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Arte e Vita: il mistero nella genesi dell’opera d’arte Oltre i confini del lecito Tema appassionante, che da tempo immemorabile ha impegnato l’uomo, è senza dubbio quello dell’origine della creazione, in particolare se l’atto stesso del creare, in fondo, non implichi l’infrangersi delle norme comunemente accettate. Secoli di speculazioni, senza giungere ad una conclusione condivisa. Perché? Forse la natura più profonda nella genesi di qualunque cosa nell’universo - dal cosmo al feto, inclusa l’opera d’arte - deve rimanere un mistero? Ancora oggi poco si sa su come avvengano certi fenomeni e a qualcuno è cominciato a sorgere il legittimo dubbio che sia saggio non rivelare l’origine delle cose, perché potrebbero nascondere verità inaccettabili per la comunità. Può sembrare azzardato e, posto che sia vero, appare come un paradosso se la civiltà da una parte si sforzasse di educare i suoi appartenenti al rispetto delle regole e dall’altra, proprio nelle realizzazioni più alte – inclusa un certo tipo di arte - lavorasse in segreto alla loro trasgressione. Eppure sembra proprio che la natura si serva ora dell’una ora dell’altra strada per perseguire i suoi fini evolutivi con saggezza ed efficacia. L’ipotesi che si affaccia è che per creare sia necessario trasformare, e per trasformare occorre impiegare ogni genere di forze ed energie disponibili, le quali appartengono a dimensioni diverse del vivere e del sentire, da quelle più luminose a quelle più oscure e terribili. In altre parole, usare ciò che a nessuno verrebbe in mente di usare per dare vita a qualcosa di nuovo, una combinazione inusuale che varca i confini di ciò che fino a quel momento era considerato lecito. Viene allora da chiedersi: qual è il senso di affannarsi a stabilire principi, leggi e consuetudini se la stessa natura si diverte a spingere l’uomo ad infrangerle? Ma la natura non si diverte, e ciò che siamo è il risultato di innumerevoli atti straordinari compiuti da uomini che hanno avuto il coraggio responsabile di andare al di là delle regole, spinti da qualcosa di più grande ma consapevoli al contempo di quanto sia fondamentale tracciare confini, perpetrare la tradizione, stabilire leggi, senza le quali saremmo stati in pericolo. Nella vita come nell’arte, innovatori e conservatori hanno svolto un ruolo fondamentale e attendono entrambi una reciproca legittimazione. Buona Primavera a tutti! (di Silvio Da Rù) I Quaderni - editoriale pag.1 I Quaderni di Nuova Scena Antica GALLERY MARZO 2013. GLI ARTISTI. LE CREAZIONI I Quaderni di Nuova Scena Antica I Quaderni di Nuova Scena Antica nascono per raccogliere gli incontri significativi avvenuti nel panorama artistico contemporaneo internazionale ANNO 5 N. 1 MARZO 2013 RIVISTA TRIMESTRALE ARTE MUSICA PERFORMANCE Redazione Italia direttore responsabile SILVIO DA RU’ project & art director DANIELA BESTETTI Nuova Scena Antica 2013 Alcuni diritti riservati www.nuovascenaantica.it RIVISTA ON LINE ARTE MUSICA PERFORMANCE SOMMARIO Editoriale 1 Arte 2 Musica 3 Performance 4 I Quaderni nel mondo 7

I QUADERNI anno 5 n. 1 (marzo 2013)

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Arte e Vita: il mistero nella genesi dell'opera d'arte. EDITORIALE: Oltre i confini del lecito ARTE Daniela Gardinazzi e Claudia Neri MUSICA Daniele D'Agaro PERFORMANCE C.U.T. Perugia DALL'ESTERO Susanna Crespo Held (Spagna) e The Shakespeare Association (Brasil)

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Page 1: I QUADERNI anno 5 n. 1 (marzo 2013)

Arte e Vita: il mistero nella genesi dell’opera d’arteOltre i confini del lecito

Tema appassionante, che da tempo immemorabile ha impegnato l’uomo, è senza dubbio quello dell’origine della creazione, in particolare se l’atto stesso del creare, in fondo, non implichi l’infrangersi delle norme comunemente accettate. Secoli di speculazioni, senza giungere ad una conclusione condivisa. Perché? Forse la natura più profonda nella genesi di qualunque cosa nell’universo - dal cosmo al feto, inclusa l’opera d’arte - deve rimanere un mistero?

Ancora oggi poco si sa su come avvengano certi fenomeni e a qualcuno è cominciato a sorgere il legittimo dubbio che sia saggio non rivelare l’origine delle cose, perché potrebbero nascondere verità inaccettabili per la comunità. Può sembrare azzardato e, posto che sia vero, appare come un paradosso se la civiltà da una parte si sforzasse di educare i suoi appartenenti al rispetto delle regole e dall’altra, proprio nelle realizzazioni più alte –

inclusa un certo tipo di arte - lavorasse in segreto alla loro trasgressione. Eppure sembra proprio che la natura si serva ora dell’una ora dell’altra strada per perseguire i suoi fini evolutivi con saggezza ed efficacia.

