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a quando sulle acque primor- diali risuonò la voce di Dio, la Parola creatrice effonde su tutte le creature la sua forza performante e fa cantare l’universo. Come ci ricorda il sal- mo 18: “I cieli cantano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annunzia il firma- mento”; è la voce potente della Parola di Dio che risuona in tutta la creazione in- nalzando il suo inno di lode al Creatore. Tutti gli esseri creati portano in loro l’im- pronta della Trinità e ne manifestano le perfezioni nella diversità e nella moltepli- cità delle loro forme. Il canto degli uccelli e il mormorio delle fronde, lo scroscio delle acque e il rombo profondo del tuo- no innalzano il loro rendimento di grazie al Signore rispondendo a loro modo al- l’appello di Dio che li ha chiamati all’esi- stenza. La bellezza di tutte le cose si ar- monizza in un tutto “sinfonico” e gran- dioso, la cui coerenza generale fa traspa- rire la volontà di Colui “che tutto move” con il suo Amore. Questa danza gioiosa e maestosa del- l’universo esegue il canto mirabile che rallegra il Creatore, un’armonia che l’uo- mo solo intuisce e comprende. Egli è chiamato a interpretare e ad esprimere questo canto che risuona in tutte le cose e che solo lui può intendere; la vocazione alla lode dell’uomo passa così attraverso la creazione, cosicché la voce del creato si unisce alla voce della Chiesa per canta- re con il Risorto il Canto Nuovo. La Parola che risuona nella Creazione si manifesta nella storia della salvezza ac- compagnando le vicende umane e illumi- nandole con la verità che viene da Dio: la Rivelazione divina fa cantare il cuore de- gli uomini chiamati alla salvezza. Canta- no il cuore di Abramo e di Mosè, quello dei profeti e dei santi testimoni di Dio, e l’eco di questo canto viene conservato e custodito nella Scrittura. Lo Spirito Santo vi ha descritto ed espresso le mozioni sottili che sono nell’intimo dell’uomo, le gioie e i dolori profondi, le preghiere e le esclamazioni accorate che gli uomini di ogni tempo innalzano al Signore espri- mendo la loro fatica di credere e di servi- re il Dio vero. La Bibbia diviene un gran- de libro di preghiera e di lode, un’im- mensa miniera da cui saper trarre quei testi appropriati per esprimere le esigen- ze profonde del cuore umano. È la forza creatrice della Parola divina che ancora una volta agisce per rivelare all’uomo il volto di Dio, prendendo in prestito le deboli parole umane e riem- piendole della sua splendida verità, cosic- ché esse divengano strumenti speciali nelle sue mani, trasparenza luminosa del- 1 Formazione Liturgica Culmine e Fonte 3-2008 A Te la lode nei secoli mons. Marco Frisina D

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a quando sulle acque primor-diali risuonò la voce di Dio, laParola creatrice effonde su tutte

le creature la sua forza performante e facantare l’universo. Come ci ricorda il sal-mo 18: “I cieli cantano la gloria di Dio el’opera delle sue mani annunzia il firma-mento”; è la voce potente della Parola diDio che risuona in tutta la creazione in-nalzando il suo inno di lode al Creatore.Tutti gli esseri creati portano in loro l’im-pronta della Trinità e ne manifestano leperfezioni nella diversità e nella moltepli-cità delle loro forme. Il canto degli uccellie il mormorio delle fronde, lo scrosciodelle acque e il rombo profondo del tuo-no innalzano il loro rendimento di grazieal Signore rispondendo a loro modo al-l’appello di Dio che li ha chiamati all’esi-stenza. La bellezza di tutte le cose si ar-monizza in un tutto “sinfonico” e gran-dioso, la cui coerenza generale fa traspa-rire la volontà di Colui “che tutto move”con il suo Amore.

Questa danza gioiosa e maestosa del-l’universo esegue il canto mirabile cherallegra il Creatore, un’armonia che l’uo-mo solo intuisce e comprende. Egli èchiamato a interpretare e ad esprimerequesto canto che risuona in tutte le cosee che solo lui può intendere; la vocazionealla lode dell’uomo passa così attraverso

la creazione, cosicché la voce del creatosi unisce alla voce della Chiesa per canta-re con il Risorto il Canto Nuovo.

La Parola che risuona nella Creazionesi manifesta nella storia della salvezza ac-compagnando le vicende umane e illumi-nandole con la verità che viene da Dio: laRivelazione divina fa cantare il cuore de-gli uomini chiamati alla salvezza. Canta-no il cuore di Abramo e di Mosè, quellodei profeti e dei santi testimoni di Dio, el’eco di questo canto viene conservato ecustodito nella Scrittura. Lo Spirito Santovi ha descritto ed espresso le mozionisottili che sono nell’intimo dell’uomo, legioie e i dolori profondi, le preghiere e leesclamazioni accorate che gli uomini diogni tempo innalzano al Signore espri-mendo la loro fatica di credere e di servi-re il Dio vero. La Bibbia diviene un gran-de libro di preghiera e di lode, un’im-mensa miniera da cui saper trarre queitesti appropriati per esprimere le esigen-ze profonde del cuore umano.

È la forza creatrice della Parola divinache ancora una volta agisce per rivelareall’uomo il volto di Dio, prendendo inprestito le deboli parole umane e riem-piendole della sua splendida verità, cosic-ché esse divengano strumenti specialinelle sue mani, trasparenza luminosa del-

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A Te la lode nei secolimons. Marco Frisina

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la bellezza del suo volto. Così nella Scrit-tura Dio stesso ci dà la chiave per com-prendere e interpretare la creazione e noistessi, ci dona nei testi biblici le parolecon cui innalzare a Lui la nostra preghie-ra di lode celebrando il suo amore.

La Liturgia si basa sui testi biblici, ognicelebrazione respira in sintonia con la Pa-rola di Dio. I testi liturgici nascono da es-sa e fioriscono nelle varie forme con cuila preghiera cristiana si è sviluppata neiduemila anni di fede. Gli inni, i responso-ri, le antifone fanno da cornice ai salmi,che costituiscono per così dire l’ossaturafondamentale della Liturgia delle Ore.Ma è bello sentire nella Liturgia tuttoquesto risuonare della Parola, in un giocosplendido di echi e rimandi, di suggeri-menti e allusioni: è la voce del Risortoche canta con la Chiesa la lode supremaal Padre. Il Verbo fatto carne, crocifisso erisorto per noi, diviene via della nostrapreghiera trasformandoci in Lui, facendo-ci divenire noi stessi insieme con Lui Paro-la che canta al Padre, nella gioia e nell’a-more dello Spirito.

In questo inno di lode e d’amore chela Chiesa innalza al Padre con Cristo, per

Cristo e in Cristo tutto risplende di gioiae diviene anticipo della lode del cielo, diquel canto senza fine che ci attende.

“A Te la gloria e la lode nei secoli”:queste le parole che risuoneranno persempre in cielo nel cuore dei fedeli, que-ste le parole che fin d’ora devono risuo-nare nel cuore degli uomini in camminoverso il cielo. La Parola che si fa lode innoi testimonia la redenzione operata daCristo, la Liturgia della terra diviene ecodella Liturgia del cielo e Cristo Signore èil Mediatore unico e potente di questapreghiera. Poniamoci dunque alla scuoladel canto di Cristo, impariamo da Lui lalode perfetta al Padre, trasformiamo lanostra vita in sintonia con il suo amore. Ilsuo sacrificio eucaristico sia il modellodella nostra preghiera, la sua dedizionealla gloria del Padre sia lo stile della no-stra vita spirituale e la totalità del suoamore la misura del nostro amore a Dio.Di questo si nutre la preghiera liturgicadella Chiesa e questo è il contenuto delnostro canto: lasciamo che lo splendoredi questa lode ci prenda completamenteinnalzandoci fino a Dio, “a lode e gloriadel suo nome, nei secoli dei secoli.Amen.”.

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regate incessantemente» (1Ts5,17). «La parola di Cristo dimo-ri tra voi abbondantemente;

ammaestratevi e ammonitevi con ogni sa-pienza, cantando a Dio di cuore e congratitudine salmi, inni e cantici spirituali»(Col 3,16; cfr Ef 5,19). Queste due racco-mandazioni di San Paolo alle comunità diTessalonica e di Colossi racchiudono, co-me un nucleo germinale, non solo il sen-so ma anche la struttura della preghieraliturgica sviluppata poi dalla Chiesa. Vi so-no infatti descritte tutte le componentifondamentali della liturgia delle ore: i sal-mi, i cantici (vetero e neotestamentari), gliinni e le letture (la “parola di Cristo” chedeve “dimorare” abbondante nella co-munità in preghiera), a cui va aggiuntal’eucologia (cioè le preghiere e le invoca-zioni); è inoltre descritto lo stile dialogicoe comunitario che deve assumere la pre-ghiera, nonché il concorso del canto edella musica al suo gioioso realizzarsi. Cisoffermiamo a considerare una parte diquesto insieme articolato, e cioè il signifi-cato ed il ruolo degli inni nell’insieme del-la liturgia delle ore1.

Il temine inno (dal greco hymnos) in-dica in generale una composizione lette-raria in versi, accompagnata da musica,dal tono spesso epico ma talora anche li-rico, e dal carattere di invocazione e di

benedizione, volto più a lodare e glorifi-care la divinità che ad implorarne l’inter-cessione. Tutte le religioni hanno svilup-pato i loro inni: in Egitto (inni ad Aton)come in Mesopotamia (inni a Marduk),in India (con i Rigveda) ed in Grecia (ades. gli Inni omerici). Gli stessi salmi diIsraele, in fondo, possono esser fattirientrare in questo genere letterario sen-za eccessive forzature.

Anche i non pochi cantici di cui è co-stellato il Nuovo Testamento esprimonola medesima istanza di creatività poeticaunita all’afflato religioso. Ma i canti cri-stiani più antichi erano senza strutturastrofico-ripetitiva e senza verso metricoo accentativo, esattamente come i salmiebraici tradotti nella LXX che ne costitui-vano il modello. Di tal genere sono adesempio i testi del II secolo: il famoso,commovente Fôs hilarón (“O luce gioio-sa”), recuperato recentemente anche inoccidente dalla liturgia orientale comeinno per il lucernario vespertino; o ilGloria in excelsis, che proclamiamo nellaliturgia eucaristica delle feste e delle so-lennità. Anche il Te Deum laudamus, dipoco successivo2, è in fondo una “poe-sia in prosa”, arricchita da qualche pa-rallelismo (Te Deum laudamus – Te Do-minum confitemur) e da rare immaginimetaforiche.

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Gli inni della Liturgia delle Oredon Filippo Morlacchi

«P

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In Oriente i grandi inni in lingua grecadi Gregorio di Nazianzo (ca. 329-390) ela produzione lirica siriaca di Sant’Efrem(ca. 306-373) dimostrano già una padro-nanza espressiva magistrale. Nell’occi-dente cristiano di lingua latina invece ilprimo a comporre inni veri e propri, ossiatesti in versi metricamente definiti, fu Ila-rio di Poitiers (ca. 315-367), ma il suo sti-le troppo dotto e teologicamente sofisti-cato – era teologia in versi, non poesia –non poteva piacere, e infatti non ottenneampia diffusione nella prassi ecclesiale.Fu così Sant’Ambrogio (340-397) il vero“padre” dell’innodia latina cristiana: gra-zie ad una metrica popolare e insiemeelevata, creò un genere letterario ben de-finito e destinato a larghissima fortuna.Dei molti inni pervenutici sotto il suo no-me, l’autorità di Agostino (cfr Confessio-ni IX) ne garantisce almeno quattro comeautentici (Deus creator omnium, Aeternererum conditor, Iam surgit hora tertia, Je-su redemptor gentium), e la critica lette-raria gliene riconosce altri cinque. Gli inniambrosiani, in strofe di quattro versi indimetri giambici, divennero canti popola-ri e diffusissimi, un vero “novum” nellaliturgia dell’epoca: piacquero perché con-ducevano al godimento spirituale delleverità trasmesse, e si guadagnarono pre-sto uno spazio cospicuo nella prassi ec-clesiale. Lo spagnolo Prudenzio (348-413), letterato di raffinata formazione,compose testi teologici in rima assai ela-borati e non destinati alla preghiera litur-gica; ma alcuni passaggi più felici dellasua esuberante produzione furono sele-zionati e accolti nella liturgia, non senza

generosi adattamenti per renderli più ac-cessibili (ad es. il notevole Salvete floresmartyrum, tutt’ora in uso per la festa deiSanti Innocenti, o Ales diei nuntius, con-servato nell’ufficio delle letture). Nel V se-colo Celio Sedulio compose l’imponenteCarmen Paschale (rassegna di episodi bi-blici per un totale di 1770 esametri); la li-turgia ne ha estratto l’antifona Salvesancta parens (antifona d’ingresso nelcomune della B. V. Maria) e le prime set-te strofe dell’inno abecedario A solis ortucardine (lodi del tempo di Natale).

In questo periodo si abbandona laprosodia classica, e si passa dal versometrico (sillabe lunghe e brevi) ai sempli-ci accenti ritmici, ancora più facili e po-polari: un classico esempio è Aurora lucisrutilat (lodi del tempo di Pasqua). Venan-zio Fortunato (ca. 530-605) rimane vivonella preghiera liturgica della settimanasanta grazie ai suoi due inni Vexilla regise Pange lingua (quest’ultimo da nonconfondere con quello omonimo di S.Tommaso d’Aquino), che legano poeti-camente l’albero della croce all’interastoria della salvezza.

Il monachesimo portò un grande svi-luppo – più quantitativo che qualitativo –alla produzione medievale di inni; in Spa-gna la liturgia mozarabica raccolse que-sta produzione nel cosiddetto Liber hym-norum, che fu utilizzato in Francia all’e-poca della rinascita carolingia (VIII secolo)come base per l’elaborazione di un inna-rio monastico. Tra gli autori di spicco ditale periodo si devono ricordare: Paolo

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Diacono († 797), l’autore della Historialangobardorum, cui molti attribuisconol’inno dedicato a san Giovanni Battista Utqueant laxis (da cui Guido d’Arezzo tras-se i nomi delle note musicali); Paolino diAquileia († 803), al quale risale l’Ubi cari-tas et amor, composto per il Sinodo diCividale del 796 e poi transitato conqualche modifica nella Missa in CoenaDomini; Teodulfo di Orléans († 821), au-

tore del Gloria, laus et honor entrato nelrepertorio della processione delle Palme;Rabano Mauro (ca. 780-856), che com-pose tra gli altri il Veni creator Spiritus(Pentecoste) e il Sanctorum meritis (co-mune di più martiri), oltre ad un Liber delaudibus sanctae crucis che coniuga inmodo probabilmente insuperato la qua-lità letteraria del testo con l’ingegnositàdella disposizione grafica.3

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Nel secolo X è l’ambiente germanicoad imporre la sua supremazia culturale; laforma dell’inno tradizionale ambrosianocede il passo a nuovi stili compositivi. Èl’epoca che vede la nascita dellesequenze, formatesi come strumentomnemotecnico volto a favorire la correttaesecuzione dei complessi melismi tipicidella prassi latina anche negli ambientimonastici tedeschi, meno raffinati. NotkerBalbulus (ca. 840-912), monaco di SanGallo, diede consapevole impulso a questisviluppi. La sublime sequenza Victimaepaschali laudes fu composta dal borgo-gnone Wipone, cappellano e biografo diCorrado II il Salico (ca. 990-1039). Nei se-coli successivi eccellenti innografi furono:San Bernardo di Clairvaux (1090-1153),cui la tradizione attribuisce troppo gene-rosamente anche il famoso Iesu dulcismemoria; Adamo di San Vittore († 1177o 1192), che compose sequenze di squisi-ta fattura, adottando la struttura stroficaregolare per ritmo e rima, nessuna dellequali però è rimasta nell’attuale liturgia;Tommaso d’Aquino (1225-1274), checompose – tra gli altri – anche gli inni delCorpus Domini.

Nel corso del XV e XVI secolo il Brevia-rium romanum, che nel frattempo avevaaccumulato molta di questa produzioneletteraria, vide accrescersi a dismisura ilnumero delle feste e gradualmente si in-staurò un rubricismo sempre più pesante(era faticoso stabilire i gradi di solennitàdelle feste, l’officiatura richiedeva tempilunghissimi, ecc.). Per giunta, nel 1525per ordine di papa Leone X fu pubblicato

un innario dotato di molti inni nuovi. Ledegenerazioni rubriciste condussero per-ciò ad un importante tentativo di riformadell’ufficio: fu così che papa Clemente VIIincaricò il francescano spagnolo FranciscoQuiñonez, cardinale titolare di S. Croce inGerusalemme, di semplificare il breviario,restituendolo alla sua forma più antica eprimigenia. Nacque così nel 1535 il Bre-viarium Sanctae Crucis: molto più snellodel precedente (tre soli salmi per ciascunaora), con più abbondanti letture biblichee una più accurata selezione dei testiagiografici; gli inni furono spostati all’ini-zio delle singole ore, e non più – secondola prassi allora invalsa – tra i salmi e l’eu-cologia conclusiva.

Questa riforma venne ben presto can-cellata da quella di Pio V, il quale pro-mulgò un breviario «ex decreto sacro-sancti Concilii Tridentinii restitutum»(1568) nuovamente sovrabbondante efarraginoso. Urbano VIII, il papa che con-dannò Galileo, al secolo Maffeo Barberini,uomo colto e appassionato di lettere clas-siche, si limitò ad ordinare una revisionedella forma letteraria degli inni, suggeren-do ritocchi e rifacimenti, ma senza modi-ficare la sostanza del breviario. Il recenterecupero della forma originaria di moltiinni è stato visto da alcuni – anche se nontutti – come un impoverimento esteticorispetto alla veste letteraria urbaniana,umanistica e talora più corretta dal puntodi vista della prosodia. La riforma delConcilio Vaticano II ha invece preso ab-bondante ispirazione dall’ordinamentodell’ufficio proposto dal card. Quiñonez,

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riconoscendo la lungimiranza del suo pro-getto, largamente transitato nel breviarioattuale (1971).

Per quanto riguarda gli inni, la loro at-tuale collocazione all’inizio di ogni ora,sul modello del Breviarium SanctaeCrucis, consente, attraverso il testo poeti-co nettamente caratterizzato, di entraresubito nel clima particolare della festa odel momento della giornata, invogliandoa rispettare la «veritas horarum», anchegrazie al potere evocativo del canto e del-la musica. Questo vale in primo luogo perla celebrazione corale; ma il fatto di potercantare “mentalmente” le facili melodiedegli inni strofici rende a mio giudizio ra-gionevole questa scelta anche nella recitaindividuale.

Il breviario italiano presenta un nume-ro di inni relativamente contenuto (ad es.,molte celebrazioni di santi non hanno in-

no proprio); quelli presenti sono però tuttidi pregevole fattura, in genere frutto diuna felice rielaborazione dell’originale la-tino. La possibilità di utilizzare «altri inni ocanti adatti, autorizzati dall’autorità eccle-siastica» al posto di quelli proposti costi-tuisce un’innovazione originale rispettoalle altre versioni in lingua moderna, chesi rivela assai saggia: consente infatti discegliere testi e canti capaci di realizzareal meglio quell’immediata immersionenell’intenso clima di preghiera che è il fineprimario degli inni. È chiaro però, comeesplicitamente annotano i Principi e nor-me della liturgia delle ore, che «si deveevitare diligentemente di ammettere dellecanzonette popolari, che non hanno nes-sun valore artistico e che in verità non siaddicono alla dignità della liturgia»4. Lapreziosa innodia latina dimostra abbon-dantemente che la preghiera può esserearte. E questo alto livello deve essere ge-losamente custodito anche oggi.

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——————1 Per quanto segue, cfr le ottime sintesi di J. PINELL,

Liturgia delle ore, (Anàmnesis, vol. 5), Marietti,

Genova 1990, cap. VII (L’innodia nei riti occiden-

tali), pp. 143-154 [prospettiva liturgica] e G. ROPA,

I testi liturgici, in: Lo spazio letterario del Medioe-

vo, 1. Il medioevo latino, vol. I: La produzione del

testo, a cura di G. CAVALLO – C. LEONARDI – E. ME-

NESTÒ, tomo II, Salerno Editrice, Roma 1993, pp.

383-419 [prospettiva letteraria].

2 Indizio certo di antichità del testo è il fatto che la

rassegna santorale si ferma ad apostoli, profeti e

martiri, omettendo le categorie sviluppatesi suc-

cessivamente. L’attribuzione a sant’Ambrogio e

sant’Agostino, i quali lo avrebbero composto reci-

tando dialogicamente un verso per uno, è da rite-

nersi leggendaria: l’autore più probabile della re-

dazione definitiva è invece Niceta di Remesiana

(morto nella prima decade del V secolo).

3 Nell’immagine si riproduce una pagina del ma-

noscritto: sull’intero foglio è disposto il carmen,

su cui sono segnate le parole CRVX (in verticale) e

SALUS. Dentro ognuna di queste lettere sono

scritte le schiere angeliche: seraphim (nella

“C”), cherubim (nella “R”), archangeli (nella

“V”), angeli (nella “X”), poi virtutes, potestates,

throni, principatus, dominationes (una per cia-

scuna lettera della parola “SALUS”). Il testo e

queste sovrimpressioni si intrecciano come in un

cruciverba.

4 Principi e Norme per la Liturgia delle Ore, n. 178.

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Ufficio delle Letture (= UdL) èuna delle parti della Liturgia del-le Ore (= LO) che maggiormente

è stata ripensata dalla riforma liturgicaseguita al concilio Vaticano II. Il rinnova-mento, che ha riguardato sia il senso teo-logico-liturgico, sia – non è infatti possi-bile disgiungere queste due dimensioni –la ritualità dell’UdL, ha toccato il tempodi celebrazione, la salmodia, i responsori,e, in particolare, le letture bibliche e pa-tristiche di questa ora canonica. Nel pre-sente contributo ci soffermeremo unica-mente sulle letture bibliche dell’UdL co-me oggi vengono presentate nella LO diRito romano.

Un frutto del Vaticano IISebbene richieste di un adattamento

delle letture per il Mattutino del BreviarioRomano siano state espresse già duranteil pontificato di Pio XII,1 il lezionario bibli-co dell’UdL che oggi è in uso nella chiesadi rito romano è indubbiamente un frut-to del concilio Vaticano II. Per coglierne ilsenso e la novità rispetto alla liturgia pre-cedente occorre pertanto andare diretta-mente al dettato conciliare che troviamonella costituzione sulla liturgia Sacrosanc-tum Concilium (= SC), prendendo in con-

siderazione soprattutto quei passi del do-cumento che trattano del rapporto tra li-turgia e sacra Scrittura.

SC parla per la prima volta del rappor-to tra Scrittura e liturgia al n. 7. Il temagenerale che il documento sta trattandoè la presenza di Cristo nella chiesa e inmodo particolare nell’azione liturgica. IlConcilio, elencando le varie “forme” del-la presenza di Cristo nella liturgia, affer-ma che una di queste è la Parola, «giac-ché è lui che parla quando nella chiesa silegge la sacra Scrittura» (SC 7). E’ un pri-mo accenno che non è per nulla margi-nale per comprendere la proclamazionedella Scrittura nella liturgia.

