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a Scrittura contiene generi let- terari diversi, con i quali il Si- gnore ha voluto tradurre in mo- do comprensibile la sua Rivelazione. I lin- guaggi umani vengono assunti mirabil- mente dallo Spirito, resi malleabili dal suo fuoco d’amore per diventare capaci di esprimere la multiforme ricchezza della Parola di Dio. La bellezza della verità divi- na viene così a risplendere nelle pagine della storia della salvezza, nelle lettere di Paolo come negli oracoli profetici di Isaia. Ma in tutta la Scrittura la poesia è pre- sente come elemento prezioso e insosti- tuibile per esprimere la preghiera e lo stupore mistico di chi si avvicina al miste- ro di Dio. Il canto poetico diviene il mez- zo più naturale per rivelare le infinite vi- brazioni spirituali che lo Spirito produce nell’anima di chi cerca il Signore, di chi lo loda, di chi piange davanti a lui il suo peccato, di chi lo invoca con accorato dolore. Questi cantici e salmi sono sparsi in quasi tutti i libri biblici e ne costituisco- no spesso l’apice, il culmine emotivo e mistico, il momento più alto in cui l’even- to salvifico si trasforma in lode, in altissi- ma preghiera. Il libro dei Salmi non è l’u- nico libro che contiene questi canti di fe- de, presenti anche nei libri storici e in quelli sapienziali, nei libri profetici e nei Vangeli e addirittura nelle lettere di San Paolo. Questi cantici hanno il potere di coinvolgere l’orante in modo profondo trasportandolo all’interno stesso del cuo- re di Dio, attraverso l’espressione viva del mistero di grazia che lega Dio al cuore di ogni uomo. Il prodigio della preghiera si fa canto, il dolore, la gioia, lo stupore, la meditazione si trasformano in versi poeti- ci capaci, con la loro altezza e profondità, di rispondere perfettamente alle vertigi- nose bellezze dell’amore di Dio. I Padri della Chiesa hanno sempre am- mirato nei salmi la capacità di interpreta- re i sentimenti del cuore umano e di sa- per mettere in bocca a ogni uomo le pa- role giuste per esprimerli nella preghiera. È Dio stesso che ci suggerisce come pre- garlo, così come fa Gesù con il Padre no- stro: se nell’orazione del Signore imparia- mo a esprimere la nostra nuova identità di figli donata a noi nel battesimo, nei salmi impariamo a riconoscere le gran- dezze di Dio e a meditarne i prodigi. L’in- timità con Dio che il Signore Gesù ci ha conquistato attraverso la Redenzione vie- ne preparata e profetizzata dalla preghie- ra dei salmi, in essi infatti troviamo la perfetta profezia di Cristo: l’orante per 1 Formazione Liturgica Culmine e Fonte 2-2008 Cantici e Salmi Vibrazioni spirituali che lo Spirito produce nell’anima di chi cerca il Signore mons. Marco Frisina L

Riv. Culmine e Fonte 2008-2

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http://www.ufficioliturgicoroma.it/default.asp?iId=LDJMKIl sussidio bimestrale "Culmine e fonte" edito dall'Ufficio Liturgico della Diocesi di Roma ha come obiettivo primario l'approfondimento delle tematiche liturgiche nel contesto pastorale. Non è una rivista rivolta solo agli "esperti", ma è pensata per tutti coloro che si accostano alle Celebrazioni della Chiesa con l'intento di pregare, comprendere, partecipare attivamente, secondo i propri doni, carismi e ministeri. E' uno strumento di formazione e spiritualità liturgica dedicato a Sacerdoti, diaconi, Lettori, Accoliti e Ministri straordinari della Comunione. Rivolgendosi anche a tutti i cultori di Liturgia ed a tutti coloro che riconoscono la necessità di approfondire le tematiche liturgiche si usa un linguaggio semplice ed un approccio prevalentemente pastorale. I contenuti rimangono altamente scientifici: i contributi sono affidati ad esperti del settore, che propongono riflessioni documentate sulle varie problematiche ed aprono la strada a successivi approfondimenti personali.

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a Scrittura contiene generi let-terari diversi, con i quali il Si-gnore ha voluto tradurre in mo-

do comprensibile la sua Rivelazione. I lin-guaggi umani vengono assunti mirabil-mente dallo Spirito, resi malleabili dal suofuoco d’amore per diventare capaci diesprimere la multiforme ricchezza dellaParola di Dio. La bellezza della verità divi-na viene così a risplendere nelle paginedella storia della salvezza, nelle lettere diPaolo come negli oracoli profetici di Isaia.Ma in tutta la Scrittura la poesia è pre-sente come elemento prezioso e insosti-tuibile per esprimere la preghiera e lostupore mistico di chi si avvicina al miste-ro di Dio. Il canto poetico diviene il mez-zo più naturale per rivelare le infinite vi-brazioni spirituali che lo Spirito producenell’anima di chi cerca il Signore, di chi loloda, di chi piange davanti a lui il suopeccato, di chi lo invoca con accoratodolore. Questi cantici e salmi sono sparsiin quasi tutti i libri biblici e ne costituisco-no spesso l’apice, il culmine emotivo emistico, il momento più alto in cui l’even-to salvifico si trasforma in lode, in altissi-ma preghiera. Il libro dei Salmi non è l’u-nico libro che contiene questi canti di fe-de, presenti anche nei libri storici e in

quelli sapienziali, nei libri profetici e neiVangeli e addirittura nelle lettere di SanPaolo. Questi cantici hanno il potere dicoinvolgere l’orante in modo profondotrasportandolo all’interno stesso del cuo-re di Dio, attraverso l’espressione viva delmistero di grazia che lega Dio al cuore diogni uomo. Il prodigio della preghiera sifa canto, il dolore, la gioia, lo stupore, lameditazione si trasformano in versi poeti-ci capaci, con la loro altezza e profondità,di rispondere perfettamente alle vertigi-nose bellezze dell’amore di Dio.

I Padri della Chiesa hanno sempre am-mirato nei salmi la capacità di interpreta-re i sentimenti del cuore umano e di sa-per mettere in bocca a ogni uomo le pa-role giuste per esprimerli nella preghiera.È Dio stesso che ci suggerisce come pre-garlo, così come fa Gesù con il Padre no-stro: se nell’orazione del Signore imparia-mo a esprimere la nostra nuova identitàdi figli donata a noi nel battesimo, neisalmi impariamo a riconoscere le gran-dezze di Dio e a meditarne i prodigi. L’in-timità con Dio che il Signore Gesù ci haconquistato attraverso la Redenzione vie-ne preparata e profetizzata dalla preghie-ra dei salmi, in essi infatti troviamo laperfetta profezia di Cristo: l’orante per

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Cantici e SalmiVibrazioni spirituali che lo Spirito produce

nell’anima di chi cerca il Signoremons. Marco Frisina

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eccellenza, colui che nei salmi è prefigu-rato quando soffre sulla croce o loda ilPadre, quando gioisce della gloria di Diocome quando medita le sue opere. Neisalmi è Cristo che prega con noi, pren-dendo su di lui tutta la preghiera delmondo e innalzandola al Padre in modoperfetto. Ecco allora che le parole da noipronunciate nella preghiera dei salmi di-viene esperienza mistica con Cristo, divie-ne condivisione della sua stessa divinapreghiera con cui intercede per tutti noi.La preghiera della Chiesa è quindi pre-ghiera di Cristo e con Cristo e i salmi ne

costituiscono gli accenti più veri e alti, ca-paci di essere autentica espressione delrapporto con Dio.

La Chiesa li ha sempre utilizzati a que-sto scopo, costruendo con essi l’ossaturafondamentale della sua liturgia: sono in-fatti le parole dei salmi a costituire la ba-se di ogni canto liturgico e soprattuttodella Liturgia delle Ore. Questi canti sonoinsieme preghiera e catechesi, istruzioneteologica e formazione spirituale, conso-lazione e gioiosa espressione dei senti-menti più profondi della nostra preghie-ra. I salmi educano all’orazione e devono

essere conosciuti, e se possibi-le memorizzati, affinché quelleparole possano essere luce nelnostro cammino. Lo SpiritoSanto li ha ispirati come altapoesia e canto sublime, unmodo meraviglioso per edu-carci alla lode, per prepararcial canto eterno che celebrere-mo in cielo. Il cuore deve infat-ti aprirsi al mistero di Dio e lapreghiera ci aiuta a farlo dila-tando la nostra anima a misu-ra del suo amore. I salmi sonostrumento di questa prodigio-sa dilatazione del cuore e cipreparano a godere in cielo diquel canto senza fine che cifarà vibrare con Dio e con ifratelli in una armonia perfet-ta. Mettiamoci dunque alla lo-ro scuola costruendo in noigiorno dopo giorno, celebra-zione dopo celebrazione, ilCristo orante.

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1. PremessaIl libro dei Salmi può apparire al letto-

re frettoloso come una semplice raccoltadi 150 preghiere, alcune più belle perchévicine alla sensibilità di chi legge o prega,altre un po’ meno perché più lontane. Seil lettore non è frettoloso, ma ha un po’di pazienza nel prepararsi ad affrontare lalettura e la preghiera dei testi di questolibro si accorge che dietro a queste poe-sie oranti c’è una storia piuttosto com-plessa, le cui tracce si trovano sia nel te-sto del salmo, sia nel titolo che molti sal-mi hanno.

2. I titoli, le raccolte, la numerazione Il salterio del testo ebraico ci è giunto

con alcuni titoli collocati prima dei mol-tissimi salmi. Questi titoli non sono ispi-rati. Sono, però, molto antichi: la tradu-zione greca dell’Antico Testamento (laLXX) non li capiva più pienamente, ma liha conservati ugualmente. Ci sono 116salmi con titoli più o meno ricchi. Gli al-tri 34 salmi sono chiamati “orfani”, per-ché privi di titolo (Sal 1;2; 10; 33; 43;71; 91; 93-97; 99; 104-107; 111-119;135-137; 146-150). I titoli contengonodiverse notizie: sul carattere poetico delsalmo (salmo; canto; ecc.), indicazionimusicali (al maestro del coro; sui flauti;

sulla [voce di] vergini = soprani; sulla[melodia della] “Cerva dell’aurora”;ecc.), l’uso liturgico (per il sabato; per ilsecondo giorno, per il quarto giorno,per il sesto giorno; in ringraziamento;per l’insegnamento; al termine [della fe-sta dei] Tabernacoli o Capanne: cantoper le ascensioni o salite), indicazionestoriche (il pericolo corso da Davide perla persecuzione di Saul [Sal 7; 34; 52;54; 56; 59; 142]; parole di Davide dopola sottomissione dei suoi nemici [Sal 18];il peccato di Davide [Sal 51]; fuga per laribellione di Assalonne [Sal 3; 63]; ecc.).Ma i titoli più interessanti per capire l’u-so dei Salmi sono quelli riguardanti ilpresunto autore: 73 di Davide, 2 di Sa-lomone, 12 di Asaf, 11 dei figli di Core,1 di Heman, di Etan e di Mosè.

Gli studiosi ci avvertono che questi ti-toli d’autore indicano, con alto grado diprobabilità, raccolte molto antiche, suc-cessive alle primitive raccolte (elohista,jahvista), e che nel postesilio sono statedestrutturate per una nuova e definitivaricomposizione. La nuova ricomposizioneo redazione finale potrebbe risalire - se-condo un buon numero di studiosi - aglianni tra il 200 e il 150 a.C. Questa reda-zione oggi ha la fisionomia di cinque libri,forse legati alla tematica teologica tipica

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Dal salterio biblico al salterio liturgico

mons. Renato De Zan

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di ciascuno dei cinque libri del Pentateu-co: Sal 2-41; 42-72; 73-89; 90-106; 107-150. Questa suddivisione si può benissi-mo scoprire leggendo i versetti finali del-l’ultimo salmo di ogni libro: solo lì e nonaltrove si legge una benedizione a Diocon l’Amen del popolo. Si tratta di unchiaro indizio di suddivisione. Questi ulti-mi dati ci dicono come i Salmi abbianosubìto lungo la loro storia catalogazionidiverse, secondo le epoche, in funzionedella preghiera. Non subirono, però, solocatalogazioni diverse, ma anche rimaneg-giamenti, affinché la preghiera fosse in-carnata nella situazione storica in cui ve-niva compiuta. Il Sal 14 viene rimaneggia-to e diventa il Sal 53: si tratta dell’esem-pio più chiaro di tale opera di rimaneg-giamento di un testo precedente peradattarlo alle situazioni storiche mutate.

Le nostre Bibbie spesso riportano unadoppia numerazione per ogni salmo. Ciòè dovuto al fatto che nei sec. III-II a.C.,quando l’Antico Testamento fu tradottoin greco, i traduttori hanno fatto alcunescelte liturgiche e teologiche. La prima diqueste scelte è stata fatta di fronte al te-sto ebraico dei Sal 9; 10: i traduttori grecihanno unito i due salmi ebraici e gli han-no dato il nome di Sal 9. In questo modoil Sal 11 ebraico ha preso in greco il no-me di Sal 10. In questo modo, lungo tut-to il salterio, il numero più alto indica lanumerazione del salmo ebraico e quellopiù basso, quella del salmo greco. La se-conda di queste scelte è stata fatta difronte al lungo testo ebraico del Sal 147:i traduttori greci lo hanno diviso in due,

così che alla prima parte del testo ebraicodel salmo hanno dato il nome di Sal 146e alla seconda il nome di Sal 147. Con ilSal 148 le due numerazioni, ebraica egreca, tornano così a coincidere. Poichéla prima traduzione latina della Bibbiavenne fatta in Africa, partendo dal testogreco dei LXX, i salmi della Vetus latinaafricana, prima, e della Vulgata di san Gi-rolamo, poi, hanno la numerazione gre-ca. Se, infine, teniamo presente che dalsec. IV d.C. la liturgia romana celebra inlatino, è facile comprendere come nellaliturgia si segua la numerazione più bassa(= quella greca) e non quella ebraica, piùalta. Ancora oggi, anche nelle lingue na-zionali, in liturgia si segue la numerazio-ne latina (e greca). Ciò significa che il sal-mo responsoriale “Il Signore è il mio pa-store” per l’esegesi, che normalmentestudia il testo ebraico, si chiamerà Sal 23,mentre per la liturgia si chiamerà Sal 22(da non confondersi con il Salmo “Diomio, Dio mio, perché mi hai abbandona-to”, che in ebraico è il Sal 22, mentre inliturgia è il Sal 21).

3. Le metodologie esegetiche dicomprensione dei salmi

Il modo di leggere i salmi non è qual-cosa di semplice e scontato. Oggi ci sonofondamentalmente due modi: quello ese-getico, sul versante della cultura teologi-ca, e quello liturgico, sul versante dellacelebrazione e della preghiera.

a) Il metodo esegetico.Oggi un biblista difficilmente farà la

lettura “tipologica” di un salmo. Preferi-

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sce fare la lettura esegetica. In questo ul-timo secolo appena trascorso la metodo-logia esegetica si è evoluta progressiva-mente. Volendo semplificare si potrebbedire che il cammino esegetico per lacomprensione dei salmi ha percorsoquattro momenti.

Il primo momento si è identificato conla scoperta e l’attenzione ai generi lette-rari. Gli studiosi per lunghi anni hannostudiato la classificazione dei salmi, ana-lizzandoli per famiglie. In questo modol’esegesi aveva classificato i salmi in la-mentazioni individuali (i salmi più nume-rosi), lamentazioni pubbliche (una deci-na), salmi di fiducia (una decina), canti diringraziamento (una dozzina), inni (unaventina), salmi reali (una dozzina), salmidi Sion (una decina), salmi di Yhwh Re(mezza dozzina), liturgie (poco più dimezza dozzina), salmi sapienziali (unaventina), salmi di difficile classificazione(circa mezza dozzina).

In un secondo momento gli esegetihanno cercato di studiare i salmi dentroal fenomeno religioso circostante a Israe-le. Per questo motivo vennero analizzatele composizioni religiose coeve al popoloebraico. I primi due grandi approcci furo-no con le composizioni religiose di Babi-lonia (inni, preghiere, scongiuri, salmi pe-nitenziali, lamentazioni, ecc.) e dell’Egitto(inni, canti di ringraziamento, preghiere,letteratura sapienziale, ecc.). Non menoimportante fu l’analisi delle composizionireligiose della città di Ugarit, non lontanadall’Antiochia neotestamentaria. C’è sta-

to uno studioso che ha voluto addiritturacommentare il salmi biblici con la lettera-tura religiosa di Ugarit e la sua fatica haavuto un discreto successo.

In un terzo momento, gli studiosi fe-cero un passo avanti e cercarono di stu-diare l’uso dei salmi nella liturgia ebraica.Era, infatti, importante cercare di situare isalmi nella vita liturgica d’Israele. Ovvia-mente la ricerca dell’ambiente vitale deigeneri letterari poteva aiutare, ma - co-me tutti sappiamo - in una celebrazionepossono concorrere diversi tipi di pre-ghiere. Accanto a questa ricerca vennedata una certa attenzione all’uso che deisalmi ha fatto il Nuovo Testamento.

In un quarto momento gli studiosi sisono chiesti il motivo per il quale i salmici sono giunti attraverso la tradizioneebraica e quella greca in una determinatasequenza, cioè secondo il canone dellescritture ispirate. Perché le raccolte han-no collocato certi salmi accanto a certi al-tri? A questa semplice domanda lo studiodell’esegesi ha risposto positivamente eampiamente accorgendosi che i salmi so-no stati accorpati secondo determinaticriteri tematici che l’esegesi sta ora evi-denziando.

Lungo questo percorso si affinò anchela conoscenza della poetica ebraica. Glistudi, incominciati già nei sec. XVIII e XIX,si specializzarono sempre più fino a rag-giungere oggi una buona conoscenza,capace di sciogliere gran parte delle pro-blematiche legate alla stilistica. Oggi que-

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sto approccio ai salmi viene chiamato di-mensione retorica e poetica dei salmi.Notevole è il fenomeno del parallelismo(sinonimico: “Beato l’uomo che non se-gue il consiglio degli empi / non indugianella via dei peccatori / e non siede incompagnia degli stolti” [Sal 1,1] dove neitre stichi si dice lo stesso concetto in for-ma progressiva; antitetico: “Il Signore ve-glia sul cammino dei giusti / ma la via de-gli empi andrà in rovina” [Sal 1,6] dovein due stichi si dicono due concetti esat-tamente opposti e speculari; sintetico:“Al Signore innalzo la mia voce / e mi ri-sponde dal suo monte santo” [Sal 3,5],dove il secondo stico completa in modocomplementare quanto affermato nelprimo). Non vanno dimenticati i fenome-ni dell’inclusione (un elemento è presen-te all’inizio e alla fine del salmo: Sal118[117],1.29) e del ritornello (ci sonouno o più versetti ripetuti lungo il salmo:Sal 42,6.12; 43,5). Altri elementi sonol’allitterazione, l’assonanza, l’onomato-pea, il ritmo: questi dati, però, ovviamen-te non si possono vedere nella traduzio-ne, ma vanno colti nel testo originaleebraico.

b) Il metodo liturgico.La ricchezza dell’esegesi è indiscutibi-

le, ma non meno indiscutibile è la ric-chezza di due millenni di esperienza dicelebrazione e di preghiera della Chiesa.L’evangelista Luca annota con cura unepisodio molto importante per la letturadi fede dei salmi. Nell’ultimo capitolo delVangelo di Luca, dopo l’episodio dei di-scepoli di Emmaus, l’evangelista racconta

l’incontro di Gesù risorto con i suoi a Ge-rusalemme. In questa occasione Gesù“disse: «Sono queste le parole che vi di-cevo quando ero ancora con voi: bisognache si compiano tutte le cose scritte su dime nella Legge di Mosè, nei Profeti e neiSalmi»” (Lc 24,44). Da quel momento ilcristiano non può più pregare i salmiavendo come riferimento culturale la solateologia dell’Antico Testamento. Ognisalmo dice profeticamente Gesù Cristo.

Ampie testimonianze di questo mododi comprendere i Salmi si ha nel NuovoTestamento. Basti ricordare le riletturateologica cristiana dei Sal 16(15),8-11 eSal 110(109),1 che viene fatta da Pietronel suo discorso di Pentecoste. Pietro ve-de nel Sal 16(15),8-11 una profezia davi-dica della risurrezione di Gesù e nel Sal110(109),1 una seconda profezia davidi-ca che ha come oggetto l’innalzamentodi Gesù risorto alla destra di Dio.

Questo tipo di lettura è testimoniatoanche nei commenti che i Padri hannofatto al libro dei Salmi, lettura che è pas-sata nella liturgia. Nella liturgia, infatti,viene testimoniata la lettura cristiana deisalmi attraverso i titoli, le antifone e lecollette salmiche. Questi tre elementi inqualche modo forniscono gli occhiali concui pregare un determinato salmo, co-gliendo in esso di volta in volta la voce diCristo, del Padre, dello Spirito, dellaChiesa, dei martiri, ma anche quella deglioranti che si rivolgono a Cristo, al Padre,allo Spirito, ecc.

4. Breve epilogoQuesta presentazione sintetica può

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senz’altro aiutare ad avvicinarsi ai salmi ealla preghiera che ne deriva. Ma quest’al-tro aspetto non è più tema di queste po-che righe, che concludiamo con alcunenote di tipo antropologico e teologico.

Non bisogna dimenticare che questitesti di preghiera sono stati scritti in unluogo e in un tempo molto distanti danoi. Immagini, punti di riferimento e for-me non sono vicini alla nostra sensibilitàe alla nostra cultura. Per questo motivo ènecessaria, sempre e comunque, unapreparazione alla lettura del salterio. Unmomento particolare in cui la nostra sen-sibilità e la nostra fede cristiana vengonomesse a dura prova è dato dalla preghie-ra dei salmi impreca tori (assenti nella Li-turgia delle Ore). Si tratta di alcuni salmi(Sal 35; 55; 58; 59; 79; 83; 94; 109; 137;140) dove nella preghiera si chiede la pu-nizione, alle volte pesante, dei nemici. Il

cristiano può pregare questi salmi, tenen-do presente un percorso teologico sem-plice. In Gen 4,23-24 Lamech annuncia ilprincipio del sopruso e della vendetta.Dio risponde a questo criterio diffuso nel-l’umanità ingiungendo agli Ebrei, duran-te l’Esodo, di praticare la legge del taglio-ne (Es 21,23-25), che comunque è unpasso che allontana dalla vendetta e dalsopruso. In Dt 32,35 Dio educa il suo po-polo affermando che la “vendetta” èsua. Non può, quindi l’uomo, farsi ven-detta da solo. Nei salmi imprecatori l’o-rante ha chiara questa visione ed è perquesto motivo che trasforma il sentimen-to di vendetta in preghiera: solo Dio puòriportare l’equilibrio della vera giustizia. Ilcristiano prosegue. Il suo risentimento e ilsuo sentimento interiore vengono inqualche modo accolti da Dio e rappacifi-cati: il Servo di Yhwh si è accollato i pec-cati di tutta l’umanità, compreso quello

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che ha offeso l’orante, e ha pagato perquesti peccati. Il risentimento e la ven-detta trovano la loro quiete di fronte allacroce di Gesù, da dove nasce il perdonoper chi ha fatto del male all’orante.

Una nota di tipo teologico è necessa-ria. Diversamente dai grandi libri teologi-ci (Pentateuco e profetici), il salterio con-tiene una teologia derivata. Si tratta diquella riflessione teologica vicinissima al-la riflessione sapienziale. La fede, comecriterio, e il vissuto, come scenario, sonogli elementi in cui l’orante misura l’inter-vento divino nel quotidiano personale ecomunitario. Nei salmi Dio appare con lafisionomia della teologia ufficiale, maanche con la visione che la sensibilità po-polare ha saputo individuare. Anche ilpopolo di Dio viene ricordato nelle sueorigini, ma pure nel suo quotidiano, ric-co di tante ombre e di poche luci. Unposto particolare ha la figura del re, fi-

glio di Dio e, per molti aspetti, simbolovivente di quella regalità sul popolo cheappartiene solo a Dio. Particolare eviden-za ha la figura di Davide. Spesso appaio-no nei salmi le potenze nemiche, sia sto-riche (popoli, difficoltà della vita, ricchiprepotenti, falsi accusatori, ecc.), sia mi-tiche (le grandi acque, gli spiriti che de-vastano, le malattie viste come spiriti,ecc.). Dio è colui che sovranamente ledomina. Di particolare interesse è il rap-porto dell’uomo con Dio. La figura delladonna non è centrale. I poveri, gli op-pressi, i malati, i calunniati sono i perso-naggi più frequenti che compaiono co-me oranti. Spesso costoro sono identifi-cati con i giusti. Dall’altra parte ci sonogli empi, coloro che ridono di Dio, i ric-chi, i calunniatori, i giudici ingiusti. Inquesto mondo, piccolo e grande insie-me, c’è tutta l’umanità che gioisce e ge-me in ogni uomo, in ogni credente, diogni tempo e di ogni luogo.