L’ipotesi che si affaccia è che per creare s ia necessar io t ras formare, e per trasformare occorre impiegare ogni genere di forze ed energie disponibili, le quali appartengono a dimensioni diverse del vivere e del sentire, da quelle più luminose a quelle più oscure e terribili. In altre parole, usare ciò che a nessuno verrebbe in mente di usare per dare vita a qualcosa di nuovo, una combinazione inusuale che varca i confini di ciò che fino a quel momento era considerato lecito. Viene allora da chiedersi: qual è il senso di affannarsi a stabilire principi, leggi e consuetudini se la stessa natura si diverte a spingere l’uomo ad infrangerle?

Ma la natura non si diverte, e ciò che siamo è il risultato di innumerevoli atti straordinari compiuti da uomini che hanno avuto il coraggio responsabile di andare al

di là delle regole, spinti da qualcosa di più grande ma consapevoli al contempo di quanto sia fondamentale tracciare confini, perpetrare la tradizione, stabilire leggi, senza le quali saremmo stati in pericolo.

Nella vita come nell’arte, innovatori e conservatori hanno svolto un ruolo fondamentale e attendono entrambi una reciproca legittimazione.

Buona Primavera a tutti!

(di Silvio Da Rù)

I Quaderni - editoriale pag.1

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GALLERY MARZO 2013. GLI ARTISTI. LE CREAZIONI

I Quaderni diNuova Scena AnticaI Quaderni di Nuova Scena Antica nascono per raccogliere gli incontri significativi avvenuti nel panorama artistico contemporaneo internazionale

ANNO 5 N. 1 MARZO 2013

RIVISTA TRIMESTRALE

ARTE MUSICA PERFORMANCE

Redazione Italia

direttore responsabile SILVIO DA RU’ project & art director DANIELA BESTETTI

Nuova Scena Antica 2013 Alcuni diritti riservati

www.nuovascenaantica.it

RIVISTA ON LINE

ARTE MUSICA PERFORMANCE

SOMMARIO Editoriale 1 Arte 2 Musica 3 Performance 4 I Quaderni nel mondo 7

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SOTTOVOCE opere di Daniela Gardinazzi e Claudia NeriDiversamente dagli altri, in questo numero dedichiamo la rubrica a due diverse

artiste di talento, che in comune hanno la vittoria del Premio La Vela d’Oro nel Concorso Italia Arte Visiva Pittura e Fotografia del festival Women in Art III edizione 2011 e una delicata sensibilità per determinati temi.Parliamo di Daniela Gardinazzi (pittrice) e di Claudia Neri (fotografa), le cui opere selezionate sono state esposte nella mostra bi-personale SOTTOVOCE, che abbiamo direttamente curato e allestito per l’occasione come Premio per la vittoria al Concorso.

“Nello spazio e nel tempo ritagliati con cura e fatica dai doveri di figlia, di moglie, di madre, le donne dell’arte non hanno mai smesso di creare le loro opere. Spesso lo fanno lontano dai riflettori. In silenzio. Forse perché non è concesso loro di farlo diversamente o forse perché, per riuscire ad ascoltare la voce sommessa delle cose e vedere il volto nascosto dell’ordinario, c’è bisogno proprio di questo. Della capacità tutta femminile di conservare intatto un luogo interiore dove le idee piene di sentimento non hanno mai smesso di sussurrare e rifugiarsi, in attesa di essere ascoltate e trasformate in creazione.

Lo fanno sottovoce, come il titolo di questa mostra bi-personale, che affianca due artiste diverse per sensibilità e linguaggio espressivo, ma che in comune hanno la capacità di rivelare la dignità del piccolo, dell’ordinario, del sotterraneo, del nascosto, dell’inespresso, mettendo a disposizione la loro creatività e la loro tecnica per esprimerlo.

Opere singole e opere in serie da interpretare come gesti dell’anima che rinnovano un antico rituale di cura e pazienza, di amore, di custodia del sacro, di memoria e ricordo. O che invece nascono per esorcizzare paure e fobie del quotidiano e testimoniano la ricerca di un’identità e di un’appartenenza a cui tornare, da cui partire, a cui finalmente approdare”.

(Nuova Scena Antica, 16.03.2013)SOTTOVOCE opere di Daniela Gardinazzi e Claudia Neri

dal 16 al 24 marzo 2013Orari mostra: da lunedì a domenica dalle 16.30 alle 19.30Ingresso liberoSpazio Bresso Cultura - Piazzetta Cavour Bresso (MI)con il patrocinio di Assessorato Pari Opportunità Comune di BressoEvento inserito nella manifestazione Bresso al femminile 2013

I Quaderni - arte pag. 2

ARTEZOOM ON DANIELABio in sintesi di Daniela GardinazziScenografa, insegnante, pittrice. Dipinge da sempre, ma solo da pochi anni ha deciso di promuovere il suo lavoro al di fuori di una ristretta ce rc h ia i n t ima . D ip loma ta i n scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera (MI), nel corso degli ultimi due decenni ha affiancato all’attività di scenografa, di assistente scenografa e arredatrice, quella di docente di Disegno, Storia dell’Arte ed Educazione Artistica presso istituti super ior i e scuole medie. Ha partecipato alle collettive Animus Anima, Università Popolare di Como (2011), Matri-Arche, Villa Regina Teodolinda - Laglio (Como, 2011) e alla bi-personale Sottovoce, opere di Daniela Gardinazzi e Claudia Neri, Spazio BressoCultura (Milano, 2013). Con la sua opera Maman à la pluie vince il Premio La Vela d’Oro al Concorso Italia Arte Visiva Pittura del festival WOMEN IN ART - il femminile nell’arte (Nord Milano, 2011). Vive a Como.

