pieni poteri solo per quanto ri-guarda l’educazione da zero ai sei anni,cosa che oggi fa la differenza.

Quali cambiamenti sono avvenuti inquesto periodo? Penso che la trasforma-zione sia stata straordinaria, anche se è

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chiaro che non tutti i miglioramenti inmateria di educazione in Spagna sono at-tribuibili alla questione dell’autonomia.

Ritengo necessario sottolineare che, inquesto periodo di democrazia, abbiamoavuto quattordici anni di governo sociali-sta; questo sì che fa la differenza. E tutta-via, è indubbio che anche il decentramen-to abbia contribuito al miglioramento.Oggi, quantitativamente, in tutte le Co-munità autonome, in tutta la Spagna, ibambini dai 3 ai 16 anni sono scolarizzati.Tutti. In Andalusia come in Galizia, inEuskadi come in Catalogna, in tutta laSpagna. Credo che si tratti di un datoquantitativo straordinario, perché signifi-ca scuola primaria per tutti, estensione dai14 ai 16 anni obbligatoria per tutti, esten-sione della scuola dell’infanzia per tutti.Sono pochi i paesi europei che in un pe-riodo di tempo così breve hanno fatto unbalzo quantitativo così importante.

Complessivamente, in Spagna, c’è at-tualmente un’offerta per i bambini da 0 a3 anni superiore al 20%. Più del 20% deibambini sono scolarizzati. In questo am-bito ci sono differenze tra le Comunitàautonome: nello 0-3, tali differenze devo-no necessariamente procedere nella dire-zione di un livellamento, perché la realtàsociale si sta uniformando.

Dal punto di vista qualitativo, l’auto-nomia segna una differenza più rilevante.Si è guadagnato in diversità. La diversitàè un elemento fondamentale della qualità,perché tutti sappiamo che l’equità non èuguaglianza, ma differenza. E si è guada-gnato anche in umanità: l’amministrazio-ne vicina è quella che dialoga, che cono-sce, che non è anonima. Tutti aspetti cheincrementano la qualità.

Parallelamente a questo processo po-litico, si è verificato un importante pro-

cesso legislativo. Citerò soltanto quattroleggi; ce ne sono state molte di più, ma sitratta di un vero disastro e ne spiegherò imotivi.

Nel 1985 è stata promulgata una leg-ge fondamentale, una legge organica inmateria di diritto all’educazione. Le suefinalità principali erano due: da un lato,la legge riconosceva che nella realtà spa-gnola esistevano due reti scolastiche, unapubblica e una privata; tuttavia, la scuolaprivata finanziata con fondi pubblici do-veva essere democratizzata. Le scuoleprivate che ricevevano fondi pubblicinon potevano fare quello che volevano,dovevano invece condividere le propriedecisioni con la comunità educativa: sitrattava della gestione sociale. Così, lescuole private dotate di fondi pubblici sisono aperte al dialogo con i genitori econ i maestri, con il loro contesto socia-le; questo è stato un cambiamento fonda-mentale.

Dall’altro lato, nemmeno il Governo,o i Governi autonomi, in materia di edu-cazione potevano decidere da soli le leggie le norme. Ogni azione, ogni politica,ogni norma in materia di educazione do-veva essere discussa per giungere al con-senso; nei limiti del possibile, studenti,sindacati, genitori, lavoratori, ammini-strazioni, tutti dovevano discutere previa-mente le leggi sull’educazione.

Dal mio punto di vista si trattava diun’idea straordinaria, perché dava stabi-lità al sistema educativo, ma nella realtànon è stato così. Spesso le leggi hannobuoni propositi che però non si converto-no in realtà.

Nel 1990, giunse un’altra grande leg-ge, che voleva dare ordine al sistemaeducativo. Per noi che lavoriamo nell’e-ducazione da 0 a 6 anni, si tratta di una

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legge fondamentale. Per la prima volta,in Spagna è stato riconosciuto il dirittoall’educazione dei bambini da 0 a 6 anni.Tale diritto porta con sé una serie diaspetti connessi, come curriculum, for-mazione dei maestri, servizi di sostegnoper l’innovazione.

Questa legge non ha trovato piena ap-plicazione per diverse ragioni: innanzitut-to perché non era accompagnata dai ne-cessari finanziamenti; una legge può direcose meravigliose, pero è necessario ildenaro per trasformarla in realtà. E nonsolo il denaro: a volte il denaro c’è, maanziché guardare avanti, si guarda indie-tro. Per questi due motivi la legge non èstata implementata completamente, mane esiste anche un terzo, ovvero che lepersone che dovevano sforzarsi di con-vertirla in realtà, ossia i sindacati, le am-ministrazioni e i professori, nel momentoin cui si trovarono a modificare le proprieidee e la propria situazione, hanno rispo-sto “sentite, è molto comodo così com’è,perché dovremmo cambiare?”. Questoatteggiamento rappresenta una grave dif-ficoltà, anche perché in Spagna, lo ribadi-sco, abbiamo sindacati incapaci di pensa-re alla società, ma che pensano soltanto acome rafforzarsi dando ai loro affiliaticompiti facili.

La legge ha incontrato anche un altroproblema, ovvero l’insediamento del Go-verno Aznar, il quale vinse le elezionicon dieci milioni di voti. È un dato im-portante, perché significa che nel paeseera presente un’atteggiamento conserva-tore, che non capiva una legge tesa al fu-turo. Questa era la realtà. L’idea conser-vatrice esisteva, era potente, e non volevaquesta legge.

Alla fine, questa ala conservatrice hafatto la sua legge nel 2004; si tratta di

una legge piena di cinismo, il cui unicoscopo era distruggere la qualità.

Innanzitutto, opera una distinzione: lo0-3 è essenziale per aiutare le donne, lefamiglie, per essere europei e più moder-ni, negli orari e in tutto il resto. Un discor-so perfetto. Per i bambini dai 3 ai 6 anni,come per quelli della scuola dell’obbligo,l’istruzione deve soprattutto modernizzar-si, prevedendo nei contenuti l’inglese, lalettura, le scienze matematiche e quanto dipiù moderno ancora, ovvero le nuove tec-nologie, che si limitano a un computer chefa le stesse cose poco creative che si pos-sono fare anche nella scuola più tradizio-nale. Inoltre, i bambini sono diversi e, so-prattutto, abbiamo bambini “superdotati”che non possono stare con bambini “sub-dotati”, no? Quindi, segregazione deibambini in funzione della loro provenien-za sociale e delle loro capacità. Fantasti-co! Il “mondo felice” di Huxley. Bisognaandare a scuola, non a fare cose divertentio piacevoli, ma a fare fatica.

Sappiamo tutti, soprattutto noi che la-voriamo con i bambini più piccoli, cheper camminare tutte le persone, tutti ibambini, fanno fatica; ma lo facciamoperché vogliamo, non perché ci viene im-posto dall’esterno. Parliamo di sforzo indue sensi opposti, e il loro sforzo è quelloche viene da fuori, la fatica e la discipli-na, tutti seduti, tutti uguali, tutti quieti eriposati...

È una legge che riduce la partecipa-zione e che è molto moderna, perché ren-de la scuola simile a un’impresa che devegestire la propria attività in modo ottima-le, ottenendo risultati immediati, econo-mici e accademici, e deve diventare com-petitiva, invece che competente.

L’altro aspetto significativo di questamagnifica legge del nostro gruppo con-

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servatore è che la religione diventa unamateria d’esame. Sì, una disciplina chediventa esame, e il computer per esserepiù concorrenziali, terribile.

Fortunatamente, questa legge che havisto molte persone, molte famiglie e so-prattutto molti “intellettuali” favorevoli,non è poi stata applicata, poiché nel 2004ha vinto le elezioni di nuovo il partito so-cialista, il quale ha sostituito la legge conuna nuova, approvata nel 2006; è unalegge molto innovativa, che recupera al-cuni dei principi contenuti in quella del’90: definisce l’educazione da 0 a 6 annicome “educazione”, recupera la scuolainclusiva da 6 a 16 anni, elimina la segre-gazione dei bambini, consente lo studiodelle religioni in orario extrascolastico,restituisce la partecipazione ai centri.

Nonostante queste quattro idee di fon-do, dal mio punto di vista la legge del2006 ha ceduto ad alcune pressioni. Larealtà sociale spagnola degli anni ’80, leidee dominanti, non sono le stesse ideeche circolano nel 2000. Siamo cambiati.Malgrado alcune buone qualità, questalegge ha ceduto di fronte ad alcune pres-sioni corporative; chiede sforzi a tutti,chiede sforzi ai maestri, ai genitori, aibambini, all’amministrazione. Solo a sen-tire la parola sforzo mi stanco! È una leg-ge che dimostra un certo timore e chenon vuole cambiare tutto: per l’educazio-ne la stabilità è necessaria e il pensierodella società si è manifestato in alcuneidee forti che non possono essere elimi-nate di punto in bianco, perché non sa-rebbe salutare per la società. Ad esempio,l’idea dello sforzo, ovvero: va bene, ibambini devono sforzarsi, ma anche iprofessori, i genitori e l’amministrazionedevono sforzarsi. Stiamo a vedere chesuccede, è una legge nuova.

È nelle politiche delle Comunità auto-nome che si nota la differenza. Le dodiciComunità autonome a cui è stata attribui-ta responsabilità solo in materia di 0-6,hanno fatto progressi straordinari, perchési sono focalizzate esclusivamente suquesta fascia d’età. Hanno prodotto rego-lamenti, pianificazioni, programmi di la-voro e di formazione per studenti e pro-fessori, hanno fatto un grande lavoro. Alcontrario, le altre Comunità hanno dovu-to distribuire le proprie responsabilità sututto il sistema educativo e non hannofatto nulla per lo 0-6, perché la scuoladell’obbligo aveva più difficoltà e richie-deva più attenzione.

Naturalmente, l’autonomia ha prodot-to politiche differenti; in alcune Comu-nità, principalmente con governi di destra,è cresciuta la rete privata di gestione del-l’educazione infantile da 0 a 6 anni; in al-tre si è verificata una crescita straordina-ria e diversificata dell’educazione 0-6pubblica, in quanto esse hanno compresoche una città grande come Madrid non èuguale a un paesino piccolo vicino a Ma-drid, o una città di 150.000 abitanti nellaperiferia di Madrid. Di conseguenza, que-ste Comunità hanno portato avanti unasplendida politica di diversificazione. Eancora, ci sono alcune Comunità che han-no percorso un’altra strada: tutto il 3-6privato oppure gratuito, mentre per quan-to riguarda lo 0-3, si dà ai genitori un as-segno per assicurare maggiore libertà discelta, cosicché tutta la responsabilità del-l’educazione ricade sulla famiglia.

Alcune considerazioni su tale realtà:all’inizio ho detto che si tratta di un pro-cesso davvero complesso e che la com-plessità, una complessità caratterizzata daresistenze, può essere compresa, decen-trata, ma attribuire la mia responsabilità

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ad altri costa: poteri ad altri, risorse ad al-tri, influenze ad altri. E si tratta di unadifficoltà oggettiva non solo per i politici,ma anche per le persone che lavoranonell’amministrazione, perché spesso per ipolitici si tratta di una situazione transito-ria, mentre chi lavora al Ministero daquarant’anni e perde potere, incontragrandi difficoltà.

Dal mio punto di vista, un altro pro-blema è rappresentato dalla confusione.Alcune Comunità fanno confusione tra laparola autonomia e la parola indipenden-za, che non sono la stessa cosa, e pensanodi non essere più parte della Spagna: noncomunicano allo Stato i dati sui bambinie, di conseguenza, la Spagna non può co-municare i dati all’Europa perché le Co-munità autonome rispondono “no, chiu-so, è il mio territorio e faccio quel che mipare”. Questa non è autonomia.

Un’altra considerazione: uno Statodecentrato o autonomo non può rinuncia-re alla previsione finanziaria. Il potereappartiene alla Regione autonoma, ma io,Stato, sono ancora responsabile di tutti icittadini, e non devo rinunciare a questo.La Spagna è ancora oggi il paese europeocon la percentuale più bassa di educazio-ne. Ciò è dovuto al fatto che lo Stato nonsi sente responsabile dei poteri che hatrasferito. Si tratta di un processo che ri-chiede due elementi fondamentali, esatta-mente come ciò che ci chiedono i bambi-ni: tempo e stabilità. In 15 anni abbiamoavuto tre possibili leggi; è impossibile re-sistere continuamente a questi cambia-menti, la stabilità legislativa è necessaria.Inoltre, per passare da uno Stato centra-lizzato a uno Stato decentrato o costituitoda autonomie è necessario un cambia-mento di mentalità, e cambiare mentalitàè la cosa più difficile. Quando ho pensato

a questo, ho pensato a Loris, che diceva:per favore, non formate gli educatori,perché dobbiamo fare un doppio lavoro,riformare e formare di nuovo, perchédavvero, e questo è certo, non si puòcambiare una struttura senza cambiare latesta delle persone che devono fondaretale struttura. E cambiare la mentalità ri-chiede tempo.

Un paradosso: i paesi europei chepresentano un maggior grado di decentra-mento sono i paesi scandinavi. Chi go-verna in materia di educazione e in moltialtri ambiti sono i piccoli Municipi. Cisono paesi dotati di un sistema educativomigliore e alcuni sostengono che funzio-ni perché si tratta di paesi piccoli, ma ionon credo sia un problema di dimensioni,bensì di mentalità. Si tratta di paesi chenel corso di un secolo hanno costruitouna realtà diversa, dal basso verso l’alto,dal Municipio allo Stato, una dimensionedi prossimità in cui tutti sono egualmenteresponsabili. Un’altra cosa importanteconsiste nell’essere consapevoli che lapluralità non è un gruppo, è il tutto, e latrasparenza e il dialogo sono fondamen-tali perché tutti siamo “noi”; per giungerea questa consapevolezza, a mio parere, ènecessario molto tempo.

Due considerazioni finali di caratteregenerale. Da un lato c’è l’Europa, che de-tiene potere, determina gli obiettivi poli-tici; una delle indicazioni europee di que-sto periodo è il decentramento: perché?Secondo me il decentramento presentaaspetti molto positivi, ma anche altrettan-ti aspetti pericolosi, perché a volte, quan-do si parla di decentramento, si parte daun’altra prospettiva che condividiamo,ovvero quella della Banca mondiale, delNeoliberismo e dell’individualismo, difare di più con meno denaro. E non pos-

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siamo dimenticare che oggi in Europaqueste idee ricevono molti consensi; mol-ti Governi europei sono neoliberisti equando prendono decisioni che influisco-no su tutti, tali decisioni sono impregnatedi questa idea. Quando si va nei paesidell’America Latina, dell’Africa, si vedechiaramente che, qui, in Europa tuttosembra uguale, e invece non lo è.

Un’ultima cosa. Dal mio punto di vi-sta, l’autonomia, o il decentramento, devebasarsi su un principio di uguaglianza e,pertanto, è necessario un sistema integra-to e coordinato, in cui il ruolo dello Statosia quello di garantire la coerenza del si-stema stesso, mentre il ruolo degli enti re-gionali o locali sia quello di garantire la

diversità. Se non esistono questi due ruo-li, secondo me, non può funzionare.

Infine, un’ultima cosa: la partecipa-zione, la gestione dell’educazione, da unasilo a un territorio, fino alla gestione diuna Regione o di uno Stato, deve esserepartecipata e democratica; tutte le vocidevono essere una sola voce. E prego voitutti, per favore, di non permettere che lavostra esperienza lavorativa trentennalenei Comuni italiani per l’educazione deibambini da 0 a 6 anni venga persa. Nonper voi, bensì per noi; abbiamo bisognoche l’Italia intraprenda un percorso di de-centramento per lo 0-6, per progredire insenso positivo e incrementare la qualitàin tutta l’Europa.

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Presenterò una riflessione sul rappor-to fra pubblico e privato, svolta a livelloeuropeo nell’ambito della rete di “Bam-bini in Europa”, che è una rivista pub-blicata in otto lingue contemporanea-mente.

Il numero undici di “Bambini in Euro-pa” tratta del rapporto tra il settore pub-blico e quello privato. Sono stati intervi-stati, in qualità di testimoni privilegiati,esperti di nove paesi: Germania, Belgio,Danimarca, Spagna, Francia, Ungheria,Italia, Paesi Bassi, Regno Unito. Sonostate loro poste queste domande: “Che co-s’è il settore pubblico?”, “Che cos’è il set-tore privato?”, “E quali sono le relazionitra loro oggi e nel passato?”. Quando ab-biamo esaminato a che cosa corrispondo-no il settore pubblico e privato nei diversipaesi, abbiamo visto che si possono indi-viduare quattro settori. Innanzitutto, unsettore pubblico, in cui tutti i servizi sonointeramente organizzati e finanziati da en-ti pubblici e un settore, che abbiamo chia-mato semi-privato, che fornisce serviziprivati, ma che hanno finalità sociali, edu-cative e culturali e ricevono un finanzia-mento da parte del settore pubblico. Visono, poi, altri due settori: il settore pro-priamente privato, che raggruppa serviziofferti da persone fisiche o da piccole e

medie imprese a scopo di lucro, e il setto-re aziendale, più raro, in cui imprese pub-bliche o private organizzano in modo in-dipendente servizi per l’infanzia per i figlidei loro dipendenti.

I quattro settori si combinano tra lorodiversamente nei diversi paesi, ma si pos-sono distinguere facilmente i paesi a mag-gioranza pubblica, in cui ci si basa sostan-zialmente su una concezione di responsa-bilità da parte della collettività per i servi-zi dell’infanzia. In altri paesi prevale, in-vece, la concezione secondo cui i servizidell’infanzia sono una responsabilità deiprivati, e lo Stato non deve intervenire,tranne che per promuovere i servizi.

Analizzerò più diffusamente due esem-pi: la comunità francofona del Belgio, dacui provengo, e il Regno Unito.

Nel Belgio francofono i servizi accol-gono il 30% dei bambini sotto i tre anni.La differenza tra i dati relativi ai bambinifra zero e due anni e mezzo e i bambinifra zero e tre anni è data dal fatto che, apartire dai due anni e mezzo, alcuni bam-bini frequentano la scuola dell’infanzia.Questi posti sono offerti per tre quarti dalsettore pubblico e da quello semi-privato,cioè enti privati non profit, ma con fina-lità sociali e culturali.

Pubblico e privato neiservizi per l’infanzia:

una panoramica europeaPerrine Humblet

Libera Università di Bruxelles

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Nel Regno Unito, considerando i bam-bini fino a quattro anni, abbiamo una pre-dominanza dei settori privati, perché il90% dei servizi è offerto da enti e impreseprivate a scopo di lucro.

I rapporti fra il settore privato ed ilsettore pubblico hanno una lunga storiaalle spalle. Nella maggior parte dei paesitroviamo delle iniziative di tipo filantro-pico a scopo di carità già nell’Ottocento.È solo nel XX secolo che si sviluppaun’iniziativa dello Stato con finanzia-menti pubblici e un’organizzazione delsettore pubblico. I differenti regimi poli-tici conoscono un’evoluzione verso lacentralizzazione, oppure, alternativamen-te, un’espansione del servizio privato, ocomunque la costruzione di una rete se-mi-privata cioè privati con finanziamentopubblico e privati senza scopo di lucro,tra cui è fortissimo l’intervento degli or-ganismi religiosi, ossia la Chiesa.

In Belgio, nel secolo diciannovesimosi assiste all’espansione di un settore pri-vato ai servizi dell’infanzia a scopo filan-tropico. L’idea che anima questa iniziati-va è quella di educare, ma anche di con-trollare, i bambini delle classi popolari,che sono considerate classi pericolose.Nel 1919, l’insieme delle opere per l’in-fanzia di tipo filantropico viene riunito inun organismo parastatale “L’Oeuvre Na-tionale de l’Enfance”, cioè “L’Opera Na-zionale dell’infanzia”, un ente finanziatodallo Stato, nel cui Consiglio di Ammini-strazione siedono rappresentanti degli en-ti privati a scopo filantropico che decido-no presto di finanziare tutti gli enti chegestiscono servizi per l’infanzia, che sia-no pubblici o semi-privati, comunali oprivati senza scopo di lucro, sulla base dicriteri di funzionamento uguali.

Invece, non si opera nessun controlloper quanto riguarda i servizi per l’infan-zia del settore privato, che sono per altrodi cattiva qualità, con l’importante ecce-zione delle tate a domicilio, dette nourri-ces o gardiennes, che sono sottoposte acontrolli abbastanza vigili.