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ei Principi e norme per la Litur-gia delle Ore1, pubblicati il 2febbraio 1971, in riferimento al-

la preghiera dei salmi, leggiamo: «I sal-mi, tuttavia, non offrono che un’immagi-ne imperfetta di quella pienezza deitempi che apparve in Cristo Signore edalla quale trae il suo vigore la preghieradella Chiesa. Pertanto può talvolta acca-dere che, pur concordando tutti i cristia-ni nella somma stima dei salmi, trovinotuttavia qualche difficoltà, nello stessotempo in cui cercano di far propri nellapreghiera quei canti venerandi»2. È veroche la preghiera dei salmi, specie per chisi accosta ad essi senza un’adeguata for-mazione biblico-liturgica, non è priva didifficoltà. Vorremmo, in questo conte-sto, porne in particolare rilievo due. Laprima è dettata dal fatto che la loro ste-sura letteraria rimanda a una mentalità,a un repertorio di immagini e di mezziespressivi lontani dalla nostra cultura, iquali obbligherebbero continuamente auna trasposizione mentale da una cultu-

ra a un’altra. Inoltre i salmi stessi si iden-tificano secondo differenti generi lettera-ri; uno tra i tanti studi in merito, tenen-do conto del criterio della struttura odell’organizzazione dei diversi elementidi un salmo, distinguerebbe nel salteriotredici generi letterari diversi3. La secon-da difficoltà è presentata dal n. 108 diPrincipi e norme per la Liturgia delle Ore:«Chi salmeggia potrebbe avvertire la dif-ferenza del suo stato d’animo da quelloespresso nel salmo, come accade quan-do chi è triste e nell’angoscia incontraun salmo di giubilo, o, al contrario, è fe-lice e si trova di fronte a un canto di la-mentazione. Nella preghiera puramenteprivata si può evitare questa dissonanza,perché vi è modo di scegliere il salmopiù adatto al proprio stato d’animo». Ècerto che le difficoltà risultano superabilicon una sufficiente dose di cultura bibli-co-liturgica, cosa indispensabile al clero,ma anche ai laici. Una certa familiaritàcon i salmi infatti porta a percepire il lo-ro spirito anche attraverso immagini e

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Valenza teologica ed ecclesialedei titoli, sentenze cristologiche

e orazioni salmichePer comprendere e pregare cristianamente

i salmidon Pierangelo Muroni

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parole lontane. I Padri conciliari hannoavuto estrema lungimiranza quandohanno affermato che non ci sarebbe sta-ta autentica riforma liturgica senza una«adeguata formazione» sia del clero, siadei laici4; ciò vale anche per i salmi: «Siprocurino una maggiore istruzione litur-gica e biblica, specialmente riguardo aisalmi»5. Insieme a una formazione di taleprofondità occorre però una preparazio-ne prossima, che aiuti a entrare nel climaadatto alla celebrazione favorendo cosìuna preghiera «in spirito e verità». A talfine, nella Liturgia delle Ore consegnata-ci dal Concilio Vaticano II, ritroviamo al-cuni elementi utili che ci aiutano a leg-gere e pregare i salmi nella maniera piùcorretta possibile, offrendone soprattut-to la giusta interpretazione teologica eun’opportuna attualizzazione. «La nuovaLO vuole aiutare l’uomo moderno a sco-prire sempre di più la figura del Cristo edella sua Chiesa sotto il velo delle realtàpresentate dagli antichi salmisti e lo facon i titoli, con le antifone, con le ora-zioni salmodiche. Essi trasformano i sal-mi in preghiera cristiana»6. In questo no-stro contributo tratteremo di quelli chepotremmo definire gli elementi ambien-tali della salmodia7, ossia i titoli dei salmie le sentenze cristologiche biblico-patri-stiche, nonché uno degli elementi euco-logici complementari alla Liturgia delleOre, ossia le orazioni salmiche.

1. “Pregare con i salmi”: i titoli.I Principi e norme per la Liturgia delle

Ore così recitano: «Nel salterio della Li-turgia delle Ore, ad ogni salmo è premes-

so un titolo sul suo significato e la suaimportanza per la vita umana del creden-te. Questi titoli, nel libro della Liturgiadelle Ore, sono proposti unicamente autilità di coloro che recitano i salmi»8. Es-si, oltre a illuminare l’orante nell’identifi-cazione del genere letterario del salmostesso, aiutano coloro che pregano adassimilare vivamente i salmi. Seppur com-posti molti secoli fa in un popolo di cul-tura semitica differente dal nostro, essiinfatti esprimono comunque i dolori e lesperanze, il senso della miseria e del pec-cato, la fiducia e la fede in Dio, la lode eil ringraziamento che sono propri degliuomini di tutte le epoche e culture. Nonhanno un carattere ufficiale e liturgico,ma sono un elemento che potremmo de-finire “privato” che, di regola, non faparte della recitazione. Essi riassumono ilsenso letterale e attuale dei salmi, sensoche il recitante non può trascurare. Leg-giamo ancora nei Principi e norme per laLiturgia delle Ore al n. 107: «Si sa, infatti,che ogni salmo fu composto in circostan-ze particolari, alle quali intendono riferirsii titoli premessi a ciascuno di essi nel sal-terio ebraico. Ma in verità qualunque siala sua origine storica, ogni salmo ha unproprio significato, che anche ai nostritempi non possiamo trascurare». I titoliperciò aiutano la Chiesa in generale, el’orante in particolare, a far proprio il sal-mo che si sta pregando e che ha qualco-sa da comunicarmi anche oggi, nell’hic etnunc della celebrazione, e con il qualel’orante stesso continua a rivolgere al Pa-dre, per Cristo, nello Spirito le proprie lo-di, suppliche, richieste di perdono. Attra-

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verso il titolo, colui che prega intuisce su-bito quale atteggiamento orante debbadistinguere il suo disporsi nel pregarequel salmo.

2. “Pregare con Cristo”: le senten-ze cristologiche.

Prima che “preghiera della Chiesa”, laLiturgia delle Ore è preghiera di Cristo ri-volta al Padre nello Spirito: «venendo perrendere gli uomini partecipi della vita diDio, il Verbo, che procede dal Padre co-me splendore della sua gloria, “il SommoSacerdote della nuova ed eterna allean-za, Cristo Gesù, prendendo la naturaumana, introdusse in questa terra d’esilioquell’inno che viene cantato da tutta l’e-ternità nelle sedi celesti”. Da allora, nelcuore di Cristo, la lode di Dio risuona conparole umane di adorazione, propiziazio-ne e intercessione. Tutte queste preghie-re, il Capo della nuova umanità e media-tore tra Dio e gli uomini, le presenta alPadre a nome e per il bene di tutti»9. LaChiesa si unisce al suo Sposo in questocarme di lode rivolto al Padre, divenendoessa stessa adoratrice del Padre e conti-nuando così la preghiera di Cristo. Lapreghiera dei salmi perciò avviene nontanto a nome nostro, quanto a nome ditutto il corpo di Cristo, anzi nella personadi Cristo stesso e a nome di tutta la Chie-sa. Attraverso quest’apertura cristologicaed ecclesiale, scopriremo nei salmi il vol-to, il pensiero, i sentimenti di Dio, ma so-prattutto del suo Figlio Gesù Cristo. Glistessi Principi e norme per la Liturgia del-le Ore, al n. 109, ci dicono: «Chi recita isalmi a nome della Chiesa, deve badare

al senso pieno dei salmi, specialmente alsenso messianico, per il quale la Chiesaha adottato il salterio. […] Seguendoquesta via, i santi Padri accolsero e spie-garono tutto il salterio come profezia diCristo e sulla Chiesa; e con lo stesso cri-terio i salmi sono stati scelti nella sacra li-turgia. […] Sebbene talvolta si propones-sero alcune interpretazioni alquantocomplicate, tuttavia generalmente sia iPadri che la liturgia con ragione vedeva-no nei salmi Cristo che si rivolge al Padre,o il Padre che parla al Figlio; anzi ricono-scevano la voce della Chiesa, degli apo-stoli e dei martiri». Con l’ausilio dellesentenze perciò, riportate subito dopo iltitolo del salmo e tratte dal Nuovo Testa-mento o dagli scritti dei Padri, i salmivengono “riletti”, ripensati in chiave cri-stiana, «per alimentare la preghiera allaluce della rivelazione nuova»10 e invitan-do a pregare in chiave cristologica. Si no-ta così come i salmi stessi, bellissimi canticomposti dai sacri autori nell’Antico Te-stamento sotto l’ispirazione dello SpiritoSanto, trovino il loro apice, il loro corona-mento, la loro spiegazione e significatoprofondo solo in Cristo, colui del qualesono profezia. Cristo stesso infatti, in Lc24, 44, così afferma: «Sono queste le pa-role che vi dicevo quando ero ancora convoi: bisogna che si compiano tutte le co-se scritte su di me nella Legge di Mosè,nei Profeti e nei Salmi»11. Ciò è messo inluce anche dalla dossologia minore delGloria al Padre che conclude ciascun sal-mo. Essa, oltre a manifestare il carattereeminentemente trinitario della Liturgiadelle Ore12, vissuta nel “nome di Gesù” e

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che sfocia nel culto spirituale, cioè nellalode perenne a Dio Padre, per mezzo del-lo Spirito13, mette in luce il riferimentoapicale a Cristo, Verbo del Padre, qualechiave interpretativa e rivelatrice dei sal-mi e dell’Antico Testamento. In questomodo il senso cristiano dei salmi, che inessi si ritrova, si evolve e si esplicita fino arenderli preghiera chiaramente cristiana.La Chiesa a sua volta ha continuato a ve-dere i salmi come specchio di se stessa,di Cristo e del mistero pasquale. I salmiperciò non sono una realtà assoluta, ben-sì da completare. Rappresentano soltantouno stadio della Historia Salutis, e non lasua pienezza. Nell’Ufficio divino del Tem-po ordinario per annum, quando vieneeseguito senza canto, la sentenza puòsostituire l’antifona.

3. “Pregare con la Chiesa”: le ora-zioni salmiche.

Appartengono al genere eucologico erappresentano una riscoperta del Conci-lio Vaticano II, sebbene si vantino antichee ricche collezioni. Trovano posto imme-diatamente dopo l’antifona del salmo inquestione; sbaglia però chi le definiscecome una sorta di sintesi del salmo appe-na pregato. Nei testi attribuiti ad esem-pio a san Leandro di Siviglia, san Giustodi Urgel e Conanzio di Palenzia, o nellostesso Diario di Egeria, si parla di esse de-finendole orationes. Il termine collecta in-fatti è molto recente e alla sua adozioneha contribuito l’accostamento tra questeorazioni e l’uso del verbo colligere (“rac-cogliere”, “riassumere”) in alcuni docu-menti (es. Cassiano nel De Institutis Cae-

nobiorum che usa tale accostamentoparlando della prassi della preghiera im-provvisata in coro)14. Ma l’uso di tale ac-costamento era errato in coloro che defi-nivano o continuano a definire le orazio-ni salmiche come riassuntive dei rispettivisalmi. Ciò che l’orante, singolo, “racco-glieva” non era il salmo precedente,quanto piuttosto la preghiera della co-munità che scaturiva dal salmo appenapregato. L’orazione, improvvisata o redat-ta in precedenza, esprimeva la preghieranon esplicita, apparentemente dispersa,forse anche non molto precisa, che il sal-mo poteva aver fatto sorgere nell’animodei singoli oranti.

Se perciò le sentenze aiutano a prega-re i salmi “con Cristo”, attraverso le ora-zioni salmiche l’orante avverte che la suanon è una preghiera individuale, privata,ma fatta “con la Chiesa”, certi che «chirecita i salmi nella Liturgia delle Ore, li re-cita non tanto a nome proprio quanto anome di tutto il Corpo di Cristo, anzi nel-la persona di Cristo stesso. Se ciascunotiene presente questa dottrina, svanisco-no le difficoltà, che chi salmeggia potreb-be avvertire per la differenza del suo sta-to d’animo da quello espresso nel sal-mo»; inoltre «nell’Ufficio divino si ha undeterminato ciclo di salmi valevole pertutta la comunità ed eseguito non a tito-lo personale, ma a nome di tutta la Chie-sa»15. Riconoscendo alla preghiera for-mulata e dichiarata da uno solo la fun-zione di accentrare e raccogliere la pre-ghiera spontanea ma allo stesso temposegreta di tutti, si affidava all’eucologia ilcompito di significare, rappresentare e

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anche realizzare la preghiera comunitariain quanto tale. Se le orazioni salmichenascono perciò come preghiere estempo-ranee, recitate solitamente da una solapersona a nome dell’intera comunità, inseguito verranno raccolte in collezioni.Due sono le serie salvate ad opera dei ca-rolingi da una sicura scomparsa: la serieEffice nos, attribuita a Cassiodoro, e laserie Visita nos, riprodotta in un solo co-dice (il prezioso Salterio che, copiato tra il795 e l’800, Carlo Magno offrì in dono alMonastero di Saint Riquier).

Esaminando con cura i testiantichi si arriva a comprenderecome la funzione di tali orazio-ni non era quella di riassumereil salmo, né tanto meno di rac-coglierne soltanto alcune frasio idee. Per capire la loro fun-zione storica è necessario con-frontarle con le antifone salmi-che. Il rapporto tra orazioni eantifone salmiche non è deltutto gratuito. Nel caso con-creto delle collette ispanichead esempio si può verificareche la frase del salmo, ripetutadall’antifona quale ritornello,diventava spesso il nucleo ini-ziale da cui si sviluppava l’ora-zione. Nessuna di quelle an-tifone pretendeva riassumere ilsalmo. Se si parte infatti daquest’ultimo pregiudizio, nonsi può comprendere il principioguida che portò alla loro con-cezione e realizzazione. Le ora-zioni salmiche, come d’altron-

de le antifone e i tituli psalmorum, eranoordinate a colmare l’abisso che separava,culturalmente e ideologicamente, la co-munità cristiana dal significato letterale estorico dei salmi, erano quindi destinatea rendere più prossimo, più attuale il te-sto della preghiera biblica. Mentre i titulipsalmorum, che proponevano una chiavedi lettura per l’intero salmo, erano esclu-sivamente finalizzati alla lettura-medita-zione-studio del salterio, le antifone e leorazioni furono composte in ordine alla

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celebrazione liturgica. Oltre al contenutomutuato dai salmi, le orazioni accolgonoal loro interno tutta una teologia trinita-ria e cristologia, una ricca dottrina sullaChiesa e sulla grazia, una morale asceti-ca, un incentivo costante all’orazionecontemplativa, continui richiami a ciò chesi sta vivendo nella liturgia, e concreta-mente nella liturgia di lode.

Esistono intere raccolte antiche diorazioni salmiche proprie della tradizio-ne romana, africana e spagnola. Lo spe-

cifico delle nuove formule è quello dievidenziare la dimensione cristologica,ecclesiale e sacramentale dei salmi e deicantici biblici e di dare, a volte, un rilie-vo particolare a qualche spunto concet-tuale del testo biblico. Mette inoltre inevidenza il pregare “con la Chiesa” isalmi (insieme alle antifone e i titoli) iquali, da preghiera dell’Antico Testa-mento diventano preghiera di Cristo alPadre, alla quale egli associa la sua Spo-sa amatissima

——————1 Principi e norme per la Liturgia delle Ore (PNLO),

in Enchiridion Vaticanum 4, 133-424.2 PNLO 101.3 M. MANNATI, Per pregare con i salmi, Torino

1978, 9.4 Cf. SACROSANCTUM CONCILIUM OECUMENI-

CUM VATICANUM II, Constitutio de Sacra Litur-

gia, Sacrosanctum Concilium, Acta Apostolicae

Sedis (1964) 97-138, n. 14.5 SC 90 e PNLO 102.6 V. RAFFA, La Liturgia delle Ore. Presentazione sto-

rica, teologica e pastorale, Roma 31990, 146.7 Questa classificazione la attingiamo da uno studio

di P. FERNÁNDEZ, «Elementi verbali della Liturgia

delle Ore», in La celebrazione nella Chiesa, vol. 3:

Ritmi e tempi della celebrazione, ed. D. BOROBIO,

Torino 1994, 491.

8 PNLO 111.9 PNLO 3.10 PNLO 111.11 Cf. RAFFA, La Liturgia delle Ore. Presentazione

storica, teologica e pastorale, 146.12 Cf. PNLO 1-8.13 Cf. G. FALANGA, «“Perseverate nella preghiera e

vegliate in essa”. La Liturgia delle Ore e il suo si-

gnificato ecclesiale», in I Praenotanda dei libri li-

turgici. La Liturgia delle Ore preghiera della Chiesa

(Iniziazione alla liturgia 7), Roma 2004, 47.14 Cf. J. PINELL, Liturgia delle Ore (Anàmnesis 5), ed.

I. SCICOLONE, Milano 1990, 171-172.15 PNLO 108.16 Cf. RAFFA, La Liturgia delle Ore. Presentazione

storica, teologica e pastorale, 183.

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ra i vari elementi che compon-gono la Liturgia delle Ore, i Sal-mi (“quei bellissimi canti, che i

sacri autori, sotto l’ispirazione dello Spi-rito Santo, hanno composto nell’AnticoTestamento”1) hanno sicuramente laparte più evidente e più importante.“Per la loro stessa origine, infatti, – con-tinua il testo – essi hanno una capacitàtale da elevare la mente degli uomini aDio, da suscitare in essi pii e santi affet-ti, da aiutarli mirabilmente a render gra-zie a Dio nelle circostanze prospere, darecare consolazione e fermezza d’animonelle avversità”.

Composti in diverse epoche della sto-ria d’Israele, da autori diversi2, esprimonola preghiera del popolo o del pio israelitache, o contempla l’opera della creazione,o riflette sulla sua storia letta alla luce diDio, e lo ringrazia o lo invoca.

Essendo composizioni dell’AT, sonospesso lontani dal nostro tempo e dallanostra cultura, e anche dalla nostra fedecristiana. “I salmi, tuttavia, non offronoche un’immagine imperfetta di quellapienezza dei tempi che apparve in CristoSignore e dalla quale trae il suo vigore lapreghiera della Chiesa”.

Proprio per questa difficoltà, qualcu-no aveva osato proporre di riformare la

preghiera della Chiesa, sostituendo aisalmi altre preghiere, anche poetiche,ma di autori cristiani. La Chiesa però havoluto mantenere l’uso della preghieradei Salmi, non tanto perché tradizionecostante di tutte le Chiese, ma soprat-tutto perché li hanno pregati Cristo e gliApostoli, e in Cristo i salmi trovano laloro pienezza. Gesù stesso diceva ai di-scepoli, dopo la sua risurrezione: “Biso-gna che si compiano tutte le cose scrittesu di me nella Legge di Mosé, nei profe-ti e nei salmi” (Lc 24, 44).

Per pregare fruttuosamente con isalmi, è necessario conoscerne il sensoletterale, il senso pieno, il senso messia-nico, il senso spirituale; bisogna poi ve-dere l’uso che ne fa la Chiesa nella sualiturgia.

a) Il senso letterale. Per comprenderlo, ènecessario avere una buona traduzio-ne (e non è sempre facile!), ma biso-gna spesso conoscere la storia del po-polo a cui ci si riferisce. Ogni salmodovrebbe perciò essere studiato, fa-cendo i riferimenti agli eventi ricorda-ti, per ricavarne l’insegnamento che ilsalmista trae da quelle esperienze. Sidovrà inoltre fare attenzione al genereletterario del salmo: ci sono inni, sup-

I Salmi preghiera di Cristoe della Chiesa

p. Ildebrando Scicolone, osb

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pliche o lamentazioni (a sua volta ocollettive o individuali), ringraziamen-ti. Una speciale categoria è costituitadai salmi “regali”, cioè che riguarda-no il re, chiamato spesso il consacratoo l’Unto del Signore (in greco “Cri-sto”). Stando al senso letterale, fannospeciale difficoltà a noi cristiani i salmio i versetti “imprecatori”3. A volte iltesto stesso ci fa riconoscere il mo-mento del giorno più adatto per pre-garli: così ci sono salmi mattutini (peres. il 63) e salmi vespertini (per es. il140) e salmi per compieta (il 90). Cisono salmi storici (il 77, 104), salmisapienziali (106 e il lungo 118).

b) Il senso messianico. Alcuni salmi sonoesplicitamente citati nel Nuovo Testa-mento come realizzati in Cristo. Gesùstesso cita il 109 (“oracolo del Signoreal mio Signore”, Mt 22,44), san Pietroil 2 (At 4, 25-28), san Paolo il 18 (Rom10, 8). Salmi messianici sono, oltrequesti, il 21, il 23, il 44, il 71 (in gene-re li preghiamo la domenica). Questisalmi si comprendono pienamente al-la luce di Cristo e della sua Pasqua.Senso messianico acquistano certi sal-mi dall’uso che ne fa la Chiesa: così il18 è tipico del Natale, il 46 dell’A-scensione, il 71 dell’Epifania, il 117 eil 135 (salmi dell’ Hallel ebraico) sonoper la nostra pasqua e per la domeni-ca (giorno del Signore).

c) Il senso pieno. Altri salmi, che non so-no esplicitamente messianici, oltre alsenso letterale, acquistano un senso

più pieno (plenior) se li poniamo inbocca a Cristo Gesù. Così li hannocommentato i Padri (Basilio, Ambro-gio, Agostino). Per es. il v. “Affilano laloro lingua come spada” (56, 5 e 63,4) viene applicato da Agostino ai Giu-dei che, nella passione del Signore,gridarono “crocifiggilo, crocifiggilo”.Allora essi aguzzarono la lingua comespada. Così ogni povero che gridaaiuto, ogni perseguitato dei salmi, tro-va il suo compimento in Cristo, spe-cialmente nella sua passione. Ma tuttiquesti salmi, si concludono con unaprotesta di fiducia in Dio. C’è, a uncerto punto di essi, un “Ma tu, Signo-re…”: puoi cambiare o cambi le situa-zioni.

d) Il senso ecclesiologico. Quello che isalmi dicono del rapporto di Dio con ilsuo popolo, con la sua città di Geru-salemme, i cristiani lo leggono alla lu-ce del compimento del piano di Dio,che è il nuovo Popolo, cioè la Chiesadi Cristo. Come si fa a non pensare al-l’eucaristia, quando si canta: “davantia me tu prepari una mensa…il miocalice trabocca” (22, 5)?Così il citato 18 (“i cieli narrano lagloria di Dio”), se lo leggiamo a Nata-le, ci presenta “il sole che esce dallastanza nuziale”; se lo cantiamo nellefeste degli Apostoli, sono essi i cieliche narrano la gloria di Dio, e la cuivoce si diffonde per tutta la terra.

e) Il senso spirituale (o anagogico). Ac-cennavo al verso imprecatorio del

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136: “Figlia di Babilonia devastatrice,beato chi…afferrerà i tuoi piccoli e lisbatterà contro la pietra”. In sensoletterale, come si possono pronuncia-re queste parole? Ma i Padri, special-mente monastici, le hanno intese insenso spirituale. Se Babilonia è la cittàdel maligno, i suoi figli so-no “i cattivi pensieri chevengono al cuore”, e que-sti bisogna sbatterli sullapietra, che è Cristo, secon-do la parola di Gesù “chicadrà sopra questa pietrasarà sfracellato” (Mt 21,44). In senso spirituale,Gerusalemme è l’anima,cioè ogni uomo, che di-venta tempio dove Dioabita, oggetto della suascelta e della sua predile-zione. In senso escatologi-co, Gerusalemme è quellaceleste, che è nostra ma-dre, alla quale siamo in-camminati (vedi i salmidelle ascensioni dal 119 al134).

Il n. 108 dei PNLO dice:“Chi recita i salmi nella Li-turgia delle Ore, li recita nontanto a nome proprio quan-to a nome di tutto il Corpodi Cristo, anzi nella personadi Cristo stesso”. Provate apensare che è Cristo che di-ce quelle parole con la vo-stra bocca: il salmo risuo-

nerà in modo diverso. Del senso “pie-no” e del senso “messianico” si parlanel n. 109. Se si pensa che nella Litur-gia preghiamo a nome di tutta la Chie-sa, continua il n. 108, “svaniscono ledifficoltà, che chi salmeggia potrebbeavvertire per la differenza del suo stato

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d’animo da quello espresso nel salmo,come accade quando chi è triste e nel-l’angoscia incontra un salmo di giubilo,o, al contrario, è felice e si trova difronte a un canto di lamentazione”. Senella preghiera puramente privata, sipuò scegliere un salmo adatto al pro-prio stato d’animo, nella preghiera co-mune o ecclesiale quella difficoltà si de-ve superare, pensando che “chi salmeg-gia a nome della Chiesa può sempre

trovare un motivo di gioia o tristezza,perché anche in questo fatto conserva ilsuo significato l’espressione dell’Apo-stolo: “Rallegratevi con quelli che sononella gioia, piangete con quelli che so-no nel pianto” (Rm 12, 15), e così lafragilità umana, ferita dall’amor pro-prio, viene risanata nella misura di quel-la carità per la quale la mente concordacon la voce che salmeggia” (Regola disan Benedetto, cap. 19).

——————1 Principi e Norme per la Liturgia delle Ore (PNLO),

100. In questo numero si riflette sul cap. III di que-

sto documento, che si trova all’inizio del I volume

della Liturgia delle Ore (o nel libretto di Compieta,

nel volume unico). Il Cap. III è intitolato: I diversi

elementi delle Liturgia delle Ore. E vi sono trattati:

I. I Salmi; II. Le Antifone e gli altri elementi che

aiutano a pregare con i Salmi; III. Il modo di sal-

modiare; IV. Criteri di distribuzione dei Salmi nel-

l’Ufficio; V. I Cantici dell’Antico e Nuovo Testa-

mento; VI. La lettura della Sacra Scrittura; VII. La

lettura dei Padri e degli Scrittori ecclesiastici; VIII.

La lettura agiografica; IX. I responsori; X. Gli Inni e

gli altri canti non biblici; XI. Le Preci, la Preghiera

del Signore, l’Orazione conclusiva; XII. Il sacro si-

lenzio. 2 Si parla sempre di salmi di Davide, anzi tutto il sal-

terio è stato talvolta attribuito a lui, ma vi sono

salmi composti da Asaf, dai figli di Core, da Salo-

mone, da Etan, da Mosé, e molti sono anonimi.