https://www.facebook.com/daniela.gardinazzi

ZOOM ON CLAUDIA

Bio in sintesi di Claudia NeriDocumentar is ta, fotografa. Ha conseguito la Doppia Laurea in Sociologia in un iter formativo svolto tra le Università di Trento e Dresda. Successivamente si è specializzata nel settore audiovisivo e in particolare nel film documentario. A Berlino ha approfondito le sue competenze re lat ive a l la produzione e a l montaggio. Paral lelamente, ha co l t i va to i l suo in teresse per l’antropologia visuale e ha intrapreso un percorso di approfondimento ne l l ’ amb i t o de l l a f o t og rafia . Attualmente collabora con l’Ateneo Italo-Tedesco di Trento. I suoi scatti hanno par tecipato a numerose collettive e alla mostra bi-personale So t t ovoce , ope re d i Dan i e l a Gardinazzi e Claudia Neri, Spazio BressoCultura (Milano, 2013). Con la sua opera Clelia_01 vince il Premio La Vela d’Oro al Concorso Italia Arte V i s i va Fo tografia de l f e s t i va l WOMEN IN ART - il femminile nell’arte (Nord Milano, 2011). Vive a Trento.

https://www.facebook.com/clarine2001

“Maman à la pluie” 180x115 (2001)

“VM3” 130x103 (1998) “Clelia_01” (2008)

“Myself_02 e _04” (2011)

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Daniele D’Agaro (clarinettista, sassofonista)Clarinetto, clarinetto basso, sax-tenore e C-melody sax: sono gli strumenti prediletti di

un musicista d’eccezione, il friulano Daniele D’Agaro. D’eccezione perché all’indiscutibile maestria unisce la capacità rara di “sparire” dalla scena, per lasciare posto ai compagni con cui si esibisce. Una vita intensa, spesa tra Berlino, Amsterdam, gli USA e il suo Friuli, densa di incontri musicali entusiasmanti e le indimenticabili lezioni di vita di chi, come lui, non ha bisogno delle istituzioni per esistere nella memoria di chi lo ha ascoltato.

Come nasce Daniele D’Agaro musicista e come scopre l’universo jazz?DD: Avevo cinque o sei anni quando nella fumosa e chiassosa osteria del paese di mia pro zia, dove sono nato, entrò d'improvviso un omone, soffiando fortissimo dentro un'enorme, terrificante cosa: un tuba. Era un pittoresco personaggio che suonava nella banda; fu uno shock da cui non mi sono mai più ripreso. Attorno ai quindici anni sentii nel giradischi di un amico (noi a casa non ce l'avevamo) un LP di Carlos Santana, Live at Monterey, con uno che suonava il sax tenore (era Bennie Maupin). Fui folgorato. Acquistai questo meraviglioso tubo dorato con i soldi risparmiati lavorando durante le vacanze scolastiche. Il problema era capire come si suonasse un sassofono, dato che a quei tempi andavano di moda le chitarre. A sedici anni incontrai una persona speciale, il mio primo insegnante, Adelino Antoniazzi, muratore con la passione per il jazz, musicista completo e straordinario, un gentiluomo con una pazienza certosina. Io gli portavo i dischi dell'ultimo Coltrane, Ornette (non capivo cosa e come facessero) e lui mi diceva che prima bisognava imparare il clarinetto alla Benny Goodman. Da lì in poi, ho cercato di ascoltare più musica possibile, quasi un'ossessione, in tutte le forme, dai pigmei a Bruno Maderna, studi un po’ disordinati ma aperti a 360 gradi. Poi, la scoperta della lettura mi ha aiutato tanto. Letteratura, storia e libri di viaggi sono ancora una preziosa compagnia, colma di musica.

Che peso hanno avuto per la tua evoluzione musicale le città straniere in cui hai vissuto e i numerosissimi artisti con cui hai collaborato?DD: A diciannove anni, ero molto curioso e determinato ad imparare la musica. Avevo una zia a Berlino: fu il trampolino per trasferirmi in un punto vivo, con grande energia culturale ed artistica. Poi mi trasferii ad Amsterdam, dove studiai in maniera più approfondita e mi inserii felicemente nella scena olandese ed internazionale. Quando hai vent'anni la cosa migliore che tu possa fare è partire e trovare la tua strada, ovunque essa sia. A quell'età non ti pesano i sacrifici né avere (o non avere) due soldi in tasca; sei una spugna, che assorbe naturalmente tutto il cosmo attorno. La musica è un linguaggio universale, un dono. Coltivarlo e trasmetterlo agli altri è una fortuna rara.

