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“Il microscopio operatorio: configurazione base,
accessori e sistemi di documentazione al passo con le
nuove tecnologie”
AIOM Accademia Italiana di Odontoiatria Microscopica Claudio Modena, Giovanni Schianchi, Luigi Scagnoli, Carmelo Pulella INDICE
1 ANATOMIA E CONFIGURAZIONE DEL MICROSCOPIO OPERATORIO 1.1 Componente ottica 1.2 Componente meccanica
2 GLI ACCESSORI 2.1 Accessori per documentazione 2.2 I monitor 2.3 I filtri
3 CONCLUSIONI
1 – ANATOMIA E CONFIGURAZIONE DEL MICROSCOPIO OPERATORIO
A partire dai tempi in cui si trovava solo presso gli studi specialistici di endodonzia
(Carr, 1992), fino ad oggi in cui diventa attrattivo anche per il dentista generico, il
microscopio operatorio è oramai uno strumento sempre più presente negli studi
odontoiatrici. L’esigenza “vedere più grande” non è nuova in odontoiatria visto che
già nel 1947 Kroll teorizzava l’uso di “loupe” ingrandenti (Kroll, 1947). I campi di
applicazione sono cresciuti dalla parodontologia (Belcher, 2001) (Cortellini &
Tonetti, 2001), alla protesi (Nase, 2003) fino alla profilassi (Mamoun, 2013).
1.1 - LA COMPONENTE OTTICA
Come è fatto il microscopio operatorio? Il cuore del microscopio operatorio è il corpo
centrale o unità d’ingrandimento nella quale sono contenuti i meccanismi che
permettono di passare da un ingrandimento all’altro attraverso scatti incrementali
oppure tramite zoom meccanici o elettrocomandati. A monte del corpo centrale vi
sono gli oculari che sono inseriti in un supporto binoculare inclinabile (in genere 0°-
45° o 0°-180°) che permette la regolazione della distanza inter-pupillare.
All’estremità inferiore del corpo è montato l’obiettivo classificato in base alla
distanza focale espressa in millimetri (200mm, 250mm, 300mm, 400mm)(fig 1). Gli
obiettivi maggiormente impiegati sono il 200 ed il 250 abbinati ad oculari 10x o12,5x
(Riccitiello & Schianchi, 2013). La qualità costruttiva delle lenti utilizzate influisce
molto sulla qualità dell’immagine. Le lenti impiegate sono generalmente lenti
apocromatiche che riducono al minimo l’aberrazione cromatica. “L’aberrazione
cromatica assiale (cioè presente anche lungo l'asse ottico) è un difetto nella
formazione dell'immagine dovuta al diverso valore di rifrazione delle diverse
lunghezze d'onda che compongono la luce che passa attraverso il mezzo ottico.
Questo si traduce in immagini che presentano ai bordi dei soggetti aloni colorati. È
un difetto del quale, in diversa misura, sono affetti tutti i sistemi ottici a lenti”
(aberrazione cromatica, 2016). La lente apocromatica è un sistema ottico in grado di
mettere a fuoco nello stesso punto la luce di tre diverse lunghezze d'onda (blu verde e
rosso). Per costruire un sistema ottico apocromatico classico si abbinano almeno 3
vetri diversi aventi differenti coefficienti di dispersione ottica ove per dispersione
ottica s’intende la scomposizione del fascio di luce che passa attraverso un corpo (es.
un prisma) nelle varie componenti spettrali che lo compongono.
Tra il corpo ed il supporto binoculare viene spesso montato il partitore ottico. Questo
accessorio consente attraverso un prisma riflettente di deviare l’immagine verso un
secondo tubo binoculare (ad es. per un secondo operatore) oppure verso sistemi di
ripresa collegati al partitore quali fotocamere o videocamere.
Come è facile intuire vi sono diversi produttori di microscopi e diversi lay-out di
questo strumento in base alle differenti esigenze. Si va da configurazioni
estremamente basilari (colposcopi) fino ai sistemi che integrano navigatori digitali e
sistemi integrati simili a quello dei caschi dei piloti di aerei caccia che vengono
utilizzati in neurochirurgia (Oppenlander, Chowdhry, Merkl, Hattendorf, Nakaji, &
Spetzler, 2014).