Questo risulta dai titoli che sono nel testo biblico

del Salterio, titoli che non sono ispirati, ma anti-

chissimi. Con il termine “Salmi” si indicano i 150

canti che formano il libro dei “Salmi”, mentre

chiamiamo “cantici” altre composizioni poetiche

che si trovano sparse in altri libri della Bibbia. In

ebraico si chiamano Tehillim (= Inni); in greco si

sono chiamati Psalmoi, dal nome “psalterion”,

che era lo strumento musicale che li accompagna-

va. Per quanto riguarda la numerazione, si tenga

conto che la Liturgia delle Ore segue la numera-

zione della Bibbia latina, mentre le nuove Bibbie

seguono quella ebraica: così, per es., il testo lati-

no ha unito gli ebraici ) e 10, per cui il n. 10 latino

corrisponde all’ 11 ebraico, e così tutti, fino al

147, l’ebraico è di una unità superiore al latino. Io

qui mi riferisco alla numerazione latina, cioè della

Liturgia delle Ore.3 Vedi, per es. il 108, e l’ultima parte del 136. Que-

sti salmi o versi imprecatori non sono presenti nel-

la Liturgia romana delle Ore, ma i monaci li prega-

no, non certo nel senso letterale, ma li interpreta-

no in senso spirituale. Noi non abbiamo nemici,

ma un “nemico” c’è, il maligno!

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evangelista Luca ricorda comeGesù un giorno “Disse loro unaparabola sulla necessità di prega-

re sempre, senza stancarsi” (Lc 18,11) e laChiesa apostolica conformava la sua pre-ghiera sul ritmo costante della preghierarivolta al Signore Dio dal popolo di Israele.

Gli studiosi sono abbastanza d’accor-do nell’affermare che al tempo di Gesù lapreghiera quotidiana era compiuta almattino, a mezzogiorno e alla sera, comeindica chiaramente il salmo 55: “Di sera,al mattino, a mezzogiorno mi lamento esospiro ed egli ascolta la mia voce” (Sal55,18) e lo confermerebbe un episodionel libro di Daniele: “Daniele, quandovenne a sapere del decreto del re, si ritiròin casa. Le finestre della sua stanza siaprivano verso Gerusalemme e tre volteal giorno si metteva in ginocchio a prega-re e lodava il suo Dio, come era solito fa-re anche prima” (Dn 6,11).

Con le due suddette citazioni biblichenon si vuole entrare nella questione sulmodo arcaico che aveva il popolo ebreodi contare le ore della giornata, prima diaccettare la divisione in dodici ore prove-niente dall’ambiente babilonese, ma diasserire la volontà dell’orante di pregareincessantemente.

Ogni qualvolta si offriva a Dio il sacri-ficio di lode, subito dopo l’immolazionedella vittima tutto si fermava e aveva luo-

go la lettura della Scrittura, dei Targum eil canto dei salmi. Poi il sacrificio prose-guiva con lo smembramento e la combu-stione della vittima e con le oblazioni.

Il canto dei salmi, pertanto, l’elemen-to più spirituale del rito, si conservò sem-pre presso il popolo ebreo.

In ogni salmo, concepito come poe-sia, è importantissima la dimensione ar-t ist ica dal momento che la culturaebraica era talmente sacralizzata e to-talmente estranea al mondo profanoche poteva solo svilupparsi in funzionedei rapporti con Dio.

Per tale motivo alcuni salmi sin dallaloro composizione sono stati destinatial culto.

Il Salterio, pertanto, è sempre pre-ghiera dal momento che il poeta ebraiconon poteva esercitare la sua arte senzadestinare a Dio la sua opera.

Esiste, pertanto, un rapporto tra Sal-terio e Alleanza: la preghiera dei salmicontiene sempre la rinnovata volontà dimantenersi nell’Alleanza con Dio peressere beneficiari effettivi delle sue pro-messe.

Gesù è considerato a ragion vedutail maestro della preghiera. “Sta scritto:Lamia casa sarà casa di preghiera. Ma voine avete fatto una spelonca di ladri!”.Ogni giorno insegnava nel tempio (Lc19,46-47).

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Le antifone salmichemons. Cosma Capomaccio

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Pregare con il canto dei salmi, dun-que, diventa, sin dall’età apostolica, ilmodo più logico per elevare al Signore lalode che a Lui compete e le prime comu-nità cristiane adottano questa forma dipreghiera quando si radunano come as-semblea celebrante.

Le testimonianze di Clemente di Ales-sandria, Tertulliano, Traditio Apostolica,Origene, Cipriano e Eusebio di Cesarea,Ilario di Poitiers, Giovanni Cassiano, tantoper citare qualche testimone, ci illustra-no il percorso storico di questa preghierasalmica che a mano a mano si strutturain uno schema di ufficiatura che si vaperfezionando sempre più nel tempo.

Il metodo di cantare i salmi a due corialternati si ritrova già nell’inno mosaicodi ringraziamento eseguito dagli Ebreidopo il passaggio del Mar Rosso a duecori dispari alternati, uomini e donne:“Allora Mosè e gli Israeliti cantaronoquesto canto al Signore e dissero:”Vogliocantare in onore del Signore:perché hamirabilmente trionfato,ha gettato in ma-re cavallo e cavaliere…” (Es 15,1ss).

Si narra che anche Davide avesse divisoi cantori del tempio in due cori che si ri-spondevano a vicenda nel canto dei salmi.

Lo storico Socrate fa risalire il metododi cantare alternando dei versetti salmo-dici a S. Ignazio vescovo d’Antiochia che,avendo udito gli angeli cantare alternati-vamente degli inni a lode della SS. Tri-nità, stabilì questa forma per il canto deisalmi nella Chiesa d’Antiochia.

Anche se l’aneddoto è probabilmenteleggendario da varie testimonianze sipuò ritenere che nelle Chiese della Siria e

della Mesopotamia tale metodo di cantofosse adottato da molto tempo. Sembra,infatti, che Diodoro e Flaviano, capi delpartito ortodosso di Antiochia, avendodesunto la suddetta modalità di canto daquelle Chiese la portarono nella loro cittàper contrapporla al metodo di cantarel’antifona degli ariani, nella prima metàdel secolo IV: essi divisero i fedeli in duecori ed insegnarono loro a salmodiare al-ternativamente gli inni di Davide.

Si deve proprio a queste assemblee diasceti e di vergini che vivevano in mezzoal popolo se ad Antiochia, Edessa, Geru-salemme si poté inaugurare questo nuo-vo modo di cantare la salmodia.

Uno sviluppo di ulteriore partecipazio-ne dell’assemblea alla preghiera di lodeche si innalza al Dio Altissimo con il can-to dei salmi si instaura e a mano a manosi consolida presso le chiese cattedrali.

Dal momento che i salmi sono una ine-sauribile ricchezza di conoscenza della pre-senza di Dio e del suo operare nella vitadel suo popolo, per offrire anche ai fedeli,altrimenti esclusi da tale possibile parteci-pazione alla lode, si inventa l’antifona.

Il termine antifona non proviene daßntàfwnø, una parola che non esiste,ma da ßntifwnûw = rispondo o megliodall’aggettivo ßntifwn’j che al pluralediventa ßntàfwna = che suona a vicen-da, voce contro voce.

L’antifona è costituita dall’alternanzadel canto di due cori, a voci pari o dispa-ri, se è misto, che si rispondono a vicen-da nell’esecuzione melodica del salmo,ma si riuniscono in consonanza di ottavanel canto dell’antifona.

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La caratteristica che la differisce dallasalmodia responsoriale, in cui all’asso-lo salmodico di un cantore risponde il po-polo, è che nel canto antifonico sonodue cori che si rispondono reciprocamen-te o con i versetti del salmo o con la frasedi un’antifona.

San Giovanni Crisostomo, commen-tando i l sa lmo 117 ConfiteminiDomino, al quale l’assemblea risponde-va con il versetto Hæc dies quam fecitDominus, afferma che il popolo non co-nosceva l’intero salmo e, dunque, pertale motivo si stabilì che esso avrebbecantato un versetto adatto contenentequalche sublime verità.

Teodoreto narra che in occasionedella traslazione dei resti mortali di sanBabila martire a Dafnea presso Antio-chia, ai tempi di Giuliano l’apostata, iresponsabili della comunità durante ilpercorso cantavano dei salmi ai quali ilpopolo rispondeva ad ogni versetto conl’antifona: Confundantur omnes quiadorant sculptilia.1

Questa è una ulteriore testimonianzadel fatto che, già dal secolo IV, i salmi ele antifone sono descritti come due realtàdiverse ed è da questo secolo che la fra-se-ritornello con cui si alterna il canto delsalmo è chiamata antifona.

L’antifona conquistò tale favore pres-so i vescovi ed i fedeli che in brevissimotempo si diffuse nelle principali Chiesed’Oriente e d’Occidente. Si riscontranodiverse testimonianze sulla Chiesa di Ro-ma dove fu introdotta da papa Damaso,mentre a Milano fu diffusa da Ambrogionel 386 secondo l’affermazione di Ago-

stino che, testimone oculare, descrivel’assedio sostenuto dal santo vescovo edai suoi fedeli da parte degli ariani nellabasilica Nova: “allora fu istituito un mo-do nuovo di cantare gli inni e i salmi, se-condo l’uso orientale, affinché il popolonon fosse oppresso dalla noia”2.

Sappiamo che il modo di salmodiarecon l’antifona affidata al grande coro sidiffuse anche nella Chiesa africana, sem-pre per la testimonianza di Agostino.

In principio il nuovo metodo di cantofu associato al già esistente canto re-sponsoriale come lo descrive Egeria perGerusalemme: “Intona il salmo uno deipresbiteri e tutti rispondono”, ma poi c’èanche la testimonianza di Basilio che de-scrive minutamente lo svolgimento del-l’ufficio vigiliare a Cesarea: “I nostri usiattuali sono conformi a quelli di tutte leChiese di Dio. Verso la fine della notte ilpopolo si reca alla casa della preghie-ra…e dopo un’orazione in silenzio, tuttisi alzano per la recita dei salmi. Prima ditutto, divisi in due cori, salmodiano alter-nativamente…quindi, lasciando ad unsolo cantore la cura di intonare la melo-dia, gli altri gli rispondono; e così passa lanotte nella varietà della salmodia”3.

In seguito, dunque, la salmodia an-tifonica si sostituì al canto del salmo ecosì scomparve del tutto il semplice alter-narsi dei due cori.

Agli inizi del secolo IX Amalario de-scrivendo l’ufficio mattutino ricorda seiantifone che venivano cantate alternati-vamente da due cori dopo ogni versettodel salmo. Questo modo di cantare i sal-mi del mattutino e delle lodi faceva dura-

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re l’ufficio troppo a lungo a scapito dellavoro e, allora, si pensò di cantare l’an-tifona ogni due o tre versetti del salmo,come ricorda una rubrica dell’antifonariodi San Pietro del XII secolo: Noi cantiamole antifone prima del salmo, poi nel corsodel salmo ai punti segnati, così pure allafine del salmo, e dopo il Gloria Patri e fi-nalmente dopo il Sicut erat.

Fin dal secolo X, purtroppo, si iniziò acontrarre l’abitudine di cantare l’antifonasolo all’inizio e alla fine del salmo, usofissato definitivamente con la riforma delBreviario di Pio V.

Come illustrato in precedenza pro-prio nel IV secolo si pone una svolta nelmodo di cantare i salmi; l’alternarsi didue cori nel canto era certamente unmodo per pregare più coralmente edelevare al Signore un canto di lode contutto l’entusiasmo e la vivacità che erapropria dei cantori, cioè degli apparte-nenti ai due cori.

E il popolo? Quale poteva essere lapartecipazione dell’assemblea celebran-te composta per lo più da cristiani chenon conoscevano la straordinaria ric-chezza spirituale dei salmi dal momentoche non sapevano leggere il Salterio enon vi erano codici e pergamene a suf-ficienza per tutti?

Allora nasce l’antifonario, un libro con-tenente la raccolta delle antifone e dei re-sponsori da cantarsi nelle celebrazioni delmattutino e delle lodi, anche se a volte iresponsori erano raccolti in Liber Respon-salis o Responsale e spesso si avevano libridistinti per le ore notturne e diurne.

L’antifona, è stato già detto, vienealla luce da una geniale intuizione dicoloro che organizzarono la composi-zione del Salterio, quando, per offrireall’assemblea, il grande coro, la possi-bilità di interagire nel canto della Litur-gia delle Ore, stabilirono di estrapolaredal salmo stesso un versetto che potes-se essere cantato e ripetuto in forma re-sponsoriale, responsum = risposta, alcanto di vari versetti del salmo cantatidalla schola, il piccolo coro.

Lo scopo dell’antifona, pertanto, nellaintenzione di coloro che la adottaronoera quello di fornire all’assemblea oranteuna preghiera personale: Clamavi, etexaudivit me (Nella mia angoscia ho gri-dato al Signore ed egli mi ha risposto)(Sal 119,1), la certezza che Dio è pre-sente quando lo invochiamo: Intelligeclamorem meum, Domine (Ascolta la vo-ce del mio grido,o mio re e mio Dio) (Sal5.3) e anche delle esortazioni che l’oran-te rivolge a se stesso per pregare meglio:Paratum cor meum Deus, paratum cormeum (Saldo è il mio cuore, Dio, saldo èil mio cuore) (Sal 108,1).

Da parte dell’uomo, però, si presup-pone, nel dialogo con il Signore, non so-lo un atteggiamento di fiducia, ma anchedi sottomissione: Nonne Deo subdita eritanima mea? (Solo in Dio riposa l’animamia; da lui la mia salvezza) (Sal 62,2).

La preghiera cristiana, però, è anchecontemplazione ed è confessione: In ma-tutinis, Domine, meditabor in te (O Dio,tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco) (Sal63,2). Solo in questa meditazione delcuore si produce la vera apertura alla lu-

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ce di Dio Revela Domine viam tuam (Ma-nifesta al Signore la tua via) (Sal 37,5).

Le antifone portano anche alla consi-derazione degli attributi di Dio che èpotente ed aiuta: Adiutor in tribulationi-bus (Dio è per noi rifugio e forza, aiutosempre vicino nelle angosce) (Sal 46,2) eva proclamata con amore la sua potenza:Diligam te, Domine, virtus mea (Ti amo,Signore, mia forza) (Sal 18,2), per questola fiducia dell’orante deve fondarsi sulconvincimento della grandezza e dellasupremazia di Dio: Tu solus Altissimus su-per omnem terram (Tu solo sei l’Altissimosu tutta la terra) (Sal 83,19).

Da questa considerazione della mae-stà e sovranità di Dio nasce nel cuoreumano l’ammirazione che si esprimenella lode: Benedictus Dominus in æter-num (Benedetto il Signore in eterno)(Sal 89,53).

Si può notare che alcune di questeantifone sono delle vere acclamazioni eper tale motivo occorre immaginare lacelebrazione di lode come un canto vi-vace nel quale la partecipazione del po-polo, grande coro, è continua. Solo co-sì possono spiegarsi alcune antifone chedal punto di vista letterario sarebberoincomplete perché iniziano addiritturacon una congiunzione o con una parti-cella causale o finale, che presuppongo-no la frase precedente: Et invocabimusnomen tuum, Domine (Noi ti rendiamograzie, o Dio, ti rendiamo grazie: invo-cando il tuo nome, raccontiamo le tuemeraviglie) (Sal 75,2) Quoniam in sæcu-lum misericordia eius (Alleluia. Lodateil Signore perché è buono: perché eter-

na è la sua misericordia) (Sal 136,1); Utnon delinquam in lingua mea (Ho detto:”Veglierò sulla mia condotta per nonpeccare con la mia lingua”) (Sal 39,2).

Queste brevi frasi, staccate dal conte-sto, ripetute insistentemente dal popolodavano al salmo un volto nuovo perché ilsuo canto diventava un’esperienza dipreghiera dalla quale si ricavava un’ideadominante: Sede a dextris mei (Siedi allamia destra) (Sal 110,1) e anche Facti su-mus sicut consolati (Grandi cose ha fattoil Signore per noi, ci ha colmati di gioia)(Sal 126,3).

In questo modo ogni salmo contenevauna miniera di piccole gemme, di frasi dipreghiera che, un giorno l’una e un giornol’altra, venivano ad arricchire il tesoro inti-mo della preghiera di ogni cristiano.

E’ necessario notare che questo tipodi canto dei salmi e la pastorale ad essoconnessa implicano una celebrazionepienamente comunitaria della lode litur-gica. Gli autori delle antifone non trascu-rarono questo aspetto dal momento chela lode liturgica si celebra nella chiesa el’assemblea è il segno costitutivo delnuovo tempio, della nuova dimora del-l’Altissimo, la città santa, la nuova Geru-salemme: Lauda Ierusalem Dominum(Glorifica il Signore, Gerusalemme) (Sal147,12), Te decet hymnus, Deus, in Sion(A te si deve lode, o Dio, in Sion) (Sal65,2), Adorate Dominum in aula sanctaeius (Nel suo tempio tutti dicono: “Glo-ria!”) (Sal 29,9).

Con le antifone espresse al singolaresi alternano quelle che denunciano unaspeciale scelta al plurale: Cantate Domi-

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no et benedicite nomen eius (Cantate alSignore, benedite il suo nome) (Sal 96,2),Deo nostro iucunda sit laudatio (È bellocantare al nostro Dio) (Sal 147,1).

Altre antifone, poi, si preoccupanodi sottolineare quanto sia convenienteper una comunità che vuole vivere nellafede darsi alla lode perenne: Rectos de-cet collaudatio (Ai retti si addice lalode) (Sal 33,1)4.

Le esemplificazioni apportate sonostate tratte dal più antico repertorio ro-mano di antifone salmiche, il già citatoAntifonario di San Pietro5, ma le conclu-sioni sarebbero certamente simili se l’a-nalisi si estendesse ad altri antifonariromani più evoluti e ai repertori analo-ghi dei riti ambrosiano ed ispanico, per-ché in tutto il mondo latino si è adotta-to lo stesso stile di antifone per esegui-re i salmi in forma responsoriale nel pe-riodo che inizia con il secolo IV e giun-ge al secolo VI.

In seguito sono subentrati altri tipi diantifone che hanno, purtroppo, mutato illoro senso originario dal momento che leantiche erano state concepite per dareal salmo cantato una maggiore vivacità epopolarità, per accentuarne il potenzialepedagogico in vista di una migliore capa-cità di preghiera dei fedeli.

Le antifone successive a questo perio-do di splendore diventano solo un orna-

mento che, invece di fornire all’assem-blea, il grande coro, la possibilità di ca-pire più profondamente e vivere più coe-rentemente i salmi, danno l’impressionedi distogliere l’attenzione dal salmo cheaccompagnano.

Nel prosieguo del tempo, quindi, leantiche antifone salmiche vennero ac-cantonate nel Salterio per annum dove,anziché ritornelli in forma responsoria-le, divennero formule da recitare soloall’inizio e alla fine del salmo, perdendocosì gran parte del loro effetto di solle-citazione della preghiera dell’assem-blea.

La riforma del Breviario ha ampliatoconsiderevolmente il numero delle an-tifone per annum. Molte sono composi-zioni nuove. Si è tenuto conto dei criteritradizionali per la composizione di questotipo di antifone, anche se non sempre ta-li criteri sono stati osservati.

Oggi, dopo la primavera liturgica ope-rata dal Concilio Ecumenico Vaticano II sipuò, se si ha l’intenzione e se si preparacon attenta e competente volontà dicoinvolgere l’assemblea orante in una piùintensa e profonda preghiera di lode alSignore, ridare alla stupenda ricchezzache ci propone la Liturgia delle Ore quel-lo splendore meraviglioso che è propriodella preghiera elevata al nostro Dio e Si-gnore.

——————1 Teodoreto, Historia ecclesiastica, III, IX.2 Agostino, Confessioni, IX. 7.3 Basilio, Lettera ai Casareani, 207, 3.

4 J. Pinell, Le antifone salmiche IV, Liturgia delle

Ore, Anàmnesis 5, Genova 1990, 109 ss. 5 Archivio di San Pietro, Ms.B 79 (sec.XII).

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a Liturgia delle Ore trae dal Van-gelo dell’infanzia di Luca trecantici che articolano la preghie-

ra di tutta la giornata. Il Benedictus, oCantico di Zaccaria Lc 1,68-79 che è pre-gato nelle lodi mattutine, il Magnificat, ocantico di Maria Lc 1,46-55, che è prega-to nei vespri e infine il Nunc dimittis ocantico di Simeone Lc 2,29-32 che è pre-gato a Compieta.

Gli studi su questi cantici e sul lorouso nella liturgia sono innumerevoli findal periodo patristico1.

Per analizzarli soprattutto in vista delloro uso nella preghiera e nella liturgiapartirei da una considerazione non se-condaria: dobbiamo innanzi tutto ricollo-care questi cantici nel loro contesto, è ilmodo più sicuro che abbiamo per capireciò che lo Spirito voleva dirci.

I tre cantici nel loro contestoSiamo nel vangelo dell’infanzia di Lu-

ca. Un testo elaborato da Luca con gran-de profondità teologica e, come dice ilprologo, dopo avere fatto indagini inproprio tra quanti “dopo essere stati te-stimoni dei fatti sono diventati ministridella Parola” (Lc 1,2). Per i vangeli dell’in-fanzia è abbastanza evidente che Lucadeve aver contattato un ambiente checonservava tradizioni legate al ricordo diMaria. Un ambiente di ebrei diventati cri-

stiani, come la maggior parte dei primicredenti. Da questo ambiente sembranoprovenire questi cantici che hanno alleloro spalle un testo ebraico o almeno unambiente che conosce l’ebraico. Bastapoco per rendersene conto.

Il Magnificat infatti si apre facendo ri-ferimento a una visione della personache non è greca, ma ebraica: parla di“anima (psichè) e spirito (pneuma)” pro-prio come Paolo in 1 Tess 5,23 definiscel’uomo fatto di spirito (pneuma), anima(psichè) e corpo (soma) e non soltantoanima e corpo.

Poi nei versetti 49-50 alla lettera scrive“e santo… e la sua misericordia… in ge-nerazione e generazione” che è un pes-simo greco, ma va benissimo se lo ritra-duciamo in ebraico.

Il Benedictus appare articolato sul si-gnificato dei nomi ebraici dei protagoni-sti: Giovanni “il Signore ha fatto grazia”è evocato nel v. 72 “ha concesso miseri-cordia ai nostri padri”. Zaccaria che signi-fica “Dio si è ricordato” è evocato subitodopo: “si è ricordato della sua alleanza”.E infine Elisabetta che significa “Dio è ilmio giuramento” sembra fare riferimen-to al versetto 73 “si è ricordato del giura-mento fatto ad Abramo”.

Il Nunc dimittis infine nell’espressione“andare in pace” tradisce una mentalitàebraica dove lo Shalom indica il compi-

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I cantici della Liturgia delle Oredon Nazzareno Marconi

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Ma abbiamo anche che solo l’iniziodella storia di Giovanni si apre nel tem-pio, mentre Gesù è presentato al tempiodopo pochi giorni e riceve una accoglien-za speciale da Simeone e Anna, una pro-fezia e una benedizione con l’inno di Si-meone, e vi torna tutti gli anni, finché adodici anni vi inizia il suo ministero dimaestro per Israele.

Giovanni infatti è figlio di un sacerdoteche officia nel tempio, Gesù è figlio del Pa-dre a cui il tempio appartiene. Sia Giovanniche Gesù con la loro nascita provocano uninno di lode a Dio. Però in questo caso l’or-dine è invertito. Prima abbiamo l’inno diMaria, il nostro Magnificat, poi abbiamol’inno di Zaccaria, il Benedictus.

che sarà chiamato “profeta dell’altissi-mo”. Mentre Maria canta prima che ilbambino Gesù nasca, ancora prima chenasca Giovanni.

Luca presenta Maria come “colei cheha creduto nell’adempimento delle paro-le del Signore” fin da quando non si ve-deva nulla, prima ancora che il bambinodi Elisabetta le sussultasse in grembo.

Il canto del Magnificat nel contesto diLuca 1-2 è quindi un canto di lode chesgorga dall’intimo di Maria, la Beata cheha creduto senza aver veduto, e che orainiziando a vedere un primo segno delcompimento delle parole dell’angelo nelfatto che Elisabetta è veramente incinta,“esulta in Dio”.

mento pieno di ogni aspettativa e non lasemplice quiete della morte.

Questi cantici sarebbero quindi testi-monianza della preghiera cristiana degliinizi, quando le comunità erano compo-ste per lo più da Giudeo-cristiani. La scel-ta liturgica sarebbe quindi particolarmen-te illuminata, perché ricollega la nostrapreghiera quotidiana alle origini più anti-che della preghiera cristiana.

Il contesto che contiene questi canticiè particolarmente significativo.

Lc 1-2 è costruito facendo un costanteparallelo tra Giovanni Battista e Gesù incui Gesù è sempre superiore a Giovanni

Abbiamo infatti:

In questo modo i nostri inni sonoposti nelle articolazioni basilari dei van-geli dell’infanzia e mettono in partico-lare rilievo la nascita del Battista, laconcezione e la nascita di Gesù e il rap-porto del tutto unico tra Gesù e il tem-pio, il luogo per eccellenza della spe-ranza di Israele.

Il MagnificatPossiamo solo dare qualche spunto

di lettura di un testo così bello e signifi-cativo.

Luca nota che Zaccaria profetizzapieno di Spirito Santo, ma solo dopoche Giovanni è nato. La sua fede cantasolo dopo che ha veduto il bambino,

Annunciazione del Battista (1,5-25)Nascita e circoncisione di Giovanni (1,57-66)Giovinezza del Battista (1,80)

annunciazione di Gesù (1,26-38)nascita e circoncisione di Gesù (2,1-21)giovinezza di Gesù (2,40)

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Il Magnificat è il canto di esultanza dichi sa camminare con fede nel buio, sen-za nulla chiedere e per questo accogliecon gioia indicibile i piccoli segni di luceche Dio gratuitamente gli dona.

