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FORMAZIONE LITURGICA Culmine e Fonte 5-2004 1 L o stile di Dio è quello dei se- gni, Egli parla agli uomini at- traverso il velo significante delle cose create che divengono ci- frario e alfabeto per esprimere i con- tenuti divini che il cuore di Dio ha voluto rivelarci. L’intera creazione è un libro aperto che, attraverso la bellezza e la molte- plicità delle creature, parla al cuore di ogni uomo. Ogni cosa rivela il Verbo e l’amore di Dio che fa risplendere ogni cosa della luce dello Spirito. Tutto di- viene segno di questo amore e tutto ci rimanda al significato che Dio ha volu- to esprimere in ogni cosa creata: l’uo- mo è così chiamato a interpretare il mondo creato per conoscere il cuore di Dio e lodarlo, amarlo, servirlo e go- derlo per sempre. I segni della creazione ci racconta- no Dio: “i cieli narrano la gloria di Dio e il firmamento annuncia la sua ope- ra”, ci ricorda il salmo 18, e così ogni cosa innalza con l’uomo l’inno di lode al suo Creatore, come ci ricordano al- tri salmi, come il 102 e il 149, e alcuni cantici, come quello dei tre fanciulli del libro di Daniele e il Cantico di fra- te Sole di San Francesco. In queste preghiere le creature, nelle loro carat- teristiche, rivelano il volto di Dio, la sua forza, il suo splendore, la sua umiltà, la sua tenerezza. Ma è nella storia della salvezza che questo cifrario stupendo si arric- chisce di altri e ancor più meraviglio- si segni. Sono i mirabilia Dei, i prodi- gi d’amore che Dio opera per il suo popolo. In questi segni egli piega la creazione a significati nuovi e strabi- lianti. Il passaggio del Mar Rosso diviene un segno salvifico: la potenza di Dio trasforma l’acqua in segno di rinascita e, forzando le leggi della natura, rive- la la forza rigenerante e ri-creante di Dio. Sono questi i magnalia Dei , le “grandi cose” che il Signore compie per noi, sono queste le opere grandi che Maria canta nel Magnificat e che preparano i segni sacramentali che il Signore ci dona. Cristo con la sua venuta rivela de- finitivamente il volto di Dio e tra- sforma ogni cosa riempiendola della sua pienezza. Il trionfo pasquale fa del corpo glorioso di Cristo il segno per eccellenza della grazia salvifica. La Chiesa, corpo di Cristo, è dunque sacramento di salvezza perché è essa stessa segno e strumento della gra- zia del Risorto. Tutti i sacramenti sono così segni di grazia e di misericordia, potenti strumenti di quella divina rivelazione dell’amore di Dio che riempie l’uni- verso e, in Cristo, lo redime. Tutto questo esige dal cristiano la necessità di esercitare la propria ca- pacità contemplativa, ovvero di ac- crescere la sua capacità di visione del volto di Dio per scorgere, attraverso Mirabilia Dei di mons. Marco Frisina

Riv. Culmine e Fonte 2004-5

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http://www.ufficioliturgicoroma.it/default.asp?iId=LDJMKIl sussidio bimestrale "Culmine e fonte" edito dall'Ufficio Liturgico della Diocesi di Roma ha come obiettivo primario l'approfondimento delle tematiche liturgiche nel contesto pastorale. Non è una rivista rivolta solo agli "esperti", ma è pensata per tutti coloro che si accostano alle Celebrazioni della Chiesa con l'intento di pregare, comprendere, partecipare attivamente, secondo i propri doni, carismi e ministeri. E' uno strumento di formazione e spiritualità liturgica dedicato a Sacerdoti, diaconi, Lettori, Accoliti e Ministri straordinari della Comunione. Rivolgendosi anche a tutti i cultori di Liturgia ed a tutti coloro che riconoscono la necessità di approfondire le tematiche liturgiche si usa un linguaggio semplice ed un approccio prevalentemente pastorale. I contenuti rimangono altamente scientifici: i contributi sono affidati ad esperti del settore, che propongono riflessioni documentate sulle varie problematiche ed aprono la strada a successivi approfondimenti personali.

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Culmine e Fonte 5-2004 1

L o stile di Dio è quello dei se-gni, Egli parla agli uomini at-traverso il velo significante

delle cose create che divengono ci-frario e alfabeto per esprimere i con-tenuti divini che il cuore di Dio havoluto rivelarci.

L’intera creazione è un libro apertoche, attraverso la bellezza e la molte-plicità delle creature, parla al cuore diogni uomo. Ogni cosa rivela il Verbo el’amore di Dio che fa risplendere ognicosa della luce dello Spirito. Tutto di-viene segno di questo amore e tutto cirimanda al significato che Dio ha volu-to esprimere in ogni cosa creata: l’uo-mo è così chiamato a interpretare ilmondo creato per conoscere il cuoredi Dio e lodarlo, amarlo, servirlo e go-derlo per sempre.

I segni della creazione ci racconta-no Dio: “i cieli narrano la gloria di Dioe il firmamento annuncia la sua ope-ra”, ci ricorda il salmo 18, e così ognicosa innalza con l’uomo l’inno di lodeal suo Creatore, come ci ricordano al-tri salmi, come il 102 e il 149, e alcunicantici, come quello dei tre fanciullidel libro di Daniele e il Cantico di fra-te Sole di San Francesco. In questepreghiere le creature, nelle loro carat-teristiche, rivelano il volto di Dio, lasua forza, il suo splendore, la suaumiltà, la sua tenerezza.

Ma è nella storia della salvezzache questo cifrario stupendo si arric-chisce di altri e ancor più meraviglio-

si segni. Sono i mirabilia Dei, i prodi-gi d’amore che Dio opera per il suopopolo. In questi segni egli piega lacreazione a significati nuovi e strabi-lianti.

Il passaggio del Mar Rosso divieneun segno salvifico: la potenza di Diotrasforma l’acqua in segno di rinascitae, forzando le leggi della natura, rive-la la forza rigenerante e ri-creante diDio.

Sono questi i magnalia Dei, le“grandi cose” che il Signore compieper noi, sono queste le opere grandiche Maria canta nel Magnificat e chepreparano i segni sacramentali che ilSignore ci dona.

Cristo con la sua venuta rivela de-finitivamente il volto di Dio e tra-sforma ogni cosa riempiendola dellasua pienezza. Il trionfo pasquale fadel corpo glorioso di Cristo il segnoper eccellenza della grazia salvifica.La Chiesa, corpo di Cristo, è dunquesacramento di salvezza perché è essastessa segno e strumento della gra-zia del Risorto.

Tutti i sacramenti sono così segnidi grazia e di misericordia, potentistrumenti di quella divina rivelazionedell’amore di Dio che riempie l’uni-verso e, in Cristo, lo redime.

Tutto questo esige dal cristiano lanecessità di esercitare la propria ca-pacità contemplativa, ovvero di ac-crescere la sua capacità di visione delvolto di Dio per scorgere, attraverso

Mirabilia Deidi mons. Marco Frisina

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i segni divini, la sua volontà. La fedeci porta alla visione di Dio attraversoi segni: essi sono come porte che siaprono al mistero, il quale, pur es-sendo umanamente incomprensibile,per la grazia della fede si dischiudefino a divenire inesprimibile ma lu-minoso.

È questa la ragione per cui i segnidevono essere sempre trasparentiper poter rinviarci al mistero e nonopachi o addirittura ostacolanti: lo

sguardo contemplativo deve passareper essi e giungere così alla realtà acui rimandano.

Affiniamo dunque lo sguardocontemplativo della nostra fede; im-pariamo dalla Liturgia della Chiesacome comprendere, attraverso i se-gni, la ricchezza del mistero e cantia-mo con tutta la creazione la gloria diDio che, per la potenza della reden-zione, si rivela attraverso il mondori-creato dalla grazia.

Separazione della terra dalle acque. Michelangelo, Cappella Sistina, sec XVI

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N ella costituzione SacrosanctumConcilium si legge: “Nella litur-gia, la santificazione dell’uo-

mo è significata per mezzo di segnisensibili e realizzata in modo proprio aciascuno di essi” (SC 7). Riflettiamo suquesti segni sensibili che significano erealizzano la santificazione dell’uomo.Per comprendere come sia riconoscibi-le nel sacramento una struttura semio-tica, tre nozioni preliminari: segno esimbolo, sacramento simbolo di Cristo,intenzione del significatore.

Segno e simbolo. La struttura gene-rica del segno è costituita da tre ele-menti minimi: significante, significato,oggetto. I segni che significano e rea-lizzano qualcosa, nella terminologiaodierna, si considerano simboli. Pro-prio del segno è significare (informaree comunicare) qualcosa; proprio delsimbolo è muovere all’azione per rea-lizzare qualcosa. Da questo punto di vi-sta, si direbbe che i sacramenti sono isimboli di Cristo, il quale è esattamenteil “Simbolo di Dio” come unico media-tore tra Dio e gli uomini (cfr. 1 Tm 2, 5)e come colui che ci unisce a Dio me-diante l’esercizio del suo sacerdozio.Per questo i sacramenti sono “energieche escono dal corpo di Cristo semprevivo e vivificante” (CCC 1116).

Sacramento simbolo di Cristo. I sa-cramenti, visti come simboli efficacidella grazia, attuano la funzione di si-gnificare e di realizzare ciò che signifi-

cano; perciò sono simboli di Cristo,perché il significatore, che si svela e sidona nei sacramenti, è sempre Cristo:“degnamente celebrati nella fede, isacramenti conferiscono la grazia chesignificano; sono efficaci, perché in es-si agisce Cristo stesso: è lui che battez-za, è lui che opera nei suoi sacramentiper comunicare la grazia che il sacra-mento significa” (CCC 1127).

Intenzione del significatore. Rag-giungiamo così il terzo elemento ne-cessario al simbolo: l’intenzione del si-gnificato da parte del significatore. Edè questa necessaria intenzione di com-piere il sacramento, da parte del cele-brante, che unifica, in un rapportocomplementare, i due modi di inten-dere il rito del sacramento: quello cheunifica la materia (elemento corporeo)con la forma (parole) e quello che uni-fica un significante (sfera sensibile)con un significato (sfera spirituale): èl’intenzione che rende sacramento ilrito, è ancora l’intenzione che, nel se-gno, cambia la struttura semiotica instruttura simbolica e fa del sacramen-to esattamente un simbolo di Cristo.

1. Santificazione significata

Per comprendere come i sacramentisiano segni, è necessaria una brevespiegazione del termine “segno”. Nel-l’accezione comune il segno (greco: se-meíon) è ciò che sta al posto di altro;ma è anche una specie di sintomo

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Da materia e forma ai segni sensibilidi mons. Sante Babolin

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(greco: tekmérion) che fa conoscerequalcosa non immediatamente perce-pibile. Perciò il segno può realizzarsianche come sintomo: la funzione di si-gnificare può prendere così la via dellaequivalenza o della sostituzione. Inconcreto, si ha sempre un qualcosa cherinvia a qualcos’altro; e dai diversi mo-di di rinviare ad altro dipendono i di-versi tipi di segno. Perciò il segno puòdiventare un equivalente di indice, disegnale o di simbolo.

Il segno può essere un equivalentedi indice, quando è un fenomeno na-turale che fa conoscere qualcosa aproposito di altro fenomeno, non im-mediatamente percepito. Esempi: ilcolore scuro del cielo è indice o indiziodi un imminente temporale, l’altera-zione della temperatura del corpo puòessere sintomo di una malattia in incu-bazione, etc.

Il segno può essere l’equivalentedel segnale, quando funziona comeciò che trasmette in modo inequivoca-bile una informazione o un comando.Esempi: il suono del campanello allaporta di casa è il segnale che c’è qual-cuno che chiede di entrare, il suonodel contasecondi (timer) ci informa chel’operazione programmata è compiu-ta, il fischietto dell’arbitro trasmetteun comando cui si deve obbedire, etc.

Infine il segno può essere un equi-valente del simbolo, quando ciò che si-gnifica è pensabile ma non percepibi-le; è classico l’esempio della bilanciacome simbolo della giustizia, portatoda F. de Saussure nel suo Corso di lin-guistica generale, per affermare chenel simbolo, a diversità del segno, ilrapporto tra significante (immagine

della bilancia) e significato (concettodella giustizia) non è del tutto arbitra-rio, come a dire che nel simbolo ci de-ve essere qualcosa di naturale che ag-gancia il significato. Nella fede cristia-na è evidente come l’acqua si presti al-lo stesso modo per significare purifica-zione e rigenerazione, così il pane persignificare nutrimento, etc.

Nella linguistica il segno è definitocome rapporto di significante e signifi-cato; e dal tipo di rapporto dipende iltipo di segno. Su questa linea si distin-gue il campo della conoscenza dalcampo del comportamento. Nel cam-po della conoscenza si parla di sintemaquando il rapporto tra significante esignificato è univoco ed universale, disegno quando tale rapporto è deter-minato dal linguaggio, di simboloquando tale rapporto è determinatodalla cultura. Nel campo del compor-tamento il sistema diventa segnale; e ilsimbolo, protocollo culturale.

Ora possiamo comprendere meglioquanto afferma la Sacrosanctum Con-cilium:

I sacramenti, in quanto segni, hanno an-che un fine pedagogico. Non solo suppon-gono la fede, ma con le parole e gli ele-menti rituali la nutrono, la irrobustiscono ela esprimono; perciò vengono chiamati “sa-cramenti della fede”. Conferiscono certa-mente la grazia, ma la loro stessa celebra-zione dispone molto bene i fedeli a ricever-la con frutto, ad onorare Dio in modo debi-to e ad esercitare la carità. È quindi digrande importanza che i fedeli comprenda-no facilmente i segni dei sacramenti e si ac-costino con somma diligenza a quei sacra-menti che sono destinati a nutrire la vitacristiana (SC 59).

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La funzione di segno, riconosciutaal sacramento, implica l’insegnamentoe la comunicazione diretta, quellacioè che intercorre tra maestro e di-scepolo. È così posto anche un fine pe-dagogico o catechetico, comunquesempre presente nell’azione liturgica,che intende richiamare ai fedeli glielementi essenziali della fede che giu-stificano la celebrazione del sacra-mento. Scoprire questo aspetto, primae fuori della celebrazione, significarendere evidente il significato natura-le degli elementi materiali, quali l’ac-qua, l’olio, il pane e il vino; elementiche nel rito sacramentale si trasforma-no in veicoli di grazia. Con ciò si favo-risce una più convinta partecipazionealla celebrazione dei sacramenti e sistimolano i fedeli a quel culto integra-le che, per i cristiani, implica la con-giunzione dell’annuncio del Vangelocon l’esercizio della Carità, per cui tut-ta la loro vita può assumere una con-notazione liturgica (cfr. CCC 1070).

2. Santificazione realizzata

Il termine “simbolo” viene dal gre-co sunbállein ( = gettare insieme, con-getturare) e contiene nella sua etimo-logia un significato dinamico. Perciò ilsimbolo gode della vitalità dell’azione,della potenzialità del verbo: perché cisia simbolo occorre che esista una do-minante vitale di significato. Con ciò ilsimbolo rende possibile, in qualchemodo, la ripetizione di una esperien-za; e ciò che sembra caratterizzare lastruttura simbolica è precisamente ilfatto che essa non può essere forma-lizzata concettualmente e distaccatadal tragitto antropologico concreto dacui è nata; in altre parole: dalla sua de-

rivazione esperienziale che continua avivere nell’imma-ginario umano. Lastruttura simbolica non è mai formavuota, ma è sempre una carica forte disignificato che commuove, poco o tan-to, l’immaginario e lo condiziona; di-versamente, il simbolo decade a se-gno, e talvolta a segno insignificante.

Ora per questa sua struttura, il sim-bolo entra sempre in ogni azione cele-brativa o rituale, è il veicolo epistemo-logico che permette di rappresentarerivivendoli eventi accaduti, di costruirequella tradizione di valori e di compor-tamenti che costituisce una cultura. Se-condo questa dinamica, il simbolo en-tra anche nella liturgia della Chiesa equindi nella celebrazione dei divini mi-steri e dei sacramenti. Anzi direi che, seuno non comprende la dimensione sim-bolica che innerva tutta la liturgia, saràcome un cieco che pensa di vedere. È ilrischio di un certo “razionalismo liturgi-co” che, riducendo al minimo la presen-za dei simboli nei riti, devitalizza la li-turgia e toglie la parola ai segni. Pensoche su questo preciso punto oggi sianecessario riflettere, anche perché ilpopolo di Dio, privato del linguaggiosimbolico dei gesti e delle cose, si co-struisce altri simbolismi; e non sempreidonei a veicolare il dono di grazia cheda Cristo si irradia nella Chiesa.

Soltanto evidenziando l’elementodinamico del simbolo, possiamo capireil significato autentico della tradizioneche fa la Chiesa, quel dono di graziache transita di generazione in genera-zione e giunge a noi.

Per approfondire un po’ questotransito del dono della salvezza, riflet-tiamo brevemente su due piccoli testi,

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semplici e assai significativi, del Cate-chismo della Chiesa Cattolica:

Il Padre esaudisce sempre la preghieradella Chiesa del suo Figlio, la quale, nellaEpiclesi di ciascun sacramento, esprime lapropria fede nella potenza dello Spirito.Come il fuoco trasforma in sé tutto ciò chetocca, così lo Spirito Santo trasforma in vi-ta divina ciò che è sottomesso alla sua po-tenza (CCC 1127).

La Chiesa afferma che per i credenti i sa-cramenti della Nuova Alleanza sono neces-sari alla salvezza. La “grazia sacramentale” èla grazia dello Spirito Santo donata da Cri-sto e propria di ciascun sacramento. Lo Spiri-to guarisce e trasforma coloro che li ricevo-no conformandoli al Figlio di Dio. Il fruttodella vita sacramentale è che lo Spirito diadozione deifica i fedeli unendoli vitalmen-te al Figlio unico, il Salvatore (CCC 1129).

Se vogliamo considerare il sacramen-to come un segno sensibile, e quindicome simbolo, l’accento cade su quel-l’elemento dinamico che costituisce lospecifico di un processo di significazio-ne simbolica; e questo elemento condu-ce a scoprire e apprezzare l’azione del-lo Spirito Santo che, invocato dallaChiesa nell’Epiclesi, agisce in ogni sacra-mento; è questa azione che rende effi-cace il segno sacramentale e che trasfi-gura, guarisce e santifica la nostra vita.

L’azione dello Spirito segue la viatracciata dall’incarnazione del Verbo diDio e continua a inserire il divino nel-l’umano, lo spirituale nel materiale,l’immortalità nella mortalità. Tutto vie-ne trasfigurato e diventa nuova creatu-ra: “se uno è in Cristo, è una creaturanuova” (“ Cor 5, 17). L’intervento delloSpirito Santo, istantaneo come graziadel sacramento, opera alla maniera del

seme, lentamente e seguendo i ritmidella nostra creaturalità; questo signifi-ca che il dono della salvezza accendeun cammino di risanamento spiritualeche troverà il suo compimento nei cielinuovi e nella terra nuova.

Infine è ancora la presenza dello Spi-rito Santo che stabilisce il traguardodella nostra perfezione: la stessa santitàdi Dio. Si legge infatti: “Siate santi, per-ché io, il Signore, Dio vostro, sono san-to” (Lev 19, 2); e Gesù precisa dicendo:“Siate perfetti come è perfetto il Padrevostro celeste” (Mt 5, 48). Questo signi-fica che la progressiva trasfigurazione,che si attua in ogni uomo redento daCristo, sarà compiuta quando raggiun-gerà la sua deificazione, così che “Cri-sto sia tutto in tutti” (Col 3, 11).

Conclusione

La lettura dei sacramenti, come se-gni sensibili o simboli di Cristo, non èalternativa a quella tradizionale cheutilizza i concetti di “materia” e “for-ma”. Si tratta di una lettura comple-men-tare, che mette – a mio parere –più in evidenza l’unità dei sacramenti,in quanto si evidenzia la loro animacomune che è l’Epiclesi. È una visioneche sta in piena armonia con la risco-perta dell’azione dello Spirito Santonella vita e nella liturgia della Chiesa.

Il segno inoltre suggerisce comeelaborare una appropriata catechesisui sacramenti, così che siano com-prensibili i gesti, le parole e le cose,che entrano nel rito sacramentale. Atale scopo è ovvio che sarebbe utile,per non dire necessario, conoscere irudimenti della semiotica e della lin-guistica.

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U n proverbio recita: “Tra il diree il fare c’è di mezzo il mare”.Ciò è vero per le parole uma-

ne. Gli uomini, Gesù lo dice dei fari-sei, “dicono e non fanno”. Ma non è

così quando il soggetto è Dio: “Egliparla e tutto è fatto”(Salmo 33, 9). Alcontrario degli idoli, che “hanno boc-ca e non parlano” (Salmo 115, 5) ilnostro Dio non ha bocca, ma parla.

“E Dio disse… e così av-venne”. La Genesi chia-ramente afferma cheDio tutto ha creato“con il soffio della suabocca”. La forza dellaParola di Dio attraversatutta la Sacra Scrittura.“Infatti la parola di Dioè viva, efficace e più ta-gliente di una spada adoppio taglio”(Ebr 4,12).

Ma anche della pa-rola di Gesù si dice lastessa cosa. Se Pietrodice a Gesù: “tu solohai parole di vita eter-na”, Gesù stesso atte-sta: “Le parole che io vidico sono spirito e vi-ta”. Lo stesso centurio-ne romano, che chiedela guarigione del suoservo, protesta: “Di’soltanto una parola, eil mio servo sarà guari-to”(Mt 8.8). Basta in-fatti che Gesù dica:“Tuo figlio vive”, e nel-lo stesso istante il mala-to comincia a star me-

La Parola efficacedi p. Ildebrando Scicolone, osb

Creazione della Terra e della Luce, Basilica S. Caterina d’Alessandria, Galatina sec XIV

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glio (Gv 4, 50.52). Gesù ancora “dàordini ai venti e all’acqua e gli obbe-discono” (Lc 8,25), “comanda persinoagli spiriti immondi e gli obbedisco-no”(Mc 1, 27).

L’efficacia della parola di Cristonon è cessata. Egli ha lasciato allaChiesa “ogni potere”. Anzi egli conti-nua ad agire con la forza della suaparola, non solo nella predicazionedella Chiesa (“egli che parla, quandonella Chiesa si leggono le sacre Scrit-ture”, SC 7), ma “è presente con lapotenza nei sacramenti”.

È per la parola efficace che quantola Chiesa afferma o chiede nella cele-brazione sacramentale, si realizza.Fermiamoci a quella che una volta sichiamava la “forma” dei sacramenti,cioè le parole essenziali. Esse possonoessere una dichiarazione, come, peres., la formula battesimale: “io ti bat-tezzo”, o della riconciliazione: “io tiassolvo”; possono essere invece unapreghiera, come la prece eucaristica,nella quale il racconto di ciò che Ge-sù fece nell’ultima cena, rende pre-sente e realizza ciò che la parola di-ce: “Prendete e mangiatene tutti.Questo è il mio corpo”.

A questo proposito, ricordo la te-stimonianza di Max Thurian, quandoancora era fratello di Taizé, primadella conversione al cattolicesimo edella sua ordinazione sacerdotale.Partecipava a un incontro ecumenico,nel quale si era celebrata la “santacena” luterana. Dopo la celebrazioneera rimasto del pane “consacrato”(diremmo noi!). Fu domandato alloraal pastore: che cosa ne facciamo? Eglirispose: fatene quello che volete, da-telo alle galline. Rimase inorridito un

mio confratello ecumenista e chiese aMax Thurian. Egli rispose: non si puòconsiderare pane comune, quello sulquale sono state pronunziate le pa-role di Gesù: questo è il mio corpo.

Pensiamo anche alla preghierad’ordinazione episcopale, presbitera-le o diaconale. La preghiera del Ve-scovo è efficace, produce cioè quelche significa. In forza di tale parola illaico diventa diacono, il diacono di-venta prete, il prete vescovo. La vigi-lia della mia ordinazione, ho fatto“la prova generale” della messa cheavrei celebrato due giorni dopo. Hofatto tutto, mi sono vestito con i pa-ramenti, ho preso il messale, la pate-na e il calice, ho letto tutto, dall’ini-zio alla fine, compresa la preghieraeucaristica, ho mangiato il pane, hobevuto il vino, insomma tutto comeavrei fatto di lì a due giorni. Nonavevo celebrato. Due giorni ho rifat-to tutto uguale. Ma questa volta erauna vera messa, non ho più mangiatopane e bevuto vino, ma ho comunica-to al corpo e al sangue di Cristo. Checosa era cambiato? Ero cambiato io;per la forza dell’imposizione dellemani e della preghiera consacratoria,quelle “parole” non erano più mie,ma di Cristo, ed avevano prodotto ilmiracolo della “transustanziazione”.

Si pensi alla trasformazione cheopera la parola del battesimo: un uo-mo diventa “figlio di Dio”, di lui ilPadre può dire e dice: “Questi è ilmio figlio diletto” (non sembri azzar-dato, se san Paolo in Col 3, 12, scrive:“Rivestitevi, dunque, come amati diDio, santi e diletti…”). Nella Confer-mazione, lo Spirito settiforme cheviene invocato sui cresimandi, effetti-

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vamente viene, anche se non nel mo-do visibile, come sembra essere avve-nuto nel giorno di Pentecoste. E cosìin tutti i sacramenti. Compreso il ma-trimonio. E qui mi permetto porrel’accento sul valore (non secondario)della solenne benedizione della spo-sa e dello sposo. Il nuovo rito, cheprossimamente sarà pubblicato nellatraduzione italiana, è stato arricchitodi un’epiclesi esplicita: s’invoca cioèl’effusione dello Spirito Santo sullanuova coppia. Il consenso preceden-temente manifestato è, sì, l’elementoessenziale del patto coniugale (nonmi piace chiamarlo “contratto”), mala grazia sacramentale è chiesta edottenuta con la preghiera di benedi-zione. È lo Spirito Santo invocato chefa dei due “un solo corpo e un solospirito” in maniera diversa da comeciò avviene per tutta l’assemblea eu-caristica, nella celebrazione domeni-cale o quotidiana.

La parola sacramentale ha in sestessa una tale efficacia, come il semebuono; non dipende dalla persona (ilministro) che la pronunzia, che puòessere un santo o un indegno. È ciòche la teologia vuol dire quando af-ferma che i sacramenti agiscono “exopere operato”; la loro efficacia deri-va da ciò che ha operato Cristo nellasua pasqua.

Ma l’effettiva azione salvifica neldestinatario, cioè nel ricevente (dicia-mo, nel fedele) dipende dalla sua fe-de e dalla sua accoglienza. Quando

quella donna che toccò il lembo delmantello di Gesù (Lc 8, 44), non fuguarita per il semplice fatto di avertoccato (tutti toccavano e urtavanoGesù), ma perché aveva creduto: glie-lo riconosce Gesù, quando le dice “latua fede ti ha salvata”.

I sacramenti sono efficaci per laparola di Cristo, tanto che san Pietro,nella sua prima lettera, che è una ca-techesi battesimale, può affermareche siamo “stati rigenerati non da unseme corruttibile, ma immortale, cioèdalla parola di Dio viva ed eterna… Equesta è la parola del vangelo che viè stato annunziato” (1 Pt 1, 23.24).