Al n. 24 SC affronta direttamente iltema del rapporto tra Bibbia e liturgia.Qui il documento conciliare parla di una“importanza estrema” della proclama-zione delle Scritture nella liturgia, poichéda essa in qualche modo derivano nonsolo le letture bibliche che vengono pro-clamate nelle celebrazioni liturgiche, maanche le preghiere e i riti, «permeati dalsuo afflato e del suo spirito» (SC 24). Perquesto motivo SC afferma che «allo sco-po di favorire la riforma, il progresso e

Le letture biblichenell’Ufficio delle Letture

p. Matteo Ferrari, OSB Cam

L’

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l’adattamento della sacra liturgia, è ne-cessario (oportet) che venga promossaquella soave e viva conoscenza della sa-cra Scrittura, che è attestata dalla vene-rabile tradizione dei riti sia orientali cheoccidentali» (SC 24). Il Concilio affermain modo molto forte che la soave e vivaconoscenza delle Scritture “è necessa-ria” alla riforma della liturgia. Senza unaadeguata formazione biblica, da un pun-to di vista sia esegetico sia spirituale e vi-tale, è difficile che la riforma liturgicapossa essere adeguatamente applicata erecepita nella vita della chiesa. Si trattadi un principio fondamentale che legainscindibilmente formazione biblica eformazione liturgica. Si è parlato spessodel ruolo della Scrittura nella liturgia espesso si è insistito sul nuovo slancio da-to alla lettura e alla conoscenza dellaBibbia nel post-concilio, ma forse non siè tenuta in debito conto questa relazio-ne tra riforma liturgica e formazione bi-blica che il Concilio aveva già intuito eproposto quarantacinque anni fa. La co-noscenza e la lettura “soave e viva” del-la Scrittura da parte delle comunità e deisingoli credenti è “il terreno” nel qualela riforma della liturgia e il suo adatta-mento può attecchire e portare frutto.Per il Concilio è una via “necessaria”!Forse sta proprio qui il problema di nu-merose iniziative pastorali che, in ambitoliturgico, spesso non hanno raggiunto irisultati sperati. Si è voluto costruire sen-za partire dalle fondamenta.

Di Bibbia e liturgia si parla ancora al n.35 di SC. In questo numero della costitu-

zione sulla liturgia si tratta dell’intimo le-game tra rito e parola e, in forza di que-sto, si invita alla preparazione di una«lettura della sacra Scrittura più abbon-dante, più varia e più adatta» (SC 35,1).Questa direzione che SC indica per lariforma liturgica è molto importante percogliere il senso della riformulazione del-l’UdL nella LO di rito romano. In partico-lare, un principio che avrà grande pesoper la riforma del lezionario sia della cele-brazione eucaristica sia della LO, è quelloche riguarda la necessità di una lettura“più abbondante e varia”.

Infine SC parla del rapporto tra Bibbiae liturgia al n. 92. In questo caso, mentrenei numeri citati in precedenza il riferi-mento era alla liturgia in genere, si parladirettamente della proclamazione dellaScrittura nella LO. Il Concilio afferma: «Lalettura della sacra Scrittura sia ordinata inmodo che i tesori della parola divina inmaggiore ampiezza possano essere ac-cessibili più facilmente» (SC 92a). Il docu-mento, che ha già parlato della necessitàdi aprire i tesori della Bibbia con maggio-re abbondanza a proposito della celebra-zione eucaristica (cfr. SC 51), anche nelcaso della LO invita ad un contatto piùampio e completo con la Scrittura in mo-do da presentarne una lettura completae una conoscenza più approfondita e fa-miliare da parte dei fedeli, dei religiosi edei pastori. Nel n. 90c SC traccia le lineedi riforma dell’UdL, affermando che sidoveva procedere alla riduzione del nu-mero dei salmi e alla scelta di letture piùlunghe. La riforma della LO, riguardo al-

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l’UdL, si è mossa esattamente nella dire-zione indicata da questi due nn. di SC(90c e 92a).

Le indicazioni dei Principi e normeper la Liturgia delle Ore

A partire dalle indicazioni conciliari sioperò la riforma dell’intera LO di rito ro-mano e quindi anche dell’UdL (primachiamato Mattutino).2 I risultati dell’ope-ra di riforma si possono ricavare dai Prin-cipi e norme per la Liturgia delle Ore (=PNLO) pubblicati nel 1971 (cfr. EV IV,132-424).

Per quanto riguarda le letture biblichedell’UdL – dell’UdL i PNLO trattano neinn. 55-69 – le novità sono molto rilevan-ti. Innanzitutto dobbiamo soffermarci sulprincipio di fondo che i PNLO fissano perla celebrazione dell’UdL nel suo insieme.Si afferma che l’UdL deve costituire tra levarie ore della LO il momento di maggio-re meditazione della Scrittura (PNLO 55).Nell’UdL occorre “cercare” la ricchezzadelle Scritture, ora offerta con maggiorericchezza quantitativa e qualitativa allameditazione della chiesa. Tuttavia, nono-stante alcuni termini utilizzati nel docu-mento, non bisogna pensare che i PNLOconcepiscano l’UdL come una “versioneufficiale” dell’ora di meditazione spiritua-le. Infatti il documento precisa immedia-tamente che ciò che viene letto dalleScritture deve essere “accompagnatodalla preghiera” (PNLO 56). In questomodo nella celebrazione della Parolacontenuta nella sacra Scrittura (cfr. DV24) può accadere nuovamente «il collo-

quio fra Dio e l’uomo» (PNLO 56). L’UdLdeve avere pertanto il carattere di “verapreghiera”, cioè essere una celebrazioneliturgica, un rito. Questo aspetto si mani-festa nella pluralità di elementi liturgiciche la compongono, oltre alle letture bi-bliche e patristiche (o di “autori spiritua-li”): «salmi, inno, orazione e altre formu-le» (Ibid.). Non si tratta quindi unicamen-te di “meditare” la Parola, ma di cele-brarla, non facendo mai mancare questo“evento” vivo e vitale nella “quotidia-nità” della vita della chiesa.

Dal punto di vista del tempo della ce-lebrazione, i PNLO seguono il dettato diSC, che chiedeva di adattare l’UdL in mo-do da poterlo recitare in qualsiasi ora delgiorno e non solamente nelle ore nottur-ne o di buon mattino (PNLO 57-58). Inquesto modo si vuole favorire tutti, so-prattutto coloro che sono impegnati nelministero pastorale o nel lavoro, a collo-care nell’arco della giornata un momentocelebrativo dedicato alla letture delleScritture sacre e dei testi più autorevolidella tradizione della chiesa.

I PNLO dedicano alle letture biblichedell’UdL molta attenzione nella sezionedel documento che tratta dell’uso dellaScrittura nella celebrazione della LO (PN-LO 140-158). In generale riguardo allalettura della sacra Scrittura i PNLO affer-mano, riprendendo gli insegnamenti diSC, che essa deve essere tenuta in gran-de considerazione. Infatti la Scrittura nel-la LO «viene proposta dalla Chiesa stes-sa, non a scelta dei singoli o secondo la

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disposizione più favorevole del loro ani-mo, ma in ordine al mistero che la Sposadi Cristo “svolge attraverso il ciclo an-nuale dall’Incarnazione e dalla Natività fi-no all’Ascensione, al giorno di Penteco-ste e all’attesa della beata speranza e delritorno del Signore” (SC 91)» (PNLO140). In questo medesimo numero il do-cumento sottolinea nuovamente il lega-me tra lettura della Bibbia e preghiera,cioè il carattere celebrativo che la procla-mazione delle Scritture conserva semprenella liturgia.

Nei nn. 143-155 i PNLO prendono inconsiderazione in modo specifico le lettu-re bibliche nell’UdL. Prima di descrivere lescelte fatte per la composizione del lezio-nario di questa ora canonica, il documen-to tratta del rapporto con il lezionariodella Messa (PNLO 143). Questo è un te-ma ricorrente prima e durante il concilioin vista della riforma della LO. La preoc-cupazione è quella di una armonica lettu-ra della Scrittura in modo che si potesseavere una conoscenza completa dellastoria della salvezza e un contatto con lepagine “spiritualmente” più importantidella Bibbia. Questo intento di difficile at-tuazione, di fatto, ottenne il risultato nondi legare le scelte del lezionario della LOa quello per la Messa, ma di favorire una“armonia” tra i due lezionari. Un legamepiù stretto avrebbe creato molti probleminella scelta delle pericopi bibliche. A pre-scindere dalla valutazione dei risultatiraggiunti da un punto di vista pratico, ri-mane centrale la sottolineatura del rap-porto tra il lezionario biblico dell’UdL e

quello per la celebrazione eucaristica.Una preoccupazione che rimanda al piùampio problema del rapporto tra LO edeucaristia.

La composizione del lezionariodell’Ufficio delle Letture

Nei nn. 145-155 i PNLO descrivono lescelte fatte nella composizione del lezio-nario per le letture bibliche dell’UdL. In-nanzitutto al n. 145 si parla di “un dupli-ce ciclo di letture”. Un primo ciclo, dispo-sto su un anno, è quello inserito nellaEditio typica della Liturgia delle Ore inquattro volumi; il secondo ciclo è facolta-tivo e disposto su due anni sul modello diquello per le letture della celebrazioneeucaristica nei giorni feriali del Tempo or-dinario. Questo secondo ciclo biennaledoveva venir pubblicato in un supple-mento alla LO. In realtà, anche se i PNLOsi soffermano a parlare più a lungo sul ci-clo biennale, l’unico finora realizzato èquello annuale. Il secondo ciclo, nono-stante la scelta delle pericopi sia statapubblicata su Notitiae nell’annata 1976,non è mai stato realizzato.3 Il ciclo bien-nale e quello annuale di letture sono in-dipendenti l’uno dall’altro e alternativi. Ilciclo annuale è una versione ridotta diquello biennale: una sintesi che permettedi non perdere la lettura dei passi più im-portanti e significativi della Scrittura (cfr.PNLO 153).

Nei nn. 147-154 i PNLO descrivono lescelte fatte per i singoli tempi dell’anno li-turgico. In Avvento è prevista, nel ciclobiennale, la lettura di Isaia, Rut e Michea.

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La lettura di Isaia – nel ciclo annuale – èscelta in base ai temi maggiori dell’Avven-to. Sempre da Isaia (Deutero-Isaia) sonotratte le letture per le ferie dal 17 al 24 di-cembre. Nel tempo di Natale si legge laLettera ai Colossesi «per la sua contem-plazione dell’incarnazione nella visionetotale del mistero di Cristo e della storiadella salvezza».4 In Quaresima si leggeEsodo, Deuteronomio (non si legge nel ci-clo annuale), Levitico, Numeri. Nelle ulti-me due Settimane si legge invece l’Episto-la agli Ebrei. Nel ciclo biennale si trovanoanche letture scelte di Geremia, Lamenta-zioni e Osea. Nel tempo pasquale si leggel’Apocalisse, la Prima lettera di Pietro e lelettere di Giovanni. Nel Tempo ordinario«si leggono i testi più significativi dell’An-tico e del Nuovo Testamento che non sitrovano nel Messale».5 La distribuzionedei testi, sia nel ciclo biennale che in quel-lo annuale sono disposti seguendo la sto-ria della salvezza (cfr. PNLO 152).

Tra le varie indicazioni che riguardanola celebrazione dell’UdL ricordiamo, perla sua importanza riguardo all’uso del le-zionario, l’invito alla celebrazione delle“vigilie” in occasione delle solennità piùimportanti dell’anno liturgico e delle do-meniche. Un modo molto significativo dilegare la celebrazione dell’UdL alla litur-gia eucaristica domenicale.

Conclusione: “in ogni giorno” l’e-vento della Parola

Da questa panoramica sulla composi-zione e sulle scelte di fondo del leziona-rio biblico dell’UdL possiamo ricavare, co-

me conclusione, alcune linee di compren-sione teologico-liturgica di questa partedella LO. Procediamo dal “rito” stessoper lasciarci “narrare” il senso della cele-brazione.

Innanzitutto la celebrazione dell’UdL,come è stata pensata a partire dal Vati-cano II, testimonia un rinnovato rappor-to della chiesa con la sacra Scrittura, co-me emerge da DV e SC. Una del lepreoccupazioni di fondo che ha guidatola riforma della LO riguardo all’UdL èstata quella di “non lasciare nessun gior-no” senza una lettura prolungata e riccaquantitativamente e qualitativamentedella Bibbia.

La lettura della Bibbia nell’UdL inoltrenon è proposta come “meditazione”personale e privata delle Scritture, ma co-me vero momento celebrativo. Essa haquindi come soggetto principalmente lachiesa. E’ la chiesa che ogni giorno si po-ne in “religioso ascolto” della parola diDio (cfr. DV 1). Tale ascolto nella celebra-zione ritorna nuovamente “evento” erende nuovamente attuale il colloquio traDio e l’umanità (cfr. PNLO 56).

Mentre nelle altre ore canoniche dellaLO è il tempo ad essere l’elemento dellacelebrazione che principalmente rimandaal mistero pasquale che si celebra, nel-l’UdL riformato dopo il Vaticano II è laScrittura stessa, accompagnata dalla let-tura degli scritti dei padri della chiesa edegli autori spirituali più autorevoli, adessere l’elemento celebrativo centrale at-

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traverso il quale la Sposa celebra il suo Si-gnore dall’incarnazione fino al suo ritor-no. Per questo, i PNLO in conformità aldettato di SC, possono affermare che,pur rimanendo la possibilità e l’opportu-nità di celebrare l’UdL di notte o all’alba,questa parte della LO può venire celebra-ta in ogni ora del giorno.

Un altro dato importante è il legametra il lezionario dell’UdL e quello della ce-lebrazione eucaristica. Nella “quotidia-nità” della celebrazione della LO e nel ci-clo festivo e feriale del lezionario dell’eu-caristia la chiesa vive in modo unitario ilsuo “dialogo” con Dio, si nutre all’unicamensa della Parola e dell’eucaristia perdivenire sempre più somigliante a Coluiche per lei ha donato la vita.

Da questi spunti riguardanti il lezio-

nario dell’UdL scopriamo quanto, anchein questo caso particolare, la celebrazio-ne liturgica diventi luogo di “formazio-ne” della vita della Chiesa. Anche riguar-do all’UdL, più che parlare di riformadella liturgia, occorre scoprire la “ri-for-ma della chiesa” di cui la celebrazione li-turgica è capace, l’intrinseco legame tralex orandi e lex credendi. Nella celebra-zione dell’UdL la chiesa si scopre ognigiorno nel suo cammino verso il Regno“discepola” (DV 1) che nasce dall’ascol-to della Parola e di essa costantemente sinutre. E’ a partire dalla quotidianità e“ferialità” della LO che ogni giorno mi-nistri ordinati, monaci e monache, reli-giosi e religiose, laici e laiche, cioè tuttoil popolo di Dio, celebrano ciò che do-vrebbe sempre più plasmare questo vol-to di una chiesa e di cristiani “in religio-so ascolto” della Parola.

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——————1 Cfr. Ordo lectionum biblicarum Officii Divini, «No-

titiae» 45 (1968), 86.

2 Cfr. A. BUGNINI, La riforma liturgica (1948-1975).

Nuova edizione riveduta e arricchita di note e di

supplementi per una lettura analitica, (= Bibliothe-

ca Ephemerides liturgicae. Subsidia 30), C.L.V. -

Ed. Liturgiche, Roma 1997, pp. 523-528.

3 Per prendere visione della scelta delle letture nei

due cicli cfr. V. RAFFA, La Liturgia delle Ore. Presen-

tazione storica, teologica e pastorale, (= Collana

di teologia e di spiritualità 8), Edizioni O. R., Mila-

no 1990, pp. 224-244. Un lezionario per l’UdL di-

sposto su due anni è stata realizzata dall’Unione

monastica italiana per la liturgia nel 1971 con il ti-

tolo L’Ora dell’ascolto.

4 BUGNINI, La riforma liturgica, 527.

5 BUGNINI, La riforma liturgica, 527.

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uando si parla di “Liturgia delleore” siamo chiamati a ripercor-rere in qualche modo la storia

della preghiera e storia della preghiera si-gnifica interrogare la tradizione dellachiesa attraverso la voce dei Padri, scri-gno prezioso e inesauribile, attraverso ilquale ci è dato penetrare non solo nellavita privata e quotidiana del cristiano maanche in quella comunitaria e conoscerele espressioni di fede, le forme del culto,l’organizzazione dei sacramenti, la for-mulazione delle preghiere e la multifor-me varietà dei loro contenuti che lodanoDio, confermando a lui la fede e invocan-dolo per le necessità che costellano la vi-ta di ogni cristiano.

La preghiera scandisce la giornata delcristiano e, tra tutte le preghiere, quelladel Pater fu la prima ad essere racco-mandata: da Gesù ai suoi, dalla Didachéa ogni cristiano (cf. 8,1). Dal precetto deldidachista alle varie forme di preghieraconservate nella letteratura patristica eattestanti, tutte, che la preghiera non èsolo confidenza privata con Dio, ma verae propria azione liturgica.

Le ore della preghiera nella Chiesadel III e IV secolo

Le più antiche testimonianze patristi-che che insegnano la preghiera e il pre-gare si ricavano in alcuni scritti di III sec.:gli Stromati di Clemente Alessandrino; ilDe oratione e il De ieiunio di Tertulliano;la Tradizione Apostolica dello pseudo-Ip-polito; il De oratione di Origene ed infineil De dominica oratione di Cipriano.

Ispirati alla Scrittura, prima maestra diogni riflessione patristica, tutti questimaestri, dottori e catecheti affermano lanecessità della preghiera che deve scan-dire ogni giornata del cristiano: «Se noidiciamo che tutta la vita del santo è unagrande preghiera continua e che, di que-sta preghiera, una parte è la preghiera insenso stretto del termine, ciò deve farsialmeno tre volte al giorno»1.

La scansione tempo-preghiera, allaquale l’Alessandrino esorta, non è daescludere che si sia affermata, comeprassi cultuale, nelle chiese del tempo,ma anche nella vita privata: ad Alessan-dria, Cartagine, Roma, come si legge in

Liturgia delle ore:uno sguardo alle testimonianze

dei Padri della Chiesadon Matteo Monfrinotti

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Clemente Alessandrino2, Tertulliano3, Ci-priano4 e nella Tradizione Apostolica chedocumenta una vera e propria “preghie-ra delle ore”: al mattino, all’ora terza, se-sta e nona, in relazione alla crocifissionee alla morte di Cristo, alla sera prima delriposo, durante la notte5.

Nella giornata del cristiano, governatadalla luce del sole e dal buio della notte,si deve ricavare spazio per la preghiera equesto spazio non coinciderà solo con le“ore” del giorno o della sera, ma soprat-tutto con quelle che evocano la passione-morte di Cristo.

Nel corso del IV, quando la liceità ri-conosciuta al cristianesimo schiuderà laporta alla tanto attesa sospensione dellapersecuzione e concederà una tranquilli-tas animi a tutto favore del perfeziona-mento spirituale, anche la preghiera simodificherà in forme più evolute, piùricche, coniugandosi a una pietas che fi-nalmente può esprimersi alla luce delsole, godendo degli edifici di culto, or-ganizzando una liturgia ufficiale che so-stituiva un culto per tanto tempo clan-destinamente celebrato: «Il fatto di isti-tuire degli inni, delle lodi e, dei piaceredivini, in onore di Dio nelle chiese di tut-ta la terra, ad ogni sortita del sole al-l’aurora e ad ogni ritorno delle ore dellasera, è il segno per nulla ordinario dellapotenza di Dio. Sono dei piaceri diviniquesti inni che, ad ogni aurora e adogni sera, si levano da tutta la terra nel-le chiese» (Eusebio di Cesarea, In Ps.64,9s).

A partire almeno dalla metà del IV se-colo, sempre più abbondanti saranno letestimonianze che descrivono le assem-blee l iturgiche convocate per lapreghiera6, la quale recitata, cantata osalmodiata, fa parte necessaria della vitadel cristiano, come Giovanni Crisostomocatechizzando i suoi neofiti7.

Ancora più tardi, i Concili spagnoli egallici del V e VI sec. legiferano spessoper stabilire le particolarità della preghie-ra e le modalità della frequenza. Nelle as-semblee del popolo i fedeli cantano i sal-mi del mattino e i salmi della sera, sem-pre identici e che conoscono a memoria;vi aggiungono, soprattutto al mattino,dei cantici biblici o anche non biblici; lapreghiera si intreccia al testo biblico, daesso è alimentata e sulla base di esso sidilata arricchendosi di espressioni e for-mulazioni frutto anche della spiritualitàindividuale e collettiva.

Quando si parla di spiritualità da cuiscaturisce la preghiera – nutrita ovvia-mente dalla fede – bisogna anche consi-derare il contesto storico sociale in cui icredenti – in questo caso gli oranti – vi-vono e pregano: nel centro urbano l’or-ganizzazione della preghiera assembleareavviene nella chiesa locale sotto la guidadei presbiteri e talora dello stesso vesco-vo. Nei luoghi extraurbani e desertici,scelti proprio da coloro che volevano vi-vere una vita anacoretica, la preghiera èstrettamente vincolata all’esperienzaascetica, vuoi quando tale esperienza èeremitica, vuoi quando è cenobita, all’in-

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terno di quelle “fraternità” che vorrannoerigere un luogo apposito per la preghie-ra, e questo luogo si chiamerà oratorium.

Se l’eremita può gestire in forma au-tonoma il tempo e il modo di pregare –pur nel rispetto di quelle ore “canoni-che” che chiedono di ricordare Dio e lo-darlo e ringraziarlo –, il cenobita cele-brerà non solo una preghiera individualee privata, ma soprattutto comunitariaperché il pregare è considerato atto co-mune e pregare insieme, cioè condividerela preghiera, rientra nel costume mona-stico cenobitico e si fissa come tale daBasilio Magno in poi.

Gli eremiti dunque cercheranno, nellameditazione e nella preghiera, di porre inatto le raccomandazioni di Paolo: prega-te incessantemente; non hanno quindibisogno di riservare certe ore alla pre-ghiera. Come dichiara Isidoro: «quandoero giovane ed ero nella mia cella, nonavevo limiti per la preghiera: notte e gior-no era tempo di preghiera»8.

Nel monachesimo cenobitico, qualead esempio quello di Pacomio (come silegge nella regola tradotta da Girolamo) ifratelli si riuniscono per pregare al matti-no, a mezzogiorno e alla sera; prima diandare a dormire, essi recitano ancora inogni casa un ufficio che comprende seiorazioni e salmi; infine, nel corso dellanotte, tutti si riuniscono per la sinassi so-lenne, comprendente salmodie, orazionie letture9. Basilio Magno adotterà per lapreghiera conventuale un corso quotidia-

no più sviluppato, che conta otto uffici,anziché cinque: dopo una prima preghie-ra all’aurora, i monaci si ritrovano per laterza, sesta e nona; al termine del giornoessi celebrano una sinassi di ringrazia-mento; prima del sonno, recitano il sal-mo 90; a mezzanotte essi si alzano peruna preghiera comune; si alzano nuova-mente prima dell’aurora, per un’intimapreghiera notturna10.