Solo se ci fermiamo un attimo a con-templare questo, possiamo intuire lastima immensa che la comunità lucanaaveva di Maria. Davvero questo cantosgorga dal profondo della fede di Mariae ci parla del mistero di questa fedemeravigliosa2.

Difficilmente questo testo è stato pro-nunciato da Maria in quel momento.Non c’erano registratori durante quell’in-contro e una tale poesia normalmente ri-chiede un lungo tempo di meditazione eaffinamento per essere portata a compi-mento. E’ possibile che già Maria, quan-do le veniva logicamente chiesto dai pri-mi cristiani che cosa avesse provato nelrendersi conto che le parole dell’angelo sistavano compiendo, abbia cercato nelleparole più belle della Bibbia quelle chemeglio esprimevano i suoi sentimenti dilode e di gratitudine nei confronti del Si-gnore. A partire da questi ricordi la co-munità credente e infine Luca hanno ela-borato questo canto, certo nel timore etremore di cercare di esprimere il misterodella fede di Maria.

Se ascoltiamo questo canto sullo sfon-do dell’AT vediamo come un grande fuo-co d’artificio che si spande in ogni dire-zione. Bastano pochi spunti iniziali percomprendere. “Allora Maria disse”.

Siamo all’inizio del più grande attodi salvezza compiuto da Dio salvatore,ma la fede di Maria lo vive come già at-

tuato e per questo canta la sua lode. InEs 15 dopo la salvezza del Mar Rossotutto Israele canta con Mosè la sua lodea Dio ed è proprio Maria, sorella di Mo-sè, che guida questo canto di lode. Lanuova Maria apre il canto per una nuo-va e più profonda liberazione sembradirci il vangelo.

Il cantico presenta i motivi della lodeche Maria fa a Dio con nove verbi greci,tutti al tempo aoristo, indicando così deifatti, delle azioni concrete che Dio hacompiuto e che motivano la lode.

I primi due verbi presentano l’espe-rienza di Maria che loda Dio perché hafatto in lei qualcosa di straordinario. Ma-ria prega cosciente insieme della sua pic-colezza (la serva) e della sua grandezza(cose grandi fatte in lei), della grandezzadi Dio (il Potente) che sa però farsi picco-lo, (ha guardato all’umiltà).

C’è tutto il mistero della storia dellasalvezza, in cui Dio scende fino a farsiuomo, fino a farsi l’ultimo degli uominiper rendere così gli uomini grandi, suoifratelli, figli di Dio.

Dopo i primi due verbi che parlanodell’esperienza personale di Maria, ci so-no ben sei verbi che parlano di ciò cheDio ha fatto per “coloro che lo temono”e infine il nono verbo che parla di ciò cheDio ha fatto “per Israele suo servo” ri-cordandosi delle sue promesse.

Nel libro degli Atti degli Apostoli alcap 13,16.26 Paolo parlando nella sina-goga di Antiochia distingue tra i suoiascoltatori gli “uomini di Israele” e i “ti-morati di Dio”. I primi sono gli ebrei dinascita, mentre i secondi sono i non

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ebrei, i pagani che si erano convertiti algiudaismo. Nel Magnificat avremmo Ma-ria e questi due gruppi. Una confermache questo antico canto proviene da unacomunità giudeo-cristiana in cui ci sonogiudei, sia di nascita che per conversione,che poi sono diventati cristiani.

In maniera significativa però, con seiverbi contro uno, Maria mette in parti-colare luce ciò che Dio ha fatto constraordinaria misericordia soprattuttoper questi “timorati”, ex-pagani, cheerano considerati quasi credenti di serieB. Maria sembra mettersi quasi più vici-na a loro che al suo stesso popolo, di

cui però fa chiaramente parte, Lei è lapiccola che sta con i piccoli, la servache sta con gli ultimi.

Il BenedictusQuesto cantico si lascia suddividere

agevolmente in due parti. La prima(versi 68-75) è un inno di ringraziamen-to per la realizzazione delle speranzemessianiche della nazione ebraica; ma atale realizzazione è dato un tono speci-ficamente cristiano.

Come anticamente alla famiglia di Da-vid era affidato il potere per difendere lanazione contro i nemici, ora di nuovo

quello che era stato tolto al po-polo per un tempo così lungoviene restituito, ma in un sensopiù alto e spirituale.

Il popolo sarà liberato secon-do la logica più alta e profondaespressa nella liberazione dell’E-sodo. Infatti già quella liberazio-ne si era caratterizzata non sem-plicemente come una liberazionepolitica, ma come un passare dal-la servitù al servizio di Dio3. Unservizio che è evocato chiara-mente nel v. 74-75 «liberati dallemani dei nemici, possiamo servir-lo senza timore, in santità e giu-stizia al suo cospetto, per tutti inostri giorni».

Nella seconda parte del canti-co Zaccaria si indirizza al propriofiglio, chiamato a un ruolo cosìrilevante nella storia della salvez-za, e come nel Magnificat c’è uncontrasto meravigliato tra il fatto

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che si veda soltanto un bambino e la pro-messa che diverrà “profeta dell’Altissi-mo”, chiamato a preparare le strade allavenuta del Signore.

La scelta liturgica di farne un cantodel mattino è determinata probabil-mente dalla immagine di Cristo come“sole che sorge”, e risalirebbe a un usodi preghiera nato fin dalle origini del-l’ordine benedettino.

Il Nunc dimittisLa salvezza come luce, profetizzata da

Zaccaria nel suo cantico trova il compi-mento nel Nunc dimittis. “Il bambino cheSimeone tiene tra le braccia è la salvezzaarrivata, salvezza che Zaccaria celebravanel suo canto con tutto ciò che questotermine include per Luca: liberazione, re-missione dei peccati, pace”4.

Al centro di questo canto c’è peròsopratutto il gesto sacerdotale di pren-dere tra le braccia il bambino per pre-

sentarlo a Dio come una offerta, unavittima sacrificale per la salvezza dell’u-manità. Nella luce della speranza espres-sa da questo inno si intravede anchel’ombra della croce ed è ben comprensi-bile che il cantico continui in una secon-da parte, non usata dalla liturgia serale,in cui la profezia della spada che trapas-serà l’anima, preannuncia a Maria laprova del Calvario.

I canti della preghiera quotidiana.Grandezza e piccolezza, salvezza e

croce, speranza e cammino nelle tene-bre. Tutti e tre questi canti sono incentra-ti sulla potenza di Dio e sulla fatica delcredere. Sono perciò preghiere perfetta-mente consone alla fatica del quotidiano,in cui la nostra fede viene rinvigorita dal-la luce delle piccole e grandi azioni diDio, ma anche continuamente provataperché “camminiamo nella fede e nonancora in visione” (2Cor 5,7).

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——————1 Vedi E. BIANCHI, Magnificat Benedictus Nunc dimit-

tis, Bose, Qiqajon, 1988. O. BATTAGLIA, La madre

del mio Signore. Maria nei Vangeli di Luca e Gio-

vanni, Assisi, Cittadella, 1994. E il recentissimo A.

VALENTINI, Maria secondo le scritture. Figlia di Sion

e Madre del Signore, Bologna, EDB, 2007.

2 “È un canto sgorgato dal profondo della fede di

Maria”, Redemptoris Mater, 35.3 Cfr. Es 3,12. E G. AUZOU, Dalla servitù al servizio:

il libro dell’Esodo, 3. ed., Bologna, EDB, 1997.4 G. ROSSÉ, Il Vangelo di Luca : commento esegetico

e teologico, 4. ed., Roma, Città nuova, 2006, 99.

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a prima parte della EsortazioneApostolica Sacramentum carita-tis si conclude accennando al

rapporto esistente tra l’Eucaristia e l’Esca-tologia e tra l’Eucaristia e la Vergine Ma-ria. In modo speciale nella liturgia eucari-stica “ci è dato di pregustare il compi-mento escatologico verso cui ogni uomoe tutta la creazione sono in cammino… Ilbanchetto eucaristico, rivelando la sua di-mensione fortemente escatologica, vienein aiuto alla nostra libertà in cammino…Il banchetto eucaristico è per noi realeanticipazione del banchetto finale,preannunziato dai Profeti e descritto nelNuovo Testamento come ‘le nozze dell’A-gnello’, da celebrarsi nella gioia della co-munione dei santi”. L’ultimo paragrafo èdedicato alla preghiera per i defunti: lacelebrazione eucaristica “è pegno dellagloria futura in cui anche i nostri corpisaranno glorificati”; quindi “celebrando ilMemoriale della nostra salvezza si raffor-za in noi la speranza della risurrezionedella carne e della possibilità di incontra-re di nuovo, faccia a faccia, coloro che cihanno preceduto nel segno della fede”.A questo proposito Benedetto XVI ricor-da a tutti i fedeli l’importanza della pre-ghiera di suffragio per i defunti, “in par-ticolare della celebrazione di sante Messeper loro, affinché, purificati, possanogiungere alla visione beatifica di Dio”.

Infine la prima parte dell’Esortazioneinvita a volgere lo sguardo, durante ilcammino terreno, verso il pieno compi-mento della nostra speranza, verso MariaSantissima: “la sua Assunzione al cielo incorpo ed anima è per noi segno di sicurasperanza, in quanto indica a noi, pellegri-ni nel tempo, quella meta escatologicache il sacramento dell’Eucaristia ci fa find’ora pregustare”. Dall’Annunciazionealla Pentecoste, Maria di Nazareth “è to-talmente disponibile alla volontà di Dio…Maria è la grande Credente che, piena difiducia, si mette nelle mani di Dio, ab-bandonandosi alla sua volontà”. Ognivolta che nella Liturgia eucaristica ci ac-costiamo al Corpo e al Sangue di Cristo,ci rivolgiamo anche a Lei che, aderendovipienamente, ha accolto per tutta la Chie-sa il sacrificio di Cristo. “Maria di Naza-reth, icona della Chiesa nascente, è ilmodello di come ciascuno di noi è chia-mato ad accogliere il dono che Gesù fadi se stesso nell’Eucaristia”.

La seconda parte dell’EsortazioneApostolica ha per titolo “Eucaristia, mi-stero da celebrare” e si apre con l’affer-mazione che “è necessario vivere l’Euca-ristia come mistero della fede autentica-mente celebrato… D’altra parte, l’azioneliturgica non può mai essere consideratagenericamente, a prescindere dal misterodella fede. La sorgente della nostra fede

Testi e Documenti

Sacramentum Caritatis – 5Stefano Lodigiani

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e della liturgia eucaristica, infatti, è il me-desimo evento: il dono che Cristo ha fat-to di se stesso nel Mistero pasquale”.

La liturgia ha poi un intrinseco legamecon la bellezza, in quanto “nella liturgiarifulge il Mistero pasquale mediante ilquale Cristo stesso ci attrae a sé e ci chia-ma alla comunione”. La bellezza di cui siparla non è un canone puramente esteti-co: “la vera bellezza è l’amore di Dio chesi è definitivamente a noi rivelato nel Mi-stero pasquale”. La bellezza della liturgiaè parte di questo mistero: “essa è espres-sione altissima della gloria di Dio e costi-tuisce, in un certo senso, un affacciarsidel Cielo sulla terra”. La bellezza, pertan-to, “non è un fattore decorativo dell’a-zione liturgica; ne è piuttosto elementocostitutivo, in quanto è attributo di Diostesso e della sua rivelazione. Tutto ciòdeve renderci consapevoli di quale atten-zione si debba avere perché l’azione litur-gica risplenda secondo la sua natura pro-pria”.

Dopo aver sottolineato che “la bellez-za intrinseca della liturgia ha come sog-getto proprio il Cristo risorto e glorificatonello Spirito Santo, che include la Chiesanel suo agire”, l’Esortazione apostolica sisofferma sul nesso tra Eucaristia e Cristorisorto: “poiché la liturgia eucaristica èessenzialmente actio Dei che ci coinvolgein Gesù per mezzo dello Spirito, il suofondamento non è a disposizione del no-stro arbitrio e non può subire il ricattodelle mode del momento… La Chiesa ce-lebra il Sacrificio eucaristico in obbedien-za al comando di Cristo, a partire dall’e-sperienza del Risorto e dall’effusione del-

lo Spirito Santo. Per questo motivo, la co-munità cristiana, fin dagli inizi, si riunisceper la fractio panis nel Giorno del Signo-re. Il giorno in cui Cristo è risorto daimorti, la Domenica, è anche il primogiorno della settimana, quello in cui latradizione veterotestamentaria vedeva l’i-nizio della creazione. Il giorno della crea-zione è ora diventato il giorno della‘creazione nuova’, il giorno della nostraliberazione nel quale facciamo memoriadi Cristo morto e risorto”.

Alla cosiddetta Ars celebrandi sonodedicati i numeri dal 38 al 42. Innanzitut-to si richiama la necessità emersa nei la-vori sinodali “di superare ogni possibileseparazione tra l’ars celebrandi, cioè l’ar-te di celebrare rettamente, e la partecipa-zione piena, attiva e fruttuosa di tutti ifedeli. In effetti, il primo modo con cui sifavorisce la partecipazione del Popolo diDio al Rito sacro è la celebrazione ade-guata del Rito stesso”. Tutti coloro chehanno ricevuto il sacramento dell’Ordine- Vescovi, sacerdoti e diaconi - devonoconsiderare la celebrazione come loroprincipale dovere, e tra essi il Vescovo “èil liturgo per eccellenza della propriaChiesa”, a lui spetta salvaguardare laconcorde unità delle celebrazioni nellasua Diocesi. In particolare il Papa esorta“a fare quanto è necessario perché le ce-lebrazioni liturgiche svolte dal Vescovonella Chiesa cattedrale avvengano nelpieno rispetto dell’ars celebrandi, in mo-do che possano essere considerate comemodello da tutte le chiese sparse sul ter-ritorio”.

Di particolare importanza a questo

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Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2008 Testi e Documenti

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Formazione LiturgicaCulmine e Fonte 2-2008

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proposito la conoscenza dei libri liturgicie delle relative norme, in particolare “legrandi ricchezze dell’Ordinamento Gene-rale del Messale Romano e dell’Ordina-mento delle Letture della Messa”, la cuiconoscenza viene spesso data per scon-tata. “Altrettanto importante per unagiusta ars celebrandi è l’attenzione versotutte le forme di linguaggio previste dallaliturgia: parola e canto, gesti e silenzi,movimento del corpo, colori liturgici deiparamenti. La liturgia, in effetti, possiedeper sua natura una varietà di registri dicomunicazione che le consentono di mi-rare al coinvolgimento di tutto l’essereumano. La semplicità dei gesti e la so-brietà dei segni posti nell’ordine e neitempi previsti comunicano e coinvolgonodi più che l’artificiosità di aggiunte inop-portune”.

Altri due aspetti vengono presi in con-siderazione nel loro intrinseco rapportocon una corretta ars celebrandi: l’arte e ilcanto. Una componente importante del-l’arte sacra è certamente l’architetturadelle chiese: “Lo scopo dell’architetturasacra è di offrire alla Chiesa che celebra imisteri della fede, in particolare l’Eucari-stia, lo spazio più adatto all’adeguatosvolgimento della sua azione liturgica. In-

fatti, la natura del tempio cristiano è de-finita dall’azione liturgica stessa, che im-plica il radunarsi dei fedeli (ecclesia), iquali sono le pietre vive del tempio. Lostesso principio vale per tutta l’arte sacrain genere, specialmente la pittura e lascultura, nelle quali l’iconografia religiosadeve essere orientata alla mistagogia sa-cramentale”. Si ritiene indispensabile,nella formazione dei seminaristi e dei sa-cerdoti, lo studio della storia dell’arte conspeciale riferimento agli edifici di culto al-la luce delle norme liturgiche.

Infine il canto liturgico: “la Chiesa,nella sua bimillenaria storia, ha creato, econtinua a creare, musica e canti che co-stituiscono un patrimonio di fede e diamore che non deve andare perduto.Davvero, in liturgia non possiamo direche un canto vale l’altro”. Viene quindiraccomandato di evitare “la generica im-provvisazione o l’introduzione di generimusicali non rispettosi del senso della li-turgia”, in quanto il canto “deve inte-grarsi nella forma propria della celebra-zione”. Infine il Santo Padre, facendo ecoai Padri sinodali, chiede che venga ade-guatamente valorizzato il canto gregoria-no, in quanto canto proprio della liturgiaromana. (continua)

Testi e Documenti

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Prima lettura: At 2,14a.22-33Salmo responsoriale: dal Sal 15Seconda lettura: 1Pt 1,17-21Vangelo: Lc 24,13-35

San Pietro nel suo discorso di Penteco-ste, proposto oggi come prima lettura, sanPaolo nel discorso pronunciato ad Antio-chia di Pisidia (At 13,14-43) e la tradizio-ne dei Padri della Chiesa hanno interpreta-to le parole del Sal 15 come preghiera diCristo, annuncio della sua risurrezione edella piena glorificazione alla destra delPadre. Alla luce delle letture bibliche pro-clamate in questa domenica, in particolaredi quella evangelica, possiamo mettere inrilievo la supplica del ritornello: “Mostraci,Signore, il sentiero della vita”, che fa ecoalle parole del salmo: “Mi indicherai ilsentiero della vita, gioia piena alla tua pre-senza...”.

Tra le letture che abbiamo ascoltato cam-peggia la stupenda pagina del vangelo di sanLuca. Gesù si fa compagno di viaggio di duedei suoi discepoli che, sconfortati, fanno ri-torno alla cittadina di Emmaus. Essi nonhanno capito il mistero della croce. Avviliti edelusi, lasciano Gerusalemme e con essaogni speranza in colui che fu il loro Maestroe che hanno fin qui seguito con grande entu-siasmo. Le vicende dei giorni dolorosi dellapassione li hanno profondamente trasformati.Non capiscono e non credono più nelle paro-

le di Gesù. Ma ecco che nel cammino si faloro compagno di strada un misterioso perso-naggio senza rivelare la propria identità. E’Gesù, il quale, dopo aver ascoltato le per-plessità dei due discepoli, li guida attraversouna rilettura dei libri della Scrittura a unacomprensione degli avvenimenti dolorosi deigiorni passati. Le parole e la compagnia diGesù riempiono il cuore dei discepoli digioia e calore. Per questo essi pregano il lorocompagno di viaggio di trattenersi con loro.Seduti a tavola, nel momento dello spezzareil pane, i due discepoli riconoscono in quelpersonaggio il loro Signore. Scomparso Gesùdalla loro presenza, i discepoli di Emmausritrovano la voglia di continuare insieme congli altri compagni rimasti a Gerusalemmeuna vita di testimonianza e di annuncio delvangelo di Gesù.

La prima e la seconda lettura riprendonobrani del discorso di san Pietro, in cui l’apo-stolo annuncia il mistero di Cristo morto e ri-sorto. Passato il momento dello smarrimento,Pietro e gli altri discepoli annunciano concoraggio il vangelo di Gesù e le sue implica-zioni nella vita di coloro che accolgono que-sto messaggio di salvezza. “Questo Gesù ,Dio l’ha risuscitato e noi tutti ne siamo testi-moni”. In questo mistero noi tutti siamo statiredenti affinché, liberati “dalla nostra vuotacondotta”, cioè da una esistenza priva di si-gnificato e di valore, ritroviamo in Dio la no-stra speranza.

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2008

DDOOMMEENNIICCAA IIIIII DDII PPAASSQQUUAA ((AA))66 aapprriillee 22000088Mostraci, Signore, il sentiero della vita

La parola di Dio celebratap. Matias Augé, cmf

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La parola di Dio celebrataCulmine e Fonte 2-2008

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Nei discepoli di Emmaus possiamo rico-noscere noi stessi in continua ricerca dellacomprensione del mistero di Gesù. Come lo-ro, anche noi siamo invitati a ripercorrere uncammino di fede attraverso l’ascolto dellaParola che ci conduca a riconoscere il Risor-to presente in mezzo a noi, in modo partico-lare nella partecipazione all’eucaristia, e,una volta riconosciuto, a far partecipi i nostrifratelli di questa esperienza.

La celebrazione eucaristica ripercorre ri-tualmente l’itinerario pedagogico scelto da Gesùper farsi riconoscere dai due discepoli delusi:Egli ci raccoglie attorno all’ascolto della Parolae spezza il pane per noi, perché sappiamo rico-noscerlo e annunciarlo ai fratelli: “Quando si èfatta vera esperienza del Risorto, nutrendosi delsuo corpo e del suo sangue, non si può teneresolo per sé la gioia provata” (GIOVANNI PAOLO II,Mane nobiscum Domine, n. 24).

DDOOMMEENNIICCAA IIVV DDII PPAASSQQUUAA ((AA))1133 aapprriillee 22000088Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla

Prima lettura: At 2,14a.36-41Salmo responsoriale: Sal 22Seconda lettura: 1Pt 2,20b-25Vangelo: Gv 10,1-10

Sono due le unità simboliche che reggonola poesia del Sal 22: quella pastorale, tantocara alla tradizione biblica e orientale in ge-nere (cf. Ez 34 e Gv 10); e quella dell’ospita-lità (la mensa, l’olio profumato, il calice col-mo), segno di intimità. Il pastore non è solola guida, è anche il compagno di viaggio.Nella persona di Cristo, il Dio che fu Pastoree Ospite di Israele, si fa incontro agli uominicon un volto umano e con amore e bontà chesuperano ogni intendimento. Con questo sal-mo, che la tradizione pone particolarmentesulle labbra dei neobattezzati, anche noi ma-nifestiamo la nostra volontà di proseguirecon impegno il nostro cammino battesimalesulle orme di Cristo buon Pastore.

Nel brano del vangelo, Gesù si autodefi-nisce “buon pastore”. L’attesa di un “pasto-re” che sapesse guidare con giustizia il po-polo era sempre stata viva in Israele (cf. Sal

22; Ez 34). Appropriandosi di questa imma-gine, Gesù intende presentarsi come il Mes-sia atteso, autentica guida, in grado di salva-re l’uomo, a differenza di qualsiasi altro, “la-dro” e “brigante”. Gesù usa poi un’altra im-magine di cui pure si appropria: “io sono laporta delle pecore”. Il tema della “porta”che dà accesso alle realtà celesti era fre-quente nella tradizione giudaica (cf., a esem-pio, Gen 28,17). Gesù è quindi l’unica portaattraverso cui abbiamo accesso alla gloria:egli ci guida “ai pascoli eterni del cielo”(orazione dopo la comunione).

Gesù non fa derivare la sua autorità sul-l’uomo dal ricatto o da imposizioni di qualsiasigenere, ma, come dice san Pietro nella secon-da lettura, dall’esempio che egli dà e dalla po-sitività dei valori che propone: “Cristo patì pervoi, lasciandovi un esempio, perché seguiatele sue orme”. Il pastore cammina davanti allesue pecore (cf. Gv 10,4), si pone alla loro testae le guida dentro la realtà della storia.

Come si entra a far parte del gregge odella comunità di Gesù? Ce lo spiega la pri-

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Cristo è porta di accesso ed è pastore che laguida. Quando, dopo la risurrezione, Gesùaffida a Pietro la guida della sua comunitàgli chiede, come unica condizione: “Simonedi Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?”(Gv 21,15). Solo chi ama Gesù e agisce sottoil suo impulso può guidare correttamente lacomunità cristiana verso i pascoli della vita.Non si tratta di un amore – sentimento, madi un modo di pensare e di agire dove Gesù èil centro, la sorgente e lo scopo.

Cristo risorto esercita le sue funzioni dibuon pastore soprattutto nell’eucaristia. Quiviene in mezzo a noi, ci nutre col pascolodella sua parola e soprattutto, con il suo cor-po e il suo sangue. Qui ci dona l’abbondanzadella vita.

ma lettura, tratta dal discorso in cui san Pie-tro annuncia alla folla di Gerusalemme ilCristo morto e risorto. Alla domanda degliascoltatori a Pietro e agli apostoli: “Che cosadobbiamo fare fratelli?”, Pietro risponde in-dicando la triplice via che introduce nellaChiesa di Gesù: “Convertitevi”. Il pentimentoo la conversione è la richiesta fondamentale.“Ciascuno di voi si faccia battezzare nel no-me di Gesù Cristo”. L’essere battezzati nelnome di Gesù Cristo equivale a essere inse-riti nel mistero della sua persona e della suaopera. Dopo “riceverete il dono dello SpiritoSanto”. Dal Signore risorto che dona lo Spi-rito nasce la comunità dei risorti. All’annun-cio del vangelo, fa seguito la conversione, ilbattesimo e il dono dello Spirito. Solo così siforma parte della Chiesa. Di questa Chiesa,

DDOOMMEENNIICCAA VV DDII PPAASSQQUUAA ((AA))2200 aapprriillee 22000088Il tuo amore, Signore, sia su di noi: in te speriamo

Prima lettura: At 6,1-7Salmo responsoriale: dal Sal 32Seconda lettura: 1Pt 2,4-9Vangelo: Gv 14,1-12

Il Sal 32 invita i giusti a lodare il Sigore,poiché “retta è la parola del Signore e fedeleogni sua opera”. L’inno di lode, che per secoliha celebrato la gloria di Dio nei ristretti confinidel popolo di Israele, corre ora da un capo al-l’altro della terra, dovunque vive un uomo che“spera nella sua grazia”. In modo simile, l’an-tifona d’ingresso, riprendendo i due primi ver-setti del Sal 97, ci invita a cantare “al Signoreun canto nuovo, perché ha compiuto prodigi; atutti i popoli ha rivelato la salvezza”. La salvez-za di Dio si è manifestata pienamente e a tutti ipopoli nel mistero del Cristo morto e risorto.