Ancora una volta, Parola e Sacra-mento si richiamano a vicenda, anzi,per certi versi s’identificano. È la Pa-rola che si fa Carne, non solo in Ge-sù, ma anche in noi. Pietro però ri-leva la necessità della fede, che è ac-coglienza e obbedienza alla Parola,perché questa sia efficace: “Onoredunque a voi che credete, ma per gliincreduli la pietra che i costruttorihanno scartato è divenuta la pietraangolare, sasso d’inciampo e pietradi scandalo. Loro v’inciampano per-ché non credono alla parola” (1 Pt 2,7.8).

Una sottolineatura conclusiva.Spesso, nella celebrazione si racco-manda l’ascolto della Parola, nelleletture, specialmente al Vangelo, epoi si precipita la preghiera eucaristi-ca. Ma è questa la Parola che “sicompie” per noi.

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Isegni umani comunicano quelloche è nella nostra mente, nel no-stro cuore, nelle nostre intenzioni.

Se vediamo due persone che si strin-gono la mano ci viene naturale pensa-re che siano amici, o che almeno si co-noscano. Altri segni, come lo sguardo,il sorriso, la naturalezza e l’intensitàdella stretta di mano fanno capire me-glio quanto sia profonda e sincera ta-le amicizia. Ma sappiamo anche che isegni umani non solo possiedono unagamma di variabilità semantica moltoalta, dipendente anche dal contesto incui sono posti (una stretta di manocon cui si conclude un affare è diversada quella con cui ci si congeda da unamico o da quella che accompagna lapresentazione di uno sconosciuto),ma, come tutte le realtà di questomondo, sono sottoposti all’usura e allogoramento dell’abitudine, rischianosempre di essere impoveriti nel signifi-cato originario e profondo, sono per-sino esposti a un uso strumentale chevolutamente li falsifica. Quante stret-te di mano, lungi dal significare amici-zia, indicano solo una convenzione so-ciale, o addirittura intenzionalmentefingono per conquistare la fiducia diqualcuno, che poi si vuole imbroglia-re? Quale sorriso è più smagliante equale stretta di mano è più vigorosadi quella di un truffatore? Altre volte,più semplicemente, il segno rendeun’intenzione che può essere anchesincera, ma che poi non regge alla

prova dei fatti, viene smentita dalcomportamento concreto per millemotivi: dimenticanza, assuefazione,debolezza, volubilità del carattere edebolezza nella perseveranza,...

La realtà quotidiana insegna che isegni umani sono espressione anchedella precarietà della condizione crea-turale, nella dinamica sempre incertatra proposito e realizzazione, tra vole-re e potere, tra sincerità e menzogna.I segni umani significano e indicanoqualcosa, ma non solo non la realizza-no ipso facto: qualche volta non larealizzano affatto; nei casi peggiorimanca persino l’intenzione sincera ditale realizzazione.

Alla prima considerazione, feno-menologica e descrittiva di un datoantropologico, aggiungiamo un’ele-mentare riflessione teologica. Nell’in-carnazione, il Figlio di Dio si fa uomo.La commozione che prende molti da-vanti al presepio troppo spesso però silimita all’immagine del bambino indi-feso, esposto nella povera mangia-toia. Spesso non si riflette su un moti-vo che susciterebbe forse ancora mag-giore commozione: in quel bambino,Dio assume tutto ciò che la carneumana comporta, escluso il peccato. Ein questo tutto rientra anche la sferacomunicativa, il sistema di segni e sim-boli con cui continuamente ci rappor-tiamo all’esterno, esprimiamo idee,

I sacramenti realizzano ciò che significanodi Adelindo Giuliani

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proponimenti, appartenenze e dissen-si,... Dio assume un corpo d’uomo persalvare l’uomo dall’interno, e assumeil nostro modo di comunicare per sal-vare anch’esso dai vizi e dai limiti cheabbiamo appena visto.

Fin dall’Antico Testamento, la rive-lazione di Dio tiene in gran conto i se-gni che dicono e vogliono creare rap-porto tra gli uomini, o tra gli uomini eDio. Tra questi l’ospitalità, la condivi-sione della parola e del cibo: pensia-mo ai misteriosi ospiti divini che Abra-mo accoglie alle Querce di Mamre oagli appelli dei profeti alla coerenzatra gesto esteriore e disposizione delcuore. Negli anni del ministero pubbli-co, durante i quali il Signore mostra –pure lui con parole e gesti – che iltempo della salvezza è ormai compiu-to, anche questo aspetto della naturaumana decaduta viene ri-creato e rin-novato: i segni del Signore sono inti-mamente nuovi in quanto non solo di-cono e indicano, ma dicendo realizza-no, indicando compiono il loro ogget-to, trasformano l’auspicio in fatto e lasperanza in bene compiuto. Nel farequesto Gesù abbina sempre la parolaal gesto, in atti che evidenziano lacentralità della sua persona: è lui il sa-cramento della salvezza ed è per luiche i morti risuscitano e i ciechi ricu-perano la vista,… Il Signore non esitaa scegliere come segni elementi vilissi-mi (per esempio il fango), o propridella essenziale quotidianità (pane evino), non teme la sproporzione trasegno e realtà (cinque pani e due pe-sci per oltre cinquemila persone), si di-scosta senza esitazioni dai segni dellatradizione (per esempio il legame con

il tempio) o li risignifica (il tempio delsuo corpo), non esita neppure a viola-re le norme sulla purità rituale: toccail cadavere di una fanciulla, e questatorna a respirare (e se il cadavere nonè più tale, anche la legge non è stataviolata, ma redenta e portata a com-pimento).

Questa pedagogia della salvezzapromossa dal Signore negli anni delministero pubblico giunge al culminenel mistero pasquale, quando la per-sona intera di Gesù Cristo, morto sullacroce, sepolto e risuscitato dal Padre,nella tragica concretezza dell’immola-zione diventa anche segno levato inalto, segno eloquentissimo di un’al-leanza nuova in cui si fondono l’offer-ta totale di sé e il dono pieno della vi-ta da parte di Dio Padre. All’infimodel movimento discendente (Cristo sifece «obbediente fino alla morte, e al-la morte di croce»), corrisponde il cul-mine dell’esaltazione («per questo Diolo ha esaltato e gli ha dato il nomeche è sopra ogni altro nome», cf Fil2,6-11), alla morte viene a corrispon-dere la sovrabbondanza della vita.

Dopo la risurrezione i discepolicomprendono pienamente il “segnodel tempio”: nel mistero pasquale alluogo fisico del culto, si è sostituito unluogo umano-divino, un corpo di uo-mo in cui abita lo Spirito di Dio.1 LaChiesa fin dai suoi albori ha ribaditola consapevolezza che «Cristo nonpuò abitare in un tempio fatto da ma-ni di uomo» (At 7,48). Così commentapadre Marsili: «Il risorgere del Signorenon è stato infatti solo il “rialzarsi”del suo “corpo” in quanto tale, ma è

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stato anche il “rialzarsi del suo corpo-tempio non fatto da mano d’uomo”un “tempio che non si restringerà piùormai solo al “corpo” umano di Cri-sto. Su di lui […] si edificheranno “pie-tre vive su pietra viva”, i cristiani performare “la casa spirituale di Dio”(1Pt 2,5) e il “tempio di Dio nello Spi-rito (Ef 2,21-22)».2 La Chiesa ha quindiconcepito se stessa come il corpo /tempio che continuamente cresce e siedifica nello Spirito. La dinamica sa-cramentale ha precisamente lo scopodi inserire ciascun uomo nel mistero disalvezza compiuto in Cristo.

Questo avviene ancora una voltacon parole e gesti (verbis et rebus),definiti efficaci in quanto, operandoin essi la forza dello Spirito, realizzanociò che le parole dicono e i segni indi-cano.

Nel corso dei secoli la riflessioneteologica della Chiesa ha posto l’ac-cento su diversi aspetti della teologiasacramentaria, anche secondo le solle-citazioni e i problemi che venivanosollevati dai diversi contesti culturali.Ad esempio il Concilio di Trento, po-nendo fine a elencazioni che ritrovia-mo nel corso di tutto il basso Medioe-vo, definì il numero di sette sacramen-ti che trovano in Gesù Cristo il loroistitutore,3 e ribadì il concetto di effi-cacia, indipendente dalla santità per-sonale del ministro (ex opere opera-to).4

La riflessione teologica che ha so-stenuto il movimento liturgico del No-vecento, e i cui frutti più maturi sonostati recepiti nei documenti del Conci-lio Vaticano II, libera ormai dai condi-

zionamenti polemici dell’epoca dellaRiforma protestante, ha potuto risali-re a monte dei problemi posti dall’ef-ficacia (senza per questo negare osminuire le definizioni tridentine), in-terrogandosi tanto sul concetto di isti-tuzione da parte del Signore, quantosulla natura e la finalità dei sacramen-ti.

La riflessione sull’istituzione non silimita più agli “ipsissima verba Iesu”(ossia alle parole precise pronunciatedal Signore, che si possono porre afondamento costitutivo del sacramen-to; per esempio: «Questo è il mio cor-po… Fate questo in memoria di me»)o alle testimonianze che indicano latradizione ininterrotta dagli alboridella Chiesa nascente, ma indaga an-che il segno sacramentale nella suaorigine antropologica e biblica, cer-cando di mettere in luce l’atteggia-mento del Signore il quale, come giànotato, passa al vaglio i segni che ave-va a disposizione ora confermando,ora rinnovando, ora infine scartando.In quest’opera di vaglio si notano al-cune costanti che rivelano in filigranalo stile dell’azione di Gesù:5 la volontàdel Signore di incontrare gli uominisingolarmente, in modo personale, ir-ripetibile per ciascuno, avviando unrapporto diretto che, se ricambiato, sirivela intenso e veritiero. Si pensi all’e-pisodio di Zaccheo o al giovane ricco.La debolezza umana, l’infermità, il bi-sogno fisico o psichico “commuovo-no” Gesù e lo spingono all’azione. L’i-niziativa del Signore non si arrestanemmeno di fronte a quelli che, per lasocietà del tempo, erano gli “irrecu-perabili” o addirittura veri e propri

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“morti viventi”: pubblicani, ossessi,lebbrosi. Ove troviamo un interventoprodigioso, esso presenta una dinami-ca strutturata in quattro tappe: si par-te da una situazione umana che ri-chiede soccorso, si assiste a una pro-fessione di fede in Cristo come libera-tore e salvatore; a questo punto il Si-gnore interviene, sempre in modo au-toritativo e determinante, e il suo in-tervento risolutore provoca stupore egratitudine negli astanti. Verrebbe vo-glia di leggere con questo schema in-terpretativo la dinamica catechistica ecelebrativa dei sacramenti nelle nostrecomunità… E gli atteggiamenti di Cri-sto, affettivamente ed effettivamentevicino a chi lo interpellava, non do-vrebbero forse dettare la normalità(ossia lo svolgimento secondo un mo-dello normativo) della pastorale?

Se il ministero pubblico prepara idiscepoli, e la Chiesa con loro, al cul-mine del mistero pasquale, lo stile diGesù vincola la Chiesa a una consape-vole conformazione all’esempio delMaestro nel suo essere oggi sacramen-to di Cristo risorto per l’umanità biso-gnosa di salvezza. Tutto questo nonsolo regola la modalità pastorale, madà anche i criteri per una valutazionedelle parole e dei segni efficaci di gra-zia.

Le parole.

Si distinguono in maniera radicaledalle formule magiche:

la formula sacramentale ha valorein quanto si fonda sulla Scrittura e ri-manda a essa, non solo per via di cita-zione esplicita (le parole dell’istituzio-ne nella messa non riproducono ad

verbum il testo biblico), ma comecomplesso della Parola rivelata. Ogniparola della Chiesa suppone e riceveefficacia dalla Parola. In secondo luo-go, essa rimanda a Colui che è la Pa-rola incarnata, al Verbo di Dio, sacra-mento originario della redenzione. Iministri della Chiesa nei sacramentiparlano e agiscono in persona Christi.Quando la Chiesa battezza è Cristoche battezza,… Molti ricordano unascena di un film girato agli inizi deglianni Settanta: un sacerdote in pienacrisi di fede, di fronte a uno sconcer-tato giovane confratello che tenta diparlargli, pronuncia le parole dell’isti-tuzione su una quantità smisurata divino, sul tavolo di un ristorante echiede al confratello se credesse dav-vero che quello potesse essere il San-gue di Cristo. Lasciamo la trama delfilm: una formula usata senza consa-pevolezza della presenza santificantedi Cristo, sciolta dall’azione liturgica,dal riferimento alla Parola di Dio, dal-la dinamica trinitaria vivificata dalloSpirito Santo, dall’intenzione di fareciò che fa la Chiesa per portare neltempo la salvezza compiuta in Cristo,è solo un abracadabra travestito da li-turgia.

La parola nella liturgia è poietica,ossia fa mentre dice, rende presentela realtà che indica, ma non possiedemai tale realtà, non ne è padrona (adifferenza di quanto pretende la for-mula magica). Essa indica l’evento e loinvoca, in un gioco dinamico di identi-ficazione e differenza che, mantenen-do la distanza di Colui che pure è pre-sente, schiude al finito la prospettivadell’infinito.6

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I segni.

L’attenzione alla comprensibilità ri-chiede che la Chiesa eserciti sempre ilcompito di continuare il discernimen-to tra i segni fondamentali, radicatinell’ontologia dell’essere umano enella volontà fondativa del Signore, ealtri che col tempo possono smetteredi significare o addirittura diventareequivoci. Tale discernimento pruden-te, che va realizzato anche nell’incon-tro con altre culture (inculturazione),spetta appunto alla Chiesa, la qualedeve compaginare fedeltà al dato ori-ginario e necessità di comunicazione,non al singolo cristiano (anche se sa-cerdote), ma ciò non dispensa ciascunparroco, ciascun catechista, ciascungenitore cristiano a riflettere sul fattoche molti segni oggi non possiedonopiù l’immediata comprensibilità di untempo e richiedono un’opportunamediazione. Facciamo solo alcuniesempi spiccioli: la casa per molte ge-nerazioni era il luogo simbolico del ra-dicamento, personale e familiare, nel-la vita e nella storia. Spesso era statacostruita da un antenato; vi erano na-ti e morti i propri nonni e i propri ge-nitori, là si era nati e là di desideravamorire… Oggi molti pagano una pi-gione, cambiano casa più volte, pos-siedono tre case (città, mare, monta-gna) o sono sballottati tra genitori se-parati: cosa comprenderanno questepersone del legame tra un edificio, laChiesa – domus Ecclesiae, e la comu-nità che vi si raduna? Come far capirela differenza tra quella costruzione eun qualunque altro edificio pubblico,o aperto al pubblico, in cui si dispen-sano servizi? Il segno della luce nelle

sue diverse espressioni (dal lucernariodella notte di Pasqua alla candela bat-tesimale, dalla festa della Presentazio-ne del Signore a tutti i testi eucologicie scritturistici che fanno riferimentoalla notte e all’irruzione del lumino-so), quanto parlano (e che cosa dico-no) a chi è nato in una civiltà che nonha paura, né esperienza del buio, da-to che la luce elettrica è disponibilesempre e al comando di un banale in-terruttore?

Quanto alla finalità dei sacramenti,la Sacrosanctum Concilium (n. 59) diceche «i sacramenti sono ordinati allasantificazione degli uomini, alla edifi-cazione del Corpo di Cristo e, infine, arendere culto a Dio; in quanto segnihanno poi anche la funzione di istrui-re». Alle finalità di santificazione del-l’uomo, di azione di grazie, di edifica-zione del Corpo mistico, si aggiungeuna funzione pedagogica, in quanto«non solo suppongono la fede, macon le parole e gli elementi rituali lanutrono, la irrobustiscono e la espri-mono» (ibid.). È appena il caso di no-tare che di questa quadruplice finalitàmolti cristiani colgono con discretaapprossimazione soltanto la prima di-mensione.

Attenendoci al tema scelto perl’articolo, ci limitiamo ad aggiungereun’ultima parola sulla dimensioneespressiva. La qualità e la verità deisegni sono condizioni irrinunciabiliperché essi continuino a parlare. Tut-ti i pastori e gli animatori della litur-gia si sono sentiti dire almeno unavolta durante la loro formazione chel’acqua deve bagnare, l’olio deve un-

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gere, la cenere sporcare, la lucesplendere nel buio. Le parole poi de-vono essere sempre veridiche e pro-vocare a verità, alla corrispondenzatra cuore e voce: l’inno dei vespri diquaresima inizia chiedendo a Dio diaccogliere “le preghiere e le lacri-me”. La traduzione italiana già atte-nua in un più generico “tempo san-to” quello che nell’originale latino è“l’astinenza di quaranta giorni”(«abstinentia quadragenaria»).7 Leparole della preghiera suppongono /irrobustiscono / esprimono (per se-guire la terminologia conciliare) l’a-desione personale e comunitaria alclima spirituale della quaresima? Al-trimenti, ad quid? Non è solo unaquestione di regia liturgica. L’uomo ècorpo e anima (non un’anima impri-

gionata in un corpo). Vive e si espri-me nella coerente interazione tracorpo e anima. Forte di questo fon-damento antropologico, l’annunciocristiano non si rivolge mai solo allamente, non chiede solo un’adesioneintellettuale, ma chiede un’adesionepersonale che si esprime simbolica-mente. Del resto, lo stesso contenutodel kerygma (incarnazione – morte erisurrezione del Signore) non è unprogramma ideologico, ma un an-nuncio di vita che chiede una rispostanella vita. La liturgia quindi non soloinaugura un’esistenza nuova, ma lofa in quanto è già essa vita nuova, incui il cristiano si esprime con parole egesti, che solo la fede giustifica e cheal contempo le danno nuovo vigore enutrimento.8

1 Cf. S. MARSILI, La Liturgia culto della Chiesa, in La Liturgia.Momento nella storia della salvezza, Genova 1979(Anamnesis, 1), pp. 114-118.

2 Ibid., p. 117.3 Concilium Tridentinum, sessio VII, 3 mart. 1547, n. 1 in

Conciliorum Oecumenicorum Decreta [COD], Basileae –Barcinone – Friburgi – Romae – Vindobonae 1962, pp.660-661. Quanto al numero dei sacramenti, è più esattodire che il Concilio Tridentino condannò tutti coloro cheasserivano che i sacramenti fossero in numero maggioreo minore di sette.

4 Ibid., nn. 6-8. 12.5 Riprendiamo qui le riflessioni di A. Marangon, Dai sacra-

menti verso Gesù di Nazaret, in “Rivista liturgica” 1(1998), pp. 7-20.

6 Cf. S. MAGGIANI, Istituzione dei sacramenti e “lex orandi”,in “Rivista liturgica”, 1 (1998), pp. 151-174.

7 Inno Audi benigne conditor. In un’altra versione si parladi digiuno quaresimale («Audi benigne Conditor, nostraspreces cum fletibus in hoc sacro ieiunio fusas quadrage-nario»).

8 Cf. MAGGIANI, art. cit.

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«I nnalzato sulla croce, nel suoamore senza limiti, (Cristo)donò la vita per noi e dalla

ferita del suo fianco effuse sangue eacqua, simbolo dei sacramenti dellaChiesa, perché tutti gli uomini, atti-rati al cuore del Salvatore, attinges-sero con gioia alla fonte perennedella salvezza» (Messale Romano,Prefazio della Solennità del Sacratis-simo Cuore di Gesù). Ogni sacramen-to è segno efficace della Grazia, cheagisce ex opere operato in quanto èCristo stesso che agisce. Ogni sacra-mento è pure sacramento pasquale,cioè frutto della morte e resurrezio-ne di Cristo. Di fatto, tutti i sacra-menti sono partecipazione al Miste-ro pasquale di Cristo per le diversenecessità dell’uomo. Da tale dono diCristo nasce, cresce e si edifica laChiesa, «la quale - come afferma l’a-postolo Paolo - è il suo corpo, la pie-nezza di Colui che si realizza intera-mente in tutte le cose». La vita divi-na nasce e cresce perché originatadal dono del corpo di carne del Cri-sto, innalzato sulla Croce. La nascitadi una realtà è sempre profonda-mente legata a un gesto di amore. Ilnostro esistere è originato e ricevesenso in tutto il suo corso dalla par-tecipazione ai sacramenti, che, nelmistero, realizzano in noi la morte ela resurrezione di Gesù. La vita dellaChiesa scaturisce dalla Pasqua di Cri-sto. Il nuovo Adamo, addormentato

sulla Croce, fa scaturire dal suo fian-co squarciato l’acqua del Battesimo eil sangue dell’Eucarestia. Il Misteroannunciato, celebrato, vissuto, con-templato nella Chiesa è la chiave er-meneutica e il contesto esistenzialedella vita divina. Il Catechismo dellaChiesa Cattolica afferma che «laChiesa è il sacramento dell’azione diCristo, che opera in essa grazie allamissione dello Spirito… I sacramentifanno la Chiesa in quanto manifesta-no e comunicano agli uomini, so-prattutto nell’Eucarestia, il Misterodella comunione del Dio Amore, Unoin tre Persone» (CCC n. 1119).

Il verbo “rimanere”, tanto caro al-l’evangelista Giovanni, provoca nelcredente la certezza che scaturiscedalle stesse parole di Gesù: «Chi ri-mane in me e io in lui, porta moltofrutto» (Gv 15). Thomas Merton hascritto che «la vita spirituale è anzi-tutto una vita. Non è soltanto qual-cosa che va conosciuto e studiato, bi-sogna viverla. Come ogni vita si am-mala e muore quando è sradicata dalsuo elemento vitale» (Pensieri nellasolitudine, pag. 39). «Rimanete nelmio amore» (Gv 15, 9): «Siamo chia-mati a dimorare nell’amore suo pernoi, che è lo stesso che il Padre haper lui e per noi. Questa è la nostracasa, dove possiamo vivere e ritrova-re la nostra identità di figli di Dio edi fratelli. L’unico amore tra Padre eFiglio circola anche in noi e ci fa di-

Dai Sacramenti nasce e cresce la vita divinadi don Marco Gandolfo

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Cabasilas nel testo sopra citato affer-ma che «chi ha deciso di vivere in Cri-sto deve stare accanto a quel cuore ea quel capo, poiché non da altro civiene la vita; ma ciò non è possibilesenza volere le medesime cose chevuole il Cristo. È necessario, dunque,per quanto è possibile all’uomo, eser-citare la propria volontà nella volontàdi Cristo e disporsi ad avere gli stessidesideri e a godere con lui delle stessegioie».

Il tema di questa riflessione tornaall’origine da cui era partito: i sacra-menti come luogo della nascita dellavita divina in noi. È da questa certez-za che il rinnovamento liturgico, apartire dalla Mediator Dei e poi at-traverso Sacrosanctum Concilium, haribadito che per ritus et praeces sicompie la santificazione dell’uomo:“Cristo in voi, speranza della gloria.È lui, infatti, che noi annunciamo…per rendere ciascuno perfetto in Cri-sto (Col 1, 27-28).

1 S. FAUSTI, Una comunità legge il vangelo di Giovanni, EDB Ancora.

morare nel Figlio come il Figlio nelPadre. Dimorare nel suo amore ci fadiventare figli di Dio: ci rende capacidi portare frutto, di amare i fratellicon il suo stesso amore. Se dimoria-mo nel suo amore, siamo realmentedivinizzati perché l’amore è comuni-cazione di ciò che si ha e si è. Il disce-polo che Gesù amava è modello diogni discepolo: dimora nel suo amo-re, adagiato nel suo grembo e pog-giato sul suo petto, fino a stare ai pe-di della croce e scrutare nel suo fian-co trafitto».1

Il primo capitolo del VI Libro de LaVita in Cristo, di Nicola Cabasilas, por-ta come titolo: “Chi comunica al Cristonei misteri deve essere unito a lui nel-la volontà”. Il verbo dimorare dell’e-vangelista Giovanni illumina il misterodella volontà umana del discepolo diGesù Cristo, che non può e non vuolepercorrere una strada diversa se nonquella che gli stessi sacramenti hannosolcato nella sua esistenza cristiana. Il

Icona Ultima Cena, particolare, Benedetto Emporios, sec XVII

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È dedicato a Maria, “donna eu-caristica”, il sesto e ultimo ca-pitolo della enciclica Ecclesia

de Eucharistia, intitolato “Alla scuoladi Maria, donna eucaristica”. “Se vo-gliamo riscoprire in tutta la sua ric-chezza il rapporto intimo che lega

Chiesa ed Eucaristia – scrive ilPapa -, non possiamo dimen-ticare Maria, Madre e model-lo della Chiesa… In effetti,Maria ci può guidare versoquesto Santissimo Sacramen-

to, perché ha con esso una relazioneprofonda”. Sebbene il Vangelo nonaccenni a Maria raccontando l’istitu-zione dell’Eucaristia, tuttavia Ella èpresente tra gli Apostoli nella primacomunità riunita dopo l’Ascensione,in attesa della Pentecoste. E la suapresenza non poté certo mancarenelle celebrazioni eucaristiche tra ifedeli della prima generazione cri-stiana. “Ma al di là della sua parteci-pazione al Convito eucaristico, il rap-porto di Maria con l’Eucaristia si puòindirettamente delineare a partiredal suo atteggiamento interiore. Ma-ria è donna ‘eucaristica’ con l’interasua vita. La Chiesa, guardando a Ma-ria come a suo modello, è chiamataad imitarla anche nel suo rapportocon questo Mistero santissimo”.

L’Eucaristia è mistero di fede, checi obbliga al più puro abbandono al-la parola di Dio, e nessuno come Ma-ria può esserci di sostegno e di guida

in tale atteggiamento. Il nostro ripe-tere il gesto di Cristo nell’Ultima Ce-na in adempimento del suo mandato:“Fate questo in memoria di me!” di-venta al tempo stesso accoglimentodell’invito di Maria ad obbedirglisenza esitazione: “Fate quello che vidirà”. Con la premura materna testi-moniata alle nozze di Cana, Mariasembra dirci: “Non abbiate tentenna-menti, fidatevi della parola di mio Fi-glio. Egli, che fu capace di cambiarel’acqua in vino, è ugualmente capacedi fare del pane e del vino il suo cor-po e il suo sangue, consegnando inquesto mistero ai credenti la memo-ria viva della sua Pasqua, per farsi intal modo ‘pane di vita’”.

Offrendo il suo grembo all’incar-nazione del Verbo, Maria in un certosenso, “ha esercitato la sua fede eu-caristica prima ancora che l’Eucaristiafosse istituita”. Pur rinviando allapassione e alla Risurrezione, l’Eucari-stia si pone infatti anche in conti-nuità con l’Incarnazione. “Maria con-cepì nell’Annunciazione il Figlio divi-no nella verità anche fisica del corpoe del sangue, anticipando in sé ciòche in qualche misura si realizza sa-cramentalmente in ogni credente chericeve, nel segno del pane e del vino,il corpo e il sangue del Signore”. IlPapa mette quindi in luce l’analogiaprofonda che esiste tra il “fiat” pro-nunciato da Maria alle parole del-

Ecclesia de Eucharistia (7)di Stefano Lodigiani

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l’Angelo, e “l’amen” che ogni fedelepronuncia quando riceve il corpo delSignore. “A Maria fu chiesto di cre-dere che colui che Ella concepiva peropera dello Spirito Santo era il Figliodi Dio. In continuità con la fede dellaVergine, nel Mistero eucaristico civiene chiesto di credere che quellostesso Gesù, Figlio di Dio e Figlio di

Maria, si rende presente con l’interosuo essere umano-divino nei segnidel pane e del vino”. Quando Mariasi reca a visitare la cugina Elisabetta,porta in grembo il Verbo fatto carne,a si fa, in qualche modo, “tabernaco-lo” – il primo tabernacolo della storia– dove il Figlio di Dio, ancora invisibi-le agli occhi degli uomini, si concede

all’adorazione di Elisa-betta, “quasi irradian-do la sua luce attraver-so gli occhi e la voce diMaria”.