Quale situazione si trova attualmentein Europa rispetto all’organizzazione deisistemi dei servizi dell’infanzia? General-mente, il sistema adottato in Europa è di-viso in funzione dei gruppi di età, conun’importante eccezione dei paesi scandi-navi. Vi è un sistema per i bambini dai treai sei anni, o comunque dai tre anni pertutto il periodo antecedente all’obbligoscolastico, per i quali si riconosce il dirit-to all’educazione; i servizi per questa etàsono realizzati dal settore pubblico e dalsettore semi-privato con l’idea che i servi-zi per l’infanzia siano un bene pubblico.

Invece, per i bambini sotto i tre annila situazione è molto più diversificata,più eterogenea e influenzata da logiche dimercato.

Anche nei paesi in cui sulla carta siriconosce il diritto all’educazione per tut-ti, anche per i bambini più piccoli, inrealtà i servizi rivolti a questa fascia d’etàcostituiscono un’opportunità solo per unafascia della popolazione infantile. La si-tuazione è, infatti, caratterizzata da unascarsità di servizi e dalla carenza di inve-stimenti pubblici, e si ritrovano combina-zioni variate dei quattro settori: pubblico,semi-privato, privato ed aziendale.

Vale la pena di esaminare più a fondol’esempio del Belgio anche perché si col-loca in una situazione mediana fra i paesinordici e gli altri paesi europei. La scuoladell’infanzia è basata sull’idea del dirittoall’educazione; in effetti è molto apertaanche in termini di orari a tutti i settori

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della popolazione infantile. Il settore ruotaintorno ad una forte rete pubblica, più unarete semi-privata; non è presente nessunprivato e ci sono combinazioni variabilifra queste dimensioni, che sono spiegabilistoricamente. Voi sapete che il Belgio èorganizzato per comunità linguistiche;nella comunità fiamminga, che si situa so-prattutto nel Nord del paese, un terzo del-l’offerta di scuole materne per bambinidai tre ai sei anni è data dal settore pubbli-co, mentre i restanti due terzi dal semi-pri-vato; al contrario, nella zona francofona,situata nella parte meridionale del Belgio,

due terzi dell’offerta è data dal settorepubblico e un terzo dal semi-privato. Tut-tavia, complessivamente è accolto il 95%circa dei bambini in età, la scuola è gratui-ta e i criteri di base per ricevere finanzia-menti sono identici per i due settori.

Per i bambini sotto i tre anni, ritrovia-mo la situazione che avevo preannuncia-to per tutti i paesi: il servizio è un’oppor-tunità per alcuni, poiché (come si vedenella Figura 1) vi sono enormi disugua-glianze geografiche, che sono dovute apolitiche locali differenti, e si va da unminimo del 6% a più del 30%.

Figura 1. Tasso di copertura per Provincia nel Belgio:n. posti/n. bambini <3 anni (anno 2000)

6%26%

15%31%

22%

n. posti/n. bambini <3 anni 20% Fonte: ONE KG. Elaborazione: Lorant & Portet, HSR-UCL 2003

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In effetti, troviamo servizi forniti dadiversi enti e gestori pubblici, semi-pri-vati e privati. È un’offerta molto variabi-le e ci sono sovvenzioni rivolte sia ai ser-vizi che ai genitori, in forma di riduzionifiscali. Ciò incoraggia nelle famiglie unalogica di mercato, perché la deduzione fi-scale è garantita loro indipendentementedall’ente gestore.

Nel Regno Unito, che vi ricordo esse-re un esempio di una situazione connota-ta da una prevalenza del settore privato,per quanto riguarda i bambini da tre aquattro anni, c’è un’iniziativa politica re-cente che sancisce il diritto all’educazio-ne dai tre ai cinque anni (qui l’obbligoscolastico comincia a cinque anni); questiservizi sono gestiti dal settore pubblicoinsieme al privato. I servizi, che offronouna copertura dell’80%, sono riconosciu-ti come un bene pubblico, sono gratuiti ehanno una funzione principalmente edu-cativa; tuttavia, poiché funzionano part-time, il loro utilizzo da parte delle fami-glie in cui entrambi i genitori lavorano, odalle famiglie monogenitoriali, è diffici-le. Per i bambini sotto i cinque anni, c’èuna grande scarsità di servizi e una parteconsistente è fornita dal privato a scopodi lucro, ma con deduzioni fiscali per lefasce più povere della popolazione. C’èuna forte dipendenza del settore pubblicodal mercato ed esistono dei servizi pub-blici, i centri integrati, che operano subase comunitaria, ma sono organizzati inuna prospettiva di assistenza sociale.

Per concludere, quali sono le tendenzeevolutive che abbiamo potuto osservare?

Una prima tendenza riguarda la co-struzione di un sistema integrato dei set-tori pubblico, privato e semi-privato.

In questa prospettiva si cerca di lavo-rare per la qualità dei servizi, richiedendogli stessi criteri di qualità nei diversi set-tori, ma nell’esperienza osservata neipaesi considerati in questa analisi, si evi-denziano delle forti difficoltà a causa, in-nanzitutto, delle differenze strutturali tra isettori stessi. Ci sono differenze nellecondizioni di lavoro degli educatori, co-me si è rilevato sia nel Regno Unito chein Belgio, ma ci sono anche grosse diffe-renze nelle funzioni dei servizi offerti daidiversi settori; la funzione economica(cioè la finalità perseguita di garantire illavoro o gli studi ai genitori); la funzioneeducativa; la funzione di integrazione so-ciale. I settori privilegiano in maniera di-versa l’una o l’altra funzione.

Queste diverse filosofie di lavoro, cheinteressano anche i singoli servizi, si ri-flettono nei rapporti tra i servizi stessi,perché spesso comportano difficoltà intermini di integrazione in un sistema piùampio. C’è poi da rilevare la difficoltàdata dal grande turn-over degli operatorinei servizi privati, ma anche dal turn-over a bassa stabilità dei servizi stessi e,naturalmente, dalle differenti risorse fi-nanziarie di cui si dispone.

La seconda tendenza è collegata a ciòche Irene Balageur indicava come il“neoliberalismo imperante” nei diversipaesi europei e il ricorso al settore priva-to con l’obiettivo di aumentare la coper-tura e l’utenza dei servizi. La raccoman-dazione di Barcellona è importante per-ché indica l’obiettivo della copertura del33% per i bambini sotto i tre anni, e del95% per i bambini più grandi. Ha genera-to facili confusioni perché è basata suobiettivi chiari, quantificabili – le percen-tuali che abbiamo riportato – ma senza

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precisare come tali obiettivi devono esse-re raggiunti. Non precisa niente a propo-sito del rapporto privato-pubblico e, so-prattutto, dà poche spiegazioni sulle ra-gioni di questi obiettivi, sul perché è im-portante offrire questa copertura della do-manda. La prima motivazione evocata èquella di armonizzare il mercato dell’of-ferta dei servizi nei diversi paesi europei,con uno sguardo alla mobilità dei lavora-tori i quali, trasferendosi, si devono potertrovare di fronte condizioni uguali perquanto riguarda i servizi dell’infanzia,senza avere in testa necessariamente l’o-biettivo di soddisfare la domanda. Questoè l’esempio del Belgio in cui si dice “Ab-biamo già il trenta percento, e quindi sia-mo a posto…”.

Il secondo motivo addotto per ricorre-re al settore privato è quello di introdurrela concorrenza tra servizi con l’obiettivodi migliorare l’efficienza di tutti agli stes-si costi.

Il terzo motivo addotto è di soddisfarela domanda, permettendo ai genitori discegliere ciò che preferiscono. È il casodei Paesi Bassi che, nel 2005, hannoadottato questa prospettiva politica relati-vamente all’organizzazione dei servizidell’infanzia. Nei Paesi Bassi, per quantoriguarda i bambini sotto i sei anni, lascelta è stata di disinvestire completa-mente dal settore pubblico e dal semi-pri-vato e di dare delle sovvenzioni pubbli-che direttamente ai genitori, che poi leutilizzeranno privatamente per soddisfarela loro richiesta. I genitori possono inol-tre richiedere una sovvenzione ai datoridi lavoro. L’offerta è totalmente privata el’idea è che il mercato guiderà la sceltadei genitori in base al rapporto tra qualitàe prezzo. Il risultato più immediato diquesta situazione è che l’informazione

sui servizi e sulla loro qualità è prodottadirettamente dagli enti gestori. Il control-lo della qualità non è considerato comeun interesse da parte pubblica, ma sonogli stessi enti gestori che si sono organiz-zati per produrre insieme delle carte diqualità.

La qualità è oggetto di controversia.Negli anni precedenti c’era stato un fortemiglioramento della qualità dell’offertadei servizi per l’infanzia nei Paesi Bassi.Ma, a partire dal 2005, a seguito di que-ste misure, sembra esserci stata una cadu-ta in termini di qualità.

Un altro elemento oggetto di contro-versia è il fatto che le sovvenzioni sonodistribuite attraverso i datori di lavoro,poiché i servizi sono accessibili solo aigenitori attivi nel mercato del lavoro.

Un terzo punto oggetto di controver-sia è che la funzione economica, cioèl’obbiettivo del sostegno al lavoro deigenitori, prevale sulle finalità educativee sociali. Il dibattito attuale riguarda so-prattutto quest’ultimo problema ed èpossibile che, proprio a partire dalla cri-tica su questo punto, si ritorni a conside-rare dei forti cambiamenti in tutto il si-stema.

Per concludere, a proposito di questaseconda tendenza che esiste in Europa, inbase alla quale si ritiene che per i servizidell’infanzia si debba ricorrere al merca-to, penso che sia necessario valutare il si-stema integrato nella sua totalità, nellaprospettiva dell’equità sociale. Dobbiamochiederci se non stiamo concentrando lerisorse educative sui bambini socialmentefavoriti e se non stiamo introducendo deifattori importanti di iniquità sociale.Dobbiamo valutare se i servizi sono ac-

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cessibili rispetto al luogo di residenza ealle risorse dei genitori e se l’accessibilitàè legata alla capacità dei genitori di infor-marsi e alla loro posizione nel mondo dellavoro.

Spesso l’unica questione evocata persostenere la necessità dell’espansione dei

servizi per l’infanzia è quella della fina-lità economica e del sostegno al lavorogenitori. Dobbiamo chiederci se questonon ci porta a costruire un sistema in cuisono presenti fattori importanti di dise-guaglianza sociale tra i bambini e tra lefamiglie.

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Il concetto di governance e il quadronormativo nazionale ed europeo che lo definisce e lo legittima nelle politiche di decentramento

Nel linguaggio corrente con il termi-ne governance si intende, sia in ambitonazionale che comunitario, il modo concui un programma o una strategia politicaè organizzata e gestita e come tale meto-do determina ricadute sul complesso delsistema a cui è rivolto.

Mentre il termine governance rimandaal concetto di decentramento delle funzio-ni politiche attraverso il concorso di piùattori coinvolti nell’attuazione delle stesse,il concetto di governement è decisamentecontrapposto in quanto rimarca la centra-lità delle azioni che le istituzioni responsa-bili delle politiche sono tenute a svolgere.

In altri termini, il concetto di gover-nance si rifà ad un approccio sistemicodelle politiche tale per cui il raggiungi-mento di un obiettivo non riguarda soloun attore (ente locale per esempio), machiama in causa tutti i soggetti istituzio-nali e non, che a diverso titolo impattanoquelle stesse politiche e dunque concor-rono a definirne il profilo e l’applicazio-

ne in termini di efficacia ed efficienza.La governance segna quindi un punto ele-vato delle azioni politiche poiché l’ap-proccio sistemico a cui facevo riferimentopoc’anzi designa la capacità dei diversi at-tori di mettere in campo le proprie compe-tenze, le proprie risorse finanziarie e uma-ne, senza assumere il particolare punto divista come universale, ma individuandonel processo di contrattazione, negoziazio-ne e interazione un percorso in cui com-plessità, dinamismo e interattività diventa-no le componenti che consentono di rag-giungere risultati più adeguati al benesseree agli interessi dei diversi attori in gioco.

Nel dibattito attuale nel nostro paese iltermine governance è generalmente usato:– per indicare la complessità delle so-

cietà contemporanee in cui le intera-zioni e i livelli di potere sono molte-plici incidendo sulle performance, deigoverni stessi;

– per individuare l’insieme delle leggi,delle norme giuridiche, delle regoleamministrative e delle prassi cheorientano e rendono possibile l’atti-vità principale di un sistema di gover-no, sia nella sua espressione centraliz-zata che periferica;

Problemi di governancedel sistema Italia: l’esperienzadella regione emilia-romagna

Sandra BenedettiResponsabile P.O. Area Infanzia e Famiglia, Regione Emilia-Romagna

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– come segno di parternariato a diversilivelli all’interno dei quali la concer-tazione assume una strategia e un me-todo di espressione di diversi attorilungo il tragitto che unisce gli ammi-nistratori ai cittadini.

Per queste ragioni il termine gover-nance trova diritto di cittadinanza nelleazioni svolte da una pluralità di attori(Stato, Regioni, Province, enti locali, par-ti sociali, terzo settore, soggetti attuatoripubblici e privati coinvolti all’interno diuna specifica politica); la pertinenza dellagovernance risulta ancora particolarmen-te adeguata all’interno delle azioni politi-che istituzionalmente decentrate, poichégli attori succitati trovano proprio in sededecentrata legittimità alla loro postazionee funzione secondo un approccio integra-to. Inoltre all’interno di questa cornice ilconcetto di governance non solo assegnaa ciascuno degli attori un proprio ruolo,ma tende a non alienare la possibilità perciascuno di essi di elaborare propri per-corsi autonomi secondo un approcciopartecipativo che contrasta il concetto diautorità che solitamente emerge quandoad agire sulla scena è un singolo attore.

In particolare il concetto di governan-ce appare idoneo ad essere applicato nelmodello di funzionamento dello Stato co-sì come si è andato configurando dopo lemodifiche normative avvenute in questoultimo decennio tese e ridisegnare un si-stema di governo sempre più disancoratoda una impostazione gerarchica e forte-mente determinato nell’assegnare ai terri-tori un protagonismo non solo gestionale,ma anche decisionale attraverso la valo-rizzazione di autonome azioni nelle qualiil sistema degli attori in gioco possa tro-vare spazio di rappresentazione delle pro-

prie istanze utilizzando al contempo unaserie di regole in cui tutti possano non so-lo riconoscersi, ma anche rivelarsi, nellaloro adempienza, come corretti esecutori.

A questo tema dell’impianto legislati-vo rinnovato abbiamo già dedicato unaserie di appuntamenti negli anni passati:mi limito qui a citare la genesi normativadalla quale ha preso avvio il percorso deldecentramento: la legge 142/90 (confluitadel d.lg. n. 267/2000) ha ricevuto un pri-mo forte impulso con le cosiddette leggiBassanini, per poi sfociare nella recenteriforma costituzionale del Titolo Quinto.Da tutti questi dispositivi di legge si evin-ce e si riconferma il valore dello Stato de-centrato e un rinnovato protagonismo dialcuni enti, come per esempio le Provin-ce, che vengono investite di nuovi poterie competenze, decentrati in maniera auto-noma dalle Regioni stesse.

Del resto, anche la Comunità euro-pea nel 2001 ha redatto un libro biancosulla governance europea, nel quale sipone il problema di verificare il modo incui l’Unione esercita i poteri che le han-no conferito i suoi cittadini data la disaf-fezione crescente nei confronti della poli-tica, fenomeno questo non solo europeo,ma mondiale, nazionale e locale.

Così, tra le proposte azzardate nel li-bro bianco si fanno strada cinque princi-pi politici che, secondo l’Unione euro-pea, devono orientare le azioni politiche:– decentramento– apertura alle diversità– partecipazione– responsabilità– efficacia

Nel libro, oltre a sottolineare il fattoche tali principi devono divenire punti diriferimento per il dibattito sul futuro del-

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l’Europa, si indicano, tra le tante, alcuneazioni irrinunciabili quali:– sfruttare meglio le competenze e le

esperienze pratiche delle autorità re-gionali e locali;

– ridefinire i ruoli e le responsabilità diciascuna istituzione affinché i cittadinipossano riconoscere in essi i loro prin-cipali interlocutori ai quali richiederedi rispondere delle decisioni prese.Anche nel libro bianco dell’Unione

Europea il tema della governance, che siarticola su più livelli, chiama in causa lacomplessità che diviene al tempo stessouna sfida consistente nel definire principichiari su come le competenze e le respon-sabilità vanno ripartite, non certo separate.

La governance e il sistema integrato di servizi: 6 personaggi in cerca di regista

Se da questa prospettiva ci trasferiamonel sistema Italia, subito ci salta agli occhicome la governance applicata al cosiddet-to stato sociale, stante l’attuale sospensio-ne determinata dalla riforma sul federali-smo, attesa ma non ancora portata a ter-mine, faccia scorgere sulla scena 6 perso-naggi non già in cerca di autore, visto chelarga parte delle leggi esiste, quanto piut-tosto in cerca di una regia.

La legge 328/2000 infatti introduceuna riorganizzazione territoriale operatacon esplicite riforme che spostano la re-sponsabilità regolativa ad attori istituzio-nali collocati su differenti livelli unita-mente a strategie di gestione come ester-nalizzazione, privatizzazione, individua-lizzazione degli interventi, aspetti questiche hanno reso più complesso il panora-ma degli attori in gioco, il quale a suavolta ha comportato una ridefinizione dei

processi di decisione politica e una diffu-sione di “nuovi modelli di governance”.

Il primo attore è il cittadino, desti-natario delle azioni di welfare che in que-sta nuova cornice legislativa assume unnuovo protagonismo: da suddito a cittadi-no appunto, da soggetto passivo a sogget-to attivo. Il livello di partecipazione, ocom-partecipazione alle scelte, dovrebbeconsentire anche la possibilità di incideresulla qualità delle prestazioni intervenen-do, laddove è possibile, anche attraversouna diretta gestione dell’offerta.

Il secondo attore, al quale spetta uncopione particolarmente complesso, èrappresentato dai Comuni, ai qualispetta una programmazione sociale ispi-rata a logiche negoziali che faciliti, peresempio, la crescita nella funzione ge-stionale da parte dei soggetti privati lega-ti all’Ente pubblico da un rapporto diconvenzione, abdicando dunque a questoruolo e assumendo quello di governanceappunto. Ai Comuni spetta l’interpreta-zione di un ruolo per l’esercizio del qualeforse non sono ancora del tutto pronti: lacostruzione cioè di un welfare municipa-le che sappia non solo tutelare, o al con-trario solo dismettere, ma che assuma laconciliazione come una sfida per svilup-pare e innovare facilitando buone relazio-ni tra soggetti istituzionali e all’interno diun sistema di regole il cui rispetto com-pete loro monitorare e presidiare

Il terzo attore in scena sono le Pro-vince, alle quali spetta un’azione di go-verno in grado di tenere ben monitorato ilterritorio, affinché la localizzazione dellepolitiche sociali non costituisca una di-spersione delle risorse finanziarie ed uma-

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ne, ma un vero e proprio investimento al-l’insegna del riequilibrio territoriale fun-zionale al recupero di azioni passate spes-so sbilanciate tra un territorio e l’altro(PC-RN); il ruolo della Provincia apparesempre più connotato come funzionalenon solo al monitoraggio e alla valutazio-ne dell’efficacia dei trasferimenti finan-ziari, ma anche alla definizione di tavolidi progettazione locale in cui concertareazioni incrociate su differenti aree comun-que confinanti tra loro (Piani di zona incui convergono le azioni socio-sanitarie esocio-educative in integrazione tra loro).

Il quarto attore è rappresentatorappresentato dalle Regioni, le quali so-no chiamate ad implementare politichesociali coerenti con il nuovo sistema diwelfare, sempre meno verticistico e sem-pre più improntato alla realizzazione diinterventi e servizi sociali a rete, garan-tendo alcuni principi quali quelli dell’uni-versalismo, della sussidiarietà, dell’inte-grazione attraverso un ruolo regionale ingrado di tessere il più possibile relazioniefficaci con enti locali, Province e Comu-ni in primis, ma anche con altri attori econ gli stessi destinatari delle azioni poli-tiche, ovvero gli utenti, per la program-mazione e l’attuazione delle politiche.