La lettura evangelica propone un brano deldiscorso di addio pronunciato da Gesù nelcontesto dell’ultima Cena. Gesù parla dellasua dipartita da questo mondo e del suo ritor-no alla casa del Padre, dove va a preparare unposto anche per i suoi discepoli. San Tommasodesidera conoscere la via per arrivare al luogodove Gesù afferma che sta per andare. Gesùrisponde di essere lui stesso la via, ma non so-lo: egli aggiunge che è anche la verità e la vita.Queste parole non devono essere interpretatein modo astratto. Gesù propone la propria per-sona, il proprio messaggio come ciò che rende“vero” lo sguardo dell’uomo su di sé, che dàautenticità ai desideri più profondi delle per-sone, che dona cioè senso e vigore alla vita ela riempie di speranza e di un orizzonte aperto,duraturo, eterno e per questo degno di essere

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ricercato e perseguito. Gesù morto e risorto èla via unica che conduce al Padre, la veritàche illumina, la vita eterna che ci viene donatagià ora nel nostro cammino verso la gloria defi-nitiva. Insomma Gesù è la via per giungere al-la vera vita, ossia alla verità della vita.

La seconda lettura riprende e sviluppa lastessa dottrina della centralità di Cristo nellavita dell’uomo; lo fa adoperando un’altra im-magine, quella della “pietra”. San Pietro para-gona la comunità dei credenti a un “edificiospirituale, per un sacerdozio santo…”, fondatosu Cristo “pietra angolare” dell’edificio. Conla sua risurrezione, Cristo si è mostrato davantiagli uomini come roccia su cui fondare l’edifi-cio di una nuova comunità, quella dei credentiin Lui, che sono a loro volta chiamati “pietrevive”. Per coloro invece che rifiutano Cristoquale pietra angolare, essa diventa “sassod’inciampo e pietra di scandalo”.

Della nuova comunità fondata su Cristo,che è la Chiesa, e dei suoi primi passi nella

storia, parla la prima lettura. Si tratta di unacomunità che, pur nelle sue contraddizioni etensioni, vive in atteggiamento di “servizio”(servizio della Parola e servizio dei poveri) aesempio di colui che ha detto: “Il Figlio del-l’uomo non è venuto per essere servito, maper servire e dare la propria vita in riscattoper molti” (Mc 10,45). In questo modo, laChiesa, quale strumento di salvezza, è chia-mata a rendere presente e operante, nel tem-po e nel mondo, la grazia del Risorto, di co-lui che è il solo Salvatore, la via unica checonduce al Padre.

La funzione mediatrice di Cristo e il cari-sma sacerdotale della Chiesa trovano il loroesercizio privilegiato nella celebrazione eu-caristica. Qui avviene il misterioso scambiodi doni che ci rende possibile la comunionecon Dio, unico e sommo bene (orazione sulleofferte). Nella celebrazione eucaristica si ve-rifica quel processo che ci fa passare “dalladecadenza del peccato alla pienezza della vi-ta nuova” (orazione dopo la comunione).

DDOOMMEENNIICCAA VVII DDII PPAASSQQUUAA ((AA)) 2277 aapprriillee 22000088Acclamate Dio, voi tutti della terra

Prima lettura: At 8,5-8.14-17Salmo responsoriale: dal Sal 65Seconda lettura: 1Pt 3,15-18Vangelo: Gv 14,15-21

Da tutta la terra sale una sinfonia di lodeverso Dio che agisce nel cosmo e nella sto-ria, in particolare attraverso quel grandeevento emblematico che è stato la liberazio-ne del suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto.La tradizione della Chiesa attribuisce questocanto di ringraziamento (il Sal 65) a Cristo,

perché dopo essere stato messo alla prova epassato al crogiolo come l’argento, è statoglorificato. Anche noi siamo passati dallamorte alla vita nuova ricevuta nel battesimo,e quindi glorifichiamo Dio dicendo: “Accla-mate Dio, voi tutti della terra”.

La domenica odierna comincia a prepara-re la solennità di Pentecoste, annunciando ildono dello Spirito Santo. Gesù, tornando alPadre, non lascia soli coloro che credono inLui. Rimane tra loro in una forma nuova, tra-

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mite “un altro Paraclito”, “lo Spirito dellaverità” (vangelo). Questo Spirito è comunica-to mediante il ministero degli apostoli a co-loro che credono in Cristo (prima lettura),perché li sostenga e li animi edificandoli incomunità viva, capace di rendere ragionedella propria fede (seconda lettura).

Gesù risorto non rinnega la solidarietàcon gli uomini. La sua morte e risurrezionesegnano il passaggio da una presenza visibi-le ma esteriore a una presenza interiore, me-no palpabile dai sensi ma non per questomeno reale ed efficace. Questa presenza èrealizzata dallo Spirito Santo, dono del Pa-dre, che rimane con i discepoli di Gesù persempre. Il compito dello Spirito viene indi-cato dai due nomi che nel vangelo d’oggi ri-ceve: “Paraclito”, che in greco significa“Consolatore”, e “Spirito della verità”.

Cominciamo dal secondo titolo: “Spiritodella verità”. La verità di cui parla il vangelodi san Giovanni è la rivelazione dell’amoredel Padre per noi, che si concretizza nellostesso Gesù. E’ Lui la verità! Lo Spirito ap-pare quindi come colui che introduce nellapiena conoscenza di Cristo, che ci insegnaad amarlo e a servirlo. Chi non crede cheGesù è la rivelazione dell’amore del Padre,rimane nel suo cuore ermeticamente chiusoa ogni influsso dello Spirito Santo. Coloro in-

vece che credono in Gesù, con il dono delloSpirito, sono chiamati a una intimità ancoramaggior con Gesù: Egli non è solo “vicino” aloro, ma è veramente “in loro”. Dicevamopoi che questo Spirito è il “Paraclito”. Il ter-mine proviene dal linguaggio giuridico grecoe indica uno che viene “chiamato vicino” aun accusato perché lo aiuti e lo difenda. Daquesto significato proviene quello derivato di“Consolatore”. Solo san Giovanni usa questotermine per indicare sia lo Spirito Santo(14,16.26; 15,26; 16,7) sia Gesù stesso (1Gv2,1). Quindi il Paraclito è, al pari di Gesù,un “altro Consolatore”. Lo Spirito Santo èquindi dato a nostra difesa, a sostegno cioèdel nostro compito di testimonianza nel mon-do, affinché siamo sempre pronti a risponde-re a chiunque ci domandi ragione della spe-ranza che è in noi (cf. 1Pt 3,15).

Caratteristica propria dello Spirito Santoè quella di essere “il dono” per eccellenza.L’azione dello Spirito è essenzialmente “do-no di sé”. Rendersi perciò conto della suapresenza in noi significa prendere coscienzache la nostra esistenza è avvolta dalla pre-senza premurosa di Dio e questo fatto, seviene recepito a fondo, è capace di trasfigu-rare profondamente la vita intera. San Cirillodi Gerusalemme afferma che “ciò che lo Spi-rito Santo tocca è santificato e trasformato to-talmente” (Catechesi XXIII).

AASSCCEENNSSIIOONNEE DDEELL SSIIGGNNOORREE ((AA))44 mmaaggggiioo 22000088Ascende il Signore tra canti di gioia

Prima lettura: At 1,1-11Salmo responsoriale: dal Sal 46Seconda lettura: Ef 1,17-23Vangelo: Mt 28,16-20

Il Sal 46 è un salmo processionale. Essocelebra, con il trionfale ingresso dell’arca del-l’alleanza nel tempio, la gloria di Dio, re uni-versale e sovrano cosmico, che ascende sul

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trono, da lui stabilito in mezzo al popolo eletto,e dal quale estende il suo dominio su tutta laterra. Questo salmo acquista tutto il suo sensonella prospettiva messianica; perciò la Chiesalo canta oggi, solennità dell’Ascensione del Si-gnore: con la sua ascensione, Cristo è stabilitore dei secoli, Signore dell’universo, sacerdotee mediatore unico tra Dio e gli uomini, capodel suo corpo mistico (cf. seconda lettura). L’a-scensione di Cristo al cielo è il momento cul-minante della pasqua del Signore: il suotrionfo e la sua glorificazione personale dopol’apparente disfatta della morte in croce.

Il racconto dell’evento dell’ascensionedel Signore è affidato alla prima lettura, co-stituita dai versetti iniziali degli Atti degliApostoli. Tuttavia la preoccupazione maggio-re dei brani della Scrittura che vengonoproposti oggi alla nostra attenzione è didare indicazioni sul senso del tempoche noi stiamo vivendo tra l’ascensionedel Signore e il suo ritorno alla fine deitempi. San Paolo nella seconda letturaparla della speranza che l’ascensionedi Cristo inaugura. Cristo, entrando nelmondo di Dio, rende accessibili a tuttinoi le realtà divine. Guidati da questasperanza, siamo in grado di valutare inmodo giusto le realtà terrene. Gesù èpassato in mezzo a tutte queste realtàdel mondo tenendo fisso lo sguardo ver-so il Padre, senza deviare dalla stradadella sua missione. La solennità dell’A-scensione è certamente un invito aguardare in alto e lontano, oltre le lottee i limiti del tempo presente, ma noncerto per restare inoperosi nella con-templazione di quel mondo che è oltreil tempo e lo spazio. Il “cielo” è unanostalgia giusta, una promessa sicura,perché Cristo lo ha reso accessibile; manon per questo deve far dimenticare ilcammino che dobbiamo percorrere per-

ché diventi una concreta realtà per tutti noi.Il cielo diventa alienazione e inganno se cidistoglie dalle sue premesse nella storia, dainostri compiti attuali. Il messaggio cristianonon è evasione religiosa, disimpegno delquotidiano, fuga dalla realtà. Il messaggiocristiano è il lievito che deve trasformare larealtà quotidiana indirizzandola verso il tra-guardo di Dio. Perciò questo messaggio è de-stinato a essere annunciato a tutti gli uomini.

Infatti, Gesù congedandosi dai discepoli,li invia in missione. Il breve brano del van-gelo d’oggi è tutto incentrato su queste paro-le di Gesù: “Mi è stato dato ogni potere incielo e in terra. Andate dunque e ammae-strate tutte le nazioni (genti), battezzandolenel nome del Padre e del Figlio e dello Spiri-

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to Santo, insegnando loro a osservare tuttociò che vi ho comandato. Ecco, io sono convoi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.Se il fatto della missione rende la Chiesaapostolica, cioè inviata nel mondo, i destina-tari la rendono cattolica, cioè universale.Una caratteristica quest’ultima che si rendevisibile quando la comunità cristiana nonappare chiusa in se stessa, ma aperta a tutti,veramente incarnata in ogni situazione e tra-vaglio umano, totalmente presente al mondoper il suo servizio. Solo allora il termine cat-

tolica acquista il suo pieno senso. La missio-ne della Chiesa ha il compito di incontrarel’uomo e di condurlo al di là di se stesso, aCristo. Il ritorno di Cristo al Padre inauguraquindi il cammino della Chiesa e della suamissione nel mondo per condurre tutti gliuomini con Cristo al Padre.

Nell’eucaristia la Chiesa pellegrina sullaterra riaccende continuamente la speranzadella patria eterna (cf. orazione dopo la co-munione).

Prima lettura: Gen 11,1-9Salmo responsoriale: dal Sal 32Seconda lettura: Rm 8,22-27Vangelo: Gv 7,37-39

Il Sal 32 è un inno di lode alla provvi-denza del Signore. Il salmista esalta la solle-citudine del Creatore per il cosmo, la sapien-za regale del Signore che orienta il destinodelle nazioni, la tenerezza premurosa del Pa-dre che interviene con azione continua nellavita degli individui. Dai 22 versetti del sal-mo, l’odierna liturgia nel salmo responsorialene riprende solo sei (vv. 10-15), nei quali siafferma che il Signore conosce tutti i popolidella terra, scruta le profondità dei cuoriumani ch’egli stesso ha plasmato e tieneconto dell’operato d’ognuno. Cristo risorto,reso Signore, con il dono dello Spirito esten-de a tutta la terra il suo dominio di amore.

In questa messa vespertina nella vigiliadella Pentecoste, la liturgia propone diversibrani a scelta come prima lettura e relativo

salmo responsoriale. Abbiamo scelto il branoche crediamo più significativo, l’episodio del-la torre di Babele. San Luca in At 2, dopoaver presentati i protagonisti del nuovo popo-lo, abilitati dallo Spirito a rendere una testi-monianza autorevole e coraggiosa, presenta idestinatari: i rappresentanti del mondo giu-daico, sparsi tra tutti i popoli. “Ogni nazioneche è sotto il cielo”, dice Luca, è convocata aGerusalemme per essere testimone della nuo-va epoca storica che si apre con l’effusionedello Spirito. Nella lista dei popoli che Lucafa seguire all’affermazione generale, appareevidente l’orizzonte universale ed ecumenicodel nuovo popolo mobilitato dalla forza unifi-cante dello Spirito. In questo elenco di popoliriuniti per ascoltare la voce dello Spirito nellapropria lingua nativa la tradizione ha visto unriferimento alla dispersione dei popoli e allaconfusione delle lingue dopo Babele. L’uma-nità dispersa e divisa dopo il tentativo di co-struire un imperialismo religioso-politico vie-ne riunita dalla forza dello Spirito che unificai diversi gruppi umani rispettando e promuo-

DDOOMMEENNIICCAA DDII PPEENNTTEECCOOSSTTEE ((AA)) 1100 mmaaggggiioo 22000088MMeessssaa vveessppeerrttiinnaa nneellllaa vviiggiilliiaaSu tutti i popoli regna il Signore

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DDOOMMEENNIICCAA DDII PPEENNTTEECCOOSSTTEE ((AA)) 1111 mmaaggggiioo 22000088MMeessssaa ddeell ggiioorrnnooManda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra

vendo le caratteristiche culturali dicui la lingua è espressione. Cosìviene interpretato dalla prima col-letta della messa quando dice: “…fa’ che i popoli dispersi si raccol-gano insieme e le diverse lingue siuniscano a proclamare la gloria deltuo nome” (cf. anche il prefazio).

Il brano evangelico ci ricordache lo Spirito Santo ci viene elargi-to da Gesù in virtù della sua mortee risurrezione. Egli è la sorgente diacqua viva, che è lo Spirito. Quindila nostra vita è vita nello Spirito diCristo. Ma nella seconda letturasan Paolo precisa che ora “possediamo (solo)le primizie dello Spirito […] poiché nella spe-ranza noi siamo stati salvati”. Il cap. 8 dellaLettera ai Romani è animato da un forte movi-mento di tensione. Ciò è dovuto al fatto chePaolo, presentando l’esistenza cristiana comeuna “vita nello Spirito”, non può sottacere lasua attuale caratteristica di fondo, che è quel-la di tensione dialettica fra un già e un nonancora, cioè di una vita già salvata e al tempostesso non ancora pienamente redenta. Inquesta prospettiva devono essere interpretati ivv. 22-27 proposti dalla seconda lettura: la

creazione “geme e soffre”; anche il cristiano,benché possieda le “primizie dello Spirito”,geme nell’attesa anelante della piena “reden-zione del suo corpo”, poiché adesso egli è solo“salvato nella speranza”; finalmente, anche loSpirito “geme” con noi, fa sua la nostra situa-zione per presentarla al Padre come oggettodella sua intercessione a nostro favore.

La partecipazione all’eucaristia accendein noi il fuoco dello Spirito Santo, effuso su-gli apostoli nel giorno della Pentecoste (cf.orazione dopo la comunione).

Prima lettura: At 2,1-11Salmo responsoriale: dal Sal 103Seconda lettura: 1Cor 12,3b-7.12-13Vangelo: Gv 20,19-23

Il salmo responsoriale riprende alcuniversetti del Sal 103, uno splendido inno a

Dio creatore. Il salmista contempla l’operadella creazione con lo sguardo del profeta,che sente palpitare dietro la figura esterioredelle cose un mistero divino. Nel salmo, lacreazione ci appare nella freschezza e purez-za luminosa di quell’istante in cui uscì dallemani del Creatore. Riprendendo le parole di

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questo salmo, la Chiesa proclama che abitia-mo in un mondo amico, nel quale possiamocontemplare la presenza amorosa del Signo-re. La Pentecoste celebra la presenza delloSpirito di Dio che rinnova mondo e uomini.Ecco perché siamo invitati a rendere grazieal Signore e a cantare: “Manda il tuo Spirito,Signore, a rinnovare la terra”.

La solennità di Pentecoste, che “porta acompimento il mistero pasquale” (prefazio),commemora il dono dello Spirito divino effu-so sugli apostoli e su tutti noi. Lo Spirito è ildono più prezioso di Cristo risorto, principiodi una nuova creazione, di una nuova realtà,è l’amore di Dio effuso nei nostri cuori perrinnovare la faccia della terra. Abbiamo sen-tito nel vangelo come Gesù appare agli apo-stoli e li saluta con queste parole: “Pace avoi! Come il Padre ha mandato me, anche iomando voi”. Dopo aver detto questo, alita sudi loro e dice: “Ricevete lo Spirito Santo...”.La prima lettura racconta in dettaglio la sce-na della discesa dello Spirito sugli apostoliriuniti nel cenacolo cinquanta giorni dopoPasqua. Ma la Pentecoste non è un eventoisolato nel tempo; è un prodigio che si pro-lunga nella storia. Infatti, san Paolo nella se-conda lettura ci ricorda che tutti noi abbia-mo ricevuto lo stesso Spirito nel quale siamostati battezzati. Lo Spirito è effuso su tutti edè all’origine dei diversi doni che sono in noinon solo per l’utilità personale ma anche“per il bene comune”.

Possiamo soffermarci su quest’idea, cheè centrale nell’insegnamento dell’apostoloPaolo. Egli illustra la sua dottrina con

un’immagine eloquente, il corpo: tutti for-miamo un solo corpo, ma in molte membra;membra diverse, ma unite a formare un uni-co organismo. Lo Spirito Santo è il garantedell’unità che tiene unita e ben compagina-ta la Chiesa come un corpo, in cui la diver-sità di funzione e ruolo delle varie membraè al servizio del bene dell’organismo intero.La prima lettura ci ricorda che san Pietronel suo primo annuncio del vangelo nelgiorno di Pentecoste era capito nella pro-pria lingua dai numerosi stranieri convenutia Gerusalemme. Lo Spirito di Pentecoste èuna forza unificatrice che si contrapponevittoriosamente alla logica di divisione del-la torre di Babele (cf. Gen 11). Lo Spirito èprincipio di unità nella varietà. Il progettodi Dio è un mondo ricco nella varietà e sal-do nella comunione. La varietà dei doni chelo Spirito Santo elargisce generosamenteper il bene comune, esige il mutuo ricono-scimento della dignità dell’altro e la colla-borazione reciproca. Ognuno di noi è parteintegrante e insostituibile nel grandiosoprogetto di Dio sulla storia. Nessuno è su-perfluo in questa storia, ma ognuno, con lasua particolare vita, con i suoi eroismi e an-che con le sue debolezze, è chiamato a met-tersi generosamente al servizio degli altriperché il Regno di Dio si compia.

Nell’orazione sulle offerte chiediamo alPadre che mandi lo Spirito “perché rivelipienamente ai nostri cuori il mistero di que-sto sacrificio”. Lo Spirito Santo ci fa percepi-re il senso profondo della redenzione e, inparticolare, la grandezza e il valore del mi-stero eucaristico.

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SSAANNTTIISSSSIIMMAA TTRRIINNIITTÀÀ ((AA)) 1188 mmaaggggiioo 22000088A te la lode e la gloria nei secoli!

Prima lettura: Es 34,4b-6.8-9Salmo responsoriale: Dn 3,52-56Seconda lettura: 2Cor 13,11-13Vangelo: Gv 3,16-18

Nel salmo responsoriale, Anania, Azariae Misaele, i tre giovani salvati miracolosa-mente dal fuoco della fornace, ci invitano aesaltare il Signore, che è degno di lode e digloria. A questo Dio grande e infinito, chenel Nuovo Testamento si è rivelato come unoe trino, che con la sua presenza riempie l’u-niverso e che soprattutto ha voluto fare delcuore umano la sua dimora, eleviamo la no-stra preghiera di lode.

Celebrare la solennità della SantissimaTrinità, più che professare un dogma, signifi-ca celebrare la storia della nostra salvezza,di cui Dio è il principale protagonista, quelDio che si è reso visibile nel suo Figlio fattocarne e che continua la sua opera in mezzo anoi attraverso l’azione dello Spirito Santo. Ilmistero della santa Trinità ci apparecosì il mistero di un’infinita presen-za che avvolge la nostra esistenza ele spalanca davanti le profonditàdella vita divina.

Le tre letture, che ci vengonoproposte nella messa, tracciano co-me un itinerario di rivelazione pro-gressiva del mistero di Dio uno e tri-no agli uomini: un Dio che si rivelacome “Dio misericordioso e pietoso,lento all’ira e ricco di grazia e di fe-deltà” (prima lettura); un Dio chesalva: “Dio ha tanto amato il mondo

da dare il suo Figlio unigenito, perchéchiunque crede in lui non muoia, ma abbiala vita eterna” (vangelo); un Dio che rimanesempre con noi: “vivete in pace e il Dio del-l’amore e della pace sarà con voi” (secondalettura). Dio ci si è rivelato nel Padre comecreatore e Signore dell’universo, principio efine di ogni cosa; nel Figlio incarnato comesalvatore e redentore; e nello Spirito Santo,effuso nei nostri cuori, come forza e presenzasantificante.

La festa odierna è riassuntiva di quantoabbiamo celebrato da Natale a Pasqua - Pen-tecoste; una festa in cui contempliamo tuttoquanto Dio uno e trino ha fatto per noi, e pertutto ciò lo lodiamo e ringraziamo. La Scrittu-ra non dice chi Dio sia, ma come Dio agisce.Non festeggiamo quindi direttamente quelloche Dio è in se stesso, perché in fondo Egli ri-mane sempre invisibile e inafferrabile alla no-stra comprensione, ma vogliamo semplice-mente far festa globale delle tracce lasciate da

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Dio nel suo passaggio dentro la nostra storia.Adorare questo Dio presente nella storia è ri-conoscere la sua proposta di amore e riconfer-mare la nostra adesione gioiosa a lui con unavita coerente e impegnata nella testimonianzadi questo amore. In un mondo secolarizzato, epiù o meno indifferente e addirittura ateo,dobbiamo aver il coraggio di testimoniare lanostra fede in un Dio che si rivela e vuol in-contrare l’uomo, per liberarlo dalle sue schia-vitù, e condurlo, tramite Cristo, alla vita eter-na, un Dio che vuol essere in mezzo a noi co-me dono di amore e di comunione. Solo Dio èla vera e perfetta unità, la vera e perfetta co-munione: rendendoci trasparenti a lui, rendia-mo la nostra comunione con le persone divinequasi il fondamento e il criterio della riunifi-

cazione interiore e della fraternità umana. Co-sì la Trinità diventa il cuore dell’esperienzacristiana.

E’ famosa l’affermazione di Kant: “la dot-trina sulla Santa Trinità non porta nessunautilità nella vita quotidiana”, parole cheesprimono forse l’opinione di molti cristiani.Il mistero trinitario offre l’immagine di unDio ricco di rapporti in sé e come tale rivela-tosi operante nella storia. Il fatto quindi cheDio sia ricco di relazioni, uno nella distinzio-ne delle persone in pienezza di vita, ha delleconseguenze inimmaginabili per la compren-sione dell’uomo, del mondo e della società.Tutto ciò si esprime nella dimensione dellacomunione e del dialogo.

SSAANNTTIISSSSIIMMOO CCOORRPPOO EE SSAANNGGUUEE DDII CCRRIISSTTOO ((AA))2255 mmaaggggiioo 22000088Loda il Signore, Gerusalemme

Prima lettura: Dt 8,2-3.14b-16aSalmo responsoriale: dal Sal 147Seconda lettura: 1Cor 10,16-17Vangelo: Gv 6,51-58

Il Sal 147 è un invito, rivolto a Gerusa-lemme, a lodare e ringraziare il Signore.Egli, infatti, l’ha fortificata con nuove muradi cinta, ha benedetto i suoi figli, l’ha sta-bilita nella pace e l’ha saziata con fior difrumento. Applicando questo salmo allaChiesa, ringraziamo il Signore perché, conl’eucaristia, Egli “ci nutre con fiore di fru-mento” e “dà la pace alla sua Chiesa” (Pri-mi Vespri, 2a ant.).

Della molteplice ricchezza che racchiu-de il mistero eucaristico le letture biblicheodierne, come del resto fa l’intero Nuovo

Testamento, mettono in evidenza in modoparticolare la dimensione di dono e di nu-trimento. I segni del pane e del vino espri-mono prima di tutto e soprattutto il ban-chetto. La prima lettura fa riferimento aidoni elargiti da Dio al suo popolo nel de-serto, dove Israele ha sperimentato la prov-videnza paterna del Signore. Fra questi do-ni spicca la manna, quel nutrimento miste-rioso considerato poi da Gesù nel brano delvangelo d’oggi come prefigurazione o anti-cipazione del pane che Egli stesso dona achi crede in Lui e che, contrariamente alcibo del deserto, è nutrimento per la vitaeterna. Questo pane è Gesù stesso. Nellaseconda lettura, san Paolo afferma chequesto cibo ha la forza di costruire la co-munione fra tutti quelli che lo mangiano:“Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo

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molti, siamo un corpo solo: tutti infatti par-tecipiamo dell’unico pane”. L’eucaristia èvero nutrimento spirituale per i singoli eper l’intera comunità.