Trascorren-do accanto alFiglio tutta lavita, Maria fe-ce sua anche la dimen-sione sacrificale del-l’Eucaristia. Da quan-do si sentì annunciaredal vecchio Simeoneche quel Bambino sa-rebbe stato “segno dicontraddizione” e cheuna spada avrebbetrapassato anche l’ani-ma di lei, Maria si pre-parò giorno per gior-no al Calvario, vivendouna sorta di “Eucari-stia anticipata”, si di-rebbe una “comunio-ne spirituale” di desi-derio e di offerta, cheavrà il suo compimen-to nell’unione col Fi-glio nella passione, esi esprimerà poi, nelperiodo post-pasqua-le, nella sua partecipa-

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Visitazione, Giacomo Zaboli, Basilica di S. Eustachio, Roma, sec XVIII

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zione alla celebrazione eucaristica,presieduta dagli Apostoli, quale me-moriale della passione. “Riceverel’Eucaristia doveva significare perMaria quasi un ri-accogliere in grem-bo quel cuore che aveva battuto al-l’unisono col suo e un rivivere ciòche aveva sperimentato in primapersona sotto la Croce”.

Il capitolo si chiude con una rilet-tura del Magnificat in prospettiva eu-caristica: “L’Eucaristia, infatti, come ilcantico di Maria, è innanzitutto lode

e rendimento di grazie.Quando Maria esclama ‘L’a-nima mia magnifica il Signo-re e il mio Spirito esulta inDio mio salvatore’, ella portain grembo Gesù. Loda il Pa-

dre «per» Gesù, ma lo loda anche«in» Gesù e «con» Gesù. È precisa-mente questo il vero «atteggiamentoeucaristico».”

Nella Conclusione, posta a sug-gello dell’Enciclica, Giovanni Paolo IIpresenta la sua ardente testimonian-za di fede nella Santissima Eucaristia.“Da oltre mezzo secolo, ogni giorno,da quel 2 novembre 1946 in cui cele-brai la mia prima Messa nella criptadi San Leonardo nella cattedrale delWawel a Cracovia, i miei occhi si sonoraccolti sull’ostia e sul calice in cui iltempo e lo spazio si sono in qualchemodo «contratti» e il dramma delGolgota si è ripresentato al vivo, sve-lando la sua misteriosa «contempora-

neità». Ogni giorno la mia fede hapotuto riconoscere nel pane e nel vi-no consacrati il divino Viandante cheun giorno si mise a fianco dei due di-scepoli di Emmaus per aprire loro gliocchi alla luce e il cuore alla speran-za”.

All’alba del terzo millennio la Chie-sa è sollecitata a camminare con rin-novato slancio nella vita cristiana,energia che necessariamente le vieneattraverso l’Eucaristia. “Nell’Eucaristiaabbiamo Gesù, abbiamo il suo sacrifi-cio redentore, abbiamo la sua risurre-zione, abbiamo il dono dello SpiritoSanto, abbiamo l’adorazione, l’obbe-dienza e l’amore al Padre. Se trascu-rassimo l’Eucaristia, come potremmorimediare alla nostra indigenza?”

Infine il Papa ricorda che il misteroeucaristico – sacrificio, presenza, ban-chetto – “non consente riduzioni, néstrumentalizzazioni; va vissuto nellasua integrità, sia nell’evento celebra-tivo, sia nell’intimo colloquio con Ge-sù appena ricevuto nella comunione,sia nel momento orante dell’adora-zione eucaristica fuori della Messa.Allora la Chiesa viene saldamenteedificata e si esprime ciò che essa ve-ramente è: una, santa, cattolica eapostolica; popolo, tempio e famigliadi Dio; corpo e sposa di Cristo, ani-mata dallo Spirito Santo; sacramentouniversale di salvezza e comunionegerarchicamente strutturata.”

(fine)

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F in dall’inizio c’era nel cristiane-simo una grande diversità traChiesa e Chiesa. Fin dall’inizio

troviamo tanti riti diversi per cele-brare l’Iniziazione cristiana e l’Euca-ristia, e fin dall’inizio tante interpre-tazioni di quello che si celebra, di-verse da luogo a luogo. Riguardo leorigini delle tradizioni liturgiche visono due teorie, una di E. Probst chele individuava nel binomio Annun-cio-Rito apostolico, rito che incontradiverse culture e dà luogo a una plu-ralità di tradizioni. La seconda teo-ria, vincente, formulata da A. Baum-stark, parte proprio dalla costatazio-ne sopra riportata che fin dagli inizivi sono tante prassi e tradizioni localiche lentamente vanno incontro a unprocesso di semplificazione. Ma inche modo? Con un esempio sempli-ce, ma efficace, anche se poco litur-gico, si può dire che nell’evoluzionedelle liturgie “il pesce grande, man-gia il pesce piccolo”.

Infatti occorre mettere in rappor-to l’affermazione di queste tradizio-ni locali con l’organizzazione geo-grafico-amministrativa della Chiesa.Nel momento in cui una città diventaegemone dal punto di vista ecclesia-stico-amministrativo all’interno diuna provincia ecclesiastica, anche latradizione teologico-l iturgica diquella sede diventerà egemone ri-spetto agli altri centri: allora “man-gerà“ le altre tradizioni locali e tutti

si uniformeranno alla tradizione del-la città emergente. Si parte con tan-te tradizioni liturgiche diocesane, ri-dotte a poche tradizioni metropoli-tane, fino a giungere a una sola tra-dizione, quella della città patriarca-le, imposta ormai a tutte le metropo-lie e diocesi. Si tratta di unprocesso evolutivo che valetanto per l’Oriente, quantoper l’Occidente.

Qual è il risultato di tuttoquesto processo? Non soloche oggi ci siano molte tradi-zioni locali, ma che nel passato ce nefossero molte di più di quelle che co-nosciamo oggi. Noi conosciamo oggile seguenti tradizioni: Siriaca, con unpaio di varianti, Bizantina, Romana,Armena, Copta ed Etiopica, ma que-sti sono solamente miseri resti di unapluralità molto più grande e moltopiù diffusa. Questo principio deve es-sere assolutamente ritenuto: che co-sa c’era in principio? In principio c’e-ra la diversità e la pluralità,e quindinon dobbiamo sorprenderci se diver-se tradizioni permangono fino a og-gi. La diversità delle Chiese non èfrutto della concessione di qualcunoverso qualcun altro, ma è il risultatodi un processo storico all’interno del-la Chiesa.

Ci sono altri punti che hanno de-terminato il tipo di configurazione di

Le origini delle Tradizionidi Stefano Parenti

Chiesedell’orientecristiano

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FORMAZIONE LITURGICA

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queste grandi tradizioni. Quando es-se si affermano, il contesto non eraquello che conosciamo oggi. Ci tro-viamo in genere all’interno dell’Im-pero Romano. Ma non era l’unico.Abbiamo l’Impero Romano da unaparte, e il non Impero Romano dal-l’altra. Questo giocherà un ruolo ab-bastanza importante. Nel 392 l’Impe-ro Romano viene diviso a metà, inImpero d’Occidente e Impero d’O-riente. Questo ha creato di fatto, oha contribuito a creare due modelli

culturali diversi e due tipolo-gie, se pur complementari,di cristianità. Questo è mol-to importante. Ma anche lapresenza di comunità cristia-ne al di fuori dei confini del-l’Impero ha una sua impor-

tanza. Fuori dell’impero si-gnifica fuori della garanzia del libe-ro esercizio del culto e del pensiero.Questo voleva dire essere cristiani inun contesto statale sfavorevole. Enon è caso che proprio la Chiesa As-sira, per dirla un po’ scherzando, ab-bia fatto le valigie dalla comunionecristiana per prima: si trovava in uncontesto politico apertamente sfavo-revole al cristianesimo, dove c’erapoco da guardare ai dogmi, perchébisognava garantire ai cristiani la so-pravvivenza. Sono problemi l’Europaavrebbe ritrovato a distanza di moltisecoli, dopo la IIª Guerra mondiale,con la creazione di zone di isolamen-to.

Un ruolo importante fu svolto an-che dalle controversie dogmaticheche riguardano la Dottrina cristologi-ca del quinto secolo, ma già in epoca

precedente, crisi come per esempioquella ariana, sembra avessero de-terminato l’istituzione di una festadella Incarnazione: Natale, Epifania.Nelle preghiere eucaristiche comin-ciano a trovarsi echi delle controver-sie trinitarie. La preghiera eucaristica(anafora) è una specie di spugna chein condizioni normali di vita di unaChiesa registra e assorbe tutto quelloche c’è nell’aria. Per questo le anti-che anafore orientali sono piene didottrina trinitaria, e per questo lemoderne anafore romano-cattolichesi esprimono con un linguaggio dellanostra cultura contemporanea. Sel’anafora, se la preghiera eucaristicaè il centro della vita liturgica dellaChiesa, è fuori di dubbio che debbaregistrare quelli che sono i movimen-ti culturali del tempo.

Un altro elemento che giocò unruolo determinante nell’elaborazio-ne delle tradizioni liturgiche fu ilmonachesimo, con la creazione digrandi centri in Egitto (alto e bassoEgitto), Palestina, Cappadocia, An-tiochia, fino al deserto della Meso-potamia. La comparsa del monache-simo crea un doppio indirizzo cele-brativo dentro la Chiesa: una liturgiaper comunità monastiche, una litur-gia per comunità non monastiche,cioè parrocchiali e cattedrali. All’in-terno delle famiglie liturgiche si ge-nera un ulteriore tipo di diversità epluralismo.

Un altro aspetto da tenere pre-sente sono i viaggi e gli scambi com-merciali. Basta leggere il celebre Dia-rio della pellegrina Egeria. Se Egeria

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fosse viva, sicuramente gli sarebbeconferito un dottorato “honoris cau-sa” in teologia liturgica perché nonsolo registrava gli usi, ma faceva ledifferenze tra quello che vedeva equello che si faceva in Occidente, acasa sua (fanno come noi…, non fan-no come noi…) e questo significaavere uno spirito critico che è assolu-tamente necessario per i nostri studi.

Altro punto da sottolineare. L’au-torità di alcuni Padri della Chiesa aiquali vengono ascritte delle compo-sizioni, testi ai quali si voleva assicu-rare un prestigio. Quelle attribuzionisono fondate, per due motivi: o il Pa-dre al quale il formulario è ascrittoha composto davvero il testo, oppu-re lo ha almeno rimaneggiato. Quin-di c’è comunque un legame tra il no-me e l’opera. È chiaro che questi te-sti, forniti dell’autentica di autori co-sì importanti quali Giovanni Crisosto-mo o Basilio, si diffusero in altreChiese, proprio perché avevano unapatente d’importanza, di legittimitàe di ortodossia del contenuto.

Non bisogna poi dimenticare l’o-pera legislativa dei Sinodi locali e deiConcili e, come ultimo punto, i mutuiscambi di persone sulle sedi episco-pali. Così Ireneo, vescovo di Lione,era un greco e molti orientali, cioèsiri e greci, sono stati vescovi di Ro-ma. Questo scambio portava anche auno scambio di tradizioni liturgichenella celebrazione dei sacramenti.

Vorrei aggiungere una considera-zione conclusiva. I contatti tra leChiese dell’Oriente cristiano e la

Chiesa Romano-Cattolica in epocamoderna hanno innescato un proces-so di svuotamento della identità del-le prime, perché la loro teologia, laloro liturgia e anche il loro diritto so-no stati corretti in più punti, dovenon collimavano con la dottrina ro-mano-cattolica così come era espres-sa nei canoni del Concilio di Trento.Questo processo si chiama volgar-mente di latinizzazione. Che cosa di-re di questo processo? Tutta la storiadelle liturgia cristiane è una storia discambi fra tradizioni. Allora,come è possibile che sola-mente il rito romano debbaessere escluso da questoscambio di tradizioni? Suquali basi noi possiamo direche la Tradizione di Costan-tinopoli, che la Tradizionedell’Assiria abbia influito su quella diCostantinopoli e viceversa, che l’anti-ca Tradizione di Gerusalemme ha in-fluito sulla Tradizione dell’Armenia,e via di questo passo, e poi negare alrito romano il diritto di influire suqueste tradizioni? Quale dovrebbeessere la base scientifica per cui il ri-to romano debba essere escluso dal-l’influenzare un’altra liturgia cristia-na? In realtà non c’è nessun motivoche escluda il rito romano da questotipo di osmosi. Ma il problema peròva contestualizzato diversamente.Tutti gli scambi sono avvenuti nelpassato all’interno di Chiese che con-dividevano un’ecclesiologia e anchealcuni aspetti comuni nella formula-zione della dottrina. Per cui, in quelcontesto, il Rito Romano aveva pienacittadinanza di influire e di circolarein interazione con gli altri. Ma oggi,

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essendo arrivati a una confessionaliz-zazione delle tradizioni con diver-genze di formulazione su alcuni pun-ti del dogma e della professione difede, con alcune differenze liturgi-che pronunciate e con una spiritua-lità talmente caratteristica di ciascu-na Chiesa da esserne esclusiva, gliscambi, le influenze reciproche, por-terebbero a un terremoto, perchéavrebbero come conseguenza l’alte-razione della identità ecclesiale. Perquesto il processo di latinizzazione

delle Chiese orientali dopo ilConcilio di Trento era unprocesso non corretto, per-

ché ormai l’identità di quelle Chiesesi era formata. È importante sottoli-neare queste cose, poiché bisognadistinguere il punto di vista scientifi-co dal punto di vista concreto, all’in-terno di un contesto cronologicochiaro e preciso. Oggi l’indirizzo se-guito dalla Chiesa Cattolica è quellodi far tornare le Chiese orientali cat-toliche alla loro tradizione origina-ria, ma rischia di essere una battagliapersa in partenza, che ha come esitoil disorientamento: prima a questeChiese si disse di cambiare in un sen-so, adesso viene detto di cambiare inun altro.Chiese

dell’orientecristiano

Icona, La discesa dello Spirito Santo,Scuola di Mosca, sec. XVII

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P er comprendere profondamen-te il significato del padre spiri-tuale occorre capire il senso

che nella tradizione cristiana ha iltermine “spirituale”. Certamente oc-corre guardare come la Sacra Scrittu-ra parla dello Spirito: “E quando viconsegneranno nelle loro mani, nonpreoccupatevi di come o di che cosadovrete dire, perché vi sarà suggeritoin quel momento ciò che dovrete di-re: non siete infatti voi a parlare, malo Spirito del Padre vostro che parlain voi” (Mt 10,19-20). La direzionespirituale infatti si realizza soprattut-to attraverso la parola, così come simostra nelle domande dei discepolinei Detti dei padri del deserto: “Pa-dre, dammi una parola di salvezza”.Così troviamo ancora nella SacraScrittura Gesù che dice: “Chi ascoltavoi ascolta me, chi disprezza voi di-sprezza me. E chi disprezza me di-sprezza colui che mi ha mandato” (Lc10,16). Quel “voi” si riferisce agliApostoli, poiché coloro che seguonouna vita apostolica, secondo il signifi-cato originario, sono persone spiri-tuali. Sant’Ireneo dà una definizionedi persona spirituale nel suo Controgli eretici: “L’unione della carne edello spirito nella creatura umana, ri-cevendo lo Spirito di Dio, realizzal’uomo spirituale”. Subordinato algrande dono dello Spirito di Dio cheè amore, ci sono i carismi di cui parlasan Paolo, il più importante dei quali

è la profezia. Così afferma sant’Ire-neo: “Dio sarà glorificato nella suacreatura conformata e modellata sulproprio Figlio, poiché per le mani delPadre, cioè per mezzo del Figlio edello Spirito, l’uomo, non una suaparte, diventa simile a Dio. L’anima elo Spirito possono essere unaparte dell’uomo, non tuttol’uomo; l’uomo perfetto ècomposizione e unione del-l’anima che riceve lo Spiritodel Padre ed è unita alla car-ne: questa è la creatura a im-magine di Dio. Per questo l’A-postolo dice: “Parliamo di sapienzatra i perfetti” (1 Cor 2,6) chiamandoperfetti quelli che hanno ricevuto loSpirito di Dio e in qualunque linguasi esprimano mediante lo Spirito diDio, come egli faceva. Anche noi ab-biamo udito molti fratelli nella Chie-sa che avevano il carisma profetico emediante lo Spirito parlavano in tut-te le lingue e rivelavano le cose na-scoste agli uomini ed esponevano imisteri di Dio. Questi l’Apostolo chia-ma “spirituali” (V, 6,1).

Questo libero dono di Dio, chepresenta l’aspetto della conoscenzadei misteri di Dio e la capacità di co-noscere il cuore, è dato a beneficiodegli uomini, cioè per far diventarel’uomo spirituale un padre spirituale.Ancora sant’Ireneo afferma: “Perciòquanti hanno il pegno dello Spirito e

InDialogo

Il padre spirituale nella tradizione cristianadi don Giovanni Biallo

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non servono più alle passioni dellacarne, sottomettendosi invece alloSpirito e comportandosi in tutto inmodo spirituale, a ragione sono chia-mati spirituali dall’Apostolo, perchéin essi abita lo Spirito di Dio. Gli spiri-ti privi di corpo non sono uomini spi-rituali, ma la nostra natura, cioè l’u-nione dell’anima e del corpo che rice-ve lo Spirito di Dio, costituisce l’uomospirituale” (V, 8,2).

Leggiamo ancora alcuni esempi diScritti dei Padri del desertoper conoscere meglio il signi-ficato della vita spirituale.

Un tale chiese al padreAntonio: “Che devo fare perpiacere a Dio?”. E l’anziano

gli rispose: “Fa’ quello che ioti comando: dovunque tu vada abbisempre Dio davanti agli occhi, qua-lunque cosa tu faccia o dica, basatisulla testimonianza delle Sacre Scrit-ture; in qualsiasi luogo abiti, non an-dartene presto. Osserva questi treprecetti e sarai salvo”.

Due fratelli che vivevano in solitu-dine si incontrarono e uno disse al-l’altro: “voglio andare da abbà Zeno-ne e sottoporgli un pensiero”. E l’al-tro rispose: “Sì, voglio fare anch’io lastessa cosa”. I due dunque andaronoinsieme. Ciascuno prese in dispartel’anziano e gli manifestò i propripensieri. Il primo ebbe una conversio-ne davanti all’anziano, supplicandolotra molte lacrime che pregasse perlui. L’anziano gli disse: “Va’ e non tiscoraggiare, non parlare male di nes-suno e non trascurare la tua preghie-

ra”. Il fratello se ne andò e fu guari-to. L’altro, invece, manifestò il pro-prio pensiero all’anziano e aggiunse,senza vigore, né zelo: “Prega perme”; ma non lo chiese con insistenza.

Dopo un certo tempo, accadde lo-ro di incontrarsi, e uno chiese all’al-tro: “quando siamo andati dall’anzia-no, gli hai manifestato il pensieroche dicevi di volergli dire?”. Ed eglirispose: “Sì”. Gli chiese: “E ti è statodi giovamento l’averlo manifesta-to?”. Il fratello rispose: “Sì grazie allepreghiere dell’anziano Dio mi haguarito”. L’altro allora disse: “Io inve-ce, benché lo abbia manifestato, nonsento di essere guarito”. Gli disse co-lui che ne aveva tratto beneficio: “Inche modo hai supplicato l’anziano?”.Gli rispose: “Gli ho detto, prega perme perché ho questo pensiero”. Mal’altro gli disse: “Io, mentre gli mani-festavo il pensiero, bagnavo i suoipiedi con le mie lacrime, supplican-dolo di pregare per me, e grazie allesue preghiere Dio mi ha guarito”.

L’anziano raccontò questo fattoper insegnarci che chi supplica un pa-dre a proposito dei pensieri, lo devefare con fatica e con tutto il cuorecome se domandasse a Dio, e alloraottiene. Ma chi manifesta i pensiericon negligenza o per mettere l’anzia-no alla prova, non solo non ne traegiovamento, ma va incontro alla con-danna.

InDialogo

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XXVII DOMENICADEL TEMPO ORDINARIO C

3 ottobre

Servi inutili.

PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Abacuc (1,2-3;2,2-4)

Il profeta Abacuc, probabilmente all’ini-zio del VI secolo, inizia un dibattito conDio. Il nemico sta avendo la meglio sul po-polo eletto e il profeta grida al Signore.Certo il popolo è colpevole, si è macchiatodi molti peccati, ma i nemici non sono dameno, anzi sono certamente più empi edegoisti. Una cosa è certa, essi non credonoin Dio, né stanno dalla sua parte. Che giu-stizia c’è allora nel loro trionfo? Dio ricor-da al suo profeta che deve avere pazienza,per il momento Dio si attende che il giustosia fedele, poi anche la giusta punizione delmalvagio giungerà.

SECONDA LETTURA

Dalla seconda lettera di san Paolo aposto-lo a Timòteo (1,6-8.13-14)

Paolo è giunto alla fine di una vita lungae difficile, segnata da molte prove. Ora ilmaestro rivela al discepolo il segreto dellaforza che lo animava; non certo il timore ela paura, ma la confidenza in Dio nata dallascoperta del contenuto centrale della fedecristiana: l’amore di Dio in Cristo.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (17,5-10)

Aumenta la nostra fede! Gli apostoli

avrebbero voluto sentirla in loro, con forza,una fede solida, potente, incrollabile. Inqualche modo poterla toccare, per essererassicurati sul suo possesso, per affrontarela vita con la convinzione che la fede è tuae ne puoi disporre. La domanda sembra le-cita e per tanti versi è largamente condivisadai credenti di tutte le epoche. In particola-re nei tempi di incertezza, di sconvolgi-mento epocale e sociale, come è questo ini-zio di millennio, l’illusione di possedereuna tale fede, dell’esistenza di una via o unmetodo per conquistarla, attrae molti.

La ricerca dei miracoli e dei segnistraordinari, che coinvolge tante persone etraspare massicciamente dai mass-media,non è solo l’indizio di un gusto tipico delnostro tempo, segnato dall’esteriorità e dalmeraviglioso; ma soprattutto è motivata daquesto profondo desiderio di possedere unafede incrollabile, che dia certezza.

Anche e soprattutto nell’ambito della fe-de la nostra tentazione è quella di preoccu-parci di avere, di possedere, di essere i si-gnori e i padroni delle nostre certezze. Ge-sù argomenta proprio a partire da questeidee e da queste sensazioni per ricordaciche anche nell’ambito della fede il proble-ma non è di avere, di possedere, di poterdisporre, ma di essere.

“Se aveste fede quanto un granello disenape…”. Il primo messaggio è chiarissi-mo, anche se duro: noi della fede non ab-biamo alcun possesso. Neppure un granel-lino, il più piccolo che l’uomo riesce a in-travedere, riesce a rendere l’idea dellaenorme sproporzione tra quanto della fedeè possesso, conquista, costruzione umanae quanto è invece puro dono di Dio. Gesùnon aveva davanti uomini senza fede: la

La parola di Dio celebratadi don Nazzareno Marconi

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La parola di Dio celebrata

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sua affermazione sarebbe ingiusta se de-scrivesse coloro che lo circondavano e cheper la fede in lui avevano lasciato tutto elo avevano seguito con una generosità eun impegno fuori del comune. Gesù vole-va sottolineare che questa fede non era lo-ro, non era un possesso che potevano ge-stire, ma un dono di Dio, una grazia cheriempiva il loro cuore e che li aveva resicapaci di grandi cose, e nel futuro l iavrebbe resi capaci di cose ancora piùgrandi.

Come aveva profetizzato Abacuc, purtra persecuzioni, sofferenze e prove diogni tipo, “il giusto vivrà per la sua fede”.

Il controllo di questa straordinaria for-za comunicata agli apostoli stava però nel-le mani di Dio. A loro, come a bravi servi-tori, il compito di assecondare l’opera del-la grazia, senza pretese e senza rivendica-zioni.

“Siamo servi inutili”: non la superbiadel possesso ma l’umiltà del servizio èquello che Gesù chiede a quanti ricevonoda Dio il preziosissimo dono della fede.Questo fatto annulla ogni senso di superbianei confronti di chi non crede, senza smi-nuire la certezza di quale grande dono èavere la luce della fede.

Perché, giustamente, questo dono èquanto di più prezioso l’uomo può possede-re. La storia della Chiesa, storia di santistraordinari, è una prova costante e ricchis-sima di quanto la fede può operare: vera-mente può spostare le montagne.

“Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.Non ci mancheranno i segni, come non so-no mai mancati ai santi, ma nel rapportogiusto tra ciò che fa Dio e ciò che facciamonoi. Frutto di abbandono fiducioso e di ri-

spetto grato nei confronti di Dio e degli al-tri.

Se invece possedessimo la fede comeun capitale, una merce che si può acqui-stare, ben presto dimenticheremmo chi neè l’origine, colui che ce la dona tutti igiorni. Saremmo tentati di fondarci su noistessi e magari di credere di avere qualchediritto al suo amore, al suo aiuto. Gesù,con parole apparentemente dure ci ricordail giusto atteggiamento nei confronti diDio: siamo semplici servi e servi inutili, ilpadrone potrebbe benissimo fare a menodi noi. Se egli ci coinvolge nel grande pia-no della salvezza, chiedendo la collabora-zione della nostra fede, del nostro impe-gno di vita, questo è il primo segno delsuo amore, del grande riconoscimento didignità che Egli ci offre per pura grazia.Siamo dunque servi inutili, ma a quantiassumono questo atteggiamento Gesù, conprofonda gratitudine, verrà incontro con lebraccia aperte e dirà: “non vi chiamo piùservi, ma amici”.

XXVIII DOMENICATEMPO ORDINARIO C

10 ottobre

Dire grazie!

PRIMA LETTURA

Dal secondo libro dei Re (5,14-17)

Nella tradizione biblica si conserva il ri-cordo di molti miracoli compiuti da Eliseo,il profeta discepolo del grande Elia vissutonel IX secolo a.C. La guarigione del gene-rale siriano Naaman è sicuramente uno dei

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più noti. In un’epoca in cui la fede nel veroDio sembrava entrata irrimediabilmente incrisi nello stesso popolo eletto, uno stranie-ro, guarito dalla lebbra, viene a renderegloria all’unico Dio. Gesù stesso rimaseammirato di questo episodio, fino a citarlocome un modello di fede per i popoli paga-ni.

SECONDA LETTURA

Dalla seconda lettera di san Paolo aposto-lo a Timòteo (2,8-13)

Paolo ha incontrato spesso molte oppo-sizioni, non solo quella dei pagani, ma so-prattutto quella degli Ebrei, suoi fratellinella fede. E anche quella di cristiani rima-sti troppo attaccati alle pratiche e alle tradi-zioni religiose giudaiche, tanto da esseredefiniti dagli storici come Giudeo-cristiani.Tutto ciò non poteva però incatenare la pa-rola divina destinata a cambiare il mondoliberandolo dalle pastoie del ritualismo edel fondamentalismo.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (17,11-19)

Dieci lebbrosi si accostano a Gesù perchiedere di essere sanati. Come se li avessegià guariti, Gesù li invia a far constatare aisacerdoti la loro avvenuta guarigione. L’at-testazione scritta dei sacerdoti avrebbe loropermesso di tornare alla vita sociale, annul-lando il comando di vivere ai margini deivillaggi e lontano da ogni persona: una pre-cauzione sanitaria crudele verso i malati,ma che cercava almeno di salvare i sani dalcontagio della lebbra.