I testi patristici nell’Ufficio delleLetture

Come si accennava all’inizio del no-stro intervento, i testi dei Padri costitui-scono uno scrigno prezioso e inesauribileper la chiesa di ogni tempo. Prova diquesto è il fatto che la loro “voce” non èmai mancata nei testi liturgici fin daitempi più antichi. È chiaro quindi che lapresenza di testi patristici nella preghieragiornaliera delle comunità cristiane non ècerto un’innovazione della liturgia delleore così come è stata approvata dopo ilConcilio Vaticano II. I testi dei Padri sonopresenti nell’antico Ufficio siriano dellefeste, segno che la lettura dei commentie delle omelie dei Padri era una praticache veniva adottata. Nella tradizione gre-ca, è l’Orthros (Mattutino della Chiesaortodossa) che accoglieva letture patristi-che: l’uso non era generale e si limitavaalla quaresima; sarà solo nell’XI secoloche diverrà abituale come è attestato nelTypikon (ordinamento di un monastero)dell’Évergêtis. È forse san Benedetto chenella Chiesa latina, ha avuto l’iniziativa difar leggere durante l’ufficio della notte,dei commenti ai testi biblici: «Nell’ufficio

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notturno si leggano i libri di autorità divi-na così dell’Antico come del Nuovo Te-stamento; come pure i commenti che vihanno fatto i Padri cattolici più rinomatie ortodossi»11. All’incirca nello stesso pe-riodo si registra a S. Pietro in Roma la let-tura di trattati dei santi Girolamo, Am-brogio e di altri Padri12. Per facilitare lascelta dei commenti ed averne comoda-mente il testo, si sono formati, via via,dei sermonari, poi degli omeliari. I più ce-lebri sono stati quelli di Agimondo per laBasilica romana dei santi Filippo e Giaco-mo (inizio VIII secolo), di Alano di Farfa(siamo intorno al 760-770), di Eginone diVerona (796-799), della Basilica Vaticana(seconda metà del X secolo). Infine, l’o-meliario di Paolo Diacono (fine VIII seco-lo), composto per ordine di Carlo Ma-gno, s’impose praticamente alla Chiesalatina durante tutto il Medioevo. Questeletture però, subirono le stesse abbrevia-zioni materiali delle pericopi bibliche, efurono lasciati solo i passi più interessan-ti. La Riforma di Pio V modificò in manie-ra considerevole il lezionario patristicodel breviario romano, attraverso l’inser-zione dei testi dei Padri greci, ma pratica-mente ne lasciò gli errori, uno dei più fre-quenti era quello del grande numero diattribuzioni errate. Dal XVI secolo, tempodella riforma di Pio V, saltiamo al XX se-colo. Il Concilio Vaticano II ha richiesto erealizzato una completa revisione13. Il re-pertorio patristico della Liturgia delle Oredel 1971 ha caratteri notevolmente mo-dificati rispetto a quello in uso fino ad al-lora. La costituzione liturgica del Conci-lio, Sacrosanctum Concilium, al n. 92 in-

vitava a rivedere la presenza dei testi pa-tristici all’interno del breviario: «la letturadelle opere dei Padri, dei dottori e degliscrittori ecclesiastici sia meglio seleziona-ta». Nel recepire questa esortazione, laselezione degli scritti dei Padri è stata im-postata tenendo presente che questi so-no «un’alta e viva testimonianza di quellameditazione della parola di Dio, conser-vata e protratta lungo i secoli, con laquale […] la chiesa […] si sforza di giun-gere giorno per giorno a una più profon-da intelligenza delle sacre scritture»14.

Il criterio fondamentale che fu alla ba-se della scelta dei testi patristici fu quellodi offrire dei brani a cui il lettore potesseattingere elementi veramente utili pernutrire la sua fede, sostenere e far cre-scere la vita cristiana. L’insieme delle let-ture patristiche che troviamo nell’Ufficiodelle letture, offre un florilegio antologi-co della tradizione cristiana, da cui emer-ge una sintesi del mistero della salvezza.La scelta degli autori e dei brani non fufacile e ha avuto un faticoso inizio, ancheper gli avvenimenti in seno alla commis-sione incaricata della riforma. Proceden-do con il nostro intervento, e dirigendociverso la conclusione, non riteniamo op-portuno analizzare i vari passaggi chehanno portato alla formazione del lezio-nario patristico che noi oggi ancora utiliz-ziamo, anche perché questo argomentoè proprio di uno storico della liturgia,quale io non sono.

Vorremmo invece soffermarci ancoraun po’ sul valore che la letteratura patri-

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stica ha per la chiesa. A tal riguardo ci èutile riflettere sulla mentalità e sull’ope-ra dei Padri che fu giustamente sottoli-neata da Paolo VI nel discorso con cuiinaugurava, il 4 maggio 1970, l’IstitutoPatristico Augustinianum: «I Padri furo-no altresì teologi illuminati che illustra-rono e difesero il dogma cattolico, e,per la maggior parte, zelantissimi pasto-ri che lo predicarono e l’applicarono aibisogni delle anime. Come teologi, essiper primi diedero forma sistematica allapredicazione apostolica, per cui, comeafferma S. Agostino, essi furono per losviluppo della Chiesa quello che eranostati gli Apostoli per la sua nascita: “Ta-libus post Apostolos sancta Ecclesiaplantatoribus, rigatoribus, aedificatori-bus, nutritoribus crevit” (Contra Iulia-num Pelagianum (de originali peccato)11, 10, 37; PL 44, 700). Come pastori,poi, i Padri sentirono la necessità diadattare il messaggio evangelico allamentalità dei loro contemporanei e dinutrire con l’alimento delle verità dellaFede se stessi e il popolo di Dio. Ciò fe-ce sì che per essi catechesi, teologia, Sa-cra Scrittura, liturgia, vita spirituale epastorale si congiungessero in una unitàvitale, e che le loro opere non parlasserosoltanto all’intelletto, ma a tutto l’uo-mo, interessando il pensare, il volere, ilsentire. Essi ebbero in più una sovrab-bondante ricchezza di spirito cristiano,derivata dalla loro personale santità, percui alla loro scuola la Fede non si accon-tenta di pure elucubrazioni intellettuali,ma facilmente si accende anche di sen-so mistico»15.

I testi patristici – proposti dal Leziona-rio o da qualunque altro testo di lettura epreghiera comunitaria o privata – con-sentono, a distanza di secoli, di rinnovarela nostra fede e le ragioni del credere.Attraverso la lettura, la meditazione e lostudio dei Padri ogni cristiano può colti-vare la Parola di Dio nell’evolversi dell’e-vangelizzazione, nel fissarsi della tradizio-ne, nel costituirsi della chiesa, nell’affer-marsi del dogma. Studiare i Padri non èdedicarsi semplicemente a una letteratu-ra, ma conoscere la Parola di Dio nel suoannuncio. Non esisterebbe la produzionepatristica, e quindi la Patrologia, senza laSacra Scrittura perché questa è il nutri-mento e il costitutivo di ogni opera deiPadri i quali, nella autenticità del loromessaggio e nella attualità delle loro pro-poste, sono maestri di fede nel camminodi ogni cristiano. Per i Padri non c’è altraspiritualità se non quella contenuta nellaParola di Dio, ascoltata, meditata, vissu-ta, esposta dalla Chiesa e nella Chiesa.Nei Padri, la Parola di Dio si fa viva e nelleloro pagine si assimila il significato dellatestimonianza, il dialogo della fede, la di-namica della dottrina, la difesa del batte-simo, la pratica della virtù, l’entusiasmodella catechesi. Coltivare la lettura e lameditazione dei testi patristici è ap-profondire la stessa storia della salvezzaattraverso coloro che, testimoni di Cristo,furono protagonisti nella chiesa di allorae tuttora insegnano nella chiesa del no-stro tempo.

Concludiamo col mettere in guardiada un pericolo che si può incontrare di

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fronte a una pagina patristica. Può acca-dere, infatti, che la lettura dei Padri riser-vi qualche delusione a chi vi cerchi indi-cazioni precise ed esortazioni concreteper la pratica delle varie virtù. Non chemanchino questi elementi, ma la preoc-cupazione dominante non è fornire unaprecettistica minuta o di suscitare emo-zioni passeggere. Ciò che i Padri ci dan-no in ordine alla spiritualità sono le idee-forza che debbono orientare e animaretutta la vita del cristiano.

Nella seconda parte del nostro inter-vento abbiamo effettuato un camminoche ci ha mostrato come la voce dei Padriè stata sempre presente all’interno dei te-sti della preghiera della chiesa. Siamogiunti fino alla forma attuale, frutto dei la-vori promossi dal Concilio Vaticano II. Peril futuro che cosa pensare? Naturalmentel’importanza della pagina patristica nonverrà mai meno. Probabilmente sarebbeutile valutare la possibilità di una maggiorarticolazione del lezionario patristico.

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——————1 De Oratione 12.

2 Cf. Stromati 7,40,3.

3 Cf. De Oratione 25.

4 Cf. De oratione dominica 34.

5 Cf. 41.

6 Per Gerusalemme: Egeria, Pellegrinaggio in Terra

Santa 24-25; per Antiochia: Giovanni Crisostomo,

Omelia sulla I a Timoteo 6,2; per Costantinopoli:

Giovanni Crisostomo, Omelia sugli Atti degli Apo-

stoli 18,5; per l’Africa: Agostino, Confessioni

5,9,17; Epistola 29,11.

7 Cf. Catechesi VIII.

8 Apophthegmata 4.

9 Cf. Regula 20-28.

10 Cf. Regula 37,3-5. Questa importanza data alla

preghiera liturgica sembra una conseguenza del-

l’idea sociale che Basilio ha del monachesimo:

per lui la comunità non è tanto il mezzo che de-

ve permettere a ciascuno la fioritura della pro-

pria vita spirituale, quanto piuttosto il fine verso

il quale deve orientarsi ogni attività degli indivi-

dui: le persone sono al servizio della comunità

monastica.

11 Regula 9.

12 Cf. Ordo Romanus 14, n. 10.

13 Sacra Congregazione per la dottrina delle fede, 9

luglio 1972; “Notitiae” 8 (1972), p. 229.

14 Istruzione della Liturgia delle ore 164.

15 Osservatore Romano 5 maggio 1970.

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l canto che segue le letture, siaquella biblica, sia quella patristi-ca o agiografica, nell’Ufficio del-

le Letture, si chiama “responsorio”;quello che segue la lettura breve delleLodi e dei Vespri, si chiama “responsoriobreve”.

Ho scritto “il canto”, perché esso èper natura sua un canto, e come tale ènato, ovviamente per la celebrazione co-rale dell’Ufficio divino. Si chiama poi re-sponsorio, per due motivi: a) perché, nel-la sua struttura, a un solista o a unaschola risponde l’assemblea (forma re-sponsoriale); b) perché esso è la rispostadell’assemblea alla lettura ascoltata.Mentre, nella Messa, la risposta alla pri-ma lettura è costituita da un salmo (an-ch’esso responsoriale), nella Liturgia delleOre, esso è composto da uno o versettiscritturistici, o è una composizione dellaChiesa (di qualche autore o comunità).

Il n. 169 di PNLO descrive così il R/ chesegue la lettura biblica: «Segue il suo re-sponsorio proprio, il cui testo è statoscelto dal tesoro della tradizione, o com-posto ex novo, al fine di portare nuovaluce per la comprensione della lettura ap-pena letta, o di inserire la lettura nellastoria della salvezza, o di ricondurre dal-l’Antico al Nuovo Testamento, o di cam-biare la lettura in preghiera e contempla-

zione, o, infine, di conferire con la suabellezza poetica una piacevole varietà».

In questo caso, il tema ispiratore delR/ è un versetto della lettura proclamata,a cui viene spesso accostato, nel V/ o nel-la risposta, un altro verso, tratto da un al-tro testo biblico, del nuovo o dell’anticoTestamento. Un tale accostamentoproietta nuova luce sul testo della lettura,facendola leggere in senso tipologico oplenario: la Scrittura viene interpretatacon la Scrittura, e si mostra l’unità delmistero salvifico, che preannunciato nel-l’AT, si compie in Cristo. Il responsorio,che ha anche lo scopo di trasformare “lalettura in preghiera e contemplazione”,diventa il modello ante litteram del meto-do della lectio divina, che, come si sa,consiste nel partire dalla lectio, assimilar-la nella meditatio, farla diventare oratio,per bearsi poi nella contemplatio.

Ancora più libero è il compositore neiresponsori che seguono la lettura patristi-ca. Di questi parla il n. 170 di PNLO: «Al-la seconda lettura è aggiunto pure un re-sponsorio appropriato; questo, però, nonè strettamente congiunto con il testo del-la lettura, e perciò favorisce maggior-mente la libertà della meditazione».

Il testo di PNLO parla del “tesoro del-la tradizione”. In effetti possediamo un

I Responsorip. Ildebrando Scicolone, osb

I

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ingente patrimonio di responsori, nonsolo nel rito romano, ma anche in quel-lo ambrosiano e ispanico. C’è poi dapensare che il compositore del testo lofosse anche della melodia (gregoriana).Di questo patrimonio sono da evidenzia-re i responsori delle grandi feste liturgi-che, cioè il tempo di Natale e il ciclo del-la Passione. Se pensiamo che prima del-la riforma dell’Ufficio divino, ogni gior-no si leggevano sei letture (la domenicae le feste nove) con altrettanti responso-ri, si può solo immaginare quanta ric-chezza di riflessione e di preghiera siaveva. Mettendo insieme tutti i respon-sori di una festa, o di un tempo liturgi-co, si può agevolmente percepire tuttala variegata ricchezza della sua celebra-zione, molto più di quanto non risultidai soli testi della Messa.

Leggiamone qualcuno della serie na-talizia: R/ Oggi il Re del cielo nasce per noi dauna vergine per ricondurre l’uomo per-duto al regno dei cieli:* Gode la schiera degli angeli, perché si èmanifestata agli uomini la salvezza eterna.V/ Gloria a Dio nell’alto dei cieli, e pacein terra agli uomini, che egli ama.R/ Gode la schiera degli angeli, perché siè manifestata agli uomini la salvezza.

Mentre il V/ è tratto da Lc 2, 14, tut-to il resto è una composizione della Chie-sa, una meditazione sapienziale e una ca-techesi mistagogica sul Natale, ispiratadai sermoni dei Padri, specialmente dasan Leone Magno. Alla bellezza del con-

tenuto, bisognerebbe aggiungere quellache deriva dal testo latino e dalla musicagregoriana.

Guardiamo ora un responsorio dellaPassione, per es. il secondo del SabatoSanto, quello che segue l’antica Omeliasul grande e santo Sabato:R/ Si è allontanato il nostro pastore, la fon-te di acqua viva, alla cui morte si è oscura-to il sole. Colui che teneva schiavo il primouomo è stato fatto schiavo lui stesso:* oggi il nostro Salvatore ha abbattuto leporte e le sbarre della morte.V/ Ha distrutto la prigione dell’inferno,ha rovesciato la potenza del diavolo.R/ Oggi il nostro Salvatore ha abbattutole porte e le sbarre della morte.

Questi meravigliosi testi hanno attira-to l’attenzione dei musicisti, per cui li tro-viamo musicati dai grandi maestri dellapolifonia sacra, come Pier Luigi da Pale-strina e Tommaso da Vittoria.

Se i responsori delle grandi feste sonoancora cantati nei cori monastici, non sipuò dire purtroppo altrettanto della mag-gior parte dei cori cattedrali, tanto menoparrocchiali. Il clero poi difficilmente cele-bra la liturgia delle Ore coralmente; ognivescovo o prete (o diacono) prega indivi-dualmente. In questo caso è facile la ten-tazione di omettere la recita dei respon-sori. Perciò il n. 171 di PNLO ricorda: «Iresponsori pertanto con le loro parti, daripetersi anche nella recita individuale,mantengono il loro valore. La parte peròche nel responsorio si suole ripetere, nel-

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la recita senza canto si può omettere, ameno che la ripetizione non sia richiestadal senso stesso».

Il n. 172 infine tratta del responsoriobreve (che segue la lettura breve delle

Lodi, dei Vespri e di Compieta) e del Ver-setto, che segue la lettura breve dell’OraMedia, dicendo che «essi sono una rispo-sta alla lettura breve, come una specie diacclamazione, allo scopo di imprimere

più profondamente la parola di Dio nel-l’animo di chi ascolta o di chi legge».

In effetti, dalla pluriennale esperienzadel canto della Liturgia delle Ore, questiresponsori e versetti, risuonando nell’orec-

chio, per tutto ilgiorno, o per tuttauna settimana o untempo liturgico,fanno vivere l’oran-te continuamenteimmerso nel climadel mistero della fe-sta. Quando peres., per tutta la set-timana di Pasqua, siripete Questo è ilgiorno che ha fattoil Signore, alleluia.Rallegriamoci edesultiamo in esso,alleluia, come si faa non sentirsi conti-nuamente a Pa-squa? O se si ripeteIl Verbo si è fattocarne, e venne adabitare in mezzo anoi, il mistero delNatale e dell’Incar-nazione rimane fis-sato nella mente,per scendere nel

cuore. E finiamo con il responsorio diCompieta: ogni sera ci addormentiamo di-cendo al Signore: Signore, nelle tue maniaffido il mio spirito. V/ Dio di verità tu mihai redento.

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forti dell’anno liturgico), si chiede chequel mistero venga trasfigurato nellaChiesa riunita in quel momento in as-semblea liturgica e nella quale Cristostesso assicura la sua presenza. L’orazio-ne in questo caso diventa catalizzatricedel mistero celebrato, sintesi perfettadella preghiera della Chiesa tutta, scatu-rente da quanto pregato in precedenza,specie nei salmi, nella lettura breve enelle preci.

La funzione principale della Liturgiadelle Ore, ossia la santificazione del tem-po, emerge in maniera chiara quandol’orazione stessa fa riferimento al tempocosmico nel quale la comunità è riunita acelebrare; tempo che fa risaltare una pre-ziosa valenza teologico-simbolica, svelan-do l’ingresso della Trinità nel tempo del-l’uomo e, allo stesso tempo, i misteri del-la Pasqua di Cristo, manifestati simbolica-mente dalle diverse ore del giorno nellequali si celebra. Insomma, attraverso leorazioni della Liturgia delle Ore si faesperienza “sintetica” del tempo dell’uo-mo, dello scorrere dei giorni e delle ore, ilKronos, che diventa il tempo della mani-festazione di Dio, Kayros.

Introduzione

ra gli elementi teologicamentepiù significativi nella strutturadella Liturgia delle Ore, un po-

sto di primo piano è occupato dall’euco-logia e, in modo del tutto particolare,dalle orazioni o collette che concludonole varie ore. Esse spesso rappresentanouna validissima sintesi teologica riguardola natura dell’Ufficio divino e, in manieraspecifica, dell’ora celebrata in quel de-terminato arco di tempo. Già le variescuole eucologiche dei primi secoli ave-vano espresso il loro pensiero e la lorodottrina sulla preghiera cristiana nelle di-verse serie di orazioni, raccolte negli an-tichi sacramentari1 e per buona parte ac-colte all’interno della Liturgia delle Oredi Paolo VI. In esse emerge in manieraparticolare la teologia della santificazio-ne del tempo, caratteristica propria dellapreghiera della Chiesa. Esse infatti ri-mangono pur sempre delle orazioni, ri-volte al Padre, per Cristo nello Spirito.Attraverso di esse però, dopo aver medi-tato e celebrato nel corso di quella de-terminata ora un particolare mistero del-l’unico Mistero-Cristo (specie nei tempi

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La teologia della santificazionedel tempo nelle orazionidella Liturgia delle Ore

don Pierangelo Muroni

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1. Le orazioni nella Liturgia delleOre di Paolo VI

Prima della riforma liturgica promossadal Concilio Vaticano II, le orazioni ferialidel cosiddetto “Breviario” presentavanopoche variazioni, in quanto si ripetevasempre l’orazione della domenica prece-dente. Soltanto le ferie di quaresima pre-sentavano collette proprie per Lodi e Ve-spri. Ora invece la Liturgia delle Ore deltempo feriale presenta una colletta pro-pria per Lodi e Vespri in un ciclo di quat-tro settimane, differente perciò dalla col-letta della messa, mentre per le ore mino-ri e per la Compieta in un ciclo settimana-le. Nell’Ufficio delle letture si ripete invecesettimanalmente la colletta della messadomenicale precedente, benché rimangasempre la possibilità di scegliere tra le 34collette del tempo ordinario. Le colletteferiali sono settanta. Se si prendono inesame invece le orazioni dei tempi forti, sipuò notare come tutte le ore canoniche,fatta eccezione per la Compieta, presenti-no la medesima colletta, la stessa dellamessa, che cambia ogni giorno.

Nelle domeniche, nei tempi forti enelle celebrazioni festive e commemora-tive l’orazione, che corrisponde alla col-letta della messa, inserisce in manierapiù efficace la lode quotidiana nell’annocultuale, manifestando in questa manie-ra la grande prerogativa dell’ufficio:quella di santificare il tempo consideratocome ciclo annuale, come stagione o fe-sta liturgica2. Questo rapporto esistentetra Liturgia Eucaristica e Liturgia delleOre, legato in questo caso all’utilizzo

della medesima colletta, pone in rilievoil prolungamento della prima nella se-conda, come annunciato già dai Principie norme per la Liturgia delle Ore: «La Li-turgia delle Ore estende alle diverse oredel giorno le prerogative del mistero eu-caristico, “centro e culmine di tutta lavita della comunità cristiana”: la lode eil rendimento di grazie, la memoria deimisteri della salvezza, le suppliche e lapregustazione della gloria celeste. La ce-lebrazione dell’Eucaristia viene anchepreparata ottimamente mediante la Li-turgia delle Ore, in quanto per suo mez-zo vengono suscitate e accresciute le di-sposizioni necessarie alla fruttuosa cele-brazione dell’Eucaristia, quali sono la fe-de, la speranza, la carità, la devozione eil desiderio dell’abnegazione di sé»3.

Ma la funzione principale delle ora-zioni, come già annunciato, è quella dimettere bene a fuoco il tema specificodi ciascuna ora. Di seguito vorremmoperciò mettere in evidenza questa fun-zione, ossia mettere in relazione innan-zitutto l’ora celebrata con un particolaremistero dell’unico mistero pasquale diCristo e, in seconda istanza, il riferimen-to antropologico dell’ora stessa nel con-testo della santificazione del tempo.Procederemo perciò analizzando alcunedelle orazioni, mettendo in rilievo i prin-cipali temi teologici che ne scaturiscono.

2. La santificazione del tempo nel-le orazioni della Liturgia delle Ore

Mentre alcune delle orazioni conclu-sive del salterio sono di nuova composi-

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zione, la maggior parte di esse, siaquelle del tempo feriale come quelledei tempi forti, provengono, come ac-cennato sopra, dagli antichi sacramen-tari, ed in particolare dal Veronese, dalGregoriano-Adrianeo e Gelasiano anti-co. I criteri di scelta e di affidamento al-le varie ore sono stati, principalmente,l’ora della preghiera, gli eventi biblicicommemorati e le realtà spirituali che sicelebrano, affinché la nostra vita indivi-duale e sociale ne venga vivificata e tra-sformata4.

Una delle prime preoccupazioni degliautori cristiani dei primi tre secoli fuquella di giustificare teologicamente ebiblicamente le varie ore di preghiera.Sebbene infatti non si possa parlarepropriamente, in maniera assoluta, diderivazione diretta delle preghiere dellaLiturgia delle Ore dalle preghiere del po-polo ebraico, non possiamo negare lacorrispondenza almeno cronologica dialcune di esse. Le due ore di preghiera“cardine” degli ebrei infatti si svolgeva-no al mattino e alla sera, legate al sacri-ficio del tempio.

Anche la Chiesa, volendo rispondereal comando di Gesù di pregare in ma-niera incessante5, sentì la necessità dipregare in determinate ore della giorna-ta, dando però a queste ore non più ilsignificato attribuitogli dalla tradizionegiudaica, bensì superando la “legge an-tica” con la “nuova legge” e attribuen-do perciò a queste ore una valenza teo-logica legata ai misteri di Cristo e della

Chiesa. Ed ecco perché Cipriano, par-lando della preghiera del mattino e del-la sera (corrispondenti alle nostre attualiLodi e Vespri) nella sua opera De oratio-ne dominica terrà a ribadire che «biso-gna infatti pregare al mattino per cele-brare nella preghiera del mattino la ri-surrezione del Signore. […] Quando ilsole tramonta e viene meno il giorno,bisogna mettersi di nuovo a pregare. In-fatti, poiché il Cristo è il vero sole e ilvero giorno, nel momento in cui il solee il giorno del mondo vengono meno,chiedendo attraverso la preghiera chesopra di noi ritorni la luce, invochiamoche Cristo ritorni a portarci la graziadella luce eterna»6.

Oggi, questa valenza cristologicadella preghiera del mattino e della seraviene sottolineata dai Principi e normeper la Liturgia delle Ore che così recita-no: «Quest’ora inoltre (le Lodi), che sicelebra allo spuntar della nuova lucedel giorno, ricorda la risurrezione del Si-gnore Gesù, “luce vera che illuminaogni uomo” (Gv 1, 9) e “sole di giusti-zia” (Ml 4, 2), “che sorge dall’alto” (Lc1, 78)»7 e ancora «questo “si può an-che intendere, con un significato piùspirituale, dell’autentico sacrificio ve-spertino: sia di quello che il Signore eSalvatore affidò, nell’ora serale, agliapostoli durante la Cena, quando inau-gurò i santi misteri della Chiesa, sia diquello stesso del giorno dopo, quando,con l’elevazione delle sue mani in cro-ce, offrì al Padre per la salvezza delmondo intero se stesso, quale sacrificio

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della sera, cioè come sacrificio della fi-ne dei secoli”»8. Nella celebrazione del-la Liturgia delle Ore la funzione di lettu-ra cristologica dell’ora pregata viene af-fidata in principio all’inno e, in conclu-sione, all’orazione finale. Prendiamo inesame ad esempio l’orazione conclusivadelle Lodi del martedì della I settimanadel salterio: «Accogli con bontà, o Si-gnore, le preghiere del mattino dellatua Chiesa e illumina con il tuo amorele profondità del nostro spirito, perchésiano liberi dalle suggestioni del malecoloro che hai chiamati allo splendoredella sua luce»9.