Il quinto attore riguarda il privatosociale e il cosidetto terzo settore, alquale la stessa legge 328/2000 guarda va-lorizzandolo e riconoscendone il contri-buto non solo a livello della gestione deiservizi, ma anche a livello della progetta-zione e implementazione organizzativa.In altre parole, l’implementazione delPiano sociale nazionale richiede unastruttura di governance che sia capace dimobilitare le esperienze e le risorse esi-

stenti nelle diverse realtà territoriali. Inquesto senso il principio di sussidiarietàappare una norma di regolazione dei rap-porti trai vari livelli della Pubblica Am-ministrazione e tra questi ultimi e la so-cietà civile che configura un nuovo profi-lo di welfare noto come welfare mix.

Infine il sesto, ma non ultimo attoreimpegnato a ridefinire il proprio ruoloè lo Stato, che in questa nuova cornicedeve definire tra materie esclusive e con-correnti le soglie entro le quali limitare opromuovere i propri interventi diretti eindiretti (le recenti sentenze della CorteCostituzionale sulla base dei ricorsi delleRegioni sono una testimonianza).

Il sistema dei servizi educativi in Emilia-Romagna tra decentramento,sussidiarietà, qualità in epoca di transizioni generazionali

L’intera area delle politiche socialicon l’attuazione della L.R. 2/03 e con lasperimentazione 2002-2004 dei Piani dizona ha messo meglio in evidenza il temadei ruoli istituzionali e degli strumentidella governance che ha assunto un rilie-vo centrale nell’elaborazione e nell’azio-ne di governo, regionale e locale, dellepolitiche sociosanitarie.

I principi del sistema di governo deli-neato dalla L.R. n. 2/2003, speculare alla328/2000, e dai provvedimenti attuativiriguardano diversi punt, tra cui alcuni tra-sferibili anche al settore socio-educativo,ovvero:– la centralità degli enti locali nella

programmazione e realizzazione delsistema locale dei servizi sociali e so-ciosanitari a rete;

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– l’individuazione dell’ambito territo-riale della zona sociale, corrisponden-te all’ambito territoriale del distrettosanitario (ambito distrettuale) comearea ottimale per la gestione associatadelle funzioni di programmazione egestione del sistema integrato;

– l’acquisizione del metodo della pro-grammazione partecipata e concer-tata per lo sviluppo e la gestione delsistema integrato;

– la valorizzazione dei soggetti privati, inparticolare del terzo settore, nella parte-cipazione alle diverse funzioni previsteper la realizzazione del sistema integrato.

In particolare rispetto al tema del go-verno e della gestione dell’integrazionesociosanitaria, dai Piani e dagli Accordidi programma, la delibera attuativa dellalegge di riforma regionale, la n.615/2004,e gli indirizzi contenuti nel documentopreparatorio al Piano regionale, hannocostituito un quadro di riferimento rile-vante per il percorso programmatorio deiPiani 2005-2007, come terreno di concre-ta sperimentazione.

In questa stessa delibera trova collo-cazione e regolamentazione anche il so-stegno all’estensione, sperimentazione,gestione e qualificazione dei servizi edu-cativi per l’infanzia, sotto la cui vocevengono indicate le risorse programmate,citate nel novero dell’insieme delle azio-ni volte al sostegno degli impegni di curae di lavoro delle famiglie nell’ambito del-le più allargate azioni di welfare, riman-dando ad atti deliberativi a sé stanti l’at-tuazione di quanto disposto dalla L.R.1/2000, modificata nella n. 8/2004, inmateria di servizi per la prima infanzia.

In effetti questa legge e la relativa de-libera n. 646/2005 introducono le azioni e

gli strumenti volti alla governance del si-stema dei servizi per la prima infanzia as-sumendo, prima ancora della L.R. 2/2003di riforma del welfare regionale, il federa-lismo istituzionale come criterio guida perla realizzazione del sistema stesso.

La legge, inoltre, introduce tra i bene-ficiari dei finanziamenti destinati alla co-struzione, ristrutturazione arredo, gestio-ne, formazione e sperimentazione di ser-vizi più personalizzati (educatrice fami-liare e domiciliare) non solo i soggettipubblici, tradizionalmente protagonistidagli anni ’70 in poi della realizzazione egestione di tali servizi, ma anche soggettiprivati autorizzati e, se convenzionati,anche accreditati, ad eccezione dell’edu-catrice familiare.

Nel tentativo di uniformare le politi-che rivolte ai servizi per la prima infanziaad un sistema di regole valide per tutti, al-lo scopo di tutelare la qualità degli inter-venti rivolti ai bambini in età così precocee nello sforzo di corrispondere ad un desi-derio legittimo di cura e di sicurezza daparte delle famiglie utenti, la direttiva nonrisparmia alcune regole la cui applicazio-ne ha consentito, per alcuni soggetti ge-stori privati, di compiere uno sforzo nonindifferente, se desiderano essere benefi-ciari dei finanziamenti, nell’adeguare glistandard strutturali e organizzativi a coef-ficienti di qualità universalmente condivi-si. Ciò ha consentito dal 2000 al 2005 difar uscire da un sommerso un po’ torbidoben 200 nidi che oggi risultano titolari deirequisiti definiti in direttiva.

Allo stesso tempo nella legge e nella di-rettiva si è dato visibilità ai coordinatoripedagogici e alla loro aggregazione territo-riale nelle sedi provinciali, attraverso i coor-dinamenti pedagogici provinciali appunto,organismi in grado di elaborare una più

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compiuta configurazione della progettualitàall’interno del sistema educativo integrato.

Per questo anche i soggetti gestoriprivati, uniformandosi alla cultura matu-rata nei servizi pubblici, devono:– disporre di un progetto pedagogico

contenente le modalità organizzativee di funzionamento del servizio;

– disporre della figura del coordinato-re pedagogico;

– prevedere nei contratti un numero diore di formazione analogo a quelloprevisto dal contratto dei dipendentipubblici, garantendo pari opportunitàdi trattamento economico dal momen-to che sempre più spesso si trovano alavorare nella stessa sede operatricidipendenti pubbliche e operatrici pro-venienti dal privato sociale che, a pa-rità di mansioni, vengono retribuite inmaniera diversa;

– attuare o aderire ad iniziative di colla-borazione ove esistano diversi servizie soggetti gestori pubblici e privati, alfine della realizzazione del sistemaeducativo integrato.

La figura del coordinatore, sia essooperante nel pubblico o nel privato, appa-re comunque decisiva ai fini di un presi-dio e una cura della/del:– gestione delle équipes educative ope-

ranti nei servizi educativi;– elaborazione di modelli organizzativi

e gestionali dei servizi coordinati;– monitoraggio e valutazione degli

obiettivi dichiarati ed effettivamenteraggiunti dai servizi coordinati;

– formazione e aggiornamento deglioperatori dei servizi;

– costruzione di un sistema integrato ba-sato su alcuni punti fermi all’internodi una cultura pedagogica condivisa.

Vincoli e difficoltà della governance

Questo percorso non è scevro di dif-ficoltà e di tortuosità: intanto la costru-zione di un sistema integrato deve corri-spondere prima di tutto ad una dichiaratavolontà politica e ad una matrice cultura-le forte che assuma la differenza comevalore e non come elemento di contrasto.Molto spesso permangono, soprattuttonei piccoli Comuni, logiche e culture an-corate ad una visione campanilistica del-le politiche, anche quelle socio-educati-ve, che non tardano a tradursi in spintecompetitive o peggio ancora oppositive;si oscilla dalla concorrenza quasi slealenella gestione dei servizi tra logicheideologicamente radicali (sia pubblicheche private) fino alla totale evasione delruolo di governance e di controllo sui re-quisiti che sia pubblico che privato devo-no possedere nella gestione dei servizistessi.

Permane ancora, a distanza di tempoe nonostante una forte azione di sostegnoda parte degli uffici regionali, una diffi-coltà da parte delle Province ad assume-re il ruolo di coordinamento e a perse-guire azioni di assunzione di responsabi-lità diretta e non delegata o trasposta perintervento della Regione stessa; non so-no questi elementi imputabili ad una cat-tiva volontà, quanto piuttosto ad un per-corso estremamente complesso che que-sta nuova sfida della governance evoca erichiede. Si tratta di riconfigurare unruolo diverso del pubblico ri-allineandofunzioni diverse in capo a istituzioni inrapporto tra loro non verticistico, macomplementare.

Nel confronto periodico con i territoricontinuano ad essere presenti alcuni osta-coli che paiono influenzare il percorso

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sulla governance e, più in generale, la te-nuta del sistema dei servizi: – la capacità, non sempre adeguata, da

parte dei Comuni direttamente, e del-le Province indirettamente, di eserci-tare un ruolo di controllo e vigilan-za a partire da una cultura di gover-nance che non appartiene del tutto al-la loro identità. L’avere da sempreespresso una competenza più a carat-tere gestionale non facilita una pro-gressiva assunzione di un ruolo rinno-vato: si oscilla tra la fascinazione ver-so forme di controllo e vigilanza stan-dardizzate, traslate da logiche e areemarcatamente aziendali (utilizzo dicertificazioni, ad esempio sul modelloISO 9001) a dismissioni vere e pro-prie, dove il pubblico stenta ad essereidentificato come l’ambito a cui farriferimento per competenza, efficaciaed efficienza, oppure ad applicazioniun po’ esasperate di sistemi di con-trollo che assumono più i caratteridella persecuzione che della concerta-zione facilitante;

– la crescente precarizzazione del la-voro, che non consente di dare stabi-lità alle reti di reciprocità tra pubblicoe privato e in questa alternanza forsea vivere con maggiore difficoltà ilpresente è proprio l’ente pubblico co-stretto tra il patto di stabilità e la pres-sione determinata dal blocco delle as-sunzioni; in questo senso assistiamo aspinte a volte degenerative che indu-cono i Comuni ad inventarsi veri epropri escamotage per deviare i vin-coli loro imposti rischiando, così fa-cendo, di approdare a soluzioni chespesso determinano maggiori confu-sioni e sovrapposizioni di ruoli e fun-zioni con una deriva, tra le maglie del

sistema, del rispetto delle regole sucui il sistema stesso deve fondarsi;

– il gap temporale delle riforme e piùin generale l’instabilità dei governiche impongono un’incapacità di go-vernance precaria come precari e in-certi sono gli stanziamenti che ne con-seguono nell’alternanza tra un Gover-no che va e uno che viene; ciò nonconsente di programmare gli interven-ti e di dare respiro proprio a quella di-mensione di progettazione a medio elungo periodo che richiede stabilità;

– il ricambio generazionale che rappre-senta per i servizi educativi una sca-denza annunciata; il passaggio del te-stimone è uno dei prossimi appunta-menti ai quali stiamo arrivando senzauna cultura di governance documentatatale da non affidare alla sola trasmis-sione orale larga parte delle competen-ze tecniche e amministrative maturatein questi 35 anni di servizi; tra i nuoviingressi entrano profili professionaliprecari ma con un bagaglio di espe-rienze a volte disorganico, non semprericonvertibile automaticamente; ciòcomporta una formazione in progressancora più articolata e complessa;

– l’insidia del libero mercato, intesocome ambito in cui l’assenza di rego-le costituisce una possibile attrazionee che provoca contraccolpi e derivetali per cui si tende a truccare i servizieducativi connotandoli come “legge-ri” e flessibili, impostati magari suuna logica puramente assistenziale,che non richiederebbe rigore e qua-lità, così da dribblare gli ostacoli in-trodotti con le direttive che, invece,impongono un’adeguamento deglistandard strutturali e organizzativinella tutela dei bambini e a garanzia

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per le famiglie di un’offerta educativaadeguata, primi fra tutti i titoli di stu-dio, e una formazione alta del perso-nale che sta a contatto con i bambini.

L’inerzia istituzionale dentro ad unquadro politico perennemente in bilico,dove alla caduta di un Governo conseguespesso un azzeramento delle normativeemanate, con l’ovvio spaesamento daparte dei protagonisti che tali normativesono tenuti ad applicare, comporta:– una disuguaglianza tra territori con

potenziali conflitti tra Stato e Regionie tra queste ultime;

– una maggiore difficoltà di coordina-mento tra livelli territoriali diversi an-che nell’ambito di una stessa Regione;

– problemi di trasparenza del processodecisionale.

Significativa è la conclusione a cui èpervenuto Yuri Kazepov, sociologo del-l’Università di Urbino, che in un semina-rio nel 2005 dedicato alle politiche control’esclusione in Europa constata quanto se-gue, e in cui mi riconosco: egli affermache in Italia i dubbi sull’abilità di governa-re le cause dell’esclusione sociale a livellonazionale si stanno rafforzando, e ciò ren-de l’Italia un paese dove i diritti dipendo-no da dove si nasce e non dal bisogno.

Certamente l’impegno espresso nellanostra Regione sulle politiche di welfareha consentito di facilitare l’espressione didiritti di cittadinanza riconoscibili e tute-labili, ma anche nella nostra Regione sipone il problema di facilitare una visionepiù trasparente delle politiche legate allagovernance tentando, per esempio, di fa-re leva su un sistema integrato più armo-nioso, a costi più adeguati e con un eser-cizio della responsabilità coerente e in

capo a tutti i soggetti che a diverso titoloconcorrono alla realizzazione di politichedi welfare.

Bibliografia

– Y. Kazepov, “Le politiche contro l’e-sclusione sociale in Europa”, relazio-ne presentata al seminario Patti localiper uno sviluppo solidale, Ancona, 19luglio 2005.

– Gruppo Nazionale Nidi Infanzia (acura di), Infanzia nelle politiche loca-li, atti del seminario, Firenze, 4 no-vembre 2005.

– Presidenza del Consiglio dei Ministri,Dipartimento degli affari sociali (a cu-ra di), Primo Piano d’azione per l’in-fanzia e l’adolescenza, 1997-1998.

– Presidenza del Consiglio dei Ministri,Dipartimento degli affari sociali, Os-servatorio nazionale per l’infanzia el’adolescenza (a cura di), Piano d’a-zione e di interventi per la tutela deidiritti e lo sviluppo dei soggetti in etàevolutiva, 2000-2001, Legge 451/97.

– Forum del terzo settore, Un patto perlo sviluppo sociale e per un nuovowelfare, Protocollo d’intesa fra Le-gautonomie e Forum del terzo settore,27/10/2006.

– Commissione delle Comunità euro-pee, La Governance Europea, Un li-bro bianco, Bruxelles, 5 agosto 2001.

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– M.G. Falciatore, R. Serpieri, M. Stai-bano, L’innovazione organizzativa perla governance delle politiche regiona-li, Franco Angeli, Milano, 2005.

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Certamente un sindacato si occupa didiritti, di lavoratori e quindi l’idea chesia stato istituito, all’interno di un sinda-cato, un ufficio che si occupa di un temagenerale e complesso come l’infanzia, iospero sia interpretato (perché questo è ilnostro scopo ed è in quella direzione chelavoreremo) come l’assunzione di unagrande responsabilità. Crediamo che oc-cuparsi dei diritti dell’infanzia e deibambini significhi mettere al centro ibambini e non i servizi, e voglia dire oc-cuparsi anche dei diritti dei lavoratori edi quelli delle mamme, nonché dei diritticomplessivi. Lo scopo è tenere in equili-brio e in giusta coalizione fra di loroquesti tre diritti:– i diritti dei bambini ad avere dei ser-

vizi dedicati; – i diritti dei genitori ad avere un luogo

sicuro nel quale accompagnare tran-quillamente propri figli;

– i diritti dei lavoratori che lavorano inquesti servizi.

Detto questo, aggiungo subito chenon entrerò nel merito delle questioni,ma enuncerò dei titoli che sono degli im-pegni, rispetto ai cui risultati noi chiedia-mo di essere giudicati, in base al lavoroche riusciremo a fare. Abbiamo intenzio-

ne di lavorare il più ampiamente e unita-riamente possibile con tutti i soggetti egli attori, ce n’è un bisogno estremo.

Innanzitutto, mi interessa sottolineareche gli Asili nido non possono più essereritenuti, in questo paese, un servizio adomanda individuale. È necessario av-viare un percorso molto difficile, perchéabbiamo una Finanziaria che colloca inidi fra gli interventi per la famiglia, manoi crediamo che i nidi debbano esserecollocati all’interno del sistema comples-sivo dell’istruzione. Pensiamo che “cu-ra” sia anche “apprendimento” e vorrem-mo che questo non rimanesse semplice-mente uno slogan. Non fa parte dellacultura di questo paese pensare che,quando ci si occupa di un bambino e losi aiuta a diventare capace di soffiarsi ilnaso da solo, in realtà si è di fronte aduna grande azione di apprendimento e disostegno all’autonomia, con tutto quelloche ciò comporta. Crediamo anche chel’istruzione sia un diritto e i diritti si ri-vendicano e si assicurano, non si com-prano e non si vendono.

Non ci accontentiamo più di dire chebisogna eliminare le liste d’attesa per inidi perché in questo paese esiste unaRegione, l’Emilia-Romagna, che com-plessivamente si aggira intorno al 20%,

L’esigenza di standard a tutela della

qualità dei serviziGiovanna Zunino

Ufficio Infanzia, Segreteria Confederale CGIL

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con delle punte più elevate nei capoluo-ghi di Provincia. Poi, però, esistono al-cune Regioni e città che non sanno nean-che che cosa sia il nido e, quando comesindacato abbiamo provato a fare una ri-vendicazione, devo dire in solitudine, af-finché se ne occupassero le Regioni o glienti locali, ci è stato risposto che non ve-devano per quale ragione lo dovesserofare, visto che non ne avevano domanda.In tutti i campi è necessario, ma nell’e-ducazione la domanda è fondamentaleper determinare l’offerta. Se il nido nonc’è non si capisce per quale ragione ilgenitore dovrebbe perdere tempo a ri-vendicare una cosa che non c’è. Rispettoai diritti dei bambini non possiamo con-tinuare a pensare che ci si possa arran-giare in un altro modo. Siamo di fronteagli obiettivi di Lisbona.

Gli obiettivi di Lisbona devono esse-re un impegno per tutti nel nostro paesee non solo per Reggio Emilia. Noi comeCGIL guardiamo con attenzione agliobiettivi di Lisbona, non solo in terminiquantitativi, ma miriamo, con interesseed impegno, ai quaranta obiettivi di qua-lità che la UE aveva individuato qualcheanno fa. Non basta enunciare gli obietti-vi, occorre anche concretizzarli. Io ho inmente un obiettivo, uno su tutti: “il dirit-to del bambino ad essere felice”. Abbia-mo fatto recentemente una ricerca nellaRegione Puglia che tendeva a scoprirequali sono gli atteggiamenti ed i compor-tamenti dei genitori e degli insegnantidella scuola dell’infanzia e della scuolaelementare, rispetto al problema dell’an-ticipo. Ebbene, è emerso un quadro mol-to preoccupante ed allarmante: i bambinisi trovano in mezzo a due fuochi di fra-gilità che non possono non richiamare adelle precise responsabilità: una fragilità

genitoriale forte e una fragilità professio-nale altrettanto notevole, altro che “go-vernance”!

È su questo che dobbiamo assoluta-mente lavorare. I numeri ce li abbiamo difronte; abbiamo complessivamente sulterritorio nazionale una percentuale che siaggira intorno al 13-14%; Lisbona invece,al 33%. Per quanto riguarda la scuola del-l’infanzia, abbiamo dei dati che risalgonoal 2000, quando il Ministero aveva con-dotto un’indagine piuttosto accurata aproposito della copertura sul territorio na-zionale. Nel 2000 ci aggiravamo intornoal 94%; il 62% dello Stato, il 16% del-l’ente locale, circa il 22% della scuola pa-ritaria. In questo periodo è successo che lascuola dell’infanzia ha cominciato ad es-sere molto apprezzata dai genitori stranie-ri: prima mandavano i loro figli solo edesclusivamente alla scuola elementareperché erano obbligati, poi, per fortuna,hanno incominciato a riconoscere la scuo-la dell’infanzia come un servizio e comeun luogo di vera integrazione culturale.Tuttavia, abbiamo perso i conteggi, nonsappiamo più qual è la lista d’attesa. IlMinistero ci dice che non c’è (lista d’atte-sa), ma a noi risulta che ci sia, non soloperché non sono stati comunicati i posti,ma anche perché ci sono dei gravi proble-mi in tema di edilizia scolastica.

Nel frattempo è intervenuta la legge53 che ha proposto l’anticipo: terribile. Iosono d’accordo con Irene Balaguer, laquale dice che tutti quanti siamo spintiverso un discorso dell’apparenza, piutto-sto che dell’andare in profondità; i bam-bini vanno a scuola per dovere, non perpiacere, poi le conseguenze si vedono do-po tanti anni. La responsabilità di un Go-verno illuminato è quella di pensarci e dioccuparsene: se non sanno pensarci i ge-

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nitori e se non ce la fanno a pensarci gliinsegnanti, è necessario che il Governo siassuma queste responsabilità.