Essi vanno, ancora malati, ma fiduciosinella guarigione. Di fatto questa avverràlungo la strada, mettendo in chiaro il sensodel comando di Gesù: era la prova della fe-de che egli chiede loro, mettersi in cammi-no, già fiduciosi nel miracolo. È una provache tutti e dieci superano. E per questovengono sanati. Questi uomini che “stava-no a distanza” e che la vita sociale avevaemarginato, erano uomini di fede, di grandefede. È il primo messaggio di questo van-gelo! Emarginandoli, anche se apparente-mente per motivi validi e razionali, la so-cietà si era privata di una grande ricchezza:dieci uomini di grande fede. Ma anche die-ci uomini di grande sapienza. Un particola-re, forse secondario nell’inizio della para-bola, non dovrebbe però essere dimentica-to: uno di loro era un samaritano. Cioè unnemico, un avversario etnico, politico e re-ligioso. L’amara esperienza dell’emargina-zione li aveva arricchiti di una nuova sa-pienza, ed essi non emarginavano più. Al-meno nel loro gruppo di disperati e soffe-renti, tutti erano accolti.

Quanto può essere più povera una so-cietà che non sa farsi accogliente, ma emar-gina e divide gli uomini!

I dieci lebbrosi non hanno imploratoinvano la pietà di Gesù: lungo la strada ilmiracolo si compie. Certo la loro fede èstata grande. Quando sono partiti non ave-vano altro che la parola di Gesù, ma que-sto è bastato loro per mettersi in cammino.Una bellissima immagine di ciò che do-vrebbe sempre fare la Chiesa intera e ognisingolo cristiano di fronte alle difficoltà eai dubbi. Mettersi in cammino fiduciosi,perché la promessa di Dio non può abban-donarci.

La parola di Dio celebrata

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Ottenuta la salvezza, nove continuanonel cammino. Era logico il loro comporta-mento. Non erano andati da Gesù a chie-dere la guarigione? Una volta ottenutalache motivo c’era di tornare indietro? Nonera forse stato lo stesso Gesù a mettere lo-ro fretta: andare dai sacerdoti anche primadi essere sanati? Non era forse questa lacosa più importante? Poi magari avrebbe-ro anche avuto modo di ringraziare il lorobenefattore, di lodare Dio che li aveva sal-vati, ma ogni cosa a suo tempo. Il samari-tano, l’unico che torna indietro a ringra-ziare il Signore non dissente sul loro com-portamento. Poi anche lui andrà dai suoisacerdoti, obbedendo a una legge comuneper Ebrei e Samaritani. Ma dissente sul-l’ordine di priorità e soprattutto su unascoperta fondamentale. Vuol lodare Dio eringraziarlo per quanto ha ottenuto, e perfare questo non va al tempio, non si recadai sacerdoti dell’Antico Testamento, mava da Gesù. Se ha ottenuto la salvezza delcorpo, ha però trovato in Gesù molto dipiù: Colui che può parlare a Dio in nostrofavore, Colui che può metterci in comu-nione con l’Altissimo. Per questo torna dalui. Se prima era prioritaria la salvezza delcorpo, ora è prioritario stare con l’inviatodel Padre, lodare Dio, ringraziare del donoricevuto e della conferma della fede. “Cer-cate prima di tutto il Regno di Dio e tuttoil resto vi verrà dato in aggiunta” dirà Ge-sù ai suoi discepoli e seguaci. Questo stra-niero, questo samaritano, questo apparentenemico della vera fede, ha capito più ditutti gli altri che cosa è prioritario.

Quanti di noi, facendo l’esame di co-scienza, trovano che, tutto sommato, nonhanno compiuto nulla di meno che buono.Il lebbroso guarito ringrazia Gesù, Bibbia di Borso

d’Este, vol. II, c. 167v.

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La parola di Dio celebrata

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Nel calcolo finale delle pendenze potreb-bero considerarsi in pace con Dio e con gliuomini; ma quanto spesso l’ordine dellenostre priorità tradisce un ordine dei valo-ri che è molto diverso da quello evangeli-co? La lode di Dio resta spesso come ap-pendice finale delle mille occupazioni diogni giorno. Il messaggio della parabola sichiude quindi con quest’ultima esortazio-ne a ridare priorità alle cose più importan-ti e, prima fra tutte, alla lode, alla preghie-ra di ringraziamento per gli innumerevolidoni con cui Dio ci arricchisce ogni gior-no.

XXIX DOMENICADEL TEMPO ORDINARIO C

17 ottobre

La preghiera umile.

PRIMA LETTURA

Dal libro dell’Esodo (17,8-13)

Gli Amaleciti erano una tribù nomadedel deserto mediorientale ed erano conside-rati dalla Bibbia i nemici per eccellenza delpopolo eletto. Erano idolatri e violenti, coni quali non era realmente possibile alcunconfronto o dialogo. Oggi per noi questopopolo può costituire un simbolo di quelleteorie o quei comportamenti, quei modi dipensare e di agire che un cristiano non puòfare suoi senza passare al nemico, senzatradire radicalmente la propria identità. Es-sere cristiani è anche contrastare vigorosa-mente e coraggiosamente il male e il suoprogetto di imporsi come regola di vita perl’umanità.

L’apertura mentale, la fiducia nel bene,la disponibilità a oltranza al dialogo, sonotutte virtù stupende che il cristiano deveampiamente coltivare, ma non può farloconfondendo bene e male , giusto e ingiusto. Se l’amore per la verità deveportarci a ricercare sempre ciò che è giu-sto e vero, senza pretendere di avere maiin tasca la risposta pronta e certa per ognidomanda, non può però autorizzarci a du-bitare dell’esistenza della verità, e quindidella necessità di combattere con chiarez-za quanto con chiarezza appare falso ecattivo.

Il cristiano che si credesse padrone dellaverità compirebbe un grande peccato di su-perbia di fronte al mondo; ma anche quelloche non combattesse il male mancherebbealla sua vocazione fondamentale di esseretestimone della verità.

In questa lotta la preghiera ha un postodi particolare rilevanza. L’immagine delvecchio Mosè che prega con le braccia al-zate per intercedere per il suo popolo in lot-ta è diventata l’icona della preghiera. Ci ri-corda che la preghiera non è soltanto dolceriposo, sensazione di pace e di quieta medi-tazione. La preghiera cristiana è anche fati-ca e lotta, un impegno del cuore e dellamente, un grido levato verso Dio assiemeai fratelli.

Nei compagni di Mosè che sostengonole sue braccia perché la sua preghiera noncessi neppure per un istante, appare la figu-ra di quella preghiera incessante e comuni-taria che Gesù chiede espressamente. Dovedue o più sono riuniti nel mio nome, perchiedere qualche cosa al Padre, anche iosarò in mezzo a loro a sostenere la loro in-vocazione accorata (cfr. Mt 18,20).

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La parola di Dio celebrata

SECONDA LETTURA

Dalla seconda lettera di san Paolo aposto-lo a Timòteo (3,14-4,2)

Paolo ricorda al suo discepolo più carol’ importanza del la meditazione del la Sacra Scrittura. Questa ci permette una ri-lettura del passato e una comprensione delsenso della storia particolarmente preziosaper comprendere anche il nostro presente.Ci guida così progressivamente alla verasaggezza. La preghiera con la Parola diDio che oggi chiamiamo lectio divina por-ta avanti questo insegnamento dell’Apo-stolo.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (18,1-8)

La nostra logica moderna, tutta tesa al-l’efficienza pratica e materiale, ha spessoperso i l senso del la preghiera comeprofonda invocazione di aiuto, come ri-chiesta indispensabile. La preghiera è sen-tita come accessorio, come qualcosa da fa-re quando “non si può fare nient’altro” enon come il primo fondamentale momentodell’azione del cristiano. Il vangelo di og-gi ci ricorda che il cristiano deve comin-ciare ad agire pregando, invocando l’azio-ne di Dio, perché la nostra azione può es-sere solo di corollario e di completamentoalla sua azione.

Soprattutto in quella difficile lotta con-tro il peccato e il male, dove testimonianzadella verità e superbia di giudizio sul mon-do rischiano spesso di confondersi, iniziarela lotta con la preghiera è il modo più certoper restare sulla giusta strada.

L’uomo di oggi, e soprattutto il cristia-no, deve nuovamente imparare che non èlui a salvare il mondo. L’unico salvatoredel mondo è Dio; il nostro compito, impor-tantissimo ma secondario, è quello di esse-re i servi e i collaboratori di questa salvez-za. La preghiera di domanda ci mantiene inquesta modestia che è verità e ci ricordache l’inizio di ogni azione è invocare il Si-gnore.

La sincerità della nostra fede in questofatto traspare chiaramente dalla intensità econtinuità della nostra preghiera. Quantopiù siamo convinti che è Dio che opera lasalvezza, tanto più la nostra preghiera saràinsistente e incessante. Quanto meno cre-diamo nella potenza della preghiera, tantopiù lasceremo velocemente il tempo dellapreghiera e della intercessione per gettarciin un’attività frenetica, nella convinzionedi fare così qualcosa di “veramente utile eproduttivo”. Secondo la nostra logicaavremmo cer tamente mandato ancheAronne e Ur a combattere contro gli Ama-leciti, considerando più importanti duesoldati in più nel campo di battaglia chedue oranti sul monte. Vincere radicalmen-te questa mentalità efficientista e imma-nentista non è mai stato facile, anche altempo di Gesù era credibile dubitare sullapossibilità di trovare una tale fede. “Il Fi-glio dell’uomo, quando verrà, troverà lafede sulla terra?”.

È questa fede umile e difficile che Ge-sù si augura di trovare al suo ritorno, unafede che lo accoglierà facilmente comesalvatore, perché notte e giorno, con l’in-sistenza semplice e forte degli umili, hapregato per questa salvezza e per il Suo ri-torno.

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La parola di Dio celebrata

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XXX DOMENICATEMPO ORDINARIO C

24 ottobre

La vera religione.

PRIMA LETTURA

Dal libro del Siracide (35,12-14.16-18)

Seguendo l’esempio della predicazionedei profeti, Siracide, un sapiente del II se-colo a.C., mette in guardia i suoi ascoltatoricontro l’illusione di credersi religiosi sem-plicemente perché offrono spesso sacrificirituali. Il vero sacrificio gradito a Dio siesprime invece nella conversione delcuore. Esso presuppone l’aperturagenerosa all’ascolto delle necessitàdegli altri e all’impegno per esaudir-le. Richiede poi l’umile attesa deldono di Dio.

SECONDA LETTURA

Dalla seconda lettera di san Paoloapostolo a Timoteo (4,6-8. 16-18)

Paolo alla fine della sua vita, tut-ta spesa per l’annuncio del Vangelo,ne percepisce il senso complessivo:è stata un sacrificio a Dio che siconcluderà come i sacrifici antichicon una libagione, cioè versando unliquido prezioso in onore della divi-nità. Questo liquido sarà il sanguedello stesso Paolo, che intravede ilmartirio ormai vicino, ma, come perla croce di Cristo, questa morte in-nocente per il vangelo sarà un sa-crificio a Dio, una fonte di benedi-

zione per quanti l’apostolo ha incontratonel corso della sua lunga vita di evangeliz-zatore.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (18,9-14)

Con la potenza comunicativa delle para-bole Gesù presenta due modi diversi di in-tendere la religiosità, cioè il rapporto chelega a Dio. Nel primo caso, impersonatodal fariseo, tutto è centrato sul personaggioumano, la sua vita, le sue azioni. Dio appa-re sullo sfondo, come uno spettatore che almassimo può conteggiare i meriti del fari-

Icona, Parabola del Fariseo, Benedetto Emporios, sec. XVII

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La parola di Dio celebrata

seo. Il pubblicano invece, ben cosciente delsuo limite e dei suoi peccati, eleva una pre-ghiera in cui Dio è il protagonista e la suamisericordia è al centro di tutta l’invoca-zione. Questi due atteggiamenti denotanola vera e la falsa preghiera. Quella del pub-blicano è la strada che porta alla giustizia,quella del fariseo non porta da nessuna par-te. Egli non tornò giustificato, ma Gesùnon dice che fu condannato. La sua miseri-cordia è così grande che salva chi la invo-ca, ma non pronuncia condanne senza ap-pello su nessuno.

La distinzione tra le due preghiere non sicompie però solo nel rapporto con Dio, maanche nel rapporto con gli altri. Per il fariseogli altri sono solo un termine di paragone dacondannare o da usare per esaltare la propriagiustizia. Per il pubblicano gli altri sono “igiusti”, quelli a cui ha lasciato volontaria-mente le prime file, egli non giudica… hagià tanto bisogno di pensare per sé.

XXXI DOMENICADEL TEMPO ORDINARIO C

31 ottobre

Ricco di misericordia.

PRIMA LETTURA

Dal libro della Sapienza (11,22-12,2)

Durante il primo secolo avanti Cristol’autore del libro della Sapienza medita sul-la storia del popolo eletto. Contrariamentealla prima impressione, che prende spesso ilettori dell’Antico Testamento, non vi trovala descrizione di un Dio severo ed esigente,che condanna il malvagio e stermina l’em-

pio, ma di un Dio paziente, che educa l’uo-mo con amore. Anche gli egiziani, conside-rati perfidi peccatori dagli Ebrei delle gene-razioni precedenti, potranno trovare la sal-vezza. In maniera nuova e inaspettata pernoi, la gloria di Dio si manifesta soprattuttonella sua misericordia.

SECONDA LETTURA

Dalla seconda lettera di san Paolo aposto-lo ai Tessalonicesi (1,11—2,2)

La prima predicazione di Paolo ha fattocredere ad alcuni cristiani che il ritorno de-finitivo del Signore fosse imminente. Que-sti credenti sono allora tentati di collocarsifuori del tempo, disprezzando le cose mo-mentanee e fragili di questa vita. Paolo, damaestro sapiente, è così costretto a reagire.Negli scritti successivi sottolineerà semprepiù il valore del tempo dell’attesa. Esso ènecessario, perché lo Spirito del Signorerianimi l’umanità e la porti alla sua vera di-mensione, quella soprannaturale. L’azionedivina è una paziente opera di restauro del-l’uomo e non l’imposizione di un regno chesepari immediatamente buoni e cattivi.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (19,1-10)

La storia di Zaccheo è una piccola narra-zione densa di significato. San Luca riesce atratteggiare benissimo l’immagine del pecca-tore che vuole uscire dalla sua situazione manon trova il coraggio di fare un primo passosignificativo. Allora maschera questo tentati-vo come se fosse pura curiosità: “voleva ve-dere Gesù”. Nel suo cuore sa però molto be-ne che la sua ricerca è più profonda e vera.

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La parola di Dio celebrata

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Per questo non teme di perdere in dignità sa-lendo su un alberello, come se fosse un mo-nello di strada. Gesù sa leggere dietro le ap-parenze, sa riconoscere quella sete di salvez-za che Zaccheo non ha coraggio di confessa-re neppure a se stesso. Ma Gesù fa di più. In-frange la barriera che isola Zaccheo dallepersone “per bene”, gli onesti e i maggiorentidella città che sarebbero onorati di averlo co-me ospite, e si “auto-invita” a casa del pub-blicano e del peccatore. La profonda comu-nicazione tra Gesù e Zaccheo, che passa tuttain uno sguardo, dimostra che nel loro cuorenon erano certo estranei. Per il peccatoreZaccheo, Dio non era un estraneo, anche sela sua vita sembrava proclamarlo. Tanto me-no Zaccheo era un estraneo per il SalvatoreGesù, venuto a cercare e salvare proprio co-loro che per la mentalità comune erano con-siderati perduti. Dio e i peccatori, profonda-

mente separati dai fatti compiuti,sono però profondamente uniti dauna circolazione di amore cheesprime volontà di salvezza e setedi misericordia. Il comportamentodi Gesù ci ha svelato soprattuttoquesto aspetto affascinante delcuore misericordioso di Dio.

TUTTI I SANTI

1 novembre

Beati!

PRIMA LETTURA

Dal libro dell’Apocalisse di sanGiovanni Apostolo (7,2-4.9-14)

L’impero romano, scatenandouna severa persecuzione contro i

primi cristiani, li mise profondamente incrisi. La loro attesa di un ritorno glorioso diCristo, il giorno del Signore, apparente-mente diventato lontano e improbabile,sembrava svanire. Con la sua opera l’autoredi Apocalisse presenta un messaggio disperanza. Il “giorno del Signore” è già pre-sente. Se non è ancora percepibile dagli uo-mini terreni, è però chiaro e manifesto perquanti mediante la fede sanno vedere al dilà delle apparenze.

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera di san Giovanni Apo-stolo (3,1-3)

Giovanni presenta il cuore della sua vi-sione della fede: il Padre ci ama, aprendocial suo amore veniamo trasformati, si affer-

Zaccheo, Bibbia di Borso d’Este, vol. II. c. 168v.

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La parola di Dio celebrata

ma la vera vita, siamo figli di Dio in pie-nezza. Tutto questo si manifesterà piena-mente in un giorno futuro. Il giorno deltrionfo glorioso di Cristo nei suoi eletti.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo (5,1-12)

Quello che la festa di Tutti i Santi cipropone è un Vangelo così conosciuto, ci ècosì entrato nelle orecchie da sembrare unavecchia cantilena, una preghiera che reci-tiamo senza riflettere più sul significatodelle parole. Diciamo: Beati i poveri di spi-rito... Beati gli afflitti... Beati i perseguita-ti... e non comprendiamo queste parolesconvolgenti, tanto nuove e inaspettate perla nostra “normale” mentalità, che a benpensarci ci sembrano assurde. C’è unagrande folla in attesa, ai piedi del monte.Gesù in questa occasione non si mette agridare in piazza, ma si contorna dei suoidiscepoli e parla con loro. Un comizio fattodi slogan è l’esatto contrario delle Beatitu-dini, queste sono Parole pesanti, da ascolta-re col cuore, non frasi ad effetto, “usa egetta”... Seduto in cattedra come un mae-stro parla a noi, suoi discepoli, con la paca-tezza serena di chi sa di dire il vero.

“Beati...”, il primo messaggio delle bea-titudini è lo stesso di quello della festaodierna: la beatitudine è possibile, la pie-nezza di vita è raggiungibile, c’è una viache porta al massimo.

Se una cosa manca, a noi astuti e disillusiuomini del terzo millennio, è la speranza chela vita possa avere un senso. E non “un sensoqualsiasi”, ma “il Senso”, la direzione giusta,che cioè si possa essere Beati. Nell’ebraico,il linguaggio dell’Antico Testamento, il ter-

mine “peccare” vuol dire “fallire il bersa-glio”. L’uomo è fatto da Dio per la realizza-zione piena, ma il peccato lo allontana dalsuo obiettivo, dalla sua beatitudine. A questouomo, ai suoi discepoli, a ogni uomo, Gesùannuncia che è possibile colpire il bersagliodella vita diritto nel suo centro.

Ma, come tutte le cose preziose, questapienezza non si può raggiungere senza sa-crificio, senza impegno, senza fatica. È perquesto che sono tanto pochi i beati sullaterra. Per questo tanta gente, pur di soppor-tare un fatica piccolina, pur di avere un im-pegno piccolino, pur di portare una crocepiccolina... rinuncia a cercare una gioiagrande, una vera pienezza di vita. L’uomoha paura di essere “Beato” per timore chedebba costargli troppo.

Per questo la beatitudine fondamentale èquella della povertà. La povertà è una via dibeatitudine perché il povero non teme di ri-nunciare a qualcosa per ottenere ciò che è ve-ramente prezioso, ciò che gli può dare la veragioia. Ma non basta essere miserabili per di-ventare beati. Per questo Matteo precisa di-cendo Poveri di spirito, e non vuol certo ad-dolcire le esigenze di Gesù in fatto di distaccodalle ricchezze, anzi! Matteo dice che non ba-sta essere poveri di fatto, mancando dei beninecessari alla vita. Il povero deve anche avereun atteggiamento interiore e libero di povertà,di radicale rinuncia alle ricchezze terrene chelo distolgono dal cercare “il regno di Dio” co-me sua sola ricchezza. Il povero di spirito èdunque colui che non cerca di che mangiare odi che vestirsi, ma cerca innanzi tutto il Regnodi Dio. La beatitudine della povertà è un chia-ro invito a distinguere nella vita ciò che è es-senziale, come la comunione con Dio, da ciòche è secondario, come beni e ricchezze.

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La parola di Dio celebrata

Quando sai scegliere l’essenziale nella tua vi-ta quotidiana, quando non sei schiavo di unacorsa, spesso insensata, per il superfluo, soloallora sei un povero di spirito.

“…Perché di essi è il regno dei cieli”.Questa è la meta da conquistare, questo è ilsegreto della beatitudine. Una gioia solo diquesta vita sarebbe una gioia ben piccola. Lafesta di oggi ci ricorda che la nostra speran-za, la speranza che Dio propone a tutti, è benpiù grande, è una speranza eterna.

COMMEMORAZIONE DI TUTTII FEDELI DEFUNTI

2 novembre - schema della terza messa

PRIMA LETTURA

Dal libro della Sapienza (9,13-18)

Il libro della Sapienza non affronta soloi grandi temi della storia della salvezza, mamedita anche sui problemi più personali eintimi dell’uomo. In particolare l’amaraconstatazione che nella vita i malvagi trion-fano mentre i buoni sono disprezzati, spin-ge il suo autore a parlare del problema del-la retribuzione.

Anche se il male sembra prevalere sullaterra, i giusti non devono perdere fiducianella giustizia di Dio.

La loro speranza si fonda sulla certezzadell’immortalità e di un mondo nuovo chel’amore misericordioso del Signore ha pre-parato per i suoi eletti.

Come questo mondo che conosciamo èsostenuto dalla mano di Dio, così le animedei giusti, nel nuovo mondo, saranno nellesue mani.

In questo mondo creato dall’amore del-

l’Onnipotente si compirà così il trionfo deigiusti. Questo dà senso alla vita presente eci comunica la forza necessaria ad affron-tarne le difficoltà.

SECONDA LETTURA

Dal libro dell’Apocalisse di san GiovanniApostolo (21,1-5.6-7)

Giovanni per descrivere la sconfitta de-finitiva del male si serve di un simbolo pre-so dall’AT, quello del mare, dell’abisso pri-mordiale nel quale risiede lo spirito del ma-le. Questo “mare” di malvagità non c’è piùnel mondo nuovo della resurrezione. Al suoposto, la scena viene riempita dal compi-mento delle più grandi promesse divine,prima fra tutte la costruzione di una nuovaGerusalemme, una città ideale destinata adiventare la dimora di Dio in mezzo agliuomini, luogo di incontro e di comunione,luogo di consolazione e di festa.

VANGELO

Dal vangelo secondo Matteo (5,1-12)

Matteo traccia il cammino verso la nuo-va Gerusalemme indicandone l’itinerariocon le Beatitudini. In esse i desideri più im-mediati dell’uomo, tutti tesi a un possessoterreno ed egoistico dei beni della terra,vengono rovesciati.

È una questione di nuove priorità, di ca-pacità di scelte significative nei confrontidi ciò che è veramente prezioso. Le beatitu-dini insegnano che la salvezza non passatanto per una serie di “cose da non fare”,quanto per un impegno serio di vita di fede,disposto anche al sacrificio e alla rinunciaeroica “per il regno dei cieli”.

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Questo nuovo stile di vita è soprattutto aportata di mano per quanti hanno meno daperdere abbandonando il mondo attuale, lesue logiche e le sue pretese. Per questo giu-stamente sono “beati i poveri”.

L’annuncio del giudizio finale e della vitaeterna è dunque una profonda relativizzazio-ne delle logiche e dei metri di giudizio diquesto mondo destinato a perire, eppure an-cora così convinto di essere eterno e unico.

La rivoluzione portata da Gesù, primaancora che sociale e religiosa, è stata unnuovo sguardo rivolto al mondo e alla sto-ria dell’uomo.

XXXII DOMENICADEL TEMPO ORDINARIO C

7 novembre

Vita eterna

PRIMA LETTURA

Dal secondo libro dei Maccabèi (7,1-2.9-14)

Il cammino attraverso cui Dio ha educatoil suo popolo a comprendere il mistero dellavita eterna è stato lungo e faticoso. Israelenon credeva in una vita dopo la morte, e solomolto lentamente gli occhi della fede si sonoaperti a scorgere prima una sopravvivenzamolto vaga e incolore, quella che i salmichiamano Sheol; e poi gradualmente la vitapiena del paradiso e della resurrezione finale.Solo alla fine dell’AT, con il secondo librodei Maccabei, questa comprensione di fede èormai chiara ed è significativo che la Parolala ponga in bocca a una madre. Il testo com-pleto, di cui la liturgia legge solo uno stral-cio, presenta infatti una commovente esorta-

zione al martirio da parte della madre, rivoltaal figlio più giovane. Colei che più di tutti hacoscienza del mistero della vita umana, diquel miracoloso formarsi di una nuova vitanel grembo, è nella condizione migliore percomprendere la santità e quindi l’eternità diquesta vita. Le due cose non sono senza con-nessione. Oggi, anche tra i cristiani, il lungocammino di Israele è stato a volte dimentica-to, e si rischia di tornare indietro. Almeno se-condo alcuni sondaggi una notevole percen-tuale di credenti afferma di credere che dopola morte la vita continua in una maniera vagae indistinta. Alcuni addirittura non credonoin una vita dopo la morte, pur definendosicristiani. Ed è la nostra stessa società ex-cri-stiana, che ha cominciato a non meravigliarsipiù del mistero della vita nascente, fino ateorizzare e praticare l’aborto come soluzio-ne facile. È giusto ritornare alle parole pienedi commozione della madre dei Maccabei, sevogliamo ricuperare anche il vero senso del-l’eternità e della nostra fede nella vita dopola morte. «Non so come siate apparsi nel mioseno; non io vi ho dato lo spirito e la vita, néio ho dato forma alle membra di ciascuno divoi. Senza dubbio il creatore del mondo, cheha plasmato alla origine l’uomo e ha provve-duto alla generazione di tutti, per la sua mi-sericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e lavita, come voi ora per le sue leggi non vi cu-rate di voi stessi».

SECONDA LETTURA

Dalla seconda lettera di san Paolo aposto-lo ai Tessalonicèsi (2,16-3,5)

Paolo ha appena ricordato alcuni inse-gnamenti riguardanti il ritorno del Signoree la resurrezione dei morti. Ha preso le di-

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stanze dall’idea di una prossima fine delmondo. Insiste sul senso che dà alla vita lafede nel ritorno glorioso del Cristo. L’esi-stenza è una tensione piena di speranza ver-so questa meta. Il Cristo ci attende, al di làdelle difficoltà provocate dagli avversaridella fede.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (20,27-38)

Il vangelo testimonia questa fatica dicrescere nella fede nella vita eterna presen-tando la domanda dei Sadducei. Ancora altempo di Gesù questo gruppo religioso in-terno all’ebraismo, di stampo più conserva-tore rispetto ai farisei, non credeva nella ri-surrezione, né in una significativa soprav-vivenza dopo la morte.