Nella professione odontoiatrica qual è la configurazione base e quali sono gli
accessori più utili ed al passo con le attuali tecnologie?
Prima di tutto partiamo da alcuni concetti ottici di base. Il microscopio operatorio è
per definizione uno “stereomicroscopio”, cioè un microscopio in cui l’immagine
proveniente tramite la lente obiettivo viene deviata in due percorsi ottici diversi che
attraversando un sistema di lenti galileiano (telescopio rifrattore) , conducono
Fig 1 Schema del Microscopio operatorio (Bahcall, 2013)
all’oculare destro e a quello sinistro permettendo di ottenere due immagini diverse,
una all’occhio destro e l’altra al sinistro, che a livello della corteccia cerebrale
vengono composte in una immagine unica tridimensionale (visione stereoscopica o
stereopsi). La luce in questo tipo di microscopio è coassiale rispetto al percorso
visivo e illumina l’oggetto che a sua volta riflette la luce all’interno dello strumento
(luce riflessa).
L’immagine percepita attraverso gli oculari risulterà di grande nitidezza, ingrandita e
con buona profondità di campo. All’aumentare dell’ingrandimento avremo una
riduzione della profondità di campo e un aumento del potere di risoluzione (fig. 2 e 3)
L’unità di illuminazione pur non essendo un componente ottico puro (lente) la
consideriamo comunque parte della parte ottica dello strumento. Essa viene
convogliata all’interno del corpo attraverso diversi sistemi (specchi, fibre ottiche etc.)
e indirizzata nella stessa direzione del percorso visivo al fine di averne lo stesso asse.
Il risultato è la riduzione delle zone d’ombra che verrebbero a generarsi con luce
proveniente con assi diverse rispetto all’asse visivo.
Fig. 2 PROFONDITÀ DI CAMPO Si intende la distanza tra due piani (A e B) nella quale si trova l’oggetto inquadrato e nella quale tutti i punti risultano a fuoco.
Fig. 3 POTERE DI RISOLUZIONE. È la capacità di riconoscere due punti contigui (A e B) come punti distinti. Oltre il potere di risoluzione vengono percepiti come un unico punto. Il potere di risoluzione dell’occhio umano è di 0,1 mm quello di un microscopio operatorio arriva a 0,2 μm quello di un microscopio elettronico a 0,0004 nm
Le fonti luminose
possono essere di diverso tipo. Il microscopio a luce “calda dispone di una lampada
alogena, montata direttamente sul microscopio o su una fonte esterna e trasmessa al
corpo macchina attraverso specchi riflettenti e permette di avere una potenza
luminosa variabile da 5.400 lux a 120.000 lux. All’interno è incorporata anche la
lampada di emergenza che può essere facilmente attivata in caso di necessità tramite
un pulsante deviatore. Ha una temperatura di 3.500 °K.
Le fonti a luce fredda raggiungono all’incirca i 250.000 lux e sono generalmente
esterne, alloggiate sul palo verticale del supporto o nel braccio, e contengono
lampade allo xeno. La luce viene veicolata all’interno del corpo ottico con sistemi a
fibra ottica. Il gruppo delle lampade, trovandosi lontano dalla testata, dissipa meglio
il calore è lontano corpo del microscopio che risulta essere “freddo”. Ha una
temperatura vicina ai 5500°K.
Oggi possiamo disporre di altre innovazioni quali le luci a led, che offrono una
potenza decisamente elevata e consumi energetici bassi.
Gli ingrandimenti ottenibili con il microscopio dipendono molto dalla sua
configurazione. Il potere di ingrandimento totale di un microscopio operatorio
Fig 4. Linea bianca e verde percorso visivo e sua risultante, linea rossa percorso della luce
Fig 5 e 6 Unità di illuminazione esterna e unità d’illuminazione solidale al corpo ottico
dipende dalla lunghezza focale dell’obiettivo, dalla lunghezza meccanica del tubo e
dalla potenza dell’oculare: minore è la lunghezza focale, più lungo è il tubo e
maggiore è l’ingrandimento (Montagna & Dal Pont, 2003).