Nel deserto Dio ha nutrito il suo popolocon la manna; ma i doni del Signore sonosempre solo il segno di quel dono che èEgli stesso. L’eucaristia proclama quindiquesta verità: Dio ci nutre con un pane cheviene dal cielo; ma questo pane non è soloun nutrimento materiale o spirituale; è Diostesso che si dona a noi nel suo Figlio: “ilpane che io darò è la mia carne per la vitadel mondo”. Con queste parole, Gesù inter-preta la sua vita come un dono capace diprocurare la salvezza agli uomini. Ciò siavvera nel momento in cui Gesù offre lasua vita sulla croce. L’offerta di sé che Ge-sù ha consumato sul calvario, si perpetuanell’eucaristia sotto forma di pane e di vi-no, di nutrimento messo a nostra disposi-zione. Le parole di Gesù nell’ultima cena

sono chiare al ri-guardo: “Questo è ilmio corpo offerto insacrificio per voi”.Il primo dei dueprefazi dell’eucari-st ia proposti dalMessale sviluppa inmodo particolarequesta dimensionesacrificale dell’eu-caristia, istituita daCristo come “ritodel sacrificio pe-renne”.

Per tutto il tem-po del pellegrinag-gio verso la terrapromessa il popolo

eletto è stato sostenuto con la manna data daDio. Così Israele ha imparato nel deserto chel’uomo non ha bisogno solo di pane per nu-trire il suo corpo ma anche del dono di Dioper compiere il suo cammino e dare sensoalla sua esistenza. Noi sappiamo che questodono di Dio è Dio stesso che si è donato pernoi in Gesù Cristo. Il dono di Cristo è pre-sente per noi nell’eucaristia. Nella parteci-pazione all’eucaristia riaffermiamo la nostraappartenenza a Cristo ed entriamo in comu-nione con la sua esistenza offerta al Padreper noi. In questo modo, diventiamo membradel corpo di Cristo e costituiamo una sola co-sa con tutti i nostri fratelli. L’orazione sulleofferte ribadisce questa dottrina quando af-ferma che “i doni dell’unità e della pace” so-no “misticamente significati nelle offerte chepresentiamo” al Signore. Nella messa di og-gi, come si vede, la liturgia della parola e laliturgia eucaristica si presentano in unaunità strettissima.

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Canto : Cantiamo Te (o altro canto)

Cantiamo Te, Signore della vita,il nome tuo è grande sulla terra:tutto parla di Te e canta la tua gloria.Grande Tu sei e compi meraviglie: Tu sei Dio.

Cantiamo Te, Signore Gesù Cristo,Figlio di Dio, venuto sulla terra,fatto uomo per noi nel grembo di Maria.Dolce Gesù risorto dalla morte sei per noi.

Cantiamo Te amore senza fine,Tu che sei Dio, lo Spirito del Padre,vivi dentro di noi e guida i nostri passi:accendi in noi il fuoco dell’eterna carità.

Dalla prima lettera ai Corinzi di S. Paolo Apostolo (10, 24.31)

Nessuno cerchi l’utile proprio ma quello altrui. Sia dunque che mangiate, sia che beviate, siache facciate qualsiasi altra cosa fate tutto per la gloria di Dio”.

Dal Salmo 102:

“Benedici il Signore, anima mia,quanto è in me benedica il suo santo nome.Benedici il Signore anima mia, *non dimenticare tanti suoi benefici.

Egli perdona tutte le tue colpe, * guarisce tutte le tue malattie;salva dalla fossa la tua vita;*ti corona di grazia e di misericordia.

Come il cielo è alto sulla terra,* così è grande la sua misericordia su quanti lo temono;come dista l’oriente dall’occidente,*così allontana da noi le nostre colpe.

Come un padre ha pietà dei suoi figli,*così il Signore ha pietà di quanti lo temono.Perché Egli sa di che siamo plasmati,*ricorda che noi siamo polvere”.

Preghiamo: Concedi, Signore, che il corso degli eventi nel mondo si svolga secondo la tua vo-lontà, nella giustizia e nella pace, che la tua chiesa si dedichi con serena fiducia al tuo servizioe alla tua lode. Tu sei Dio e vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

Canto: Tu sole vivo (o altro canto)

Tu sole vivo per me sei Signore,vita e calore diffondi nel cuor.Tu sul cammino risplendi mio Sole,luce ai miei passi ti voglio, Signor. Rit.

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Animazione Liturgica

Adorazione Eucaristica

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Preg

hiam

o

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Animazione Liturgica

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Preg

hiam

o

La tua parola mi sveglia al mattinoe mi richiami alla sera con Te. Rit.

Sulla mia casa t’innalza, mio Sole,splenda d’amore, di luce, per Te. Rit.

Dalla lettera ai Colossesi di S. Paolo Apostolo (3,17):

“Tutto quello che fate in parole e in opere, tutto si faccianel nome del Signore Gesù,rendendo per mezzo di Lui grazie a Dio Padre”.

Inno Apocalisse (4, 11; 5, 9-12)

Antifona: hai fatto di noi, Signore, un popolo regale, sacerdoti per il nostro Dio.

Tu sei degno o Signore, Dio nostro, di ricevere la gloria,*l’onore e la potenza, - perché Tu hai creato tutte le cose, + per la tua volontà furono create, *per il tuo volere sussistono.

Tu sei degno, o Signore, di prendere il libro *E di aprirne i sigilli,perché sei stato immolato, +e hai riscattato per Dio con il tuo sangue *uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazionee li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti *e regneranno sopra la terra.

L’Agnello che fu immolato è degno di potenza, +ricchezza, sapienza e forza, *onore, gloria e benedizione. Gloria.

Antifona: hai fatto di noi, Signor, un popolo regale, sacerdoti per il nostro Dio.

Nota: il volume dei sette sigilli è scritto esteriormente e interiormente: sulla parte esternasono narrati tutti gli avvenimenti tristi e felici della storia così detta “civile”, essi sono rac-contati dagli scrittori di storia e di mano in mano sono constatati e vissuti dalla gente chevive nei secoli. Giovanni però dice che la storia ha interiormente un senso religioso e l’uni-co che può interpretarla è l’Agnello, cioè Gesù che nella sua Pasqua redime e dà senso atutta la storia.

Preghiamo: o Padre: Dio, grande e misericordioso, effondi su di noi il tuo santo Spirito che il-lumini la nostra mente e sostenga la nostra debolezza, perché possiamo comprendere che ilSignore Gesù nella sua Pasqua è l’interprete unico che ci rivela il senso della storia. Per il me-desimo Cristo nostro Signore. Amen.

Canto: Luce divina (o altro canto)

Luce divina, splende di Teil segreto del mattino.Luce di Cristo sei per noitersa voce di sapienza.Tu per nome tutti chiamialla gioia dell’incontro.

Luce perenne, vive di Techi cammina nella fede.

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Animazione Liturgica

Preg

hiam

o

Dio d’amore sei per noinel mistero che riveli.Tu pronunci la parola che rimane sempre vera.

Dalla lettera ai Colossesi di S. Paolo Apostolo (3,23-24):

“Qualunque cosa facciate,fatela di cuore come per il Signore,sapendo che quale ricompensariceverete dal Signore l’eredità.Servite il Signore”.

Salmo 111 Ant.: Sia benedetto il nome del Signore, ora e sempre.

Lodate, servi del Signore, *Lodate il nome del Signore.Sia benedetto il nome del Signore, * ora e sempre.

Dal sorgere del sole al suo tramonto *sia lodato il nome del Signore.Su tutti i popoli eccelso è il Signore,*più alta dei cieli è la sua gloria.

Chi è pari al Signore nostro Dio che siede nell’alto *e si china a guardare nei cieli e sulla terra?Solleva l’indigente dalla polvere, *dall’immondizia rialza il povero,per farlo sedere tra i principi, *tra i principi del suo popolo.

Gloria.

Ant.: Sia benedetto il nome del Signore, ora e sempre.

Nota: I protagonisti del Salmo sono Dio eccelso e l’uomo polvere.E tra Dio e l’uomo un amore che salva. I “servi del Signore” accolgono un triplice incalzanteinvito a lodare il nome del Signore: lode e adorazione pura “a Dio che siede nell’alto”, ma che“si china a guardare sulla terra”, … a cercare tra la polvere il povero, e “farlo sedere tra i prin-cipi del suo popolo”.

Preghiamo: Signore Gesù, che per innalzare dall’immondizia il povero, non solo ti sei china-to a guardare dall’alto, ma sei disceso tra noi e hai steso le braccia sulla croce, accogli l’offertadelle nostre azioni e fa’ che tutta la nostra vita sia segno e testimonianza della tua redenzione.Tu che vivi e regni… Amen.

Canto: Terra tutta (o altro canto)

Rit. Terra tutta dà lode a Dio, canta il tuo Signor.

Servite Dio nell’allegrezza, con canti di gioia cantate a Lui. Rit.

Poiché il Signore è il nostro Dio, da Lui siam creati e siamo suoi. Rit.

Noi siamo il gregge che Egli pasce, il popolo suo: gloria al Signor. Rit.

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Animazione Liturgica

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Preg

hiam

o

Dal Libro del Deuteronomio (4,39-40):

“Sappi dunque oggi e conserva bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cielie quaggiù sulla terra, e non ve n’è un altro. Osserva dunque le sue leggi e i suoi co-mandi che oggi ti do, perché sii felice…”.

Dal Salmo 18 B:

La legge del Signore è perfetta, *rinfranca l’anima;la testimonianza del Signore è verace, *rende saggio il semplice.

Gli ordini del Signore, * fanno gioire il cuore;i comandi del Signore sono limpidi, *danno luce agli occhi.

Il timore del Signore è puro, * dura sempre;i giudizi del Signore sono tutti fedeli e giusti, + più preziosi dell’oro,di molto oro fino, *più dolci del miele e di un favo stillante.

Anche il tuo servo in essi è istruito, *per chi li osserva è grande il profittoLe inavvertenze chi le discerne? *Assolvimi dalle colpe che non vedo.

Anche dall’orgoglio salva il tuo servo *perché su di me non abbia potere;allora sarò irreprensibile, * sarò puro dal grande peccato.

Ti siano gradite * le parole della mia bocca,davanti a Te i pensieri del mio cuore. *Signore, mia rupe e mio Redentore.

Gloria.

Preghiamo: O Padre celeste, che hai inviato il tuo Verbo divino per rivelare all’universo losplendore della tua gloria, fa’ che la tua legge illumini i nostri cuori, rinfranchi le nostre anime,e ci doni la saggezza dei semplici. Per il medesimo Cristo nostro Signore. Amen.

Canto: Gustate e vedete quanto è buono il Signore (o altro canto)

Benedirò il Signore in ogni tempo,sulla mia bocca sempre la sua lode.Nel Signore si glorierà l’anima mia.L’umile ascolti e si rallegri. Rit.

Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome:ho cercato il Signore e mi ha risposto,da ogni timore mi ha sollevato. Rit.

Guardate a Lui, sarete luminosi,il vostro volto non arrossirà.Questo povero chiama: Dio lo ascolta,lo libera da tutte le sue angosce. Rit.

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Inno

dia

litur

gica

bbiamo già avuto modo diparlare dell’origine e del si-gnificato delle sequenze litur-

giche quando abbiamo commentatolo Stabat Mater1; rimando dunque aquelle pagine, di cui riassumo breve-mente i tratti sommari. Gli antichi al-leluia interlezionali avevano sviluppa-to, nel corso dei secoli, alcuni vocaliz-zi melismatici detti “jubilus” che risul-tavano ben compatibili con la raffina-ta sensibilità musicale della liturgia ro-mana, ma erano piuttosto ostici per ilgusto musicale e le minori capacitàesecutive delle popolazioni d’Oltralpedi più recente evangelizzazione. Siscelse così di inserire al termine del-l’alleluia alcuni testi sillabici più o me-no lunghi, che rendevano più facile lamemorizzazione dei complessi movi-menti melodici dello jubilus. Con ilpassar del tempo si aggiunsero a que-sti testi altre strofe, trasformandoli co-sì, da semplici elementi riempitivi oespedienti mnemotecnici, in vere eproprie composizioni autonome: nac-quero così le sequenze. Il Veni SancteSpiritus è stato composto da StefanoLangton nel 1228 e segna una vettasublime della produzione artistica delmedioevo cr ist iano: graz ie a l laprofondità spirituale dei contenuti, al-la qualità poetica della forma e allanobile bellezza della melodia la se-quenza è riuscita a superare indenne isecoli.

Anche stavolta dunque lasciamoda parte l’innodia strettamente detta

e, abbandonando la l iturgia delleore, ci accostiamo al lezionario, ovepossiamo trovare il testo del VeniSancte Spiritus, che viene propostocome sequenza della solennità diPentecoste: sequenza a ragion vedu-ta prescritta e non, come nel casodello Stabat Mater, facoltativa. A dif-ferenza dello Stabat di Jacopone, cheè un testo cupo, che descrive con to-ni mestamente dolenti la sofferenzadella Madre, coinvolta fino in fondonella passione del Figlio, questa se-quenza conserva invece costante-mente un tono di delicata soavità eluminosa trasparenza: l’ insistentepreghiera di invocazione per ottenerei l dono del lo Spir i to non assume mai tratti patetici o drammatici einfonde nell’orante un sentimento diprofondissima fiducia e straordinariaconsolazione.

Dal punto di vista formale il VeniSancte Spiritus è composto di “terzinecaudate”, ossia terzine accoppiate se-condo lo schema aac – bbc, cioè con ri-me che si intrecciano (l’ultimo versodella prima terzina fa rima con l’ultimoverso della seconda, e così via). Si trattadi dieci strofe in tutto, riunite due adue non solo da questa struttura for-male, ma anche dal punto di vista con-tenutistico, come presto vedremo. Sinoti inoltre che il metro prescelto (undimetro trocaico) è composto da settesillabe: e non poteva essere diversa-mente, in un testo che invoca i settedoni dello Spirito.

Veni, sancte Spiritusdon Filippo Morlacchi

A

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Inno

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litur

gica

Veni, Sancte Spíritus,et emítte cælitus

lucis tuæ rádium.

Veni, pater páuperum,veni, dator múnerum,veni, lumen córdium.

Consolátor óptime,dulcis hospes ánimæ,dulce refrigérium.

In labóre réquies,in æstu tempéries,in fletu solácium.

O lux beatíssima,reple cordis íntimatuórum fidélium.

Sine tuo númine,nihil est in hóminenihil est innóxium.

Lava quod est sórdidum,riga quod est áridum,sana quod est sáucium.

Flecte quod est rígidum,fove quod est frígidum,rege quod est dévium.

Da tuis fidélibus,in te confidéntibus,sacrum septenárium.

Da virtútis méritum,da salútis éxitum,da perénne gáudium. Amen.

Vieni, Santo Spirito,manda a noi dal cieloun raggio della tua luce.

Vieni, padre dei poveri,vieni, datore dei doni,vieni, luce dei cuori.

Consolatore perfetto,ospite dolce dell’anima,dolcissimo sollievo.

Nella fatica, riposo,nella calura, riparo,nel pianto, conforto.

O luce beatissima,invadi nell’intimoil cuore dei tuoi fedeli.

Senza la tua forza,nulla è nell’uomo,nulla senza colpa.

Lava ciò che è sordido,bagna ciò che è arido,sana ciò che sanguina.

Piega ciò che è rigido,scalda ciò che è gelido,raddrizza ciò ch’è sviato.

Dona ai tuoi fedeliche solo in te confidanoi tuoi santi doni.

Dona virtù e premio,dona morte santa,dona gioia eterna. Amen.

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Inno

dia

litur

gica

Riassumendo brevemente i contenu-ti, si nota subito che le prime due terzi-ne sono un’invocazione allo Spirito, unfiducioso appello alla sua discesa, cheesprime da un lato la debolezza del-l’uomo che chiama e, dall’altro, la forzadel Consolatore invocato. La secondacoppia di terzine descrive le principalicaratteristiche del Consolatore atteso.Le due strofe seguenti costituiscono in-vece un’effusione lirica che esprimegrande fiducia e canta le lodi dello Spi-rito. La penultima coppia di terzine nar-ra i benèfici effetti dell’azione dello Spi-rito in questa vita, e con tre imperativiesortativi li sollecita nella preghiera. Lestrofe conclusive, infine, alludono all’in-tervento escatologico dello Spirito,quando la sua azione sarà perfetta inogni anima.

Dal punto di vista teologico, il pri-mo elemento che balza all’occhio èl’invocazione diretta allo Spirito Santo:l’impostazione teologicamente corret-ta e più consueta della preghiera («alPadre, per il Figlio, nello Spirito») vie-ne momentaneamente sospesa per ri-volgersi direttamente allo Spirito, ap-pellandolo con il “Tu”. E sarebbe belloche nella pietas cristiana la prassi di in-vocare l’assistenza dello Spirito Santosi diffondesse più largamente, non so-lo in occasione della Pentecoste, ma inogni circostanza in cui l’abbondanzadei sette doni dello Spirito sia più ne-cessaria. Esistono certamente anchealtre meravigliose orazioni allo Spirito(si pensi al tradizionale Adsumus2), mapoche raggiungono la profondità el’efficacia espressiva di questa sequen-za, la quale, a dire il vero, forse anchegrazie all’eccellente traduzione italiana

ufficiale3, riuscita sia dal puntodi vista semantico che ritmico,mi sembra ancora piuttosto diffusa eutilizzata, anche nella preghiera perso-nale.

Passando ad individuare alcuni temiportanti, il primo è certamente quellodella luce, che si annuncia in aperturae poi riappare nella quinta strofa. LoSpirito dimora “nei cieli”, luogo dellatrascendenza, ed è invocato affinchéinvii caelitus, da “lassù”, un raggio.Ciò suppone la consapevolezza daparte dell’orante di essere nella tene-bra: l’opposizione luce-tenebre riem-pie di sé così tante pagine del QuartoVangelo che non è possibile indicaredei rimandi specifici (ad es. Gv 1,5;3,19; 8,12; 12,46…; ma anche 1Ts5,4-5; Col 1,13; 1Gv 1,5-6; 1Gv2,8…). L’identificazione Cristo-Luce(Gv 8,12) è più frequente di quellaSpirito-Luce; ma si consideri quantoafferma Sap 7,6 («[La sapienza] è unriflesso della luce perenne, uno spec-chio senza macchia dell’attività di Dioe un’immagine della sua bontà»), sen-za dimenticare che la principale mani-festazione dello Spirito è la fiamma difuoco (cfr At 2,3-4). L’orante non chie-de allo Spirito di essere totalmente il-luminato, ma di ricevere “un raggio”della sua luce, ossia quel tanto di luceche possa bastare ad affrontare la si-tuazione presente senza cadere in er-rore, quel tanto di luce che consentadi fare il prossimo passo senza preten-dere di vedere tutto il cammino finoall’orizzonte. Il triplice Veni della terzi-na seguente è subito preghiera acco-rata – ma non ansiosa – a Colui chepiù avanti sarà appellato Consolatore:

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lo Spirito è «padre dei poveri»perché dà vita, alimenta e so-

stiene i poveri, cioè gli anawîm, coloroche con umile fiducia si lasciano por-tare per mano da Lui perché non han-no altre sicurezze e non hanno nullada perdere. Ma è anche «datore di do-ni», perché porta con sé il corredo deisette doni che la tradizione gli attribui-sce a partire da Is 11,2-3 (“sapienza,intelletto, consiglio, fortezza, scienza,pietà, timor di Dio”, descritti come at-tr ibuti del Messia-Cristo, oss iadell’«unto», di colui che ha ricevutol’unzione dello Spirito). Infine è invo-cato come «luce dei cuori»: stavolta loSpirito è detto lumen, non lux: il ter-mine potrebbe dunque suggerire nonsolo il fatto che lo Spirito con il suoraggio celeste è Colui che illumina dal-l’esterno il cuore (cordium come geni-tivo oggettivo: interpretazione piùconsueta, e certamente corretta), maanche che il cuore illuminato dal rag-gio dello Spirito risplende a sua volta erestituisce intorno a sé lo splendoredella luce a lui donata (cordium comegenitivo soggettivo: interpretazionepiù audace, ma lecita).

La seconda coppia di terzine descri-ve le caratteristiche principali delloSpirito. In primo luogo è il Consolator,il Paràklêtos: l’avvocato difensore, maanche colui che sostiene e conforta. Làdove si sente l’azione dello Spirito,non esiste scoraggiamento né tristez-za, ma solo mite serenità. Per questolo Spirito è ospite dolce e gradito: cer-tamente ospite, perché lo spirito del-l’uomo non è divino di per sé, e dun-que la presenza divinizzante dello Spi-rito può essere dall’uomo solo accolta

e ospitata; e tuttavia dolce, perché lasua presenza non crea scompiglio nel-le strutture antropologiche, ma le por-ta dolcemente a compimento, inun’autotrascendenza soprannaturale,eppur coerente con la natura. Lo Spiri-to è ancora refrigerium, sollievo e ri-storo nelle difficoltà interiori: lo Spiritoporta con sé la Grazia, e la Grazia èinnanzi tutto scioltezza, musicalità, or-dine, libertà, equilibrio, assenza disforzo. La terzina successiva articolaquesto aspetto: gli elementi dolorosi espiacevoli dell’esperienza umana – lafatica, la calura, il pianto… ma avreb-be potuto elencarne altri – vengonodelicatamente contrastati e per questosuperati con garbo dall’azione oppo-sta dello Spirito.

Una vena di appassionato lirismo siaccende nelle due strofe seguenti. LoSpirito, del quale si chiedeva prima solo“un raggio”, viene adesso richiesto conslancio più audace: «riempi il cuore deituoi fedeli». Un “raggio” non sembrapiù sufficiente: l’orante desidera orache «le profondità dell’anima» (cordisintima = le «caverne del cuore», secon-do l’espressione cara a san Giovannidella Croce4) vengano pienamente sa-turate dalla presenza dello Spirito, sen-za lasciare alcuna parte dell’anima privadella sua azione. E questa azione èconsiderata non un intervento opziona-le, desiderabile ma supererogatorio,bensì un intervento assolutamente ne-cessario e imprescindibile: senza l’operadello Spirito «nell’uomo non c’è nullasenza colpa». Non si tratta di una con-cessione al pessimismo antropologicodi un agostinismo frainteso ed eccessi-vo, ma della consapevolezza che l’uo-

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che è rigido. Ma scalda anche icuori freddi, incapaci di caloree di affetto, bloccati da resistenze e po-co propensi ad amare con generosità,«accendendo in essi il fuoco del suoamore». E infine raddrizza le storture,consente di superare gli errori commes-si, restituisce la dirittura perduta, rialzachi è sfiduciato e umiliato, come nel ca-so di Gesù con la donna curva che«non poteva drizzarsi in alcun modo»(cfr Lc 13,11). Tutti questi interventinon vengono solo evocati come carat-teristica dello Spirito, ma invocati e ri-chiesti con un imperativo ripetuto all’i-nizio di ogni verso (lava, riga, sana,flecte, fove, rege) di straordinario im-patto emotivo. E la strofa seguenteprosegue, con l’ultima e riassuntiva ri-chiesta: «dona i tuoi sette doni a coloroche confidano in te». Il sacrum septe-narium sono i sette doni sopra ricorda-ti, laddove sette è numero simbolicoche indica la pienezza. E su ognuno diquesti doni sarebbe bello fare una me-ditazione…

L’ultima terzina ci proietta diretta-mente nell’èschaton: l’orante chiede chetutta questa abbondanza di grazia invo-cata possa ricevere adeguata corrispon-denza nella sua vita, conducendolo cosìal premio eterno. Meritum virtutis, exi-tum salutis, perenne gaudium: treespressioni luminose e folgoranti. Il“merito della virtù” è il frutto di una vitavirtuosa, laddove la virtù non è peròconsiderata come orgoglioso possessodell’uomo ma – ancora una volta – donodi grazia; l’“esito di salvezza” è il trapas-so sereno che non conduca alla morteeterna, ma alla vita piena; il “gaudio pe-renne” è il continuare a godere l’inter-

mo senza l’intervento soprannaturale(numen) rimane “carne” e nulla di più:«Quel che è nato dalla carne è carne…È lo Spirito che dà la vita, la carne nongiova a nulla» (Gv 3,6; 6,63). Anche lacolletta della XVII settimana del tempoordinario lo ricorda con accenti analo-ghi: «O Dio,… senza di te nulla esistedi valido e di santo».

Vengono poi descritte alcune azioniprimarie dello Spirito. O meglio: non sitratta tanto di una descrizione, quantopiuttosto di un’ardente invocazione af-finché lo Spirito intensifichi la sua ope-ra e trasformi con la sua forza l’orante.Innanzitutto lo Spirito è chiamato a pu-rificare, cioè a cancellare le tracce delpeccato che si sedimentano nel cuoredell’uomo, rendendolo opaco e sordi-do. Là dove lo Spirito agisce, rimanesolo il candore un tempo perduto e poibenignamente restituito, come ci testi-monia il simbolo della veste battesima-le. Lo Spirito poi irriga, ossia rivitalizza,feconda e rende fertile ciò che altri-menti sarebbe arido e morto come undeserto. Una persona animata delloSpirito è vitale e diffonde spontanea-mente gioiosa vitalità intorno a sé. LoSpirito inoltre guarisce le ferite sangui-nanti dell’anima: cauterizza il doloredelle offese, cicatrizza gli strappi delcuore, lenisce i dolori, «risana i cuori af-franti e fascia le loro ferite» (Sal 146,3),restituendo la serenità e la forza di an-dare avanti. Ancora: lo Spirito non vuo-le rigidezze, rende malleabile il cuore,ammorbidisce le durezze esagerate e irigori inflessibili, insegna a essere pa-zienti e misericordiosi con se stessi econ gli altri, invita a superare pregiudizie chiusure mentali… in breve: piega ciò

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vento del dolce Consolatore pertutta l’eternità e, soprattutto,

senza quell’incertezza circa il futuro le-gata alla fragile libertà umana, che ren-de su questa terra l’azione del Consola-tore sempre parziale e mai risolutiva.