La proposta dell’anticipo, lo avevamoimmediatamente avvertito, è una propo-sta demagogica e ammaliatrice per geni-tori poco attenti, che ha visto settantamilabambini entrare in contesti non dedicati.Irene sottolineava come, a livello di sin-dacati e insegnanti, si preferisca la como-dità, la sedia tranquilla, piuttosto chepreoccuparsi di garantire un contestoeducativo dedicato. Con riguardo alla vi-cenda degli anticipi, io ho lavorato moltotempo nel sindacato della scuola, che èstato il vero antagonista della propostaMoratti in questo campo, devo dire in to-tale solitudine. Abbiamo fatto un grandelavoro e crediamo che ci siano buoni ele-menti per poter dire che l’anticipo nellascuola dell’infanzia è stato culturalmentecancellato. Come CGIL noi intendiamolavorare per avere al primo posto, comeservizio 0-3, gli Asili nido, e riconfermia-mo una scuola dell’infanzia che si occupidei bambini dai tre ai sei anni e che deveessere assolutamente generalizzata, condei numeri sicuri.

Da un punto di vista culturale, dallanostra ricerca emerge che il vero disastronon interessa solo l’entrata anticipata allascuola dell’infanzia dei bambini di dueanni e mezzo, ma anche l’entrata antici-pata alla scuola elementare dei bambinidi cinque anni e mezzo.

I bambini di due anni e mezzo nellascuola dell’infanzia hanno trovato delle in-segnanti molto spaesate e preoccupate diperdere l’immagine di insegnante che fascuola, ma per fortuna hanno vinto i bam-bini piccoli, che hanno costretto gli inse-gnanti a prenderli in considerazione e amodificare in parte il progetto educativo.

Tuttavia, è ancora troppo poco, perché nonpossiamo pensare che un progetto possaessere semplicemente modificato: un pro-getto deve essere prima di tutto pensato.

La scuola elementare è stata invecemolto più rigida ed è stata interessata daun notevole problema di formazione; ilGoverno, che è intervenuto chiaramentesulla questione degli anticipi nella scuoladell’infanzia, non lo ha fatto con altrettan-ta chiarezza per la scuola elementare.Quando ci siamo trovati di fronte al fatto idati non c’erano, abbiamo provato a fareun’indagine e la prima cosa che abbiamopreteso è che il fenomeno venisse portatoin luce e che tutti si assumessero le pro-prie responsabilità. Sulla carta, facendoun lavoro all’interno del coordinamentocon l’associazione nazionale dei Comuni,abbiamo ottenuto delle condizioni. Lecondizioni, mi preme dirlo, non erano so-lo il numero dei bambini e gli spazi ade-guati o l’alimentazione che doveva esserecertamente adatta, ma c’erano altri aspettiche noi riteniamo essenziali: – un progetto educativo pensato con la

cultura del nido. Oggi gli insegnantidella scuola dell’infanzia non ne sonoancora capaci e questa è una grandescommessa;

– l’opportunità delle sezioni “primave-ra”, previste nella Finanziaria, deveessere un’opportunità rivolta, secondola CGIL, prima di tutto ai bambini, al-trimenti non ci interessa. Su questooccorre essere molto chiari.

Un modo per aiutare gli insegnanti èquello di non lasciarli soli; bisogna ac-compagnarli e sostenerli. Quando si è so-li si ha paura e la paura non aiuta ad af-frontare serenamente i problemi e ad as-sumere determinate responsabilità.

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Noi pensiamo che standard siano leazioni di contaminazione di buone prati-che, riteniamo che standard sia l’assun-zione di garanzie da parte della “gover-nance”, perché in questa vicenda deglianticipi, mi spiace dirlo, ma tra i tanti as-senti abbiamo trovato anche gli enti loca-li. Infatti, quando la scuola diceva “Èpossibile fare questa operazione?” l’entelocale rispondeva: “certamente nullaostain questo ufficio…”. Una risposta comequesta, di fronte ai diritti dei bambini nonci basta, nella maniera più assoluta. Noiriteniamo che standard sia il sostegno allapartecipazione dei genitori.

Da questo punto di vista, abbiamo bi-sogno di recuperare la nostra storia e ab-biamo molto da dire. Standard per noi ètenere in considerazione la fatica deglioperatori, ma soprattutto il loro pensiero,che è un elemento che va sicuramente as-sunto, sostenuto ed aiutato. Il problemadegli standard non interessa solo edesclusivamente l’interno di un sistema in-tegrato pubblico-privato, ma è un proble-ma pubblico.

Nel nostro paese tutti sanno che na-scere a Reggio Calabria, a Cagliari o Cal-tanissetta, non è la stessa cosa che nasce-

re a Torino, a Venezia, a Milano o a Ro-ma, e questo non è corretto. A tal proppo-sito, abbiamo istituito un gruppo di lavo-ro nel quale è presente una rappresentan-te del Gruppo Nazionale Nidi Infanzia,Luisa Cremaschi, che voglio in questa se-de ringraziare.

Abbiamo bisogno, in qualità di CGIL,dato che ci occupiamo di lavoratori, chela legge 53 sui diritti parentali venga uti-lizzata, anche se sarebbero necessarie al-cune modifiche, in particolare su duepunti:– una legge che abbassa l’obbligo sco-

lastico e chiede ai ragazzi di sceglierea dodici anni se entrare nel sistemadella formazione professionale o nelsistema dell’istruzione, non può esse-re definita “una legge di civiltà”;

– una legge che introduce l’anticipo,non è una legge che rispetta i ritmi disviluppo dei bambini.

Noi abbiamo intenzione di lavorarecon tutti, anche sul piano confederaleunitario, perché da soli non si va moltolontano e io credo che i bambini abbianobisogno dell’aiuto e del sostegno di tuttinoi.

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Governo locale e qualitàdei servizi per l’infanzia

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Inizio questa seconda parte del semi-nario introducendo una riflessione fraamministratori e dirigenti dei vari servizi,cercando di dare alcuni imput.

Credo che per governare localmentee, quindi, avere al centro la qualità deiservizi per l’infanzia, occorra in primoluogo assumere le politiche dell’infanziae per l’infanzia come scelta prioritaria diuna Pubblica Amministrazione. Questo è,ovviamente, il primo obiettivo.

Il secondo obiettivo è, invece, quellodi destinare risorse sia per mantenere econsolidare i servizi di qualità esistenti,sia per diffondere i servizi sul territorio,incrementando l’offerta al fine di rag-giungere i livelli previsti negli obiettivieuropei.

Dall’altro lato è necessario certamen-te promuovere la diversificazione delletipologie, per dare una risposta anche albisogno che si sta presentando nellerealtà urbane con caratteristiche differen-ti: il piccolo centro, la grande realtà urba-na e il medio-grande centro urbano.

L’altra questione è quella di creare unsistema integrato dell’offerta di servizi,rafforzando la funzione del Comune,quella di regolare sempre di più la rete diquei servizi che si creano, instaurandouna collaborazione virtuosa con il privato

sociale, che assume un ruolo attivo e pro-positivo all’interno di questo sistema. Intutto questo, negli ultimi anni si sono po-tute sviluppare una serie di significativetipologie di servizi oltre a quelle più co-nosciute, note e storiche dell’Asilo nido,quelle successive dei centri giochi educa-tivi, ma anche quelle all’interno del con-testo familiare, attraverso l’esperienzadei domiciliari o di altre iniziative chenegli ultimi tempi hanno riguardato an-che alcuni interventi nelle aziende delNord Italia.

In questo quadro, il ruolo del pubbli-co è un ruolo del tutto determinante ecioè quello di essere il garante della qua-lità, del controllo, della valutazione per-manente e del coordinamento fra le espe-rienze. Credo che questo possa esseremi-surato chiaramente in realtà come la To-scana o l’Emilia-Romagna o, comunque,in quelle realtà che nel corso di questi an-ni hanno avviato un progetto di integra-zione con il privato, avendo un ruolo diguida e regolazione. Dobbiamo lavorareaffinché il sistema integrato dei servizi e,quindi, il ruolo dell’ente locale tuteli ildiritto all’educazione di tutti i bambini ebambine nell’ottica di un percorso anchedi educazione permanente, di LifelongLearning.

Le politiche per l’infanzia:scelta prioritaria

Daniela LastriAssessore alla Pubblica Istruzione, Comune di Firenze

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Occorre anche garantire ai bambini ealle bambine le pari opportunità di acces-so ai servizi, per favorire sempre di più laconciliazione tra la vita familiare e la vitalavorativa.

A proposito esistono normative speci-fiche. Ciò che conta è come queste nor-mative si riescono a tradurre nella prati-ca, poiché spesso la loro applicazione èdifficile; per esempio, garantire alle don-ne le pari opportunità attraverso la pro-mozione e la realizzazione delle buonepratiche che si possono attivare con lapresenza e lo sviluppo di servizi semprepiù legati ai nuovi bisogni. Per fare que-sto è necessario definire meglio i livelli egli standard di qualità; ovviamente, affin-ché questo possa avvenire occorronobuone leggi regionali che possano garan-tire tutto ciò.

In tal senso, nel nostro paese c’è an-cora un eccessivo dislivello. Purtroppo,coloro che hanno leggi regionali che defi-niscono gli standard di qualità, se non unsistema integrato, sono pochissimi, quasiun’eccezione.

Questa, invece, dovrebbe essere la re-gola: poter definire un sistema nazionaleincentrato sui servizi alla prima infanziapiù di quanto non sia stato fatto fino adora, evitando di favorire solo le realtà chehanno una forte tradizione culturale suquesti temi, che sono state all’avanguar-dia nello sviluppo di questi servizi e chehanno creato un eccessivo dislivello cheoggi rischia di non essere recuperato, senon c’è un forte impegno da parte delloStato.

Sono necessari anche dei sacrifici percreare e definire livelli essenziali e perdare alle Regioni una certezza, affinchéle normative regionali sul sistema dei ser-vizi e, soprattutto, sull’integrazione dei

servizi si possa assolutamente realizzare.Si è parlato molto questa mattina dell’E-milia-Romagna.

In Toscana abbiamo una copertura cheha raggiunto quella dell’Emilia-Romagna,per cui soddisfiamo oltre il 30% della do-manda e abbiamo un assetto legislativo,partito nel 1999 e proseguito con un ag-giornamento nel 2002, che oggi vede unpiano integrato che parte dalla prima in-fanzia e arriva all’età adulta in quel pro-cesso di Lifelong Learning che vede l’in-tegrazione del sistema educativo, formati-vo e d’istruzione, fino ad arrivare al siste-ma integrato con il mondo del lavoro.Credo che una buona capacità di “gover-nance” sia essenziale affinché questo si-stema integrato possa diventare operativo,perché si tratta di un sistema particolar-mente complesso che va fatto funzionareal meglio. Bisogna consolidare le variecompetenze, le responsabilità e, soprattut-to, lavorare insieme in modo integrato pervalorizzare i livelli di qualità che sonostati raggiunti.

L’altro elemento necessario è il moni-toraggio della qualità attraverso l’elabo-razione e gli strumenti di misurazione.Penso all’esperienza del Centro di Docu-mentazione Nazionale che ha sede a Fi-renze presso l’Istituto Innocenti, che stamonitorando e valutando le esperienzeche sono state realizzate. In questi giornisi sta procedendo ad una valutazione deilivelli di qualità che si sono raggiunti al-l’interno dei nostri servizi e, ovviamente,questa modalità di intervento ha bisognodi una continua osservazione e un fortecoordinamento per poter comprendere e,di conseguenza, intervenire sul manteni-mento e sullo sviluppo del sistema dellaqualità. Sono necessari progetti di conti-nuità finalizzati alla creazione di un siste-

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ma integrato zero-sei anni. Un ulterioreaspetto riguarda i progetti di formazionecomune che facilitano la conoscenza re-ciproca tra operatori, educatori, rappre-sentanti del settore pubblico e di quelloprivato. Occorre fare in modo che la for-mazione sia coerente e, soprattutto, chepossa dare prospettive a tutti.

Questo è tutto ciò per cui ci stiamomuovendo, sia attraverso le opportunitàche ci dà la nostra legge regionale, sia at-traverso una modalità di lavoro che ab-biamo praticato nell’esperienza fiorenti-na, cioè quella di una formazione unicache possa assicurare l’esistenza di una re-te dei servizi nel pubblico e nel privato,una rete che fa parte di un coordinamentounico e che ha come obiettivo quello discambiare continuamente le esperienzeche sono in corso nel nostro territorio.

La formazione è sicuramente una dellequestioni centrali: bisogna dare continuitàai processi di formazione, rafforzare sem-pre di più le competenze professionali, ot-timizzare le risorse, fornendo anche formedi collaborazione fra Comuni. Bisogna so-stenere anche coloro che ne hanno più bi-sogno, facendo in modo che il lavoro siintegri e possa sostenere altre esperienze.Penso ai piccoli Comuni, che potrebberocreare un’associazione, proprio per evitarela dispersione delle risorse.

L’altro aspetto rilevante è costituitodal rafforzamento delle strutture e dalcoordinamento pedagogico, che è assolu-tamente indispensabile per far funzionarebene questo percorso, favorendo anchenelle realtà di piccole dimensioni forme dicollaborazione fra i Comuni. Occorre te-nere presente che il coordinamento peda-gogico può essere un nodo di collegamen-to con altre esperienze, per lavorare insie-me su progetti comuni in aree che si asso-

migliano, in base ai bisogni che si presen-tano. Per questo è molto importante che larete non interessi solo il centro urbano,dove si crea il maggior bisogno, ma siestenda anche alle realtà periferiche.

Un ulteriore aspetto è rappresentatodalla collaborazione fra tutte le realtàche da anni operano sul versante dellosviluppo dei servizi per la prima infan-zia, affinché la diffusione di buone prati-che possa favorire la progettazione dipercorsi transnazionali, la partecipazionee lo scambio.

Affinché non si disperda l’opera fattafinora, c’è bisogno degli ingredienti cheho appena elencato e di un ente localeche abbia come obiettivo centrale il temadell’infanzia. Viviamo oggi un momentoparticolarmente critico dal punto di vistadelle risorse, ma è proprio in questi mo-menti che c’è la possibilità di fare scelteinnovative e significative, non quandoc’è abbondanza di risorse.

Penso che le esperienze che verrannoqui presentate siano la testimonianza delgrande lavoro che sta dietro il sistemaintegrato dei servizi, e della valorizza-zione della qualità raggiunta fino ad ora,intesa come il perno centrale attorno acuiruota lo sviluppo del nostro sistema deiservizi.

Ritengo che questi interventi possanoarricchire il nostro lavoro e permetterci diandare avanti operando la scelta del futu-ro, cioè la scelta del sistema integrato,per sviluppare non solo gli Asili nido, maanche la scuola dell’infanzia. Credo chequesta scelta possa essere garantita attra-verso l’impegno che gli enti locali finorahanno dimostrato e che sicuramente con-tinueranno a dimostrare, grazie alle espe-rienze di cui sono ricchi e di cui conti-nueranno ad arricchirsi.

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È proprio nelle situazioni di contin-genza e di difficoltà economica che sipuò valutare la qualità degli interventi diun Governo che guarda al futuro. Io pen-so che il problema fondamentale del no-stro paese sia non solo la crescita econo-mica, ma anche la crescita delle persone.

C’è un problema serio, noi avevamoavuto in questi ultimi anni un’inversionedi tendenza rispetto alle nascite, ma lestatistiche più recenti dicono che la cre-scita è nuovamente in arresto e che l’Ita-lia è tra i paesi più vecchi, o forse il pae-se europeo che tende ad invecchiare dipiù, e di nuovo i bambini non nascono.

Questo avviene per un insieme di fat-tori: l’insicurezza, la precarizzazione, l’in-certezza sul futuro incidono sulle sceltedelle giovani generazioni, ma c’è anche iltema della possibilità di avere a fianco,nel momento in cui si fa una scelta cosìbella e cosi fondamentale per la vita, del-le persone e dei servizi educativi di qua-lità. Ci sono alcune Regioni che hannolavorato per molti anni e oggi sono fra lepunte più avanzate anche in Europa; c’èpoi un’altra parte del paese, soprattuttodal Lazio in giù, caratterizzata da graviproblemi. Roma ha cercato di essere unacapitale anche per dare dei segnali forti,che ci hanno portato ad assumere il tema

dei diritti dell’infanzia e dei diritti deibambini ad avere un servizio educativo diqualità, come uno tra gli argomenti cen-trali della nostra azione di Governo e delnostro lavoro. Ricordo sempre i dati dacui eravamo partiti nel 2001. 8.300 postidi nido per i bambini (a Roma si contanocirca settantamila bambini di questa età)significava avere una copertura dell’11%circa. In questi anni abbiamo lavoratomoltissimo, perché convinti che biso-gnasse superare la concezione del nidocome servizio a domanda individuale edare alle famiglie l’opportunità di sce-gliere e di fare in modo che si potesse af-fermare al più presto questo diritto. Sia-mo arrivati a mettere in campo cinquemi-la posti in più, raggiungendo una coper-tura del 20%. Mi sembra che il lavoroche è stato fatto sia notevole. Voglio direche tutto questo si colloca in un’idea dicittà a misura di bambini e, quindi, di svi-luppo di altri servizi e di altri interventi,sia innovativi che di rafforzamento.

La nostra scuola dell’infanzia è la piùgrande d’Italia, gestita da un Comune;sono stati 37.000 i bambini in più che ab-biamo accolto nelle nostre scuole in que-sti cinque anni, soprattutto nelle sezioni atempo pieno. Abbiamo affrontato, neglianni bui della gestione Moratti, il tema

Il governo del sistemaintegrato nella grande città

Maria CosciaAssessore alle Politiche Educative e Scolastiche, Comune di Roma

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della riduzione del tempo scuola e l’Am-ministrazione comunale ha cercato di ri-spondere alle esigenze quantitative e qua-litative delle famiglie e, soprattutto, deibambini. La nostra Amministrazione èprofondamente convinta che investiresull’infanzia significhi:– in primo luogo, affermare i diritti del-

l’infanzia;– in secondo luogo, investire sul futuro

della nostra città e del nostro paese.

Per questo abbiamo lavorato anche inun’ottica di innovazione cioè, pur mante-nendo l’idea della centralità del serviziocomunale, abbiamo lavorato per la cresci-ta di un sistema integrato di servizi per laprima infanzia. “Integrato” nel senso dicreare anche delle opportunità private diqualità e nel senso di differenziare l’offer-ta educativa. Non esistevano a Romastrutture convenzionate, ma esistevano di-verse strutture “sommerse”, se così le vo-gliamo chiamare, per non dire “in nero”.Nella misura in cui il servizio pubbliconon riusciva a dare una risposta alle tan-tissime domande che arrivavano, spessole famiglie erano costrette a rivolgersi adun sistema privato che esisteva, ma cheaveva le caratteristiche di un sistemasommerso senza regole, che mettevano arischio la qualità educativa e la sicurezza.

Aver costruito un sistema di accredi-tamento e di convenzionamento che sifonda su regole chiare, certe, su standarddi qualità pari a quelli del servizio pub-blico, ha significato mettere in funzionealtre 71 strutture pari a circa 2.000 posti.Anche sul versante dei nidi aziendali sia-mo riusciti ad avere un buono sviluppocon un’idea centrale: non era tanto im-portante il luogo dove c’era il nido, ma icontenuti del nido, la qualità delle strut-

ture, le caratteristiche del progetto educa-tivo. Abbiamo quindi sollecitato l’apertu-ra dei nidi aziendali al territorio, per untotale di circa 32 realtà aziendali. Si trattain prevalenza di realtà pubbliche, ma cisono anche realtà private e sono già quin-dici le strutture che sono state aperte inquesti anni, che hanno gli stessi standarddi qualità dei nidi comunali e che accol-gono, in parte, figli dei lavoratori e dellelavoratrici di queste aziende e, in parte, ibambini del territorio, dando una rispostaalle liste di attesa dei nostri Municipi.