In questa orazione, mutuata dal Sa-cramentario Gelasiano10, emerge in ma-niera prorompente il tema della luce:“illumina”, “splendore della sua luce”;il riferimento alla luce del giorno che stanascendo diventa epifania del Risorto,di Cristo «luce del mondo» e «vera luceche non tramonta» (orazione delle Lodidel giovedì I settimana del salterio11). Edè proprio dal mistero di Cristo, pregatoe meditato in quella determinata ora,che scaturisce la santificazione del tem-po dell’uomo. Dio penetra nel tempocosmico per santificarlo, per riempirlodella presenza del suo Spirito e donargliun significato nuovo. Nell’orazione cita-ta infatti l’orante chiede al Padre che laluce del Risorto possa il luminare leprofondità dello spirito guidando al be-ne ciascun fedele. Una luce che, al sor-gere del nuovo giorno, penetri e illuminiogni attività, pensiero, parola del cristia-no e la porti a compimento nel suo no-

me: «Ispira le nostre azioni, Signore, eaccompagnale con il tuo aiuto; perchéogni nostra attività abbia da te il suoinizio e in te il suo compimento» (ora-zione delle Lodi del lunedì I settimanadel salterio12). Perciò la stessa orazioneconclusiva dell’Ora media (le Ore di Ter-za, Sesta e Nona che, secondo una tra-dizione cristologica ricordano rispettiva-mente Gesù inchiodato alla croce, il gri-do di Cristo e le tenebre che scendonosulla terra e la morte di Cristo in cro-ce13), richiama alla santificazione di que-sto preciso arco di tempo spesso dedi-cato, dagli uomini, al lavoro.

Tutto sembra fermarsi per renderelode a Dio nel tempo, fuggendo, con lapreghiera, il tempo stesso. Ecco allorache l’orazione dell’Ora Terza del lunedì Isettimana richiama alla necessità chetutto l’arco del tempo e della giornata,compreso quello del lavoro, possa esse-re “dedicato” a Dio e santificato con lasua lode: «O Dio nostro Padre, che allavoro solidale di tutti gli uomini hai af-fidato il compito di promuovere semprenuove conquiste, donaci di collaborareall’opera della creazione con adesionefiliale al tuo volere in spirito di vera fra-ternità».

Dio non respinge né rigetta il lavorodell’uomo; piuttosto lo arricchisce di unsignificato e finalità nuove, che trovanonella collaborazione all’opera della crea-zione e perciò nell’edificazione del Re-gno di Dio il loro fine ultimo. Unendosialle intercessioni pregate precedente-

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mente, l’orazione conclusiva dei Vespriassume, a sua volta. un tono di ringra-ziamento a Dio per la giornata trascor-sa, per il bene compiuto, per le oppor-tunità ricevute nel fare esperienza diDio nel corso del giorno, chiedendoperdono dei limiti umani e delle ombreche possono aver respinto la luce del Ri-sorto invocata al mattino: «Accogli, Si-gnore, al tramonto di questo giorno, ilnostro umile ringraziamento e nella tuamisericordia dimentica le colpe da noicommesse per la fragilità della condizio-ne umana» (orazione dei Vespri del gio-vedì III settimana del salterio14). Emergequi il tema della debolezza umana maanche della piena fiducia nella miseri-cordia di Dio. Il riferimento al “tramon-to di questo giorno”, come anche laquinta delle intercessioni con la quale siprega per i defunti, rivela il senso esca-tologico della preghiera che, sebbenecol sopraggiungere della notte manife-sti il tramonto della vita, in realtà non siconclude con le tenebre, ma piuttostocon l’attesa della luce del nuovo giorno:«O Dio, che illumini la notte più oscurae dopo le tenebre fai sorgere nel mon-do la luce, donaci di trascorrere questanotte lontano dalle insidie del maligno,perché all’alba del nuovo giorno possia-mo cantare con la Chiesa le tue lodi»(orazione dei Vespri del giovedì I setti-mana del salterio15).

Da quanto detto sopra emerge inmaniera chiara l’elemento che caratte-rizza la Liturgia delle Ore: la santificazio-ne di tutto il corso del giorno e della

notte e di tutta l’attività umana16. Da ciòsi evince dunque che anche la notte,che rappresenta di per sé il momentonel quale tutto sembra fermarsi e nonavere senso, rientra in questa dimensio-ne di santificazione, in particolare attra-verso la preghiera della Compieta: «Si-gnore Dio nostro, donaci un sonno tran-quillo, perché ristorati dalle fatiche delgiorno, ci dedichiamo corpo e anima altuo servizio» (orazione di Compieta delgiovedì). La notte diventa il momentonel quale il corpo riacquista le forze perdedicarsi, nel nuovo giorno, con più vi-talità ed energia al servizio di Dio; iltempo notturno simboleggia il tempodell’attesa utile; tempo necessario, chesuscita la pazienza dell’uomo affinché «igermi di bene, seminati nei solchi diquesta giornata, producano una messeabbondante» (orazione di Compieta dellunedì); manifesta infine l’attesa escato-logica della risurrezione alla fine deitempi perché, unendoci «nella fede allamorte e sepoltura (del Cristo) possiamorisorgere con lui alla vita nuova» (ora-zione di Compieta del venerdì).

ConclusioneDa quanto detto sopra, e manifesta-

toci chiaramente dalle orazioni conclusi-ve delle varie ore, si evince come la Li-turgia delle Ore, «preghiera pubblica ecomune del popolo di Dio»17, rappresen-ti la preghiera cristiana per eccellenza acui viene affidata la santificazione del-l’intero arco della giornata, del tempodell’uomo che diviene così tempo dellamanifestazione del Padre, per Cristo

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nello Spirito. Per far riscoprire la prezio-sità e la ricchezza di questa celebrazioneè auspicabile che in ciascuna comunità,specie nelle parrocchie, si invitino i fede-li a rivolgere a Dio la loro preghiera at-traverso questo sublime canto di lodenel quale si manifesta, in maniera eccel-

lente, lo scambio e il dialogo orante traDio e l’uomo. Santificazione della gior-nata perciò che diventa anche santifica-zione dell’uomo stesso, il quale, attra-verso la Liturgia delle Ore, si associa aquel carme di lode che viene cantato ineterno nelle sedi celesti18.

——————1 Cf. J. PINELL, Liturgia delle Ore (Anàmnesis 5), Ge-

nova 1990, 156.

2 Cf. V. RAFFA, La Liturgia delle Ore. Presentazione

storica, teologica e pastorale, Milano 1990, 182-

183 e P. FERNÁNDEZ, «Elementi verbali della Liturgia

delle Ore: la salmodia» in La celebrazione della

Chiesa, vol. 3: Ritmi e tempi della celebrazione,

ed. D. BOROBIO, Torino 1994, 552.

3 Principi e norme per la Liturgia delle Ore (= PNLO),

in Enchiridion Vaticanum 4, Bologna 1982, 12.

4 Cf. A. DUMAS, «Le orazioni dell’Ufficio feriale del

tempo per annum», in Liturgia delle Ore. Docu-

menti ufficiali e studi, Torino 1972, 251-268.

5 Cf. Lc 18, 1.

6 CIPRIANO, De dominica oratione (Corpus Christia-

norum. Series Latina 3 A), Turnholti 1976, & 35,

112.

7 PNLO 38.

8 PNLO 39.

9 Per le orazioni riportare in questa sezione, cf. Uffi-

cio divino rinnovato a norma dei decreti del Con-

cilio Ecumenico Vaticano II e promulgato da Paolo

VI. Liturgia delle Ore secondo il rito romano, vol.

4: Tempo ordinario. Settimane XVIII-XXXIV, Città

del Vaticano 1975.

10 Cf. Liber Sacramentorum Romanae Aeclesiae or-

dinis anni circuli (Cod. Vat. Reg. Lat. 316/Paris Bi-

bl. Nat. 7193. 41/56) [Sacramentarium Gelasia-

num] (Rerum Ecclesiasticarum Documenta. Series

Maior. Fontes IV), ed. L.C. MOHLBERG - L. EIZENHÖFER

- P. SIFFRIN, Roma 1960 (= GeV), 1578.

11 Cf. GeV 1587.

12 Cf. Le Sacramentaire Grégorien. Ses principales

formes d’après les plus anciens manuscrits, ed. J.

DESHUSSES, Fribourg 31992, & 44, 7.

13 Cf. La Tradition apostolique de saint Hippolyte. Es-

sai de reconstitution, ed. B. BOTTE (Liturgiegeschi-

chtliche Quellen und Forschungen 39), Münster51989, 41.

14 Cf. GeV 1593.

15 Cf. GeV 1588.

16 Cf. PNLO 10-11.

17 PNLO 1.

18 Cf. PNLO 16.

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roseguendo la lettura della se-conda parte dell’EsortazioneApostolica Sacramentum carita-

tis, dedicata all’Eucaristia mistero da cele-brare, si pone l’attenzione su alcune partidella struttura della Celebrazione eucari-stica, «al fine di restare fedeli all’intenzio-ne profonda del rinnovamento liturgicovoluto dal Concilio Vaticano II, in conti-nuità con tutta la grande tradizione ec-clesiale». In primo luogo viene ribadita«l’unità intrinseca del rito della santaMessa», mettendo in guardia dal rischioche, sia nelle catechesi che nella stessamodalità di celebrazione, «si dia adito aduna visione giustapposta delle due partidel rito». Invece «si deve costantementetener presente che la Parola di Dio, dallaChiesa letta e annunziata nella liturgia,conduce all’Eucaristia come al suo fineconnaturale».

Il Santo Padre chiede che «la liturgiadella Parola sia sempre debitamente pre-parata e vissuta», raccomandando che«si ponga grande attenzione alla procla-mazione della Parola di Dio da parte dilettori ben preparati». Per comprenderee meditare la Parola di Dio, sempre “nel-la consapevolezza della sua unità con ilSacramento eucaristico”, è necessarioaiutare i fedeli “ad apprezzare i tesoridella Sacra Scrittura presenti nel Leziona-rio” attraverso opportune iniziative pa-

storali, come celebrazioni della Parola ela lectio divina, e promuovendo le formedi preghiera come la Liturgia delle Ore ele celebrazioni vigiliari. Sempre in rela-zione alla liturgia della Parola, è necessa-rio «migliorare la qualità dell’omelia», inquanto essa “ha il compito di favorireuna più piena comprensione ed efficaciadella Parola di Dio nella vita dei fedeli”,quindi il Santo Padre invita i ministri or-dinati a preparare accuratamente l’ome-lia, evitando omelie generiche o astratte,affinché «l’omelia ponga la Parola di Dioproclamata in stretta relazione con la ce-lebrazione sacramentale e con la vitadella comunità, in modo tale che la Pa-rola di Dio sia realmente sostegno e vitadella Chiesa».

Riguardo alla presentazione dei doni,viene sottolineato che «non si trattasemplicemente di un sorta di ‘intervallo’tra la liturgia della Parola e quella eucari-stica», ma «in questo gesto umile e sem-plice si manifesta, in realtà, un significa-to molto grande: nel pane e nel vino cheportiamo all’altare tutta la creazione èassunta da Cristo Redentore per esseretrasformata e presentata al Padre. Inquesta prospettiva portiamo all’altareanche tutta la sofferenza e il dolore delmondo, nella certezza che tutto è pre-zioso agli occhi di Dio». Si esorta quindia non enfatizzare eccessivamente la

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Sacramentum Caritatis – 6Stefano Lodigiani

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profonda semplicità di questo gesto«con complicazioni inopportune». Mo-mento «centrale e culminante dell’interacelebrazione» è la preghiera eucaristica,che i fedeli devono essere messi in gradodi apprezzare.

Una particolare attenzione viene poirivolta al rito dello scambio della pace.Dal momento che l’Eucaristia è per suanatura “Sacramento della pace”, nel no-stro tempo, così carico di conflitti, «que-sto gesto acquista, anche dal punto di vi-sta della sensibilità comune, un particola-re rilievo in quanto la Chiesa avvertesempre più come compito proprio quellodi implorare dal Signore il dono della pa-ce e dell’unità per se stessa e per l’interafamiglia umana”. Per l’intensità e l’altovalore di questo gesto, il Sinodo dei Ve-scovi considera opportuno richiamare aduna certa moderazione e sobrietà perchénon assuma “espressioni eccessive, susci-tando qualche confusione nell’assembleaproprio prima della Comunione».

Per il momento della distribuzione ericezione della santa Comunione, il Papachiede a tutti i ministri ordinati e a coloroche vengono autorizzati al ministero del-la distribuzione dell’Eucaristia, «di fare ilpossibile perché il gesto nella sua sempli-cità corrisponda al suo valore di incontropersonale con il Signore Gesù nel Sacra-mento. Tutte le comunità cristiane si at-tengano fedelmente alle norme vigenti,vedendo in esse l’espressione della fede edell’amore che tutti dobbiamo avere neiconfronti di questo sublime Sacramento.Inoltre, non venga trascurato il tempoprezioso del ringraziamento dopo la Co-

munione: oltre all’esecuzione di un cantoopportuno, assai utile può essere anche ilrimanere raccolti in silenzio».

Ai nostri giorni si possono verificarecircostanze per cui alle Sante Messe ce-lebrate per matrimoni, funerali o eventianaloghi, possono essere presenti perso-ne che magari da anni non si accostanoall’altare o si trovano in una situazione divita che non permette l’accesso ai Sacra-menti, o ancora persone di altre confes-sioni cristiane o addirittura di altre reli-gioni. È bene quindi trovare «modi brevied incisivi per richiamare tutti al sensodella comunione sacramentale e allecondizioni per la sua ricezione. Laddovevi siano situazioni in cui non sia possibilegarantire la doverosa chiarezza sul signi-ficato dell’Eucaristia, si deve valutarel’opportunità di sostituire la Celebrazio-ne eucaristica con una celebrazione dellaParola di Dio».

Nelle parole con cui, dopo la benedi-zione, il diacono o il sacerdote congeda ilpopolo - Ite, missa est – «ci è dato di co-gliere il rapporto tra la Messa celebrata ela missione cristiana nel mondo. Nell’an-tichità missa significava semplicemente“dimissione”. Tuttavia essa ha trovatonell’uso cristiano un significato semprepiù profondo. L’espressione “dimissio-ne”, in realtà, si trasforma in “missione”.Questo saluto esprime sinteticamente lanatura missionaria della Chiesa. Pertanto,è bene aiutare il Popolo di Dio ad ap-profondire questa dimensione costitutivadella vita ecclesiale, traendone spuntodalla liturgia».

(continua)

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Prima lettura: Dt 11,18.26-28Salmo responsoriale: dal Sal 30Seconda lettura: Rm 3,21-25a.28Vangelo: Mt 7,21-27

Il Sal 30 è una supplica fiduciosa di unuomo nel momento dell’afflizione. Il salmistainvoca con grande fiducia l’aiuto di Dio chegià altre volte è venuto in suo soccorso. LaChiesa ricorre frequentemente nella sua li-turgia a questo salmo per implorare aiutocontro i nemici e conforto nelle persecuzioni.Nelle nostre difficoltà, che non mancano nel-la vita, questo salmo ci può insegnare comepregare per poterle superare. Ricordando ibenefici del Signore, ci rivolgiamo a lui conrinnovata speranza: lui è la roccia che ci sal-va e chi in lui si rifugia non sarà mai deluso.Le letture bibliche ci ricordano però che al-l’azione salvatrice di Dio occorre risponderecon senso di responsabilità.

Nel brano della prima lettura, Mosè rac-comanda al popolo tre cose: di tenere la leg-ge di Dio sotto gli occhi perché non vengadimenticata mai, di metterla in pratica, e diricordarsi che scegliendo di osservarla o didimenticarla, sceglieranno la benedizione ola maledizione di Dio. Benedizione e maledi-zione, vita o morte, salvezza o rovina, non so-no eventi già decisi in precedenza, in modoindipendente dalla nostra volontà, ma realtàaffidate alla nostra libera scelta. Possiamo

costruire il nostro futuro, siamo responsabilidel proprio avvenire, del proprio operare.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica, ri-prendendo il primo versetto del vangelod’oggi, afferma: “Gesù ci insegna che si en-tra nel Regno dei cieli non a forza di parole,ma facendo la volontà del Padre suo che ènei cieli” (n. 2826). Il canto al vangelo ripor-ta altre parole di Gesù: “Se uno mi ama, os-serva la mia parola” (Gv 14,23). L’amore,animato dalla libertà, si nutre di fatti e nondi parole. Così si comporta Dio, e chiede al-

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DDOOMMEENNIICCAA IIXX DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( AA ))11 ggiiuuggnnoo 22000088 Sei tu, Signore, per me una roccia di rifugio

La parola di Dio celebratap. Matias Augé, cmf

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l’uomo pari corrispondenza. Poiché Dio è lavita, scegliere di allontanarsi da lui portainevitabilmente incontro alla morte. Lo ricor-da Gesù attraverso la similitudine della casacostruita sulla roccia o sulla sabbia: ciò chefa la differenza è la pratica delle parole diGesù. Entrambi i costruttori della propriacasa ascoltano la parola di Gesù, ma solo chila mette in pratica edifica la propria esisten-za sulla roccia. L’uomo che costruisce la suavita sulla parola di Gesù, è da lui chiamato“saggio”. Non basta invocare il Signore conla bocca per godere della sua comunione: lafede in lui, mentre giustifica e salva, è chia-mata a modellare la vita secondo il Vangelo.

Quanto abbiamo detto sulle opere, non cideve far dimenticare che la salvezza rimanesempre un dono di Dio. L’orazione colletta di-ce che Dio, nella sua provvidenza, tutto dispo-ne secondo il suo disegno di salvezza. E nella

seconda lettura, san Paolo afferma che tuttisiamo “giustificati gratuitamente per la sua(di Dio) grazia, in virtù della redenzione rea-lizzata da Cristo Gesù”. Delle sue opere buo-ne l’uomo non può menar vanto alcuno perchéogni giustizia è dono gratuito di Dio. L’uomo,da solo, è sempre inadeguato nei confrontidella propria realizzazione. Mediante la fedeveniamo innestati in quel processo che con-duce alla pienezza della vita. Dio può vincereil peccato, e lo vince se abbiamo “fede”, indi-pendentemente dalle “opere della legge”,sempre inadeguate in ordine alla salvezza.

La preghiera dopo la comunione riassu-me bene il tema di questa domenica quando,si rivolge al Padre con questa supplica: “gui-daci con il tuo Spirito perché non solo con leparole ma con le opere e la vita possiamorenderti testimonianza e così entrare nel re-gno dei cieli”.

Prima lettura: Os 6,3-6Salmo responsoriale: dal Sal 49Seconda lettura: Rm 4,18-25Vangelo: Mt 9,9-13

Nello spirito della predicazione profetica,l’autore del Sal 49 apre un vero e proprioprocesso nei confronti di un Israele attentosolo all’osservanza religiosa esteriore. Allalista sacrificale di sette tipi di animali il sal-mista oppone la lista morale di sette impegniesistenziali, espressione di una fede viva.Con questo salmo, il popolo d’Israele è invi-tato, ma anche noi tutti siamo invitati, a

conformare la propria vita interiore all’eser-cizio del culto esterno e la propria condottaalla legge di Dio per prepararsi ad accoglierela buona novella del Messia e la grazia delSalvatore in sincerità e umiltà di cuore.

“Misericordia io voglio e non sacrifici”.Queste parole di Gesù, che abbiamo ascoltatoalla fine del brano evangelico, possono essereil riassunto del messaggio di questa domeni-ca. Un pensiero molto simile lo troviamo in-fatti nella prima lettura tratta dal profetaOsea: il popolo ha sbagliato e vuol ottenere ilperdono del Signore mediante un solenne rito

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DDOOMMEENNIICCAA XX DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( AA ))88 ggiiuuggnnoo 22000088 Chi cammina per la retta via vedrà la salvezza di Dio

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di espiazione. Dio invece ricorda al suo popo-lo per bocca del profeta: “voglio l’amore e nonil sacrificio, la conoscenza di Dio più degliolocausti”. Tutta quanta la tradizione profeticadella Bibbia è costituita da un unico motivoconduttore: il vero sacrificio gradito a Dio è laconoscenza del Signore e della sua legge; unaconoscenza che, nel linguaggio biblico, non siesaurisce nell’apprendimento teorico, ma chesi traduce in concreti gesti d’amore, in corag-giose scelte di vita. Gesù si colloca sulla sciadei profeti, anzi va oltre quando siede a men-sa con i peccatori e quando chiama il pubbli-cano Matteo a formare parte della cerchia de-gli apostoli. Con la sua parola e i suoi gestiGesù delinea il volto del Dio misericordiosodell’alleanza annunciato dai profeti, il voltodel Padre celeste che non costruisce barriereal suo amore, che tutti accoglie, che verso tut-ti è liberale, pur non facendosi complice delmale. Come ci ricorda la seconda lettura, l’a-more salvifico di Dio, la sua potenza ricreatri-ce, si rivela proprio là dove l’impotenza uma-na risulta somma e senza speranza.

Dio, che è misericordioso, desidera cheanche noi siamo misericordiosi, cioè fedeli,capaci di un amore leale, di una benevolenzagenerosa verso i nostri simili. L’atteggiamen-to del Signore nei nostri confronti non è vuo-to formalismo, ma concreta solidarietà, spe-cie con il peccatore. Siamo sempre tentati di

definire la nostra vita cristiana in base allapratica religiosa. Invece Dio vuole non tantoe non solo dei riti, delle pratiche religiose,ma egli ci chiede soprattutto la conversionedel cuore e della vita, l’impegno concreto alservizio del fratello, specie del bisognoso,del povero, dell’oppresso; Dio vuole da noiun cuore capace di accogliere chi ha sbaglia-to, di dimenticare l’offesa e di ricostruire irapporti interrotti.

Abbiamo visto che Gesù, dinanzi ai fari-sei che si stupiscono che egli mangi insiemeai pubblicani e ai peccatori, giustifica il pro-prio agire non con ricercati sofismi, ma conla normale saggezza popolare: “Non sono isani che hanno bisogno del medico, ma i ma-lati”. Egli è quindi venuto per dedicarsi aibisognosi, per solidarizzare con i problemidell’uomo. Lascia ai suoi critici, scribi e fari-sei, le loro lunghe e ampollose pratiche reli-giose, vere fughe dalla vita, autentiche illu-sioni in ordine alla salvezza.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica, do-po aver fatto riferimento al testo della primalettura e a quello evangelico letti oggi, dice:“L’unico sacrificio perfetto è quello che Cri-sto ha offerto sulla croce in totale oblazioneall’amore del Padre e per la nostra salvezza.Unendoci al suo sacrificio, possiamo fare del-la nostra vita un sacrificio a Dio” (n. 2100).

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Prima lettura: Es 19,2-6aSalmo responsoriale: dal Sal 99Seconda lettura: Rm 5,6-11Vangelo: Mt 9,36-10,8

Il Sal 99 è un inno di lode, di fede e digioia. Sullo sfondo di questo inno, si muovetutta la storia d’Israele: in un’ondata di entu-siasmo Israele proclama la sua fede nel “Si-

DDOOMMEENNIICCAA XXII DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( AA ))1155 ggiiuuggnnoo 22000088 Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida

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gnore buono” il cui amore è eterno e riaffer-ma la sua coscienza di essere il popolo del-l’alleanza, legato da un rapporto intenso epersonale col suo Dio. La bontà e la fedeltàdi Dio, rivolte un tempo al popolo d’Israele,si sono manifestate in Cristo, ed egli, nostropastore, con la sua morte e risurrezione, ac-coglie tutti i popoli nella sua Chiesa, nuovopopolo di Dio.