Questa prospettiva escatologica di pie-nezza è l’unica che ci restituisca il verosenso della Pentecoste: dono dello Spiri-to come primizia in terra della risurrezio-ne di Cristo, in attesa che Egli sia «tuttoin tutti» (cfr 1Cor 15,28; Col 3,11).

——————1 Cfr Culmine e Fonte n. 1/2007, pp. 55-60.2 «Siamo qui dinanzi a te, o Spirito Santo; / sen-

tiamo il peso delle debolezze, / ma siamo tuttiriuniti nel tuo nome; / vieni a noi, assistici, /vieni nei nostri cuori; / insegnaci tu ciò chedobbiamo fare, / mostraci tu il cammino da se-guire, / compi tu stesso quanto da noi richie-sto. / Sii tu solo a suggerire e a guidare le no-stre decisioni, / perché tu solo, con Dio Padre econ il Figlio suo, / hai un nome santo e glorio-so; / non permettere che sia lesa da noi la giu-stizia, / tu che ami l’ordine e la pace; / non cifaccia sviare l’ignoranza; / non ci renda parzialil’umana simpatia, / non ci influenzino carichee persone; / tienici stretti a te e in nulla ci di-stogliamo dalla verità; / fa’ che riuniti nel tuosanto nome, / sappiamo contemplare bontà e

tenerezza insieme, / così da fare tutto in armo-nia con te, / nell’attesa che per il fedele compi-mento del dovere / ci siano dati in futuro i pre-mi eterni. / Amen».

3 Per questo mi è sembrato superfluo aggiunge-re una mia traduzione personale.

4 «Le potenze dell’anima – memoria, intelletto evolontà – sono tanto profonde quanto sono ca-paci di beni grandi, poiché non si saziano concose inferiori a quelle infinite… Ma quando so-no vuote e monde, la fame, la sete e l’ansia delsenso spirituale diventano intollerabili. Infatti,poiché i seni di queste caverne sono profondi,le anime soffrono profondamente, dal momen-to che è profondo anche il cibo che loro man-ca, il quale è Dio»: S. GIOVANNI DELLA CROCE,Fiamma viva d’amore (B), str. III, 18.

Nel precedente articolo di questarubrica (“Culmine e fonte”, 1/2008)per un banale errore tipografico non èstata effettivamente riprodotta l’im-magine del carme di Venanzio Fortu-nato cui si faceva riferimento nella no-ta n. 3 (cfr pp. 61 e 65). Riproduciamoadesso quell’immagine, scusandocicon i lettori.

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orse qualcuno ricorda ancorale cinque appassionanti punta-te d’uno sceneggiato apparso

in televisione alla fine del 1959: era Ot-tocento, tratto dal romanzo omonimo diSalvator Gotta. Si narravano in questo, simostravano in quello i fermenti, gli slan-ci, gli intrighi che tra Francia e Italia face-vano da crogiuolo alla Seconda Guerrad’Indipendenza: non vi mancavano Ca-vour e la Contessa di Castiglione, Nigra el’imperatrice Eugenia, battaglie e salotti,regge, alcove, teatri. Titolo emblematico:ché l’Ottocento è stato uno dei secoli piùturbinosi, più teatrali e meno contempla-tivi, che la storia dell’uomo possa ricor-dare. Ma non per questo meno sacro:non per una sua gestualità - implicita nelsogno e nella rivolta - dedito solo al“profanum” e all’ esclusione program-mata del “fanum”. Anzi, già François-René de Chateubriand, nel 1802, con Legénie du Christianisme aveva vagheggia-to la speranza d’una armoniosa convi-venza tra arte e fede, propugnando unavibrante partecipazione emotiva alla sto-ria spirituale del Medioevo. E’ il fonda-mento ideale del binario su cui, lungotutto il secolo, correrà il progetto – dimatrice monastica e di speranza liturgica– di una rinascita del culto primitivo co-me attuazione d’una visione romanticadella storia, con il canto gregoriano qua-le pietra angolare, che approderà a Sole-smes e all’abbé Prosper Guéranger. Bina-

rio vivo, senz’altro, ma appartato. Lagran linea su cui l’Ottocento si muove èquella che vede affermarsi sempre di piùl’opera come genere nazional-popolarenel quale l’intera nazione giungerà adidentificarsi (non si dimentichi l’acrostico“Viva V.E.R.D.I.!”) e il concerto sinfonicoe/o solistico come realtà autonoma e de-stinata a possente crescita. Il trend di au-tonomizzazione della musica non solodal culto, ma dal sacro, nell’Ottocentoraggiunge il suo acme: il compositorepuò, a volte vuole vivere una sua realtàartistica avulsa da ogni rapporto con la li-turgia o foss’anche con una riflessionesulla fede: Paganini, Chopin e Debussynon scriveranno una sola nota di musicasacra. Non è vero invece il reciproco: lamusica sacra non potrà vivere avulsa dal-la musica profana, l’impatto del teatro edei suoi autori, le contaminazioni saran-no tali che il rischio della perdita d’un lin-guaggio e d’uno stile s’avvererà immen-so. Ma sarà schivato. Non solo l’intentodi ripresa “moyenagiste” esibirà un vita-lità impensata, ma saranno gli stessi in-telletti musicali del secolo a non volere lamorte d’una tradizione – italiana o tede-sca – di matrice essenzialmente corale, diafflato altamente spirituale e di ubicazio-ne imprescindibile nelle radici culturalieuropee: pensiamo, non casualmente, aMendelssohn e a Brahms come a Cheru-bini e a Verdi, a non dir di taluni francesi.Il sacro musicale dunque non muore; l’i-

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deologia liberale prima, positivi-sta e marxista poi, non potrà

aver ragione della vocazione fondamen-tale dell’uomo alla dialettica col trascen-dente: e se ciò che la liturgia vive comeprassi sonora è talora intarsio singolare,talora devozione oleografica, talora me-moria rigorosamente tenuta viva, nelcuore, nel pensiero d’alcune grandi ani-me il sacro rimane come un territorionon più liturgico, ma approdo risanante,momento del confronto con le istanzesupreme, verifica d’un vissuto e talora af-fidamento al buon Dio – vedi l’epigrafedella Petite Messe Solennelle di Rossini –dell’intera propria retrospezione biografi-ca. Avrà un cammino parallelo, ma largoe solenne, il “sacro rappresentato”: os-sia ambienti, situazioni, personaggi, pre-ghiere che sulla scena d’opera sono, so-prattutto dopo Meyerbeer, un “topos”melodrammatico pressoché irrinunciabi-le. Il secolo ha ovviamente articolazionied evoluzioni eccezionalmente variate,tanto che abbiamo ritenuto di propornela partizione in due cinquantenni: il pri-mo integralmente segnato dai postumidella Rivoluzione francese, dall’ancor vivoclassicismo e dalla temperie romantica; ilsecondo dai nazionalismi, dai sintomi delmomento decadentista, ma soprattutto –per quanto qui di competenza - dallosbocciare dei primi semi d’una rinascita.

1803 Nasce Hector Berlioz. Allievo di Lesueur edi Reicha, vince nel 1830 il Prix de Rome esi afferma, non senza contrasti, come unadelle personalità più rappresentative delRomanticismo francese. Temperamentograndioso e poliedrico, guarda con singo-lare attenzione all’ambito sacro, propo-

nendone una lettura titanica per afflato edimensioni: nasceranno in tal prospettivala Grande Symphonie funèbre ettriomphale, la Grande Messe des morts, ilTe Deum, la bellissima trilogia sacra L’en-fance du Christ.

1804Per l’incoronazione di Napoleone I a im-peratore, Giovanni Paisiello scrive laMesse du sacre e il Te Deum.Dal 1804 al 1813 Nicola Zingarell i(1752-1837) è maestro di cappella nellaBasilica di S. Pietro.

1808Giovanni Morandi (1777-1856) pubblicaper l’Editore Ricordi le Sonate per gli or-gani moderni.Franz Schubert (1797-1828) entra nellacappella imperiale della corte di Vienna.Frequenterà anche il seminario imperia-le, dedicandosi prima all’insegnamento epoi, esclusivamente, alla composizione.Accanto alla vasta produzione sinfonicae cameristica, quella sacra è di cospicuaimportanza: dopo le quattro Messe gio-vanili, spiccano la Deutsche Messe, laTrauermesse, le stupende Messe D.678 eD.950 e l’oratorio Lazarus. La sua spiri-tualità semplice e delicata, rappresentauna sintesi fra la sua vena lirica e lagrande tradizione polifonica.

1809Muore Johann Georg Albrechtsberger(1763), maestro di Beethoven, autore diuna trattatistica compositiva esemplatasu modelli palestriniani.Nasce ad Amburgo Felix Mendelssohn-Bartholdy. Dopo un’accurata educazioneletteraria e musicale, si dedica – sotto la

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guida di Zelter – allo studio di Bach e deiclassici della musica sacra. Nel 1829esordisce come direttore riesumando laPassione secondo Matteo, inizio della ri-valutazione di J. S. Bach, allora quasi di-menticato. Mendelssohn è anche autoredi una vasta messe di composizioni sa-cre, tra le quali sono fondamentali i suoioratori (Paulus, Elijah, Christus), numero-se cantate sacre, salmi e mottetti di ca-rattere liturgico, tutti espressione di unareligiosità di taglio confessionale prote-stante, d’un impiego del corale luteranoanche in sede sinfonica (la SinfoniaRiforma), d’una attenta lettura dei mo-delli di Bach e Händel, d’una inesaustainvenzione melodica.

1811Alexandre Choron (1771-1834) pubblicalo studio Considérations sur la nécéssitéde rétablir le chant de l’Eglise de Romedans toutes les Eglises de l’EmpireFrançais, che anticipa i principi ideali didom Guéranger.

1814Dopo cinque anni di silenzio, il 16 mag-gio, festa di S. Filippo Neri, riprende l’at-tività della Cappella Musicale Pontificiaalla Chiesa Nuova di Roma. Nel 1816Giuseppe Baini viene nominato segreta-rio della Cappella Sistina. Diventerà l’anno dopo maestro “protempore”, per esserne dal 1819 il ca-merlengo e poi il direttore perpetuo. Na-to nel 1797, Baini è tra i primi a coltivarericerche musicologiche, dedicandosi inparticolare allo studio di Palestrina, a cuinel 1828 dedicherà due volumi di Me-morie storico-critiche. Personalità digrande carisma e di raffinata cultura, se-

gnerà il periodo della rinascitadella Sistina: pur con alcune cri-tiche, le esecuzioni da lui curate farannostoria e saranno al centro dell’interessedei grandi “viaggiatori colti” della primametà dell’Ottocento.

1815Luigi Cherubini è nominato insegnante dicomposizione al Conservatorio di Parigi edirettore della cappella reale di Francia.Nato nel 1760, fiorentino, allievo del Feli-ci e del Sarti, si era stabilito a Parigi nel1788. Nel 1808, dopo un periodo di ritirodalla composizione, firma la Messe deChimay, che verrà seguita nel 1811 dallaMessa solenne in re minore, da quella indo maggiore, e dalla Messe du sacre, nel1825, per l’incoronazione di Carlo X. Digrande importanza anche i due Requiem,quello in do minore del 1816 e quello inre minore del 1836. Insieme all’opera Me-dea, sono questi i lavori che forniscono lamisura più compiuta della sua arte, squisi-tamente neoclassica, paragonata a quelladel Canova e di David. È pubblicato a Parigi il Nouveaux choixdes Cantiques de Saint-Sulpice, che rac-coglie melodie tradizionali, adattamentidi brani operistici e romanze assai orec-chiabili per dare nuova vita al canto po-polare nelle chiese.

1818Carl Maria von Weber compone la Frei-schützmesse e nel 1819 la Jubelmesse.

1819François Benoist (1794-1878) viene no-minato docente d’organo al Conserva-torio di Parigi. Prix de Rome nel 1815,organista della Chapelle Royale tra il

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1819 e il 1830 e poi sotto Na-poleone III, è il grande nome

della scuola organistica francese del-l’Ottocento. Maestro di Franck e diSaint-Saëns, musicologo, compositore,ha segnato con il suo stile almeno duegenerazioni d’organisti e compositori.Celebre la sua raccolta Bibliothéque del’organiste, nonché i Préludes e Lagrande maitrise.Il cardinale Carlo Gaysruck depreca inuna circolare l’uso di melodie operistichetrasposte all’organo e tali da trasportare“a sceniche rappresentazioni” il pensierodei fedeli. Si diffonde in questi anni lapratica di proporre nella liturgia musichefacili e note, con testi d’edificazione de-vota, anche in lingua volgare.

1820A Roma Fortunato Santini pubblica il pri-mo Catalogo della musica esistente pres-so Fortunato Santini in Roma, una rac-colta di trascrizioni di opere dei maestridi cappella romani reperite negli archividella città, nota e apprezzata in tutta Eu-ropa. Mendelssohn ne sarà amico edestimatore.

1823Risale a quest’anno la fine della compo-sizione della Missa Solemnis di Ludwigvan Beethoven. Il compositore di Bonn siera già dedicato alla musica sacra conl’oratorio Christus am Ölberg, del 1804,e con la Messa in do maggiore op. 86.La Missa Solemnis tuttavia si stacca lar-gamente dalle precedenti composizionioratoriali e liturgiche per un afflato spiri-tuale fra i più alti che siano stati riversatinel Proprio della Messa. Diversamenteletta dall’esegesi musicale – ora come

testimonianza d’un idealismo laico, oracome immagine dei dubbi di Beethoven– in realtà è serena e maestosa sintesid’esperienze – dal gregoriano ad Haydn– e meditazione di supremo livello spe-culativo sul mistero di Dio. E basterebbesolo il grandioso Credo a dire la certezzapossente e granitica della fede in quelDio che anche nella Nona Sinfonia è af-fermato come “Padre pieno d’amore”.

1824Leone XII emana un editto sul culto e sulrispetto nella prassi liturgica, deprecandoabusi comuni, quali la lunghezza eccessi-va dei brani musicali, la profanità deglistili, il divismo canoro, l’uso di bande estrumenti in chiesa.

1833Saverio Mercadante è nominato maestrodi cappella nel Duomo di Novara. Com-positore di prevalente vena operistica, haal suo attivo anche una folta produzionedi musica sacra, tra cui circa venti Messe,cantate, l’oratorio Le sette parole di No-stro Signore, un celebre Tantum Ergo. Ilclima severo, anche se non privo di rinviiall’opera seria, della sua musica sacra,farà di questa un riferimento fino al se-colo successivo.Dom Prosper Guéranger (1805-1877)con il sostegno di Gregorio XVI, acquistal’abbazia di Saint-Pierre de Solesmes el’11 luglio, festa di San Benedetto, iniziail cammino di rinascita del canto grego-riano nella liturgia.Nel 1837 diverrà abate della comunità.Nel 1840 presenterà i primi due volumidelle Institutions liturgiques in cui espo-ne i principi fondamentali della sua rifor-ma.

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1836Viene rappresentata all’Opéra di Parigil’opera Les Huguenots di GiacomoMeyerbeer, il cui intreccio è basato suglieventi della notte di S. Bartolomeo inFrancia, sotto il regno dei Valois. Meyer-beer è il compositore di maggior succes-so in Francia dopo Rossini: tedesco, au-tore d’una vasta produzione anche sa-cra, porrà in luce sia con Les Huguenots,sia con il successivo Le prophète (del1849), le tematiche delle lotte di religio-ne, trattate anche da Jacques F. Halévynell’opera La juive, andata in scena a Pa-rigi nel 1835.Il poeta Gioacchino Belli scrive il sonettoEr Miserere, descrivendo con rapidi toc-chi caricaturali l’esecuzione del Misereredi Allegri nella Sistina.

1837Muore a Weimar Johann N. Hummel.Nato nel 1778, allievo di Mozart e di Sa-lieri, pianista fra i maggiori del suo tem-po, fu maestro di cappella alla corte de-gli Esterhazy (succedendo ad Haydn), poia Stoccarda e a Weimar. Le sue opere re-ligiose sono tutte risalenti al periodopresso gli Esterhazy: vi spiccano in parti-colare le tre Messe.

1838Benedetto Neri ( 1771-1841) scrive lemusiche per l’incoronazione di Ferdinan-do I d’Austria.

1839Il compositore Gaspare Spontini presen-ta alla Congregazione dei riti e all’acca-demia di S. Cecilia un Rapporto intornoalla riforma della musica di chiesa, chetroverà la forte opposizione del Baini.

1841Gioachino Rossini porta a ter-mine la partitura dello Stabat Mater.Iniziato negli anni Trenta, interrotto do-po la composizione di sei numeri, è ilcapolavoro sacro del Pesarese: vi convi-vono con assoluta continuità gli stilemiclassici del linguaggio operistico rossi-niano accanto ad una sapienza “discuola” che nella maestosa e soffertafuga dell’ Amen finale raggiunge il suoculmine. Nel 1820 Rossini aveva scrittouna Messa di gloria, non priva di pregi;nel 1863 scriverà un altro testo fonda-mentale, la Petite Messe Solennelle: te-stimonianza dell’estremo suo rifiuto delRomanticismo, per offrire con sempli-cità a Dio una partitura audace, già no-vecentesca, ricca di invenzioni sonore etematiche di straordinaria genialità.

1842Il cardinale Patrizi emana un editto in cuistigmatizza la contaminazione delle mu-siche d’uso liturgico con musiche profa-ne e lo stile teatrale del canto.A Parigi viene brevettato da AlexandreDebain uno strumento chiamato “Har-monium” o “Orgue expressif”

1844Viene inaugurato a Parigi l’organo diSaint-Eustache, con un concerto diAdolf F. Hesse, (1808-1863), uno deimassimi organisti del tempo, grandediffusore dell’opera di J. S. Bach, di cuiè considerato un erede morale. Hascritto musica con fini pedagogici, li-turgici e concertistici, in uno stile chetiene presente sia la grande tradizionetedesca, sia le istanze melodiche delsuo tempo.

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1846Muore a Darmstadt Johann

C.H. Rinck. Nato nel 1770, studia conJohann C. Kittel, uno degli ultimi allievidi Bach. Nel 1805 Rinck è organista aGiessen, poi direttore della musica all’u-niversità. Lo stesso anno è nominatoCantor e organista della Stadtkirche diDarmstadt. Docente e virtuoso univer-salmente apprezzato, ha trasmesso al-l’Ottocento la tradizione esecutiva ba-chiana. La massima parte delle suecomposizioni sono organistiche: l’Or-gelschule, il Choral Freund, la Theoreti-sch-praktische Anleitung zum Orgel-spiel. La sua vastissima biblioteca – ovenon mancano autografi bachiani – èoggi all’Università di Yale negli USA.

1848Muore a Bergamo Gaetano Donizetti.Nato nel 1797, allievo di Mayr, scrissecon assoluta prevalenza per il teatro

d’opera, ma negli anni giovanili nonmancò di comporre cantate sacre at-tente ai modelli di Haydn e Mozart,musica religiosa di vario genere, nellaquale spicca una Messa da requiemscritta per la morte di Vincenzo Bellini(1835) e un Miserere (1842) offerto aGregorio XVI.

1849Carlo Coccia (1782-1873) scrive un Re-quiem per la morte del re Carlo Albertodi Savoia. Viene eseguito nella Basilica diS. Gaudenzio a Novara e poi a Torino.

1850Viene fondata la rivista Civiltà Cattolica,che avrà un ruolo importante per la cau-sa della riforma musicale.In Germania Robert Schumann fonda laBach-Gesellschaft, impresa editoriale va-stissima e destinata a pubblicare tuttal’opera di J. S. Bach.

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oi non avete ricevuto unospirito da schiavi per ricaderenella paura, ma avete ricevu-

to uno Spirito da figli adottivi, per mezzodel quale gridiamo: ‘Abbà, Padre!’ LoSpirito stesso attesta al nostro spirito chesiamo figli di Dio» (Rm 8,15-16).

La prima beatificante notizia capacedi tirarmi fuori da qualsiasi tristezza, perquanto mortale, è il lieto annuncio delvangelo che Dio è mio papà e io sonosuo figlio per l’eternità! L’amarmi è l’e-terna occupazione di Dio. Mi ama cosìche l’essere amato da lui diventa la miaprima e totale definizione, il mio nomeproprio: amato!

E ognuno di noi è depositario di untesoro divino: la vita. Dio ce l’ affida co-me capitale da scoprire, da spendere, daamministrare. Gesù Cristo è la luce divina«che illumina ogni uomo che viene inquesto mondo» (Gv 1,9), unica luce checi permette di vivere la vita come dono,in tutta la sua preziosità. Non posso chie-

dere all’uomo chi è l’uomo; lo devo chie-dere a chi ha fatto l’uomo, cioè a Dio, ea chi, rimanendo Dio, si è fatto Uomo:Gesù. La fede, strumento che ci rendecapaci di percepire questo grande miste-ro d’amore, è necessaria così non solonei confronti di Dio, ma anche dell’uo-mo, in quanto grandezza così illimitatada non poter essere totalmente compre-so, ma creduto, come la vita.

E questa mia vita, questo ‘cosmo del-le meraviglie’, questo ‘campo dei miraco-li’ vale un Dio crocifisso. In questo sensobuono o malvagio, santo o delinquente,tutti gli uomini sono radicalmente uguali,hanno lo stesso nome e cognome: coluiche Dio ama. Guardando il più grandepeccatore Dio non vede solo quello cheè, ma quello che egli è chiamato a esse-re, che può essere, che deve essere, pro-prio in quanto amato. Dio vede in lui ilsuo progetto originale, vede colui per ilquale suo Figlio è morto crocifisso, loama mentre è ancora peccatore e,amandolo, lo aiuta a risuscitare. Questoè l’annuncio gioioso della Pasqua, an-nuncio di salvezza e di speranza!

È interessante constatare come, peresprimere realtà di fede così grandi, l’ar-te paleocristiana, come tutta l’arte sacra,abbia prediletto il linguaggio simbolico,avendo intuito nel simbolo la prerogativadi rispettare la ricchezza dei significati inquanto segno visibile, immediatamentepercepibile della realtà che indica.

È il caso per esempio della lastra mar-morea (fig. 1) della prima metà del IV

Avete ricevuto uno spirito da figli

Roberta Boesso

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Fig. 1 - Lastra marmorea, prima metà IV sec. d.C.,

catacombe di Priscilla, Roma.

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sec. d.C., proveniente dalle cata-combe romane di Priscilla, che

presenta al centro un’ancora cruciformeaffiancata da due stelle a otto punte. Lasemplice essenzialità del tratto sottinten-de una elaborazione profonda di conte-nuti sulla concezione della vita oltremon-dana e paradisiaca. Se, evidentemente,attraverso le due stelle si rimanda alla vi-sione del paradiso concepito come firma-mento, non molto usuale in epoca paleo-cristiana, con l’ancora si allude alla paxmarina, cioè al concetto espresso dallostesso simbolo di appiglio sicuro per lanave nel porto ma anche in alto marequando è travolta dalla tempesta, e chein ambito cristiano diviene emblema dellafede e della speranza nella risurrezione,nella beatitudine celeste, giungendo aconcepirla ‘strumento’ di salvezza dell’a-nima, quale segno allegorico del Cristo.

Così anche il semplice pesce (fig. 2)inciso sulla lastra marmorea facente partedella chiusura di un loculo nel cimitero ro-mano paleocristiano di Ciriaca (o San Lo-renzo) sulla Via Tiburtina, non è che l’e-spressione di un nobile e antico simbolo disalvezza, che molto ci svela delle comu-nità delle origini che lo ebbero così caro.

Il pesce fu uno dei più fortunati sim-boli che, per i cristiani dei primi secoli,rappresentò un modo del tutto specialeper affermare la fede in Gesù Cristo. Leiniziali della parola pesce, in greco, for-mano infatti le iniziali di una frase riferitaal Signore Gesù, una sorta di professionedi fede: “Gesù (è) il Cristo (cioè il Messiaatteso), il Figlio di Dio, il Salvatore!”.Questo antichissimo acrostico ha originein ambiente letterario latino ed è noto ilpasso del libro Sul battesimo di Tertullia-no (fine II-inizi III secolo) che arricchiscedi risvolti appunto battesimali questo

simbolismo: «Quanto a noi, piccoli pesci,così chiamati dal nome del nostro IchtysGesù Cristo, noi nasciamo nell’acqua enon possiamo conservare la nostra vitase non rimanendo in quest’acqua» (DeBaptismo,1,1).

Come questo passo esprime chiara-mente, e come gli scrittori cristiani poste-riori a Tertulliano non mancarono diesplicitare, il pesce ha primariamente unsignificato cristologico, simboleggia cioèil Salvatore risorto dalle profondità dellamorte. Inoltre rappresenta anche i suoifedeli, pisciculi, pesciolini che nuotanonell’acqua viva (secondo l’immagineevangelica) del battesimo. Questi piccolipesci seguiranno Cristo nella risurrezionee faranno parte della comunità dei salvatiche gli apostoli, ‘pescatori di uomini’, sucomando di Cristo stesso, radunerannointorno a lui.

Che bello sentirsi ‘pesciolini’ di questa‘pesca miracolosa’! Che gioia sentirsiparte della grande famiglia di Dio con ilnostro vero nome, scritto nel suo cuore:Amato! Questo è il sostantivo che ci ac-comuna, mentre i carismi nella loro di-versità non sono altro che capacità, mez-zi per tradurre l’Amore di Dio in amore aDio attraverso l’amore, e quindi il servi-zio, ai fratelli.

Se la certezza che Dio mi ama pulsasempre dentro di me come pulsa il mio

Fig. 2 - Lastra marmorea, inizi IV sec. d.C.,

Musei Vaticani, Città del Vaticano.