Il sistema si fonda su regole, criteri elinee guida comuni, nonché la capacitàdell’istituzione pubblica di svolgere un’a-zione di monitoraggio, di verifica e dicontrollo, ma anche di confronto sul si-stema, attivando gradualmente un mecca-nismo di valutazione della qualità che ab-bia al centro il tema dell’aggiornamento edella formazione del personale. Abbiamoavviato molte iniziative di lavoro in co-mune tra le coordinatrici dei nidi e i coor-dinatori dei nidi convenzionati. Abbiamorealizzato delle vere e proprie azioni for-mative comuni fra le nostre operatrici ele coordinatrici dei nidi convenzionati.“Sistema” significa questo: costruireazioni che rendano possibile un confron-to reale, un lavoro di reciprocità, la possi-bilità di confrontare i percorsi ed i passiavanti che ciascuno riesce a compiere,condividendo gli obiettivi, i criteri e ipunti fondamentali dei progetti educativi.È evidente che ciascun individuo costrui-sce una propria identità legata alle pro-fessionalità, alle relazioni con i bambini ecosì via…

Abbiamo lavorato sulla possibilità dimettere in campo delle proposte innovati-ve, anche nel pieno di una tempesta che ègià stata citata, ovvero la “legge Morat-

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ti”, che riguardava il tema dell’ingressoanticipato dei bambini nelle scuole del-l’infanzia statale.

Un esempio di proposta innovativa daparte nostra è il “progetto ponte”, checonsiste nell’attivare delle sezioni speri-mentali nelle nostre scuole dell’infanzia,rivolte alla fascia di età 2-3 anni. Questoprogetto innovativo è stato pensato in unquadro di riferimento chiaro e cioè: il ni-do è il servizio fondamentale di riferi-mento per i bambini da zero a tre anni,mentre la scuola dell’infanzia lo è per ibambini da tre a sei anni. In un quadro diriferimento unitario e di continuità edu-cativa, abbiamo creato questo progetto ditrentaquattro sezioni sperimentali che ac-colgono oltre 600 bambini nelle scuoledell’infanzia. Abbiamo introdotto unaspetto oserei dire rivoluzionario per chicome noi, e come voi, conosce le dinami-che che caratterizzano i rapporti tra ledue realtà, nidi e scuole dell’infanzia,cioè quello di fare lavorare insieme leeducatrici e le insegnanti.

Due sono le questioni fondamentali:– rispettare i tempi di crescita dei bam-

bini; – comprendere che il lavoro di cura fa

parte del progetto di accompagna-mento alla crescita e all’apprendi-mento dei nostri bambini.

Sappiamo che i bambini più piccolihanno capacità di apprendimento straor-dinarie e, quindi, la relazione che si rea-lizza nel momento in cui si accompagna-no i bambini nella ricerca della loro auto-nomia è fondamentale per costruire unequilibrio nella sfera psico-affettiva, lasfera relazionale e la sfera cognitiva.

Questa convinzione ha accresciuto laprofessionalità delle une e delle altre, non

abbiamo avuto abbandoni significatividopo questa esperienza, anzi, si è verifi-cato un “attaccamento” al servizio daparte sia delle educatrici che delle inse-gnanti.

Ovviamente, si è tentato di realizzaredei contesti ambientali adeguati all’età,facendo in modo che ci fossero degli spa-zi per il riposo, spazi condivisi e pro-grammati con i ragazzi più grandi oltrel’aula tradizionalmente intesa, ma preve-dendo anche uno spazio magari polifun-zionale, di riposo, o anche per svolgerealtre attività nel momento in cui questanon funzionasse come spazio per il ripo-so. Questa ed altre esperienze simili han-no costituito un punto di riferimento an-che per lo stesso Governo nel momentoin cui il Ministro Fioroni e il Vice Mini-stro Bastico hanno portato avanti questalinea: da un lato di arrestare l’ingressoanticipato dei bambini alla scuola dell’in-fanzia, dall’altra dare una risposta ai set-tantamila bambini i cui genitori avevanorichiesto l’ingresso anticipato nella scuo-la dell’infanzia.

Il fenomeno, purtroppo, si è verificatoe si verifica perché c’è una carenza diffu-sa in tante parti del paese di Asili nido. Ilnostro dovere come istituzione deve esse-re quello, di fronte a un bisogno così dif-fuso, di offrire un servizio di qualità.

In un quadro di servizi e di attivitàeducative e scolastiche per i bambini dazero a sei anni, io penso che si possa per-correre la via verso un servizio integrati-vo che aiuti a far crescere un’offerta diqualità in quei Comuni dove permangonogravissime difficoltà. Probabilmente an-che negli altri Comuni capita che più c’èofferta di servizio e più c’è domanda.

Riguardo lo standard del 33%, i datimostrano che si tratta di uno standard

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provvisorio perché i bambini sono moltidi più. Cresce nelle nuove generazioni laconsapevolezza che i bambini devonopoter stare con gli altri bambini e devonoavere dei luoghi di riferimento per potercrescere bene ed essere accompagnatidalla famiglia nell’apprendimento. Èmolto probabile che lo standard europeonon debba essere solo raggiunto, ma an-che superato negli anni futuri. Tuttavianoi, come Amministrazione comunale,dobbiamo lavorare molto per raggiungerequell’obiettivo; per questo ci siamo posticome traguardo la messa in campo altre84 strutture (nidi), per coprire altri 7.000posti e arrivare allo standard europeo,continuando a camminare nella direzionedel sistema integrato.

Parlando ancora dei numeri di Roma,posso riferire che noi gestiamo circaquindicimila posti nei nidi, ma sono 172le strutture comunali e, proprio riferendo-mi a questo numero, nei giorni scorsi sia-mo riusciti a concludere un accordo cheio definisco “di svolta” per la nostra città,che forse può costituire un punto di rife-rimento utile per altre realtà del paese.

Per la prima volta abbiamo potutocondividere con le organizzazioni sinda-cali l’idea che il servizio pubblico può ri-manere centrale nella misura in cui si puòanche lavorare in un’ottica di utilizzo ot-timale delle risorse pubbliche, non soloin termini di espansione ma anche in ter-mini di riforma: cioè, fare in modo che siintroducano e si rispettino sempre piùconcretamente i criteri di efficienza e diefficacia.

In questo senso, noi siamo riusciti afare due cose: mantenere l’idea che la ge-stione diretta dei nidi debba poter essereconcretamente perseguita se si mantienenella mano pubblica il personale educati-

vo; abbiamo poi affermato, per la primavolta in un accordo sindacale, che proce-deremo all’esternalizzazione progressivadei servizi ausiliari. Per esprimere il con-cetto in maniera semplice, l’Amministra-zione progressivamente non assumerà piùbidelli, cuochi, ecc., ma questi servizi sa-ranno affidati a realtà esterne all’Ammi-nistrazione, ovviamente anche in questocaso definendo livelli standard di qualità;il personale educativo, invece, rimarrà al-le dipendenze comunali. Questo è unaspetto fondamentale dell’accordo nelquadro della discussione sul tema del la-voro precario nel nostro paese. In parti-colar modo, nei servizi educativi, abbia-mo concordato di assumere in due anni2.000 insegnanti attualmente precarie, apertire da gennaio.

Questo non solo fornisce una certezzasul futuro di tante lavoratrici e le loro fa-miglie, ma dà anche stabilità ai servizi:l’incertezza portava precarietà anche acausa del turn-over annuale a cui gli entilocali, e non solo, erano costretti. Il nonpoter procedere ad assunzione ha portatoa una moltiplicazione degli incarichi an-nuali e, quindi, a un’insicurezza nei ser-vizi nel corso di questi anni.

Questo è il secondo, forse il fonda-mentale aspetto positivo che ha indotto leorganizzazioni sindacali a condividerecon noi l’introduzione di criteri di ottimiz-zazione dell’uso delle risorse pubbliche.

La terza questione, importantissimaper la nostra città, è stata quella di abbas-sare l’organico di base. A Roma, un “ni-do tipo” aperto dalle sette di mattina allediciotto di sera, che contava 60 posti, ve-deva un organico di 15 educatrici. L’ac-cordo è stato che noi nel corso di due an-ni scolastici ridurremo l’organico a 13educatrici per i nidi che chiuderanno alle

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sedici e trenta, partendo, con i nuovi nidiche apriremo a partire da gennaio, giàcon 13 o 12 educatrici. È la prima volta,credo, che si riesce a giungere ad un ac-cordo di riduzione del costo del lavoro inun’istituzione pubblica, mentre nel priva-to accade spesso. Personalmente credoche questo sia un fatto, almeno così l’hadefinito il sindaco, “storico”, per la realtàdella nostra città.

In questo accordo abbiamo, inoltre,introdotto elementi di miglioramento perquanto riguarda le supplenze brevi, intro-ducendo dei criteri più rigorosi rispetto alpassato.

Concludendo, voglio solo aggiungereche il futuro dello sviluppo dei serviziper l’infanzia nel nostro paese parte cer-tamente dal fare in modo che nelle ammi-nistrazioni si affermi sempre di più l’ideache il nostro paese ha un problema nonsolo di crescita economica, ma anche diprospettiva futura, che si risolverà solo seriusciremo a dare fiducia alle giovani ge-nerazioni nell’investire sul loro futuro esulla decisione di avere bambini.

Si tratta di una questione di grande ri-lievo, ma accanto a questo credo che oc-

corra una maggiore sintonia ed integra-zione nel lavoro fra tutte le istituzioni delnostro paese. In molte Regioni d’Italia,(accade anche nella nostra Regione), si èinvestito sempre meno sui servizi perl’infanzia.

Il problema vero è riuscire a fare inmodo che si rafforzi la capacità di inter-vento degli enti locali e si mettano incampo delle risorse aggiuntive che aiuti-no i Comuni a gestire questi servizi. Ioapprezzo lo sforzo che viene fatto conl’atttuale legge Finanziaria, di forniredelle risorse dedicate allo sviluppo di unarete di nidi nel nostro paese. Ritengo checi siano, a partire da qui, le condizioni af-finché si possa sviluppare un lavoro diforte impegno da parte dello Stato, delleRegioni e dei Comuni, nel definire livellie standard di qualità, ma anche nel mette-re in campo risorse aggiuntive che vada-no nella direzione che prima dicevo.

Per quanto ci riguarda, noi continue-remo a fare la nostra parte supportati dalnostro Sindaco, il quale è più che convin-to che investire sull’infanzia significhiinvestire sul futuro della nostra città e delnostro paese.

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Gli strumenti per sostenerela qualità del sistema

Lilia BottigliResponsabile Sistema Integrato Servizi Prima Infanzia, Comune di Livorno

Il sistema dei servizi livornese si è svi-luppato sullo sfondo delle leggi della Re-gione Toscana (prima 22/99 e poi 32/02che hanno sostenuto e finanziato la speri-mentazione dei servizi integrativi al nidocosì come delle forme di integrazione conil privato) ma anche delle scelte politichedel Comune che ha, da sempre, considera-to i servizi per la prima infanzia un benecomune di responsabilità pubblica.

Questa scelta ha condotto ad affronta-re il rapporto con il privato (sollecitatodalle normative progressivamente inter-venute) con l’obiettivo di costruire un si-stema integrato fortemente governato dalComune al cui interno ricercare anche lesoluzioni per la stabilità dei Servizi co-munali (in gestione diretta) messa seria-mente a rischio dai vincoli (assuntivi enon solo) imposti dalle leggi finanziaredegli ultimi anni.

Ai fini del funzionamento stesso delsistema, si è cercato di perseguire l’equili-brio delle parti (dei soggetti pubblici e pri-vati) perché consente di creare un sistemaorganizzativo autocorrettivo, fondato suuna cultura dei pari, che costruisce e man-tiene relazioni improntate a mutualità, re-ciprocità, coinvolgimento, sfida comune,apprendimento continuo; da questo potere(verbo) dell’equilibrio (e non dall’equili-

brio del potere-sostantivo) scaturisce lapossibilità di utilizzo totale delle potenzia-lità insite nella dinamica degli scambi tragli attori organizzativi del sistema, con ilrisultato di facilitare il processo di self-empowerment (come capacità di coglierel’ampiezza del ventaglio di possibilità tracui scegliere) delle organizzazioni (pub-bliche e private) coinvolte.

Per questo sono state promosse politi-che di rete concertate con le associazionidelle imprese e con le organizzazioni sin-dacali che hanno anche il valore simboli-co di far assumere ai rappresentanti dellacomunità locale la cultura dell’infanziaed il valore della sua educazione.

La realizzazione concreta di questepolitiche ha richiesto – a tutti e per primoal Comune – investimenti finanziari eprofessionali, perché costruire un sistemaintegrato – e soprattutto governarlo – nonvuol dire sottrarre risorse (risparmiare suiservizi) ma, al contrario, prevederne diaggiuntive, più flessibili, per essere uti-lizzate in modo diversificato.

Una delle prime azioni necessarie allacostruzione del sistema è stata, per il Co-mune, la modifica delle strutture organiz-zative e professionali deputate alla dire-zione e gestione dei servizi educativi perla prima infanzia.

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È stato istituito un ufficio “progetta-zione e programmazione sistema integra-to prima infanzia” (diretto da un funzio-nario socioeducativo inquadrato nell’areadelle alte professionalità ai sensi delCCNL AA.LL quadriennio giuridico2002-05 come “figura di sistema”) in gra-do di attivare consulenze fiscali, finanzia-rie, del lavoro; è stata stabilizzata la Dire-zione psicopedagogia dei Servizi con l’i-stituzione di due uffici territoriali direttida due funzionari socioeducativi (pedago-gisti) inquadrati in posizione organizzati-va; sono stati nominati (con inquadramen-to Cat. D/D2 e successivamente D3) ottocoordinatori pedagogici territoriali indivi-duati con selezione interna tra gli inse-gnanti dei servizi prima infanzia.

Così articolata, la struttura di Direzio-ne tecnico-amministrativa comunale ope-ra per l’integrazione in sistema di modellidiversi e per la promozione della qualitàdei servizi pubblici e privati, ma anchedelle imprese titolari e gestori dei serviziprivati con cui è sottoscritto, non solo un

contratto, ma un patto per lo sviluppo delsistema e della qualità dei servizi.

In questa prospettiva la Direzione co-munale organizza (con i referenti dei pri-vati) una direzione ed un coordinamentopedagogico integrati e stabili per/con cui,annualmente, mette a punto percorsi diformazione professionale e di supervisio-ne pedagogica che hanno il comuneobiettivo di fornire/affinare gli strumenti(posseduti dal gruppo di direzione inte-grata) per verificare e sviluppare in modoomogeneo la qualità della relazione edu-cativa in tutti i servizi del territorio, coin-volgendo prima di tutto l’Università edaltri enti di ricerca per validare i modelli(di servizio e psicopedagogici) progressi-vamente attivati fuori dalle tentazioni diautoreferenzialità.

A sostegno di questa modalità di pro-cedere il Comune, sullo sfondo del rego-lamento regionale toscano (D.P.G.R. n°47/r dell’8.8.2003), si è dotato di un pro-prio quadro regolamentare che differen-zia i percorsi per l’autorizzazione al fun-

Livorno è un città di circa 160.000 abitanti con un insieme di servizi educativi 0-3 anni composto da:

NidoComunali– n.12 gestione diretta: 523 posti– n.1 gestione in appalto: 15 postiper un totale di 558 postiPrivati– n.6 accreditati e convenzionati che offrono in totale 224 posti, di cui 173 riservati al Comune– n.1 autorizzato: 32 posti

Centro Gioco EducativoComunali– n.1 gestione in appalto con 20 postiPrivati autorizzati– n.3 con 61 posti complessivi

Educatore domiciliare– n.3 privati accreditati e convenzionati per un totale di 15 posti

Centro Bambini e Genitori– n.1 comunale, gestito in appalto, per un totale di 40 posti

Aree Verdi– n.3 comunali, gestito in appalto, per un totale di 60 posti

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zionamento e per l’accreditamento deiservizi privati che, proprio perché finaliz-zati alla valutazione complessiva dellaqualità della permanenza (della vita) quo-tidiana, dei bambini e delle bambine inquel servizio, sono entrambi procedimen-ti di competenza della Direzione tecnico-amministrativa delle attività educativecomunali che assume come non vinco-lanti i pareri tecnici di altri settori (urba-nistica, edilizia, ambiente) dell’Ente edell’Az.USL. E ancora allo scopo di pro-muovere consapevolezza e assunzione diresponsabilità di tutta la comunità rispet-to ai luoghi dei bambini, le richieste deiprivati vengono esaminate in una confe-renza permanente dei servizi che istruisceil procedimento coinvolgendo istituzionied enti territoriali.

Particolare attenzione è posta all’ac-creditamento dei servizi privati (già auto-rizzati) per cui sono verificate:– le condizioni di inquadramento e sta-

bilità del personale per il presente ma

anche per le prospettive di qualifica-zione offerte dal gestore e dal contrat-to applicato;

– la formazione professionale realizzatanell’orario di lavoro contrattuale (peralmeno 110 ore annue) e la sua con-creta traduzione pedagogica nel quo-tidiano del servizio;

– la qualità della relazione educativaconcretamente realizzata nel serviziocon presenza minima trimestrale di uncoordinatore pedagogico comunale;

– la qualità (oltre gli ambiti formali)della partecipazione individuale e col-lettiva delle famiglie;

– la qualità della progettazione educati-va (per l’organizzazione degli ambien-ti, dei tempi, dei gruppi, delle attività);

– la chiarezza, la coerenza, la pubbli-cità/trasparenza del quadro regola-mentare del servizio in tutti suoiaspetti organizzativi ed economici;

– la quantità e la qualità degli scambiche il servizio ha attivato con gli altriservizi privati e pubblici del territorio.

I dati più recenti indicano 3.837 (dato anagrafico 2005) bambini in età ed una domanda espressa (per l’an-no educativo 2006/07) per 1.276 (pari al 33% dei bambini in età) che è progressivamente aumentata inrapporto al crescere dell’offerta (nell’a.e. 2005/06 era per 929 bambini ed in quello 2004/05 era per 824).I Servizi complessivamente esistenti coprono il 22% dei bambini in età e soddisfano il 66% della domandaespressa.

Se si considera, invece, solo il nido i dati si abbassano al 19% dei bambini in età e al 57,30% dei richieden-ti; ogni anno, infatti, si forma una consistente lista di attesa per il nido (500 bambini circa a fine ammissioniper l’a.e. 2006/07) che resta comunque il servizio più richiesto. Questo dato, generalizzato nei Comuni che hanno attivato i cosiddetti servizi integrativi e/o alternativi al ni-do tradizionale, induce a riflettere circa il permanere del bisogno di servizio continuativo e a tempo lungoche peraltro risponde ai bisogni di continuità, costanza, non frammentazione (dei tempi e delle esperienzedei vita quotidiana) dei bambini e delle bambine.

L’offerta dei Servizi 0-3 cosiddetti ordinari, si integra con quella 0-6 del periodo estivo (che, realizzata per 5settimane in convenzione con i privati, offre circa 120 posti che esauriscono le richieste) e quella, ordinaria,della scuola dell’infanzia che copre, complessivamente circa il 99% dei bambini in età, articolata con:– n.17 scuole statali che accolgono 1.330 bambini/e (il 36 % circa della scolarizzazione);– n.15 scuole comunali che accolgono 1.195 bambini/e (il 34 % circa della scolarizzazione);– n. 13 scuole private paritarie che accolgono 1.005 bambini/e (il 30 % circa della scolarizzazione).

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L’accreditamento non è un atto for-male, ma un percorso (alla cui verifica fi-nale corrisponde anche l’atto formale)concordato tra Direzione comunale e ge-store privato, che prevede:– la verifica del bilancio e, in generale,

della “salute” dell’impresa che gesti-sce il servizio con, di conseguenza, laverifica delle rette a carico delle fami-glie utenti;

– la progettazione condivisa degli inve-stimenti strutturali e professionali (tracui un coordinatore pedagogico inter-no) a carico del privato;

– un progetto di formazione (che preve-de anche un periodo di tirocinio neiservizi comunali) e di coordinamentopedagogico concertato e condiviso an-che dagli operatori del servizio che,tra l’altro, ha l’obiettivo di sviluppa-re/consolidare il senso di appartenenzae la condivisione del valore sociale delservizio stesso come elementi fonda-mentali per lo sviluppo della qualità.

Per garantire a bambini, bambine e fa-miglie un’offerta qualitativamente omo-genea, il convenzionamento è riservato aisoli servizi privati accreditati che, con laconvenzione, sono inclusi, senza subordi-nazione, nel Bando annualmente emessodal Comune per le iscrizioni; le famigliepossono così scegliere tra servizi pubblicie privati avendo comunque come interlo-cutore e garante l’ente locale.