Vi è una formula per calcolare l’esatto ingrandimento a cui si lavora:
���� =����
���∗ ∗ ���� .
i tot = ingrandimento totale f bin = distanza focale del tubo binoculare corrisponde alla lunghezza meccanica del tubo binoculare in genere 160-170 mm f ob = distanza focale dell’obiettivo, generalmente 200 o 250 mm a = fattore ottico intermedio d’ingrandimento (è detto anche fattore di ingrandimento della torretta e di solitovaria da 0,4 a 2,5 x) i ocul = ingrandimento dell’oculare usualmente 10 – 12,5 -20x) Facendo un esempio pratico con un oculare 12,5 un obiettivo di 200 mm, dei tubi
binoculare da 160 mm e fattore ottico intermedio di 1,5 otterremo questo risultato:
160
200× 1,5 × 12,5 = 15
con la stessa configurazione ma con fattore ottico intermedio di 0,4 (il più piccolo)
avremo questo ingrandimento:
160
200× 0,4 × 12,5 = 4
La configurazione base varia a seconda dei produttori ma in genere prevede oculari
10 o 12,5 x, tubi binoculari da 160 mm, obiettivo da 200 o 250 mm e 3 o 5 fattori
intermedi (0,4 – 1 - 1,5 – 2 - 2,5). In alcune configurazioni i fattori intermedi sono
sostituiti da un meccanismo di zoom che permette gradualmente e senza scatti di
variare a piacere l’ingrandimento finale. L’intervallo di ingrandimento con oculari
12,5x, binoculari da 160 mm e obiettivo da 200 mm va da 4x a 25x.
Per poter avere la migliore visione possibile gli oculari debbono possedere una
caratteristica fondamentale, la regolazione diottrica. Non regolare le diottrie sugli
oculari porta spiacevoli conseguenze. Iniziamo dalla perdita della parafocalità, ossia
della capacità, una volta messa a fuoco l’immagine al massimo ingrandimento, di
rimanere sempre a fuoco al variare degli ingrandimenti. Altra conseguenza della
cattiva regolazione diottrica è un affaticamento dell’occhio con diminuzione della sua
capacità intrinseca di regolare correzioni diottriche errate.
L’affaticamento si manifesta con cefalea, riduzione della capacità di percepire
dettagli fini, sdoppiamento della visione. Ultima conseguenza, quando sono collegate
video o fotocamere, sono immagini fotografiche e filmati sfuocati.
Per regolare correttamente la correzione diottrica va tracciato su un foglio bianco il
disegno della figura 7, si portano i correttori diottrici sullo zero, e si mette a fuoco
l’immagine al massimo ingrandimento. Fatto questo, senza regolare la messa a fuoco,
si passa all’ingrandimento minimo e si posiziona il correttore diottrico sul +5,
dopodiché si ruota il correttore diottrico verso sinistra fino a quando il disegno non
appare a fuoco. Questo dovrebbe essere il punto di transizione tra infinito e finito in
cui lo sforzo di accomodazione dell’occhio è il minore possibile. La manovra va
ripetuta singolarmente per ognuno dei due occhi e ripetuta spesso (Gorni, 2015).
I portatori di occhiali correttivi faranno la correzione indossando gli occhiali ed è
bene che li indossino anche durante l’utilizzo clinico dello strumento.