Per questo cercano di contrastare l’inse-gnamento di Gesù sulla risurrezione e la vi-ta eterna usando l’arma del ridicolo. L’e-sempio della donna con sette ex-mariti ap-pare come una trappola ben congegnata perridicolizzare la fede nella vita eterna e d’al-tra parte funziona egregiamente, come tuttii ragionamenti che cercano di vedere la vitaeterna solo come la continuazione di questavita. Chi pensa la vita eterna restando im-pelagato nella logica, spesso contorta, diquesta nostra vita terrestre, segnata dall’e-goismo e dal peccato, non può comprender-ne certo il mistero. Del mistero dell’amoreche unisce un uomo a una donna, e che se èsincero riesce a superare anche i limiti del-la morte, i Sadducei con il loro esempionon conservavano nulla. Per loro tutto ilproblema era quello della proprietà. Sicco-me secondo la legge israelita la moglie eraproprietà del legittimo marito, nella risurre-

zione la donna del racconto di chi sarebbestata? Gesù ribalta la loro logica contorta etutta umana. Nella risurrezione, né gli uo-mini prendono in possesso le donne, né ledonne prendono in possesso i mariti; comed’altra parte dirà Gesù, non deve più acca-dere tra i cristiani neppure in questa vita.L’amore è liberante ed è dono, come quelloche lega a Dio e a noi gli angeli del cielo.La risposta di Gesù non disquisisce dunquesull’esistenza o no di legami di amore nellarisurrezione e sul perdurare dei legami diamore che ci hanno legato in questa vita.Sarebbe d’altra parte ben strano che Diopermetta alla morte di dividere ciò che luistesso ha unito e benedetto. Gesù dunquerifiuta soltanto che si parli della risurrezio-ne in termini troppo mondani di possesso edi conquista, di proprietà e di rivendicazio-ne dei propri diritti legali sugli altri. L’uni-ca lingua possibile, per parlare della resur-rezione e della vita eterna, è quella di Dio edegli angeli, la lingua dell’amore, del donogeneroso di sé e soprattutto della fede, chesa meravigliarsi della grandezza dell’operadivina: dalla nascita alla morte, e oltre lamorte.

DEDICAZIONE DELLA BASILICALATERANENSE

9 novembre

La casa di Dio.

PRIMA LETTURA

Dal primo libro dei Re (8,22-23.27-30)

Il redattore della grande opera storicadeuteronomista, che narra la storia del popo-

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La parola di Dio celebrata

lo eletto dalla conquista della terra promessafino all’esilio, riserva al tempio di Gerusa-lemme e al suo costruttore, Salomone, unparticolare importanza. La sintesi delle sueidee religiose è posta in bocca al grande re diGerusalemme in una lunga preghiera, nelgiorno della dedicazione di questo nuovotempio. La teologia dell’alleanza è il cuoredell’antico, come del nuovo culto biblico:Dio assicura la sua benevolenza se Israeleosserverà la Legge. Il tempio è il luogo dipreghiera, sul qualel’immensità di Diovolge costantementegli occhi.

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera disan Pietro Apostolo(2,4-9)

La vita del cristia-no è presentata da sanPietro alla luce delmistero pasquale: ilCristo è la roccia difondamento su cui siedifica la Chiesa. Icristiani, come pietrevive, debbono mante-nersi uniti a lui perpartecipare alla co-struzione di questostraordinario edificio:i l nuovo popolo diDio portatore dellasalvezza. È così chela nuova stirpe offre aDio sacrifici spiritualipienamente graditi.

VANGELO

Dal vangelo secondo Giovanni (4,19-24)

Mentre nell’Antico Testamento era l’e-dificio sacro, validamente edificato e con-sacrato, che rendeva i fedeli capaci di unincontro vero con Dio attraverso il culto,nel Nuovo Testamento al centro di tutta lareligione sta il cuore che ama Dio “in spiri-to e verità”. Questo è il messaggio centraledel racconto giovanneo della Samaritana.

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Icona, La Samaritana, Emanuele Zane, sec. XVII

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La parola di Dio celebrata

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Nonostante questo chiaro cambio di pro-spettiva, anche per i cristiani l’edificio diculto ha un suo valore e una sua importan-za. Nella storia del popolo di Dio, una co-struzione ha sempre avuto un senso profon-do: il tempio. Attraverso questo luogo,Israele ha affermato la propria identità.Inoltre, vedeva in esso il centro dell’uni-verso attorno al quale si sarebbero radunatitutti i popoli della terra e vi riconosceva so-prattutto l’abitazione del suo Dio.

Il tempio però, divenuto una specie diamuleto, fu abbandonato da Dio, che lo la-sciò distruggere definitivamente. Gesù si èposto così come nuovo tempio, vera dimoradi Dio tra gli uomini. Ha anche fatto capireche la comunità, unita intorno a lui, diven-tava anch’essa casa del Signore.

I cristiani hanno costruito tante chiese,ma esse hanno senso solo se rimandano allaChiesa di persone, corpo di Cristo, animatodallo Spirito.

XXXIII DOMENICADEL TEMPO ORDINARIO C

14 novembre

La fine.

PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Malachìa (3,19-20)

I Giudei, tornati dall’esilio in Babilonia,speravano finalmente di poter godere pacee felicità. Continuarono invece a viveresotto la dominazione persiana. La loro fedein Dio fu nuovamente sottoposta alla provadel dubbio. La loro religione ritornò forma-listica, più attenta ai rituali religiosi che al-

la dedizione del cuore a Dio. Il profeta Ma-lachia lancia perciò un appello vigoroso: ilpopolo deve continuare a volgersi con fidu-cia verso il futuro che il Signore Dio stapreparando. Verrà “il giorno del Signore”.In esso saranno distrutti gli empi, mentre igiusti troveranno la salvezza sperata.

SECONDA LETTURA

Dalla seconda lettera di san Paolo aposto-lo ai Tessalonicèsi (3,7-12)

La speranza della prossimità del ritornoglorioso di Cristo alla fine dei tempi avevaprovocato nei cristiani della comunità diTessalonica un pericoloso atteggiamento dipassività. Molti sostenevano che non avevapiù senso impegnarsi nella vita, addiritturache non c’era più bisogno di lavorare: ba-stava aspettare con fede il ritorno del Si-gnore. Paolo protesta con vigore condan-nando i predicatori di queste teorie destabi-lizzanti. Questa concezione di una venutaquasi automatica del grande giorno dellasalvezza non ha nulla a che vedere con laretta concezione della vita cristiana. Essaprevede un impegno serio e operoso, comequello dei servi fedeli che attendono lavo-rando il ritorno del loro Signore.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (21,5-19)

Quando Gesù giunge per l’ultima volta aGerusalemme, erano ormai 50 anni che si sta-va ricostruendo e completando il tempio. Ero-de il Grande lo aveva voluto per rafforzare ilsuo potere e legittimarlo davanti a un popoloche non lo amava. Il popolo ebraico, che viaveva lavorato con dedizione, lo considerava

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La parola di Dio celebrata

una specie di riscatto nei confronti della gran-dezza di Roma, che occupava con le sue le-gioni tutto il Medio Oriente. La maggioranzadei semplici e degli umili vi vedeva la casa diDio, e per questo lo amava. L’insieme delTempio era di fatto impressionante per gran-dezza e ricchezza. Le ricostruzioni degli ar-cheologi ci dimostrano che occupava circa unterzo della antica città di Gerusalemme. Nel-l’anno 33 Gesù ne annuncia la rovina, nel 63si dichiareranno conclusi ufficialmente i lavo-ri di costruzione, nel 70 i romani lo raderannoal suolo: non ne resterà pietra su pietra.

Questa impressionante profezia di Gesùviene ricordata dal vangelo insieme ai suoiinsegnamenti sul fatto che non solo il tem-pio, ma il mondo avrà una fine e un nuovoinizio con la resurrezione finale. Questi duetemi e queste due profezie si mescolano neltesto biblico: per parlare della fine delmondo gli evangelisti usano come immagi-ne il modo in cui si era svolta la fine del lo-ro mondo, la fine della vita e della sovra-nità del popolo ebraico in Palestina, segna-ta soprattutto dalla fine di Gerusalemme.

Questa fine terrena si era svolta a opera diun esercito che aveva distrutto tutto col ferroe col fuoco, facendo crollare le muraglie didifesa e abbattendo le case come un immen-so terremoto, come se il cielo fosse cadutosulla testa degli abitanti di Gerusalemme edella Giudea. I vangeli usano queste immagi-ni con l’unico intento di farci comprendereche la venuta di Dio alla fine dei tempi cam-bierà completamente il mondo così come loconosciamo. Soprattutto il sole e la luna,simboli delle divinità pagane, cadranno sullaterra, a indicare la fine di tutti i grandi e ditutte le idolatrie di male che dominano tantospesso questo mondo.

Gesù rifiuta però di rivelare quei parti-colari che nel corso della storia dell’uma-nità intere generazioni si sono impegnate ascoprire. Soprattutto nell’approssimarsi didate simboliche, come il 1000 o il 2000, ri-sorgono rinnovati interessi curiosi su quan-to potrebbe avvenire nel giorno della fine.Quanti gruppi e quante sette hanno volutoindicare, innumerevoli volte, la data esattadella fine del mondo! Gesù ci invita a nonfarci abbindolare da questi falsi messia cheperiodicamente annunciano di conoscere ilgiorno della sua venuta. Ci invita anche anon vedere, in ogni cataclisma, in ogni di-sgrazia e sconvolgimento, il “segno” dellafine. Queste cose “devono accadere”, sonoparte del normale corso della storia punteg-giata da gioie e da sofferenze.

Ciò che è importante è essere forti nelmomento della persecuzione e della prova,che possono sempre tornare nella vita dellaChiesa. Non preoccupandoci troppo dellanostra difesa: “Io stesso vi ispirerò il giustolinguaggio” dice il Signore. Dietro le paro-le di Gesù traspare l’insieme delle diffi-coltà nel seguire la fede che caratterizzal’esperienza di ogni cristiano: le incom-prensioni familiari, la derisione degli ami-ci, la fatica di vivere con coerenza i valoriche si proclamano.

Di fronte a tutto questo lo scoraggia-mento può essere battuto solo con la grandefiducia in Dio e nel suo immancabile aiuto:“nemmeno un capello del vostro capo an-drà perduto”. Per un cristiano che vive ognigiorno così, ogni giorno è l’ultimo giorno,ogni giorno con la lotta, con la perseveran-za, con la fede, costruisce il suo futuro e ilfuturo del mondo, un futuro di resurrezionee di vita.

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La parola di Dio celebrata

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NOSTRO SIGNOREGESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

21 novembre

Cristo Re.

PRIMA LETTURA

Dal secondo libro di Samuèle (5,1-3)

Intorno al mille avanti Cristo l’impegno,il coraggio e anche la lungimiranza politicadi Davide permisero l’unificazione delletribù di Israele dando inizio a un’epoca nuo-va nella storia del popolo di Dio: il regno. Fucerto il periodo più brillante e rimase anchenei secoli seguenti un tempo idealizzato, im-magine preferita per indicare quella condi-zione finale e definitiva a cui tendeva la sto-ria della salvezza. Alla fine dei tempi il Re-gno di Davide sarebbe stato restaurato! Mase l’immagine era potente e attraente, era pursempre un’immagine umana, inadatta a chia-rire fino in fondo le vere caratteristiche delfuturo atteso. Per questo quando verrà “il Be-nedetto nel nome del Signore” a restaurare ilregno di Davide, molti non saranno capaci diriconoscerlo.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Co-lossèsi (1,12-20)

Secondo Paolo la forza trionfatrice del-l’amore divino, pienamente manifestata inGesù, era presente nella creazione fin dalleorigini. Può dunque affermare con certezzache il Cristo, immagine perfetta del Dio in-visibile, era all’opera dall’inizio della sto-ria, prima di rivelare la sua piena realtà inGesù. Egli è anche colui che dà senso a tut-

ta la storia successiva, perché anima tuttigli uomini per inserirli in una immensa cor-rente che riconduce tutti gli esseri a Dio.L’universo trova in lui il vero senso, Egline è la chiave.

VANGELO

Dal vangelo secondo Luca (23,35-43)

In cima alla croce, con la quale sarà ese-guita la sentenza del procuratore romanonei riguardi di Gesù, qualcuno ha appesoun cartello: “costui è il re dei Giudei”.Questo titolo denigratorio, una delle tanteburle attorno a questo povero condannato,era stato posto per ordine di Pilato. Volevaforse prendersi gioco dei Giudei, che comedimostrano i dati storici questo romanoodiava cordialmente? O forse il suo dialogocon Gesù durante la passione, in cui avevachiesto: “Sei Re?”, lo aveva turbato? So-prattutto poteva averlo turbato la strana ri-sposta di Gesù: “Sono re, ma il mio regnonon è di questo mondo”. Gesù è dunqueRe, e lo dice anche il cartello sopra la suacroce, ma tutto attorno a lui spinge a porrealla fine di quella frase un grande punto in-terrogativo: “Il re dei Giudei?”. Quanti,guardando la scena, furono in grado di to-gliere quell’interrogativo per farne unaconfessione di fede?

Non era certo una risposta facile: il Re èun re crocifisso che sta per morire. Sul pa-tibolo si trova addirittura contornato da duemalfattori. Luca fa così riferimento a unaprofezia di Isaia che Gesù stesso aveva in-dicato: “È stato annoverato tra i malfatto-ri”. Una delle tante espressioni con cui que-sto profeta tratteggia l’immagine del Servodel Signore, il suo eletto, il messia, il re,

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ma anche il servo sofferente e perseguitatoingiustamente. Il destino doloroso e tragicodi Gesù non è dunque un segno di abbando-no da parte di Dio, è anzi il compiersi diquanto la Parola aveva da lungo tempo pro-fetizzato. Per quanti in Israele attendevanoun messia politico, un capo per la rivoltamilitare che li avrebbe liberati dal dominioromano, la morte di Gesù era stata una de-lusione profonda: il loro Re dei Giudei siera trasformato in un re da burla. Questoscandalo aveva però aperto gli occhi aquanti attendevano con fede e solo da Diola salvezza: la via del messia per salvarel’umanità non era quella della violenza odel sopruso, la “solita” via dei regni umani,ma quella della generosità, dell’amore, deldono di sé.

Per questo, sotto la croce, i capi possonopure accanirsi contro di lui, i soldati prender-lo in giro e i malfattori schernirlo: il popoloinvece “stava a vedere”. Luca ha voluto sot-tolineare che la folla di Gerusalemme non siera associata a queste manifestazioni di osti-lità. Non c’è in loro ancora la fede nel croci-fisso Signore, ma il loro cuore dubbioso sidomanda il senso di quanto accade: su questafolla potrà scendere l’annuncio di Pentecostee trovare un terreno accogliente.

Tra tutti, solo uno riesce a vedere conchiarezza, è anche lui “uno dei malfattoriappesi alla croce” ma, a differenza delcompagno, sa vedere che la sofferenza diGesù è radicalmente diversa dalla loro. So-no condannati alla stessa pena, ma per lorosi tratta di un atto normale di giustizia retri-butiva: l’applicazione della legge dell’oc-chio per occhio; nel caso di Gesù c’è unagiustizia ben più grande e misteriosa chemuove tutto. Il buon ladrone non sa scruta-

re fino in fondo, come d’altra parte anchenoi, la logica di questa giustizia divina cheporta alla morte di Gesù sulla croce, ma nepercepisce la conclusione: le porte del pa-radiso d’ora in poi saranno aperte. In quelGiusto, che muore al suo fianco, il buon la-drone scorge i tratti di una regalità del tuttonuova. È un ben strano Re, che inaugurasulla croce un ben strano regno, ma il buonladrone è certo che lui di quel regno vuolfar parte, e se anche la via per l’ingressosarà la via stretta della croce, dell’accetta-zione della sofferenza come espiazione deipropri peccati, è ben disposto a percorrerla.

E il Re può per questo rispondergli: «Inverità ti dico, oggi sarai con me nel paradi-so».

La parola di Dio celebrata

Icona, Crocifissione, Giovanni Moscos, sec. XVIII

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Guida. Contempliamo Maria che nel suo immenso dolore sta ai piedi di Gesùsulla Croce. Dalla Risurrezione la sua pena è diventata conforto di tutte lemadri che sperano e lottano per la vita. Maria sta con il cuore affranto manon è schiacciata dal peso del dramma, la sofferenza non la vince,l’angoscia non la tormenta poiché vinta è la morte. Ella è in piedi,come eretto è il cuore che sospira verso il Figlio suo. Tanto dolore esplode in gemme di speranza, di fiducia, di abbando-no al Padre. In lei trovano casa e conforto gli abbandonati, gliesclusi dalle nostre sicurezze, i poveri di pane e di amore, i malati disolitudine, i giovani confusi, gli anziani solitari, gli adulti disorienta-ti. Il suo dolore sotto la Croce raccoglie il gemito di uomini e donnebisognosi di fede e di misericordia.

L’assemblea radunata accoglie l’icona di Maria sotto la Croce, con un canto adatto.Una lampada accesa e un braciere con l’incenso vengono collocati sotto l’icona.Dopo un opportuno silenzio di contemplazione un lettore legge.

LETTURA DELLA PAROLA DEL SIGNORE (Lc 2,34-35):

1 Lettore. Simeone parlò a Maria, madre di Gesù: “Egli è qui per la rovina ela risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione, perché siano sve-lati i pensieri di molti cuori.E anche a te una spada trafiggerà l’anima”.

Pausa di silenzio intercalato da un brano musicale.

LETTURA ECCLESIALE:

2 Lettore. È il primo dei sette dolori, che comprende tutti gli altri e velata-mente li annuncia. È stato detto alla Vergine che il Figlio sarà “un segno dicontraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,35); cheegli incontrerà ostilità; egli vuole salvare i suoi, ma i suoi vorranno farlo peri-re. Questa profezia sconvolge la Vergine. Di più: la colma di amarezza. Il suo essere è spezzato. La sua bellezza affon-da nella tristezza. Geme silenziosamente nel suo cuore: “Non mi chiamateBella ma Amara perché l’Onnipotente mi ha colmato di grande amarezza”.

Veglia di preghieraMaria ai piedi della Croce

di suor Clara Caforio, ef

Preghiamo

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Tuttavia non si abbatte. Dal profondo della sua amarezza sorge in lei la lucedi un’aurora mai vista. Ella è ormai certa di essere divinamente associata alla sofferenza del Figlio,ci sarà la tenera compassione della Madre. Sostenuta da questa sublime spe-ranza, essa attende la lancia che insieme con il cuore del Figlio trafiggerà ilsuo cuore di Madre. (Charles Jornuet, vescovo)

Si esegue un canto mariano.

LETTURA DELLA PAROLA DEL SIGNORE (Gv 19,25-27)

1 Lettore. Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella disua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, veden-do la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse allamadre: “Donna, ecco tuo figlio!” Poi disse al discepolo: “ ecco latua madre!”.

Pausa di silenzio.

LETTURA ECCLESIALE:

2 Lettore Chiudete la bocca, o empi! E voi, fedeli, aprite le orecchie e uditeciò che dice Cristo. egli dalla croce fa il suo testamento e sospende per unistante la salute del genere umano per assicurare l’onore di sua Madre! Gio-vanni sottoscrive il testamento del Cristo. Alla Madre viene lasciata, in ere-dità, la difesa della sua purezza, la testimonianza della sua integrità; al di-scepolo la tutela della madre e il merito della pietà filiale. E da quel momen-to il discepolo la prese con sé. Né il Cristo, dunque, stabiliva un divorzio, né Maria abbandonava il consor-te. Ma con chi avrebbe dovuto abitare la Vergine se non con colui che sape-va essere l’erede del Figlio e il custode della sua verginità? (Ambrogio di Mi-lano)

Pausa di silenzio.

Guida. Ogni volta che la Chiesa celebra il memoriale della Croce di Cristo,essa associa in maniera privilegiata, con la sua e la nostra preghiera, quelladi Maria e delle donne ai piedi di Gesù. Dobbiamo metterci alla scuola di Maria perché educhi la nostra preghiera ela renda ecclesiale. Ella non aggiunge nulla all’intercessione del Cristo, unicomediatore tra il Padre e gli uomini, ma la Chiesa ha bisogno della sua pre-ghiera per contemplare ciò che manca alla passione di Cristo per il suo corpo,che è la Chiesa.

Preghiamo

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SUPPLICA LITANICA:

Dio di Abramo T. Salvaci, SignoreDio d’Israele Salvaci, SignoreSignore della storia Salvaci, Signore Signore di tutte le genti Salvaci, SignoreSorgente di ogni bontà Salvaci, SignoreConforto di ogni dolore Salvaci, SignoreDifesa degli oppressi Salvaci, SignoreSperanza degli afflitti Salvaci, SignoreRifugio dei perseguitati Salvaci, SignorePadre di ogni riconciliazione Salvaci, SignoreDio dell’amore donato Salvaci, Signore.

Si esegue un canto.

LETTURA DELLA PAROLA DEL SIGNORE (Gv 19,40-42)

2 Lettore. I discepoli presero il corpo di Gesù, e lo avvolsero inbende insieme con oli aromatici. Nel luogo dove era stato crocifisso,vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno erastato ancora deposto. Là deposero Gesù.

Si rinnova l’offerta dell’incenso e si porta dinanzi all’icona una seconda lampada,mentre si canta un inno o si ascolta un brano musicale.

Momento di contemplazione.

LETTURA ECCLESIALE:

Gesù è morto. Maria lo tiene tra le braccia, inerte, sfigurato, freddo. Non èquesta l’ora terribile in cui ogni speranza viene meno? Come pensare che Ge-sù non parlerà più, non guarderà i suoi amici, non poserà più le sue mani suimalati per guarirli?.È finito. D’altro non si parla, a voce bassa, se non di sepoltura e di tomba. Lafede e la speranza vegliano dolorose nell’anima di Maria. Ella è in attesa deldopo, ma per il momento tutto è veramente infranto. E per gli apostoli ilcrollo è completo. Fino all’ultimo gemito si poteva sperare che si sarebbe salvato da sé. Gesùnon è dunque la vita, se è morto!Nelle ore incomprensibili della nostra vita, quando tutto sembra finito e Ge-sù sembra morto, Maria ci dona la forza della speranza, perché spesso pro-prio allora la sorgente definitiva della vita è vicina. (Renè Voillaume)

Preghiamo

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A questo punto l’assemblea compie il rito del bacio all’icona. Mentre ci si avvicina sipossono proclamare preghiere spontanee o lodi alla Madre di Dio.Terminato questo gesto di venerazione, si può concludere con un canto e la benedi-zione che segue:

Guida Santa Maria, donna che sta sotto la croce, presso l’albero da cui è sca-turita la vita. Tu sei l’umanità obbediente e docile agli insegnamenti del Fi-glio, forte nella sequela, aperta allo Spirito. Svelaci, Madre, nell’Ora dellaprova il segreto che ti fece superare la prova; donaci di comprendere le ri-sposte di Gesù nella nostra esistenza per diventare testimoni coraggiosi, an-nunciatori della speranza che non muore mai. Amen.

Preghiamo

Icona, La Crocifissione, Monaci del Monte Athos

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Numerose solennità e feste ri-corrono in quest’ultimo scorciodel tempo ordinario, ognuna

delle quali offre inni teologicamentee poeticamente ricchi: in particolarepenso alla solennità di Tutti i Santi oalla commemorazione dei fedeli de-funti, o ancora alla memoria degli An-geli custodi. Si celebra anche il ricordodi numerosi santi, ciascuno dei qualiaccompagnato da inni più o meno an-tichi, ma sempre riuscitissimi: France-sco d’Assisi, Luca evangelista, Martinodi Tours (forse il primo confessor fidei,ossia proclamato santo anche senzaaver subito il martirio: l’inno compo-sto per lui – Iste confessor – divennepoi l’inno di quello che oggi è chiama-to comune dei pastori e che un tempoera denominato commune confesso-rum). Ma la ricorrenza della dedica-zione di due importanti chiese dell’Ur-be a breve distanza di tempo – e cioèin primo luogo la Basilica Lateranense,il 9 novembre, e poi quelle dei SantiPietro e Paolo, il 18 novembre – mi haconvinto a commentare l’innodia lati-na del comune della dedicazione diuna chiesa.

Sul concetto di comune liturgico hogià scritto brevemente nello scorsonumero di questa rivista; vorrei solonotare come il comune della dedica-zione di una chiesa ricopra un ruoloun po’ speciale all’interno della fami-glia dei comuni. Non è un caso, infat-

ti, se si trova collocato in primissimaposizione, ancora prima di quello del-la Beata Vergine Maria. Potrebbe suo-nare strano che il ricordo del giorno incui una chiesa è stata consacrata1 ven-ga celebrato con tanta so-lennità, tanto da far sì chel’anniversario della dedica-zione goda la precedenza suogni altra possibile ricorren-za concomitante; al contra-rio, ciò è perfettamente giu-stificato se si considera lostatuto speciale di questaparticolare occasione. Se infatti tuttele altre celebrazioni sono prevalente-mente ananmnetiche, ossia fanno me-moria (anàmnesis) di un evento dellastoria della salvezza o di un misterodella fede, la dedicazione della chiesa,pur non essendo priva di questo carat-tere (ricorda infatti il giorno in cui lachiesa è stata solennemente consacra-ta) è una celebrazione soprattuttoanagogica. Al centro della liturgianon c’è tanto il ricordo della passataconsacrazione dell’edificio quanto laproiezione (in greco anagoghé, dalverbo anàghein, “sollevare, portare inalto”) verso il futuro escatologico, loslancio prolettico verso ciò che laChiesa fatta di pietre vive sarà alla fi-ne dei tempi. Cantare la consacrazio-ne della chiesa significa lodare Dio perla nostra consacrazione battesimale,che ci ha inseriti nel mistero dellaChiesa, e proiettarci nella fede verso il

Urbs Ierusalem beatadi don Filippo Morlacchi

Innodialiturgica

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compimento pieno di questa apparte-nenza, quando saremo uniti alla Chie-sa trionfante. L’inno che si canta in

queste occasioni ai primi e secondi ve-spri si apre proprio con la contempla-zione della Gerusalemme celeste:

Urbs Ierusalem beata, dicta pacis visio,quae construitur in caelisvivis ex lapidibus,angelisque coronatasicut sponsa comite

nova veniens e caelo,nuptiali thalamopraeparata, ut intactacopuletur Domino.Plateae et muri eiusex auro purissimo;

portae nitent margaritisadytis patentibus,

et virtute meritorumilluc introducituromnis qui ob Christi nomenhic in mundo premitur.

Tunsionibus, pressurisexpoliti lapidessuis coaptant locisper manum artificis;disponuntur permansurisacris aedificiis.

Gloria et honor Deousquequaquae altissimo,una Patri Filioqueatque Sancto Flamini,quibus laudes et potestasper aeterna saecula. Amen

Beata città di Gerusalemme,detta “visione di pace”che vieni costruita nei cielicon pietre vive,e sei coronata di angelicome una sposa dal corteo,

nuova, vieni dal cielo,per il talamo nuzialepreparata, per unirtiimmacolata al Signore.Le sue piazze e i suoi murisono di oro purissimo;

le porte brillano di perle,anche i sacrari sono accessibili,e per la forza dei meriti (dei santi)può entrare in essichiunque a causa del nome di Cristoqui nel mondo è perseguitato.

Rifinite con colpi e tribolazionile pietre si adattanociascuna al suo postoper mano dell’artigiano;e così vengono disposte per rimaneresempre nei sacri edifici.