Alle famiglie dei bambini ammessinei posti riservati al Comune nei serviziprivati accreditati e convenzionati, è ero-gato (in percentuale variabile su baseISEE) un buono-servizio a parziale co-pertura della retta mensile; questa coper-tura dei costi indispensabile per rendere ilservizio accessibile, ma il contesto in cui

si realizza è ben diverso dall’erogazionedi denaro (pubblico) spendibile da unafamiglia in un rapporto diretto – e di soli-tudine – con il privato sulle base delleleggi di mercato.

Ancora con l’obiettivo di far assume-re a tutta la comunità il valore dell’edu-cazione dell’infanzia, nell’ambito del-l’impegno finalizzato alla sottoscrizionedi un patto per lo sviluppo della città edu-cativa, il Comune è impegnato a far con-vergere nell’erogazione di buoni-servi-zio, dentro il sistema integrato, le risorsedestinate dalle associazioni delle impre-se, dalle aziende e dai contratti decentratiagli interventi assistenziali e/o ricreativiverso i propri affiliati, dipendenti, iscritti.

I servizi accreditati e convenzionati,insieme a quelli comunali (gestiti diretta-mente e in appalto) sono poi coinvolti,insieme, nei percorsi di formazione pro-fessionale e di continuità educativa pro-gettati dallo staff psicopedagogico comu-nale.

I percorsi di formazione, il cui costo èsostenuto sia dal Comune (per l’organiz-zazione e la conduzione) che dal privato(come costo del lavoro) sono:– organizzati per piccoli gruppi (max

20 educatrici) misti;– articolati sugli assi del sapere, saper

essere, saper fare;– suddivisi con cadenza mensile in se-

dute (di circa sei ore ciascuna) cheprevedono una fase teorico-pratica(per fornire informazioni, esplicitareconcetti, spiegare i modelli istituzio-nali, culturali, educativi di riferimen-to, ricollegare i concetti alle situazio-ni, i processi all’agire dei bambini) eduna fase di vissuto personale (con usodi tecniche attive per sviluppare con-sapevolezza delle emozioni, dei mo-

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delli interni, delle aspettative, delle ri-sorse, delle difficoltà di ognuno ri-spetto ai contenuti trattati).

Resta comunque fondamentale per lacostruzione del sistema integrato pubbli-co/privato dei servizi educativi per la pri-ma infanzia, il mantenimento di un polodi servizi gestito direttamente dal Comu-ne, che sia significativo non solo per laqualità, ma anche per la quantità (in cuisi coniuga e misura la qualità in educa-zione) e che possa offrirsi come laborato-rio di modelli (generalizzabili negli ele-menti fondanti in coniugazioni organiz-zative differenti) che possono costituirelinee-guida per l’organizzazione dei ser-vizi, del lavoro e per la progettualità edu-cativa nel/del sistema integrato pubbli-co/privato.

Su questo, a Livorno si è scelto diportare a sistema il modello 0-6 riorga-nizzando progressivamente i nidi e lescuole comunali dell’infanzia in Centriinfanzia 0-6 (ad oggi 4, che accolgono il24% circa degli utenti dei servizi comu-nali prima infanzia) per meglio accoglie-re, con percorsi educativi flessibili e cir-colari diversamente accessibili ai singolie ai gruppi, la non linearità dello svilup-po infantile e coniugare la continuità(degli ambienti e delle educatrici che, in-quadrate in un unico profilo, accompa-gnano il gruppo fino all’uscita per lascuola primaria) con la discontinuità e laricorsività.

Ancora a sostegno dello sviluppo diun sistema integrato pubblico/privato deiservizi educativi per la prima infanzia, ilComune di Livorno pone:– una rete di offerte formative aggiunti-

ve (in orario oltre il funzionamentodei servizi) rivolte alle famiglie (ma-

dri e padri – singoli e in coppia – non-ni e genitori o nonni insieme ai bam-bini e alle bambine) che sono localiz-zate nelle sedi dei servizi pubblici eprivati e aperte a tutti (non solamenteai già utenti) e che consentono la co-noscenza reciproca (tra famiglie uten-ti di diversi servizi) e lo scambio;

– la concessione a privati a condizionifavorevoli (rispetto al mercato immo-biliare) di sedi di proprietà comunale(derivanti da riorganizzazione dellarete scolastica e del patrimonio comu-nale come da nuova urbanizzazione)con l’esclusiva finalità di istituzionedi nuovi servizi prima infanzia previaverifica, con procedura di evidenzapubblica, del progetto di impresa e diservizio in tutti i suoi aspetti;

– una preliminare consulenza psicope-dagogia ed organizzativa (realizzataanche attraverso una piccola guida online) per la creazione e la gestione diservizi per l’infanzia.

Tutto questo, a Livorno, ha prodotto,dal 2002 al 2006, una espansione di oltre200 posti nell’offerta 0-3 anni (che nonsarebbe stato possibile realizzare con lagestione diretta), la stabilizzazione ed ilpieno utilizzo dei servizi privati che sonostati accreditati e convenzionati con laconseguente stabilizzazione di 60 posti dilavoro (tra educatori ed ausiliari); per ilComune è stato necessario un investi-mento aggiuntivo – oltre il costo del la-voro dei componenti la Direzione psico-pedagogia – pari a circa 300.000 euro an-nui che ha trovato copertura finanziariain parte nel bilancio comunale (che regi-stra circa 4.500.000 euro come costo deinidi in gestione diretta e che è impegnatoper circa il 15% nei servizi educativo-

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scolastici) ed in parte nei finanziamentiregionali finalizzati all’educazione dellaprima infanzia.

Per il meccanismo all’inizio richia-mato di aumento della domanda in rap-porto all’aumento dell’offerta è stato, in-vece, meno rilevante il risultato sulla listadi attesa comunale che si è ridotta di solo30 bambini e che, quindi, continua a se-gnalare la necessità di ulteriori investi-menti.

In ogni caso, si è trattato di un percor-so impegnativo che ha visto il Comune af-frontare inizialmente una presenza di ser-vizi privati (nati in assenza di riferimentinormativi) indefiniti (ed in parte fondatisul sommerso) di fronte ai quali ha prefe-rito essere non solo un controllore in ter-mini ispettivi, ma piuttosto un verificato-re, un accompagnatore e un promotore;questo, da una parte, ha dato esiti positivi(di messa a norma e di autorizzazione)mentre, dall’altra, ha consentito di dispor-re le diffide e le chiusure (che pure sonostate disposte) senza impatti violenti nésulle famiglie, né sugli operatori e le ope-ratrici; infine, ha creato i presupposti af-finché il territorio, che continua a registra-re una forte necessità di servizi, non di-ventasse (nelle pieghe interpretative dellenorme) meta di business a discapito deibambini, delle bambine e delle famiglie.

Tuttavia si è consapevoli che il siste-ma integrato pubblico/privato è tutt’altroche esente dai rischi della frammentazio-ne e frantumazione (e dal conseguentecedimento della qualità) che caratterizza-no tendenzialmente i privati del territo-rio, forse perché hanno la caratteristica diessere piccole imprese (uninominali opiccole cooperative in cui prevalgono isoci lavoratori) a conduzione quasi fami-liare; per contrastare questi processi il

Comune ha il potere di definire (nei capi-tolati per appalti e concessioni, nei rego-lamenti per l’autorizzazione e l’accredi-tamento) le condizioni che garantiscanol’omogeneità strutturale (personale estandard qualitativi), riservando la con-correnzialità alle idee e alle pratiche pe-dagogiche, così come può, con la forma-zione professionale, sostenere/sollecitarei privati a fare rete.

Occorre però anche evidenziare che ilComune esercita le sue funzioni in assen-za di una legge quadro nazionale per l’in-fanzia 0-6 anni che:– riconosca il nido nel circuito educati-

vo-scolastico, abrogando la L.1044del 1971 che è ormai lontanissimadalla realtà di questo servizio, ma an-che collegando chiaramente questoservizio – spesso frantumato tra so-ciale, sanità e anche qualcos’altro – alMinistero di competenza;

– chiarisca le competenze tra Stato eComune, anche per la scuola dell’in-fanzia, la cui scolarizzazione è moltodisomogenea nel territorio nazionalecosì come lo sono, secondo i diversigestori, le conduzioni in cui si realiz-za. Un ultimo esempio di questa nonchiarezza sono anche le “sezioni pri-mavera” spuntate (giustappunto!)nella legge finanziaria perché, se èvero che non possono essere parago-nate all’anticipo previsto dalla cd.“riforma Moratti” (almeno sono luo-ghi dedicati – ad un momento dellosviluppo – invece che posti indiffe-renziati e sparsi), è anche vero chenon sono chiare le condizioni di rea-lizzazione, come è vero che questafascia di età fa parte di una fase dellosviluppo (che non può essere allarga-ta o ristretta a piacere!) la cui cultura

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e pratica pedagogica sono state co-struite dal nido (che appartiene ai Co-muni). Allora – poiché il problemaesiste non tanto come anticipo ma co-me esclusione dall’accesso ad unacomunità educativa di molti bambinidi 2 anni – perché non promuovere (efinanziare) la sperimentazione di mo-nosezioni di nido 2-3 anni (che peral-tro già esistono in molti Comuni) col-legate ad una scuola dell’infanzia sta-tale? Perché non promuovere accorditra scuola statale e Comune, che rico-noscano a quest’ultimo un ruolo cheva oltre il fornitore di servizi (dimensa e simili)?

– dia – ad ognuno per le proprie compe-tenze – la certezza dei finanziamentidisponibili, riattivando i fondi nazio-nali.

Insieme ad una legge quadro di que-sto tipo sarebbe altrettanto importante su-perare la frammentazione dei contrattinazionali di lavoro di riferimento per leprofessionalità educative, per introdurrel’omogeneità di trattamento (con contrattinazionali “di professione”? con accordiregionali?) nei livelli salariali e nellastrutturazione dell’orario di lavoro (percalendario, per il cd. “rapporto frontale”con i bambini e per il monte-ore per for-

mazione, programmazione, rapporti con igenitori e quant’altro necessario al servi-zio). Appare grande la contraddizionedella diversità di orario e di salario per uninsegnante se lavora nella scuola dell’in-fanzia statale o in quella comunale o inquella privata paritaria.

Sicuramente un simile obiettivo non èraggiungibile a breve termine, conside-rando che lo stesso CCNL dei Comunidifferenzia (per orario e salario) la fun-zione educativa al nido e alla scuola del-l’infanzia, mentre – proprio perché moltiComuni adottano un modello 0/6 – sem-brerebbe invece più utile della contrappo-sizione tra pubblico e privato in un siste-ma che è già pubblico/privato ed i cuisviluppi, pur in un quadro nazionale chesi sta modificando, sono difficilmenteipotizzabili in altro modo.

www.comune.livorno.iteducazione e scuola/prima infanzia

Attività Educative Prima InfanziaVia delle acciughe n.557123 LivornoTel: 0586-820616/617Fax: [email protected]

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“Esistono molteplici saperi intorno a di-mensioni particolari della realtà. Ed esiste un pensare intorno ad essi, chene interroga le condizioni di possibilità”

M. Cacciari

“Non c’è metamorfosi senza perdita esenza visione: si può cambiare forma so-lo se si è disposti a perdersi, a meravi-gliarsi e ad immaginare”

A. Melucci

“Se uno sbaglia è bello perché dopo luisa che quella cosa lì non va fatta e allorane capisce”

L.C. 5a 10m

Da molti anni mi occupo1 e preoccu-po della costruzione e realizzazione dipercorsi di formazione, in ambito nazio-nale e internazionale, congeniati soprat-tutto sull’idea di scambio culturale e divalorizzazione dell’esperienza educativaintesa come contesto privilegiato di au-toformazione.

Implicita è l’idea che la scuola e il ni-do d’infanzia siano luoghi dove si elabo-ra cultura, si incontrano e si interfaccianodifferenti culture, dove si promuove ri-cerca per bambini e adulti in stretta rela-

zione solidale tra loro. Entrambi, bambinied adulti, sono accreditati di essere de-tentori di saperi e di essere soggetti in ap-prendimento.

Per introdurre alcune considerazioniprendo spunto dalle parole di un filosofo,un sociologo e un bambino di quasi seianni, che mi pare sappiano evidenziare

La formazione del personale:investimento sullaqualità dei servizi

Elena GiacopiniResponsabile Coordinamento Pedagogico Istituzione Scuole e Nidi d’infanzia

Comune di Reggio Emilia

1 Solo alcune note per introdurmi. Sono peda-gogista, responsabile di coordinamento pedagogicoa Reggio Emilia, città che Susanna Mantovani hadefinito con vocazione per la mobilitazione pedago-gica. Da anni, oltre a coordinare direttamente servi-zi educativi e REMIDA il centro di riciclaggio crea-tivo di Reggio Emilia, mi occupo di progetti di for-mazione e di scambio di esperienze con diverserealtà italiane e di altri paesi. Sono esperienze in-tense che partono dall’idea di dare valore ed esplici-tare le teorie che sostengono i differenti progetti pe-dagogici, parti fondanti dei nidi e delle scuole del-l’infanzia nelle diverse città, avviando con inse-gnanti e pedagogisti percorsi di rilettura e approfon-dimento intorno alle didattiche. Da alcuni anni aReggio Emilia siamo organizzati in Istituzione (Isti-tuzione Scuole e Nidi d’infanzia del Comune diReggio Emilia) che attende ad un sistema integratodi nidi e scuole dell’infanzia pubblici e privati, con-venzionati, comunali e statali per la realtà 0-6 anni.Solo due dati: a Reggio Emilia il 40% dei bambinifrequentano il nido, il 92% dei bambini frequentanola scuola dell’infanzia.

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alcune qualità e valori dei processi for-mativi e della formazione legati a concet-ti quali:– l’interlocutorietà e la possibilità (in-

terrogare le condizioni di possibi-lità);

– il cambiamento in relazione alla di-sponibilità a perdersi, immaginare emeravigliarsi, atteggiamenti contro-corrente oggi non sempre accolti confavore;

– il riconoscimento dell’errore comeopportunità per capire meglio, per co-struire un pensiero critico, capace diautovalutare e autovalutarsi per consi-derare la propria esperienza ed impa-rare da essa.

Premessa intorno al termineformazione

È da tempo acquisito e scontato cheintorno ai servizi per la prima infanzia epiù in generale intorno all’idea di scuolasi parli (avrei voluto dire si discuta maforse è troppo ardito) della formazionedel personale.

La formazione è riconosciuta a priorielemento qualificante, imprescindibile,come indicatore di qualità per un proget-to educativo, ma raramente è soggetto didibattito, di confronto, di approfondi-mento.

Ma cosa significa formazione? Forma-zione da formatio, etimo latino. Quali im-maginari si aprono evocando tale parola?Indagando sul significato etimologico:– qualcuno la definisce come “l’atto e

l’effetto del formare” altri mettonol’accento sulle procedure e i processie la citano come “modo in cui si di-spongono le cose”; il modo in cui

qualcosa si forma, puntando l’atten-zione sul processo di composizione;

– altri la citano come maturazione dellefacoltà psichiche e intellettuali dovutaallo studio e all’esperienza; recente-mente De Mauro scrive “il formare, ilformarsi, l’essere formato”;

– percorso/processo formativo della cul-tura, del sapere; formazione culturalecon riferimento ad aspetti fondamen-tali della personalità umana (a partiredall’idealismo tedesco si parla di ac-quisizione culturale sia in senso gene-rale che specifico, es. formazionescientifica, religiosa, ecc.);

– in pedagogia fino a poco tempo fa ve-niva usato come sostitutivo di educa-zione, oggi sempre più assume il va-lore di superamento dei due terminieducazione e istruzione troppo spessoposti in una forte contrapposizione. Inquesto senso il termine formazionerinvia sia alla dimensione esistenzialedell’educazione (tutto ciò che influi-sce soprattutto a livello soggettivo sulmodo di essere dell’individuo) sia alladimensione tecnica e quindi consape-vole e voluta (vicina a quella di istru-zione).

Accade così che si dice formazione esi fa riferimento a significati distinti, senon distanti, si pensa ai contenuti, alleprocedure, alle forme, ai soggetti prota-gonisti della formazione.

La formazione

La formazione assume diversi trattiidentificatori:– la formazione permanente con ne-

cessità di aggiornamento continuo,

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per costruire legami, connessioni conle contemporaneità culturali e le infor-mazioni, che i processi culturali, legi-slativi, sociali, politici, economicistanno generando. Edgar Morin parladi una testa ben fatta come di una te-sta atta a organizzare le conoscenze inmodo da evitare una sterile accumula-zione, una testa che tende a produrrel’emergenza di un pensiero “ecologiz-zante” di forte connessione tra l’infor-mazione e il contesto nel quale si vi-ve; si evoca un pensiero complesso;

– la formazione in servizio/sul campo,come atteggiamento di ricerca ri-spetto al progetto culturale e pedago-gico che ogni nido/scuola si dà e con-sapevolmente assume in relazione al-la propria realtà. Apre all’idea dell’a-scolto, della progettualità, della docu-mentazione, del problematizzare ilcollegamento tra le conoscenze, delcoinvolgimento di tutti i profili pro-fessionali (insegnante, cuoca pedago-gista dirigente, atelierista…). Tali nu-clei valoriali (ascolto, progettualità,documentazione, connessione di sa-peri e di ruoli) costituiscono il cuorepulsante di una scuola viva che assu-me un approccio di ricerca che coin-volge insieme insegnanti e bambini,generando un profondo senso di ap-partenenza.

È un’idea di formazione che mette indiscussione molti stereotipi, e rompe nonpoche certezze: non accetta il presuppo-sto che la programmazione didattica siada stendere nei primi giorni di scuola esia valida per tutto l’anno, offre unosguardo critico verso i piani di formazio-ne scritti un anno per l’altro e affidati adesperti esterni.

Affida buona parte del processo diformazione agli insegnanti stessi che,pensati come interlocutori di studiosi e ri-cercatori, sono essi stessi ricercatori e as-sume l’idea che la scuola sia laboratoriodi ricerca culturale, cioè della cultura in-tergenerazionale espressa dai bambini edai ragazzi insieme agli insegnanti.

Nella ricerca l’insegnante deve essereconsiderato “non come oggetto di studioma come interprete dei fenomeni educati-vi”, scriveva anni fa David Hawkins. Gliinsegnanti sentono fortemente l’esigenzadi accrescere la loro competenza, di con-vertire i fatti in pensieri, i pensieri in ri-flessioni, le riflessioni in cambiamentidei pensieri e delle azioni.

Significa interpretare i processi primaancora dei risultati, alzando la consape-volezza della relazione tra insegnamentoe apprendimento e la consapevolezza del-l’apprendere ad apprendere.

È tenere in forte considerazione unrapporto di solidarietà e alleanza tra prassie teoria; prassi e teoria che reciprocamen-te si affinano e si rafforzano, sono pensatein uno stato di reciproca interlocutorietàche alimenta processi innovativi.

Probabilmente esistono anche altreinterpretazioni dell’idea di formazione etalvolta è difficile tracciare rigidi confini,forse tali interpretazioni hanno bisognol’una dell’altra e nessuna esiste senzal’altra; di solito, infatti, convivono mo-menti divulgativi con momenti di ascoltodi interlocutori con diversi approcci di-sciplinari, momenti di approfondimentocon percorsi di ricerca…

Troppo spesso però i piani di forma-zione canonici prevedono solo laborato-ri o solo incontri con ottimi relatori; inmodo provocatorio vorrei dire che sod-disfano un piano informativo, culturale

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di nutrimento del pensiero, ma il pro-cesso formativo chiede di mettersi ingioco come insegnanti, di riflettere in-torno all’esperienza didattica ed educati-va realizzata con i bambini assumendoinediti punti di vista, cogliendo lo spae-samento e il pensiero del disincanto cheti prende quando realmente impatti leoriginalità dei processi conoscitivi deibambini e ognuno scopre che davveroconosce poco.

In questa ottica chiaro è l’impegno diportare la cultura espressa dai bambinifuori dalle classi e, perché no, fuori dallascuola, anche alla città: per mettere indialogo le culture tra/di generazioni di-verse.

La formazione è investimento comemetafora per indicare il collocamento dienergia/valore su un’attività progettata econdotta nel tempo; sottolinea l’azionedel portare verso nuove possibilità di azio-ne/pensiero/coinvolgimento.