Accessorio importante della testata (o corpo) del microscopio è il ripartitore ottico o
“beamsplitter”. Questo accessorio si interpone tra i tubi binoculare ed il corpo
ingrandente ed ha la funzione, attraverso dei prismi riflettenti di sdoppiare il segnale
e dirigerlo agli accessori collegati. Spesso nelle sale operatorie viene collegato al
ripartitore ottico un secondo tubo binoculare utilizzato dal secondo operatore, mentre
nell’allestimento usuale degli studi odontoiatrici vengono collegate al ripartitore
macchine fotografiche e videocamere. Nell’ambito medicale generalmente i sistemi
di videoripresa e videoregistrazione sono estremamente costosi e utilizzano
videocamere con attacco a C ad alta definizione collegate ad unità di registrazione e
stoccaggio delle riprese esterne. Con l’avvento della microscopia operativa negli
studi odontoiatrici è nata l’esigenza di avere sistemi di ripresa a costi più accessibili
Fig. 7
e, grazie all’impegno di professionisti e tecnici, si è arrivati a poter collegare ai
microscopi apparecchi di tipo “consumer” di fascia medio alta, reperibili nei normali
negozi di foto-ottica ed elettronica di consumo.
1.2 - LA COMPONENTE MECCANICA
Dopo aver visto la parte ottica del microscopio ora vediamo come essa è collegata a
un sistema di supporto. Tale sistema potremmo definirlo, per semplicità, come la
componente meccanica del microscopio, pur consci che parti meccaniche sono
presenti anche nel corpo ottico (es. variatore del fattore d’ingrandimento).
Possiamo riconoscere una base, un braccio girevole, un braccio sospeso e uno o più
snodi. La base o stativo consente di installare l’apparecchiatura in più modalità.
Lo stativo a pavimento può essere solidale al pavimento o dotato di ruote che
consentono di spostare lo strumento in differenti aree operative. In questo secondo
caso le ruote sono dotate di freni di bloccaggio in modo che, una volta correttamente
posizionato, non via siano spostamenti. La collocazione ideale della base, se non vi
sono necessità di trasferimento tra i diversi ambienti, è al di sopra del riunito
odontoiatrico, ancorata al soffitto. Questo posizionamento consente di portare
agevolmente il microscopio sull’area operativa senza interferire nei movimenti del
clinico e dell’assistente alla poltrona. In base alle escursioni dei bracci articolati e
della posizione della poltrona a schienale abbassato viene determinato il punto
migliore di ancoraggio al fine di assicurare una ottimale manovrabilità del
microscopio. Un compromesso tra lo stativo a pavimento e quello a soffitto è lo
stativo a parete che può essere posizionato alle spalle o al fianco del riunito. Se non
attentamente studiata questa soluzione crea spesso ostacolo al lavoro dell’assistente
in particolare quando ancorato alla sinistra dell’operatore (fig. 8).
Allo stativo è sempre collegato un perno perpendicolare al terreno sul quale si innesta
il braccio girevole. A seconda dei vari produttori (es. Zeiss, Kaps, Leica) sul braccio
girevole sono alloggiate parte delle componenti elettriche (trasformatore, interruttore
fonte luminosa). questo braccio è in grado di ruotare sul piano orizzontale e in alcuni
casi anche su quello verticale. All’altra estremità del braccio orizzontale, Quella
opposta alla staffa si inserisce il braccio sospeso. Di lunghezza variabile, serve per
collegare la “testata” al braccio girevole. Ci consente di alzare o abbassare la
“testata” alla distanza focale approssimativamente corretta. Robuste molle d’acciaio
e/o sistemi di sospensione a gas garantiscono la stabilità bilanciando il peso della
testata. Sul braccio sospeso viene montato l’interruttore al mercurio che consente lo
spegnimento automatico. Esistono dei bracci maggiorati nelle dimensioni che
possono sostenere un carico maggiore garantendo la massima stabilità. Il
collegamento della testata (corpo) del microscopio al braccio sospeso avviene tramite
lo snodo il quale consente di muovere la stessa nella migliore posizione operativa che
il trattamento richiede. Gli snodi hanno sistemi di serraggio a vite che bloccano la
testata non appena orientata come da esigenze operative oppure dispongono di
sistemi frizionati o elettromeccanici. Questi ultimo permettono di bilanciare
perfettamente il peso spesso asimmetrico della testata mantenendola in modo neutro
nella posizione desiderata e consentendo variazioni di inclinazione e posizione da
parte del clinico senza che queste cambino la neutralità del peso (fig.9). Lo snodo dal
punto di vista operativo-ergonomico, cosi come il braccio snodato, ha un’importanza
strategica in quanto consente all’operatore di variare la sua posizione e quella del
microscopio in modo semplice senza distrarsi dalla procedura clinica in esecuzione.