Gloria e onore al Dioaltissimo sempre e ovunque,uno stesso (canto) al Padre e al Figlioe alla Santa Fiamma d’Amore,ai quali siano lode e potenzanei secoli eterni. Amen.

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I frequenti enjambements tra unastrofa e l’altra rendono il ritmo tal-mente serrato da rendere difficileuna scansione dei temi, che si intrec-

ciano in una sintesi efficacissima. Evi-dentemente il contesto biblico di rife-rimento è quello della conclusionedell’Apocalisse, la visione della Geru-

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salemme futura, pronta come unasposa per celebrare le nozze con Dioe portare a compimento la profeziadi un nuovo legame, intimo ed eter-no, di Israele con il suo Dio. Impossibi-le citare tutti i particolari di questi ri-ferimenti biblici: occorrerebbe rileg-gere non solo i capitoli 21-22 dell’A-pocalisse, ma anche i passi profeticiche prefigurano in termini nuziali ilrapporto tra Dio e il suo popolo, contoni di gioiosa speranza (come Is 54)o dolorosa privazione (come Ez 16 oOs 1-3), e ancora i salmi di epitalamio(Sal 45/44) o le tante pericopi dei Van-geli che descrivono Gesù come lo spo-so atteso (Mt 25,1ss; Gv 2,1ss; 3,29ss).Dando per conosciuto questo riccocontesto simbolico, procediamo allalettura analitica dell’inno.

In primo luogo è interessante nota-re come la Bibbia, che si apre con l’im-magine felice di un giardino – l’Eden –si chiuda invece con l’immagine di unacittà. La città non è il luogo della na-tura incontaminata e paradisiaca, maquello della convivenza umana fatico-samente costruita, spesso luogo dipeccato (si pensi a Babele, o Sodoma eGomorra) senza un intervento dall’al-to che trasformi e rinnovi dall’internola vita e il cuore dell’uomo. Ebbene,alla fine della storia la Scrittura pro-mette proprio questo: non un nuovoparadiso terrestre, un giardino di deli-zie, ma un città celeste, ossia una co-munità umana rinnovata da Dio, final-mente capace di vivere appieno il co-mandamento dell’amore. La Chiesa,raffigurata profeticamente in questaGerusalemme di lassù, che “è liberaed è la nostra madre” (Gal 4,26), do-

vrebbe essere prefigurazione di que-sta nuova vita2. Ecco perché la Gerusa-lemme del cielo è “visione beata ebeatificante”: perché riempie di gioiail cuore dell’uomo, gli fa pregustare lagioia di un nuovo amore che iniziaquaggiù, nella celebrazione dei divinimisteri e nella pratica quotidiana del-la carità, ma che troverà un suo pienocompimento solo alla fine dei tempi.Gerusalemme è detta “visione di pa-ce”, secondo una etimologiaforse non ineccepibile filolo-gicamente, ma verissima daun punto di vista spirituale.Contemplare il “termine diarrivo” della nostra vocazio-ne riempie di fiducia il cuorestanco, che segna il passo esi affatica, ora più, ora me-no, a seguire i precetti del Signore. Ècome se lo scalatore, ancora lontanodalla vetta, guardando in alto si rin-cuorasse, trovando così rinnovateenergie per continuare l’ascesa. Ritro-vare la pace del cuore è il più efficacerimedio al logoramento della quoti-diana “operosità3 della carità” (1Ts1,3).

La città celeste viene costruita daDio: il verbo al passivo fa pensare alcosiddetto “passivo teologico”, l’espe-diente – diffusissimo nella Scrittura –per cui si fa riferimento a Dio senzamenzionarlo esplicitamente. E vienecostruita di “pietre vive”. Questa ca-ratteristica espressione, che in fondo èun ossimoro (cosa c’è di meno vivente,in natura, di una pietra?) è applicatain primo luogo a Cristo e, conseguen-temente, ai cristiani in quella meravi-gliosa omelia battesimale che si trova

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inclusa nella Prima lettera di Pietro(cfr 1Pt 2,4ss). Cristo è la roccia da cuiscaturisce l’acqua di vita (1Cor 10,4), lapietra scartata dai costruttori, ma di-venuta pietra angolare del nuovo edi-ficio spirituale che è la Chiesa (Sal117/118,22; Is 28,16). “Stringendovi alui – dice Petro – anche voi venite im-piegati come pietre vive per la costru-zione di un edificio spirituale” (1Pt2,4-5). La vera Chiesa è quella di pie-

tre vive, di credenti in carnee ossa: quella fatta di matto-ni, che pur giustamente èstata consacrata con un ritonobile e solenne, ne è solouna immagine e un simbolo.

L’immagine dell’edificiospirituale si intreccia imme-

diatamente, nel testo dell’inno, conquella della sposa celeste: la Gerusa-lemme di lassù è circondata da una co-rona di angeli come una sposa nel cor-teo nuziale è accompagnata dalle ver-gini compagne fino al palazzo regale(cfr. Sal 44/45, 15-16). E queste nozze –cioè un legame nuovo, eterno, profon-dissimo, fecondo – tra Dio e il suo po-polo non è frutto dell’impegno uma-no, ma della grazia rinnovatrice divi-na. È Dio che prepara per sé la Chiesacome sua sposa (cfr Os 2,21ss), rinno-vandole il cuore con il dono dello Spi-rito (Ger 31,31ss). È una città nuova,perché composta di uomini nuovi (cfrEf 4,24). Viene dal cielo (Ap 21,2) per-ché è dono di Dio: “ogni dono perfet-to viene dall’alto” (Gc 1,17). È prontaper il talamo nuziale, bellissima, “sen-za macchia né ruga o alcunché di simi-le, ma santa e immacolata” (Ef 5,27).Questa immagine di bellezza e inte-

grità sembra contraddire la nostraesperienza storica della Chiesa, sempreportatrice di imperfezioni e peccati.Ma la Chiesa, lo sappiamo, è casta me-retrix, santa per grazia, ma bisognosadi continua purificazione: solo alla finedei tempi tutto il peccato sarà consu-mato, e resterà la perfetta integritàrinnovata dall’amore.

L’inno prosegue poi la descrizionedella città celeste seguendo le indica-zioni di Ap 21-22. “Le dodici porte so-no dodici perle; ciascuna porta forma-ta da una sola perla. E la piazza dellacittà è di oro puro” (Ap 21,21). È unavisione di eccezionale splendore, tut-ta luce e chiarezza. Se il peccato è ildiaframma che impedisce la piena co-munione con Dio, qui, nella Gerusa-lemme del cielo non c’è spazio per ciòche impedisce il libero passaggio del-l’amore. Tutto è diafano, permeabilealla luce divina, “come cristallo tra-sparente” (Ap 21,21). Non ci sono piùoscurità, né tenebre, ma solo la lucedi Cristo. Le porte sono tutte spalan-cate, non ci sono più sacrari nascosti einaccessibili. Cristo, pietra viva, ha ab-battuto “il muro di separazione” (Ef2,14), per primo è entrato “una voltaper sempre nel santuario” (Eb 9,12), enoi, stringendoci a lui (cfr 1Pt 2,4) ab-biamo pieno accesso al mistero delPadre (cfr Gv 10,9). Chiunque soffrein terra a causa del nome di Cristo, edunque si stringe a lui e alla sua cro-ce, è perciò introdotto negli atri delcielo a godere di questa perfetta co-munione.

Ma se l’edificio spirituale, una vol-ta concluso, è tutto perfezione, il

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e il martirio”. In più, il testo latinoaggiunge che le pietre così lavoratesono disposte “per rimanere” (per-mansuri) nell’edificio spirituale dellaChiesa. Il Padre ci plasma come unvasaio (cfr Is 45,9; Ger 18,3ss), giornodopo giorno; ma questo doloroso la-vorìo di trasformazione, necessarioper generare in noi l’uomo nuovo,porterà frutti che dureranno per lavita eterna. Le prove sono transitorie,il posto per noi stabilito nel-la Gerusalemme celeste èun dono per l’eternità. Ladossologia conclusiva si sof-ferma in particolare sullafiamma dello Spirito: è ilfuoco divino che ci modella,ci vivifica, ci consacra pietrevive, ci dà la speranza di go-dere un giorno pienamente di ciò cheancora, per noi, rimane solo una bea-ta visione.

cammino per edificarlo è invece labo-rioso e sofferto. Al tema petrino svi-luppato fino adesso, quello dell’edifi-cio spirituale, l’inno affianca adessoquello paolino della edificazione(oikodomè: cfr. 1Cor 14,26; Ef 4,12),la costruzione graduale e progressivadell’edificio stesso. Armonizzare lediverse pietre, arrotondarle, smussar-ne le asprezze in modo che possanoben adattarsi le une alle altre è il fa-ticoso cammino della carità con cuiDio, pazientemente, edifica la suaChiesa. Gli strumenti di questa diu-turna lavorazione sono le prove dellavita, i dolori, le difficoltà. Anzi, si puòdire che la croce sia il singolare scal-pello con cui il divino Artigiano scol-pisce le sue pietre vive. Interpretameravigliosamente il senso dell’innola traduzione italiana del breviarioquando ricorda che le pietre vive so-no “scolpite dallo Spirito con la croce

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1 Il rito della dedicazione di una chiesa è purtroppo nonmolto conosciuto (non tutti hanno occasione di parteci-parvi, perché rare sono le consacrazioni di nuove chiese eil rito viene celebrato una volta soltanto in ogni chiesa)ma estremamente interessante, ricco com’è di elementisimbolici: dall’aspersione del popolo, delle pareti e del-l’altare alla consegna del lezionario, dalla deposizionedelle reliquie sotto l’altare all’unzione dell’altare doveavverrà il sacrificio eucaristico, dall’ offerta dell’incensoall’accensione di dodici candele sulle pareti precedente-mente unte con il crisma (numero simbolico degli aposto-

li, che stanno a fondamento della Chiesa secondo Ap21,14). Sarebbe utile tenere presente il rito anche peruna più completa comprensione dell’innodia.

2 E forse non è un caso se, poche righe prima, si parla delfallimento della città orgogliosamente costruita dall’uo-mo con le sue sole risorse, la città “carnale” (cioè senza ildono dello Spirito): “è caduta Babilonia la grande…” (Ap18,2 ss).

3 Il testo originale è ancora più esplicito della traduzionedella CEI: kòpos tès agàpes significa letteralmente “faticadella carità”.

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Si discorreva, nel numero prece-dente, di concetti alquanto dif-ficili e astrusi, come amusia mo-

toria, amusia sensoriale, di musica eadrenalina, fino a sconfinare nella

considerazione di alcunipossibili effetti in campomedico di un certo inquina-mento acustico delle settenote: l’infarto o addirittural’arteriosclerosi. Tutto que-sto come contorno di quel-l’annosa quaestio di cui par-lavamo, quella se esistano in

sé e per sé gli stonati, quasi comecreati secondo la loro specie…

Il rimando alla mirabile paginadella creazione (per altro definita,con una bellissima intuizione, vero il-luminismo della ragione rispetto alcaos oscuro e torbido di tutti i mitiche riguardano la credenza umanasulle origini del mondo) non è esage-rata. Il credente certamente sa che laBibbia non contiene tutte le risposteche l’uomo cerca lungo il camminodella storia (cangiante e mutevole);non c’è stato, dall’Apocalisse in poi, odalla fissazione del canone biblico inpoi, una sorta di aggiornamento bi-blico-enciclopedico, in maniera chepotessimo attingere senza sforzo del-la ragione creativa e interpretativa lasoluzione per le nuove problematicheche la storia di volta in volta suggeri-sce. Ma allo stesso tempo ogni bat-

tezzato sa e crede che la Bibbia è pa-rola per ogni tempo, è attuale; con-tiene cioè i criteri immutabili ed eter-ni con i quali penetrare la realtà, stu-diarla, capirla per poter arrivare almomento in cui l’eventuale modifi-carla non costituisce un trauma per lastessa realtà.

Non è un caso, per esempio, che ilproblema ecologico sia esploso inmaniera drammatica negli ultimi duesecoli, quando cioè l’intervento sullanatura (o meglio dire sul mistero del-la creazione) è stato compiuto ne-gando, di fatto, la verità più profon-da della natura stessa, la sua più inti-ma ratio, il suo essere, cioè, creata.Interventi radicali (Roma ne è testi-mone illustre e straordinaria nei se-coli dei Papi) sul rapporto tra archi-tettura, urbanistica e ambiente han-no portato a soluzioni mirabili peringegno ed equilibrio. Il problema,dunque, non è se l’uomo debba in-tervenire sulla natura (l’ha semprefatto e quasi sempre bene…), ma co-me, con quali criteri, appunto. Quel-lo della natura vergine e incontami-nata, buona, amica dell’uomo sem-pre e comunque, è un altro di queimiti che poco ha a che fare con la lu-ce della ragione, con il vero illumini-smo.

Non sorprenda questa lunga in-troduzione, che non è fuori tema o

Pregarcantando

Gli stonati (2)di don Daniele Albanese

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pura divagazione. Stiamo cercandodi capire con quale strumento inter-pretativo conviene accostarci allarealtà. E siccome il nostro dubbio èche gli stonati non solo nascano così,ma che il loro difetto, a detta delMeano, sia incorreggibile, dobbiamoallora mettere a confronto questaconvinzione con i dati più profondidella realtà. Che un uomo nasca conun difetto, questo ci può stare. D’al-tronde noi crediamo che la strutturainteriore dell’uomo venga alla lucegià incrinata a causa dei quel difettooriginale di cui abbiamo buona me-moria. Ma se da questa struttura in-crinata noi possiamo uscire, con tuttigli aiuti che sappiamo, come mai ildifetto di cui qui parliamo diventaaddirittura assoluto, senza più nessu-na possibilità di intervento? Mi spin-go oltre, in un paragone che potreb-be sembrare esagerato e irriverente:ciò che noi chiamiamo in teologiapeccato, di fatto (e non potrebbe es-sere diversamente) è mancanza radi-cale, vuoto, assenza di essere (dun-que morte). Il peccato non ha consi-stenza sua propria (sarebbe una spe-cie di variante dell’unico essere sussi-stente…). E il peccato si toglie, ap-punto, rimettendolo…, mettendo,cioè, in quella zona di vuoto, in quelcontenitore, in quella capacitas esat-tamente quello che le manca, quelloper cui quella zona, per così dire, èstata pensata.

Un discorso non dissimile deve es-sere fatto anche per il peccato musi-cale trattato qui. Come la creazione èin statu viae, ha cioè la possibilità (ono) di completarsi, così lo stonato di

fatto ha la stessa possibilità. La man-canza più o meno radicale di cui sof-fre attende di essere riempita conquello speciale esempio trascinanteche è il canto di uno intonato; atten-de di essere riscattata da un’azionepaziente con cui il magister, con l’e-sercizio costante e metodico, gli ri-corda e fa uscire pian piano fuoriquell’armonia che un tempo è statapresente nello stonato stesso. Unasorta di maieutica delle set-te note, insomma.

Questo particolare temadel ricordo, della remini-scenza nel trattamento de-gli stonati mi pare sia decisi-vo. Durante i provini cheogni tanto mi vedono impe-gnato a reclutare forze nuove per ilcoro della mia parrocchia, mi capitadi imbattermi nella temuta specie,appunto. All’inizio ogni semplice ten-tativo di semplice riproduzione diuna nota sembra vano. A questopunto io chiedo sempre di fare unosforzo di concentrazione e, soprat-tutto, di ascolto. Prima di cantarequella nota devono concentrarsi eascoltarla profondamente1. Nellaquasi totalità dei casi le persone inquestione passano immediatamenteda una inabilità riproduttiva di fatto,a una quasi precisione dell’intonazio-ne. Certamente non sono capaci nel-lo stesso momento di riprodurre unamelodia, anche se semplice; ma se suuna nota raggiungono la precisione,ciò significa che in nuce hanno lapossibilità di ottenere sulla sequenzadelle note ciò che hanno raggiunto,anche se per speculum et in enigma-

Pregarcantando

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te (per dirla con san Paolo), su unasingola nota.

Naturalmente qui non è in questio-ne il discorso su un sotteso obbligo diimpegnarsi fino alla morte per il ri-scatto degli stonati e il loro inserimen-to nel coro. La morte è il prezzo dapagarsi per i peccati per antonomasia,non per quelli per analogia. La que-stione è se lo stonato, anche quello in-

callito, abbia de iure, la spe-ranza di un ultima possibi-lità. Noi crediamo di sì.

Non fosse altro per il fatto che chiscrive, in fanciulletta etate, facevadrizzare i capelli a suo padre quandotentava di canticchiare a casa qualcheritornello dei canti della messa delfanciullo; lo stesso peccatore delle set-te note che qualche anno più in la, dadiacono, ha avuto la gioia (e provatola commozione) di cantare per il Si-gnore davanti al Papa e al mondo in-tero (e questa volta senza pericolo peri capelli di alcuno) il Passio, nella partedi Gesù, la Domenica delle Palme.

Davvero nulla è impossibile a Dio!

Pregarcantando

1 Come il primo comandamento per l’uomo peccatore è Ascolta, Israele, così il primo obbligo per il peccatore delle sette noteè ascolta, stonato!

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“Salve, tu che generi nel misterola luce”

N umerose sono le feste liturgi-che che, sia in Oriente, sia inOccidente, celebrano Maria, la

Madre di Dio, con il triplice scopo disottolinearne il ruolo nell’ambito de-gli eventi salvifici della vita del figlioGesù, di commemorare sue apparizio-ni e interventi miracolosi in favoredella Chiesa e dei fedeli, e di evocarele tappe più importanti della sua stes-sa vita come, per esempio, la sua nati-vità, che viene commemorata l’ 8 set-tembre.

Questo evento, in area bizantina,rappresenta la più antica delle com-memorazioni annuali ispirate alla vitadella Vergine, fu istituita con moltaprobabilità nel V secolo, se non anco-ra prima. In epoca medioevale, tra ledodici grandi feste liturgiche dell’an-no figura, invece della Nascita, la Dor-mizione che, pur essendo stata accoltaufficialmente solo all’inizio del VII se-colo, divenne la festa mariana princi-pale.

L’importanza della festa della Nati-vità della Madre di Dio si ristabilirà apartire dal XV secolo. Nel periodo mo-derno la Natività e la Dormizione ri-spettivamente aprono e chiudono ilciclo annuale delle feste, anche in sen-so iconografico.

In Occidente notizie della festa sihanno solo alla fine del VII secolo, sot-

to papa Sergio I. Dopo l’esclusionedall’elenco delle feste di precetto daparte di Pio X, nel 1955 la riforma diPio XII la qualificò festa di II classe, inquanto traeva il suo fondamento nondai Vangeli, ma dagli apocri-fi. Dopo la riforma del calen-dario liturgico voluta dalConcilio Vaticano II mantie-ne il grado di festa. Il fattoche cada nel mese di settem-bre non è per motivi storici,bensì per parallelismo sim-bolico: come la nascita diMaria si può considerare il prologodella storia della salvezza, così il mesedi settembre, nell’impero bizantino,dava inizio sia all’anno ecclesiastico,sia a quello civile. Anche nella sceltadel giorno si nasconde una spiegazio-ne simbolica, in quanto otto è il nu-mero dell’equilibrio cosmico e delNuovo Testamento, indica l’ottavogiorno della creazione, cioè la nuovacreazione che inizia con la Risurrezio-ne di Cristo. Otto è il numero della ri-nascita attraverso il battesimo, dellaresurrezione, della vita eterna; Maria,con la sua nascita, viene al mondo co-me primizia di beatitudine, “tempio”in cui verrà accolto il Creatore, taber-nacolo del Dio vivente, talamo nuzialeper uno sposo immortale, Gesù.

La festa della Natività di Maria, na-ta a Gerusalemme sui luoghi stessi do-ve si verificò l’evento, si ispira ai capi-

L’icona della Natività della Madre di Dioe del santo angelo custode

di Roberta Boesso

Epifania dellabellezza

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toli V-VI del Protovangelo apocrifo diGiacomo (II sec.), il più antico e impor-tante Vangelo dell’Infanzia che ci siapervenuto e primo documento scrittoche ci fornisce i nomi dei genitori diMaria: Gioacchino e Anna. Su questafonte si basa l’iconografia della festache ci è pervenuta in una tipologia co-stante, in cui la rappresentazione del-la nascita è spesso arricchita da episo-di avvenuti in precedenza o successivi

all’evento. Ne è un interessante

esempio l’icona in esame incui, attraverso sontuosi sce-nari architettonici, si snodauna serie di scene che descri-vono in modo particolareg-giato le vicende prodigiose

che accompagnarono il concepimentoe l’infanzia di Maria.

Nel registro superiore, l’angelo, in-viato da Dio Sabaoth che si affacciabenedicente dalle nubi, appare a en-trambi i coniugi Gioacchino ed Annache, a causa della loro sterilità, si era-no allontanati l’uno dall’altro, chiu-dendosi in una profonda tristezza,pur continuando a confidare nell’aiu-to del Signore. L’annuncio da partedell’angelo dell’esaudimento della lo-ro preghiera, spinge Anna a precipi-tarsi alle porte della città per acco-gliere il marito e ritornare insiemenella propria casa, come è raffiguratonell’angolo in basso a sinistra: qui iconiugi si abbracciano in segno diringraziamento a Dio del lieto annun-

cio. La scena sovrastante, det-ta “Le tenerezze dei parenti”,mostra la piccola Maria tra lebraccia della madre, fruttodelle suppliche e dell’amoredi Gioacchino e Anna.

Il registro centrale è dedica-to alla scena vera e propria del-la Natività e si sviluppa su duepiani. In alto la puerpera, An-na, è seduta su un letto mentreun gruppo di vergini le offronoi doni rituali. La presenza ac-canto al letto di una tavola im-preziosita dalla finezza dellatovaglia, dalle coppe e dalleposate è simbolo dell’assisten-za e del servizio dato alla puer-pera. La parte inferiore dell’i-cona è occupata dal bagno del-la neonata, episodio simbolicoe d’obbligo in tutte le raffigu-razioni di nascita nell’iconogra-fia bizantina in relazione a un

Epifania dellabellezza

Icona russa, Natività della Madre di Dio, sec. XVIII

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personaggio singolare. Al proposito, èsignificativa la testa nimbata di Mariafin dalla sua tenera età, segno dellasua santità fin dalla nascita.

La scena del bagno della neonata èsimbolicamente analoga con quelladel bagno dei piccolo Gesù nelle iconedel Natale, quale archetipo del batte-simo suo e dell’intera umanità; cosìnei testi liturgici della festa della Nati-vità della Vergine si sviluppa il concet-to dell’ingresso nel mondo della Ma-dre di Dio, madre del salvatore delmondo, e della futura purificazionedell’umanità. All’estrema destra è rap-presentato il convito che celebra lanascita della neonata, presieduto daGioacchino (scena molto rara) e, sotto,la presentazione di Maria al tempioche sarebbe, secondo gli apocri-fi, avvenuta al terzo anno dietà della bimba: Anna la offreal sommo sacerdote Zaccaria,padre del Battista.

La tenda dipinta nella scenacentrale e nella presentazione altempio simboleggia, secondo icanoni iconografici, che l’eventosi svolge in un interno. Infine, laprospettiva inversa delle archi-tetture, in cui cioè il punto di fu-ga sta nello spettatore inveceche all’interno della composizio-ne, crea un effetto visivo per cuitutto sembra venire incontro achi sta guardando l’icona. Nonc’è profondità, né proporzionetra i vari elementi rappresentati,in quanto le dimensione di cosee personaggi dipendono solodall’importanza che ognuno diessi ha nel testo. Ciò implica unsimbolismo profondo che sta nel

rovesciamento dei valori proposti dalVangelo: è sempre Dio che va incontroall’uomo; nell’incontro con lui i rappor-ti materiali spariscono e le leggi fisichenon hanno più senso.

Questa icona è un inno di gioia aMaria, creatura prediletta da Dio perrinnovare il mondo e adornare laChiesa con doni di virtù e grazie.

Salve, Sede del Dio infinito,Salve, poiché in te si dis-

solve il peccato di Adamo,Salve, chiave del Regno di

Cristo, Salve Speranza deibeni eterni.

Salve, o sempre Vergine,Alleluia. Epifania della

bellezza

Angelo custode, icona scritta per manodi Roberta Boesso, sec. XX

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“Ecco, io mando un angelo dinanzia te…”

Il 2 ottobre la liturgia celebra la fe-sta degli angeli custodi. Secondo latradizione cristiana, ogni uomo quan-do nasce riceve da Dio, come custode,un angelo che lo accompagnerà pertutta la vita, fino al suo ingresso nellavita eterna. Mentre sono gli uomini ascegliere, con l’imposizione del nome,

il santo protettore, l’angeloè prescelto da Dio stesso: perquesto in Russia è particolar-mente venerato e il giornodell’onomastico è anche det-to “giorno dell’Angelo”, as-sociando questa memoria aquella del santo patrono.

Sia nel Nuovo, sia nell’Antico Testa-mento ci sono testimonianze dell’esi-stenza degli angeli custodi: “Guardatedi non disprezzare uno di questi pic-

coli, perché vi dico: i loro angeli neicieli contemplano incessantemente ilvolto del Padre vostro che è nei cieli”(Mt 18,10) e “L’angelo di Jahvè si ac-campa attorno a tutti i suoi fedeli e lisalva ” (Sal. 34,8).

Nella tradizione iconografica russal’angelo custode è rappresentato conchitone (tonaca) e himation (soprave-ste) bianchi. Regge una croce, la crocedi Gesù, segno potente per sconfiggereil tentatore e quindi per proteggere evegliare instancabilmente sull’anima alui affidata da Dio stesso; la spada cheimpugna con l’altra mano è ugualmen-te simbolo di difesa.

Ecco, io mando un angelo dinanzia te

affinché ti custodisca lungo il cam-mino

e ti conduca al luogo che io ho sta-bilito. (Es 23,20).

Epifania dellabellezza

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D a quel fuoco che Dio ha accesoin santa Teresa sono molte lescintille che lungo i secoli han-

no illuminato la Chiesa. Dalla loro

fiamma si sono lasciati “bruciare”schiere innumerevoli di uomini e don-ne. Alcune scintille hanno acceso nuo-vi fuochi per riscaldare la fede dei cre-

denti, basta pensare a san-ta Teresa di Li-sieux e Teresa Be-nedetta della Cro-ce nella famigliacarmelitana, mapossiamo conti-nuare con sanFrancesco di Sales,santa VeronicaGiuliani e altri. Volere rac-cogliere tutto lo sfavillaredi questo fuoco in un arti-colo sarebbe alquanto ri-duttivo e forse un’impro-pria opera da “pompiere”,per questo lasceremo bril-lare quelle luci che la litur-gia, come perle preziose diun gioiello, ha incastonatonell’orazione colletta per lacelebrazione della sua me-moria.

Per Dio ogni santo è uncapolavoro della grazia,una risposta piena allachiamata ad essere suoiamici, e noi lo decantiamocon le parole introduttivedell’orazione: “O Dio, cheper mezzo del tuo Spiritohai suscitato nella Chiesasanta Teresa di Gesù per in-

I nostriamici

Santa Teresa di Gesùdelle Monache Clarisse Cappuccine

di Mercatello sul Metauro (PU)

......................................

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dicare un nuovo cammino di perfezio-ne”. Individuiamo l’opera divina e nel-lo stesso tempo anche il beneficio perla sua Chiesa a cui è aperta una nuovavia.