In che cosa consiste quel “feeling” indispensabile che si crea per dare vita ad un nuovo progetto e per esibirsi dal vivo con altri musicisti?DD: Coraggio ed immaginazione, credo, ma anche tanto lavoro. Il musicista è un artigiano che lavora su misura, deve possedere il mestiere e allo stesso tempo sentire il baleno, il guizzo obliquo ed asimmetrico che lo fa sentire vivo ed in sintonia con il mondo.

Nel bene e nel male, qual è la relazione tra la tua vita e la tua musica?DD: Ho trovato con la musica un linguaggio con cui crescere, comunicare, esprimermi. La musica mi ha portato a conoscere le lingue, a leggere, apprezzare il teatro, la danza, le arti. Sono fortunato. E' un viaggio che continua e spero mi accompagni tutta la vita.

Grazie, Daniele.

(intervista a Daniele D’Agaro del 28.03.2013)

I Quaderni - musica pag. 3

MUSICAZOOM ON DANIELE1. Il tuo maggior pregioNon ne trovo. Sono però curioso.

2. Il tuo peggior difettoTanti e troppi, aggiunti ad uno tragico: la lentezza nel capire le cose.

3. Progetti per il futuroI Concerti Casalinghi con la mia compagna Chiara De Santi, che teniamo nella nostra taverna, presentando musicisti originali abbinati ad un menu enogastronomico con prodotti dei nostri amici contadini. A fine luglio, Lo Spazio Attorno, rassegna musicale nelle ville e antiche chiesette dei Comuni attorno a Ronchi dei Legionari (GO).

Bio in sintesi di Daniele D’AgaroInizia la sua attività nel 1979 con la Mitteleuropa Orchestra e si trasferisce a Berlino. Nel 1983 si sposta ad Amsterdam, dove lavora con i gruppi più rappresentativi in campo jazz e musica improvvisata (B. Bailey, M. Mengelberg, L. Moholo). Fa parte delle formazion i o landes i J .C . Tans Orchestra, Sean Bergin's MOB, Frankie Douglas' Sunchild. Nel 1989 forma il trio Lingua Franca con il violoncellista T. Honsinger e il bassista E. Glerum, e il Trio San Francisco, con i colleghi S. Bergin e T. Delius. Del 1993 è il tour Cosmic dialects con il trio Lingua Franca e del 1996 il tour Hidden Treasures, con il trombettista B. Bailey dedicato ai manoscritti inediti di Don Byas. Poi torna a vivere in Friuli, dove forma un duo con M. Costantini all'organo liturgico. Nel 1998 è in tour con il bassista M. Helias e incide il cd Gentle Ben. Nel 2001 è a Chicago con altri inediti di Don Byas e nel 2002 registra il cd live Strandjutters con H. Bennink ed E. Glerum. Seguono concerti negli USA in quartetto con R. Barry, J. Bishop e K. Kessler (2002/03/04/05/06); a Chicago insegna al School of Art Institute. Dal 2003 dirige The Adriatics O r c hes t r a , amp ia f o r maz ione internazionale. Nel 2006 forma un d u o c o n i l p i a n i s t a A . v o n Schlippenbach, con cui incide il cd Dedalus. Nel 2007 esce il cd live Comeglians, diviene parte stabile della Globe Unity Orchestra e si esibisce in duo con il pianista F. D'Andrea e il suo quintetto; vince il premio della critica TopJazz come “miglior sassofonista e clarinettista italiano”, quinto come “musicista dell'anno”. Il cd Comeglians è terzo come “miglior cd dell'anno". Nel 2008 vince di nuovo il TopJazz nella categoria "sax e clarinetto". Negli ultimi anni, oltre a due tours in Russia, forma il quartetto Wild Bread

con M. Ottolini, S. Senni e C. Calcagnile. www.dagaro.it

foto Luca D’Agostino/Phocus Agency 2011

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C.U.T. Perugia (Centro Universitario Teatrale)Molto si deve al cosiddetto teatro di ricerca. Molto (forse troppo) si è detto e scritto

sulla pedagogia e le figure illustri in quest’ambito. Accanto ai “celebri noti”, esistono realtà che non hanno fatto di queste esperienze un cliché e continuano il loro lavoro anche lontano dai riflettori. Roberto Ruggieri, direttore artistico dello storico C.U.T di Perugia, è uno di questi esempi. Abbiano deciso di dedicare uno spazio inusualmente ampio a questo incontro, sia per l’attinenza con il tema proposto in questo numero, sia per il valore della sua testimonianza.