In questa domenica la parola di Dio ciinvita a contemplare alcuni aspetti del mi-stero della Chiesa, precisamente la sua di-mensione di “nuovo popolo di Dio” raccoltodall’amore di Gesù con la cooperazione deisuoi discepoli. Prefigurata dall’elezione si-naitica, la Chiesa è definita dalla comunio-ne che vincola a Cristo i credenti in lui. Atal fine, Gesù chiama a sé i dodici e li invia(apostoli appunto, cioè inviati) ad annuncia-re il Vangelo e a operare segni visibili checonfermano la reale presenza del regno diDio tra gli uomini.

Vale la pena soffermarsi in modo parti-colare sul racconto evangelico ed esaminarele parole e i sentimenti di Gesù. Anzitutto,vediamo che Gesù sente “compassione”,non rimane indifferente di fronte alle folleche lo seguono. Dio aveva provato compas-sione per il popolo d’Israele quando, inEgitto, era sotto il peso dell’oppressione;Gesù prova ora compassione per le folle chesono stanche e senza una guida. La compas-sione è un’espressione dell’amore che vuolela vita dell’altro. Gesù poi invita a pregare.In questo modo, egli fa capire ai suoi disce-poli che Dio solo è in grado di rispondereefficacemente al bisogno dell’uomo. Final-mente, Gesù manda i dodici apostoli inmissione a guarire le infermità e ad annun-ziare che il regno di Dio è vicino. In questo

modo, Gesù fa capire che ormai il ruolo diIsraele è compiuto. Alle dodici tribù diIsraele subentrano i dodici apostoli sceltida Cristo e inviati a raccogliere gli uomininel nuovo popolo di Dio. All’inizio di que-sto nuovo popolo non stanno dodici fratellilegati tra loro da vincoli di sangue, ma do-dici persone unite solo dai vincoli della fe-de in Cristo. Il nuovo popolo di Dio, laChiesa, non è una realtà etnica, ma unarealtà di fede. Attraverso la fede si stabili-sce un forte legame con Gesù che diventaun fortissimo legame con gli altri credenti.Nasce così la Chiesa, nuovo popolo di Dio.Tutto ciò che nella prima lettura si affermadel popolo di Israele, “regno di sacerdoti”,“nazione santa”, si compie pienamente nel-la Chiesa. Ciò significa che la Chiesa èchiamata a esprimere una presenza profeti-ca tra gli uomini, a testimoniare dentro allastoria le opere della giustizia e della pace,frutto della riconciliazione con Dio ottenutaper mezzo di Gesù Cristo morto e risorto pernoi (cf. seconda lettura).

In sintesi, possiamo affermare che la ri-surrezione di Cristo è il compimento dellamissione di Israele, perché nel Signore risor-to Dio offre a tutti gli uomini di partecipareal banchetto del regno dei cieli. Di questagrazia i discepoli sono testimoni e dispensa-tori con la gratuità stessa dell’amore di Dio.Cristo “chiama” ma per “inviare”; non vuolecreare gruppi elitari, sette di perfetti, ma unfermento per le masse, una comunità di per-sone impegnate a lottare contro ogni forma dimale. Questa è stata la sua vita e così deveessere quella dei suoi discepoli.

L’eucaristia edifica la Chiesa nell’unitàe nella pace (cf. l’orazione dopo la comu-nione).

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L’insegnamento del brano del vangelos’inquadra perfettamente nel contesto dellaprima lettura. Per ben tre volte Gesù ripeteai suoi discepoli inviati in missione il co-mando: “Non abbiate paura degli uomini...non abbiate paura di quelli che uccidono ilcorpo... non abbiate dunque paura”. Ci pos-siamo domandare che senso abbiano oggi leparole di Gesù? Infatti, noi viviamo in unambiente che in genere non è minacciosonei confronti del testimone di Cristo, ma èsemplicemente distratto e disinteressato aigrandi ideali proclamati dal cristianesimo.In queste circostanze ci vuole coraggio pertestimoniare valori “forti”. Oggi le parole diGesù sono quindi un invito a non scorag-giarsi, a non gettare la spugna, a continuarecon fiducia la nostra testimonianza di vita

Prima lettura: Ger 20,10-13Salmo responsoriale: dal Sal 68Seconda lettura: Rm 5,12-15Vangelo: Mt 10,26-33

Il Sal 68, uno dei più mesti del salterio, èlo sfogo di un’anima immersa nel dolore etraboccante di amarezze. La sofferenza del-l’orante si trasforma in imprecazione vee-mente che si esprime in un dialogo totalmen-te sincero con Dio. Ma si trasforma anche insperanza nel Signore dei poveri e degli op-pressi; anche nel lamento la preghiera restasempre un atto di fiducia nel Signore. IlNuovo Testamento cita a più riprese questosalmo, applicandolo a Cristo soprattutto nelmomento della sua passione. Dalla bocca diCristo questa preghiera passa alla bocca del-la Chiesa e raccoglie lungo i secoli i doloridegli uomini per collocarli accanto a quellidi Cristo e suscitare nel cuore umano unasperanza di salvezza.

Possiamo riassumere il contenuto delleletture bibliche odierne con queste parole: lanostra fedeltà a Dio e al suo vangelo esigetalvolta un caro prezzo che, però, possiamoaffrontare se abbiamo fiducia nel Signore.Nella prima lettura, vediamo che la paroladel profeta Geremia è scomoda a molti deisuoi contemporanei, incontra l’ostilità addi-rittura dei suoi parenti e amici. Il profeta sen-te tutto il peso della trama ordita contro dilui. Ciò nonostante, egli è fedele alla sua mis-sione, perché sa che il Signore non lo abban-dona. Perciò affida a lui la sua causa, anziesprime la riconoscenza per l’aiuto ricevuto.

DDOOMMEENNIICCAA XXIIII DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( AA ))2222 ggiiuuggnnoo 22000088 Nella tua grande bontà rispondimi, o Dio

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cristiana anche quando il messaggio che lanostra parola e le nostre opere intendonoproclamare sembra essere insignificante elontano dagli interessi dei nostri simili. Nel-la colletta alternativa chiediamo a Dio checi sostenga con la forza del suo Spirito,“perché non ci vergogniamo mai della no-stra fede”.

Si potrebbe dire che il cristiano si distin-gue dal non cristiano dal modo in cui vincela paura. L’alternativa cristiana al dubbio, al-l’incertezza e alla paura si chiama fiducia inDio. Il vero discepolo di Gesù non cede allatentazione di considerarsi dimenticato, disentirsi insignificante, ma impara piuttostoda Gesù a fidarsi del Padre, il quale se prov-vede agli uccelli del cielo tanto più provve-derà ai discepoli di Gesù. Questa fiducia inDio viene incoraggiata anche da san Paolo

nel brano della seconda lettura. Il Cristo nonrimedia solo a una situazione catastrofica,conseguenza del peccato che si è moltiplica-to nel mondo. Infatti, in questo mondo im-merso nel peccato, sovrabbonda la grazia diDio. Con Gesù Cristo, afferma l’Apostolo, idoni di Dio “si sono riversati in abbondanzasu tutti”. Si tratta di una visione ottimisticadell’umanità, visione tipicamente cristiana.È l’umanità ideale, quella del futuro, quellache nella storia, pur non essendo mai piena-mente raggiunta, deve rappresentare già orail costante obiettivo del nostro impegno quo-tidiano.

La partecipazione eucaristica, “sacrificiodi espiazione…” ci purifica dai nostri pecca-ti e ci rinnova, perché tutta la nostra vita siaaccetta alla volontà del Signore (orazionesulle offerte).

Prima lettura: Ger 1,4-10Salmo responsoriale: dal Sal 70Seconda lettura: 1Pt 1,8-12Vangelo: Lc 1,5-17

San Luca nel suo Vangelo ha stabilitouno stretto parallelismo tra il racconto dellanascita e infanzia di Gesù e quello della na-scita e infanzia di Giovanni Battista. Anchela liturgia della Chiesa celebra due nascitein parallelo: nel solstizio d’inverno, la nasci-ta del Messia; nel solstizio d’estate, la nasci-ta del Precursore.

Le tre letture bibliche della Messa ve-spertina di questa vigilia parlano dei profeti

e del loro ruolo nella storia della salvezza.La prima lettura racconta la vocazione delprofeta Geremia, uno dei profeti maggiori,chiamato a esercitare la profezia quando an-cora era in giovane età e inesperto nel parla-re. Il brano evangelico riporta l’annunciodella nascita di Giovanni, presentato comecolui che “camminerà… con lo spirito e lapotenza di Elia”, uno dei più grandi profetidell’Antico Testamento. La lettura apostolicaparla dei “profeti” che hanno preannunciatola grazia a noi destinata. Nei tre brani bibliciil profeta appare come colui che, nonostantela sua fragilità, è portatore della parola diDio. Il Signore dice a Geremia: “Ecco, timetto le mie parole sulla bocca”.

NNAATTIIVVIITTÀÀ DDII SSAANN GGIIOOVVAANNNNII BBAATTTTIISSTTAA2233 ggiiuuggnnoo 22000088MMeessssaa vveessppeerrttiinnaa ddeellllaa vviiggiilliiaaDal grembo di mia madre sei tu il mio sostegno

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Ma qual è ilruolo specifico diGiovanni Battistacome profeta?Che il Battista siaun profeta lo diceanche lo stessoGesù. Anzi, Gesùdefinisce Giovan-ni Battista “piùche un profeta”(Mt 11,9). Il per-ché di questo elo-gio lo possiamoricavare forse dalracconto evange-lico odierno. Unangelo del Signo-re appare a Zac-caria mentre eglisvolge le sue fun-zioni sacerdotalial tempio. L’ange-lo comunica al-l’anziano sacerdote un messaggio: “…la tuapreghiera è stata esaudita e tua moglie Elisa-betta ti darà un figlio, e tu lo chiamerai Gio-vanni”. Il senso di queste parole sembra evi-dente: Zaccaria è stato esaudito perché avevachiesto a Dio un figlio. Se noi però leggiamol’intero racconto, nel v. 18 (il vangelo d’oggisi ferma al v. 17) vediamo che Zaccaria noncapisce, dubita: come fanno lui e sua moglie,ormai avanti negli anni, ad avere un figlio?Sembra quindi che l’oggetto della preghieradi Zaccaria che, secondo l’angelo è stataesaudita, era stato un altro.

Zaccaria stava compiendo un atto sacer-dotale nel tempio e, come nota san Luca,“fuori, tutta l’assemblea del popolo stava pre-gando nell’ora dell’incenso”. Si tratta di unacelebrazione liturgica e quindi dobbiamo

supporre che lapreghiera delpopolo e quelladel sacerdote sii d e n t i f i c a n o .Zaccaria è en-trato nel santua-rio per innalzarea Dio la preghie-ra di tutto il po-polo che è fuoriin attesa: l’offer-ta dell’incenso èil simbolo diquesta preghie-ra. A noi peròinteressa, sepossibile, cono-scere l’oggetto diquesta preghie-ra. Ci sono stu-diosi della Bib-bia che, tenutoconto dell’intero

racconto di Luca, credono che l’oggetto ulti-mo della preghiera del popolo è la salvezzamessianica. Uno dei sentimenti sempre pre-senti nella preghiera del popolo d’Israele eral’invocazione della definitiva salvezza, dellavenuta del Messia. Questa è la preghiera cheZaccaria, come rappresentante del popolo, econ il popolo, innalza a Dio. La grandezzadella missione profetica di Giovanni Battistaè tutta qui: Dio “nella sua nascita preannun-zia i prodigi dei tempi messianici” (prefazio).Infatti, Giovanni non rallegrerà soltanto unacoppia sterile, ma “molti si rallegreranno del-la sua nascita”.

L’antifona alla comunione riprendendo leparole del canto di Zaccaria ci invita a loda-re il Signore “perché ha visitato e redento ilsuo popolo” (Lc 1,68).

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Prima lettura: Is 49,1-6Salmo responsoriale: dal Sal 138Seconda lettura: At 13,22-26Vangelo: Lc 1,57-66.80

Le tre letture bibliche proposte per la Mes-sa del giorno hanno come personaggio centraleGiovanni Battista, l’ultimo dei profeti e il primodei testimoni di Cristo. Il brano d’Isaia presen-ta le credenziali, come facevano i profeti nelracconto della loro vocazione, che legittimanola missione del “Servo del Signore”, misteriosafigura messianica. Come nella vocazione di Ge-remia, che abbiamo letto nella Messa vesperti-na della vigilia, si sottolinea la difficoltà, la fa-tica, la sofferenza per la missione da svolgere.Ma la protezione di Dio, raffigurata dall’ “om-bra della sua mano” e dalla “faretra”, cancellaogni perplessità. Il profeta sa che il “suo dirittoè presso il Signore” e la “sua ricompensa pres-so il suo Dio”. Sulla stessa linea del raccontodel Vangelo di Luca, con la scelta di questobrano d’Isaia, eminentemente messianico, la li-turgia stabilisce un certo parallelismo tra lamissione di Cristo e quella di Giovanni.

La seconda lettura, tratta dagli Atti, propo-ne un brano del discorso che Paolo tiene nellasinagoga di Antiochia di Pisidia. L’Apostolo,dopo aver ricordato brevemente le tappe prin-cipali della storia d’Israele, sottolinea in modoparticolare il ruolo che ha il Precursore inquesta storia: predicando un battesimo di con-versione, Giovanni ha preparato la venuta diGesù, al quale egli umilmente non si conside-ra degno di slacciare i sandali. La letturaevangelica narra la nascita di Giovanni Batti-

sta, la sua circoncisione con l’imposizione delnome. I presenti all’evento propongono dichiamarlo col nome di suo padre Zaccaria. Masia Elisabetta che lo stesso Zaccaria vogliono,invece, che il loro figlio sia chiamato Giovan-ni, come aveva d’altronde indicato l’angelo. Ilnome di Zaccaria significa “Dio si ricorda”; èquindi un nome che non va più bene, perchéDio non solo si è ricordato, ma ha fatto grazia.Perciò il piccolo sarà chiamato Giovanni, chesignifica appunto “Dio fa grazia”. Nella con-cezione semitica, il nome non serve solo comedenominazione di un uomo, ma si identificacon la sua stessa persona e missione.

Il prefazio della Messa con poche parolescolpisce tutta la vita e la missione del Batti-sta. Dio ha operato grandi meraviglie nelPrecursore, che fra tutti i nati di donna haeletto e consacrato a preparare la via a CristoSignore. Infatti “presentendo la sua venuta,egli sussultò di gioia nel seno materno e nel-la nascita prodigiosa preannunciò la gioiadella redenzione”. Inoltre, “solo fra tutti iprofeti, indicò finalmente l’Agnello del no-stro riscatto”. Poi egli battezzò nelle acquedel Giordano lo stesso Figlio di Dio, l’autoredel battesimo. Infine suggellò la sua testimo-nianza con l’effusione del sangue. Ripren-dendo testi di Giovanni e di Luca, l’antifonad’ingresso presenta Giovanni Battista come“testimone” che è venuto “per rendere testi-monianza alla luce e preparare al Signore unpopolo ben disposto”.

Giovanni Battista ha inaugurato la nuovaprofezia, quella del tempo della Chiesa, chenon consiste nell’annunciare una salvezza

NNAATTIIVVIITTÀÀ DDII SSAANN GGIIOOVVAANNNNII BBAATTTTIISSTTAA2244 ggiiuuggnnoo 22000088MMeessssaa ddeell ggiioorrnnooIo ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda

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futura e lontana, ma nel rivelare la presenzanascosta di Cristo nel mondo. Nello strappa-re il velo dagli occhi della gente, scuoternel’indifferenza, ripetendo con Isaia: “C’e unacosa nuova: proprio ora germoglia: non ve neaccorgete?” (cf. Is 43,19). La preghiera dopo

la comunione esprime questo stesso concettomettendolo in rapporto con la partecipazioneall’eucaristia; si chiede infatti che la Chiesa“riconosca l’autore della sua rinascita nelCristo, che la parola profetica del precursoreannunziò presente agli uomini”.

Prima lettura: At 3,1-10Salmo responsoriale: dal Sal 18Seconda lettura: Gal 1,11-20Vangelo: Gv 21,15-19

Pietro e Paolo, due colonne della Chiesa,che la liturgia e l’iconografia antica non han-no separato mai. Come dice il prefazio, “condiversi doni hanno edificato l’unica Chiesa e,associati nella venerazione del popolo cristia-no, condividono la stessa corona di gloria”.

Nelle tre letture della Messa vespertinadella vigilia Pietro o è protagonista o vienenominato. Egli diventa quindi la figura cen-trale dell’intero formulario. Il brano degliAtti, proposto come prima lettura, parla del-la guarigione prodigiosa di un paralitico allaporta del tempio di Gerusalemme operata daPietro “nel nome di Gesù Cristo, il Nazare-no”. La salvezza di Dio già presente nei ge-sti guaritori di Gesù ora continua a rivelarsia favore degli uomini tramite Pietro e gliapostoli. La guarigione dello storpio è un se-gno della nuova speranza di salvezza che oraha un nome: Gesù. La seconda lettura è unbrano della lettera ai Galati, dove Paolo di-chiara di aver ricevuto da Gesù stesso lapropria missione apostolica, quando era per-

secutore dei cristiani. Tuttavia, preoccupatodi entrare in comunione con l’istituzione ec-clesiale, sale a Gerusalemme per incontraree conoscere Pietro, presso cui rimane quin-dici giorni. La lettura evangelica, tratta dal-l’ultimo capitolo del vangelo di Giovanni, ri-porta la triplice confessione dell’amore diPietro per Cristo. In seguito ci soffermiamosu questo episodio.

Pietro è accanto a Gesù, insieme agli altriche si erano uniti a lui nella pesca miracolosanel mare di Tiberiade. Ed ecco che Gesù si ri-volge direttamente solo a Pietro. Nell’anti-chità quando si affidava a uno un incarico,una missione, ci si limitava a ripetere per trevolte, davanti a testimoni, la formula di affida-mento. È ciò che avviene ora: “Simone, figliodi Giovanni, mi ami più di costoro?, esordisceGesù. La risposta di Pietro è sfumata, umile.Pietro non usa il verbo “amare”. Dopo averlorinnegato, come può affermare ora un amoreincondizionato al suo Maestro? E neppure osadire che lo ama più degli altri. Si limita a usa-re il verbo dell’amicizia: “tu lo sai che ti vo-glio bene”. E Gesù gli conferisce la missione:“Pasci i miei agnelli”. Di nuovo per la secon-da volta Gesù gli chiede: “Simone, figlio diGiovanni, mi ami?” Il confronto con gli altri

SSAANNTTII PPIIEETTRROO EE PPAAOOLLOO AAPPOOSSTTOOLLII2288 ggiiuuggnnoo 22000088MMeessssaa vveessppeerrttiinnaa ddeellllaa vviiggiilliiaaPer tutta la terra si diffonde il loro annuncio

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non c’è più. Ora Gesù gli chiede solo una to-tale e incondizionata adesione a sé. Pietro,non fidandosi delle sue forze, ma affidandosialla conoscenza che Gesù ha di lui, risponde:“Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”.E Gesù a lui: “Pascola le mie pecore”. Il ver-bo è cambiato. Gesù non solo gli affida ilgregge, agnelli e pecore, ma gli affida il gover-no sul gregge. Tale è nella Bibbia il senso pie-no del verbo adoperato. Per terza volta, Gesùchiede a Pietro: “Simone, figlio di Giovanni,mi vuoi bene?” Ora è Gesù che si colloca sulpiano di Pietro e usa il verbo dell’amicizia.Sulle prime Pietro si rattrista – è difficile di-menticare il momento del tradimento – ma poi

si dona totalmente a Gesù: “Signore, tu cono-sci tutto; tu sai che ti voglio bene”. Riassu-mendo le due prime formule, ora Gesù usa ilverbo della prima e l’oggetto della seconda, edice: “Pasci le mie pecore…”. Pietro si do-nerà al gregge come ha fatto il suo Maestro eSignore. Infatti Gesù gli annuncia che saràperfettamente associato al suo martirio.

Nei santi apostoli Pietro e Paolo Dio hadato alla Chiesa le primizie della fede cristia-na (cf. colletta). Ciascuno dei due ha avuto unruolo nello sviluppo di questa fede. Pietro laguida svolgendo il suo compito di direzione edi conferma dei fratelli.

Prima lettura: At 12,1-11Salmo responsoriale: dal Sal 34Seconda lettura: 2Tm 4,6-8.17-18Vangelo: Mt 16,13-19

I santi Pietro e Paolo non sono soltantodegli Apostoli e perciò, come tali, da venera-re quale “fondamento” (cf. Ef 2,20) della no-stra fede al pari di tutti gli altri; ma sono i“principi degli Apostoli” per le specifichefunzioni che Cristo ha loro affidato nella fon-dazione e consolidamento della Chiesa: Pie-tro come “roccia” fondamentale della Chie-sa, Paolo come “maestro delle genti”. Nelprefazio della Messa sono enumerati con pa-rallelismo integrativo i tratti dei due apostoliPietro e Paolo, che con diversi doni hannoedificato l’unica Chiesa: “Pietro, che per pri-mo confessò la fede nel Cristo, Paolo, che il-luminò le profondità del mistero; il pescatoredi Galilea, che costituì la prima comunità

con i giusti di Israele, il maestro e dottore,che annunziò la salvezza a tutte le genti”.

Nel brano di Paolo riportato nella secondalettura, l’Apostolo, abbandonato da tutti e altramonto della vita, si rivolge al suo discepoloTimoteo e con parole toccanti fa un bilanciodella sua esistenza. Paolo disegna l’itinerario

SSAANNTTII PPIIEETTRROO EE PPAAOOLLOO AAPPOOSSTTOOLLII2299 ggiiuuggnnoo 22000088MMeessssaa ddeell ggiioorrnnooIl Signore mi ha liberato da ogni paura

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della sua esperienza di vita cristiana: “Hocombattuto la buona battaglia, ho terminatola corsa, ho conservato la fede”. E guardandoal futuro, si affida fiducioso al “Signore, ilgiudice giusto”, a quel Signore che gli è statosempre vicino per-ché potesse portarea compimento lasua missione evan-gelizzatrice e dacui ora attende “lacorona di giusti-zia”. Ma le parolepiù importanti diquesto brano sitrovano all’inizioquando l’Apostoloafferma: “io sto giàper essere versatoin offerta ed ègiunto il momentoche io lasci questavita”. Queste paro-le alludono chiara-mente alla morteviolenta, che tranon molto gli verràinflitta per ordine di Nerone. Paolo ne parlaadoperando un’immagine cultuale che richia-ma il rito della “libagione”, quale si usavanei sacrifici ebraici e pagani sui quali sispargevano vino, acqua e olio, quasi per ren-derli più graditi alla divinità. Paolo vedequindi la sua vita coronata dal martirio comeuna libagione sacrificale offerta al Signore.

Il brano evangelico di Matteo propone laconfessione di Pietro. Le parole dell’Aposto-lo, in risposta alla domanda di Gesù: “Voichi dite che io sia?”, sono solenni: “Tu sei ilCristo, il Figlio del Dio vivente”. Questaconfessione di fede in Cristo è preceduta da

una serie di risposte che alcuni, tra la gente,danno all’identità di Gesù, che sarebbe Gio-vanni il Battista, Elia, Geremia o qualcunodei profeti. Dopo la confessione di fede diPietro troviamo, invece, un discorso di Gesù

di carattere eccle-siologico, costruitosu tre simboliprincipali. Il primoè rappresentatodalla pietra: Simo-ne diviene la roc-cia sulla quale Ge-sù getta le basi diquell’edificio cheè la Chiesa. Il se-condo simbolo so-no le chiavi, segnodi responsabilità edi dominio su unacasa: Pietro diven-ta il vicario di Cri-sto, il suo fiducia-rio. Il terzo simbo-lo è presente nelbinomio legare esciogliere, espres-

sione che riguarda soprattutto ai permessi ealle proibizioni nell’ambito dell’insegnamen-to e della prassi morale.