Sottolinea la potenzialità di un patri-monio che si valorizza nel tempo, anchese non è sufficiente lo scorrere del tempo.Non è sufficiente una sequenza lineare ecronologica di incontri, è la qualità dellarelazione tra i diversi sistemi che si in-trecciano e che portano valore aggiunto:gli investimenti soggettivi personali assu-mono maggiore forza ed incisività quan-do diventano investimento del gruppo dilavoro collegiale, ed ancora sono più po-tenti se si traducono in investimento dellacomunità (la scuola, la città, il sistema in-tegrato pubblico con scuole FISM comu-nali private e statali).

Si intravedono flussi e spazi di comu-nicazione e relazione davvero complessi,a volte anche difficili da decodificareproprio perché appartenenti ad esperienzediverse, si intravedono anche molti in-

ciampi e l’urgenza di rinnovare le strate-gie della formazione.

Per tutto questo assumono particolarevalore la presenza dei coordinamenti pe-dagogici, così come i servizi di supportoquali i centri documentazione, i laborato-ri teatrali, gli atelier espressivi, ecc.

Nella nostra città sta nascendo ancheil Centro Internazionale Loris Malaguzzicon la vocazione ad essere luogo di dia-logo tra diversi approcci disciplinari, tradiversi gruppi generazionali, tra diverseculture; luogo di ricerca, innovazione,creatività, una sfida difficile e complessa.

Questioni emergenti

Nel dire questo penso anche a quantosta accadendo in diverse contraddittorierealtà nazionali. Di fatto, in questi ultimianni assistiamo a responsabilità e sceltedifferenti; da una parte si dichiara la for-mazione come elemento fondante mentreavanzano contratti lavorativi che semprepiù riducono il monte-ore dedicato allaformazione e alla compresenza delle in-segnanti, oppure si creano condizioni diinsegnamento nella stessa sezione oscuola con insegnanti che hanno contrattidifferenti (Stato, Comuni, Cooperative,ecc.) con diverse organizzazioni orarieper cui è estremamente difficile concor-dare sui tempi e i modi e significati degliincontri e della formazione, oppure si vi-vono situazioni di forte precarietà delpersonale, che non ha le condizioni mini-me per investire nella costruzione di unpercorso e processo formativo, cioè nellacostruzione di un senso di appartenenzaall’esperienza educativa, nell’esperienzaeducativa. E credo anche si possa acco-gliere la sfida di riflettere sull’idea di

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flessibilità, criterio che negozia il cam-biamento, cerca adattamenti ed ha benpoco da spartire con precarietà e provvi-sorietà, instabilità che minano il senso dipossibilità di investimento.

A proposito della precarietà vorreiaccennare ad un’iniziativa avviata nelfebbraio scorso nella mia città, ReggioEmilia, dalla scuola dell’infanzia PabloNeruda e da un gruppo di genitori deno-minato “Dialoghi sulla scuola”. L’inizia-tiva “Preoccupati – in educazione qualitànon fa rima con precarietà” – ha postoall’attenzione dei politici, dei cittadini,del mondo della scuola l’incidenza nega-tiva e problematica della precarietà delpersonale; la precarietà non consente lacorresponsabilità educativa di tutti i ruo-li professionali (cuoche, atelieriste, inse-gnanti, pedagogisti), annulla la possibi-lità della formazione permanente in ser-vizio che si costruisce nel lavoro condi-viso dalle insegnanti e nella compresen-za con il gruppo dei bambini, indeboli-sce i rapporti scuola-famiglia, non per-mette di garantire ai bambini il diritto al-la continuità del progetto educativo, nonproduce un significativo risparmio eco-nomico ed anzi genera dissipazione delpatrimonio culturale ed educativo (conevidenti costi sociali), non consente alpersonale di costituire identità di grup-po, coesione sociale e condivisione diresponsabilità. A giugno una seduta spe-ciale e dedicata del Consiglio Comunaledi Reggio Emilia ha assunto con votoquasi unanime la mozione popolare pro-posta dal documento del gruppo dei ge-nitori sollecitando ad individuare nuovestrade per superare il blocco delle assun-zioni nella scuola (ovvio, non solo co-munale, il riferimento vale anche per lascuola statale).

Il documento pubblicato dalla rivistaBambini e condiviso anche dal GNNI, èstato presentato ad altre città, e moltihanno condiviso il senso della riflessioneproposta. A volte il documento è statooggetto di confronto critico: a cosa serve,a chi serve un tale documento? Non met-te in difficoltà le Amministrazioni chegià sono in affanno sui servizi? A noi pa-re che l’iniziativa “Preoccupati” dia argo-menti per alimentare il confronto, vogliasensibilizzare i politici intesi come inter-locutori attivi e, speriamo, propositivi dicambiamenti, sia esempio di un ottimoesercizio di cittadinanza agito dai genito-ri, perché denunciare i possibili rischi èresponsabilità e competenza del diritto dicittadinanza di ciascuno di noi. Non in-tende essere un documento di contrappo-sizione, ma prende posizione.

Vuole in modo serio proporre consi-derazioni intorno alle scelte di un proget-to educativo e pedagogico, e contribuiread offrire spunti ai politici per orientarele loro scelte intorno alle politiche del-l’infanzia e della scuola. Oggi, a frontedelle difficoltà della precarietà, ognirealtà sta adottando scelte creative diffe-renti, e non sempre con coerenza rispettoall’essenza identitaria di servizi dedicatie pensati per i bambini prima di tutto:cioè l’essere servizi educativi (sia nidoche scuola dell’infanzia).

Sul piano nazionale si propone, comeinnovazione e superamento dell’anticiposcolastico, la sezione ponte per i bambinidi 2-3 anni nella scuola dell’infanzia;quale idea di servizio educativo propone?Quale idea di diritto dei bambini si consi-dera? con quale personale, con quale for-mazione, in quali spazi? Questa sceltaquanto sta mutando il DNA, l’identità delnido e della scuola dell’infanzia? Sicura-

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mente oggi si intravedono mutuazioni(scambi vicendevoli nello 0-6) di espe-rienze, che sono forse il preludio di muta-azioni e muta-menti del nido e dellascuola dell’infanzia?

Di che cosa stiamo parlando allora? Inidi e le scuole sono riferimenti fondantila riflessione intorno alla formazione ealla qualità della formazione auspicata onecessaria. Quale coerenza tra proposteattuative e identità/organizzazione deiprogetti culturali pedagogici e educativi?

Accredito culturale e processiformativi

Sempre i progetti, i piani formativi di-chiarano di partire dall’analisi dei bisogni;forse è davvero necessario partire dai bi-sogni, o forse è solo una tradizionale abi-tudine, conservatrice di ciò che si sa fare?

La formazione potrebbe essere luogo econtesto metaforico dove posizionare nonsolo bisogni ma soprattutto diritti dei bam-bini e degli adulti partendo dagli accrediticulturali, dalle pertinenze culturali attri-buite ai soggetti in apprendimento, in rela-zione? Credo che dovremmo partire dallapiena consapevolezza che il bambino èsoggetto di diritto fin da subito, ha dirittoad apprendere, a luoghi pensati in ascoltodella cultura che i bambini stessi sannoprodurre e esprimere.

Intendiamo ribadire con forza la ne-cessità di percorsi e strutture di formazio-ne capaci di rigenerare e rendere com-prensibile il potenziale formativo e crea-tivo che la scuola e il nido hanno e meri-tano di tradurre in buone prassi, in gesti epensieri che riflettono, interpretano laquotidianità, senza aspettare progetti spe-ciali, sperimentali, cioè occasionali.

Solo un tale approccio quotidiano sitraduce in un atteggiamento di ricercache sia capace di generare un forte sensodi appartenenza, e di restituire valore allacultura dell’infanzia.

È la scuola di tutti i giorni per tutti ibambini, gli insegnanti, i genitori chemerita attenzione e qualità, consapevoliche ogni scelta in educazione è anche unascelta politica, di governo della vita pub-blica (polis città, polites cittadino).

Ma quale idea di scuola? Di educa-zione? Di rapporto con la città?

L’educazione è una responsabilità so-ciale, culturale, politica della collettività;fa parte dell’idea di città che abbiamo,per tenere insieme la qualità della vita deicittadini, per contribuire ad esplicitare l’i-dea di città come comunità. L’educazionedefinisce la qualità democratica di unpaese, è spazio pubblico di discussioneed è a rischio se la formazione perde diincisività.

Qualcuno dice che il vero presidio dicittadinanza della Stato sia la scuola, inte-sa come promotrice di azioni di cittadi-nanza e come primo vero luogo di acco-glienza perché crea condizioni di possibilidialoghi e confronti, quasi dei microlabo-ratori per la coesione sociale dove avviareprocessi di inclusione dei nuovi cittadini.

È quindi davvero vantaggioso investi-re in formazione anche rispetto alla sceltadi valorizzare il sistema integrato pubbli-co costituito da scuole statali, comunali,private, convenzionate, da nidi comunali,convenzionati e cooperativi.

Progetto scambi pedagogici

Nella Regione Emilia-Romagna daquasi dieci anni si conduce un progetto di

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formazione per pedagogisti e insegnantidenominato “Scambi pedagogici”2: pro-pone scambi di esperienze tra nidi comu-nali, convenzionati e privati, tra serviziintegrativi comunali e convenzionati, trascuole dell’infanzia statali, FISM, comu-nali, ecc.

Sono stati redatti diversi documentiper provare a dare significato a tale per-corso e renderlo patrimonio condivisibi-le, o almeno sollecitare curiosità e aper-ture.

È un progetto complesso che cerca ditradurre (senza tradire!) gli orientamentipolitici e pedagogici che mirano alla co-struzione in educazione di un sistema in-tegrato con valenza pubblica. Parlandodegli scambi un’insegnante dice: “unviaggio fatto di visite dialogate, di do-mande a volte un po’ sospettose, di con-fronti diretti a volte impegnativi e diffici-li, di posizionamenti culturali intorno al-l’idea di scuola, di bambino/uomo/don-na, di apprendimento, di educazione”.

È un progetto che ha chiesto a più di35 Comuni con diverse realtà educativedi dare disponibilità e mettersi in gioco eha creato un originale ed autentico per-corso formativo che continua ad acco-gliere nuove proposte di accesso e parte-cipazione.

Sono momenti che fuori da ogni reto-rica hanno reso evidente come educare siaeducarsi, sia camminare insieme, bambini

e adulti, sicuramente non sempre affian-cati, ma scambiandosi gli sguardi, le idee,le interpretazioni e le preoccupazioni; unviaggio dove all’insegnante compete nonprodurre apprendimento, ma produrrecondizioni di apprendimento.

Chiudo con un pensiero di Loris Ma-laguzzi per chiarire a cosa serve la for-mazione: “Fare una scuola amabile –operosa, inventosa, vivibile, documenta-bile e comunicabile, luogo di ricerca, ap-prendimento, ricognizione e riflessione –dove stiano bene bambini, insegnanti efamiglie, è il nostro approdo”.

2 “Identità in dialogo. Scambi pedagogici re-gionali”. Quaderno n. 8, Servizio politiche familia-ri, infanzia e adolescenza. Regione Emilia-Roma-gna 2004. “Provare a capirsi” raccoglie il pensieroravvicinato dello scambio tra scuole FISM e comu-nali, ed ha l’intento di proporsi come documento distudio.

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Il sistema integrato zero-sei a Modena

Per quanto riguarda la fascia 0-3, a li-vello comunale abbiamo raggiunto unacopertura che si assesta intorno al 35%dei nati. Potremmo quindi considerarcimolto soddisfatti, avendo sostanzialmen-te superato l’obiettivo di Lisbona. Inrealtà ci siamo resi conto, come venivasottolineato giustamente in precedenza,che l’obiettivo di Lisbona, che in molterealtà appare ancora lontano – a livellonazionale quasi irraggiungibile – è un tra-guardo mobile e molto relativo.

Pur avendo raggiunto questa copertu-ra, a Modena abbiamo liste d’attesa con-sistenti che derivano non tanto da un au-mento della natalità, che pure esiste,quanto dall’aumento della percentuale difamiglie che negli ultimi anni hanno de-ciso di richiedere l’inserimento al nidodel proprio bambino.

Negli anni ’70 e ’80 le famiglie com-presero la finalità, il ruolo non assisten-ziale, bensì educativo della scuola dell’in-fanzia, e ne fecero grande richiesta; oggila stessa cosa sta avvenendo per i nidi. Èsempre più frequente che le famiglie ri-chiedano questo servizio, inteso come op-portunità formativa per i propri bambini.

A Modena circa il 60% delle famigliepresenta domanda di accesso al nido equesto determina liste d’attesa che tendo-no a non esaurirsi.

Rispetto alla fascia 3-6, invece, la si-tuazione è relativamente stabile, poichéabbiamo una copertura generalizzata del100%.

Abbiamo raggiunto questi obittivi tra-mite un sistema che possiamo definire diwelfare mix, che ha tentato di integrare,razionalizzare e rafforzare i diversi contri-buti del Comune, dei privati convenziona-ti per quanto riguarda la scuola dell’infan-zia e dello Stato, in modo da raggiungereun equilibrio significativo fra diversi ge-stori che sono comunque inseriti in un si-stema pubblico, lo stesso descritto questamattina da Sandra Benedetti.

Rispetto al tema della governance, ilconcetto di equilibrio fra diversi gestori èun’idea importante sulla quale in Italia siè riflettuto ancora poco; secondo me, ladomanda che ci dobbiamo porre è: “qualè la soglia minima al di sotto della qualenon si può scendere perché uno dei sog-getti compartecipanti del sistema integra-to sia marginalizzato, resti al di fuori ditale sistema o non abbia quel potere equella forza derivante dalla sua massa

Qualità del sistemaintegrato zero-sei:

un’occasione da cogliereAdriana Querzè

Assessore all’istruzione, Politiche per l’infanzia, Autonomia scolastica,Rapporti con l’Università, Comune di Modena

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critica che gli consente di stare piena-mente all’interno del sistema?”.

In molte aree, per la fascia 0-6, o permeglio dire 0-3, esistono potenzialità chefanno capo all’imprenditoria privata e, senon ci preoccupiamo dare coerenza all’of-ferta formativa, attraverso strumenti siapratici, sia teorici, sia culturali, rischiamodi non avere più un sistema.

Perché e come sosteniamo il sistema integrato misto e privato

Innanzitutto, sosteniamo il sistema in-tegrato perché siamo profondamente con-vinti che l’assunzione delle responsabilitàin tema di educazione debba restare pub-blica. Questa è la ragione principale.

Rispetto all’intera comunità questo si-stema determina una scolarizzazione dif-fusa e precoce, che è correlata ad alti li-velli di occupazione femminile, e concor-re alla riduzione del tasso di povertà deibambini. Non dobbiamo dimenticare chein Italia la fascia d’età più colpita dallapovertà è quella dei bambini; nascere inuna famiglia dove entra un solo reddito,perché magari non ci sono servizi e lamamma non può lasciare il bambino acasa da solo, significa collocarsi su unalinea molto rischiosa nel senso che bastaun qualsiasi evento casuale, ad esempiouna malattia, per fare precipitare l’interafamiglia, e quindi il bambino, al di sottodella soglia di povertà.

Sempre nei confronti dell’intera co-munità, il sistema integrato consente disostenere, attraverso la sussidiarietà oriz-zontale, diversi soggetti che possono con-tribuire al soddisfacimento dei bisognidella comunità e all’attuazione dei dirittidei bambini.

Infine, non dobbiamo dimenticare lasostenibilità dei costi complessivi dei ser-vizi erogati. Sostenibilità che io ritengodebba essere perseguita attraverso varicanali, senza identificare necessariamentequesto aspetto con l’esternalizzazione diservizi. Gli appalti e le convenzioni, adesempio, possono rappresentare dellebuone modalità per migliorare la sosteni-bilità dei costi, temi su cui occorrerebberiflettere anche all’interno delle strutturecomunali. Faccio un esempio: abbiamoverificato che all’interno dei nostri nidicomunali il rapporto educatori-bambini èpiù basso di quello medio fissato dallaRegione, che pure non è alto. Con l’ac-cordo dei sindacati, con un percorso dicondivisione e di riflessione che ha coin-volto in primo luogo gli operatori, abbia-mo avviato un processo di revisione fina-lizzato ad aumentare questo rapporto,senza ovviamente superare la media indi-cata dalla Regione. Sono operazioni chesembrano ovvie, ma in realtà sono abba-stanza complesse e vanno seguite con at-tenzione, vanno concertate e concordatecon i sindacati.

Ancora, rispetto ai bambini e alle fa-miglie, il sistema determina una rispostatendenzialmente universalistica; abbiamovisto la domanda crescente di accesso ainidi e una sostanziale equivalenza rispettoagli standard garantiti. Per quanto riguar-da gli standard, credo che sia importantenon fare confusione: equivalenza aglistandard garantiti non significa che i ser-vizi di un sistema misto sono tutti uguali;se fossero tutti uguali, avrebbero lo stessocosto, ma non è così; significa, invece,che l’azione dell’Amministrazione comu-nale – in questo caso l’azione pubblica digovernance – mira a garantire gli standardconcordati minimi, rispetto ai quali non è

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possibile scendere, ma è possibile soltan-to, quando si hanno le forze, migliorare.

Credo che il tema della governancecollegato alla qualità debba osservare dueelementi: – sostenere i nodi della rete, cioè le sin-

gole strutture e le singole scuole;– sostenere le connessioni fra i nodi,

cioè le linee di marcia nel suo com-plesso.

Occorrerà, quindi, sostenere la condi-visione da parte dei diversi attori/gestoridelle linee generali del sistema educativoe della sua mission.

Non ritengo possibile l’esistenza diun sistema integrato se questa idea dieducazione, di scuola, di bambino e diapprendimento non è condivisa, perchéindividuare denominatori comuni fra unnido privato gestito da un’impresa minu-scola e un nido comunale non è sicura-mente semplice. Questo è frutto di unpercorso di formazione comune, di un la-voro fatto insieme, paziente, di limatura,di costruzione e decostruzione di convin-cimenti e di pratiche: a questo occorre ar-rivare, altrimenti il sistema non è sistemae, soprattutto, non è integrato.

Un ulteriore aspetto cruciale riguardala definizione e la pratica di forme di co-municazione interistituzionale.

I soggetti gestori devono servirsi diforme condivise, riconosciute e co-co-struite, rispetto alle quali è possibile fargirare le idee, le pratiche, le azioni, la do-cumentazione del lavoro, tutto ciò checoncerne le relazioni fra i soggetti; è im-portante il sostegno da parte dei soggettigestori, mi riferisco naturalmente ai priva-ti, dello scambio culturale e professionaletra i diversi nodi del sistema. Il lavoro incomune fra nidi a diversa gestione è una

strada importante, che noi già pratichia-mo. Questo significa dare opportunità, fa-re in modo che i servizi gestiti diretta-mente dall’Amministrazione comunalenon si chiudano nell’autoreferenzialità, esignifica fluidificare le reti del sistema.

Altri aspetti importanti sono le prati-che di continuità orizzontale, le pratichedi continuità verticale, la valutazione el’autovalutazione.

Per evitare che lo slogan comune ga-rante della qualità resti solo uno slogan, ilComune di Modena ha avviato da alcunimesi un ufficio qualità zero-sei che haproprio lo scopo di coordinare le parti diquesto sistema, di supportare, di control-lare, di predisporre ricerche e azioni al fi-ne di dare vita alle diverse accezioni cheil termine qualità deve necessariamenteassumere all’interno di un sistema cosìcomplesso.

La qualità non può essere garantita at-traverso un solo strumento, ma serve unaserie molto lunga e complessa di azioni,di ricerche, di attività che fanno sì chetutti gli aspetti di aqualità – i livelli dellaqualità politica, gestionale, della qualitàche i singoli servizi attestano, della qua-lità che occorre monitorare, della qualitàpercepita – possano trovare concretizza-zione.

Mi soffermo su un aspetto della qua-lità che, secondo me, non riceve l’atten-zione che merita: la qualità politica.

Per qualità politica intendo quellacoerenza delle scelte politiche che puònascere solamente da un flusso continuodi informazioni, di ricerche, di analisi deibisogni espressi e inespressi, di opzionipolitiche, che garantisce che l’orienta-mento delle scelte derivi da un raccordoprofondo con le caratteristiche della città,e sia caratterizzato da una coerenza forte

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tra mandato politico, scelte dichiarate escelte effettivamente realizzate.