Quale era il senso della ricerca teatrale negli anni ’70 e ’80?RR: Nel Novecento il teatro si è profondamente trasformato, ma non è cambiato purtroppo il modo di parlarne, di darne testimonianza, nonostante tutto, di averne conoscenza e coscienza. C’è una evidenza che concerne la storiografia del teatro (e non solo): essa ci tramanda un teatro fatto solo di attori divenuti celebri, di testi letterari, di poetiche, di spettacoli e di ideologie, di uomini eccellenti, per lo più registi a partire dal primo Novecento, divenuti famosi, tralasciando e relegando in disparte o ignorando i collettivi e la maggior parte degli artigiani teatrali a loro contemporanei, che hanno rappresentato buona parte del panorama teatrale esistente a margine di quello entrato nelle cronache coeve. Eppure di tante pregevoli esperienze teatrali non ne troviamo traccia; quante ricerche sono rimaste sommerse e quante sofferte tensioni, che pure hanno sostanziato il teatro, sono state relegate in ombra e ignorate, come non fossero mai esistite. Nelle scuole, negli studi e negli ateliers aperti al futuro, le utopie si fecero concrete, le creazioni spirituali degli attori, famosi e non, si resero visibili attraverso un duro, faticoso e rigoroso lavoro volto ad individuare e tramandare i princìpi della creatività scenica. Senza di loro, il teatro non si sarebbe mai potuto evolvere e non avrebbe mai elaborato una propria cultura. Oltre a ricercare le tecniche attoriali, si cercò di definire nel rapporto tra maestri e allievi la formazione di un uomo nuovo. L’ampliamento della storia istituzionale e ufficiale del teatro, di tutto il teatro, parlando di esperienze dal punto di vista di chi le fa, potrebbe consentire di conoscere, documentare, differenziare ed accrescere la visione del panorama dell’esistente, spingendo l’interesse di ognuno oltre i modelli veicolanti una cultura di mercato (cultura che tende a sua volta a veicolare questi stessi modelli); e potrebbe anche dilatare le menti degli osservatori di professione e degli stessi spettatori, sempre relegati nel ruolo di semplici fruitori di prodotti di consumo pubblicizzati dalle grandi istituzioni, per condurli oltre il consumo di spettacoli. Potrebbero nascere sguardi diversi, dal di dentro e dal di fuori, osando spingersi fin dentro le zone d’ombra, dove rimangono ancora pervicaci forme di vita, dove magari si ripara ancora qualche solitario artista, com’è il nostro caso, ostinato a perseguire e a dare continuità ad un teatro d’arte, “altro” rispetto ai definitissimi apodittici teatri istituzionali.Negli anni ’70 e ’80 in Italia il teatro deflagrò e si riversò nella vita, al di fuori degli edifici teatrali, contribuendo così alla creazione di un ribelle clima di contestazione, che come si sa pervase l’intera società, dai piccoli ai grandi centri urbani. Tuttavia sono passati alla storia solo i grandi nomi, ma il fermento era generale e senza questa capillare diffusione le grandi stelle non avrebbero potuto brillare così vivacemente. Il teatro in quegli anni era ancora con-diviso comunitariamente. Anticipava e alimentava al tempo stesso il clima di contestazione tipico di quegli anni: non c’era spettacolo senza un acceso dibattito conclusivo, che sanciva come una sigla il termine del rituale collettivo. Il teatro divenne un vessillo libertario, più in senso politico che artistico. Voglio dire con questo che chi praticava teatro doveva acquisire anzitutto una coscienza politica, e da buon avanguardista doveva educarla per saper poi orientare quella altrui, leggendo e interpretando gli avvenimenti politici e sociali oltre ogni condizionamento culturale.

(l’intervista prosegue alla pagina seguente)

I Quaderni - performance pag. 4

PERFORMANCEZOOM ON C.U.T. Perugia

1. Il vostro maggior pregioLa nostra rigorosa riservatezza.

2. Il vostro peggior difettoLa nostra rigorosa riservatezza.

3. Progetti per il futuroTornare più vicino possibile alle origini.

Bio in sintesi di C.U.T. PerugiaNasce nel 1963. Dal ’64 agli anni ’80 anima la rassegna Teatro in piazza. Nel ‘67 organizza con Dario Fo un convegno dei C.U.T. italiani, invitando per la prima volta il Living Theatre, esperienza che segna le scelte artistiche di molti C.U.T. nazionali. Dal ‘85, sotto la direzione di Roberto Ruggieri, si qualifica come centro alternativo di pedagogia e di ricerca teatrale, riconosciuto da Teatro Stabile dell’Umbria, Comune e Provincia di Perugia, Regione Umbria, CEE, Ministero del Lavoro, da istituti universitari, accademie e centri di ricerca nazionali ed internazionali. Promuove eventi teatrali, conferenze, dimostrazioni, corsi, laboratori, seminari di pedagogia, saggi e spettacoli con la regia di autorevoli uomini di teatro, italiani e stranieri. Ottiene numerosi riconoscimenti in ambi to anche in t e rnaz iona le , ricevendo docenti di prestigiose istituzioni accademiche europee. Produce spettacoli, tra i più recenti Ombre umbrae – seduta psiconautica (2008), Io Erode principessa di Giudea – Kammerspiel psiconautico (2009), Una giornata molto, molto p a r t i c o l a r e – K a m m e r s p i e l psiconautico (2009), Battiti d’ali notturni – seduta psiconautica (2010), Fade-out backstage d’autore in dissolvenza - seduta psiconautica (2011), tutti con la regia di Roberto Ruggieri. Roberto Ruggieri (già direttore, fondatore e regista del Teatro Studio 3 di Perugia) negli anni ‘80 realizza la regia di spettacoli segnalati da Repubblica per il Premio Ubu come “ g r u p p o s p e r i m e n t a l e de l l ’ anno” (1981) , “m ig l i o re spettacolo dell’anno” (1984) e da altri critici e studiosi come “migliore a l l e s t imen to t ecn i co” (1983) , “migliore nuova attrice e migliore disegno luci” (1984). Da 40 anni è studioso esperto di alta pedagogia teatrale.