Fig. 8 Stativi a soffitto, pavimento e parete
A nostro avviso un buon sistema di snodo e braccio sospeso rientra di fatto nelle
caratteristiche basilari per poter lavorare nelle migliori condizioni.
2 GLI ACCESSORI
2.1 – ACCESSORI PER LA DOCUMENTAZIONE
Documentare ciò che facciamo è da considerarsi al giorno d’oggi un’attività
necessaria del lavoro di odontoiatra. Se negli anni passati era praticata per lo più dai
colleghi dediti all’attività congressuale e corsistica, oggi, grazie all’avvento del
digitale e ai costi più accessibili deve essere praticata da tutti i clinici, dal super
specialista fino all’odontoiatra generico. Documentare e rivedere il proprio operato
consente di capire eventuali limiti e superarli, premette di avere uno strumento in più
per dialogare e coinvolgere i pazienti, offre una immagine più professionale
dell’odontoiatra e consente di avere documentazione in caso di contestazioni da parte
dei pazienti, o peggio, di contenziosi medico legali.
Come descritto nel precedente capitolo per connettere sistemi di ripresa (foto e video)
al microscopio e necessario montare il ripartitore ottico (fig.10).
Fig. 9 Sondo frizionato a sinistra e insieme braccio sospeso e snodo bilanciato a destra
Fig. 10 Ripartitore ottico
Una volta passato l’obiettivo e la parte di telescopio galileiano l’immagine viene
intercettata dal ripartitore che tramite prismi riflettenti viene deviata all’esterno.
A questo punto per connettere l’apparecchio fotografico al ripartitore è necessario un
secondo accessorio chiamato adattatore foto o “photo-tube” con diverse focali e
dotato di lenti addizionali per armonizzare l’immagine percepita dall’operatore
rispetto all’immagine che giunge al sensore della fotocamera. L’immagine reale
infatti è spesso diversa rispetto alla superficie del sensore che in questo caso
catturerebbe solo parte dell’immagine che noi vediamo negli oculari oppure
restituirebbe immagini con alone scuro di contorno. La non coincidenza delle due
immagini si deve al fatto che la fotocamera, non essendo collegata al binoculare ma
al ripartitore, riceve un’immagine con rapporto d’ingrandimento diverso rispetto a
quello che arriva agli oculari. Gli adattatori armonizzano queste diversità. Per quanto
riguarda le macchine fotografiche è possibile collegare macchine fotografiche digitali
reflex (o DSLR Digital Single Lens Reflex Camera) o macchine compatte e ora le
ultime comparse “mirrorless” a obiettivo intercambiabile. Ogni macchina ha il suo
adattatore ideale. Per quanto concerne le reflex merita un approfondimento la luce.
Mentre le videocamere per catturare le immagini necessitano di una relativa quantità
di luce, le macchine fotografiche SLR, grazie alle dimensioni del sensore ed al suo
numero di pixel, necessitano di molta luce. Attualmente sono disponibili sul mercato
dei sistemi flash (es. Metz, Nikon) che possono essere montati sull’obiettivo del
microscopio e che vengono comandati senza fili in sincrono dalla macchina
fotografica oppure si possono usare i classici flash anulari collegati all’unità di
comando montata sulla slitta della macchina fotografica (fig. 11) (Van As, 2004).