Pietro e Paolo, giustamente considerati le“colonne” della Chiesa, testimoniano entram-bi la ricchezza della grazia di Dio, che si ser-ve di persone diverse per origine, per forma-zione, per cultura, per stile, e le invoglia allarealizzazione dello stesso progetto di salvez-za. La diversità di temperamenti e di culture,di tradizioni e di stili, rende viva e vivace lacomunità cristiana. È una grazia, non un pe-ricolo. A patto che ci sia unità nell’amore perCristo e nell’impegno per il vangelo.

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sia viene qui annunciato non come un potenteguerriero, ma come un messaggero umile egiusto che spezzerà i simboli di guerra e l’or-goglio dell’umana superbia con la forza dirom-pente dell’amore che si manifesta nella debo-lezza della croce. Per questo il suo dominiopotrà far presa su tutto il mondo e stabilire trai popoli una “pace” effettiva. Nel brano evan-gelico, Gesù si presenta come colui che realiz-za in pienezza le promesse profetiche. Egli sipropone alle folle come alternativa di libera-zione rispetto al potere opprimente dei loro ca-pi. Al posto dell’insopportabile peso della leg-ge e dell’oppressivo potere dei suoi interpreti,egli propone il proprio “giogo”, facile da porta-re. Il “giogo” significa un impegno che condi-ziona nel pensare e nell’agire. Gesù promettedi dare ristoro a tutti coloro che sono affaticatie oppressi, e li invita a imparare da lui che è“mite e umile di cuore”. Gesù si presentaquindi come colui che cammina davanti a noiinvitandoci a mettere i nostri piedi sulle sueorme. Dio si manifesta nel suo Figlio incarnatocome un Dio umile che si rivela agli umili ab-bassandosi sino alle dimensioni infime dell’u-manità per dare all’uomo stima di se stesso,nonché impulso e speranza di liberazione diquanto l’umilia, lo disonora e lo opprime.

La seconda lettura spiega in cosa consistaseguire Gesù e portare il suo giogo. Paolo lo farichiamando le due possibilità di vita che siprospettano alla libertà dell’uomo: “vivere se-condo la carne” o “vivere secondo lo Spirito”.Carne e Spirito sono due principi contrappostidi vita. La carne è l’uomo nella sua debolez-za, caducità e fragilità. L’uomo non può pre-

DDOOMMEENNIICCAA XXIIVV DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( AA ))66 lluugglliioo 22000088Benedirò il tuo nome per sempre, Signore

Prima lettura: Zc 9,9-10Salmo responsoriale: dal Sal 144Seconda lettura: Rm 8,9.11-13Vangelo: Mt 11,25-30

Il Sal 144 è una celebrazione solenne del-la regalità di Dio. Il salmista celebra l’onnipo-tenza del Signore svelata nelle grandi gestadella storia della salvezza. In una esplosionedi ammirazione riconoscente, l’orante scioglieun inno di lode al Signore che ha un respirouniversale perché “il dominio (del Signore) siestende a ogni generazione”. La potenza diDio si manifesta nella bontà paziente, la suaforza nella tenerezza compassionevole, la suagrandezza nel chinarsi sul bisognoso: è la po-tenza della debolezza (cf. 1Cor 1,25). LaChiesa usa il salmo per celebrare la gloria delCristo e la sua bontà. La grandezza di Dio sifa umile in Cristo; questo mistero suscita nelcuore del credente l’espressione più profondadi meraviglia e di commossa gratitudine. È aquesto Cristo che noi rivolgiamo la nostra lodequando diciamo: “Benedirò il tuo nome persempre, Signore”.

Il breve brano dell’Antico Testamento, pro-posto come prima lettura, annuncia la venutadel Re di Sion: “Ecco, a te viene il tuo re”. Inqueste parole emerge la promessa del nuovoDavide, una promessa che, a partire dal profe-ta Ezechiele, ha costituito una componentesempre più rilevante dell’attesa d’Israele. Leparole profetiche evocano l’immagine mite eumile di Gesù che cavalcando un asino fa ilsuo trionfale ingresso in Gerusalemme. Comein altri scritti della tradizione profetica, il Mes-

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tendere di costruire la propria vita sulla suafragilità; ha bisogno dello Spirito di Dio. L’uo-mo che vive secondo la carne cerca se stessoe rifiuta il giogo di Cristo. Invece, l’uomo chevive secondo lo Spirito si lascia condurre dal-lo Spirito divino che lo libera dall’orgoglio ac-cecante e dall’egoismo paralizzante. Assogget-tarsi al giogo di Cristo significa vivere secon-do lo Spirito. Infatti, la vita nello Spirito si

Prima lettura: Is 55,10-11Salmo responsoriale: dal Sal 64Seconda lettura: Rm 8,18-23Vangelo: Mt 13,1-23

Il Sal 64 celebra la potenza di Dio che vi-sita la terra e la disseta, infonde vita e donafecondità a tutto il creato. La vita e la benedi-zione diffuse da Dio nel mondo naturale sonosegno della grazia e delle benedizioni sopran-naturali con le quali Dio inonda la sua Chiesaper rigenerare il deserto spirituale di questomondo. In particolare, il Signore nella cele-brazione della messa ci sazia con il “frumen-to” dell’Eucaristia e ci nutre con “i pascoli”della sua Parola.

Il discorso centrale delle letture biblicheodierne verte sulla parola di Dio. Il breve bra-no della prima lettura, tratta dal profeta Isaia,esalta la potenza della parola del Signore. Es-sa opera ciò che il Signore desidera e compieciò per cui egli l’ha mandata. Le parole uma-ne sono spesso vane e inconsistenti, non im-pegnano sempre chi le pronuncia, non resisto-no alla prova del tempo. La parola di Dio, in-

configura come una crescente esperienza del-la nostra progressiva trasfigurazione nel Si-gnore, della nostra appartenenza a Cristo, deldono della vita divina che, nel Risorto, ci èstata comunicata. Questa esperienza raggiun-gerà il suo compimento solo quando la poten-za dello Spirito Santo trasfigurerà il nostrocorpo mortale per renderlo conforme al corpoglorioso del Signore.

vece, non risuona mai inutilmente sulla terra,non cade a vuoto, ma realizza qualcosa in chisi dispone a riceverla. Venendo da Dio, portala vitalità infinita di Dio ed è capace di fecon-dare il mondo. Il profeta compara l’azione del-la Parola con quella della pioggia e della neveche irrigano, fecondano e fanno germogliare laterra. Non si tratta però di una parola magica.La parola di Dio non funziona in modo auto-matico. Lo insegna Gesù nella parabola delseminatore che uscì a seminare, parabola conla quale iniziamo la lettura del discorso sulleparabole del Regno che ci accompagnerà an-che per le due domeniche seguenti. Gesù af-ferma che le sorti della Parola sono anche le-gate alla responsabilità e collaborazione del-l’uomo: occorrono certe condizioni di disponi-bilità, di attenzione; occorre un terreno adatto,un cuore capace di ascolto perché la parola diDio dia frutto. Se il nostro cuore è come unterreno arido, la nostra vita sarà sterile e inca-pace di essere rinnovata col messaggio dellaparola di Dio.

La seconda lettura ci ricorda che la paroladi Dio seminata abbondantemente nel decorso

DDOOMMEENNIICCAA XXVV DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( AA ))1133 lluugglliioo 22000088 Tu visiti la terra, Signore, e benedici i suoi germogli

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 3-2008

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della storia, ne subisce tutti i condizionamen-ti. Il brano paolino può aiutarci a comprende-re l’attuale travaglio della crescita del regnodi Dio, e quindi anche della Parola che diquesto regno è annuncio. San Paolo ci invitaalla speranza: la potenza della parola di Dioapparirà in tutto il suo fulgore quando in ognidiscepolo si rivelerà la “gloria futura”, quan-do anche il corpo mortale dell’uomo sarà tra-sfigurato e reso conforme al corpo glorioso delSignore. L’eventuale incredulità degli ascolta-tori non farà fallire il progetto di Dio. La sal-vezza in Cristo è una realtà presente (cf. 1Cor15,1-2), ma la sua realizzazione piena attra-verso la risurrezione dei corpi deve ancora ve-nire (cf. 1Cor 15,13-34). Con il suo corpol’uomo è in rapporto con tutto il creato. En-trambi, l’uomo e il cosmo, gemono nell’attesa

Prima lettura: Sap 12,13.16-19Salmo responsoriale: dal Sal 85Seconda lettura: Rm 8,26-27Vangelo: Mt 13,24-43

La preghiera è un atteggiamento del cuoreche si apre al mistero di Dio. Pregare significaquindi cercare il volto di Dio. Il Sal 85 è unapreghiera piana e scorrevole, calda di fede edi senso religioso, con cui il pio salmista ciconduce alla scoperta di un Dio grande e po-tente che compie meraviglie, ma che soprat-tutto è lento all’ira, pieno di amore e prontonell’offrire il suo perdono a quanti si rivolgonoa lui con cuore pentito. In questa preghiera sisente già il dialogo amoroso e confidente delVangelo: chiedete e otterrete. La tradizione

di una manifestazione piena della salvezza.Avendo partecipato al travagliato destino del-l’uomo, anche la creazione parteciperà alla li-berazione dalla sua condizione mortale.

La parola di Dio, se accolta e custodita nelcuore, è luce che ci guida a capire e interpreta-re il significato della nostra vita nella scena diquesto mondo. Questa parola, che ascoltiamocosì sovente nel decorso della nostre celebra-zioni liturgiche, in particolare ogni domenicanella prima parte della celebrazione della mes-sa, è come una semente che Dio stesso spargenel cuore d’ognuno di noi e che porta frutto aseconda dell’ascolto e dell’accoglienza che aessa noi offriamo. Come dice il canto al vange-lo, nella celebrazione eucaristica è Cristo stes-so che semina il buon seme della sua Parola.

cristiana ha interpretato questo salmo comepreghiera rivolta da Cristo al Padre, sia persé, sia per le membra di quel corpo mistico, dicui egli è il capo.

La prima lettura biblica, tratta dal librodella Sapienza, parla di un Dio che pur essen-do “padrone della forza”, governa “con moltaindulgenza” e concede dopo i peccati la pos-sibilità di pentirsi. Sulla stessa linea, la para-bola del grano e della zizzania (gramigna), ri-portata dalla lettura evangelica, ci mostra ilvolto di un Dio paziente, capace di aspettare,pronto a darci la possibilità di scegliere, dicrescere, di maturare, e disposto sempre aperdonare. Dio rispetta la nostra libertà e inostri ritmi. Egli non vuole dei burattini, doci-

DDOOMMEENNIICCAA XXVVII DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( AA ))2200 lluugglliioo 22000088 Tu sei buono, Signore, e ci perdoni

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li strumenti senza cuore. Dio vuole l’amoredella sua creatura e perciò rispetta la sua li-bertà. Le altre due brevi parobole del granellodi senape e del lievito, riportate dalla paginaevangelica, adombrano la potenza di espan-sione del regno di Dio.

Siamo invitati a prendere coscienza conrealismo della presenza del male nel mondo ein ognuno di noi: “Tutti i membri della Chie-sa, compresi i suoi ministri, devono ricono-scersi peccatori. In tutti, sino alla fine deitempi, la zizzania del peccato si trova ancoramescolata al buon grano del Vangelo” (Cate-chismo della Chiesa Cattolica, n. 827). Dinan-zi a questa realtà bisogna evitare due estremi:l’esserne succubi o il volerlo stroncare a ognicosto e in tutte le sue manifestazioni. Preten-dere di cancellare radicalmente tutto il maleche c’è nel mondo è lo stesso che sopprimerela libertà dell’uomo con il rischio di ucciderel’uomo stesso. Certamente la libertà non equi-vale al diritto di fare il male, ma apre all’uomola possibilità di orizzonti di bene. In ogni mo-do, Dio non vuole limitare la nostra libertà an-che se alla fine del nostro pellegrinaggio chie-derà conto dell’uso che ne avremo fatto. Gesùcon le sue parabole ci fa capire che il regno di

Dio ha un inizio (il momento in cui il semeviene seminato nel campo del cuore dell’uo-mo), una fine (il tempo della mietitura), sepa-rati da un tempo di crescita. Non dobbiamoquindi essere precipitosi, fare delle discrimi-nazioni premature.

La tolleranza del padrone della messe sti-mola anche noi a un comportamento di com-prensione. La vera forza dell’uomo non si ma-nifesta nella vendetta, ma nel perdono. I siste-mi del puritanesimo, dell’integralismo, del ri-gorismo e del massimalismo sono estranei allospirito del Vangelo di Gesù. Se Dio è buono eci perdona (cf. salmo responsoriale), anchenoi dobbiamo avere il coraggio del perdono.Come ci ricorda san Paolo nella seconda let-tura, nei nostri rapporti con Dio e con gli altridobbiamo affidarci allo Spirito che “viene inaiuto alla nostra debolezza”. Lo Spirito Santoopera in modo continuo nel nostro cuore eorienta il nostro spirito perché sappiamo cre-scere nella vitalità che viene dall’alto. Fontedi ogni bontà, Dio non è direttamente né indi-rettamente causa del male. Rispettando la li-bertà della sua creatura, Dio lo permette e,misteriosamente, egli sa trarre il bene anchedal male.

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 3-2008

Prima lettura: 1Re 3,5.7-12Salmo responsoriale: dal Sal 118Seconda lettura: Rm 8,28-30Vangelo: Mt 13,42-52

Il Sal 118, il più lungo del Salterio, con-serva tracce indubbie di un amore profondo,

quasi saporoso della legge, un vero e proprioculto. Il salmista proclama beato colui che èfedele agli insegnamenti del Signore “e locerca con tutto il cuore” (v.2). Il terminecuore appare più volte nel testo salmico.Questo cuore è un cuore pronto a custodire iprecetti del Signore e appunto per questo è

DDOOMMEENNIICCAA XXVVIIII DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO (( AA ))2277 lluugglliioo 22000088 Quanto amo la tua legge, Signore!

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vita. Come l’uomo che ha trovato un tesoro na-scosto o il mercante che ha trovato una perlapreziosa, il cristiano è collocato dalla sua fededi fronte all’unico Salvatore di tutti, l’unicomediatore tra Dio e gli uomini, l’unico Nomenel quale è dato agli uomini di essere salvi.

La parola di Dio in questa domenica ciinvita a scegliere la strada che conduce al

tesoro nascosto, a quellaperla il cui grande valo-re non verrà mai menoper l’eternità. Come il reSalomone, anche noisiamo incoraggiati achiedere al Signore checi dia un “cuore saggioe intelligente” per saperdiscernere e scegliere iveri valori della vita,quelli che non invec-chiano mai. Si tratta didire sì al Signore che,come afferma la letteraai Romani, vuol salvaregli uomini predestinan-

doli, chiamandoli, giustificandoli e glorifi-candoli. Nella ricerca di Dio e del suo regnotanti sono gli smarrimenti e tante le nostredebolezze. Ma san Paolo ci ricorda che perchi ama Dio e lo cerca con cuore sincero,tutto finisce per concorrere al bene di quellavita piena alla quale siamo chiamati in Cri-sto. Non si tratta di una affermazione ottimi-stica di chi vuol vedere tutte le cose sottoun’angolazione serena; è l’affermazione di fe-de di chi sa che la storia non sfugge al con-trollo di Dio e, d’altra parte, sa che Dio ci haamato fino a donare per noi il suo Figlio.

L’eucaristia è dono di sapienza, certo su-periore a quello chiesto da Salomone. È “me-moriale perpetuo” della passione di Cristo,“dono del suo ineffabile amore… per la no-stra salvezza” (preghiera dopo la comunione).

un cuore sapiente: “insegnami il senno e lasaggezza, perché ho fiducia nei tuoi coman-damenti” (v. 66).

Non tutte le cose hanno la stessa impor-tanza. Nella nostra vita quindi ci sono dellepriorità da difendere. Lo ha capito Salomone,di cui parla la prima lettura. Egli, diventato rein giovane età, si sente inadeguato al grandecompito di governare ilpopolo di Dio. Nella suapreghiera al Signore, Sa-lomone non chiede nélunga vita, né ricchezze,né il trionfo personale,ma ciò che egli crede siapiù importante: “un cuo-re docile perché sappiarendere giustizia” al po-polo e “sappia distingue-re il bene dal male”. Sa-lomone chiede insommala “saggezza nel gover-nare”. Il giovane re hafatto una scelta giusta,ha saputo discernere escegliere ciò che è veramente prioritario.

Tutta la nostra vita è una continua ricercadi qualcosa di appagante e di stabile che nonriusciamo però mai a trovare pienamente edefinitivamente. Tutto è precario e tutto in-vecchia assai rapidamente. Cosa cerca vera-mente il nostro cuore? Nella prima parte delbrano evangelico d’oggi, Gesù parla di unbracciante che sta lavorando un campo e vitrova un tesoro; e di un mercante, appassiona-to di perle, che trova la pietra preziosa cheaveva sognato per tutta la vita. Due esperien-ze diverse; la prima casuale, la seconda pre-parata con una lunga ricerca. Ma l’effetto è lostesso: “va… vende tutti i suoi averi e compraquel campo…, compra la perla”. Sono imma-gini eloquenti che intendono dare una rispo-sta alla ricerca di senso che pervade la nostra

La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 3-2008

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Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 3-2008

Preg

hiam

o

Canto: Canta, o lingua, il glorioso mistero (o altro canto)

Canta, o lingua, il glorioso misterodel glorioso corpo e del prezioso sangueche il Re dei popoli frutto generosoeffuse per salvare il mondo.

A noi dato da Vergine pura,nato per noi dimorò nel mondo,dopo aver sparso del suo Verbo il semecompì il mirabile disegno.

Adoriamo il mistero del Corpo e Sangue del Signore.

Sedendo a mensa nell’ultima cenacon i suoi fratelli celebrò la Pasquae donò ai Dodici con le proprie manise stesso in cibo per amore.

Il Verbo s’è fatto carne per noi,con la sua Parola cambia il pane in carne,e diventa il vino sangue del Signore,la fede basta a un cuore puro.

Adoriamo il mistero del Corpo e Sangue del Signore.

Un così grande mistero adoriamoe l’antica legge ceda al rito nuovo.All’insufficienza dei nostri sensioffra soccorso a noi la fede.

Al Padre e al Figlio sia lode e onore,giubilo, potenza e benedizione,e la stessa gloria sia al Santo Spirito,che da entrambi procede.

Adoriamo il mistero del Corpo e Sangue del Signore.

Dal libro della Sapienza (15, 1-3)

Tu nostro Dio, sei buono, fedele, sei paziente

Adorazione eucaristica

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Animazione Liturgica

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Preg

hiam

o

e tutto governi secondo misericordia.Conoscerti, infatti, è giustizia perfetta,conoscere la tua potenza è radice di immortalità.

Cantico (Isaia 42, 10 ss.):

Cantate al Signore un canto nuovo, * Lode a Lui fino all’estremità della terra;lo celebri il mare e quanto contiene, *le isole con i loro abitanti.Esulti con le sue città il deserto, *esultino i villaggi di Kedar.Acclamino gli abitanti di Sela, *dalla cima dei monti alzino grida.Diano gloria al Signore *e il suo nome divulghino in isole lontane.

Invocazioni:

Esaltiamo Cristo Signore che ha fatto della Croce il segno della redenzione universale e, suppli-candolo con fede, diciamo:

Salvaci, Signore, per la tua Croce.

Figlio di Dio che nel deserto guarivi chi guardava la figura del serpente elevata a segno di sal-vezza, per la tua croce curaci dai morsi velenosi dell’orgoglio e della sensualità.

Figlio dell’uomo, che fosti elevato in Croce a compimento dell’antico simbolo, per la tua pas-sione sollevaci alla tua gloria.

Signore, costituito dal Padre giudice universale, ricordati che non sei venuto e non sei mortoper la condanna ma per la salvezza del mondo.

Tu che hai detto: quando sarò elevato da terra trarrò tutti a me, fa’ che dove sei tu siamo an-che noi per contemplare la tua gloria.

Preghiamo: Dio di misericordia e di grazia, volgi a noi il tuo sguardo e per i meriti di Gesù tuoFiglio crocifisso per noi, vieni in nostro aiuto e salvaci. Per Cristo nostro Signore.

Dal libro del Profeta Baruc (4, 21-22)

Figli, guardate a DioEd egli vi libererà dall’oppressione e dal potere dei vostri nemici.Io, infatti, spero dall’Eterno la vostra salvezza.Una grande gioia mi viene dal Santo,per la misericordia che presto vi giungerà dall’Eterno vostro Salvatore.

Culmine e Fonte 3-2008

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Animazione Liturgica

Preg

hiam

oSalmo 137:

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore: *hai ascoltato le parole della mia bocca.A te voglio cantare davanti agli angeli, *mi prostro verso il tuo tempio santo.

Rendo grazie al tuo nome * per la tua fedeltà e la tua misericordia:hai reso la tua promessa *più grande di ogni fama.

Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto *,hai accresciuto in me la forza.Ti loderanno, Signore, tutti i re della terra *quando udranno le parole della mia bocca.

Canteranno le vie del Signore *,perché grande è la gloria del Signore;eccelso è il Signore e guarda verso l’umile, *ma al superbo volge lo sguardo da lontano.

Se cammino in mezzo alla sventura *tu mi dai vita; contro l’ira dei miei nemici stendi la mano *e la tua destra mi salva.

Il Signore completerà per me l’opera sua + Signore, la tua bontà dura per sempre: *non abbandonare l’opera delle tue mani.

Preghiamo: Si innalzi a te, Padre, il cantico solenne del ringraziamento: la tua fedeltà e la tuamisericordia hanno superato ogni promessa; completa in noi l’opera tua.Per Cristo nostro Signore. Amen.

Canto:

Rit. Grazie, Signore, rendiamo grazie a te che regni nei secoli eterni.

Perché ci hai dato la fede.Perché ci hai dato il tuo amore.Perché sei sempre con noi.A te cantiamo con gioia.

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Dalla prima lettera di san Paolo ai Tessalonicesi (3, 12, 13)

Il Signore vi faccia crescere e abbondare nell’amore vicendevole e verso tutti, come il nostroamore per voi. Per rendere salvi e irreprensibili i vostri cuori nella santità davanti a Dio, Padrenostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù Cristo, davanti a tutti i suoi Santi.

Invocazioni :

Adoriamo Dio Padre, che nel Cristo suo Figlio ha dato al mondo la speranza della vita. Animatida questa certezza diciamo:

Signore, ascolta la nostra preghiera.

Dio, Padre di tutti, che ci hai chiamati a questa ora di adorazione, fa’ che viviamo nell’amoredel Cristo a lode e gloria del tuo nome.

Rafforza in noi la fede, la speranza e la carità, che lo Spirito Santo ha seminato nei nostri cuori.

Il nostro sguardo sia sempre rivolto a te, perché rispondiamo sempre alla tua chiamata.

Salvaci dalle insidie e dalle seduzioni del male, difendici da ogni pericolo nel cammino verso lapatria del cielo.

Canto: Veniamo da te (o altro canto)

Veniamo da te, o Signore,con il cuore pieno di gioia ed insieme vogliamo ringraziarti. (2 v.)

Per i giorni che ci doni, ti ringraziamo.Per i frutti della terra, ti ringraziamo.Per i frutti della terra, ti ringraziamo.Per il lavoro e la gioia della vita, ti ringraziamo.Perché ci hai dato la tua vita, ti ringraziamo.E per la Chiesa, che tutti ci unisce, ti ringraziamo.

Dal libro del Profeta Isaia (55, 1, 3)

O voi tutti assetati, venite all’acqua,chi non ha denaro venga ugualmente;comprate e mangiate senza denaro, e senza spesa vino e latte.Perché spendete denaro per ciò che non sazia?Su, ascoltatemi e mangerete cose buonee gusterete cibi succulenti.Porgete orecchio e venite a me, ascoltate e voi vivrete.Io stabilirò per voi un’alleanza eterna.