http://cutperugia.blogspot.it

“Una giornata molto, molto particolare” regia R. Ruggieri

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I Quaderni - performance pag. 5

I Centri Universitari Teatrali ad esempio, presenti e radicati in molte regioni, negli anni Sessanta/Settanta furono una delle fucine di quel tentativo di rinnovamento culturale: luoghi frequentati da migliaia di giovani, dove fervevano dibattiti e confronti assai vivaci. I festival universitari rappresentavano la vetrina della ricerca e sperimentazione teatrale. Il teatro anticipava e alimentava al tempo stesso il clima contestativo di presa di coscienza tipico di quegli anni. Furono creati centri culturali e circuiti alternativi completamente autogestiti, anch’essi frequentati assiduamente da migliaia di giovani. Più che alle individualità si pensava ai collettivi, cercando di oltrepassare le divisioni di ruoli. Alcune dissacranti e originali personalità teatrali agirono sia in luoghi alternativi che all’interno di spazi teatrali, ma sempre in cerca di un rinnovamento, che tuttavia nel loro caso doveva riguardare anche l’ambito artistico e antropologico-teatrale, comunque svincolati dai limiti di vetuste ritualità mondane. In ogni caso si trattava di esperienze teatrali espressione di quei tempi. Lo stesso concetto di “arte” fu messo in discussione e contestato apertamente. Si cercarono nuove modalità di interazione tra attori e spettatori, oltre ogni rigida separazione spaziale. Con Grotowski si arenò perfino il concetto indeterminato di pubblico a favore di quello di spettatore. Da alcune di queste grandi individualità nacque l’esigenza di scrivere sulla scena, spingendosi oltre la sudditanza nei confronti del testo letterario. Il teatro, con il contributo di tutti, uscendo dai teatri, cioè da se stesso, tornò in vita.

Qual è il senso della ricerca teatrale oggi?RR: Dividere il teatro in categorie verticali lo trovo riduttivo e non corrispondente alla verità delle cose. Grotowski, ad esempio, era avanguardia? Lui lo negava, asseriva di essere nel solco di una tradizione. Rispondo per me, anche perché non ho una grande conoscenza dell’attuale “avanguardia” teatrale. Me ne sto disinteressando sempre più. Pochi teatri sono rimasti luoghi d’innalzamento spirituale. Le ricerche che ho condotto mi hanno portato oltre i confini teatrali. L’oggetto d’indagine per me rimane l’uomo o per meglio dire le dinamiche della mente umana. Ormai il teatro è uscito dai teatri e, assaporata la libertà, non è più intenzionato a rientrare dentro. Non esistono più confini. Ma io per non perdermi, come la fisica quantistica, esamino attentamente il micro per cercare di comprendere il macro.

Molti dei tuoi progetti e spettacoli recenti recano la dicitura “seduta o kammerspiel psiconautico”. Cosa significa e dove attinge?RR: Lo psiconauta viaggia dentro di sé, nel tempo/spazio interiore. E’ uno psico-crono-nauta. Col tempo ho imparato che, seguendo percorsi psiconautici, com’è stata mia specifica e consolidata prassi, ci si deve abbandonare “serendipitamente” all’ignoto ed enigmatico corso degli eventi, lasciandosi guidare dallo spettacolo nel suo esplicarsi, dai segnali evanescenti emanati dall’anima. “Serendipità” è il termine col quale Eugenio Barba ha definito la tecnica di trovare ciò che non si cerca. Per me è parte integrante della “psiconautica teatrale”, ha a che fare con l’integrità dell’individuo. Una performance vive grazie a molte radici, alcune visibili, altre ignote, a volte esse si occultano enigmaticamente anche agli occhi dello stesso soggetto agente. Accompagnandolo in forma di misteriose intuizioni durante tutto il percorso creativo, tracciano

imperscrutabilmente il suo per molti versi occulto e mistico viaggio. Potrei dire con Pessoa che attraverso queste pratiche ci siamo misurati con il nostro tedio, con il male di vivere, ost inati a voler comprendere nel modo più puro possibile la ragione int ima e occulta d e l l e c o s e , c o n s a p e v o l i dell’impossibilità di cogl iere i l senso divino della vita, c o n l a n o s t r a ragione che vuol a c c h i a p p a r e l e mister iose ombre della vita, mentre ci trafigge di pensieri.