Ci sembra doveroso considerarenella novità di un cammino il contestostorico in cui sorge, la sua maturazio-ne e gli sviluppi successivi.

Il secolo XVI, in cui visse santa Te-resa, conobbe un’enorme fioritura di

santi: Ignazio di Loyola,Francesco Saverio, Carlo Bor-romeo, Francesco di Sales(morì proprio nel 1622, annodi canonizzazione della san-ta e anno di nascita di Filip-po Neri e Felice da Cantali-ce). L’epoca storica, dopo lascoperta dell’America

(1492), conobbe una svolta che spinsel’uomo alla ricerca di nuovi mondi elo aprì a una coscienza sempre mag-giore di sé e della propria libertà. LaChiesa non fu estranea a questi in-flussi e visse gli sconvolgimenti pro-dotti dalla Riforma protestante. Lostesso Concilio di Trento (1545-1563)cercò di riportare il messaggio di Cri-sto nella sua centralità, eliminandomolte confusioni.

Santa Teresa nacque ad Avila nel1515, da una nobile famiglia spagno-la, secondogenita di nove figli; rimaseorfana di madre a soli 12 anni. Fueducata cristianamente in famiglia,dove il padre non ammetteva la pre-senza di schiavi, e fin dall’età di seianni convinse il fratello maggiore Ro-drigo (suo prediletto) a lasciare la casaper subire insieme il martirio fra i mo-ri. Uno zio li ricondurrà a casa, manon riuscirà a diminuire l’ingegno del-

la piccola che si prodigherà nella co-struzione di eremi per giocare a “farela monaca”. Una volta cresciuta, Tere-sa s’immerse nella vita mondana, ilsuo spirito si trovò così combattuto trala ricerca inflessibile della verità (ap-passionata lettrice di libri, soprattuttodei Padri della Chiesa e dei santi) e ladedizione al mondo. La decisione sul-lo stato di vita da abbracciare rappre-sentò un dilemma per lei stessa: da unlato l’insoddisfazione per la vita mon-dana, pur non riuscendo a staccarsidai suoi piaceri; dall’altro la paura del-la morte e del giudizio finale. Il pen-siero della dannazione eterna (altroche un sentimento puro di timor diDio e di amore filiale!), la fece pro-pendere per la scelta religiosa. Inte-ressante questo elemento del discerni-mento vocazionale di Teresa, forse perla nostra ragione un po’ sconcertante,eppure Dio si è servito di una motiva-zione un po’ interessata per determi-nare la sua decisione di consacrazionea lui. E sappiamo bene come Egli ab-bia saputo poi purificarla e allargarequest’anima alla donazione universa-le.

Continuiamo però la progressionedegli eventi che portarono Teresa afuggire di casa per vincere le resisten-ze paterne ed entrare nel monasterocarmelitano di Santa Maria dell’Incar-nazione, alle porte di Avila (2 novem-bre 1535). La sua fuga da casa non fudettata da una mancanza di capacitànell’affrontare la situazione, ma daldesiderio di seguire tenacemente il Si-gnore secondo gli esempi degli anti-chi Padri: una lettera di san Girolamo,ben nota alla santa, invitava appuntoa camminare persino sul corpo del pa-

I nostriamici

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dre che si fosse sdraiato sulla soglia dicasa per impedire la consacrazione aDio (epistola XIV, 2 a Eliodoro). Il pri-mo periodo in monastero fu pieno difervore, caratterizzato da fasi di ora-zione intensa. Dopo pochi anni unagrave malattia, da cui fu miracolosa-mente guarita per intercessione disan Giuseppe, interruppe il suo slan-cio e diede il via a un periodo di dissi-pazione spirituale attraverso conver-sazioni vane in parlatorio (nonostan-te fossero brillanti e approvate damolti confessori, tenendo presente ilperiodo di decadenza spirituale deimonasteri). Lei stessa, nella sua bio-grafia, racconta tutto il tempo in cuis’intratteneva in conversazioni che ladistoglievano da Dio, anziché aiutarei fratelli a infiammarsi dell’amore diDio: “Passai quasi vent’anni in questomare procelloso. Cadevo e mi rialza-vo, e mi rialzavo così male che ritor-navo a cadere. Ero così in basso in fat-to di perfezione che non facevo quasipiù conto dei peccati veniali, e nontemevo i mortali come avrei dovuto,perché non ne fuggivo i pericoli” (Vi-ta, 8,2). Non è possibile condensare inpoche righe la bella descrizione dellasua conversione, avvenuta dopo circa20 anni di vita religiosa, maturata sialeggendo le Confessioni di sant’Ago-stino, che la illuminarono sui legamiche le impedivano di donarsi intera-mente a Dio, sia con un richiamo delCrocifisso che le rischiarò l’intellettosulle esigenze della vita abbracciatae, a 40 anni, si propose con decisionedi dedicarsi meglio all’orazione. Inrealtà, non aveva mai lasciato l’ora-zione completamente, lei stessa ritie-ne che questo le impedì di cadere in

uno stato ancora peggiore della me-diocrità in cui viveva. Da questo pe-riodo inizia una nuova vita, su cui gliscritti abbondano di particolari. Cisembra però opportuno indugiare unpoco sulla nuova via aperta dallo Spi-rito per la Chiesa. La colletta, infatti,parla di un “cammino nuovo” suscita-to nella Chiesa, e riteniamo conve-niente compendiare in due aspetti ciòche di inedito la santa ha tracciato:

In primo luogo Teresa hasaputo far emergere il valo-re della qualità rispetto alnumero. Infatti, le sue nuovefondazioni prevedevano unnumero massimo di 13 suore(poi portato a 1), a imitazio-ne del collegio Apostolicocon Gesù (12+1), rispetto aimonasteri che contavano 150 suore,come quello in cui lei era entrata. Inun periodo in cui si puntava molto al“grandeur” delle opere, lei ha valoriz-zato la piccolezza.

In secondo luogo ella seppe mette-re insieme due esigenze spirituali: lacontemplazione amorosa in sé (amoredelle cose divine), con la trasmissioneagli altri della contemplazione stessa(contemplata aliis tradere). Teresa co-niugò profondamente questi due ele-menti della sua orazione e contempla-zione ecclesiale, a partire dalla santaumanità di Gesù Cristo.

Sarebbe forse più corretto definireil centro del suo messaggio: Gesù Cri-sto, la santa Umanità che ci porta aDio. Una spiritualità incarnata che sicontrappose alle correnti molto evasi-ve dell’epoca: come Dio è venuto anoi mediante Gesù Cristo, così noi nonpossiamo andare a Dio se non per

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mezzo della sua umanità. Dall’intimorapporto di amicizia con lui, così comelei stessa definisce l’orazionementale1, si sprigionò un’energia taleche la condusse a diffondere una for-ma di vita povera interamente deditaal servizio della Chiesa mediante lapreghiera, attraverso la fondazione dinuovi monasteri sia maschili sia fem-minili. Santa Teresa “ha cominciato ariformare i Carmeli femminili, immagi-

nandoli e creandoli comepiccoli «paradisi in terra» do-ve vive «la compagnia deibuoni», di coloro cioè che siaiutano reciprocamente a«vedere Dio» fin da questaterra con gli occhi limpididella fede e col fuoco dellareciproca carità che si innal-

za verso il cuore stesso di Dio. Mona-steri che si assumono il compito di es-sere e restare «nel cuore della Chiesae del mondo», là dove si prega, si sof-fre, si lotta, si ama per tutti e al loroposto”2.

La parte fondamentale della spiri-tualità di Teresa fu la sua profonda in-timità con Dio. In lei “le meravigliedell’anima umana si manifestano inmodo sorprendente, ed una fra tuttepiù comprensiva: l’amore, che celebranella profondità del cuore le sueespressioni più varie e più piene; (…) èl’incontro dell’amore divino inondan-te che discende all’incontro con l’amo-re umano, che tende a salire con tuttele forze, è l’unione con Dio più intimae più forte che ad anima vivente inquesta terra sia dato sperimentare; eche diventa luce, diventa sapienza; sa-pienza delle cose divine, sapienza del-le cose umane”3.

Di questa sapienza, che lo Spiritoha riversato in Teresa, la Chiesa ci invi-ta a chiedere “…di nutrirci spiritual-mente”. L’orazione indica esplicita-mente la parola dottrina perché le èstato riconosciuto un titolo di inse-gnamento valido per tutta la Chiesa:Teresa infatti è la prima donna procla-mata Dottore della Chiesa. Papa PaoloVI, nel suo discorso per l’occasione,precisò che anche la parola di san Pao-lo in 1 Cor 14,34 andava correttamen-te intesa dichiarando che anche ladonna, partecipando del sacerdoziocomune dei fedeli, è abilitata e obbli-gata a professare dinanzi agli uominila fede ricevuta da Dio per mezzo del-la Chiesa (Lumen gentium, 2,11). Diquale dottrina si tratta è mostratodalla liturgia, che offre alla meditazio-ne dei fedeli come seconda letturadell’Ufficio un brano della vita di Te-resa che ben focalizza il suo messag-gio: la preghiera come mezzo per l’in-contro dell’uomo con Dio attraversol’umanità di Gesù Cristo.

La sua esperienza di vita, immersanella contemplazione di Dio, è statada lei stessa ampiamente spiegata neinumerosi scritti che ci ha lasciato e, at-traverso un’elaborazione singolare diquanto viveva, Teresa ha indicato uncammino sicuro per ogni cristiano.“Per quanto riguarda lo sviluppo con-creto della vita di preghiera, bisognariferirsi a santa Teresa «Il castello inte-riore» che contiene la descrizione clas-sica del cammino di orazione. I varimanuali attingono quasi esclusiva-mente al suo insegnamento e non ag-giungono nulla di nuovo”4.

La dottrina di Teresa risulta pertan-to imperniata sui segreti dell’orazio-

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ne. “Il messaggio dell’orazione! Vienea noi, figli della Chiesa, in un’ora se-gnata da un grande sforzo di riformae di rinnovamento della preghiera li-turgica; viene a noi, tentati dal gran-de rumore e dal grande impegno delmondo esteriore di cedere all’affannodella vita moderna e di perdere i veritesori della nostra anima nella conqui-sta dei seducenti tesori della terra.Viene a noi, figli del nostro tempo,mentre si va perdendo non solo il co-stume del colloquio con Dio, ma ilsenso del bisogno e del dovere di ado-rarlo e d’invocarlo. Viene a noi il mes-saggio della preghiera, canto e musicadello spirito imbevuto della grazia eaperto alla conversazione della fede,della speranza e della carità, mentrel’esplorazione psicanalitica scomponeil fragile e complicato strumento chenoi siamo, non più per trarne le vocidell’umanità dolorante e redenta, maascoltarne il torbido mormorio del suosubcosciente animale e le grida dellesue incomposte passioni e della suaangoscia disperata. Viene il messaggiosublime e semplice dell’orazione dellasapiente Teresa, che ci esorta ad in-tendere «il grande bene che fa Dio adun’anima, allorché la dispone a prati-care con desiderio l’orazione mentale(Vita, 8,4)» ”.5

Qualche decennio fa, proprio nellafesta di santa Teresa, la Congregazio-ne per la dottrina della fede, inviòuna lettera ai vescovi della Chiesa Cat-tolica per rispondere al desiderio dimolti cristiani di imparare a pregare inmodo autentico e approfondito. In es-sa troviamo alcuni elementi fonda-mentali della sua dottrina, offerti conun linguaggio adeguato alla nostra

epoca. Ogni cristiano riceve nel Batte-simo la grazia della preghiera, perònon tutti ne assecondano il desiderioe ne coltivano la pratica: per questorisuona sempre forte il monito di Te-resa: “la meditazione è indispensabileper tutti i cristiani, né vi è persona chedebba trascurarla, per colpevole chesia, quando Dio gliene ispira il pensie-ro… Ben diversa è invece la contem-plazione… perché Dio si arrende soloa coloro che si danno total-mente a Lui”.6

Ogni santo è un po’ vitti-ma ed eroe del suo tempo:vittima nel senso che è co-stretto a respirare l’aria dellecorrenti negative della suaepoca; eroe perché non si èlasciato trascinare dalla cor-rente e, facendo trionfare l’amore diCristo, ha lasciato dietro di sé una sciadi purezza e di bontà che ha cambiatoil mondo.

Mentre il Medio Evo stava tramon-tando e già risplendevano le primeluci dell’Era Moderna, con l’esaltazio-ne della ragione e i suoi sviluppi asso-lutistici che condurranno l’uomo adallontanarsi da Dio, Teresa, incarnan-do il messaggio evangelico, ha valo-rizzato la preghiera come atteggia-mento umile e filiale di colei che cer-ca la Verità e si fida di Dio, vera lucedell’intelletto. Alcune correnti quieti-ste, come gli “Alumbrados” (illumina-ti), tendevano a ridurre costantemen-te l’attività dell’uomo a favore delloSpirito Santo, ma disprezzando losforzo spirituale. Anche oggi, dopoche la psicologia del profondo ha ri-messo in luce l’importanza della vitaaffettiva e, data la diffidenza nei con-

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fronti delle costrizioni imposte dall’e-ducazione, si tende a valorizzare lapura spontaneità spirituale, insisten-do sull’azione dello Spirito Santo. Te-resa però ci ricorda che lo Spirito ope-ra tutto con misura e non eccede nep-pure nell’abbandono totale di ogniattività ed esorta le sorelle: “ripeten-do che dipende tutto da noi. Chi vuolarrivare a questo stato (di orazione),non deve mai lasciarsi scoraggiare…”.

Ben sapendo che né la ra-gione, né uno sforzo pura-mente naturale potrannoprodurre il contatto dell’ani-ma con Dio, sollecita le so-relle a ritenere “per beneimpiegati tutti gli sforzi chea questo scopo faranno,giacché nulla s’impara senza

un po’ di fatica. Se vi applicherete de-cisamente, sono sicura che l’aiuto diDio non vi mancherà…”.7 Teresa in unaltro passo, conscia della necessitàdell’uomo ferito dal peccato di conti-nuare a lottare contro la concupiscen-za, afferma che chi “vuole che l’ora-zione sia di profitto, si sforzi di vince-re la sua volontà… ”.8

Non si può vivere una preghieraautentica senza uno sforzo asceticoche riguarda sia l’atteggiamento inte-riore fatto di ricettività e di rinunciaall’azione, sia una disciplina di vita so-lida. Per una profonda vita di preghie-ra è necessario assicurarsi condizioniesteriori di tempo e di pace, nonché distudio9. Certamente è possibile prega-re in ogni luogo e circostanza, alcunicasi singolari lo dimostrano, ma usarlocome condizione abituale significa di-menticare che la vita spirituale nonpuò essere definita partendo da casi

eccezionali. L’importanza della dottri-na di Teresa viene a noi in un tempoin cui la cultura moderna sembra por-re non poche difficoltà all’avvertitaesigenza di silenzio, per questo con-viene comunemente procurarsi o sal-vaguardare dei tempi dedicati intera-mente alla ricerca di Dio. Senza un’a-scesi previa, difficilmente sarà possibi-le una vita interiore solida, capace distare alla presenza di Dio sia nel tu-multo della folla o in mezzo agli affariterreni, sia nella più profonda solitu-dine.

In un mondo insicuro e fragile co-me il nostro, la figura di questa donnaforte, che avanza sulle strade dellaSpagna superando ostacoli umani espirituali, ci dimostra l’importanzadella vita interiore: “aveva sperimen-tato che le vie del mondo sono infrut-tuose se l’uomo non comprende lapropria interiorità. «Ci può essere for-se male più grande - si domanda - chenon poterci ritrovare in casa nostra? Ese in casa nostra non ci sentiamo sod-disfatti, forse che possiamo sperare disentirci tali in casa altrui?»”10

Teresa ha conosciuto le tentazionia cui va incontro l’uomo che si dispo-ne all’orazione per conformarsi in tut-to al volere di Dio, anche quella di chipensa che l’unione con Dio sia conse-guenza dei propri meriti e dell’impe-gno personale. Per questo ritiene chel’unico fondamento della preghierasia l’amore che ci fa desiderare di ap-partenere totalmente all’amato: “Èquesta risoluzione ch’Egli vuole. Vuoleche lo si renda padrone del nostro li-bero arbitrio. Non ha bisogno dei no-stri sforzi. Anzi, è nelle creature piùdeboli che si compiace di far risplen-

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dere le sue meraviglie, perché in essepuò meglio spiegare la sua potenza esoddisfare al desiderio di accordarci lesue grazie…”.11

L’uomo spirituale è capace di riflet-tere la sicurezza di Dio, e santa Teresaha una grande fortezza d’animo chesa andare contro ogni difficoltà pro-prio perché ripone la sua fiducia nelSignore. La vera grandezza dell’uomoè la sua umiltà, condizione indispensa-bile per porsi dinnanzi a Dio Creatorecon la verità di chi si riconosce creatu-ra da lui amata e redenta nel Figlio.“Ma credo che non arriveremo mai aconoscerci, se insieme non procurere-mo di conoscere Dio. Contemplandola sua grandezza, scopriremo la nostramiseria; considerando la sua purezzariconosceremo la nostra sozzura; e in-nanzi alla sua umiltà vedremo quantone siamo lontani… Perciò figliuole,fissiamo gli occhi in Cristo nostro benee nei suoi santi, e vi impareremo la ve-ra umiltà”.12 Da questa conoscenza,per mezzo dello Spirito, si impara larelazione filiale, unica condizione peraccogliere l’Amore di Dio e donarloagli altri. Perché giustamente Teresa“non sa comprendere che si dia o pos-sa darsi umiltà senza amore, e amoresenza umiltà, come non è possibileche queste due virtù stiano in un’ani-ma senza un gran distacco da ogni co-sa…”13

La stabilità della persona perciònon ha fondamento in se stessa e nel-le sue risorse naturali, nel successo onell’appagamento dei piaceri. Un ele-mento molto attuale che invita i cri-stiani ad essere punti di riferimentoper il mondo dal momento che sonosicuri nella fede, una fede umile e

profonda in Dio alimentata nella pre-ghiera: “…è esattamente nella pre-ghiera che l’essere umano, posto difronte alla Verità e Bellezza somme,avverte il fascino che elimina ognipaura e accende il desiderio di saperee conoscere. L’orazione è come uncontinuo processo d’apprendimentodel cuore e della mente, dei sensi edelle emozioni, ma tale diventa nellavita a volte frenetica dell’operatorepastorale solo se davvero ilmistero pregato e contem-plato splende ai suoi occhi dibellezza e verità, e l’orante ècosì libero e appassionato dalasciarsene possedere, anzida lasciarsi fecondare dallosplendore della verità! ”.14

La preghiera in Teresa èun atteggiamento umile, un mettersidavanti a Dio Padre in uno stato di ri-cezione e di attesa come un figlioamato. Dai racconti riportati dallastessa santa scopriamo lo stile abitualedi affrontare nella fede gli eventi del-la vita. In particolare un episodio nar-rato nelle Fondazioni ci manifesta lapersonalità umile di Teresa che rinun-cia ad affermare se stessa e le proprieconvinzioni, sebbene buone e dettateda saggia prudenza, per rimettersi alvolere di Dio. Sempre diffidente diquanto ascolta nella preghiera, ricorrealle mediazioni umane per discernereil volere divino: “Nonostante le graviragioni che mi sembravano contrarie,dopo tali parole (ricevute nell’orazio-ne) non osai far altro che rimettermialla decisione del mio confessore, cosìcome in simili circostanze solevo fare.Lo mandai quindi a chiamare senzadirgli nulla di quanto avevo inteso

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nell’orazione. Facendo così, rimangopiù tranquilla. Però, supplico il Signo-re d’illuminare chi mi dirige affinchédecida rettamente secondo le vistenaturali. E molte volte ho veduto chequando Dio vuole una cosa, gliela po-ne in cuore. Così avvenne anche allo-ra. Egli, infatti, dopo aver tutto esami-nato, fu d’avviso che partissi, e io deci-si d’andare”. (Fondazioni XVII, 4)

L’orazione per santa Teresa è l’in-contro nella fede del figliocon Dio Padre per mezzo diGesù Cristo, luogo privile-giato per conoscerlo, lodar-lo e ringraziarlo, ma soprat-tutto per disporsi a compie-re la sua volontà nel servizioalle membra visibili di Gesùche sono i fratelli. “Sì, se el-

la s’intrattiene spesso con lui, comesarebbe doveroso, finisce col dimen-ticare se stessa per esaurire ogni suapreoccupazione nel cercare di mag-giormente contentarlo e nel conosce-re in quali cose e per quali vie possamostrargli l’amore che gli porta.Questo è il fine dell’orazione… Aquesto tende il matrimonio spiritua-le; a produrre opere e opere, essendoqueste il vero segno per conoscere sesi tratta di favori e di grazie divi-ne…”.15 L’unità interiore di Teresa glipermette di operare tutto, anche nel-le azioni dirette all’uomo, avendosempre come unico fine Dio. Per leiessere veramente spirituali “vuol direessere gli schiavi di Dio, tali che, se-gnati con il suo ferro, quello dellacroce, Egli li possa vendere comeschiavi di tutto il mondo, com’è statoper lui… Sorelle procurate di esserele ultime e le schiave di tutte, stu-

diando in che modo e per quali vie visia possibile di meglio contentare eservire le altre”.16

Leggendo la Vita di santa Teresa siresta ammirati per il suo indugiare neidettagli dell’orazione e della scopertadelle sue vie, ancor più quando poi liespone in forma di trattato nel Castel-lo interiore, o si ferma a raccontare lerelazioni che legano intimamente lavita spirituale con quella pratica nelCammino di perfezione. Per questoabbiamo sottolineato la profonda spi-ritualità dell’Incarnazione che ha fattodi Teresa un’instancabile ricercatricedel volto di Cristo: un volto da amaree adorare nella fede e con le opere.“Per questo, ripeto, è necessario checerchiate di non far consistere il vo-stro fondamento soltanto nel recitaree contemplare, perché se non procu-rate di acquistare le virtù e non ne fa-te l’esercizio, rimarrete sempre dellenane… Ecco, sorelle, quanto vorreiche procurassimo. Desideriamo e pra-tichiamo l’orazione non già per gode-re, ma per aver la forza di servire il Si-gnore”17 (altro che contrapposizionetra Marta e Maria di cui la memoria ciinvita a meditare l’episodio evangeli-co).

Santa Teresa non trascura, né sot-tovaluta la preghiera liturgica dellaChiesa e, pur nelle difficoltà in cuispesso si trovava, non tralasciava maidi celebrarla con devozione e decoro.Tuttavia riconosce che l’orazione è so-lo la condizione privilegiata per con-servare e alimentare quel fuoco chel’amore accende nei cuori, creando econservando le disposizioni dell’animaaffinché attinga con maggior fruttoalle altre fonti della grazia, in partico-

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lare ai sacramenti, tra i quali eccellel’Eucaristia.

Ci siamo dilungati a parlare dell’o-razione perché ci sembra il cuore del-l’insegnamento di Teresa e per que-sto, lungo i secoli, la tradizione catto-lica l’ha sempre chiamata maestra edottore, ancor prima della proclama-zione ufficiale della Chiesa. Questaconsiderazione sulla dottrina di santaTeresa ci permette di comprendere ildinamismo interiore che rinnovò inte-

ramente la sua vita: l’esperienza viva evivificante del Signore Gesù, alimenta-ta dall’orazione assidua, coinvolse lavita di Teresa e la trasformò dall’ini-ziale esigenza di salvezza personale,al bisogno irresistibile di comunicare edonare agli altri l’amore che ha fattoirruzione nel suo cuore. Lei stessa rac-conta che, dopo alcuni anni in cui l’o-razione era divenuta familiare alla suagiornata e il dolce colloquio con losposo la rapiva per lungo

tempo, co-minciava asvegliarsi inlei un desi-derio di por-tare i benefi-ci della pre-ghiera a tuttigli uomini. Fu in quelperiodo, scosso daiturbamenti dellaRiforma protestantecon la distruzione del-la chiese cattoliche,che il Signore le misein cuore il progetto diaprire dei luoghi in cuiDio potesse essereamato e glorificato dadonne interamenteplasmate dal suo Spiri-to. Verso il 1560 con-cepì il progetto di se-guire la Regola primi-tiva con maggior per-fezione.

Il racconto delleFondazioni descrivemolto dettagliatamen-te tutte le fatiche chetale impresa costituì

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per la santa, mettendo in luce la fedeprofonda che le fece portare a termi-ne i progetti nonostante gli ostacoliincontrati sia da parte degli uomini(guidati dallo spirito del male che siopponeva a quelle imprese che avreb-bero recato un gran bene all’uma-nità), sia per le malattie a cui spessoandava soggetta.

Teresa non è comunque sola nellesue imprese e Dio l’assiste per mezzo

di due santi che la conforta-no e la aiutano nella primefondazioni, specialmentequella del monastero di sanGiuseppe in Avila (1562): so-no il gesuita san FrancescoBorgia e il francescano sanPietro d’Alcantara. Nonmancarono neppure uomini

dotti, come i padri gesuiti e i domeni-cani, in particolare Pietro Ibanes(1565) e Domenico Banez che la con-fermarono nella via spirituale favoritada grazie mistiche, e la sostennero nelpercorso di approvazione della rifor-ma dei Carmelitani Scalzi. Nel periododi apertura del secondo monastero(1567), l’incontro con il neo-sacerdoteGiovanni di san Mattia, il futuro sanGiovanni della Croce, fu decisivo perinaugurare anche la riforma nel ramomaschile dell’ordine. In seguito il sa-cerdote divenne confessore della San-ta e la aiutò nella direzione spiritualedi vari monasteri.

Nell’epoca in cui “molte anime siperdevano” nel dilagare della Riformaprotestante e dell’invasione musulma-na, si confermava in lei il desiderio dioperare per la gloria di Dio ben sa-pendo che “più che alla magnificenzadelle opere, il Signore guarda all’amo-

re con cui si fanno”.18 Anche all’inter-no della Chiesa l’opera dell’Inquisizio-ne imperversava in Europa e Teresastessa fu sottoposta a verifiche minu-ziose. L’accusa più forte le venne nel1577 dal Nunzio apostolico, che le die-de l’appellativo di “femmina inquietae vagabonda, disobbediente e contu-mace… che insegna come maestra inopposizione a quanto scritto da sanPaolo proibendo alle donne di inse-gnare”. Questa prova mise in risalto lasua umiltà e sottomissione alla Chiesarimettendosi con fiducia al suo giudi-zio, tanto che lo stesso Nunzio diverràin seguito promotore dell’autonomiadei Carmelitani Scalzi presso la Cortespagnola.