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Cantico (Isaia 12, 1,6) esultanza del popolo redento “Chi ha sete venga a me e beva”(Gv. 7, 37)

Ti ringrazio o Signore tu eri con me adirato, *ma la tua collera si è calmata e tu mi hai consolato.Ecco Dio è la mia salvezza; *io confiderò, non avrò timore, perché mia forza e mio canto è il Signore, *egli è la mia salvezza.Attingerete acqua con gioia * alle sorgenti della salvezza.In quel giorno direte: * “Lodate il Signore, invocate il suo nome;manifestate tra i popoli le sue meraviglie, *proclamate che il suo nome è sublime.Attingerete acqua con gioia * alle sorgenti della salvezza.Cantate inni al Signore, perché ha compiuto opere grandi; *ciò sia noto in tutta la terra.Gridate giulivi ed esultate, abitanti di Sion, *perché grande in mezzo a voi è il Santo di Israele”.Attingerete acqua con gioia * alle sorgenti della salvezza.

Preghiamo: Accresci in noi, o Padre, il dono della fede, perché sia perfetta la nostra lode eporti alla tua Chiesa frutti di vita eterna. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Canto:

Signore, di spighe indori i nostri terreni ubertosi,mentre le vigne decori di grappoli gustosi.

Rit. Salga da questo altarel’offerta a te gradita,dona il Pane di vita e il Sangue salutare.

Noi siamo il divin frumento e i tralci dell’unica vite:dal tuo celeste alimento son l’anime nutrite.

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1851Camille Saint.Saëns (1835-1921) è

nominato organista a Saint-Merry, poinel 1857 alla chiesa della Madeleine, aParigi. Allievo di Benoist, è uno deipiù grandi organisti francesi della se-conda metà dell’Ottocento. Autoredell’opera Samson et Dalila, densa disincera ispirazione sacra, Saint-Saënsha scritto anche un imponente orato-rio Le déluge, un’ importante Messada Requiem e numerose pagine perorgano.

1858prima assoluta a Parigi dell’opera

Faust di Charles Gounod (1818-1893). E’ il lavoro più celebre delcompositore parigino: personalità es-senziale e contraddittoria nella storiadella musica francese. Prix de Romenel 1839, al ritorno in Francia è col-pito da forti crisi mistiche, al punto dipensare ad una vita religiosa. L’oppo-sizione della famiglia e, nel 1851,l’incontro con la cantante PaulineViardot (che sarà l’interprete dellasua prima opera, Sapho) lo fanno re-cedere. L’ importante produzioneoperistica lascia spazio nel periododella maturità a lavori d’ambito sa-cro. Si ricordano in particolare laMesse solennelle de Sainte Cécile egli oratori Rédemption e Mors et vita,dedicato a papa Leone XIII.

1860Si celebra il terzo concilio provincia-

le di Colonia, che dedica ampio spazioal tema della musica sacra: non pochispunti passeranno nel Regolamentodel 1884 e nel Motu Proprio di Pio X.Si occuperanno dell’argomento ancheil concilio provinciale di Praga e alcunivescovi francesi.

Gustav Mahler (+1911) nasce a Kali-scht, in Boemia, da una famiglia israeli-ta. Compositore prevalentemente sinfo-nico, prediletto di Anton Bruckner, do-po la conversione al cattolicesimo nonmancherà di porre nelle sue grandiosesinfonie (soprattutto la Seconda Risur-rezione e la Terza) tematiche spiritualiche culmineranno nel possente affrescodell’Ottava sinfonia, detta Dei mille,aperta dall’inno Veni Creator Spiritus.

1861Nasce a Salò Marco Enrico Bossi (+

1925). Già nel 1881 è organista delDuomo di Como. Sarà direttore dei li-cei musicali di Venezia, Bologna e Ro-ma. Concertista internazionale, pro-muove il rinnovamento della tecnicaorganistica e dell’arte organaria. Comecompositore sarà, insieme a Martucci eSgambati, uno degli alfieri della rina-scita strumentale italiana.

1863Alexandre Guilmant (1837-1911)

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L’OttocentoPARTE SECONDAdon Maurizio Modugno

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inaugura a Saint-Sulpice (Parigi) l’orga-no Cavaillé-Coll. Guilmant è una dellegrandi personalità dell’organo france-se tra la fine del XIX e l’inizio del XXsecolo. Concertista acclamatissimo inEuropa e negli Stati Uniti, svolge ancheuna fondamentale opera didattica,formando una pleiade d’allievi ancheillustri. Le sue composizioni risentonodell’influenza bachiana, ma non man-cano d’influenze romantiche.

1864Nasce a Brescia Giovanni Tebaldini

(+1952), compositore e musicologo.Maestro di cappella a Loreto e docen-te al Conservatorio di Napoli, è autoredi studi fondamentali sulla musica sa-cra ed è uno dei massimi promotori inItalia del movimento ceciliano.

Lo stesso anno vede la luce a Mo-sca Aleksandr Gretchaninov (+1956).Allievo dei conservatori di Mosca e diS. Pietroburgo, scrive musica per il tea-tro, ma si dedica con continuità eprofondità alla musica sacra, firmandoquattro cicli della Liturgia di S. Giovan-ni Crisostomo e la Liturgia domestica.Gretchaninov non si accontenta di at-tingere alla tradizione ortodossa, madichiara apertamente d’amare lo spiri-to della musica cattolica e di persegui-re – anche nell’uso dell’organo – unospirito d’ecumenismo musicale.

1868Ein deutsches Requiem di Johannes

Brahms. È la più importante composi-zione sacra del compositore ambur-

ghese (1833), che fin da gio-vane si era dedicato alla stesu-ra di pagine corali sacre e profane.

Brahms stesso ha oprato la sceltadei testi, tratti dalle Sacre Scritture,senza alcun riferimento al Proprio dellaMessa funebre. La genesi dell’opera sistende dal 1854 al 1868. Pervaso daun senso di viva speranza, di fiducianella misericordia divina, d’attesa dellaresurrezione, Ein deutsches Requiem èuna delle partiture di più intensa e sin-golare religiosità della storia della mu-sica. Nella maturità Brahms tornerà al-la musica sacra con alcuni mottetti percoro e numerose pagine organistiche.

1869Pio IX inaugura il 1 febbraio la

Schola Cantorum di S. Salvatore inLauro, già aperta dal 1868. Dal 1907la Schola avrà posto fisso nella Cappel-la Giulia.

1870Con il Breve apostolico “Multum ad

movendos animos” Pio IX sanziona lostatuto del movimento ceciliano tede-sco. Nel 1874 i “Voti per la musica sa-cra” sono espressi dal primo Congressocattolico degli italiani, tenutosi a Vene-zia, nel corso del quale vengono ribadi-te le istanze di riforma della prassi mu-sicale sacra, “considerando con dolorela pessimità della musica generalmentein uso nelle chiese” ed auspicate l’edi-zione di un repertorio per organo e diun periodico di musica sacra.

Nasce a Bordeaux Charles Tourne-

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mire (+1939). Allievo di Francke di Widor, succederà al suo

primo maestro all’organo di Sainte-Clotilde e iniziando neppur trentenneuna importante carriera d’organista.Fondamentale nella letteratura organi-stica otto-novecentesca il corpus dellesue composizioni: vi emergono L’orguemystique, Les Offices, i Sei fioretti, lestupende Improvvisazioni.

1871Inizia in Germania la pubblicazione

dell’Editio Ratisbonensis, grandiosaraccolta del patrimonio liturgico anti-co. E’ uno degli esiti del movimentoceciliano, sorto attorno al 1830 anchein Italia e in Francia ad opera di studio-si e musicisti e inteso a restituire di-gnità e autonomia alla musica sacra,specialmente liturgica. In Italia ne sa-ranno i rappresentanti Baini, Tomadinie Casimiri; in Germania Witt e Haberl,mentre per la Francia non può tacersidell’opera restaurativa di Solesmes,con dom Pothier e dom Mocquerau. Ilmovimento produrrà un’autentica on-data di ricerche, di riproposizioni con-certistiche, di produzioni originali d’im-pronta arcaicizzante.

1873L’11 aprile, venerdì santo, viene

eseguito a Parigi l’oratorio Marie-Mag-deleine di Jules Massenet (1842-1912). Nato nei pressi di Saint-Etienne,Massenet studia a Parigi, vince nel1863 il Prix de Rome (e nella capitalepontificia è apprezzato da Liszt), affer-

mandosi proprio con l’oratorio ora ci-tato. Nella sua produzione, soprattuttooperistica, spiccano anche titoli sacriquali il mistero Eve, la leggenda sacraLa Vierge e il maestoso trittico La terrepromise.

1874Il 22 maggio nella chiesa di san

Marco a Milano Giuseppe Verdi dirigela propria Messa da Requiem, scrittaper la morte di Alessandro Manzoni.Non è il primo lavoro sacro di Verdi:aveva già scritto un Pater Noster eun’Ave Maria, oltre a partecipare allaMessa a Rossini, un’opera collettivascritta per la morte del Pesarese. Inmolti dei suoi melodrammi peraltro lapresenza del “sacro rappresentato”(da Nabucco a La forza del destino,da Stiffelio ad Otello) ha un rilievo as-soluto. La Messa da Requiem, senzadisdire il linguaggio verdiano del pe-riodo della maturità, è un monumen-to al Proprio della messa funebre,esaltato in un’accezione possente evisionaria che ha pochi termini di con-fronto. I sublimi Quattro pezzi sacritestimoniano l’estrema fase composi-tiva del Bussetano e la sua strenua at-tenzione alla grande tradizione italia-na (il Gregoriano e Palestrina in pri-mis), insieme ad una spiritualità d’al-tissimo afflato.

A Venezia si tiene il primo Congres-so Cattolico Italiano, nel corso delquale don Guerrino Amelli evidenzia leproblematiche attinenti la musica sacrae avanza alcune proposte di soluzione.

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1875A Parigi Aristide Cavaillé-Coll pub-

blica un suo Projet d’orgue monumen-tal pour la Basilique de Saint-Pierre àRome, che non troverà mai attuazione.

1878Domenico Mustafà viene nominato

direttore della Cappella Sistina. È ilprimo ad ammettervi le voci di bambi-ni, educati nella Schola di San Salvato-re in Lauro e della chiesa di S. Mariadell’Anima.

1880il 23 dicembre viene eseguito a

Praga lo Stabat Mater di Anton Dvo-rak. E’ il lavoro che ne determina ilsuccesso internazionale. Ma è ancheopera intrisa di speciale sofferenza,per la morte di tre dei suoi figli. Nonvanno dimenticate altre sue partituresacre: il Salmo 149, l’oratorio SantaLudmila, la Messa in re maggiore, ilRequiem, il Te Deum.

Nasce a Milano l’Associazione Ita-liana di Santa Cecilia, il cui programmaè promosso dalla rivista Musica Sacra eda un nutrito numero di pubblicazioni.Vi collaboreranno personalità qualiMarco E. Bossi e Lorenzo Perosi, non-ché il gesuita Angelo De Santi.

1884Primo Regolamento per la Musica

Sacra, approvato da Leone XIII ed in-viato a tutte le Diocesi d’Italia dalla Sa-cra Congregazione dei Riti il 24 set-tembre. Assai vicino ai criteri dell’Asso-

ciazione ceciliana, il Regola-mento trova – soprattutto inambiente romano – una violenta op-posizione. Tanto che nel 1894 verràemanata una Circolare ai Vescovi d’Ita-lia e un secondo Regolamento, checoncede maggior spazio agli Ordinarie, pur reprimendo gli abusi, lascia piùlibertà ai maestri operanti secondo latradizione corrente. La polemica prose-guirà senza sosta per un decennio, so-prattutto dalle colonne delle rivisteMusica Sacra e EphemeridesLiturgicae.

1886Si spegne a Bayreuth Franz Liszt.

Nato nel 1811, assurge giovanissimoad una fama leggendaria come piani-sta di illimitato virtuosismo e di ecce-zionale successo mondano. Composi-tore e poi direttore d’orchestra, lascianel 1847 la carriera concertistica e sistabilisce a Weimar, come maestrodella cappella di corte, con esiti di ri-lievo culturale storico per la scelta delrepertorio teatrale e sinfonico. Nel1861 lascia Weimar e si stabilisce aRoma, ove nel 1865 prende la tonsurae gli ordini minori. Proprio quest’ulti-ma parte della sua vita è segnata dauna profonda attenzione ai temi sacri,peraltro presenti – sia pur in modo in-termittente – nella sua riflessione enella sua produzione sin dagli anniadolescenziali. Nel periodo romanoprogetta una riforma della musica dachiesa ispirata ai principi ceciliani e nediscute in diversi incontri con Pio IX,

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cui offre la Missa choralis. ALeone XIII dedicherà due inni.

Spiccano in modo particolare nella suavastissima produzione, gli oratori Chri-stus e La leggenda di Santa Elisabetta,le Messe e i Salmi, la celebre Via Cru-cis, il polittico Septem Sacramentis, di-verse composizioni su testi mariani,l’impressionante Ossa arida.

1889Dom André Mocquerau (1849-

1930) diviene maestro del coro a Sole-smes e dà inizio alla pubblicazione del-la collana Paléographie musicale, tut-tora in corso (ne sono apparsi 22 volu-mi) e segnata da un grande rigorescientifico e dal profondo distacco daicriteri dell’ Editio Medicea. Promuoveuna raccolta di codici in originale o inriproduzione oggi giunta ai seicentoesemplari.

1890Muore César Franck. Nato a Liegi

nel 1822, studia prima in patria, poial Conservatorio di Parigi, afferman-dosi presto come straordinario orga-nista, divenendo nel 1858 titolaredel grandioso Cavaillé-Coll a Sainte-Clotilde, incarico che conserverà sinoalla morte. Professore d’organo alConservatorio di Parigi dal 1872, ini-zia proprio da quest’anno la partepiù significativa della sua produzio-ne: organistica, naturalmente, sinfo-nica, cameristica e, in particolare, at-tenta a ripristinare il genere dell’ora-torio. Ruth, Les Béatitudes, Rédemp-

tion, Rébecca, rappresentano nel lo-ro tempo un modello e un esempiodi straordinaria bellezza di scrittura edi superiore ispirazione mistica.

Gli succede alla cattedra pariginaCharles-Marie Widor (1844-1937).Virtuoso forse impareggiato, è unodei grandi padri della scuola organi-stica francese. Assai ampio il suo re-taggio compositivo di cui le celebriSymphonies sono l’asse portante. In-sieme a Guilmant e Loret, Widor rap-presenta il ramo dell’organistica fran-cese derivato dal magistero di Jac-ques-Nicolas Lemmens, contrappostoa quello derivato da François Benoist,ossia Franck e Saint-Saëns.

1893Giovanni Tamburini (1857-1942)

fonda a Crema una ditta per la costru-zione di organi che si afferma prestocome una delle più prestigiose delmondo.

1894Viene emanato dalla Sacra Congre-

gazione dei Riti il nuovo regolamentoDe musica sacra, che sembra sfavorireil movimento ceciliano.

1895“Musica Sacra”, lettera pastorale

del patriarca di Venezia, cardinaleGiuseppe Sarto: è una lettera assaiimportante, perché redatta con l’aiu-to del p. Angelo De Santi (ceciliano ecollaboratore di La civiltà cattolica) eanticipo del Motu proprio del 1903.

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tardi, conoscendo grandi suc-cessi soprattutto come organi-sta. Molte sue opere portano la dedicaA. m. D. g. (ad maiorem Dei gloriam).Le tre grandi Messe della maturità so-no da annoverare fra i capolavori delgenere: e la loro grandiosità non leesclude dalla destinazione liturgica ori-ginale. Tra le altre opere sacre diBruckner, non possono dimenticarsi ilTe Deum, indicato dall’autore come fi-nale dell’incompiuta Nona sinfonia, e ilSalmo CL.

1899Gabriel Fauré (1845-1924) porta a

termine il Requiem op. 48. È la versio-ne definitiva di un’opera iniziata nel1888 e destinata in origine ad un or-ganico assai ridotto per una cerimoniafunebre nella chiesa della Madeleine aParigi. Pur lontano dal cattolicesimo(infatti nel Requiem manca il DiesIrae), Fauré scrive qui una pagina diascetica soavità, quasi un dolcissimoaccompagnamento dell’anima verso laconsolazione dell’eternità.

Viene pubblicato il romanzo Enroute di Joris-Karl Huysmans (1848-1907). L’autore di A’ rebours, consi-derato la bibbia del decadentismo,aveva vissuto nel 1892 una dramma-tica conversione al cattolicesimo, in-nescata dalla musica sacra ascoltatadurante una liturgia. Molte sue pagi-ne, di stupendo stile e di straordinariofervore, sono dedicate al canto gre-goriano.

1896Muore a Vienna Anton Bruckner.

Nato nel 1824, indicato da Alfred Ein-stein come “il grande musicista dichiesa dell’epoca romantica”, parago-nato da Furtwängler ad un mistico co-me Meister Eckardt, Bruckner pone,sia nella sua produzione sacra, sia inquella sinfonica, il sentimento religiosoquale asse portante della propria poe-tica. Uomo di sorprendente semplicità,organista per anni nell’abbazia di Skt.Florian, poi professore d’organo e teo-ria musicale al Conservatorio di Vien-na, legatissimo a Wagner, si afferma

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onnipotenza è il primo attri-buto dell’amore di Dio in gra-do, da solo, di assolutizzare la

mia gioia. Solo Dio, l’amore onnipo-tente, può dirmi : non temere! Me locomanda con un imperativo assoluto ese per qualsiasi motivo mi lascio pren-dere dalla paura, mi corregge con que-ste parole: «Uomo di poca fede, per-ché hai paura?» (Mt 8,26).

Non posso temere per non dar tor-to al suo amore presente nella mia vitacome l’acqua del mare è per il pesce:in essa il pesce vive, si muove, esiste.San Paolo ci ricorda che noi in Dio «vi-viamo, ci muoviamo, esistiamo» (At17,28). E sant’ Agostino: «Dio è piùintimo a me di me». Non sono più so-lo. Il nome con cui Dio si rivela a Mosèè JHWE, Colui che è, Colui che è vici-no, è presente, che poi in Gesù diven-ta Emmanuele, Dio con noi e quindiper noi: «Se il Signore è per noi, chisarà contro di noi?» (Rm 8,31).

Anch’io con Gesù posso sfidare ilmondo intero, perché Gesù ha dettoanche a me e per me: «Io ho vinto ilmondo» (Gv 16,33).

Alla luce di queste riflessioni, par-ticolarmente interessanti e significa-tive risultano le raffigurazioni delleseguenti lastre marmoree catacom-bali.

Su quella, celebre, degli inizi del IVsecolo d.C., proveniente dall’area cimi-teriale di Gordiano ed Epimaco sullavia Latina (foto 1), è rappresentata sul-la sinistra una nave con la vela spiega-ta, identificabile, nonostante l’inge-nuità del tratto, con un’imbarcazionedi tipo mercantile in cui i piccoli segnipuntiformi potrebbero alludere al cari-co della nave, che sta navigando su untratto di mare ondoso. Sulla destra, unalto faro a quattro ordini di dimensionidecrescenti con, sulla sommità, una

piccola fiamma. La simbologia dellanave scossa dai flutti, pur avendo radi-ci nella letteratura biblica veterotesta-mentaria, assunse un’importanza nuo-va per i cristiani grazie agli episodievangelici della tempesta sedata.

Alla fine del II secolo ClementeAlessandrino colloca tra i simboli cri-stiani «la nave spinta da un vento fa-vorevole» (Paedagogus 3,11,59). Co-me ‘nave mistica’, lo sviluppo ecclesio-logico della lettura patristica di questosimbolo conosce anche un risvolto dicarattere personale, alludendo all’e-

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Non temere!Roberta Boesso

Lastra incisa, primi del IV sec. d.C., Musei Vati-cani, Città del Vaticano.

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sperienza della vita come superamen-to, in Cristo, delle avversità e del pec-cato (quindi della morte), e come con-quista della sicurezza, della pace e an-che del paradiso, interpretato comeporto, dove il faro è quel segnale difuoco che permette di entrarvi per es-sere salvati dalla tempesta.

Il senso ecclesiologico che associala nave alla Chiesa (che, con Cristo inqualità di nocchiero e gli apostoli co-me equipaggio, veleggia sicura condu-cendo i fedeli verso la salvezza eterna),si riscontra anche nel rilievo del III se-colo d. C. proveniente dalle catacom-be di Pretestato (foto 2). L’evidentesimmetria nello schema compositivodei motivi legati all’attività marinarafavorisce la lettura dell’intera raffigura-zione in senso simbolico, alludendonel contempo all’allegoria della navi-gatio vitae secondo cui il defunto, perscongiurare il rischio di naufragio, si ri-para nel “porto sicuro” segnalato dalfaro. In ambito funerario, il Cristianesi-mo si servirà di questa immagine persottolineare che il percorso intrapresodall’anima avrà quale meta sicura il Pa-radiso, che è possibile raggiungere,nonostante le difficoltà della vita, gra-zie alla luce di Cristo, faro del nostropellegrinaggio terreno.

Sul frammento del coperchio di unsarcofago del IV secolo d. C. (foto 3)l’imbarcazione, dalla prua slanciata econ uno scafo piuttosto basso, è gui-data da un nocchiero dalla folta chio-

ma che indossa una ricca ve-ste, mentre tre rematori coper-ti dal solo perizoma ne eseguono gliordini. La nave si muove su un maremosso, mentre a destra si intravedeparte del basamento di un faro. Leiscrizioni laterali alle figure, ne chiari-scono l’identità: il nocchiero è Iesus,Gesù, mentre i rematori sono, proce-dendo verso sinistra, gli evangelistiMarcus, Lucas e (Io)annes.

La generica nave del primo rilievocatacombale che ho considerato, quitrova la sua vera identità: è la Chiesache, come la barca della tempesta se-data, «sul mare del mondo è percossadalle onde delle persecuzioni e delletentazioni, mentre il Signore nella sua

pazienza sembra dormire, fino al mo-mento ultimo in cui, svegliato dallapreghiera dei santi, egli padroneggia ilmondo e ridona la pace ai suoi» (Ter-tulliano, De baptismo, 12,8). Nella let-tera indirizzata a Giacomo, all’ iniziodelle sue Homiliae, anche Clementeafferma che «Il corpo intero dellaChiesa somiglia ad una grande nave,che trasporta in una violenta tempestauomini di provenienze lontane». Egliprecisa anche che di questa nave Cri-sto è il pilota – come il frammento fa

Rilievo, III sec. d.C., Catacombe di Pretestato,Roma.

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ben vedere – , il vescovo è lavedetta, mentre i diaconi, i

presbiteri e i catechisti sono i rematori.

Anche Ippolito di Roma (De anticri-sto, 59) riprende la stessa analogia, riba-dendo che «il mare è il mondo; la Chie-sa come una nave, è scossa dai flutti,ma non sommersa; ha infatti con sé unpilota esperto, il Cristo», mentre «ha co-me timone i due Testamenti». Altri Padrisottolineano invece il significato dellevarie parti di questa nave, in particolareriferendosi all’albero maestro, che sim-boleggia nella sua forma la croce, seb-bene qui siv o g l i a n osottolineareil riferimentoalle Scrittureproposto daIppolito el’importanzadata da Cle-mente, nellacomposizio-ne dell’equipaggio della nave, ai cate-chisti, importanti collaboratori nell’operamissionaria di diffusione del lieto annun-cio della salvezza.

Gli evangelisti guidati da Cristo, so-no chiaro riferimento all’invito di Gesù:«Andate in tutto il mondo e predicateil Vangelo ad ogni creatura. Chi cre-derà e sarà battezzato sarà salvo» (Mc16,15); «Andate dunque e ammae-strate tutte le nazioni, battezzandolenel nome del Padre, del Figlio e dello

Spirito Santo» (Mt 28,19). Per questiriferimenti è possibile anche affermareche quella della barca guidata da Cri-sto al porto della salvezza, è un’effica-ce immagine simbolica dell’inarrestabi-le diffusione (avvenuta proprio attra-verso le vie del mare sulle rive delmondo antico) della fede cristiana, dellieto annuncio, che, nella misura in cuiviene accolto, conduce alla salvezzagrazie al battesimo che segna l’ ingres-so nella vita nuova.