(l’intervista prosegue alla pagina seguente)

“Ombre Umbrae” regia R. Ruggieri

“Ceneri dagli inferi” regia R. Ruggieri

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Il performer cronopsiconauta si conferma autore, in grado di scrivere con il suo peculiare inchiostro, attingendovi come penna se stesso per cercare di decifrare l’inafferrabile enigmaticità della vita e del teatro. Registro in progress la mia dissolvenza d’autore. Ho trovato ai confini estremi del teatro un senso performativo all’ineffabilità di me stesso e agli occulti messaggi e significati provenienti dalla vita e dal teatro. La via negativa, tensione metafisica in tollere, che ho sempre cercato di seguire, sulla scia di Grotowski, ha esatto alla fine l’oblio; oblio manifestatosi come progressiva rinuncia all’azione esteriore da parte del performer, attraverso una sobria, integra e contenuta presenza, in funzione dell’atto interiore, con-tenuto, in grado così com’è, allo stato d’impulso, di evocare furtivamente l’azione alla memoria dei testimoni, privo d’inutili estroversioni. La psiconautica teatrale sarebbe più opportuno definirla crono-psiconautica teatrale. Lo psiconauta è, come dice il nome, un viaggiatore della psiche, consapevole tuttavia che anche la mente è, come tutto, un’illusione e, proprio per questo fatto, in virtù di ciò, si può dire che è un crononauta: viaggia nel tempo/spazio, oltre le attraenti illusioni dei sensi.

Egli narra di sé. E scrive utilizzando come pennino – lo diceva Pessoa – se stesso. Come contrappunto rispetto a queste tentazioni esoteriche, perseguo una metodica basta sul pragmatismo, in questo senso “scientifica”. Parto dai principi, sempre verificati praticamente, secondo una maieutica induttiva. Si tratta di un teatro evocativo. Le azioni sono interiori ma con grande qualità evocativa. Da centro a centro.Kammerspiel “teatro da camera” è un termine di origine tedesca di cui mi sono avvalso per sottotitolare alcune mie ultime creazioni. S’intende con questo termine una forma e una pratica di teatro in spazi raccolti, a misura d’uomo, che per me si è trasformata pian piano da necessità, avendo a disposizione una sede abbastanza contenuta nelle dimensioni, a scelta stilistica e comunicativa irrinunciabile. Sono trascorsi ormai quasi quarant’anni da quando ho riconosciuto, latente in me e in sommo grado, un’intensa attrazione nel predisporre e nel dare rilievo promiscuamente ad una certa vicinanza d’azione tra i performers/psiconauti e i testimoni/psiconauti.Storicamente, il primo Kammerspiel fu ideato da Reinhardt per eseguire spettacoli particolari, esigenti, con speciali atmosfere di raccolta intimità. Egli fece costruire una saletta più piccola a fianco del Deutsches Theater, saletta che venne inaugurata nel 1906 con “Spettri” di Ibsen. Anche Strindberg usò il termine per i suoi quattro lavori “da camera”: e un Kammerspiel era, in sostanza, il suo Intima Teater. L’uso del termine tedesco è un tributo che debbo a colui che lo ideò.Il termine “seduta” (in riferimento alla psiconautica) fu originariamente coniato da Ludwik Flaszen, nostro stretto collaboratore da oltre venti anni, co-fondatore con Grotowski del Teatr Laboratorium, ed è un mio tributo personale a Tadeusz Kantor che definì così la sua “Classe morta”. Ho utilizzato questa definizione per evidenziare l’ambito psico-performativo delle performance, anziché quello spettacolare. A partire dai primi decenni del Novecento, furono molti e autorevoli i registi e i drammaturghi che durante questo secolo operarono le loro proficue ricerche all’interno di piccoli teatri, di spazi non canonici, di Studi, perfino di salotti e cantine, e che furono protagonisti e testimoni di raccolti eventi e di singolari dimostrazioni di lavoro: oltre ai già citati Reinhardt e Strindberg, è d’obbligo ricordare Grotowski, Stanislavskij, Vachtangov, Michaìl Cechov, Mejerchol’d, Tairov, Brecht, Decroux, Ejzenstejn, Barba, Kantor, Bene, Leo de Berardinis. L’elenco completo sarebbe interminabile.

Grazie, Roberto. (intervista a Roberto Ruggieri del 15.03.2013)

I Quaderni - performance pag. 6

Immagine per la locandina dello spettacolo

“Io Erode principessa di Giudea -

Kammerspiel psiconautico”regia Roberto Ruggieri

C.U.T. PerugiaCentro Universitario Teatrale

Piazza del Drago n. 106123 - Perugia

Telefono e fax: 075 5731666 Email: [email protected]

“Trappola per topi” regia R. Ruggieri

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Ed ora la parola ai nostri portavoce dall’estero per scoprire cosa succede nel resto del mondo.

I Quaderni nel Mondo pag. 7

I Quaderni nel mondo(ES) Daniela De Marchi

"Un créateur, c’est

pas un êt re qui t ravai l le pour le plaisir. Un créateur ne fait que ce dont i l a abso lument b e s o i n " ( G i l l e s Deleuze). Se, da un

lato creare è un bisogno primario dell'artista, è pur vero che la gestazione artistica richiede un profondo senso di responsabilità. Dare vita ad un'opera d'arte comporta prendere delle decisioni, cercare la coerenza delle parti con il tutto, i l giusto equilibrio fra prevedibilità e sorpresa, fra varietà e unità. "In arte, l’irresponsabilità si traduce nella ricerca del più vano dei traguardi: la libertà totale." (Igor Stravinsky). Tanto orrore aveva il compositore russo di quest'ultima c h e s i o b b l i g a v a a v i n c o l i autocreati, non solo per sfidarsi, ma soprattutto per limitare il numero delle varianti e circoscrivere il campo delle infinite possibilità. Ma qui entriamo nel campo dell'etica, vediamo i confini che separano arte e vita assottigliarsi e l'artista confondersi con la sua opera...