Fig. 11 Macchina fotografica reflex e flash anulare sul microscopio
Oltre alle macchine fotografiche possono essere collegate anche videocamere. Le
prime videocamere montate usavano un sensore unico detto CCD (Charge Couple
Device), avevano una unità di ripresa fissata al microscopio tramite un
videoadattatore (simile al fotoadattatore) ed una unità esterna di videoregistrazione e
distribuzione (streaming) dell’immagine. Il rapido evolvere delle tecnologie digitali
ha consentito di montare sui microscopi delle videocamere digitali consumer con 3
CCD, ognuno sensibile ad uno di tre colori base (Rosso Verde e Blu), compatte facili
da usare e decisamente meno costose dei sistemi sopra descritti. Verso la meta degli
anni 2000 queste videocamere registravano su supporti magnetici a nastro (cassette
miniDV) mentre attualmente hanno maggiore risoluzione (full HD), memorizzano su
supporti digitali tipo schede SD o microSD, con un indubbio vantaggio per tutto ciò
che riguarda la post-produzione, dal riversamento delle immagini su computer al loro
montaggio. Durante le riprese un piccolo monitor LCD integrato nelle videocamere
fa vedere all’operatore l’immagine ripresa consentendogli di fare eventuali
aggiustamenti (es. esposizione, centratura dell’inquadratura etc.). Queste
videocamere, inoltre, consentono di collegare direttamente un monitor o un router
video, tramite connessioni ad alta definizione (HDMI), oppure di trasferire via wi-fi
le immagini al computer che le può poi diffondere in streaming ai monitor raggiunti
dalla rete informatica dello studio. Queste videocamere hanno anche la possibilità di
scattare singole immagini, che seppure catturate da sensori molto performanti, non
hanno comunque la qualità offerta dalle immagini fotografiche riprese con
fotocamere DSLR. La diversa dimensione del sensore e l’organizzazione dei pixel sul
sensore stesso sono alla base di queste differenze. Per le normali esigenze un sistema
di videoripresa full HD è probabilmente sufficiente, mentre se si desiderano
immagini di qualità molto elevata è necessaria una fotocamera reflex con sistemi
suppletivi di illuminazione (flash). Ultimamente l’industria fotografica ha immesso
sul mercato delle fotocamere con obiettivo intercambiabile dette “mirrorless”. Questi
apparecchi si stanno sempre più affermando poiché uniscono una maneggevolezza
comparabile alle fotocamere compatte (es. Nikon coolpix) ed una qualità
sovrapponibile agli apparecchi DSLR. A differenza delle macchine reflex manca il
sistema di specchi che porta l’immagine direttamente dall’obiettivo al mirino, ma
sensore e ottiche intercambiabili sono sovrapponibili a quelle offerte dalle più
blasonate reflex. Il mirino è sostituito da uno schermo LCD ad alta definizione
(similmente alle compatte) oppure, quando presente, integra al suo interno un
piccolissimo schermo analogo a quello che si trova nel mirino delle videocamere
compatte. I vantaggi delle mirrorless sono minore peso ed ingombro, ottima qualità
d’immagine e possibilità di fare video in altissima definizione (4 K) (foto 12).
Altro passo in avanti consentito da queste foto/videocamere è la ripresa in 3D. Viene
collegato, tramite adattatori dedicati, un apparecchio su ognuna delle due uscite
presenti nel ripartitore ottico (destra e sinistra). Il segnale che arriva da queste giunge
ad un convertitore video in tempo reale, rendendo possibile riprendere e proiettare
video con il sistema 3D. La configurazione appena descritta va presa in
considerazione se si desidera intraprendere attività congressuale o formativa.
Per contenere i costi e soddisfare in parte l’esigenza di documentare segnaliamo,
infine, la possibilità di collegare al ripartitore ottico uno smartphone o un tablet (Roy
& al., 2014). Gli ultimi modelli hanno capacità di risoluzione buone pur con i limiti
imposti da obiettivi molto piccoli ed offrono la possibilità di un live streaming senza
fili.