La santa, inoltre, è abituata a fis-sare gli occhi in Dio e nei suoi santiper attingere dal loro esempio la for-za per camminare su nuove vie: “Ilgiorno di S. Chiara, mentre stavo percomunicarmi, mi apparve questa san-ta tutta raggiante di bellezza e m’in-coraggiò ad andare innanzi, aggiun-gendo che anch’ella sarebbe venutain mio aiuto. Presi ad esserle devota,e vidi la verità delle sue promesse…Soprattutto mi ispirò, a poco a poco,desideri così perfetti di povertà che,quanto a questa virtù, siamo anchenoi come le sue figlie e viviamo dielemosina, benché non senza grandifatiche si sia potuto ottenere dal San-to Padre l’autorizzazione di mante-nerci ferme a questa regola e di nonavere rendite. Ora grazie alle pre-ghiere di questa santa gloriosa, il Si-gnore fa assai di più, perché ci prov-vede sovrabbondantemente di ogninostro necessario, senza che noi lopreghiamo”.19

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Il suo desiderio di povertà totale fuesaudito ampiamente restando “stra-niera e pellegrina” in questa terra an-che in punto di morte. Le sorelle delmonastero di Alba de Tormes, in cui sitrovava di passaggio per obbedire aisuperiori, vedendola gravemente ma-lata, chiesero se volesse essere seppel-lita nel suo monastero di Avila; lei ri-spose se mancava loro un pezzo diterra in cui deporre il suo corpo. Tere-sa chiese dunque il Viatico e, dopoaver ringraziato Dio per averla fattafiglia della Chiesa e concederle di mo-rire in essa, terminata la festa del po-verello di Assisi, nella notte storica del4 ottobre 1582 (in cui si passò dall’an-tico calendario giuliano a quello gre-

goriano divenendo il giorno seguente15 ottobre) lasciò l’esilio terreno perunirsi stabilmente nel Dio tanto ama-to e cercato.

La spontaneità dello stile dei suoiscritti farebbe moltiplicare le citazioni,almeno per non ridurre la feconditàinteriore della Santa, né aggiungerecommenti poco adeguati a un lin-guaggio ispirato. Ciò diventa per noiun invito rinnovato a meditare i suoiscritti, nei quali ha saputo esprimere isegreti della vita spirituale e spiegarliagli altri.

Un aiuto, sempre valido, per guida-re ogni cristiano a “essere infiammatoda un vivo desiderio di santità”, cosìcome chiediamo nell’orazione colletta.

1 Giacché l’orazione mentale non è altro, per me, che unintimo rapporto di amicizia, un frequente intrattenimen-to da solo a solo con Colui da cui sappiamo d’essere ama-ti. (Vita 8,5).

2 SICARI A. M., Il grande libro dei ritratti di santi. Dall’anti-chità ai giorni nostri, Milano 19991, 224.

3 PAOLO VI, Discorso per la proclamazione di S. Teresa D’A-vila dottore della Chiesa, 27 settembre 1979.

4 BERNARD C. A., Teologia spirituale, Roma 1983, 417. Inte-ressante la sintesi dell’autore sulle leggi generali della vi-ta di preghiera di cui riportiamo qualche esempio. - Unità interiore: Dal punto di vista psicologico l’unitàdella vita di preghiera sarà raggiunta tanto meglio quan-to più la persona si sforzerà di vivere abitualmente in uncerto raccoglimento, ossia compiere le proprie azioni conpurezza d’intenzione, nella pace interiore ed esteriore econ lo spirito per quanto è possibile elevato a Dio. Senzaquesto raccoglimento abituale, infatti, difficilmente sisarà raccolti nell’orazione.- Distacco del cuore: senza la costante ricerca della purez-za d’intenzione, sarà molto difficile saper discernere il ve-ro atteggiamento spirituale che costituisce la preghiera.- Preparazione dell’orazione: sarebbe meglio assicurareuna preparazione remota...- Tempo dell’orazione: …un tempo che si dà al Signoresenza preoccupazioni e senza aspettare un profitto im-mediato… un tempo necessario non solo in una vita con-templativa, ma anche in una vita cristiana coerente, especialmente nella vita apostolica. Solo nell’orazione siforma il senso del Dio vivente.- Fedeltà: …se alla prima difficoltà non si rimane fedeli,

non si entrerà mai nella via regale dell’orazione, poichéle prove, le aridità, le stesse tentazioni importune accom-pagnano spesso l’approfondirsi della vita spirituale diun’anima. Chi sarà fedele sperimenterà assai presto che iltempo lealmente dato a Dio opera una trasformazionereale nella forza e nella luce per il tempo avvenire.

5 PAOLO VI, Discorso per la proclamazione di S. Teresa D’A-vila dottore della Chiesa, 27 settembre 1979.

6 S. TERESA di GESU’, Opere, Roma 1977, 607.7 Cfr. Ibidem, 676.8 Ibidem, 959.9 C. A. Bernard ritiene che la base dottrinale, in generale, è

molto importante e necessaria alla vita di orazione. È be-ne perciò incoraggiare i principianti a fare la lettura me-ditata di buoni libri dottrinali (eventualmente, ma concautela, durante il tempo stesso della preghiera). Anchequando la preghiera diventa più personale e più sempli-ce, l’approfondimento dottrinale aiuterà sempre coluiche prega a non cadere nel vago e nel sentimentalismo.

10 HERBSTRITH W., Teresa d’Avila, la vita, il pensiero, l’iden-tità di donna, Città Nuova Editrice, Roma 1996, 55 e Ca-stello Interiore II 1,9.

11 S. TERESA di GESU’, Opere, 1003.12 Ibidem, 772-773.13 Cfr. ibidem, 607.14 CENCINI A., Il respiro della vita, Milano 2002, 108-109. 15 S. TERESA di GESU’, Opere, Roma 1977, 958.16 Ibidem, 959.17 Ibidem, 960-961.18 Ibidem, 963.19 Ibidem, 337.

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Pedagogia soprannaturale cheeduca a vita eterna

L a liturgia non è soltanto il ritolegittimo col quale la Chiesa,per Cristo sommo sacerdote

della fede che noi professiamo (Eb3.1) adora perfettamente Dio in spi-rito e verità (Gv 4,23-24), ma vuoleanche rappresentare, soprattutto peri pastori di anime, la pedagogia so-prannaturale con la quale i figli diDio vengono educati a vita eterna.

Per la formazione spirituale deifedeli è indispensabile seguire l’ordi-ne e il metodo ascetico della Chiesastessa. Tutta la vita intera del cristia-no, come la sacra liturgia, voglionoessere: “nel nome del Padre del Fi-glio e dello Spirito Santo”.

Lo spirito della Chiesa non tollerache si muti quell’ordine divinamen-te stabilito, né che si alterino le de-bite proposizioni: a Gesù si va perMaria Santissima, corredentrice emadre del genere umano. I santivengono fruttuosamente invocatiquali amici di Dio e nostri validi av-vocati in cielo.

Senso autentico della liturgia.

Le condizioni della liturgia, vitti-ma talvolta dell’improvvisazione edella prassi sbrigativa di alcuni edu-catori non eccessivamente sapienti,

altre volte danneggiata da “ecumeni-smi” troppo intraprendenti secondo iquali il cristiano dovrebbe quasi chie-dere scusa di essere tale facendosiperdonare la fede in Cristo Gesù uni-co salvatore, sono state stigmatizzatedefinitivamente con la pubblicazionedella Costituzione “SacrosantumConcilium” del Vaticano II. La voca-zione burocratica che ha equivocatola chiamata “seguimi” interpretando-la in “siediti” (tra Cristo che passa enoi c’è sempre di mezzo una sedia eun tavolino di troppo) è stata scossadall’invito a tornare al carattere tra-dizionale irrinunciabile della liturgia,invito che ha suscitato a tutti i livelliun bisogno di corresponsabilità. IlSommo Pontifice, affinché la Chiesatuteli debitamente anche al giornod’oggi un così grande mistero nellacelebrazione della sacra liturgia, hadato disposizione alla Congregazioneper il Culto Divino e la Disciplina deiSacramenti di preparare, d’intesa conla Congregazione per la Dottrina del-la Fede, l’Istruzione «RedemptionisSacramentum» (25/03/2004) nellaquale, fra l’altro, è posto l’accentosulla necessità di riscoprire il sensoautentico della Liturgia, sul dovere diosservare le norme emanate dall’au-torità della Chiesa e sull’importanzadi una formazione finalizzata a favo-rire la comprensione del vero sensodelle celebrazioni e una adeguataistruzione sui riti.

La liturgia: offerta della nostra fede (Fil. 2.17)di Pina Garritano

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Per una consapevole, attiva efruttuosa partecipazione dei fe-deli.

«Non c’è dubbio che la riforma li-turgica del Concilio abbia portatograndi vantaggi per una più consa-pevole, attiva e fruttuosa partecipa-zione dei fedeli al santo Sacrificiodell’altare», Tuttavia, «non mancanodelle ombre». Non si possono, per-tanto, passare sotto silenzio gli abu-si, anche della massima gravità, con-tro la natura della Liturgia e dei sa-cramenti, nonché contro la tradizio-ne e l’autorità della Chiesa, che nondi rado ai nostri giorni in diversi am-biti ecclesiali compromettono le cele-brazioni liturgiche. In alcuni luoghigli abusi commessi in materia liturgi-ca sono all’ordine del giorno, il cheovviamente non può essere ammessoe deve cessare.

L’osservanza delle norme emanatedall ’autorità della Chiesa esigeconformità di pensiero e parola, de-gli atti esterni e della disposizioned’animo. Una osservanza puramenteesteriore delle norme, come è evi-dente, contrasterebbe, con l’essenzadella sacra Liturgia, nella quale Cri-sto Signore vuole radunare la suaChiesa perché sia con lui «un solocorpo e un solo spirito».

Gli abusi non di rado si radicanoin un falso concetto di libertà. Dio,però, ci concede in Cristo non quellaillusoria libertà in base alla qualefacciamo tutto ciò che vogliamo, mala libertà, per mezzo della quale pos-siamo fare ciò che è degno e giusto.Ciò vale invero non soltanto per queiprecetti derivati direttamente da

Dio, ma anche, considerando conve-nientemente l’indole di ciascuna nor-ma, per le leggi promulgate dallaChiesa. Da ciò la necessità che tutti siconformino agli ordinamenti stabilitidalla legittima autorità ecclesiastica.

L’Istruzione continua: si deve,inoltre, notare con grande amarezzala presenza di «iniziative ecumenicheche, pur generose nelle intenzioni,indulgono quà e là a prassi eucaristi-che contrarie alla disciplina nellaquale la Chiesa esprime la sua fede».

Gli abusi trovano, infine, moltospesso fondamento nell’ignoranza,giacché per lo più si rigetta ciò di cuinon si coglie il senso più profondo,né si conosce l’antichità. Infatti,«dell’afflato e dello spirito» dellastessa sacra Scrittura «sono permea-te» appieno «le preghiere, le orazio-ni e gli inni e da essa derivano il lorosignificato le azioni e i segni sacri».Quanto ai segni visibili, «di cui la sa-cra Liturgia si serve per significare lerealtà divine invisibili, essi sono statiscelti da Cristo o dalla Chiesa». Lestrutture e le forme delle sacre cele-brazioni, secondo la tradizione diciascun rito sia d’Oriente sia d’Occi-dente, sono in sintonia con la Chiesauniversale anche per quanto riguar-da usi universalmente accolti dallaininterrotta tradizione apostolica,che è compito proprio della Chiesatrasmettere fedelmente e con curaalle future generazioni. Tutto ciò vie-ne sapientemente custodito e salva-guardato dalle norme liturgiche.

La stessa Chiesa non ha alcuna po-testà rispetto a ciò che è stato stabi-lito da Cristo e che costituisce parteimmutabile della Liturgia. Se fosse,

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infatti, spezzato il legame che i sa-cramenti hanno con Cristo stesso,che li ha istituiti, e con gli eventi sucui la Chiesa è fondata, ciò non sa-rebbe di nessun giovamento per i fe-deli, ma nuocerebbe a loro grave-mente. La sacra Liturgia, infatti, è in-timamente collegata con i principidella dottrina e l’uso di testi e ritinon approvati comporta, di conse-guenza, che si affievolisca o si perdail nesso necessario tra la lex orandi ela lex credendi.

Direttrici di fondo della Costitu-zione Conciliare

La Costituzione Conciliare sulla di-vina liturgia si è mossa su alcune di-rettrici di fondo: - ritorno alle fonti,con la riscoperta di tanti tesori che iltempo storico aveva sepolto; - fe-deltà alla Tradizione, nel rispettodelle linee strutturali della liturgia; - attenzione all’uomo di oggi, al suomodo di pensare, di pregare e diesprimersi.

Se la liturgia è «culmine e fonte»,il suo approfondimento ha una ur-genza prioritaria a tutte le discipline(G.P. II - Oss. Rom. 13.02.1988).

L’unico “interesse” del cristianoche è lecito coltivare è quello per lamaturità e la crescita nella libertàdelle persone seminando nella pa-zienza dietro i solchi aperti dellacompassione di Gesù.

È per mezzo della liturgia che siraggiunge oggi il mistero della sal-vezza (1 Cor 11,25).

Al Concilio è apparso evidenteche, trattandosi della liturgia, si sono

messi in movimento tutti i settoridella vita cristiana ed è nata quellavasta ansia di rinnovamento che hatrovato poi espressione nei docu-menti conciliari.

Nella liturgia non c’è nessuno chepossa fare le cose secondo i proprigusti, la liturgia non è luogo doveattuare le bizzarrie. La liturgia è del-la Chiesa, di tutta la Chiesa. È l’e-spressione più autorevole della fededella Chiesa; è questa la direzioneche attraversa tutta la Tradizione:“lex orandi lex credendi” (la leggedel pregare, la legge del credere).

Nella Esortazione Apostolica “Ec-clesia in Europa” (28/06/2003), Gio-vanni Paolo II, invita ad accoglierel’esortazione Conciliare «ad appren-dere “La sublime conoscenza di Cri-sto” (Fil. 3,8) con la frequente lettu-ra delle divine Scritture che il Signo-re continuamente offre tramite lasua Chiesa (Ap 10,8) perché il Vange-lo della Speranza, annuncio della ve-rità che rende liberi (Gv 8,32), deveessere celebrato», pertanto bisognariscoprire la Liturgia.

Nonostante vaste aree di scristia-nizzazione nel Continente europeo,esistono segnali che contribuiscono atratteggiare il volto di una Chiesache, credendo, annuncia, celebra eserve il suo Signore.

Insieme a molti esempi di fede ge-nuina esiste in Europa anche una re-ligiosità vaga e, a volte, fuorviante. Isuoi segni sono spesso generici e su-perficiali, quando non addiritturacontrastanti nelle persone stesse dacui scaturiscono. Sono manifesti fe-nomeni di fuga nello spiritualismo,di sincretismo religioso ed esoterico,

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di ricerca di eventi straordinari adogni costo, fino a giungere a sceltedevianti come l'adesione a sette pe-ricolose o a esperienze pseudoreli-giose. Il desiderio di nutrimento spi-rituale va accolto con comprensionee purificato.

Nel contesto della società odier-na, spesso chiusa alla trascendenza,soffocata da comportamenti consu-mistici, facile preda di antiche e nuo-ve idolatrie e, nel contempo, asseta-ta di qualcosa che vada oltre l’imme-diato, il compito che attende la Chie-sa in Europa è impegnativo ed insie-me esaltante. Esso consiste nel rico-prire il senso del «mistero»; nel rin-novare le celebrazioni liturgiche per-ché siano segni più eloquenti dellapresenza di Cristo Signore; nell’assi-curare nuovi spazi al silenzio, allapreghiera e alla contemplazione; nelritornare ai Sacramenti, specialmen-te dell’Eucaristia e della Penitenza,quali sorgenti di libertà e di nuovasperanza.

Alcuni sintomi rilevano un affie-volimento del senso del mistero nellestesse celebrazioni liturgiche che adesso dovrebbero introdurre. È, quin-di, urgente che nella Chiesa si ravvivil’autentico senso della Liturgia. Que-sta, come è stato ricordato dai Padrisinodali, è strumento di santificazio-ne; è celebrazione della fede dellaChiesa; è mezzo di trasmissione dellafede.

Nelle celebrazioni occorre rimet-tere al centro Gesù, per lasciarci illu-minare e guidare da lui. Possiamotrovare qui una delle risposte piùforti che le nostre Comunità sonochiamate a dare ad una religiosità

vaga e inconsistente. La liturgia dellaChiesa non ha come scopo il placare idesideri e le paure dell’uomo, maascoltare ed accogliere Gesù il Viven-te, che onora e loda il Padre, per lo-darlo e onorarlo con lui. Le celebra-zioni ecclesiali proclamano che la no-stra speranza ci viene da Dio permezzo di Gesù nostro Signore.

Si tratta di vivere la liturgia comeopera della Trinità. È il Padre cheagisce per noi nei misteri celebrati; èlui che ci parla, ci perdona, ci ascolta,ci dona il suo Spirito; a lui noi ci ri-volgiamo, lui noi ascoltiamo, lodia-mo ed invochiamo. È Gesù che agisceper la nostra santificazione, renden-doci partecipi del suo mistero. È loSpirito Santo che opera con la suagrazia e fa di noi il Corpo di Cristo,la Chiesa.

La liturgia deve essere vissuta co-me annuncio e anticipazione dellagloria futura, termine ultimo dellanostra speranza. Come insegna, in-fatti, il Concilio, «nella liturgia terre-na partecipiamo, pregustandola, aquella celeste, che viene celebratanella santa città di Gerusalemme,verso la quale noi pellegrini sianodiretti (......), fino a quando Cristo, lanostra vita, si manifesterà ed anchenoi saremo manifestati con lui nellagloria» (S.C. 8).

Formazione liturgica.

Se dopo il Concilio Ecumenico Va-ticano II diversa strada è stata fattaper vivere il senso autentico della li-turgia, ancora molto rimane da fare.Sono necessari un continuo rinnova-

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mento e una costante formazione ditutti: ordinati, consacrati e laici.

Il vero rinnovamento, lungi dal ser-virsi di atti arbitrari, consiste nello svi-luppare sempre meglio la coscienzadel senso del mistero, così da fare del-le liturgie momenti di comunione conil mistero grande e santo della Trinità.Celebrando le sacre azioni come rap-porto con Dio e accoglimento dei suoidoni, espressione di autentica vita spi-rituale, la Chiesa in Europa potrà dav-vero nutrire la sua speranza e offrirlaa chi l’ha smarrita.

A tale scopo è necessario un gran-de sforzo di formazione finalizzata afavorire la comprensione del verosenso delle celebrazioni della Chiesa,oltre a un’adeguata istruzione sui ri-ti, essa richiede un’autentica spiri-tualità e l’educazione a viverla inpienezza.

Esistono Istituti Liturgici che for-mano discepoli: a Roma c’è il Pontifi-cio Istituto Liturgico (S. Anselmo) cheha suscitato un magnifico slancionello studio delle liturgie orientalied occidentali ed ha offerto la dispo-nibilità dei suoi Docenti alla Diocesidi Roma subito dopo il lavoro inten-so e unico nella Chiesa per la “Costi-tuzione sulla Liturgia”.

Il Vicariato, tramite il proprio Uffi-cio Liturgico, ha organizzato il “cor-so del giovedì», un Corso ciclicotriennale di liturgia per la pastorale,

d’intesa con i Docenti del PontificioIstituto Liturgico. Siamo ora al XXIXanno di questa indispensabile colla-borazione intesa ad aiutare il fedelenella comprensione e valorizzazionedegli orientamenti spirituali e pasto-rali della forma liturgica meditantel’insegnamento “sulla natura della li-turgia e sulla sua importanza nellavita della Chiesa» (SC 7 e 26).

Il popolo di Dio si è accorto delC.V.II soprattutto per due cose: - perla liturgia rinnovata; - per il richiamoalla responsabilità del laicato.

Apprendere ed approfondire glielementi di base come preliminari in-tesi a illuminare il senso della litur-gia in generale e ad iniziare all’agireliturgico è ciò che hanno inteso e vo-luto fare gli alunni del Corso di litur-gia per la pastorale, guidati da unavasta e dotta esposizione delle carat-teristiche storico - biblico - teologico- pastorali, curata sempre con essen-zialità dai Docenti del Pontificio Isti-tuto Liturgico che si sono avvicendatiin tutti questi anni.

Il prossimo Corso avrà inizio il 21ottobre 2004 e terminerà il 9 giugno2005. Le iscrizioni sono aperte e siaccettano SOLTANTO presso l’UFFI-CIO LITURGICO del VICARIATO, dalleore 9 alle 12, dal lunedì al venerdì,fino ad esaurimento dei 60 posti di-sponibili.

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CORSI

Liturgia per la pastorale - Sede: Pontificio Istituto Liturgico

Calendario:

21 ottobre Introduzione e consegna dei diplomi28 ottobre La struttura sacramentale del Nuovo Testamento

Prof. Don Renato De Zan 4 novembre Peccato, alleanza e conversione tra il mistero del male umano e della mise-

ricordia divina Prof. Don Renato De Zan11 novembre Il Sacramento della Riconciliazione (storia) Prof. p. Ephrem Carr 18 novembre Celebrazione, teologia e pastorale del sacramento

della Riconciliazione Prof. p. Juan Javier Flores25 novembre Il sacramento dell’unzione degli infermi (storia)

Prof. p. Ephrem Carr 2 dicembre Celebrazione, teologia e pastorale dell’Unzione degli infermi

Prof. p. Ephrem Carr 9 dicembre Il sacramento dell’Ordine: l’Episcopato, il Presbiterato, il Diaconato

Prof. p. Juan Javier Flores16 dicembre I ministeri istituiti: identità, diversità e compiti liturgico-pastorali

Prof. p. Juan Javier Flores13 gennaio ‘05 Il tema sponsale nella Bibbia: da Osea a Ef 5,21 ss.

Prof. don Renato De Zan 20 gennaio Storia della celebrazione del matrimonio

Prof. p. Ildebrando Scicolone 27 gennaio Celebrazione e teologia del matrimonio Prof. p. Ildebrando Scicolone3 febbraio Spiritualità e pastorale del matrimonio Prof. p. Ildebrando Scicolone10 febbraio I Sacramentali: descrizione, definizione e comprensione teologica

Prof. p. Juan Javier Flores17 febbraio La verginità consacrata e i Riti dei Religiosi nella Chiesa

Prof. p. Juan Javier Flores24 febbraio Luogo e spazio sacro nella Bibbia Prof. don Renato De Zan 3 marzo La Dedicazione della Chiesa e dell’altare Prof. p. Juan Javier Flores10 marzo La Benedizione nella Bibbia Prof. don Renato De Zan 17 marzo Il Benedizionale e il Rituale dell’esorcismo Prof. p. Juan Javier Flores7 aprile I riti dei funerali Prof. p. James Leachman 14 aprile Lo spazio liturgico: architettura e iconografia Prof. don Vincenzo Gatti

Programma delle attività organizzate dall’ufficio liturgicodella Diocesi di Roma per l’anno pastorale 2004-2005

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28 aprile Teologia dello spazio liturgico Prof. don Vincenzo Gatti5 maggio La religiosità popolare Prof. don Keith Pecklers12 maggio Celebrazione conclusiva

Corso base di liturgiaper animatori parrocchiali nelle prefettureI ANNO Sede: parrocchia Gesù Divino LavoratoreIntroduzioneLiturgia, l’oggi della storia della salvezzaLiturgia, memoriale della PasquaLiturgia, tradizione vivente della ChiesaLa celebrazione cristianaLa ritualità celebrativaLa celebrazione, realtà sacramentaleTempo e liturgiaIl giorno del SignoreAnno liturgico, IAnno liturgico, IIAssemblea e partecipazioneSpazi della celebrazioneLa Parola di Dio celebrataLa Parola nell’anno liturgicoLa parola celebrata nei salmiLa Liturgia delle Ore, I (fondamenti teologici e storia)La Liturgia delle Ore, II (principi e norme)Animazione della celebrazione: fondamenti e strumentiAnimazione della celebrazione: ministeri e serviziAnimazione musicale, IAnimazione musicale, IISpiritualità della celebrazioneConclusione

II ANNO Sede: parrocchia Santa Francesca CabriniIntroduzioneI. LA LITURGIA NELLE DIVERSE EPOCHE STORICHEDalle origini alla formazione dell’anno liturgicoDall’epoca medioevale al Concilio di TrentoDalla Riforma tridentina al Concilio Vaticano IIDocumenti di attuazione del Concilio Vaticano II

II. LIBRI LITURGICI

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Il Messale, IIl Messale, IIIl LezionarioIl BenedizionaleIII. LITURGIA DELLA PAROLA - PROCLAMAZIONEFondamenti: DV, SC (I parte)

“ “ “ (II parte)Lettore: servo della ParolaAspetti pratici: dizione

IV. LITURGIA DEI SACRAMENTIL’iniziazione cristianaLiturgia battesimaleLiturgia della ConfermazioneLiturgia eucaristicaLiturgia penitenzialeLiturgia dell’Unzione degli infermiLiturgia del MatrimonioLiturgia dell’Ordine sacro

III ANNO Sede: parrocchia San GaetanoIntroduzioneLa liturgia ebraica La cena ebraica e l’Ultima CenaLa celebrazione eucaristica. Fonti e struttura della preghiera eucaristicaIl Canone romano e la Seconda Preghiera eucaristicaLa Terza e la Quarta Preghiera eucaristicaIl Canone della Svizzera, le due PE della Riconciliazione, le tre PE dei fanciulliLa Tradizione liturgica d’OrienteLa Tradizione liturgica d’OccidenteIl Tempio cristiano in Oriente e OccidenteIl dialogo ecumenicoIl culto ebraico sinagogaleIl dialogo interreligiosoLe religioni monoteisticheLa Preghiera islamicaLe altre religioniSette e nuovi cultiVisita alla sinagogaVisita alla moscheaVisita alla Basilica di San Lorenzo al Verano

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Visita alla Badia di San Nilo a GrottaferrataVisita alle catacombeConclusione

Ministeri istituiti del lettorato o dell’accolitatoLa preparazione formativa ai ministeri istituiti prevede 3 anni di frequenza dei corsi mensili e, in modonon derogabile, la frequenza del Corso triennale al Pontificio Istituto Liturgico di Sant’Anselmo.Sede dell’incontro mensile: Pontificio Seminario Romano Maggiore, Piazza San Giovanni in Laterano, 4– Roma. Orario: dalle 18,00 alle 19,30.

Corso per i nuovi candidati al ministero straordinariodella comunioneI corso. Lezioni: lunedì 8 - 15 - 22 - 29 novembre, 6 - 13 dicembre 2004

oppure:II corso. Lezioni: lunedì 4 - 11 - 18 aprile, 2 - 9 - 16 maggio 2005

Temi delle lezioni:L’Eucaristia nella Sacra Scrittura - Il sacramento dell’Eucaristia - La Chiesa comunità ministe-riale - La spiritualità del ministro - straordinario della comunione - La pastorale degli amma-lati e degli anziani - L’esercizio del ministero nella parrocchia e nella diocesi.

Incontri di formazione per animatori musicali della liturgiaCalendario:17 novembre 2004 La musica nella liturgia M.° Mons. Marco Frisina1 dicembre Canto e musica nella messa Dott. Adelindo Giuliani15 dicembre Canto e musica nelle Liturgia delle Ore M.° p. Gennaro Becchimanzi12 gennaio 2005 Canto e musica nell’anno liturgico M.° Mons. Marco Frisina26 gennaio Il canto gregoriano M.° Mons. Alberto Turco23 febbraio Il canto polifonico M.° Fabrizio Barchi9 marzo I ministri dell’animazione liturgico-musicale: salmista,

cantore, organista, direttore del coro Gianni Proietti20 aprile Il compito del coro e degli strumenti musicali M.° Mons. Marco FrisinaMer. 3 maggio I repertori Don Maurizio ModugnoMer. 18 maggio L’animazione dell’assemblea Prof. Maurizio Marchettini

I 15 minuti conclusivi saranno dedicati sempre alla pratica musicale.

Sede: Pontificio Seminario Romano Maggiore, ore 19,00 - 20,30.