Ritengo che governance sia tutto que-sto e molto di più. Sostanzialmente, al dilà della ricerca di un modello esaustivo diqualità per la governance, occorre mette-re in rete una serie di azioni, ricerche,analisi demografiche, monitoraggi ecc.,da collocare all’interno di un orizzonte disenso che possa davvero orientare le scel-te. A questo devono, ovviamente, aggiun-gersi tutte quelle azioni legate al supportodella qualità che vengono svolte all’inter-no di ogni singola scuola che rappresentai nodi della rete, ma i rapporti fra i nodidevono essere ugualmente oggetto di at-tenzione.

Questa è l’esperienza che abbiamocercato realizzare a Modena e che ci di-mostra ad ogni passo quanto vasto ecomplicato sia questo mondo.

Gli interventi sui nidi previsti dallaLegge Finanziaria

L’articolato della Finanziaria, nellaparte in cui prevede gli interventi sui ni-di, rappresenta finalmente una rispostache dà risorse ai nidi; la legge introduceanche il tema delle sperimentazioni dellesezioni primavera, che non è un anticipocamuffato, ma è effettivamente qualcosadi diverso.

Io credo che si tratti di una buonascelta, una scelta inevitabile da un certopunto di vista; non dimentichiamo quei70.000 bambini che hanno chiesto ed ot-tenuto l’anticipo per il deserto di servizinel quale vivono. Ci sono alcune criticitàgià messe in evidenza dall’ANCI, chechiede una sorta di attenzione particolareaffinché i Comuni non si ritrovino alla fi-

ne di tutto questo a pagare per questaoperazione. Complessivamente, però, èuna buona scelta.

Quali sono, rispetto alla governance, irischi delle sezioni primavera all’internodella Finanziaria? Io penso che ce ne sia-no tre secondari e uno principale. Inizioda quelli secondari.

Innanzitutto, questa scelta non si col-lega con l’affermazione, necessaria anco-ra oggi in Italia, della generalizzazionedella scuola dell’infanzia.

In secondo luogo, il sistema delle se-zioni primavera può comportare un ri-schio di svuotamento del nido. Noi sap-piamo che da zero a dodici mesi, le fami-glie trovano spesso altre soluzioni e co-munque non è quella la fascia maggior-mente rappresentata all’interno dei nidi.Se da zero a dodici anni è questa la situa-zione, e da ventiquattro a trentasei mesila soluzione è quella delle sezioni prima-vera, al nido resta un anno e poco più.

Infine, io credo che il rischio princi-pale sia rappresentato da una sorta di as-salto alle sezioni primavera delle FISM,che sono già attrezzate e che già si sonospese in questa direzione. Un assalto delmercato del privato comporterebbe unosquilibrio del sistema, con un rischio, difatto, di ingovernabilità che in questa fa-se storica può essere molto pericoloso.

Concludo con alcune domande guidache dal mio punto di vista dovremmoporci tutte le volte che, con la Finanzia-ria, con altri strumenti e con risorse ag-giuntive, mettiamo mano a questo delica-to sistema 0-6.

Le domande guida sono queste:– Quale obiettivo ci poniamo per il si-

stema a livello nazionale? Si è dettoche ci poniamo l’obiettivo di Lisbona.

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– Ci poniamo l’obiettivo di Lisbona aprescindere dal modo con cui ci arri-veremo?

– Come raggiungeremo la copertura del33%? Con tanto privato, poco privato,molto Comune, molto Stato. Riflette-re sul modo con cui possiamo arrivareall’obiettivo di Lisbona è importante,perché altrimenti rischiamo di arrivar-ci in un modo che non ci piace.

– Quale modello? È uno 0-3 più 3-6? Èuno 0-6? Il modello delle sezioni pri-mavera rischia di mettere in crisi il si-stema complessivo, pur riconoscendoche è la prima volta che ci sono dellerisorse.

– Infine, quale governance? Quale rap-porto nelle quote tra Stato, Comuni eprivati? Lo Stato interviene in modo

casuale? Lo Stato interviene in modoresiduale, come è successo, ad esem-pio, con l’istituzione della scuola del-l’infanzia statale, dove lo Stato inter-veniva laddove non c’erano altri in-terventi?

– Quali livelli essenziali vengono ga-rantiti in questa operazione, oltre aipure importantissimi e finalmente de-finiti rapporti numerici?

Penso che ragionare in termini di siste-ma e ragionare in termini di governancesia oggi indispensabile; è l’unico modoper non correre il rischio di perdere il con-trollo del sistema e, soprattutto, per nonperdere politicamente e culturalmentequella titolarità e quella responsabilità del-l’educazione che deve rimanere pubblica.

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“L’impresa sociale sarà un nuovo tipo diattività che sarà introdotta sul mercatocon l’obiettivo di fare la differenza a li-vello mondiale. Gli investitori nelle im-prese sociali quindi potranno riavere illoro investimento, ma non riceverannodividendi dalla loro società, perché questiprofitti verranno reinseriti all’interno del-la società per espandere la sua attività emigliorare la qualità dei prodotti e servi-zi; quindi questa impresa sociale sarà nonun attività in perdita, ma solo un’attivitàche non darà dividendi. I giovani di tuttoil mondo, soprattutto nei paesi ricchi, po-tranno trovare questo concetto di impresasociale particolarmente appetibile, inquanto darà loro la possibilità di fare ladifferenza, usando il loro talento creati-vo. Queste imprese affrontano proprioquelle che sono le preoccupazioni vitalidel genere umano e possono cambiare lavita al 60% della popolazione mondiale,possono aiutarli a sfuggire la povertà.”

Muhammad YunusOslo, 10 Dicembre 2006

Quando osserviamo il mondo dellacooperazione sociale italiana incontriamoun fenomeno complesso che si è andato

via via ampliando, ma anche diversifi-cando nelle forme, nei comportamentiimprenditoriali, nelle dinamiche di rela-zione con gli altri attori che si muovonosullo stesso terreno e sugli stessi ambiti.

I dati dello sviluppo della cooperazio-ne sociale in Italia raccontano un mondoin costante crescita in tutto il paese (nonsolo nel nord, ma anche al sud): oltre7.000 cooperative sociali con numeri chesuperano i 200.000 addetti e 5 miliardi dieuro di volume d’affari. Siamo davantiad una brillante operazione economicache è riuscita ad intercettare abilmente unsegmento di mercato in espansione o sia-mo davanti ad un fenomeno diverso?

Gli immaginari più diffusi che si col-legano al mondo della cooperazione so-ciale sono prevalentemente due: – la cooperazione sociale come compe-

titor dell’ente locale titolare/gestore,percepita come antagonista che mettesul mercato servizi uguali o simili aquelli dell’ente pubblico con alcunivantaggi competitivi: bassi costi, bas-sa professionalità, precarietà delle ri-sorse umane, bassa qualità;

– la cooperazione sociale come esecu-tore a valle degli enti locali titolari digestioni affidate, percepita come unfornitore, prestatore d’opera più o

Il ruolo dellacooperazione sociale

Claudia FiaschiVice presidente Gruppo cooperativo CGM, Welfare Italia

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meno qualificato a seconda delle scel-te politiche e tecniche degli enti loca-li. La qualità operativa infatti è forte-mente determinata dalle caratteristi-che della commessa (più o meno re-munerativa) e dalla possibilità da par-te della cooperativa di avere marginiche consentano investimenti in auto-nomia in qualità e sviluppo.

Entrambi gli immaginari sono figli diun approccio culturale ai sistemi di wel-fare che tende a far coincidere con lo Sta-to tutti gli interventi a finalità pubblica,distinguendoli dal resto degli interventidi natura privatistica.

Ma questa lettura da sola non rendegiustizia a ciò che la cooperazione socia-le effettivamente è, non rende giustizia,in particolare, alle motivazioni, alle spe-rimentazioni, agli investimenti che da piùdi trent’anni, in modi diversi, gruppi dicittadini hanno portato avanti dando ori-gine ad un soggetto nuovo, la coopera-zione sociale, che pur assomigliandomolto all’impresa ha in comune molti“cromosomi” con lo Stato e l’ente locale.

Quando parliamo di cooperazione so-ciale infatti ci riferiamo ad una particola-re forma di impresa:– un’impresa collettiva (i soci sono le

persone che mettono a disposizionecapitale, professionalità e tempo);

– un’impresa a capitale diffuso e congovernance democratica (tutti i sociversano la stessa quota di capitale edhanno quindi pari diritto/responsabi-lità di intervenire nelle scelte strategi-che della cooperativa);

– un’impresa di natura privata (la coo-perativa sociale utilizza gli strumentidell’economia e funziona dal punto divista organizzativo come un’azienda);

– un’impresa a finalità pubblica e soli-daristica (la cooperativa nasce perpromuovere il benessere della comu-nità in cui opera, L.381/91, art. 1);

– un’impresa non profit (il valore ag-giunto economico non è distribuito aisoci, ma distribuito in forma di ulte-riori azioni e servizi alla comunità).

Le persone che hanno investito nellostrumento cooperativa sociale hanno pun-tato su un’esperienza imprenditoriale bendiversa dall’impresa for profit (che sipreoccupa prioritariamente di posizionarei propri prodotti/servizi sul mercato), benlontana dal volontariato caritatevole eben lontana dagli immaginari di esecutori“conto terzi” di servizi; il risultato èun’esperienza formalmente e sostanzial-mente sussidiaria alla struttura e alla fun-zione degli enti locali, una vera e propria“terra di mezzo” che tiene insieme le ca-ratteristiche strutturali e di affidabilitàdell’impresa con la dimensione solidari-stica e partecipativa della dimensionepubblica.

La storia, l’evoluzione delle esperien-ze, la positiva dinamica di scambio econtaminazione culturale e operativa trale esperienze del pubblico e del privatosociale hanno nel tempo ridimensionatoalcuni pregiudizi, attenuato alcune diffe-renze e accorciato alcune distanze, messoin evidenza alcuni fattori di successo (sa-peri, competenze, funzioni) che rendonola cooperazione sociale non solo un feno-meno unico in Europa, ma anche un’e-sperienza che ha assolto e assolve tuttorauna funzione importante nel sistema diwelfare del nostro paese.

Credo che oggi valga la pena riflette-re insieme su questi elementi di successoper capire:

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– se l’insieme di saperi, competenze edesperienze maturate dalla cooperazio-ne sociale possano dare un apportoutile alla costruzione degli attesi sce-nari di un welfare ancora universali-stico, di qualità, ma capace di supera-re il limiti strutturali ormai più cheevidenti del vecchio sistema di prote-zione sociale;

– in quale modo, in quali luoghi, conquale ruolo la cooperazione socialepossa partecipare a questo processo dirifondazione dello stato sociale delpaese Italia.

Siamo consapevoli che nessuna formaorganizzativa (sia essa lo Stato, la coope-razione sociale, o l’impresa) ha in sé lagaranzia di un risultato efficace ed effi-ciente.

Non è infatti possibile affermare cheun Asilo nido gestito da un ente locale èdi qualità solo perché a gestione pubbli-ca, né che tutte le cooperative sociali so-no di per sé al servizio della comunità;non tutte le cooperative sociali infattihanno comportamenti imprenditoriali esociali all’altezza della loro missione.

Ma è certo che alcune forme organiz-zative rappresentano potenzialmente stru-menti più potenti ed efficaci di altri pertutelare l’insieme dei diritti e garantire laqualità dei “beni” che, all’interno dei ser-vizi alla persona, vengono “scambiati”insieme alle prestazioni.

A titolo di esempio, di solito non par-liamo di “mensa” nel nido, ma delle rela-zioni significative con le cose, con le per-sone, con l’ambiente che, attraverso ilmomento del pasto, il bambino ha mododi esplorare e conoscere.

Il “costo” del pasto al nido non èquindi mai solo legato ai costi di produ-

zione del bene “cibo”, ma anche alloscambio di beni relazionali collegati (imodi con cui il momento del pasto avvie-ne).

Il costo educativo di un pasto in unnido che non venga meno alla sua funzio-ne educativa, rende quindi decisamentepoco competitivo il pasto al nido in unalogica di puro mercato.

In questa direzione credo che oggi,accanto alla funzione dello Stato, possaessere riconosciuto un ruolo pubblico an-che al mondo della cooperazione sociale:il tema non è più quello della legittimitàdella gestione tra ente locale e coopera-zione sociale, quanto quello di definirecon quale ruolo e con quale sistema di re-gole i vari attori entrano in gioco, conquali strumenti sarà possibile, una voltalegittimati gli attori, distinguere e “pre-miare” i processi virtuosi, monitorare epenalizzare i processi non adeguati.

Provo allora a sintetizzare gli elemen-ti di valore che possiamo rintracciare nel-l’esperienza della cooperazione sociale,in particolare in quella del sistema CGM-Welfare Italia.

Tiene insieme economia e solidarietà– mobilita capitale e lo finalizza al

bene collettivo distribuendo servizialla comunità e lavoro;

– massimizza il risultato sociale edestina il risultato economico anuovi investimenti per la comu-nità (non remunera il capitale deisoci);

– pratica la solidarietà tra imprese,facendosi carico dei differenzialiterritoriali attraverso trasferimentodi competenze, saperi e capitali(es: progetti di reciprocità nord-sud).

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Tiene insieme partecipazione economi-ca e partecipazione politica/civile

– aggrega soci intorno ad un proget-to sociale ed economico;

– li chiama a partecipare in formademocratica ai processi decisiona-li ai vari livelli strategici, organiz-zativi, gestionali, operativi.

Un modo di produrre ecologico, a bas-so impatto ambientale

– non genera entropie perché è abi-tuato a generare valore nella scar-sità, facendo fruttare risorse resi-duali (basti solo pensare all’occu-pazione regolare di soggetti svan-taggiati);

– non genera inquinamento socialeperché il processo (il modo concui il servizio viene progettato,realizzato, innovato) è già prodot-to (un servizio è un insieme diprestazioni, relazioni e diritti);

– tende a mantenere e a incrementa-re il capitale sociale perché tendea valorizzare le risorse della co-munità.

In questa ottica ogni servizio è unmodo di abitare responsabilmente e conpassione un luogo, trasformandolo, mi-gliorandolo per le persone che con noi loabitano adesso e per quelle che lo abite-ranno domani.

In questa ottica ogni servizio è unaopportunità per costruire l’identità, l’ap-partenenza, la prossimità, la reciprocità,la solidarietà nelle piccole e grandi co-munità che abitiamo (dalla piccola comu-nità del nido al quartiere, alla città, allaregione, al mondo).

È giunto forse il tempo di guardare davicino l’interlocutore cooperazione socia-

le e costruire una percezione più realisticadei suoi confini e delle sue potenzialità.

La cooperazione sociale rischia di es-sere oggi la grande “occasione perduta”del nuovo sistema di welfare italiano dimantenere il sistema dei servizi alla per-sona, e quindi anche dei servizi educativi,nell’ambito della funzione pubblica.

Certo, occorre pensare ad una “nuovaforma di pubblico” capace di integrare inuna logica di sussidiarietà orizzontalemodi e forme diverse di rappresentanza epartecipazione, di costruire più articolateforme di tutela dei diritti, di offrire nuoveforme di partecipazione dei cittadini allacostruzione del bene comune.

La cooperazione sociale rappresentaoggi in Italia la sperimentazione più ma-tura e strutturata di forme di democraziapartecipativa e di partecipazione econo-mica, forme diverse e integrative rispettoa quelle messe in atto oggi dal sistemapubblico di tipo statale (delega attraversoil voto e partecipazione economica attra-verso la fiscalità). Una sperimentazionetutto sommato riuscita in Italia, a cui mol-ti in Europa e nel mondo guardano concuriosità, attribuendole potenzialmente ungrande significato e valore nelle trasfor-mazioni sociali ed economiche attese.

Se lo strumento cooperazione socialeè particolarmente adatto per garantire ac-canto alla funzione pubblica dello Stato ilmantenimento dei servizi alla persona al-l’interno di politiche pubbliche, tanto piùquesto vale per l’universo dei servizi perl’infanzia.

L’educazione è il luogo in cui la co-munità investe sul proprio futuro; l’edu-cazione dei bambini e dei giovani è unbene comune, una responsabilità di tuttigli attori delle nostre comunità; l’educa-zione è quindi un diritto di tutti che deve

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poter essere fruito a prescindere dallecondizioni sociali, economiche e culturaliindividuali con le stesse caratteristiche.

Missione comune di tutti i soggetti afinalità pubblica, è riportare costante-mente la responsabilità educativa sullacollettività, individuando nuove formecon cui questo diritto possa essere garan-tito e con cui le responsabilità delle varieparti possano essere esercitate, sottraendodecisamente tale responsabilità alle dina-miche di mercato.

“Ci vuole un villaggio per far cresce-re un bambino”….così recita un prover-bio africano; così recita anche l’inizio delpiano di impresa del Consorzio Luoghiper Crescere, Società di CGM dedicata aitemi dell’educazione.

Per una qualità vera dell’educazionevarie componenti della nostra società so-no chiamate a rimettersi in gioco, intornoad una sfida condivisa: essere un buonvillaggio dove i nostri bambini possanocrescere bene.

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GRUPPO NAZIONALE NIDI INFANZIA

Con la collaborazione di ANCI Regionale Toscanae il patrocinio dell’Istituto Innocenti di Firenze

Seminario di studio

GGoovveerrnnaannccee ee qquuaalliittàà ddeell ssiisstteemmaaiinntteeggrraattoo ddeeii sseerrvviizzii ppeerr ll’’iinnffaannzziiaa

Salone Brunelleschi Istituto degli Innocenti di FirenzeP.zza SS. Annunziata, 12 - Firenze

17 novembre 2006

MATTINA ore 10 - 13

Saluti• Alessandra Maggi - Presidente Istituto

degli Innocenti di Firenze• Tullia Musatti - Presidente Gruppo

Nazionale Nidi Infanzia

ESPERIENZE ITALIANE ED EUROPEE

A CONFRONTO

Coordina• Aldo Garbarini - Dirigente Settore Nidi e

Scuole dell’infanzia, Comune di Torino

Relazioni• Rapporti tra Governo centrale e autonomie

locali: l’esperienza catalanaIrene Balaguer - Presidentedell’Associazione Rosa Sensat, Barcellona

• Pubblico e privato nei servizi perl’infanzia: una panoramica europeaPerrine Humblet - Libera Università diBruxelles

• Problemi di governance del sistema inItaliaSandra Benedetti - Responsabile P.O. AreaInfanzia e Famiglia, Regione Emilia-Romagna

• L’esigenza di standard a tutela dellaqualità dei serviziGiovanna Zunino - Segreteria ConfederaleCGIL

Dibattito

POMERIGGIO ore 14 - 17

GOVERNO LOCALE E QUALITÀ DEI SERVIZI PER

L’INFANZIA

Presiede e introduce• Daniela Lastri - Assessore alla Pubblica

Istruzione, Comune di Firenze

Interventi• Il governo del sistema integrato nella

grande cittàMaria Coscia - Assessore alle PoliticheEducative e Scolastiche, Comune di Roma

• Gli strumenti per sostenere la qualità delsistemaLilia Bottigli - Responsabile SistemaIntegrato Servizi Prima Infanzia, Comunedi Livorno

• La formazione del personale: investimentosulla qualità dei serviziElena Giacopini - ResponsabileCoordinamento Pedagogico IstituzioneScuole e Nidi d’infanzia, Comune diReggio Emilia

• Qualità del sistema integrato zero-sei:un’occasione da cogliereAdriana Querzè - Assessore all’Istruzione,Politiche per l’Infanzia, Autonomiascolastica, Rapporti con l’Università,Comune di Modena

• Il ruolo della cooperazione socialeClaudia Fiaschi - Vice presidente Gruppocooperativo CGM - Welfare Italia

Conclusioni

© 2007 Gruppo Nazionale Nidi Infanzia24052 Azzano San Paolo (BG)viale dell’IndustriaTel. 035/534123 - Fax 035/[email protected]

Prima edizione: marzo 2007

Edizioni: 10 9 8 7 6 5 4 3 2 12011 2010 2009 2008 2007

Questo volume è stato stampato daPronto Stampa, Vaprio D’Adda (MI)Stampato in Italia - Printed in Italy

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Sede legale: Via Nobili 9, 42100, Reggio Emilia - C.F. 91020970355

Segreteria: Viale dell’Industria, 24052 Azzano S. Paolo (BG)tel. 035 534123 - fax 035 [email protected]

I quaderni del Gruppo Nazionale Nidi Infanzia

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Governance e qualitàdel sistema integrato

dei servizi per l’infanzia

Firenze, 17 novembre 2006