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cuore, allora ho finalmente trovato lagioia, e questa gioia ha un nome preciso:lo Spirito Santo, fruizione dell’Amore. Ècolui per il quale l’amare è gioia, l’essereamati è gioia. È colui per il quale il regnodell’amore, il paradiso, è il regno dellagioia: «Entra nella gioia!» (Mt 25,21).

Questo stesso Spirito effuso sull’uma-nità dall’alto della croce, come perennePentecoste in ogni liturgia si effonde suognuno di noi quale sigillo dell’amore diDio e di comunione all’interno dellaChiesa; in suo nome, usando un’espres-sione paolina, «non vi siano divisioni travoi, ma siate in perfetta unione di pen-siero e di intenti» ( 1Cor 1,10).

La canonica raffigurazione dellaConcordia Apostolorum (fig. 3) realiz-zata con foglie d’oro zecchino su unframmento di vetro soffiato apparte-nente in origine a una coppa, poi mo-dificato nella forma per essere inseritocome segnacolo nei cubiculi di unaignota catacomba, ha un intento ritrat-tistico e decorativo ‘sacrificato’ in nome

del ben più nobile ruolo se-mantico concettuale.

All’interno di una duplice cornice dipiccoli semicerchi e archi, sono raffigura-ti, affrontati e visti di profilo, tra una co-rona e un volume arrotolato, i santi Pie-tro e Paolo con stessi tratti somatici emedesimo vestiario, costituito da tunicae pallio fissato sul petto da una fibula ro-tonda. Iconograficamente non sono di-stinti, anche se Pietro ha un volto piùpieno rispetto a quello di Paolo: entram-bi hanno fronte alta, barba e chiomafolta e sono l’uno immagine specularedell’altro.

L’iconografia, mutuata dal repertoriocelebrativo imperiale, fu utilizzata dal Cri-stianesimo per diffondere un messaggiodi concordia e di unità in un delicato pe-riodo storico. Fusi in un’unica facies ico-nografica, i due padri degli apostoli, chenel IV secolo cominciano a essere cele-brati in un unico culto, come testimonia-no le molte chiese dedicate a entrambi ela comune festività del 29 giugno, diven-tano l’immagine simbolica dell’unità edella concordia nella Chiesa, la grandefamiglia di Dio, nel nome di Gesù venutodall’ Infinito e dall’Eterno per consegnarealla nostra vita questa ‘buona notizia’,questo vangelo: «Il Padre vi ama» (Gv16,27).

Facciamo allora nostra, non solo neltempo pasquale, la bellissima orazionedella liturgia della vigilia di Pentecoste:«Scenda su di noi, o Padre, il tuo SantoSpirito, perché tutti gli uomini cerchinosempre l’unità e l’armonia e, abbattuti gliorgogli di razza e di cultura, la terra di-venti una sola famiglia, e ogni linguaproclami che Gesù è il Signore. Egli è Dioe vive e regna nei secoli dei secoli.Amen.»

Fig. 3 - Vetro biancastro con foglia d’oro, seconda metà del IV sec. d.C.,

Museo Nazionale del Bargello, Firenze.

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i sono stati nel passato e ci so-no nel nostro tempo uomini edonne che hanno vissuto la

virtù della carità scegliendo un aspettoparticolare di essa; sì perché essa è co-me un prisma dalle tante sfaccettature,basta assumerne una e viverla fino infondo per Amore di Dio, Principio eFonte di ogni carità. Attraverso le pagi-ne della nostra Rivista possiamo avvici-nare tanti santi o beati che partendo dapunti differenti hanno celebrato il Si-gnore mettendosi a servizio degli altrifino al sacrificio della vita stessa. Cosa liha spinti? L’Amore, semplicemente,una grande passione per Gesù, per laChiesa, per la gente povera o ricca indi-stintamente. Uomini e donne che han-no esercitato il ministero della compas-sione, della consolazione, della solida-rietà, dell’annuncio e potremmo conti-nuare all’infinito perché la creativitàdello Spirito non conosce limiti.

Tra i molteplici ministeri c’è anchequello dell’ascolto… Un’arte difficile aigiorni nostri dove tutti parlano e pochi

tacciono per fare spazio all’altro…. Vi-viamo tempi d’inflazione in tutti i sen-si… Già però Plutarco (50 d.C.) scrivevache “l’ascolto è una delle pratiche fon-damentali per il conseguimento diquella conoscenza di sé che è a sua vol-ta la premessa per liberarsi dalle inquie-tudini e pervenire alla serenità interio-re”. A parte questa sfumatura lettera-ria, sicuramente Gesù è stato Uomodell’ascolto ovunque, a partire dalla vitaquotidiana… A sua imitazione, dun-que, incontriamo moltissimi fratelli cheesercitano con pazienza e umiltà que-st’arte. Avviciniamo dopo questa pre-messa Leopoldo Mandic; nasce il 12maggio del 1866 a Castelnuovo in Dal-mazia, dodicesimo figlio di Peter e Ca-roline Mandic, viene battezzato col no-me di Bogdan. Sebbene di costituzionefragile, fin dalla giovinezza evidenziasegni di grande forza ed energia spiri-tuale; qualità che lo indirizzano prestoverso la vita religiosa. Bogdan partequindi per l’Italia accolto dai Cappucci-ni di Udine come studente della ScuolaSerafica ed aspirante all’Ordine. Il gio-vane inizialmente fatica ad ambientarsiperché trova compagni di costituzionepiù robusta; lui non supera un metro etrentacinque ed ha inoltre una pronun-cia alquanto difettosa, limiti con i qualideve lottare per non adirarsi, perchécome accade tra giovani spesso è vitti-ma di allusioni o di sguardi pietosi-L’a-more alla santa Eucaristia fin da piccologli danno la forza necessaria per cor-reggere i propri difetti, all’Eucaristia at-tinge giornalmente per impegnarsi acelebrare Gesù nella vita. Il suo periodo

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SAN LEOPOLDO MANDICsuor Clara Caforio, ef

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di formazione nella città di Udine duradiciotto mesi dopodiché viene ammes-so il 20 aprile del 1884 nel noviziato diBassano del Grappa, qui assume l’abitotalare ricevendo il nome di Fra’ Leopol-do. Completato il noviziato, studia filo-sofia a Padova, teologia a Venezia e in-fine, finalmente com’è nel suo grandedesiderio, viene ordinato sacerdote. C’èda dire che fin dal suo percorso in con-vento coltiva in sé la speranza di partireper la missione, ma la sua salute cagio-nevole non gli permette di realizzarequesta passione. Si rassegna e accettacon profondo spirito di fede e di obbe-dienza senza tuttavia perdere la fiducia,per questo in prospettiva di future mis-sioni, perfeziona le sue conoscenze stu-diando le scienze sacre e le lingueorientali, quali il greco moderno, ilcroato, lo sloveno ed il serbo, preoccu-pandosi allo stesso tempo di dare spa-zio ai vari lavori manuali e alla manu-tenzione della casa dove risiede. Un uo-mo senza dubbio volitivo e pieno d’ini-ziative! Nel 1897 viene nominato supe-riore del convento dei Cappuccini di Za-ra, servizio che assume con gioia per-ché Zara lo avvicina all’Oriente! Comein tutti porti non mancano persone,marinai, commercianti; Padre Leopoldoad ogni attracco di battello corre ad au-gurare il benvenuto a quelli che arriva-no, a fare la conoscenza offrendo infor-mazioni e notizie utili per ciascuno.

Uno splendido servizio di accoglien-za il suo fatto gratuitamente attraversoun giro della città dove può parlare echiedere, senza dimenticare appenapuò di raccontare di Gesù Cristo, dellafede cattolica: Il buon grano è semina-to; germoglierà quando Dio vorrà, ripe-te spesso.

Quest’apostolato discretocomincia a produrre qualchefrutto, così, due anni dopo il suo arrivoa Zara, i superiori mandano il nostropadre a Thiene, dove è affidata ai Cap-puccini la custodia di un Santuario con-sacrato alla Santa Vergine. Il fatto dimettersi al servizio della Beata Vergineaddolcisce nel Padre il dolore nel lascia-re la città. Nel 1906 Leopoldo vienenuovamente trasferito a Padova e qui virimane praticamente tutto il resto dellasua vita, a parte una breve parentesinel 1922 che lo vede temporaneamen-te a Fiume per amministrare il sacra-mento della confessione agli Slavi. Lasua partenza suscita però nella città untale rincrescimento da fare intervenire ilprovinciale dei Cappuccini perché rien-tri: “Palesemente, Sant’Antonio di Pa-dova ti vuole presso di sé”, scrive il suoSuperiore.

Consacrandosi a Dio nella vita reli-giosa, Padre Leopoldo ha uno scopopreciso: adoperarsi per il ritorno all’u-nità cattolica degli Orientali separatidalla Chiesa Romana. Idea coltivata finda giovane, fin da quando ancora sitrovava nella sua città natale e da os-servatore attento si accorgeva dell’e-norme pluralità religiosa esistente.

Col passare degli anni, Dio suscitanel frate la volontà sempre più forte dilavorare per l’unità della chiesa d’orien-te e d’occidente. Terreno quanto maiattuale per l’ecumenismo! La dimensio-ne ecumenica in lui acquisisce ognigiorno contorni chiari e profondi grazieal ministero della riconciliazione a cui sidedica per oltre quarant’anni! Esercitadunque quel ministero dell’ascolto, dicui si parlava, con dedizione e zelo assi-duo. Giungiamo all’aspetto centrale del

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nostro santo: la sua incredibileattività di confessore, di riconci-

liatore di anime, di consolatore, di me-diatore di salvezza. Scrive G. Gracco,docente di storia della Chiesa: “il fattoche Padre Leopoldo sia, a sua volta, ungigante del confessionale, indica la suapartecipazione in prima linea a una sta-gione precisa della vita della Chiesa.Che cosa voleva dire allora confessare?Fin dai tempi del Concilio di Trento, ilparroco confessore era sempre stato ilcuore della comunità. Si diceva-vescovoe re del suo popolo. Ma tra le dueguerre, questa confidenza della Chiesacon la gente assumeva un rilievo diver-so, commisurato ai problemi dell’epo-ca. Erano tempi in cui la crisi dell’indivi-dualismo liberale faceva avanzare ilconcetto di masse in cui ideologie tota-litarie, marxismo da una parte e fasci-smi dall’altra, stavano per impadronirsidelle masse, sottraendole definitiva-mente al contatto con la Chiesa”.1

Una realtà non dissimile da quellache viviamo attualmente!

Padre Leopoldo vive la sua vocazio-ne in Cristo, abbandonandosi a Lui ecomportandosi come Lui si è comporta-to. Egli vive un rapporto tenerissimocon il Signore nella preghiera, nei con-tatti con gli altri ma soprattutto nell’e-sercizio della confessione che non trala-scia mai. Il suo compito costante èquello di aiutare i peccatori per farli tor-nare a Dio. I suoi penitenti nelle biogra-fie scritte su di lui affermano che ciòera possibile perché aveva il dono di“una profonda intuizione delle anime”,perché ”aveva il dono dell’introspezio-ne”, “a causa della grande e continuaunione con Dio”. Alcuni autori hannodefinito san Leopoldo clinico dello spiri-

to e questo corrisponde perché comeegli stesso ripete in alcuni scritti: “ilmedico è il custode attento e vigile delfragile involucro che racchiude l’anima.Il sacerdote è colui, di quest’ultima, co-nosce e penetra il mistero… Dio è me-dico e medicina, la sua misericordia èsuperiore ad ogni aspettativa”.

Se pur piccolo di statura la sua spiri-tualità ha tuttavia un’altezza ecceziona-le, tale da comunicare la sua fede soli-da a quanti si confidano con lui. PadreLeopoldo incoraggia, consola persone,specialmente coloro che non avevanoalcuna speranza, perchè schiavi delpeccato. Il ministero del sacramentodella Riconciliazione è per lui un duroimpegno che esercita in una stanzettadi pochi metri quadrati, senza aria néluce, un forno d’estate, una ghiacciaiad’inverno. Vi rimane chiuso da dieci aquindici ore al giorno. «Come fai a resi-stere tanto a lungo nel confessionale?»gli chiede un giorno un confratello. «Èla mia vita, capisci», risponde sorriden-do. L’amore per le anime lo rende pri-gioniero volontario del confessionale,sottoponendosi a fatiche estenuantipur di far gustare ai penitenti la miseri-cordia del Signore. A tutti coloro che glisi rivolgono Leopoldo si mostra apertoe sorridente, prudente e modesto, con-sigliere spirituale comprensivo e pazien-te. L’esperienza gli insegna quanto siaimportante mettere ogni persona aproprio agio ispirandogli fiducia. Uno diessi ha riferito un fatto significativo:«Non mi ero confessato da anni. Final-mente, mi decisi e andai a trovare Pa-dre Leopoldo. Ero molto inquieto, im-barazzato. Non appena entrato, egli sialzò e mi abbordò, tutto lieto, comefossi un amico atteso: “Prego, si acco-

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modi”. Nel mio smarrimento, andai asedermi sulla sua poltrona. Senza dirnulla, egli si inginocchiò per terra edascoltò la mia confessione. Quando es-sa fu terminata, e soltanto allora, miaccorsi della mia storditaggine e me nevolli scusare; ma lui, sorridendo: “Dinulla, di nulla, disse. Vada in pace”.Questo tratto di bontà rimase impressonella mia mente. Facendo così, mi ave-va totalmente conquistato». Su questogigante dello Spirito si raccontano mol-ti altri aneddoti tutti segnati da un filocomune: la compassione!

Un giorno gli viene chiesto: «Padre,come capisce lei le parole del Signore:Chi vuol seguirmi, prenda tutti i giornila sua croce? Dobbiamo per questo fa-re penitenze straordinarie? – Non è ilcaso di fare penitenze straordinarie, ri-sponde. Basta che sopportiamo con pa-zienza le tribolazioni ordinarie della no-stra misera vita: le incomprensioni, leingratitudini, le umiliazioni, le sofferen-ze occasionate dai cambiamenti di sta-gione e dell’atmosfera in cui viviamo...Dio ha voluto tutto questo come mez-zo per operare la nostra Redenzione.Ma perchè tali tribolazioni siano efficacie facciano bene alla nostra anima, nonbisogna sfuggirle con tutti i mezzi pos-sibili... La preoccupazione eccessiva del-le comodità, la ricerca costante degliagi, non ha niente a che vedere con lospirito cristiano. Non è certamente que-sto prendere la propria croce e seguireGesù. È piuttosto evitarla. E colui chesoffre soltanto quel che non ha potutoevitare non avrà molti meriti». «L’amo-re di Gesù, non si stanca di ripetere, èun fuoco che viene alimentato con lalegna del sacrificio e l’amore della cro-ce; se non viene nutrito così, si spe-

gne». Tutti accorrono al suoconfessionale, piccoli e grandi,dotti e popolani, religiosi, sacerdoti,chierici e laici. Rinchiuso nella sua stan-zetta Leopoldo esercita fino alla morteil ministero della riconciliazione. Il suoOriente che non aveva mai divieneogni anima che andava a chiedere ilsuo aiuto spirituale. Egli stesso il 13gennaio 1941 scrive: “Qualunque ani-ma che avrà bisogno del mio ministerosarà per me un Oriente”…Stia tranquil-lo - dice ai suoi penitenti - metta tuttosulle mie spalle, ci penso io”, e si ad-dossa sacrifici, preghiere, veglie nottur-ne, digiuni.

Come accade per gli amanti di Dioviene molte volte giudicato di esserelassista, di “manica larga”. Ma egli, in-dicando il Crocifisso, rispondeva: “Se ilCrocifisso mi avesse a rimproverare del-la manica larga risponderei: Questo tri-ste esempio, paron Benedeto, me l’ave-te dato voi; ancora io non sono giuntoalla follia di morire per le anime!”.

Durante l’inverno del 1941, i doloriallo stomaco che fanno soffrire PadreLeopoldo da molto tempo si fanno piùacuti. Deve mettersi a letto. All’inizio diaprile 1942 viene ricoverato ignorandodi avere un tumore all’esofago. Rientra-to in convento continua tuttavia a con-fessare nonostante i forti dolori. Il 29luglio 1942 confessa senza sosta e poitrascorre tutta la notte in preghiera.

La mattina del 30 luglio nel prepa-rarsi alla messa, sviene; riportato a let-to, riceve i sacramenti degli infermi eterminando di ripetere le ultime paroledella Salve Regina, tendendo le maniverso l’alto, quasi andasse incontro aqualcosa, come trasfigurato, muore.Trentaquattro anni dopo Paolo VI il 2

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maggio 1976 lo dichiara “bea-to”, nella sua omelia sottolinea

che: “Divenne santo specialmente nel-l’esercizio del Sacramento della Peni-tenza. Grazie a Dio, sono già apparsimolti splendidi resoconti su quest’a-spetto della santità del neo-Beato. Pos-siamo solo ammirare e ringraziare il Si-gnore per aver offerto in questi giornialla Chiesa una figura così singolare di

ministro della grazia sacramentale dellaPenitenza. [...] Possa il Beato Leopoldorafforzare le anime desiderose di pro-gresso spirituale nella frequenza assi-dua della Confessione che alcuni critici,certamente non ispirati da matura sag-gezza cristiana, vorrebbero veder rele-gata fra le forme di vita e di spiritualitàpersonale ormai fuori di moda”.

Il 16 ottobre 1983 Giovanni PaoloII lo proclama “santo”, la me-moria liturgica si celebra il 12maggio!

Quando si racconta di santi dicosì alta spiritualità ogni parolasembra inadatta, allora lasciamoche sia Padre Leopoldo a conclu-dere queste pagine affidandocialla sua intercessione: “Quandoil Padrone Iddio ci tira per la bri-glia, direttamente o indiretta-mente, lo fa sempre da Padre,con infinita bontà. Cerchiamo dicomprendere questa mano pa-terna che con infinito amore sidegna di prendersi cura di noi”.

Bibliografia:

• Fregona, Il mio Oriente, L’ecumenismo

spirituale di san Leopoldo Mandic, Edi-

zioni Portavoce di San Leopoldo Man-

dic-Padova

• L. Da Fara, Un povero e la sua speranza,

L’ecumenismo spirituale di san Leopoldo

Mandic, Opera san Leopoldo Mandic,

Padova 1989

• www.santiebeati.it

• www.paginecattoliche.it/

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——————1 G. Gracco, Un santo e la sua epoca, suggestio-

ni, in Il mio Oriente , l’ecumenismo spirituale disan Leopoldo Mandic, a cura di A. Fregona, ed.Portavoce di san Leopoldo, Padova 2002, 31.

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n una scena del recente film-documentario Il grande si-lenzio, che il regista Philip

Gröning ha girato nella casa madredei monaci certosini, la telecameraindulge a lungo sulla piccola acqua-santiera all’ingresso della chiesa mo-nastica. La campana richiama gli ere-miti per la preghiera della sera, siodono soltanto lo scalpiccio dei passie il frusciare degli abiti lungo il gran-de chiostro, si vedono le dita, oragiovani, ora rugose e segnate daglianni, che si immergono nell’acquaper il segno della croce. Lo scalpicciosul legno rivela che la comunità hapreso posto negli stalli del coro; men-tre l’increspatura dell’acqua nell’ac-quasantiera pian piano si acqueta,dalla chiesa si ode sommesso il cantodella lode vespertina: Deus, in adiu-torium meum intende.

All’ingresso della Chiesa, popolodella nuova alleanza, e all’origine diogni vocazione c’è il battesimo. E iluoghi rivelano questa realtà sacra-mentale: all’ingresso delle cattedrali edelle parrocchie c’è il battistero, inogni chiesa un’acquasantiera accoglie ifedeli per quel segno che compendia idue misteri fondamentali della fede(unità e trinità di Dio - incarnazione,passione, morte, risurrezione e ascen-sione al cielo di nostro Signore Gesù

Cristo) e che sigilla il cristiano con lacroce gloriosa.

Il segno di croce è il gesto che ren-de riconoscibili i cristiani e che tutti icristiani, anche quelli meno praticantie più tiepidi nella frequentazione litur-gica, conoscono e ricordano di averappreso fin dalla prima infanzia. È ilgesto spontaneo che tutti compionoentrando in chiesa, portando quasiistintivamente la mano nell’acquasan-tiera.

Ed eccoci in una celebre e anticachiesa di Roma, forse fuori dal gran-de giro dei turisti ma ben nota aglistorici dell’arte e a quanti cercano unluogo spiritualmente vivo, dove èpossibile pregare sia da soli, sia conla vivace comunità religiosa che viabita. Una bella acquasantiera mar-morea accoglie i fedeli all’ingresso.Ma… sgradita sorpresa: avvicinando-si e guardando nella vasca marmoreanon troviamo l’acqua, solo una mise-ra bacinella di plastica bianca. Lì den-tro, un dito d’acqua. A chi scrive vie-ne in mente un ricordo ancora peg-giore, quasi ripugnante: in un’altrachiesa nell’acquasantiera c’era sol-tanto una spugna, una piccola spu-gnetta da acquaio, buona per pulire ipiatti, imbevuta d’acqua.

L’acquasantiera richiede cura: l’ac-qua va sostituita spesso, anche tutti i

Quando l’apparenza inganna: il caso di un’acquasantiera

Adelindo Giuliani

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giorni, per evitare impressionisgradevoli che non richiama-

no certo alla mente il Battesimo, eper non allevare zanzare; il calcare sideposita richiedendo frequenti inter-venti di pulizia,… Ma perché le chie-se non dovrebbero meritare almenoquella cura che tutti riserviamo allenostre abitazioni? Purtroppo questiepisodi rivelano quanto sia dura amorire la mentalità del minimum advaliditatem: basta che l’acqua ci sia,anzi ne bastano scarne vestigia inuna spugna intrisa. Il problema è chequesta mentalità corrode ogni valen-za simbolica, ogni percezione di sen-so, ogni bellezza. Usando i criteri del-

la stilizzazione, della minimalizzazio-ne e della arbitraria semplificazioneresterà solo un fare per il fare, l’ob-bedienza a una prescrizione di cuinon si comprende senso e valore, ungesto liofilizzato a pesante rischio difraintendimento e di superstizione. Ilsegno chiede corpo e spessore, deveessere percepibile, visibile, udibile etangibile per toccare il cuore ed evo-care significati. L’acqua all’ingressodella chiesa deve mantenere la fre-schezza della fonte ed evocare la lucedel cero pasquale, la vita nuova chesgorga dal costato di Cristo, la soavefragranza e la potenza dello Spiritoinvocato nella benedizione.

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ioniCONVEGNO DI FORMAZIONE LITURGICA DELL’USMI NAZIONALE

(RISERVATO ALLE RELIGIOSE)

LA PAROLA NELLA LITURGIA: I NUOVI LEZIONARI

16 - 20 giugno 2008Centro di spiritualità “Mondo Migliore”, Rocca di Papa - Roma, Tel. 06941871

Lunedì 16 giugno 2008Arrivi e sistemazioneore 16,30 Saluto e apertura del convegno, Nuova Presidente USMI nazionaleore 17,00 Verso il sinodo dei vescovi: La Paola di Dio nella vita e nella

missione della Chiesa.S. E. Mons. Felice di Molfetta, Vescovo di Cerignola – Ascoli Satriano,Presidente della Commissione Episcopale per la liturgia

ore 18,30 Vespriore 20,00 Cena

Martedì 17 giugno 2008ore 7,30 Lodi

Colazioneore 9,00 La Parola diventa evento

Mons. Renato De Zan, Docente di esegesi biblica ed ermeneutica liturgicaal Pontificio Ateneo Liturgico – Roma

ore10,30 Il Lezionario con la nuova traduzione CEI Mons. Renato De Zan

ore 11,45 CELEBRAZIONE EUCARISTICA

ore 13,00 Pranzoore 15,30 Prove di canto ore 16,00 Cantare la Parola: il salmo responsoriale della XII domenica

del T.O. Ciclo A. Presentazione bibilico-liturgica:Mons. Renato De ZanAspetto musicale:P. Alberto Bastoni fam, Musicista e Organista

ore 18,30 Vespriore 20,00 Cenaore 21,00 Serata insieme: Concerto di Mons. Marco Frisina con il Coro della dio-

cesi di Roma

SEGNALAZIONI

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Mercoledì 18 giugno 2008ore 7,30 Lodi

Colazione ore 9,00 Parola di Dio sorgente di vita secondo lo Spirito (1)

Silvana Manfredi, Biblista e Vicepreside della Facoltà teologica di Sicilia -Palermo

ore 10,30 Parola di Dio sorgente di vita secondo lo Spirito (2)Silvana Manfredi

ore 13,00 Pranzoore 15,30 Prove di canto ore 16,30 Presentazione della lectio divina con esercitazione

Silvana Manfrediore 18,30 CELEBRAZIONE EUCARISTICA

ore 20,00 Cenaore 21,00 Serata insieme: lettura di brani biblici con Claudia Koll

Giovedì 19 giugno 2008ore 7,30 Lodi

Colazione ore 9,00 Catechesi biblica liturgica narrativa con il Lezionario lungo

l’anno liturgico (1)Mons. Giuseppe Busani, Presidente dell’Associazione professori di liturgia(APL)

ore 10,30 Catechesi biblica liturgica narrativa… (2)Mons. Giuseppe Busani

ore 11,45 CELEBRAZIONE EUCARISTICA

ore 13,00 Pranzoore 16,30 Le nostre liturgie

Sr M. Piera Moretti pd, Licenziata in liturgiaore 18,00 Vespriore 20,00 Cenaore 21,00 Visione di un film

Venerdì 20 giugno 2008Mattina Partenze

Animazione Liturgica

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Segn

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Culmine e Fonte 2-2008