Come cristiani non possiamo cheavere sempre il cuore colmo di rico-

n o s c e n t egioia per lapresenza vi-va e ope-rante di Ge-sù nella no-stra v ita:«Anche sela nostrabocca fossepiena di inni

come il mare è pieno d’acqua, la no-stra lingua di canti come numerosesono le sue onde, le nostre labbra dilodi come esteso è il firmamento, inostri occhi luminosi come il sole e laluna, le nostre braccia estese come leali delle aquile, i nostri piedi comequelli dei cervi, non potremmo ringra-ziarti, Signore, e benedire il tuo Nomeper uno solo delle mille migliaia e mi-riadi di benefici, prodigi e meraviglieche tu hai compiuto per noi…” (dalSeder, la cena pasquale).

Frammento di sarcofago, circa 330 d.C., Musei Vaticani, Cittàdel Vaticano.

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n questo numero desideroavvicinare un “gruppo” digiovani uomini che sono stati

martirizzati a causa della loro fede nelDio Unico. Solitamente ho sempreraccontato di singole persone che sisono contraddistinte per alcuni aspet-ti, questa volta scrivo invece di una“compagnia”, una piccola processio-

ne di innamorati del Messaggio divi-no! Avvicino Carlo Lwanga e i suoicompagni, di loro non si hanno moltenotizie biografiche, ma quelle pochesono sufficienti per affermare che nel-la storia passata e presente l’amoredel Signore è più forte della morte.L’antifona d’ingresso nel giorno dellamemoria che ricorre il 3 giugno intro-

duce la celebrazione di-cendo: Esultano in cieloi santi martiri che hannoseguito le orme di Cri-sto, per suo amore han-no versato il sangue e siallietano per sempre nelSignore.

Sappiamo che il ter-mine martire viene tra-dotto con martys nelVangelo di Luca (24,28)e negli Atti degli Apo-stol i (5,32) martys èusato chiaramente perribadire i fondamentistorici del messaggioevangelico, nell’Apoca-l isse giovannea (1,5e3,14) Cristo stesso èdetto “testimone fede-le” (ho martys ho pistos)e viene confermato il si-gnif icato del verbo

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SAN CARLO LWANGAE COMPAGNI MARTIRI

suor Clara Caforio, ef

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martyreo in Giovanni (18,27)in cui Gesù afferma davanti a

Pilato di essere venuto ut testimo-nium perhibeam veritati (hina marty-reso te aletheia), per rendere testimo-nianza alla verità. In ambedue i passimarty e martyreo hanno il significatonoto nel greco classico, ma si fa stra-da l’idea di una testimonianza dataanche con l’offerta della vita.

È questo il significato che il termi-ne martys ha nell’Apocalisse (2, 3), incui Antipa, ucciso per la fede a Perga-mo, è detto ho martys mou pistos, ilmio testimone fedele: qui il testimo-ne, che paga la sua testimonianzacon l’offerta della vita, non è più te-stimone soltanto dei fatti e della ve-rità, ma di una Persona, Cristo.

La testimonianza è impegno cheogni battezzato deve responsabilmen-te assumere proprio perché chiamatodal Padre sia a entrare dentro la vitanuova offerta da Cristo, sia ad an-nunziarla, nel tempo della propria vitae negli spazi del proprio servizio, adogni fratello e ad ogni sorella, conuna gioiosa coerenza di fede, di spe-ranza e di amore.

La morte e la risurrezione di Cristosono i cardini verso cui si concentranotutte le testimonianze del passato edel presente, sono i fondamenti a cuihanno attinto e a cui attingono miria-di di testimoni. La risurrezione, la vit-toria della vita, l’esplosione del bene:

questo è necessario annunciare! Mitornano in mente le parole che il San-to Padre Benedetto XVI ha pronuncia-to su questo tema nel Convegno diVerona. “La risurrezione di Cristo èun fatto avvenuto nella storia, di cuigli Apostoli sono stati testimoni e noncerto creatori.

Nello stesso tempo essa non è af-fatto un semplice ritorno alla nostravita terrena; è invece la più grande“manifestazione” mai accaduta, il“salto” decisivo verso una dimensio-ne di vita profondamente nuova, l’in-gresso in un ordine decisamente di-verso, che riguarda anzitutto Gesù diNazareth, ma con Lui anche noi, tuttala famiglia umana, la storia e l’interouniverso … Si tratta di un grande mi-stero … Ma la cifra di questo misteroè l’amore e soltanto nella logica del-l’amore esso può essere accostato ein qualche modo compreso … La suarisurrezione è stata dunque comeun’esplosione di luce, un’esplosionedell’amore che scioglie le catene delpeccato e della morte.

Essa ha inaugurato una nuova di-mensione della vita e della realtà, dal-la quale emerge un mondo nuovo,che penetra continuamente nel no-stro mondo, lo trasforma e lo attira asé. Tutto ciò avviene concretamenteattraverso la vita e la testimonianzadella Chiesa; anzi, la Chiesa stessa co-stituisce la primizia di questa trasfor-mazione”.

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Non sembri fuori tema questa in-troduzione iniziale scritta per parlaredei nostri testimoni-martiri; essi han-no avuto la forza e la passione di cre-dere nella risurrezione, hanno amatoDio fino a dare la vita, sono diventatiessi stessi esplosione di luce, focolaridello Spirito. Ma accostiamo ora que-sta “santa compagnia”… Nel 1920 ilPapa Benedetto XV beatificò ventiduemartiri di origini ugandesi, per queitempi storici fu un’assoluta novità ta-li da creare non poche perplessità; di-fatti si trattava dei primi sub-sahariania essere riconosciuti martiri e, inquanto tali venerati dalla chiesa cat-

tolica. La loro vita si svolsesotto il regno di Mwanga, ungiovane re che, pur avendo frequen-tato la scuola dei missionari PadriBianchi non fu in grado di evolversiculturalmente e moralmente deditocome fu al fumo di hashish, all’alcoole a corruzioni di vario genere. Soste-nuto all’inizio del suo regno dai cri-stiani (cattolici e anglicani) che com-batterono inizialmente contro la ti-rannia del re musulmano Kalema, benpresto re Mwanga vide nel cristianesi-mo il maggior pericolo per le tradizio-ni tribali ed il maggior ostacolo per lesue dissolutezze.

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A sobillarlo contro i cristia-ni furono soprattutto gli stre-

goni e i feticisti, che videro compro-messo il loro ruolo ed il loro potere ecosì, nel 1885, ebbe inizio una violen-ta persecuzione, la cui prima vittimafu il vescovo anglicano Hannington,con almeno altri 200 giovani uccisiper la fede. Il 15 novembre 1885Mwanga fece decapitare GiuseppeMkasa Balikuddembè di appena ven-ticinque anni, maestro dei paggi eprefetto della sala reale. La sua colpamaggiore fu quella di essere cattolicoe per di più catechista, aver rimprove-rato al re l’uccisione del vescovo an-glicano e aver difeso a più riprese igiovani paggi dalle “avances” sessualidel re. Venne sostituito nell’incaricoda Carlo Lwanga, del clan Ngabi, sulquale si concentrarono subito le at-tenzioni morbose del re. Anche Lwan-ga, però era un cattolico convinto;per di più, in quel periodo burrascosoin cui i missionari furono messi albando, assunse una funzione di lea-der sostenendo i neoconvertiti.

Il 25 maggio 1886 venne condan-nato a morte insieme ad un gruppodi cristiani e quattro catecumeni dopoaver battezzato segretamente il piùgiovane, Kizito di appena 14 anni. Il26 maggio vennero uccisi ancora An-drea Kaggwa, capo dei suonatori delre e suo familiare, che si era dimo-strato particolarmente generoso e co-raggioso durante un’epidemia, e Dio-nigi Ssebuggwawo.

Si dispose poi il trasferimento deglialtri da Munyonyo, dove c’era il pa-lazzo reale in cui erano stati condan-nati, a Namugongo, luogo delle ese-cuzioni capitali: una passione doloro-sa di 27 miglia, percorsa in otto gior-ni, tra le pressioni dei parenti che lispinsero ad abiurare la fede e le vio-lenze dei soldati. Qualcuno fu uccisoaddirittura lungo la strada, mentre il26 maggio venne trafitto da un colpodi lancia Ponziano Ngondwe, paggioreale, che aveva ricevuto il battesimomentre già infuriava la persecuzionee alcune ore dopo cadde trafitto dallelance dei soldati anche il servo del reGonzaga Gonga, seguito poco dopoda Mattia Mulumba, elevato al rangodi “giudice”, cinquantenne, da appe-na tre anni convertito al cattolicesi-mo. Il 31 maggio venne inchiodatoad un albero con le lance dei soldati equindi impiccato Noè Mawaggali, unaltro servo del re.

Il terribile massacro continuò ine-sorabile per giorni fino al 3 giugno;sulla collina di Namugongo, venneroarsi vivi 31 cristiani: oltre ad alcunianglicani, il gruppo di tredici cattoliciche fa capo a Carlo Lwanga, il qualeaveva promesso al giovanissimo Kizi-to: “Io ti prenderò per mano, se dob-biamo morire per Gesù moriremo in-sieme, mano nella mano”. Il gruppodi questi martiri è costituito inoltreda: Luca Baanabakintu, Gyaviira Mu-soke e Mbaga Tuzinde, tutti del clanMmamba; Giacomo Buuzabalyawo,

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figlio del tessitore reale e appartenen-te al clan Ngeye; Ambrogio Kibuuka,del c lan Lugane e Anatol io Ki-riggwajjo, guardiano delle mandriedel re; dal cameriere del re, MukasaKiriwawanvu e dal guardiano dellemandrie del re, Adolofo Mukasa Ludi-co, del clan Ba’Toro; dal sarto realeMugagga Lubowa, del clan Ngo, daAchilleo Kiwanuka e da Bruno Sse-runkuuma.

Chi ebbe modo di assistere allaterribile esecuzione rimase vivamenteimpressionato dal sentirli pregare fi-no alla fine, senza un gemito. La te-stimonianza di questi giovani divennein Uganda come una seminagione difede e di speranza, anzi come ebbe adire uno dei martiri essa costituisceuna “fonte dalle molte sorgenti, nonsi inaridirà mai; quando non ci sare-mo più altri verranno dopo di noi”.Non è forse vera questa affermazio-ne? In ogni parte del mondo la cro-naca non smette di parlare di vittimeinnocenti, martiri uccisi a causa dellafede; uomini e donne che non si so-no risparmiati nell’annunciare il Si-gnore; persone di varia nazionalitàche hanno messo a repentaglio lapropria vita spinti da quella carità chenon conosce confini. Così è stato peri nostri testimoni! La serie dei martiricattolici elevati alla gloria degli altarisi chiude il 27 gennaio 1887 conl’uccisione del servitore del re, Gio-vanni Maria Musei, che spontanea-mente confessò la sua fede davanti al

primo ministro di re Mwangae per questo motivo venneimmediatamente decapitato.

Carlo Lwanga con i suoi 21 giova-ni compagni venne canonizzato daPaolo VI nel 1964 e sul luogo del suomartirio a memoria è stato edificatoun santuario, mentre a poca distanza,un altro santuario protestante ricordai cristiani dell’altra confessione, marti-rizzati insieme a Carlo Lwanga.

Assieme ai cristiani furono uccisianche alcuni musulmani; entrambiavevano riconosciuto e testimoniatocon il sangue che Katonda, ossia ilDio supremo dei loro antenati era lostesso Dio al quale si riferiscono laBibbia e il Corano. Mi piace pensareche la santità non conosce confini oconfessioni… Il Signore può esserecelebrato e testimoniato ovunque!

Voglio riportare le parole che il Pa-pa Paolo VI pronunciò in occasioneproprio della loro canonizzazione:“Questi martiri Africani aggiungonoall’albo dei vittoriosi, qual è il Marti-rologio, una pagina tragica e magni-fica, veramente degna di aggiungersia quelle meravigliose dell’Africa anti-ca, che noi moderni, uomini di pocafede, pensavamo non potessero ave-re degno seguito mai più. Chi potevasupporre, a esempio, che alle com-moventissime storie dei Martiri Scilli-tani, dei Martiri Cartaginesi, dei Mar-tiri della «Massa candida» uticense,

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di cui sant’Agostino e Pru-denzio ci hanno lasciato me-

moria, dei Martiri dell’Egitto, deiquali conserviamo l’elogio di san Gio-vanni Crisostomo, dei Martiri dellapersecuzione vandalica, si sarebberoaggiunte nuove storie non menoeroiche, non meno fulgenti, nei tem-pi nostri? Chi poteva prevedere chealle grandi figure storiche dei SantiMartiri e Confessori Africani, qualiCipriano, Felicita e Perpetua e il som-mo Agostino, avremmo un giorno as-sociati i cari nomi di Carlo Lwanga edi Mattia Mulumba Kalemba, con iloro venti compagni? E non vogliamodimenticare altresì gli altri che, ap-partenendo alla confessione anglica-na, hanno affrontato la morte per ilnome di Cristo.

Questi Martiri Africani aprono unanuova epoca; oh! non vogliamo pen-sare di persecuzioni e di contrasti reli-giosi, ma di rigenerazione cristiana ecivile. L’Africa, bagnata dal sangue diquesti Martiri, primi dell’era nuova(oh, Dio voglia che siano gli ultimi,tanto il loro olocausto è grande eprezioso!), risorge libera e redenta.

La tragedia che li ha divorati è tal-mente inaudita ed espressiva, da of-frire elementi rappresentativi suffi-cienti per la formazione morale d`unpopolo nuovo, per la fondazione d’u-na nuova tradizione spirituale, persimboleggiare e per promuovere iltrapasso da una civiltà primitiva, non

priva di ottimi valori umani, ma inqui-nata ed inferma e quasi schiava di sestessa, ad una civi ltà aperta al leespressioni superiori dello spirito e al-le forme superiori della socialità”.

Il martirio di questi fratelli ugande-si ci faccia prendere coscienza del no-stro battesimo, in virtù del quale sia-mo e possiamo diventare sempre piùtestimoni coerenti e credibili della Ri-surrezione di Gesù. Il sangue di questimartiri, sottolinea la colletta, è se-menza per la fioritura di nuovi cristia-ni; il campo mistico della Chiesa pos-sa produrre ovunque una messe ab-bondante per la gloria di Dio!

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l rito di Dedicazione di unachiesa invita a conservare latradizione di deporre sotto

l’altare le reliquie dei martiri o di altrisanti. Con queste avvertenze:

«a) Le reliquie siano di grandezzatale da lasciar intendere che si trattadi parti del corpo umano. Si devequindi evitare la deposizione di reli-quie troppo minuscole di uno o di piùsanti.

b) Ci si assicuri con la massima dili-genza che le reliquie siano autenti-che. È meglio dedicare un altare sen-za reliquie, che deporre sotto di essoreliquie la cui autenticità non sia com-provata.

c) La cassa delle reliquie non si de-ve sistemare sull’altare né includerenella mensa dell’altare, ma deporlasotto la mensa stessa, tenuta presen-te la forma dell’altare».1

Queste avvertenze di caratterepratico trovano il loro fondamento inquanto precisato nel rito di Dedica-zione di un altare: dopo aver afferma-to che l’altare è mensa del sacrificio edel convito pasquale, nonché segnodi Cristo (nn. 154-155), le premessecontinuano illustrando il rapporto tra

la mensa del Signore e l’offerta dellavita fatta dai martiri: «La dignità del-l’altare consiste tutta nel fatto che es-so è la mensa del Signore. Non sondunque i corpi dei martiri che onora-no l’altare, ma piuttosto è l’altare chedà prestigio al sepolcro dei martiri.

Proprio per onorare i corpi deimartiri e degli altri santi, come pureper indicare che il sacrificio dei mem-bri trae principio e significato dal sa-crificio del Capo, conviene che l’altarevenga eretto sui sepolcri dei martiri oche sotto l’altare siano deposte le lo-ro reliquie, in modo che “venganoqueste vittime trionfali a prendere illoro posto nel luogo in cui Cristo sioffre vittima. Egli però sta sopra l’al-tare, perché ha patito per tutti; que-sti, riscattati dalla sua passione, sa-ranno collocati sotto l’altare”.

Una collocazione che sembra ri-presentare in qualche modo la visionespirituale dell’apostolo Giovanni nel-l’Apocalisse: “Vidi sotto l’altare leanime di coloro che furono immolatia causa della parola di Dio e della te-stimonianza che gli avevano resa”.Sebbene infatti tutti i santi venganochiamati a buon diritto testimoni diCristo, ha però una forza tutta parti-colare la testimonianza del sangue e

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Le reliquie dei martirie dei santi sotto l’altare del Signore

Adelindo Giuliani

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sono proprio le reliquie deimartiri deposte sotto l’altare

che esprimono questa testimonianzain tutta la sua interezza».2

La mensa dell’altare è riservata adaccogliere il libro dei Vangeli e i doniper l’Eucaristia. Sotto la mensa, in re-lazione di continuità e dipendenza dalSalvatore, stanno i corpi dei salvati,pr imi fra tutt i quel l i che hannoconformato la loro vita a quella diCristo fino al dono supremo. In que-sto modo l’altare diventa segno dellacomunione dei santi: dov’è il Capo, làè il corpo.

Il corpo ecclesiale è presente nellaparte gloriosa, la cui intercessione è

invocata nella liturgia e di cui le reli-quie dei martiri e dei santi sono se-gno, nella parte ancora bisognosa dipurificazione (i defunti per i quali siprega in ogni celebrazione), nella par-te che è in cammino verso il Regno eche è convocata intorno all’altare. Sicomprende allora il valore delle nor-me pratiche con le quali abbiamoesordito: autenticità delle reliquie, po-sizione del sepolcro, rilevabilità (tantodelle une quanto dell’altro, che nonpuò ridursi a un piccolo buco in cuiinfilare una teca che, a sua volta, rac-chiude una reliquia microscopica).Poiché si parla chiaramente e ripetu-tamente di corpi dei martiri e dei san-ti, è ovvio che le reliquie devano esse-re corporee: non si possono deporre

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Cattedrale di Cagliari. Dedicazione del nuovo altare: deposizione delle reliquie dei martiriFabrizio, Giovenale, Siridonio e di altri martiri.

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sotto un altare indumenti o reliquieper contatto (i cosiddetti brandea: liniche sono stati appoggiati sul corpodel santo o sulla sua tomba).

Guardando all’altare, eretto sul se-polcro dei martiri e dei santi, i fedelicontemplano la meta della loro voca-zione e sono invitati a nutrirsi della Pa-rola e del Pane eucaristico che già han-no sostenuto il cammino dei fratelli che

li hanno preceduti e che oracontemplano nella gioia eternail volto di Dio Padre. La dedicazione del-la chiesa e dell’altare offre una podero-sa catechesi mistagogica sulla realtàdella Chiesa, una catechesi che perma-ne nel tempo, oltre il rito, iconizzata dailuoghi consacrati, vivificata ogni giornodalla venerazione per i santi proposti al-la comunità cristiana come patroni, in-tercessori e modelli di vita.

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——————1 Benedizione degli oli e dedicazione della chie-

sa e dell’altare, n. 31, Città del Vaticano 1980.

2 Ibid., n. 156. La citazione riportata nel testo è

tratta dall’epistolario di sant’Ambrogio.

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egli ultimi anni, soprattuttoper il consolidamento dellecomunità cattoliche di immi-

grati, si sono diffuse in Diocesi celebra-zioni liturgiche nei riti delle varie Chie-se orientali. A queste celebrazioni so-no spesso invitati anche ministri ordi-nati di rito latino. È stato chiesto al-l’Ufficio Liturgico un’indicazione inmerito alle modalità celebrative e all’u-so delle vesti liturgiche.

Non è consentita la communio insacris con ministri di Chiese orientalinon cattoliche. Pertanto non si posso-no ammettere alla concelebrazionepresbiteri che non siano in piena co-munione con la Chiesa cattolica, né iministri cattolici possono concelebrarecon ministri di Chiese cristiane orienta-li non cattoliche.

In via ordinaria, un vescovo o unpresbitero di rito latino non può pre-siedere la celebrazione, né amministra-re i sacramenti in un rito diverso dalproprio, a meno che non abbia otte-nuto dalla Congregazione per le Chie-

se Orientali, unico Dicastero compe-tente in materia, la dichiarazione di bi-ritualismo.

È opportuno evitare che un vescovoconcelebri la liturgia presieduta in altrorito da un presbitero. Si consiglia l’assi-stenza, con la possibilità che il vescovobenedica il diacono e/o l’assemblea se-condo le modalità proprie del rito cele-brato, posto che il vescovo abbia leopportune conoscenze linguistiche erituali. Per esempio, nel rito bizantino,il vescovo latino può benedire il diaco-no all’inizio della celebrazione, il picco-lo e il grande ingresso, e può riceverela comunione nel santuario, prima deiministri concelebranti. Per l’assistenzail vescovo di rito latino indossa l’abitocorale oppure (assistenza pontificale) ilcamice, la stola e il piviale. In tal casopuò usare anche la mitra. Non usa ilpastorale.

Tutti i sacerdoti cattolici, ferme re-stanti le disposizioni di diritto che as-segnano al Vescovo la competenzasulla disciplina della concelebrazione,

Vicariato di Roma - Nota dell’Ufficio liturgico

La Concelebrazione di Ministriordinati di Rito Latino alleCelebrazioni delle Chiese

Cattoliche Orientali

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possono concelebrare l’Eucaristiapresieduta da un vescovo o da un sa-cerdote di rito diverso. Ciascun mini-stro indossa le vesti liturgiche delproprio rito, a meno che non abbia ladichiarazione di biritualismo. La con-celebrazione ovviamente è possibilesolo quando il sacerdote è in gradoalmeno di compiere i gesti e di pro-nunciare le parole essenziali alla vali-dità dell’azione liturgica. Le stesse in-dicazioni valgono per i vescovi di ritolatino, quando la celebrazione è pre-sieduta da un vescovo cattolico di ri-to orientale.

Bibliografia essenziale

Codice dei canoni delle Chiese orientali, in Enchiridion vaticanum 12 (1992),pp. 695-1091.

CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI, Istruzione per l’applicazione delle pre-scrizioni liturgiche del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, Città del Vatica-no 1996.

Quanto alle vesti liturgiche, si rac-comanda che i sacerdoti indossinosempre la casula sopra al camice e al-la stola. Nei riti orientali la simbolo-gia dei colori liturgici non corrispon-de a quella della Chiesa latina ed ègeneralmente molto più sfumata. Perquesto si suggerisce di usare semprestola e casula di colore bianco. Ove cisia l’uso di un colore liturgico preci-so, il concelebrante di rito latino po-trà indossare vesti del medesimo co-lore, anche se quest’uso non corri-sponde a quello della propria tradi-zione liturgica.

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GIORNATA DI FORMAZIONE E FRATERNITÀ PER ACCOLITI, LETTORI,MINISTRI STRAORDINARI della COMUNIONE

e ANIMATORI LITURGICI

Sabato 31 maggio 2008 ore 8,30-17,00

Sede: Auditorium, Nuovo Santuario S. Maria del Divino Amore.

Tema: Maria e la Chiesa.

Relatore: p. Sabatino Majorano cssr,

Rettore della Pontificia Accademia Alfonsiana.

Prenotazione presso l’Ufficio Liturgico entro il 23 maggio.

* * * * * * * * * *

PROGRAMMA

ore 8,30 Accoglienza

ore 9,00 Ora media e meditazione di mons. Marco Frisina

ore 9,45 Riflessione di p. Sabatino Maiorano

ore 11,30 Celebrazione eucaristica

ore 13,00 Pranzo

ore 15,30 Preghiera meditata del Santo Rosario

ore 16,30 Celebrazione dei Vespri

APPUNTAMENTI,NOTIZIE E INFORMAZIONI