2.2 – I MONITOR
Nello svolgimento dell’attività odontoiatrica le situazioni dove il microscopio possa
venire utilizzato con due stazioni visive (oculari per il primo operatore e secondo
paio di oculari per l’assistente) sono per lo più nulle ad eccezione della endodonzia
Fig. 12 Fotocamera mirrorless connessa all’adattatore video e al ripartitore ottico
chirurgica. Spesso l’utilizzo in conservativa, parodontologia e protesi richiede
variazioni di posizione sia dell’operatore che del microscopio e questa considerazione
porta a preferire anziché un secondo binoculare una videocamera collegata ad uno più
monitor. L’assistente potrà seguire sul monitor quanto sta facendo il clinico ed essere
al tempo stesso molto più libera nei movimenti e nei cambi di posizione. Quali
monitor preferire e dove posizionarli? Se non si hanno particolari esigenze
“sceniche” dei monitor da 32-40’’ pollici full HD sono più che sufficienti. Dove
posizionarli? Seguendo il disegno della figura 13 il monitor in posizione 1 e quello in
posizione 2 sono i principali mentre quelli in posizione 3 (sul riunito) e quelli in
posizione 4 e 5 (sul soffitto alla destra e sinistra del paziente) sono “supplementari”.
Il monitor in posizione 1 (di fronte e leggermente a destra del riunito) consente di
vedere all’assistente quando lavora ad ore 14 o 15 che invece utilizzerà il numero 2
quando si posizionerà ad ore 16 o 17. Sempre il monitor in posizione 1 sarà utile per
interagire con il paziente ad esempio mostrando a video i problemi riscontrati nella
sua bocca durante la fase diagnostica, e si rivela anche un ottimo artifizio per
catturare la collaborazione dei piccoli pazienti facendo loro vedere i propri “dentini”
sulla televisione.
2.3 - I FILTRI
I filtri sono un altro accessorio spesso presente nei microscopi. Essi sono inseriti in
appositi telai sul corpo ottico del microscopio. In odontoiatria fondamentalmente si
usano tre tipi di filtri. Filtro arancione, serve per filtrare la luce in uscita durante le
Fig. 13 Posizione dei monitor contrassegnata dai numeri; 1 e 2 sono da considerarsi i principali. In giallo è rappresentato l’operatore con i servomobili ed il tray strumenti mentre in verde l’assistente con il suo servomobile di riferimento.
manovre di conservativa riducendo il rischio di innescare la polimerizzazione dei
materiali compositi durante la lavorazione in anticipo rispetto a quanto desiderato. In
queste condizioni oltre al filtro consigliamo di ridurre al minimo l’intensità luminosa.
Un secondo filtro è il filtro verde. Questo filtro aumenta il contrasto quando stiamo
eseguendo procedure chirurgiche. La presenza di sangue e la forte illuminazione
possono far perdere contrasto e dettagli apprezzabili con l’utilizzo dei filtri. Ultimo
ma non meno importante è il filtro laser. La luce laser può interferire con l’occhio sia
in via diretta che indiretta e a seconda della lunghezza d’onda (�) del laser esso può
interferire con i tessuti superficiali o profondi dell’occhio. Cornea/cristallino sono a
rischio con � tra 290 e 400 nm e tra i 1400 ed i10.600 nm mentre la retina è a rischio
con � tra 400 e 1400nm. Da qui possiamo capire come il filtro laser debba essere
specifico per la lunghezza d’onda del laser utilizzato. Se il “matching” del filtro con
il laser impiegato è ottimale, l’utilizzo di quest’ultimo in visione microscopica risulta
del tutto sicura (Saegusa, Watanabe, Anjo, Ebihara, & Suda, 2010).
3 CONCLUSIONI
In conclusione ed alla luce delle attuali tecnologie la configurazione base che offre la
migliore fruibilità del microscopio nello studio dentistico è la seguente:
Oculari 10x o 12,5x; tubo binoculare da 125-160 cm; obiettivo da 200-250 mm; 5
scatti d’ingrandimento o zoom meccanico; illuminazione led o allo xenon; braccio
sospeso ben ammortizzato con snodo frizionato; videocamera o foto/videocamera
mirrorless; 2 monitor e filtri in base alle esigenze cliniche
Questa configurazione soddisfa tutti i seguenti requisiti: manovrabilità dello
strumento, intervallo d’ingrandimento ampio, ottima visibilità, buona capacità di
documentazione e versatilità d’impiego nelle diverse branche odontoiatriche.
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