www.danielademarchi.es

(BR) Sergio Nunes MeloIn una classe dal vivo sul lavoro di Jerzy Grotowski, una volta Peter Brook disse che era lì presente per t e s t i m o n i a r e u n ’ e s p e r i e n z a spirituale. Avendo

consapevolezza di usare quella che lu i s tesso def in ì "una paro la esplosiva", decise di chiarirla. Brook spiegò allora che con la parola spirituale intendeva l’esperienza di fare un viaggio dal conosciuto all’ignoto. Il mistero dell'arte, che mai sarà chiarito, si offre a noi a n c h e s e n o n l o c a p i a m o completamente, quando ad e s e m p i o s i a m o f i d u c i o s i e c o r a g g i o s i a b b a s t a n z a d a consegnarci ad un progetto senza sapere esattamente cio che verrà. L'opera allora, come risultato (se uno si accontenta di un risultato), ci appare davanti quando vuole, se sapremo chiamarla e seguirla...

In questo numero Daniela ha scelto per noi

SUSANNA CRESPO HELD. Soprano.Cual es la parte creativa de un intérprete, sobre todo de música antigua?SCH: La parte creativa en todas las artes es "aportar algo de uno mismo". La música antigua, que es a la que más tiempo y energía dedico, a mí me mueve conectar con una esencia universal e

intemporal, a través de un lenguaje quizá en desuso o aparentemente obsoleto. Es como realizar un viaje a la búsqueda de una esencia que persiste a través del tiempo, aplicando la intuición y teniendo en cuenta las formas y los recursos estilísticos que se me ofrecen en numerosas fuentes de información; vivirlas, digerirlas, para poder ofrecer, desde mi experiencia, conocimiento y habilidad, mi propia versión.En qué manera tu actividad de intérprete-creadora de nuevas versiones entra en relación con tu vida cotidiana?SCH: Mi actividad interpretativa - creadora intenta ser una extensión de mi propio estilo de vida: soy curiosa, me gusta adentrarme en nuevas experiencias, intento disfrutar de la vida en todas sus dimensiones, conocer diferentes maneras de pensar, de comunicar, intento acercarme a un nuevo repertorio sin miedos y sin prescindir de mi intuición. A esta "receta creativa" le añado un cierto rigor y un flexible marco de análisis... Esto se traduce en práctica diaria, cuidado de mi cuerpo y de mi alma, cambio de impresiones con colegas con los que comparto esta pasión, mucha lectura y estar frecuentemente "en las nubes"... También forma parte de mi cotidianidad!De dónde nace una nueva interpretación?SCH: Creo que nace de una necesidad, de una respuesta a una inquietud, ya sea personal o colectiva. En mi caso, intento comunicar aquello que otros han escrito en un documento (partitura) a través de un lenguaje sonoro que va más allá de las palabras, utilizando los recursos que encuentro más apropiados y sobre los que me documento constantemente. La música antigua goza de una estrecha relación entre música y texto, que es lo que más me gusta de este período. Es un continuo evolucionar, una constante insatisfacción en la

búsqueda de una posible verdad. http://www.susannacrespo.com

In questo numero Sergio ha scelto per noi

THE SHAKESPEARE ASSOCIATION OF AMERICA. Looking for answers.So, how can an academic event be worth discussing here? Possibly because creativity, that is, the activity of engendering whatever prevails over death, has never had, and appears it will never

have, satisfactory definitive answers. Here I am in Toronto for the annual conference of The Shakespeare Association of America and I have taken upon myself the task of blowing the whistle concerning a problem of our time: if an artwork, such as a dramatic text, has been reenacted for centuries, isn't it because it has a formal consistency no matter how subjectively we may approach it? Art's mystery doesn't necessarily equate with unrestricted relativism as many intellectuals and artists alike claim today. Conversely, a productive engagement of a theatre practitioner with a Shakespearean playtext is grounded in the willingness to achieve the clarity of what is expressed in the text because subjectivity will always be there no matter how hardly one tries to be objective. In this horizon, the art of blowing life to Shakespearean characters relies heavily on the commitment to make silence within us so that we can listen to what they want to say and do. The mystery of recreating the original practices of Shakespearean dramaturgy is related to the respect we have for the ghosts who enable our existence as such these days.

http://www.shakespeareassociation.org

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I Quaderni di Nuova Scena Antica pag. 8

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Il prossimo appuntamento è per giugno 2013con un nuovo numero de I QUADERNI

Arrivederci

RIVISTA TRIMESTRALEANNO 5 N. 1 - MARZO 2013

IN QUESTO NUMEROHanno collaborato:Daniela De Marchi (ES), Sergio Nunes Melo (BR)

Desideriamo ringraziare:Daniela Gardinazzi e Claudia NeriDaniele D’AgaroRoberto Ruggieri e C.U.T. Perugia

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